Provincia di Verona

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Provincia di Verona
G. Patrizi
(Servin – Servizi Integrati Gestionali Ambientali scrl – Ravenna)
Sintesi dei risultati dell’indagine idrogeologica, geochimica e geochimico-isotopica
sugli acquiferi della Lessinia
Progetto finanziato dal programma di iniziativa comunitaria Leader II
Progetto Montes - Fondo F.E.O.G.A. – Azione B.6.6.
Verona, 7 maggio 2002
Riassunto. Sono presentati sinteticamente i risultati ottenuti con l’esecuzione di un’indagine
idrogeologica, geochimica ed isotopica delle acque sotterranee della Lessinia.
L’indagine è stata realizzata con i contributi dell’Unione Europea, della Camera di
Commercio di Verona, della Comunità montana della Lessinia e della provincia di
Verona ed ha permesso di proporre un quadro interpretativo unitario dei sistemi
di circolazione dell’area e della distribuzione dei nitrati. Lo studio è iniziato nel
dicembre del 1999 ed è terminato nell’ottobre del 2001.
L’intero sistema è stato diviso in quattro unità idrogeologiche principali
(giurassica, cretacea, eocenica e quaternaria), ciascuna delle quali caratterizzata
dal punto di vista della struttura, della litologia, della geochimica delle acque.
Il ricorso agli isotopi dell’acque e dell’azoto dei nitrati ha consentito di
circoscrivere le aree di alimentazione, i tempi di circolazione e di residenza, le
permeabilità delle rocce e, soprattutto, di motivare in modo abbastanza
circostanziato le sorgenti da cui provengono i nitrati.
Infine, per consentire l’attivazione di politiche di risanamento e l’identificazione
degli interventi più urgenti che possono essere realizzati, è stato predisposto sia
il bilancio idrologico dell’intero sistema dei Lessini, sia il bilancio di massa dei
nitrati. Se ne è ricavato che i nitrati che escono dal sistema attraverso il ciclo
idraulico superficiale e sotterraneo ammontano a circa 2000 tonnellate/anno, la
maggior parte delle quali di origine biologica/zootecnica.
In ordine al grado di compromissione delle acque sotterranee in Lessinia, si è
concluso che si tratta di una situazione in equilibrio che, fortunatamente,
nell’ultimo decennio non ha dato segnali di aumento nella massa residente di
nitrati. Infatti, a causa della grande capacità di ricambio delle acque dovuta alla
velocità di circolazione e alla permeabilità molto elevate, il sistema reagisce
molto bene all’elevato carico di nutrienti che viene generato in Lessinia. Vi sono
quindi buone possibilità di ottenere risultati molto positivi sul versante del
risanamento applicando politiche ambientali adeguate (sistemazione degli
impianti di collettamento dei reflui civili, migliore applicazione e rispetto delle
norme di conduzione degli allevamenti e dello spandimento agronomico,
identificazione delle sorgenti di contaminazione nei punti “caldi” e interventi
circoscritti per la realizzazione di soluzioni definitive).
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I N D I C E
1.
INQUADRAMENTO E INDAGINI .................................................................................................................. 3
2.
RIFERIMENTI METODOLOGICI.................................................................................................................. 3
2.1.
2.2.
2.3.
2.4.
GLI ISOTOPI STABILI DELL’ACQUA .................................................................................................................. 3
L’OSSIGENO18 ED IL DEUTERIO ...................................................................................................................... 4
IL TRITIO........................................................................................................................................................ 5
L’AZOTO15.................................................................................................................................................... 5
3.
SISTEMA INFORMATIVO .............................................................................................................................. 5
4.
ANALISI DEL SISTEMA .................................................................................................................................. 6
4.1.
4.2
4.3.
5.
FLUSSO E CIRCOLAZIONE ........................................................................................................................... 8
5.1.
5.2.
5.3.
5.4.
6.
SCHEMA PROPOSTO ...................................................................................................................................... 21
IL CIRCUITO CARSICO E LA GEOCHIMICA DELLE ACQUE ................................................................................. 22
IL BILANCIO IDROLOGICO ............................................................................................................................. 23
I NITRATI ......................................................................................................................................................... 24
7.1.
7.2.
7.3.
8.
PERMEABILITÀ E TEMPI DI RESIDENZA ............................................................................................................ 8
MODELLO DI CORRELAZIONE OSSIGENO18/ALTITUDINE ................................................................................ 10
CORRELAZIONE PIOGGE/PORTATE................................................................................................................. 17
CIRCOLAZIONE GENERALE ........................................................................................................................... 20
SINTESI STRUTTURALE .............................................................................................................................. 21
6.1.
6.2.
6.3.
7.
CARTOGRAFIA GEOLOGICA............................................................................................................................. 6
CARTOGRAFIA IDROGEOLOGICA ..................................................................................................................... 7
MODELLO CONCETTUALE ............................................................................................................................... 8
LA DIFFUSIONE DI NITRATI IN LESSINIA ........................................................................................................ 24
IL BILANCIO DI MASSA DELL’AZOTO ............................................................................................................. 25
LE ORIGINI DEI NITRATI ................................................................................................................................ 25
CONCLUSIONI: SOLUZIONI E INTERVENTI.......................................................................................... 27
BIBLIOGRAFIA........................................................................................................................................................ 28
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1.
Inquadramento e indagini
Le indagini descritte di seguito sono state progettate per migliorare le conoscenze del
sistema di circolazione sotterranea dei Lessini, a nord di Verona; questo scopo di carattere
generale è stato integrato con la necessità di valutare l’entità della presenza dei nitrati in
questi corpi idrici e, se possibile, identificarne la provenienza per poter suggerire le azioni da
svolgere e le politiche da intraprendere per iniziare un percorso virtuoso di risanamento
dell’area.
Le indagini sono durate circa due anni (dicembre 1999 – ottobre 2001) e sono state
basate sul rilievo di alcuni parametri sperimentali sul campo (portata della sorgente, pH,
temperatura) e sull’acquisizione di una elevata quantità di campioni d’acqua, campioni sui
quali sono stati poi determinati gli isotopi stabili dell’acqua (ossigeno18, deuterio e tritio ) e
le principali caratteristiche geochimiche del fluido (anioni, cationi e metalli pesanti).
Per verificare le caratteristiche della diffusione dei nitrati, è stato determinato anche
l’azoto15, che consente di risalire alle principali caratteristiche delle fonti di
contaminazione. Questo, a sua volta, è stato verificato determinando, nei casi di dubbio
maggiore, l’attività dell’ossigeno18 nella molecola dei nitrati.
La rete di monitoraggio è stata costruita con un primo censimento dei punti d’acqua
disponibili (207 quelli verificati in totale), che al termine del primo anno di attività ha
consentito di stabilizzare la rete definitiva costituita da 80 punti.
La rete è stata completata con l’installazione di 8 stazioni per la raccolta dell’acqua di
pioggia a quote diverse.
La base di dati che è stato possibile costituire con questa attività ha la consistenza
mostrata nella tabella che segue.
Variabili
Portata, pH e temperatura sul campo
Composizione isotopica 18O
Composizione isotopica di 15N
Composizione isotopica 18O nei nitrati
Attività di Deuterio
Attività di Tritio
Catoni e anioni
Metalli pesanti
Determinazioni
1259
1608
259
11
162
143
456
456
Consistenza della base di dati
L’immagine che segue, infine, riporta la posizione dei punti della rete definitiva nel
piano geografico.
2.
Riferimenti metodologici
2.1.
Gli isotopi stabili dell’acqua
In linea di massima, i segnali che si possono utilizzare per la classificazione delle
acque e dei corpi idrici sono quello idrologico, che è certamente il più antico e consiste nel
rilievo della portata fluida in funzione del tempo e quello chimico, che consiste nel rilievo
della chimica di base del fluido (anioni, cationi, metalli ecc.) e di taluni traccianti di origine
artificiale, tipicamente i nitrati.
In anni più recenti, a questi si è aggiunta la possibilità di utilizzare un segnale di tipo
isotopico, che si affida alla presenza di isotopi stabili degli elementi che sono alla base della
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costituzione dell’acqua, idrogeno e ossigeno, e rileva quindi la presenza di ossigeno18,
deuterio e tritio. A questi si associano, a seconda della natura della contaminazione oggetto
di interesse, altri isotopi come l’azoto15 in questo caso o altri ancora.
Poiché nessun sistema è perfetto o anche solo decisivo in tutti i casi, si cerca in
genere di utilizzare l’insieme dei tre metodi, approfondendo maggiormente l’uno o l’altro in
funzione del caso e degli obiettivi.
Brevemente, l’ossigeno18 consente di risalire alla quota di ricarica isotopica delle
acque attraverso la dipendenza del processo di frazionamento isotopico dalla temperatura e
quindi dall’altitudine; il deuterio ha il medesimo comportamento dell’ossigeno18 e viene
utilizzato per controllare la qualità dei dai e dei risultati, soprattutto quando vi sono forti
possibilità di evaporazione e quindi maggiore labilità nell’interpretazione dei dati di
ossigeno18.
Il tritio, invece, è un tracciante, nel senso che si valuta la quantità di tritio presente
in atmosfera, e quindi al momento delle precipitazioni, per confrontarla con quella riscontrata
nell’acqua sotterranea al momento del campionamento; in questo modo il tritio si presta,
entro certi limiti, a valutare l’età dei fluidi con età non superiore ad alcune decine d’anni.
L’azoto15, infine, viene utilizzato per tentare di identificare l’origine della
contaminazione; in questo caso si valuta la maggiore o minore affinità dell’azoto15 nei nitrati
con quello atmosferico, che è la materia prima utilizzata per produrre le sostanze azotate alla
base dei fertilizzanti chimici che si usano in agricoltura.
2.2.
