telekom - dossier - Bulgaria

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NOTIZIE EST - BALCANI
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IL CASO TELEKOM SRBIJA
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Da "Notizie Est - Balcani" n. 16, 11 febbraio 1998:
L'ENEL E IL KOSOVO
L'espansione economica dell'Italia verso i Balcani meridionali viene ulteriormente messa in luce da una
notizia pubblicata dal quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" lo scorso 29 gennaio relativamente a una
conferenza stampa indetta dall'assemblea sindacale della EPS, la società statale jugoslava per l'energia
elettrica, in merito alle imminenti privatizzazioni. Il presidente dell'assemblea sindacale, Radovan Perovic,
ha affermato che sono in corso negoziati segreti per la privatizzazione del settore serbo dell'energia
elettrica, ma ci ha tenuto tuttavia a sottolineare che in virtù degli accordi firmati con il governo riguardo
alla privatizzazione "i sindacati dovranno essere informati di ogni contratto prima della firma e avranno il
tempo di reagire", aggiungendo che "in tal modo, l'EPS non verrà sicuramente venduta - il sindacato ha
già in passato, prima della vendita della 'Telecom', impedito con le proprie lotte sindacali che la EPS
venisse venduta". Il sindacalista ha continuato affermando che l'Organizzazione sindacale mondiale ha
fatto pervenire ai propri colleghi di Belgrado un elenco delle società estere che sarebbero interessate a
comprare la EPS. Di fronte alle pressanti domande dei giornalisti, Perovic ha affermato che "si tratta di
società greche, italiane, francesi e svedesi. L'italiana ENEL, in particolare è interessata agli impianti che la
EPS possiede nel Kosovo e a tale proposito va notato che di recente sono stati raggiunti accordi per un
cavo sottomarino tra la Grecia e l'Italia, attraverso il quale sarebbe possibile trasportare in Italia energia
elettrica anche dalla Serbia". Secondo Perovic, la stima del valore dell'EPS (da 18 a 20 miliardi di dollari)
ai fini della vendita è troppo bassa, perché si basa esclusivamente sui libri contabili, sui quali gravano i
recenti passivi e il debito estero, mentre andrebbe invece applicato un metodo più redditizio che tenga
conto delle reali potenzialità della società.
Le mire dell'italiana ENEL sono in conflitto con quelle dei tedeschi, che secondo Perovic, si starebbero
interessando anche loro alla EPS per il tramite della ceca Skoda, controllata dalla Volkswagen. Gli
impianti dell'EPS nel Kosovo hanno una grande importanza strategica, nel contesto balcanico, perché
producono praticamente tutta l'elettricità che viene utilizzata non solo dalla Serbia, e quindi dal Kosovo
stesso, ma anche dalla Macedonia.
In un articolo pubblicato nello stesso giorno, "Nasa Borba" riporta informazioni pubblicate dal "Financial
Times", secondo le quali il governo di Belgrado starebbe per prendere la decisione di vendere la quota di
controllo della Telecom serba ancora in suo possesso, a causa delle difficoltà finanziarie nelle quali si
trova. La Telecom serba, infatti, è a corto di fondi, tanto che ha dovuto chiedere in prestito 63 milioni di
marchi da due dei suoi azionisti, la Telecom italiana e la greca OTE, che di recente avevano acquistato il
49% delle azioni della società telefonica serba. Con questi crediti nei confronti dell'azionista serbo, i greci
e gli italiani si trovano in una posizione ideale per acquistare la quota che consegnerebbe loro il controllo
definitivo delle telecomunicazioni jugoslave.
Se questi progetti si dovessero realizzare, l'economia del Kosovo si troverebbe completamente sotto il
controllo dei capitali stranieri. Il settore energetico, del quale la EPS attualmente possiede il monopolio,
insieme a quello minerario-metallurgico, è il principale settore economico del Kosovo, e quello minerariometallurgico è incentrato sull'enorme complesso di Trepca (con tutto il suo indotto) che è stato
recentemente concesso in uso a una società greca, la quale occupa quindi una posizione privilegiata in
vista dell'imminente privatizzazione di questo complesso. Se a questo aggiungiamo un possibile controllo
italiano e/o greco della Telecom serba, che in Kosovo controlla sia le comunicazioni telefoniche che le
poste e i telegrafi, avremo una consegna pressoché completa dell'economia della regione ai capitali
occidentali e in particolar modo italiani e greci.
(fonte: "Nasa Borba")
Da "Notizie Est - Balcani" n. 32, 19 marzo 1998:
UN ASSE ROMA-BELGRADO?
di Andrea Ferrario
Il ministro degli esteri italiano Dini da un anno a questa parte non perde occasione per fornire
il proprio appoggio al governo di Belgrado, come ha fatto anche di recente, quando sapevano
ormai tutti cosa Milosevic stesse preparando per Drenica. Ma Dini non è solo: dietro a lui c'è
tutto uno stuolo di grandi aziende italiane, dalla STET all'ENEL.