L’ossigeno18 ed il deuterio
Il ruolo dell’ossigeno18 è quello di fornire indicazioni sulla quota altimetrica a cui è
avvenuta l’infiltrazione; la tesi è che esiste una dipendenza significativa tra la temperatura di
una pioggia la momento della caduta al suolo ed il tenore in ossigeno18, quest’ultimo
espresso in riferimento ad un tenore standard fissato convenzionalmente al livello del mare,
che rappresenta la quota zero di riferimento. Inoltre, dato che il tempo di residenza del fluido
entro la roccia tende a smorzare il segnale iniziale, si può usare il grado di oscillazione del
segnale in uscita per valutare l’entità del percorso.
Se si considera che vi è anche una dipendenza significativa tra la temperatura e la
quota altimetrica, allora è possibile generalizzare una relazione tra il contenuto in ossigeno18
e la quota cui la pioggia precipita ed inizia il processo di infiltrazione nel sottosuolo. Senza
entrare nel merito dei meccanismi che favoriscono o impediscono l’arricchimento in
ossigeno18, basti dire che la tecnica di utilizzazione del dato isotopico in questo caso
consiste: (i) nel calcolare la legge che descrive la dipendenza ossigeno18/quota delle aree di
alimentazione e (ii) applicare questa legge al dato rilevato presso la sorgente o il pozzo di
interesse per stabilire la quota di infiltrazione di quell’acqua e quindi la posizione
approssimativa a cui si origina il circuito.
Poiché si tratta di una legge lineare, fondamentalmente essa si esprime attraverso il
gradiente isotopico, che indica la variazione di ossigeno18 in funzione della quota altimetrica
e si ottiene predisponendo un certo numero di pluviometri a quote diverse. Poiché la
dipendenza primaria è tra ossigeno18 e temperatura, per avere un gradiente isotopico
significativo, e quindi utile, è necessario prima di tutto che nell’area di studio vi sia un
gradiente termico significativo, tale quindi da produrre nell’acqua di pioggia un
frazionamento isotopico altrettanto significativo.
Il ruolo del deuterio è tendenzialmente di controllo nel quadro di utilizzazione
dell’ossigeno18; infatti esiste una dipendenza diretta tra i due isotopi che consente di
verificare la qualità dei dati di ossigeno18.
In certi casi, inoltre, gli scostamenti possono essere significativi di particolari
situazioni, ad esempio di evaporazioni intense per fatti climatici ed atmosferici.
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2.3.
Il tritio
Il tritio viene utilizzato come un tracciante: poiché è stato liberato in atmosfera in
grandi quantità negli anni delle esplosioni nucleari (attorno al 1965 è stata largamente
superata la soglia delle 2000 unità) e poiché le esplosioni sono eventi ben collocati nel
tempo, il tritio presente nelle acque di precipitazione è stato usato come segnale di ingresso
per valutare l’analogo segnale in uscita nelle acque sotterranee.
Oggi, il segnale di ingresso è molto più debole e si colloca attorno alle 5 – 20 unità in
media, ma può essere utilizzato per stimare l’età di un fluido sotterraneo e, di conseguenza,
per valutare la velocità di transito tenendo conto della concentrazione all’inizio del circuito, di
quella alla fine e della legge di decadimento del tritio stesso.
Sia l’ossigeno18, sia il tritio hanno lo stesso limite metodologico quando si tratta di
calcolare rispettivamente la quota di infiltrazione e l’età dell’acqua; infatti, in entrambi i casi
ci si basa sulla differenza tra il segnale di ingresso e quello di uscita, come si è già detto, ma
poiché non è noto a priori il ritardo di fase tra i due segnali, vi è un’incertezza di fondo che si
traduce in una difficoltà applicativa. Dal punto di vista numerico, cioè delle equazioni che si
utilizzano, le relazioni implicano una non linearità che, diversamente da quanto accade in
altri casi, non può essere risolta in modo approssimato, ad esempio per via iterativa (questi
aspetti sono meglio descritti più avanti).
L’uso di valori medi del segnale di ingresso, ad esempio utilizzando serie storiche
molto consistenti, non risolve in realtà il problema; in pratica è solo possibile applicare il
metodo nel solo contesto dell’intervallo di tempo durante il quale si dispone dei dati: se,
come nel caso in esame, si dispone di un periodo di osservazione di due anni, allora diventa
difficile la stima di eventi con ritardo superiore.
2.4.
L’azoto15
L’azoto15 viene utilizzato per discriminare l’origine delle contaminazioni a nitrati; la
tesi consiste nella capacità di discriminare tra l’azoto prettamente atmosferico che viene
fissato per produrre sostanze di sintesi (es. i concimi per l’agricoltura), da quello che invece
subisce processi di tipo eminentemente biologico, legati alla nitrificazione e denitrificazione
delle sostanze organiche (es. le deiezioni di tutti i tipi).
Il limite del metodo risiede nella effettiva capacità di risoluzione, dato che fasi
entrambe le fasi di nitrificazione e denitrificazione possono in realtà produrre risultati molto
simili in termini di azoto15; una risposta a questo problema è nella determinazione
dell’ossigeno18 presente nella molecola di nitrato sotto esame.
3.
Sistema informativo
Tutta l’informazione acquisita nel corso dello studio è stata supportata con un
sistema informativo che consente di accedere ai dati e alle informazioni da essi derivate sia
in modo alfabetico, quindi con un approccio del tipo DBMS classico, sia con l’approccio GIS
(Geographic Information System) attraverso l’identificazione nello spazio geografico delle
entità informative di interesse.
Gli ambienti di sviluppo utilizzati sono tra i più diffusi: Access (nella versione di MS
Office 2000) e ArcView; ArcView, in particolare, è in grado di accedere alle strutture di dati in
ambiente Access e di garantire quindi la trasparenza e la portabilità del contenuto.
Le principali funzionalità di questo ambiente di lavoro sono le seguenti:
−
interrogazione del sistema su uno o più dei livelli informativi importati, in base agli
attributi in esame;
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−
elaborazioni statistiche;
−
layout dei risultati.
Al di là di questi aspetti più strettamente legati alla gestione del database,
significativi soprattutto in un’ottica di lungo periodo, è importante sottolineare che la
realizzazione del GIS ha consentito di elaborare un numero molto elevato di ipotesi
strutturali prima di decidere per la versione qui presentata.
Attraverso la capacità del GIS di operare per strutture e sottostrutture, è stato
possibile mettere a confronto i dati derivasti dalla cartografia geologica con tutti gli altri
disponibili (chimismo, isotopi, clima, morfologia, cavità ecc.) e derivati nel corso dello studio
(tempi di transito, permeabilità, quote di infiltrazione possibile ecc.).
In
questo
modo,
ogni
tentativo
di
portare
a
“sistema”
le
unità
idrogeologiche/strutturali è stato seguito da un lavoro abbastanza lungo ed impegnativo di
confronto e di validazione dei risultati analizzandoli sotto tutti i possibili punti di vista, con
l’obiettivo di rendere il modello concettuale adottato quanto più coerente con l’intero insieme
di informazioni.
Si è trattato dunque della fase più intensa di attività e che ha avuto una durata di
molti mesi; è tuttavia evidente, che in questa sede è opportuno mostrare solo gli elaborati
definitivi, rinunciando del tutto a proporre il percorso analitico seguito per arrivare al risultato
definitivo.
4.
Analisi del sistema
4.1.
Cartografia geologica
La lista delle formazioni su cui si è deciso di porre l’attenzione per schematizzare il
modello idrogeologico concettuale è la seguente:
−
formazioni del Quaternario: alluvioni dell’alta pianura e dei fondovalle, detriti di
falda, detriti e coperture legati a movimenti franosi recenti;
−
formazioni dell’Eocene: calcari a nummolites, tufi e basalti;
−
formazioni del Cretaceo: scaglia rossa;
−
formazioni del Cretaceo-Giurassico: biancone
−
formazioni del Giurassico: rosso ammonitico veronese, calcari oolitici di San Vigilio,
calcari grigi di Noriglio, complesso dolomitico indifferenziato;
−
formazioni del Trias: dolomia principale
A questi tipi principali vanno poi aggiunti altri litotipi, quali ad esempio certe
ialoclastiti, che hanno spessori dell’ordine della decina di metri, che svolgono la funzione di
acquicludo di alcuni acquiferi eocenici nelle pendici a nord di Negrar e che non sono stati
riportati in cartografia.
Allo stesso modo, in cartografia non è stata riportata la distinzione in sottofacies dei
calcari di Noriglio e del biancone: nel primo caso si tratta delle facies dolomitizzate, molto
frequenti ad esempio in val Squaranto e in val Pantena, che rappresentano variazioni laterali
delle formazioni principali, e riguardano soprattutto la possibilità di un diverso tracciamento
geochimico dell’acqua più che un fatto idrostrutturale vero e proprio legato alle formazioni, e
di questo si è tenuto conto in sede di interpretazione del dato analitico. Nel secondo caso, si
tratta delle facies prevalentemente argillose e marnose poste al tetto e al letto del biancone
(il cenomaniano, per esempio), dato che l’aggregazione non modifica il quadro interpretativo
proposto.
Per quello che riguarda l’assetto strutturale, si rimanda alla bibliografia specializzata;
basta qui ricordare che la monoclinale è moderatamente inclinata da nord a sud e partecipa
ai graben dell’area alto veneta. L’area è stata interessata da diverse fasi tettoniche di tipo
distensivo complicate da effetti di basculamento; questo assetto è descritto nella Carta
Geologica d’Italia e numerosi Autori ne hanno riproposto la schematizzazione anche
successivamente (Sauro, 1978; Artoni, 1989; Artoni & Rebesco, 1990; Zampieri, 1995;
Zampieri & Gandini, 1997).
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4.2
Cartografia idrogeologica
Dal punto di vista dell’idrogeologia, i motivi dominanti da tenere in considerazione,
oltre alle sequenze stratigrafiche, sono:
−
gli abbassamenti/rialzamenti reciproci dei blocchi che costituiscono la struttura
fondamentale; queste variazioni strutturali sono tali da mettere in comunicazione
sistemi acquiferi altrimenti separati e, viceversa, separare porzioni di serbatoi
aventi la stessa genesi formazionale;
−
la maggiore intensità della tettonica nell’alta val Pantena;
−
la fase di erosione che ha interessato le formazioni più recenti, Cretacico ed Eocene,
e che ha messo a nudo la serie giurassica;
−
il processo di dolomitizzazione che ha interessato i calcari giurassici.
In particolare, l’insieme degli ultimi tre processi ha favorito la formazione di un
sistema carsico molto sviluppato, sede della circolazione idrica più significativa dell’area.
Processi simili, anche se più limitati data la minore estensione delle formazioni, si sono poi
ripetuti nei calcari eocenici, tanto che anche nell’area di Fumane e di Negrar vi è un carsismo
intenso sede di circolazione idrica sotterranea.
Per approcciare un modello concettuale dell’idrogeologia dei Lessini, è necessario
tenere conto degli aspetti sommariamente richiamati al paragrafo precedente e che si
possono riassumere in due chiavi di lettura principali:
−
l’una è di tipo più strettamente litostratigrafico e consente di delineare le unità
idrogeologiche in base alla permeabilità prevalente in ciascuna formazione. In tal
caso, si possono aggregare nella stessa unità idrogeologica una o più formazioni
tendenzialmente impermeabili (l’acquicludo, alla base) ed una o più formazioni
tendenzialmente permeabili (l’acquifero, al tetto);
−
l’altra è riguarda la tettonica che, in associazione con gli eventi morfogenetici, ha
favorito la formazione del carsismo e quindi uno sviluppo molto maggiore del
consueto della circolazione idrica verticale.
Questo schema consente di discriminare tra i sistemi calcarei giuresi (dolomie,
complesso calcareo indifferenziato, calcari di Noriglio, calcari di S. Vigilio, talvolta il rosso
ammonitico) e, limitatamente ad alcune zone, i calcari eocenici, in cui la seconda chiave di
lettura è nettamente dominante; le altre formazioni presenti nell’area seguono invece più
maggiormente la prima chiave di lettura secondo la quale la circolazione è dominata dalla
presenza di acquicludi che hanno una certa continuità per l’assenza di vistosi fenomeni di
carsificazione. In questo caso la circolazione avviene secondo i campi di fratture, i bacini di
alimentazione sono più piccoli e frammentati, le riserve regolatrici tendenzialmente basse.
Questo tipo di circolazione interessa sia la serie cretacica, sia le formazioni di origine
vulcanica.
Entro questo schema vanno poi ricompresi alcuni casi di dettaglio, ad esempio
l’eventuale circolazione per risalita lungo faglia (sempre che nell’acquifero vi sia pressione
sufficiente) e i serbatoi contenuti nei “camini” vulcanici che costellano le valli centrali della
Lessinia e che sono stati aggregati in una stessa unità, mentre le vulcaniti della Lessinia
orientale (la val d’Alpone) e della Lessinia occidentale (l’area di Fumane) sono state riferite
ad altre due unità autonome.
Dal punto di vista della circolazione idrica, negli acquiferi che rispondono alla prima
chiave di lettura prevale il flusso orizzontale e la lunghezza dei circuiti dipende
dall’estensione degli acquicludi che ne formano la base; per quelli più strettamente legati al
carsismo la circolazione verticale è molto significativa, anche se comunque si deve
ammettere la presenza di un acquicludo basale che regge l’acquifero.
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4.3.
Modello concettuale
L’analisi ha consentito di tracciare il quadro delle modalità di flusso attraverso i
sistemi idrogeologici che caratterizzano la Lessinia: questi sono stati ricondotti a cinque
sistemi che, pur distinti geologicamente, sono a volte in connessione dal punto di vista
idraulico e partecipano del più generale sistema di afflusso/deflusso che vede:
−
gli afflussi costituiti essenzialmente dalle precipitazioni;
−
i deflussi costituiti dalle uscite attraverso le sorgenti e attraverso il sistema degli
alvei superficiali.
Se dal lato degli afflussi lo schema è semplice, dato che ad oggi non vi sono dati di
fatto per ipotizzare altre fonti di ricarica, dal lato dei deflussi vi sono anche situazioni più
complesse e, ad oggi, non ben note per quello che riguarda le modalità di dettaglio; infatti, la
presenza di vasti campi fratturati e di un carsismo molto sviluppato permettono il contatto
idraulico tra sistemi geologicamente distinti e permettono intensi fenomeni di reinfiltrazione.
Quest’ultimo aspetto è significativo soprattutto per quello che riguarda le acque che, dopo un
percorso sotterraneo più o meno prolungato, vengono a giorno attraverso le sorgenti,
percorrono un altro tratto in superficie e, attraverso il fondo degli alvei di fondovalle, tornano
di nuovo in profondità per scorrere negli acquiferi alluvionali che collegano le acque
sotterranee della Lessinia a quelle dell’alta pianura Veronese.
Sistema
Giurassico
Cretaceo
Sottosistema
Calcareo
Vulcanico della val d’Alpone
Eocenico Vulcanico di Fumane
Vulcanico dei camini
Quaternario
Chiave di lettura
Tettonica/morfogenetica
Stratigrafica/sedimentaria
Stratigrafica/sedimentaria
Stratigrafica/magmatica
Stratigrafica/magmatica
Stratigrafica/magmatica
Stratigrafica/sedimentaria
5.
Flusso e circolazione
5.1.
Permeabilità e tempi di residenza
Permeabilità prevalente
Fratture e carsismo
Fratture
Fratture e carsismo
Porosità primaria e fratture
Porosità primaria e fratture
Porosità primaria
Porosità primaria
La circolazione dell’acqua sotterranea dei Lessini è caratterizzata da alta permeabilità
e da bassi tempi di residenza del fluido nel mezzo roccioso. Si tratta dunque di circuiti veloci
con tassi di rinnovamento che, sulla base delle informazioni disponibili, possono essere
valutati nell’ordine di 2-4 mesi, 6 al massimo; inoltre, anche i fatti meteorici più intensi
tendono a fluire con velocità elevata a causa della circolazione di tipo carsico, i cui tempi di
risposta sono ancora più brevi, dell’ordine dei giorni o delle ore a seconda dei casi. Il tritio ha
fornito anche alcune stime di tempi leggermente più lunghi, dell’ordine di 1 o 2 anni, ed è
possibile che siano legati alla presenza di acque basali, molto limitate in quantità, che meglio
appaiono al termine dei cicli di esaurimento.
Poiché gli effetti delle esplosioni termonucleari sono pressoché esauriti, la presenza di
tritio nell’atmosfera e nella pioggia oggi è tornata su valori molto bassi (il decadimento è
molto veloce) ed il riferimento alla massa iniziale non è sufficiente per sviluppare dei calcoli
di tipo diretto; è invece possibile usare una relazione del tipo (Celico, 1990):
t = (T1 / 2 / 0.693) log(C0 − C )
con:
−
−
−
−
t = tempo trascorso
T1/2 = tempo di dimezzamento del tritio
C0 = contenuto iniziale in trizio
C = contenuto in trizio nell’acqua di interesse
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Poiché il contenuto iniziale in trizio C0 non è noto a priori, dato che non è noto in
anticipo l’istante di tempo cui fare riferimento, il termine C0 per consuetudine viene
assimilato all’acqua di pioggia; l’evidente non linearità dell’equazione limita quindi la
possibilità di utilizzare il metodo solo ai casi in cui lo sfasamento nel tempo è contenuto.
Infatti, le dipendenze dal tempo sono le seguenti:
∆t = f (C0(t0 ), C(t0 + ∆t ))
e l’applicazione può essere valida solo se l’intervallo di tempo (∆t) considerato è piccolo per
poter effettivamente assimilare l’acqua del campione di pioggia all’acqua iniziale del processo
di scorrimento sotterraneo. In ogni caso, l’intervallo deve essere compreso entro il periodo di
osservazione disponibile.
In figura sono riportati i diagrammi di alcune serie di osservazioni eseguite fin dal
periodo di massima attività del tritio. Poiché oggi l’attività è di quasi tre ordini di grandezza
inferiore, il metodo trova, almeno per quello che riguarda le acque sotterranee, maggiori
difficoltà applicative rispetto al passato.
7000
6000
Genova
Hof-hohensaas
Odense
Orleans
Vienna
Tritio (TU)
5000
4000
3000
2000
1000
0
29/06/57
20/12/62
11/06/68
02/12/73
25/05/79
14/11/84
07/05/90
28/10/95
19/04/01
Tempo
Evoluzione del tritio nelle precipitazioni
(fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)
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Sintesi dei risultati dell’indagine idrogeologica, geochimica e geochimico-isotopica sugli
acquiferi della Lessinia
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35
30
Genova
Vienna
Tritio (TU)
25
20
Lessini
15
10
5
1
01
ag
o-
0
-0
ar
0
-0
t-0
ot
m
m
ag
99
99
c-
g-
di
lu
8
fe
b-
99
8
t-9
se
97
r-9
ap
97
v-
no
97
u-
n-
gi
ge
6
96
ag
o-
5
-9
m
ar
5
t-9
ot
94
-9
c-
ag
di
m
94
94
g-
bfe
lu
3
3
t-9
se
92
r-9
ap
92
v-
no
ugi
ge
n-
92
0
Tempo
Osservazioni di tritio nei Lessini e negli osservatori di Genova e Vienna
(fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)
Per quello che riguarda i risultati, in certi casi è stata trovata una buona coerenza con
le dimensioni dei circuiti identificate attraverso l’ossigeno18; per questi è stato possibile
ottenere anche una stima della velocità di deflusso applicando le distanze dedotte attraverso
il calcolo della quota di ricarica isotopica e, ipotizzando un gradiente medio dell’ordine dello
0.5 %, anche il coefficiente di permeabilità.
I valori più elevati non sono del tutto coerenti con quanto emerge dall’analisi di tipo
idraulico, ma si spiegano con le imprecisioni metodologiche e con la possibilità di campionare
talvolta, al termine dei cicli di esaurimento, acque residuali che provengono da distanze
maggiori con tempi necessariamente più lunghi.
Stima
Media
Minima
Massima
Tempo
(anni)
Velocità di deflusso
(km/anno)
1.0
0.2
2.0
1.9
0.2
5.6
Coefficiente di
permeabilità
(m/s)
1.2⋅10-02
1.3E-03
3.6E-02
Tempo di residenza e velocità di flusso
5.2.
Modello di correlazione ossigeno18/altitudine
L’alimentazione è esclusivamente verticale, da pioggia, dato che non vi è alcuna
evidenza di connessione con altri sistemi idrici sotterranei o con corpi idrici superficiali posti a
quote adeguate; ne segue che l’idrologia del sistema è regolata dagli eventi meteorici e, a
meno del rallentamento dovuto al mezzo roccioso, ne segue la stessa evoluzione.
Quest’ultima è stata decritta con le serie delle osservazioni di ossigeno18 sulle acque di
pioggia e su quelle sotterranee; da queste serie è stato elaborato un modello di correlazione
tra l’ossigeno18 e la quota di ricarica isotopica, utilizzato per stimare appunto la quota
apparente di ricarica delle sorgenti in osservazione.
La presenza di ossigeno18 nelle acque sotterranee dipende dalle caratteristiche
dell’acqua di pioggia che costituisce l’inizio del circuito, dalle modalità con cui avviene il
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passaggio dall’atmosfera al sottosuolo e dal percorso sotterraneo seguito dall’acqua; la
composizione dell’acqua di pioggia dipende a sua volta dalla temperatura al momento della
precipitazione, perché è in definitiva la temperatura la variabile di controllo fondamentale del
processo di frazionamento isotopico. Dato che la temperatura risente a sua volta
dell’altitudine, in linea generale si può utilizzare l’ossigeno18 per risalire alle condizioni alle
quali è avvenuta la precipitazione e quindi all’altezza di ricarica isotopica, che non è tuttavia
necessariamente coincidente con la quota reale di infiltrazione dell’acqua.
Per verificare la qualità del monitoraggio è stato effettuato il confronto con i dati degli
osservatori ufficiali di Vienna e di Genova mantenuti nel database dello IAEA di Vienna
(International Atomic Energy Agency), il IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation GNIP, che IAEA consente di consultare e di utilizzare.
5
Monti
Lessini
0
δ18O
-5
-10
Genova
Vienna
-15
-20
01/01/92
01/04/93
01/07/94
01/10/95
01/01/97
01/04/98
01/07/99
01/10/00
Tempo
Raffronto delle osservazioni di 18O nei Lessini con gli osservatori di Genova e Vienna
(fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)
40
15
Vienna
Genova
Lessini
-10
δD
-35
-60
-85
-110
-135
-160
-25
-20
-15
-10
-5
0
5
δ18O
Ossigeno18 e deuterio per le stazioni di Vienna, di Genova e dei Lessini
(fonte: IAEAA, Global Network of Isotopes in Precipitation - GNIP)
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L’attività dell’ossigeno18 è condizionata da una caratteristica climatica particolare dei
Lessini, il basso gradiente termico. Dai dati sperimentali ottenuti dal Servizio Meteorologico
Regionale, infatti, si è trovato che nel 2000 l’escursione termica media è stata di appena 4
gradi per oltre 1000 metri di dislivello sulla base delle 5 stazioni termopluviometriche
disponibili nella zona. Di queste, quella di Boscochiesanuova è posta a circa 1300 metri di
quota, quella più bassa a circa 200.
Nel corso del lavoro, sono stati applicati due approcci: dapprima la stima è stata
realizzata nelle condizioni maggiormente vicine a quelle climatiche medie, quindi utilizzando
l’equazione con una relazione ossigeno18/altitudine ottenuta con le medie ragguagliate,
ottenendo tuttavia scarsi risultati.
-4
Media aritmetica
Media ragguagliata
-5
-5
y = -0.0018x - 5.105
R2 = 0.76
-6
18
O
-6
-7
-7
y = -0.0015x - 5.997
R2 = 0.78
-8
-8
-9
-9
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
Quota (m slm)
Modelli medi ossigeno18/quota
Successivamente, sono stati identificati i modelli di dettaglio maggiore, più coerenti
con il grado di dettaglio necessario, selezionando tra le osservazioni disponibili quelle che
rispondono alle condizioni termicamente più adatte: come si vede infatti dalle osservazioni di
temperatura, riportate nel diagramma che segue, il gradiente termico dei Lessini tende ad
essere minimo a gennaio e massimo d’estate, in agosto, mentre negli altri mesi l’assetto è
intermedio tra questi due estremi. Inoltre, le osservazioni termiche in atmosfera sono state
raffrontate con quelle delle acque sotterranee che, pur non del tutto rappresentative della
prima fascia di sottosuolo, consentono comunque di avere un quadro abbastanza utile; il
raffronto mostra che in estate, come del resto prevedibile, la temperatura nel sottosuolo è
minore di quella dell’atmosfera e rende l’evaporazione un fattore prevalente e tale da
mascherare il segnale isotopico che interessa.
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Gradiente termico (° C)
6
5
4
3
2
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
Mesi
Evoluzione mensile del gradiente termico tra le stazioni di Boscochiesanuova e Marano
Utilizzando in combinazione i due modi di inquadrare la temperatura, si possono
trarre le seguenti considerazioni:
−
−
il gradiente termico maggiore, dell’ordine di almeno 4 gradi e più, si stabilisce in
primavera, a marzo, e termina in autunno, ad ottobre. Questo è quindi il periodo
più favorevole all’identificazione di un modello locale coerente (area grigia nella
figura precedente);
l’inversione termica tra atmosfera e sottosuolo, invece, si ha indicativamente nei
mesi da maggio a ottobre e questo secondo periodo forma un’altra “finestra” entro
cui trovare il periodo ottimo cercato. Le tre figure che seguono riportano alcuni
esempi di sorgenti dei Lessini.
Il risultato è che la finestra di tempo entro la quale il metodo può rispondere
abbastanza bene è limitata al periodo marzo-aprile, quando il gradiente termico in quota è di
almeno 4 gradi ogni 1000 metri circa e quando non si ha ancora l’inversione termica tra
atmosfera e sottosuolo.
25
T (°C)
20
15
Marano di Valpolicella
Sorgente SO076
10
5
dic-00
nov-00
ott-00
set-00
ago-00
lug-00
giu-00
mag-00
apr-00
mar-00
feb-00
gen-00
0
Tempo
Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea
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25
T (°C)
20
15
10
S. Giovanni Ilarione
Sorgente SO063
5
dic-00
nov-00
ott-00
set-00
ago-00
lug-00
giu-00
mag-00
apr-00
mar-00
feb-00
gen-00
0
Tempo
Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea
30
25
Grezzana
Sorgente SO050
T (°C)
20
15
10
5
dic-01
nov-01
ott-01
set-01
ago-01
lug-01
T giu-01
apr-01
mag-01
gen-01
mar-01
feb-01
0
Temperatura atmosferica e temperatura dell’acqua sotterranea
In definitiva, nelle serie dei dati disponibili sono stati identificati i periodi più coerenti
con un frazionamento isotopico adatto ad essere utilizzato in un contesto di elevato
dettaglio: questi periodi sono quelli primaverili, dato che è in tali momenti che il gradiente
isotopico in altitudine è abbastanza elevato da innescare il frazionamento e, d’altra parte,
l’evaporazione estiva ed autunnale non è ancora tale da rendere prevalente l’arricchimento
per evaporazione. I modelli così identificati sono mostrati nella figura seguente.
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0
y = -0.0028x - 6.3
R2 = 0.75
12 aprile 2000
-2
y = -0.0027x - 3.1
R2 = 0.97
12 maggio 2000
18 O
-4
-6
-8
-10
y = -0.0015x - 7.6
R2 = 0.72
13 marzo 2001
-12
y = -0.0035x - 7.3
R2 = 0.78
14 aprile 2001
-14
0
200
400
600
800
1000
1200
1400
1600
Quota (m slm)
Modelli locali ossigeno18/quota
La successiva figura, invece, riporta a titolo di confronto la retta (in rosso) che
identifica il possibile modello globale, quello cioè che coincide abbastanza bene con una
situazione media dell’Italia settentrionale, ed uno di quelli locali (in blu); si vede bene che il
modello medio si colloca sopra i valori delle osservazioni disponibili di ossigeno18 nei pozzi e
nelle sorgenti, mentre quello locale è sotto. Ciò significa che il modello globale è
rappresentativo di acque più calde di quelle osservate e non può quindi dare una risposta
utile in questo caso. Per contro, il modello locale è posto correttamente ad un livello termico
inferiore e quindi tale da rendere i risultati applicativi coerenti con l’area di lavoro.
-4
pluviometri
sorgenti
pozzi
-5
18
O (‰)
-6
-7
Y = -0.0015x – 5.9
(modello medio)
-8
-9
-10
Y = -0.0035x – 7.3
(modello locale)
-11
-12
0
500
1000
1500
2000
Quota (m slm)
Osservazioni di ossigeno18 disponibili e modelli interpretativi
Ancora in termini metodologici è opportuno tenere presente altri due aspetti:
−
le sorgenti carsiche più note e di maggiore interesse (Montorio e Cazzano)
sono evidentemente connesse anche con le zone di ricarica più alte e,
prendendo alla lettera i risultati dell’applicazione del modello dedotto con
l’ossigeno18, la quota di tali zone sarebbe dell’ordine dei 1900-2000 metri.
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Si deve tuttavia tenere conto che il modello quota/ossigeno18 è un qualcosa
di molto semplificato e che viene applicato con una correlazione lineare la
cui validità statistica non è molto elevata; in particolare, il pluviometro più
alto è posto a 1300 m sul mare e, almeno in teoria, i risultati numerici che
si estendono troppo oltre questo valore limite non dovrebbero essere presi
in considerazione. Per questo motivo, in tabella si è preferito indicare per
questi due punti d’acqua una quota genericamente maggiore di 1600-1800
metri, che è già molto al di fuori del campo di validità dei dati;
−
la posizione dei pluviometri, come si è visto, è fondamentale, dato che la
legge che se ne ricava esprime gli effetti di un gradiente termico e che tale
gradiente altro non è che l’esito della morfologia del terreno. Per questo
motivo, è evidente che la caratterizzazione di un’area di ricarica dovrebbe
essere basata su dati ottenuti in quella specifica area, altrimenti il metodo o
non funziona o produce risultati sconcertanti. Ad esempio, le ipotesi che
vogliono l’acqua di Montorio provenire (tutta o in parte) da aree ben più
lontane e più a nord-est dello spartiacque settentrionale dei Lessini, devono
essere verificate ponendo i pluviometri proprio in tali zone e non nelle
vallate della Lessinia. Solo in questo modo si può certificare l’ipotesi;
−
sempre per quello che riguarda la posizione dei pluviometri, essi sono stati
collocati con l’intento sia di intercettare il gradiente termico maggiore, sia di
fornire un modello interpretativo utilizzabile, mediamente, sul numero più
alto possibile di punti d’acqua. Per ottenere un’analisi di elevatissimo
dettaglio, invece, bisognerebbe piazzare gli strumenti all’inizio e alla fine di
ciascun versante di alimentazione, in modo che soprattutto i circuiti locali
possano essere posti in relazione con le fenomenologie tipiche del versante
che è loro proprio. Tuttavia, questo dettaglio è solo apparente, dato che
scendendo nel dettaglio della morfologia al contempo si scende nel dettaglio
climatico ed i gradienti di temperatura, sempre più locali, diventano modesti
ed il metodo tende ad essere non più utilizzabile.
Queste considerazioni sono fondamentali per comprendere i risultati dell’esplorazione
e, soprattutto, per rendersi conto del perché spesso la quota di ricarica isotopica calcolata
con l’ossigeno18 non trova poi riscontro con l’assetto morfologico e geometrico dei corpi
idrici e delle scaturigini.
Detto questo, i risultati ottenuti, sul piano del riscontro idrogeologico, sono
abbastanza soddisfacenti ed è stato possibile verificare che i circuiti più localizzati, quelli per
esempio tipici del biancone, sono ricaricati dai bacini idrografici di appartenenza, mentre le
sorgenti carsiche mostrano nettamente il segnale della ricarica da bacini posti a quote molto
maggiori.
Si è trovato che le quote calcolate sono coerenti nella maggior parte dei casi con il
versante più prossimo alla scaturigine. Alcuni modelli invece mostrano talvolta che la ricarica
può avvenire per la medesima sorgente anche da quote diverse e per distanze maggiori,
coerenti con lo sviluppo longitudinale di molte vallate e con taluni valori più elevati di tempo
di transito calcolati con il tritio. In questo caso, è quindi facile schematizzare un doppio
sistema di deflusso, l’uno con un percorso più breve che coincide con il versante della
sorgente, l’altro più lungo che coincide con l’assetto longitudinale della valle, ma comunque
coerente con il piano di scorrimento generale della monoclinale calcarea che caratterizza i
Lessini.
Tutte queste osservazioni sono state compendiate nella tabella seguente, che riporta
in sintesi i risultati in termini di escursione altimetrica (differenza tra la quota della sorgente
e la quote di ricarica isotopica calcolata) e la distanza corrispondente (distanza tra la
sorgente e l’isoipsa più vicina corrispondente alla quota di ricarica isotopica), con l’esclusione
delle sorgenti carsiche.
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Valore
Minimo
Massimo
Medio
Escursione Distanza Escursione Distanza
(m)
(km)
(m)
(km)
40
0.1
52
0.3
450
5.4
690
6.2
160
1.3
380
3.2
Escursioni altimetriche e distanze
Alcune considerazioni sono poi legate all’andamento delle serie di ossigeno18 nel
tempo; anche in questo caso, infatti, le sorgenti carsiche (Montorio, Cazzano, Mezzane)
mostrano un segnale tipico di circuiti veloci, dato che mostrano oscillazioni superiori a 0.5
unità di ossigeno18.
Altre sorgenti, invece, alimentate da circuiti più lenti hanno segnali più smorzati
anche se appartengono a sistemi più superficiali e accade che le oscillazioni più contenute
(0.3 – 0.4 unità di ossigeno18) sono maggiormente frequenti nell’eocene vulcanico,
caratterizzato da permeabilità presumibilmente più basse.
La particolare struttura di questi acquiferi, e soprattutto la presenza del carsismo,
tende a rovesciare la logica che in genere si tende ad utilizzare per schematizzare il flusso
sotterraneo: infatti, i circuiti posti altimetricamente più in basso sono in genere considerati
più lenti e quindi con segnali più smorzati, dato che a volte la maggiore profondità coincide
con un maggior tempo di transito e viceversa. La Lessinia, come del resto tutti i complessi
carsici, sfugge a questo tipo di schematizzazione, dato che lo sviluppo maggiore del carsismo
coincide proprio con i serbatoi più profondi, che in questo caso sono anche i più veloci ed i
meno soggetti allo scambio acqua-roccia. Ne segue che è più facile trovare segnali da circuiti
“profondi” nelle vulcaniti superficiali piuttosto che nelle aree con vasti campi di fratture e
carsismo, anche se posti a quote più basse.
5.3.
Correlazione piogge/portate
Per caratterizzare la circolazione sotto il profilo strettamente idraulico si è fatto
riferimento ai dati di pioggia del Servizio Meteorologico Regionale e ai dati di portata fluida
rilevati nel corso del monitoraggio.
La prima considerazione riguarda i limiti da attribuire all’analisi: infatti, il dato
pluviometrico è stato acquisito su base giornaliera, quindi con la massima possibile
disaggregazione, mentre il monitoraggio delle sorgenti è stato eseguito su base mensile.
Le figure riportano alcuni esempi del lavoro di ricerca delle correlazioni
piogge/portate mediante l’identificazione dei cicli di esaurimento delle sorgenti e le verifiche
di congruità con i tempi di residenza identificati con il trizio. Non tutti i casi indagati si sono
dimostrati utili a questo scopo, soprattutto per la piccola portata dei punti d’acqua e per le
caratteristiche del deflusso, che spesso non può essere apprezzato con osservazioni di
dettaglio mensile.
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4.5
Stazione pluviometrica: Grezzana
350
300
4.0
Stazione pluviometrica: Marano
3.5
Stazione pluviometrica: S.Giovanni
Ilarione
Stazione pluviometrica: Roverè
3.0
Stazione pluviometrica: Boscochiesanuova
250
2.5
200
2.0
150
1.5
100
1.0
50
0.5
0
0.0
Portate (l/sec)
Precipitazioni (mm/mese)
400
01/01/99 01/04/99 30/06/99 28/09/99 27/12/99 26/03/00 24/06/00 22/09/00 21/12/00 21/03/01 19/06/01
Analisi delle serie piogge/portate
450
4.5
Stazione pluviometrica: Grezzana
350
300
4
Stazione pluviometrica: Marano
3.5
Stazione pluviometrica: S.Giovanni
Ilarione
Stazione pluviometrica: Roverè
3
Stazione pluviometrica: Boscochiesanuova
Portate (l/sec)
Precipitazioni (mm/mese)
400
250
2.5
200
2
150
1.5
100
1
50
0.5
0
0
01/01/99 01/04/99 30/06/99 28/09/99 27/12/99 26/03/00 24/06/00 22/09/00 21/12/00 21/03/01 19/06/01
Analisi delle serie piogge/portate
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450
4.5
Stazione pluviometrica: Grezzana
350
300
250
4
Stazione pluviometrica: Marano
Stazione pluviometrica. S.Giovanni
Ilarione
Stazione pluviometrica: Roverè
3.5
3
Stazione pluviometrica:
Boscochiesanuova
So gente SO010
Portate (l/sec)
Precipitazione (mm/mese)
400
2.5
200
2
150
1.5
100
1
50
0.5
0
01/01/99
0
01/04/99
30/06/99
28/09/99
27/12/99
26/03/00
24/06/00
22/09/00
21/12/00
21/03/01
19/06/01
Analisi delle serie piogge/portate
450
4.5
Stazione pluviometrica: Grezzana
350
300
4
Stazione pluviometrica: Marano
3.5
Stazione pluviometrica: S.Giovanni
Ilarione
Stazione pluviometrica: Roverè
3
Portate (l/sec)
Precipitazioni (mm/mese)
400
250
2.5
200
2
150
1.5
100
1
50
0.5
0
01/01/99
0
01/04/99
30/06/99
28/09/99
27/12/99
26/03/00
24/06/00
22/09/00
21/12/00
21/03/01
19/06/01
Analisi delle serie piogge/portate
Identificati i periodi di esaurimento, è stato possibile calcolare l’immagazzinamento
dei serbatoi con l’equazione di Mallet. Trattandosi, tuttavia, di sorgenti di piccole dimensioni,
il campo di variabilità è contenuto ed i periodi di esaurimento non superano i 4 mesi in
media; ugualmente, i bacini hanno una capacità di immagazzinamento poco elevata,
dell’ordine di poche migliaia di metri cubi.
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acquiferi della Lessinia
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Sistema
Giurassico
Cretacico
Eocene calcareo
Eocene vulcanico
Valore
minimo
massimo
media
minimo
massimo
media
minimo
massimo
media
minimo
massimo
media
Esaurimento
(giorni)
70
147
106
61
195
106
49
140
109
46
141
91
Immagazzinamento
(m3)
1000
9000
3000
1000
17000
4700
2000
18000
5500
3000
16000
8800
Flusso basale
(l/s)
0.01
0.09
0.04
0.01
1.10
0.17
0.00
0.70
0.16
0.08
1.10
0.36
Tempi di esaurimento ed immagazzinamento
5.4.
Circolazione generale
quindi:
Il percorso che segue l’acqua durante il deflusso, una volta a contatto con il suolo, è
−
superficiale, secondo il reticolo di drenaggio principale e secondario;
−
sotterraneo, secondo il sistema di drenaggio sotterraneo a sua volta basato sulla
permeabilità primaria per porosità (alluvioni e altri depositi recenti di rocce sciolte,
comprese talune vulcaniti), sulla porosità secondaria per fratturazione e per
carsismo (rocce di matrice calcarea, talune vulcaniti). Si può ipotizzare anche un
certo deflusso per porosità primaria in alcuni calcari, ma, dato lo sviluppo della
circolazione per fratturazione e carsismo, si tratta certamente di volumi trascurabili.
Il decorso del flusso è complicato da fenomeni di reinfiltrazione, tipici delle aree
carsiche, dato che il reticolo di drenaggio superficiale è spesso intercettato da quello
sotterraneo attraverso le doline, gli inghiottitoi, le fratture, i camini vulcanici. In questi casi,
l’alimentazione non è più di tipo verticale diretto, ma avviene dopo un percorso superficiale
più o meno lungo.
La direzione di deflusso prevalente è, in generale, da nord a sud, con poche varianti
dato che anche le lineazioni tettoniche cui è spesso associato il carsismo deviano poco da
questa direzione; dato che è necessario ipotizzare anche la presenza di condotti carsici
longitudinali associati a quelli verticali (che altrimenti rigurgiterebbero), vi è la possibilità che
in questo modo siano rese possibili direzioni di flusso non parallele alle vallate principali.
Gli acquiferi, schematicamente, rispondono a questi requisiti principali:
−
in termini di frequenza, le sorgenti sono presenti soprattutto nelle formazioni più
recenti, laddove l’erosione non è arrivata alla base del biancone o del rosso
ammonitico;
in
questi
casi,
la
funzione
di
acquicludo
del
rosso
ammonitico/cenomaniano e della scaglia è rimasta tale da consentire la
formazione di falde poste a quote più alte rispetto alla circolazione carsica.
Tuttavia le portate sono modeste, dato che il biancone è, secondo letteratura,
meno interessato dal carsismo e più spesso permeabile per fratturazione; a ciò si
somma la superficie effettivamente disponibile per l’alimentazione dei bacini che
alimentano il cretaceo, molto discontinuo a causa dell’effetto combinato della
tettonica e dell’erosione;
−
in termini di portata, le sorgenti maggiori sono quelle collegate alla circolazione
più veloce e più intensa del carsismo e dei campi fratturati di maggiori dimensioni.
Si tratta delle ben note emergenze di Montorio, di Cazzano, di Fumane, che
portano a giorno il deflusso che avviene attraverso il basale giurassico, cui
partecipano le dolomie basali, il complesso dolomitico indifferenziato e, quando
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sufficientemente tettonizzati e carsificati, i calcari di S. Vigilio e di Noriglio e i
lembi del rosso ammonitici tettonizzati delle valli centrali e settentrionali.
Tutto il deflusso trova poi recapito alla base del sistema, che è costituito dalla
copertura alluvionale posta lungo i fondovalle e lungo l’orlo della pianura; la connessione
avviene attraverso le formazioni calcaree permeabili recenti e non recenti e attraverso la
reinfiltrazione dei corsi d’acqua che solcano i fondovalle, il cui alveo è spesso sospeso
rispetto alla quota dell’acquifero alluvionale, che può esserne così ricaricato. Per questo
stesso motivo è possibile anche la reinfiltrazione dell’acqua che proviene dalle sorgenti
carsiche dato che, una volta recapitate nel sistema di drenaggio principale, possono essere
nuovamente drenate e riportate in falda più a valle.
I sistemi carsici sono almeno due; quello idraulicamente più sviluppato appartiene
alle serie calcaree basali e interessa soprattutto i Lessini centrali, l’alta valle di Illasi, il bordo
esterno del sistema in sinistra Adige. L’altro è legato invece alle serie calcaree eoceniche
dell’area di Fumane e di Negrar, il cui acquicludo è costituito dalla scaglia rossa e dalla facies
marnoso-argillosa al tetto del biancone. In questa zona vi sono anche acquiferi di interesse
costituiti dalle vulcaniti, il cui acquicludo è formato da un livello impermeabile di ialoclastiti.
6.
Sintesi strutturale
6.1.
Schema proposto
Per sintetizzare queste considerazioni, si è fatto riferimento ad uno schema che tenta
di tenere conto sia della circolazione più caratterizzata dal carsismo, sia di quella legata alle
successioni stratigrafiche, sia alla morfologia e alla posizione geografica dei bacini. I Lessini,
infatti, possono essere visti come un unico contenitore, il cui limite sotterraneo di monte
segue grosso modo lo spartiacque superficiale e che può essere ripartito:
−
in un settore orientale corrispondente alla val d’Alpone, dominato dalla presenza di
un motivo tettonico fortemente caratterizzante e dalla massiccia presenza di
vulcaniti e basalti. Questo settore è limitato a nord dal thrust di Marana, ad ovest
dalla faglia di Castelvero, ad est dalla valle del Chiampo, mentre il basamento
idraulico è dato dalla serie dei calcari cretacei; qui le sorgenti sono abbastanza
numerose, le portate poco elevate, le acque caratterizzate da una certa maggiore
abbondanza di ferro e magnesio;
−
in un settore centro-settentrionale, dominato dalle serie calcaree triassiche e
giurassiche ed esteso in superficie fin dagli affioramenti di dolomia principale a nord
dello spartiacque principale. In superficie lo sviluppo si interrompe in
corrispondenza degli affioramenti della serie cretacica: ove questa è stata erosa
affiorano il giura ed il trias ed hanno preso sviluppo i sistemi carsici maggiori. La
morfologia di questo sistema richiama una mano rovesciata, le cui dita
corrispondono alla valle d’Illasi, alla valle di Mezzane, alla val Squaranto, alla val
Pantena, alla valle di Fumane. Il deflusso avviene in parte per drenaggio lungo i
fondovalle, ove il contatto idraulico è possibile, e attraverso le sorgenti carsiche.
Oltre questa linea il sistema entra in pressione, dato che non vi sono altre
possibilità, più a valle, di un deflusso, almeno per quanto è noto;
−
in un settore centrale e meridionale, dominato dal biancone, dai calcari eocenici e
da alcune formazioni vulcaniche. Le sorgenti sono frequenti e di bassa portata nel
biancone, mentre il carsismo eocenico ripete, più in piccolo, il motivo dominante del
sistema giurassico.
Lo schema è completato dagli acquiferi, numerosissimi, contenuti nei camini vulcanici
che costellano da sud a nord tutti i Lessini centrali; si tratta di serbatoi in genere di modeste
dimensioni, formati da piroclastiti e sabbie vulcaniche più o meno cementate, che raccolgono
sia l’acqua di pioggia che si infiltra direttamente, sia quella che proviene dal dilavamento
delle pendici circostanti. Ogni serbatoio è separato dagli altri e, presumibilmente, non
partecipa alla circolazione generale, salvo la possibilità di un percolamento verso i sistemi
calcarei sottostanti.
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Per classificare le acque e le sorgenti è stata adottata la ripartizione con i sistemi
idrogeologici descritti; questi sistemi (giurassico, cretacico, eocenico e quaternario) sono
relativamente indipendenti tra loro, salvo il quaternario attraverso il quale avviene il deflusso
sotterraneo di uscita in connessione con il più esteso sistema della pianura dell’Adige. Le
questioni di maggior rilievo, dato che sono più sfuggenti, riguardano il sistema giurassico, il
cui carsismo, pur evidente negli effetti, è relativamente poco noto sul piano idraulico, dato
che i condotti di maggiore interesse idraulico sono evidentemente i meno esplorati per la
presenza dell’acqua. Quelli esplorati ricalcano molto spesso l’assetto dei lineamenti tettonici e
sono certamente indizio della presenza di condotti suborizzontali rilevanti.
6.2.
Il circuito carsico e la geochimica delle acque
La geometria è tale che l’alimentazione di sorgenti come Montorio deve essere
spiegata con la presenza di condotti sub-orizzontali la cui direttrice può essere sia nord-sud,
sia da nord-est verso sud-ovest; la decisione non è semplice, dato che sia la quota di
alimentazione, sia il segnale geochimico sono compatibili con l’alta val Squaranto e con la val
d’Illasi. Per quello che riguarda la quota il calcolo indica oltre 1800 m, quindi la val Squaranto
sembrerebbe più attinente, dato anche che le incisioni delle valli sull’altro versante dei
Lessini sono abbastanza incise fino a quote parecchio più basse. Anche il segnale geochimico
non è decisivo in termini assoluti, dato che la presenza del magnesio, tipica del sistema
giurassico, può essere ascritta sia alle dolomie basali, sia alle diffusissime facies
dolomitizzate dei calcari della val Squaranto e delle altre valli centrali.
La caratterizzazione geochimica delle acque sotterranee risente della sostanziale
omogeneità delle rocce madri e del breve tempo di residenza dell’acqua nei serbatoi.
Il basso tempo di residenza delle acque nei serbatoi dipende sia dalla velocità elevata
nei percorsi più lunghi ove prevalgono carsismo e fratturazione, sia dalla brevità dei percorsi
ove invece la permeabilità è più ridotta per il minor sviluppo delle fratture. In entrambi i casi,
il segnale geochimico è sempre molto tenue e ciò che si riesce a discriminare è:
−
un percorso di tipo calcareo puro, con prevalenza di carbonato di calcio e quantità
modeste o trascurabili di ferro, magnesio, zolfo;
−
un percorso di tipo dolomitico, con quantità più significative di magnesio;
−
un percorso di tipo vulcanico con quantità più significative di ferro e magnesio.
+
SO
Ca
4
+
Cl
0
10
10
0
I dati analitici sono stati esaminati con il metodo di Piper, che utilizza gli anioni ed i
cationi organizzandoli in un diagramma multiplo, costituito da due diagrammi triangolari ed
uno romboidale: tutti i punti ricadono nel primo quadrante, tipico delle acque bicarbonatoalcalino-terrose, con un elevato contenuto di Calcio + Magnesio e bicarbonati e presenza
variabile di solfati.
M
0
0
0
g
0
10
0
10
0
0
O3
0
+
HC
Na
K+
0
0
10
10
0
0
10
0
4
M
g
SO
10
0
100
Ca
0
0
Cl
100
Diagramma di Piper
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L’omogeneità geochimica si vede anche dai diagrammi delle concentrazioni osservate
per gli ioni più comuni in funzione della quota; come si vede, vi sono una dispersione
abbastanza elevata all’origine e una certa tendenza all’arricchimento dalle acque poste alle
quote più elevate verso quelle poste più in basso, ma le variazioni non identificano
un’evoluzione spinta, a confermare la velocità di flusso ed il basso tempo di residenza
dell’acqua nel mezzo roccioso.
Mg2+ (mg/l)
60
50
40
30
20
10
0
0
500
1000
1500
2000
Quota (m slm)
Ione Magnesio in funzione della quota del punto d’acqua
La distribuzione delle variabili chimico-fisiche nel piano geografico ricalca questa
stessa evoluzione, salvo situazioni del tutto particolari; queste si vedono particolarmente
bene con l’analisi delle isoterme, che identificano alcuni punti particolari all’uscita dei
fondovalle che coincidono abbastanza bene con le maggiori anomalie in termini di nitrati.
6.3.
Il bilancio idrologico
Per concludere sulle risorse idriche in quanto tali, è stato costruito il bilancio
idrologico di prima approssimazione; in assenza di osservazioni dirette sui torrenti e sulle
sorgenti maggiori, è stato necessario ricorrere ad alcuni ipotesi per restringere il campo di
validità dei risultati. Dal punto di vista strutturale il problema non è complesso, dato che il
deflusso avviene comunque al termine dei fondovalle o attraverso le alluvioni, o attraverso il
reticolo di drenaggio; il problema maggiore, nel definire le grandezze in gioco è proprio il
deflusso superficiale per tutti i motivi già detti, quindi le perdite dagli alvei verso la falda
alluvionale e le reinfiltrazioni.
L’assenza di dati sperimentali si è fatta sentire soprattutto in questa fase ed è stato
necessario far ricorso ad altre ipotesi ancora, sempre comunque nei limiti del ragionevole e
delle esperienze documentate nella letteratura disponibile sull’argomento.
Il risultato si compendia in una disponibilità media di risorsa dell’ordine dei 50 m3/s,
15 dei quali defluiscono attraverso le alluvioni, 30 lungo gli alvei e 5 circa dalle sorgenti di
Montorio.
Per calcolare il bilancio idrologico dell’area e, su questo, impostare la stima del carico
di nitrati trasportato, sono state necessarie alcune ipotesi e alcune schematizzazioni.
Il bilancio idrologico è stato fissato sulle sezioni di chiusura delle valli montane allo
sbocco in pianura, in modo da poter calcolare le portate in uscita, con l’ipotesi che in questo
modo sia possibile calcolare sia il flusso sotterraneo vero e proprio, sia tutte le reinfiltrazioni
di acque provenienti dai bacini sotterranei di monte.
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Per quello che riguarda lo sviluppo del calcolo, in tabella è riportata, a titolo di
esempio, la schematizzazione adottata per la parte che riguarda la stima dell’infiltrazione con
un’ipotesi di pioggia minima.
Sistemi
idrogeologici
Giurassico
Cretacico
Eocene calcareo
Eocene vulcanico
Quaternario
Totali
Afflussi minimi
(mm)
1200
1200
1200
1400
1000
-
Superfici
(km2)
376
235
562
87
196
1456
Evaporazione Infiltrazione
(%)
(m3/sec)
10
13
30
6
20
17
20
3
20
5
44
Afflussi e infiltrazione (ipotesi di pioggia minima)
Lo schema generale di circolazione adottato prevede che tutta l’acqua che non esce
dal bacino sotto forma di evaporazione defluisce a valle attraverso i percorsi sotterranei e
superficiali e deve necessariamente passare o attraverso gli sbocchi di Montorio, o attraverso
le sezioni di deflusso in corrispondenza delle alluvioni, o attraverso gli alvei superficiali. Si
trascura il deflusso alla testata degli spartiacque tra una sezione e l’altra.
Stimate le grandezze principali, si è tentato di discriminare tra il deflusso sotterraneo
vero e proprio da quello superficiale applicando l’equazione di Darcy alle sezioni di deflusso
delle alluvioni di fondovalle.
La tabella riporta i risultati ottenuti in funzione delle ipotesi di afflusso massimo e
minimo utilizzate e per due ipotesi di altezza della sezione bagnata delle alluvioni; si vede
che il deflusso totale può essere stimato tra i 40 ed i 54 m3/s, con una quota pari a circa il
40-50 % a carico del deflusso sotterraneo.
Ipotesi
Afflusso
Afflusso
Afflusso
Afflusso
minimo
minimo
massimo
massimo
Deflusso
totale
(m3/s)
40
40
54
54
Dalle
alluvioni
(m3/s)
20
10
20
10
Da
Montorio
(m3/s)
5
5
5
5
Dagli
alvei
(m3/s)
15
25
29
39
Stima dei termini del deflusso
7.
I nitrati
7.1.
La diffusione di nitrati in Lessinia
Nei Lessini e nell’alta pianura veronese i nitrati sono ubiquitari con concentrazioni
minimali in alta montagna, di media entità (15-30 mg/l) nelle pendici più basse e
concentrazioni massime nei fondovalle e nella piana a nord di Verona.
Le origini sono per lo più organiche, quindi riconducibili sia a fatti naturali, sia a
scarichi fognari, sia a fonti zootecniche. Un gruppo di campioni abbastanza significativo fa
pensare anche alla presenza diffusa di concimi di sintesi, e per questo è stato necessario
integrare le analisi previste inizialmente con la determinazione dell’ ossigeno18 della
molecola dei nitrati che, più costoso come metodo, consente tuttavia maggiore capacità di
discriminazione.
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Il trend evolutivo è all’equilibrio ed è mostrato sia dai dati storici disponibili in
letteratura, sia dai risultati del monitoraggio realizzato nel corso di questo studio.
Sempre per ridurre il problema in termini quanto più possibile schematici, l’area di
studio può essere divisa in due parti:
−
l’una, che comprende la maggior parte dei Lessini e quindi le parti alte e mediane
delle vallate, mostra concentrazioni relativamente basse, generalmente inferiori ai
10-20 mg/l, quindi significative di una contaminazione diffusa, ma limitata negli
effetti;
−
l’altra che interessa una fascia estesa della pianura a nord di Verona ed alcune
località nella parte più bassa delle valli, in cui è evidente la presenza di fenomeni di
contaminazione più intensa, alcuni dei quali raggiungono i 60-80 mg/l, con
segnalazioni in letteratura fino a 100 mg/l.
In entrambi i casi, la circolazione veloce di grandi masse d’acqua consente il
rinnovamento rapido e lo smaltimento efficace di un carico anche elevato. Ne segue che in
sinistra Adige non vi sono segnali di aggravamento e che l’assetto appare abbastanza in
equilibrio.
7.2.
Il bilancio di massa dell’azoto
Per quantificare le grandezze principali è stato impostato anche il bilancio di massa
dell’azoto nelle acque superficiali e sotterranee ed il risultato mostra che si può valutare,
sempre in prima approssimazione, che il carico totale veicolato a valle è dell’ordine delle
2000 tonnellate all’anno. Di queste, circa il 65% circa può essere associato all’uso delle
deiezioni zootecniche come fertilizzante, il 20 % al carico di origine civile, il 10 a fonti di
origine artificiale e un 5 % all’attività del suolo.
In questo contesto, le sorgenti di Montorio meritano un cenno particolare, dato che
da esse transitano qualcosa come 700-800 t/anno di nitrati, che sono pari ad oltre un terzo
di tutto il carico veicolato dall’intero sistema dei Lessini; ne seguono alcune evidenti
considerazioni:
l’apparente buona qualità delle acque di Montorio è dovuta esclusivamente alla
portata elevata e quindi alla forte diluizione, dato che il carico totale trasportato (che pure è
stato stimato utilizzando ipotesi di tipo minimale) è decisamente molto elevato;
utilizzando l’azoto come tracciante, appare altrettanto evidente che Montorio deve
raccogliere acque provenienti da un bacino di alimentazione molto ampio, la cui superficie
non è certo inferiore a quella già stimata per via idrologica da Sorbini et al. (1993);
tenendo conto della particolare struttura tettonica delle valli, già più volte ricordata, e
dell’assetto delle principali cavità carsiche documentate attraverso l’archivio mantenuto dalla
Regione Veneto, è possibile concludere con una certa sicurezza che le sorgenti carsiche sono
alimentate da una combinazione delle tre direttrici tettonico/carsiche principali, che sono
quella NW-SE, quella N-S e quella NE-SW, con contributi di portata fluida difficili da
determinare tra loro, ma certamente tutti significativi.
7.3.
Le origini dei nitrati
L’altra questione fondamentale che è stata affrontata nel corso dello studio riguarda
le origini dei nitrati nelle acque sotterranee della Lessinia. Per questo motivo, il monitoraggio
ha riguardato anche la determinazione dell’azoto15, attraverso il quale è possibile, entro
certi limiti, verificare le origini delle sostanza da cui derivano i nitrati.
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I dati relativi all’azoto15 sono stati integrati con alcune determinazioni
dell’ossigeno18 della molecola dei nitrati per precisare meglio alcune situazioni di non
immediata interpretazione.
I risultati sono mostrati in cartografia e consentono di stabilire che la maggior parte
delle acque è contaminata con nitrati di origine organica, sia umana che animale, ma che
sono presenti anche alcune situazioni in cui è stata riscontrata la presenza di azoto di sintesi,
quindi presumibilmente legato all’uso di fertilizzanti artificiali. Le acque di Montorio sono
contaminate, ad esempio, proprio con nitrati di provenienza artificiale, presumibilmente i
fertilizzanti chimici; la stessa situazione è stata verificata per alcune delle sorgenti poste al
bordo dei fondovalle e per una sorgente di alta quota.
L’azoto15 è stato indagato perché ha una certa capacità di consentire l’identificazione
della provenienza dei nitrati; la discriminazione avviene in base al grado di
impoverimento/arricchimento rispetto all’azoto dell’atmosfera che, come in altri casi di
utilizzazione degli isotopi stabili, costituisce il sistema di riferimento.
L’interpretazione tuttavia non è sempre immediata, dato che i processi di
nitrificazione e denitrificazione che avvengono nel suolo tendono a sovrapporre e talvolta a
modificare le classi di discriminazione per la complessità dei fenomeni che vi hanno luogo.
Per questo motivo, anche nella letteratura specializzata non è possibile trovare uno schema
di riferimento valido in generale e si deve adattare l’esperienza al caso di studio.
Una breve sintesi delle possibilità di discriminare l’azoto15 secondo alcuni Autori è
riportata in tabella; in linea di principio, l’azoto15 tende ad allontanarsi dalla composizione
atmosferica, che è il livello di riferimento e quindi vale zero, quanto più l’origine è lontana dai
processi che consumano azoto atmosferico. Poiché i concimi agricoli prodotti per sintesi
consumano azoto atmosferico come materia prima, si assume che variazioni contenute
rispetto allo standard di riferimento siano da correlare appunto a questo tipo di sorgente,
mentre valori più alti siano da imputare invece a sorgenti di tipo organico.
Tra queste classi, in teoria, non vi è modo di disaggregare ancora, dato che le
deiezioni civili e zootecniche non hanno diversa origine o composizione; si assume invece che
se le deiezioni vengono utilizzate per la fertilizzazione, allora sono possibili fenomeni di
concentrazione dell’azoto15 a seguito del processo di volatilizzazione che avviene sul campo.
Per questo motivo, si assume che valori elevati di azoto15 siano segnale di concimi organici
deposti al suolo, quindi di origine zootecnica, dato che quelli umani non vengono mai usati a
questo scopo.
Oltre a questo schema generale, tuttavia, sono da tenere presenti anche i processi di
nitrificazione che avvengono nel sottosuolo che possono dar luogo a segnali in contraddizione
con i precedenti, tanto da far trovare talvolta anche valori negativi, quindi inferiori al
contenuto atmosferico di riferimento.
Per l’azoto organico non esiste una classificazione di tipo universale e le classi con cui
viene ripartito l’azoto15 sono caratterizzate da molta soggettività, prova ne sia la
sovrapposizione tra una classe e l’altra che inevitabilmente ne segue, come si vede dalla
tabella.
Provenienza
Fertilizzanti
Azoto organico con presenza di ammoniaca
Deiezioni in senso lato
Deiezioni volatilizzate
Minimo
-3
+3
+7
+10
Massimo
+7
+9
+20
+22
Schematizzazione delle fonti di nitrati in base all’attività di azoto15
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8.
Conclusioni: soluzioni e interventi
L’indagine ha mostrato che i Lessini hanno una capacità molto elevata di smaltire il
carico organico loro imposto da una densità produttiva ed insediativa altissima, prova ne sia
che il trend dei nitrati è orientato all’equilibrio da diversi anni. Ad una vulnerabilità di per sé
elevata, data la molto elevata permeabilità che caratterizza sia i circuiti carsici, sia i circuiti
fratturati, si associano precipitazioni molto intense che defluiscono rapidamente per via
superficiale e per via sotterranea, quindi con un effetto di diluizione, sui nitrati, altrettanto
elevato.
In definitiva, i Lessini offrono circostanze molto favorevoli agli insediamenti, dato che
tali condizioni generali evitano l’accumulo di nitrati nel suolo e nelle acque, accumulo che
renderebbe molto più problematico il bilancio globale e spingerebbe al rialzo il trend
evolutivo. Posto che l’Amministrazione deve porsi l’obbiettivo del risanamento, o al minimo
quello del raggiungimento di traguardi di qualità migliore, vi è tutto lo spazio di manovra
necessario per conseguire risultati significativi dal punto di vista del risanamento ambientale.
Trattandosi di una situazione all’equilibrio, è evidente che è possibile ottenere
risultati significativi con relativamente pochi sforzi; infatti, se nel bilancio delle masse (acqua
e nitrati) che producono le concentrazioni sopra descritte i termini restano mediamente
costanti nel tempo, vuol dire che è sufficiente diminuire anche di poco il carico organico per
innescare un trend virtuoso, dato che il rapporto tra la massa di soluto (che cala) e quella del
deflusso (tendenzialmente costante) favorisce la diminuzione progressiva delle
concentrazioni ed il lavaggio degli acquiferi.
Il risultato si ottiene con azioni finalizzate al contenimento delle fonti, tenendo conto
che si possono schematizzare come segue:
−
zootecnia: immette nitrati nel circuito idrico a causa delle perdite che avvengono
nell’ambito immediato delle aziende durante la gestione ordinaria dell’attività e che
avvengono per lo sbilancio dell’azoto nelle pratiche di spandimento agronomico.
Infatti è evidente che una certa presenza di nitrati nelle acque è legata al fatto che
non tutto il nitrato messo a campo viene consumato dalla vegetazione per la crescita
o ceduto in atmosfera per volatilizzazione;
−
scarichi civili: immettono nitrati per inefficienza o rottura degli impianti, sia collettivi
come le reti fognarie dei centri abitati, sia individuali come le vasche Imhoff dei
nuclei non serviti;
−
agricoltura: immette nitrati per eccesso del dosaggio dei concimi chimici, ma in
questa sede non è stato possibile riuscire a discriminare questa possibilità dalle altre
per tentarne una quantificazione definitiva.
Le forme di intervento devono essere precise e mirate nei casi evidenti di
concentrazioni forti e ben localizzate, mentre è necessario ricorrere piuttosto a politiche e ad
indirizzi di pianificazione nei casi in cui, tipico quello degli allevamenti, il gran numero delle
aziende e le modalità di gestione delle deiezioni non possono essere controllate e risolte caso
per caso. Le situazioni che dipendono dall’efficienza degli impianti igienici rientrano invece in
un quadro di controllo e di ammodernamento delle infrastrutture, da realizzare a scala
comunale o mediante interventi specifici nei casi puntuali che dipendono da situazioni
specifiche.
Per quello che riguarda gli allevamenti, i suggerimenti che possono orientare ad un
miglioramento significativo e ad una politica di salvaguardia più efficace possono essere:
−
la migliore applicazione delle norme che regolano l’uso agronomico delle deiezioni
animali, che può portare ad una riduzione molto significativa del carico di nitrati in
uscita, forse anche nell’ordine del 40 o 50 %;
−
la disincentivazione all’insediamento degli impianti zootecnici nelle aree di
affioramento della dolomia principale, nella presunzione che questa corrisponda ad
una zona significativa di alimentazione della parte più bassa del circuito idrico
sotterraneo. Anche se le acque di sfioro, come ad esempio quelle di Montorio, non
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mostrano concentrazioni elevate, può essere certamente opportuna qualche misura
di salvaguardia; infatti, se è vero che l’acquifero giurassico dalla linea delle sorgenti
carsiche in poi entra in pressione, il trasporto di massa viene nei fatti impedito,
dato che la maggior parte del flusso è quello che sgorga dalle sorgenti vere e
proprie. E’ tuttavia possibile per una certa quantità di nitrati il trasporto per
diffusione e dato che si tratta in questo caso di una porzione di acquifero
difficilmente rinnovabile, le precauzioni sono certamente auspicabili.
−
l’incentivazione a forme di conduzione degli allevamenti più rispettose del contesto
ambientale, ad esempio con l’istituzione di percorsi di Agenda 21 Locale da
specializzare verso obiettivi di qualità dell’acqua legati a forme di razionalizzazione
e miglioramento degli impianti;
−
la possibilità di rilasciare le autorizzazioni a nuovi insediamenti zootecnici sulla base
del conseguimento di obiettivi di qualità da raggiungere attraverso il miglioramento
della conduzione: se il monitoraggio mostra che le azioni di risanamento sono
concrete e positive, allora è possibile autorizzare nuove concessioni sulla base di
impegni rigorosi di conduzione delle aziende e dell’applicazione di tecnologie
compatibili.
Vi sono poi alcune località caratterizzate da pochi punti con concentrazioni elevate;
queste possono e devono essere verificate direttamente e nel dettaglio, caso per caso, e per
ciascuna di esse devono essere presi i provvedimenti più adatti.
Giocando sul numero ridotto delle situazioni da verificare e da risolvere, si può
considerare ragionevolmente fattibile un insieme di interventi da basare su ricognizioni di
dettaglio operativo e su soluzioni specifiche; un successo anche parziale di questa politica
può produrre effetti ampiamente positivi, dato che va comunque nella direzione della
diminuzione dell’apporto totale al sistema idrico sotterraneo.
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