******
Tra tutte le dichiarazioni rilasciate da uomini politici occidentali negli ultimi giorni in merito alla situazione
nel Kosovo spicca in particolare quella del ministro degli esteri italiano, Lamberto Dini. Nessuno come
Dini, pur nell'ambito del contorto linguaggio diplomatico, ha insistito tanto sulle responsabilità della parte
albanese per la crisi attuale e sulla necessità che essa accetti "i segnali di disponibilità del governo
serbo", pena un "rapido svanire delle simpatie internazionali". Parole abbastanza dure se si pensa ai
massacri compiuti nei giorni scorsi dalle forze speciali del ministero degli interni serbo contro la
popolazione albanese, ma che non sembrano così strane se si ripercorrono i passi della diplomazia
italiana in Serbia (e dei rapporti economici tra i due paesi).
Dini, a Belgrado, è di casa negli ultimi tempi e Italia e Serbia si sono di recente scambiate numerosi
favori. Già nel dicembre 1996 Dini aveva fornito un importante aiuto al regime di Milosevic quando, in
visita in una Belgrado nelle cui piazze ogni giorno decine di migliaia di persone protestavano accusando il
regime di brogli, aveva preso una chiara posizione dichiarando che "la richiesta dell'opposizione di
un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Il sostegno politico
dato in quell'occasione al governo serbo non ha mancato di dare ben presto i suoi frutti: nel corso
del 1997 Dini ha visitato la Serbia ben tre volte e l'Italia è riuscita a mettere le mani su una delle
più importanti operazioni di privatizzazione dei Balcani, quella della Telecom serba, acquistata nel
luglio da una cordata tra la STET italiana e la OTE greca, una vendita che ha consentito a Roma di
occupare un'importante posizione strategica nell'economia jugoslava e ha fatto allo stesso tempo affluire
nelle casse del governo di Milosevic ben 800 miliardi di lire. L'ultimo dei viaggi di Dini a Belgrado è stato
quello del 16 dicembre scorso, quando il ministro ha compiuto una visita del tutto improvvisa durante la
quale è stato a colloquio per alcune ore con il presidente jugoslavo Milosevic e il suo collega agli esteri
Milutinovic. Una visita che assume contorni più precisi se se ne esaminano alcuni particolari: il viaggio è
avvenuto poco meno di una settimana prima delle elezioni presidenziali nelle quali proprio Milutinovic era
candidato per il Partito Socialista di Milosevic e Dini, pur avendo rifiutato di rispondere alle domande dei
giornalisti, non si è risparmiato nel farsi fotografare accanto a Milosevic e a Milutinovic [come mostrano
rispettivamente le due foto in questa pagina], un atteggiamento che è stato univocamente interpretato
dalla stampa locale non legata al regime come uno spot elettorale per il candidato socialista (il cui slogan
era appunto "la Serbia e il mondo"). Ma non è tutto, la visita è venuta meno di una settimana dopo che i
rappresentanti di Belgrado, insieme a quelli di Banja Luka, avevano abbandonato la conferenza di pace a
Bonn in segno di protesta contro un inserimento del problema del Kosovo all'ordine del giorno, con la
conseguente condanna di tutti i partecipanti nei confronti dei serbi. L'improvvisa visita compiuta da Dini a
Belgrado proprio in quel momento (e senza avere preso accordi con gli altri paesi europei), così come i
toni amichevoli dei colloqui ("la collaborazione economica tra Jugoslavia e Italia è in continua crescita" e
"i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente") sono stati interpretati negli ambienti
diplomatici come una presa di distanza dalla condanna unanime da parte dell'Unione Europea nei
confronti dei serbi e un aperto sostegno al governo di Belgrado. Se si considera la visita in quest'ottica,
poi, oggi non può che venire un brivido rileggendo i giornali di dicembre in cui si dice che durante i
colloqui Dini ha auspicato, tra le altre cose, una "normalizzazione dei rapporti nel Kosovo".
In quei giorni il quotidiano di Belgrado "Nasa Borba" scriveva che "Roma ci tiene moltissimo a mostrarsi
come un fattore influente nella politica balcanica, soprattutto quando si tratta di rapporti con la
Jugoslavia". Un'affermazione che gli sviluppi diplomatici degli ultimi mesi confermano: a metà febbraio,
quando in tutti i Balcani si diceva ormai a chiare lettere che Milosevic stava organizzando per fine mese
una vasta operazione repressiva nel Kosovo [si vedano "Notizie Est #19", 19 febbraio 1998 e
praticamente tutti i giornali dell'area tra il 10 e il 20 di febbraio], Dini riceveva a Roma per due
giorni il nuovo ministro degli esteri jugoslavo Jovanovic in una delle sue prime trasferte all'estero.
"L'Italia appoggia gli sforzi del governo jugoslavo in direzione della democratizzazione del paese e
della liberalizzazione dell'economia, perché consentiranno alla Jugoslavia di reintegrarsi nelle
organizzazioni internazionali". Una liberalizzazione economica che decisamente continua a dare i
suoi frutti anche per l'Italia: alcuni giorni prima, infatti, l'Agenzia serba per le privatizzazioni aveva
ufficialmente inserito l'ENEL tra i quattro candidati esteri ufficiali all'acquisto della società di stato serba
per l'energia elettrica, la EPS, di cui è imminente la privatizzazione [si veda "Notizie Est #16, 11 febbraio
1998]. I rappresentanti dei sindacati della EPS negli stessi giorni avevano denunciato pubblicamente che
l'ENEL è interessata soprattutto a mettere le mani sulle centrali termoelettriche del Kosovo. Forse
Milosevic, quando di lì a pochi giorni andava "in direzione della democratizzazione del paese" sparando
con i cannoni su donne e bambini albanesi del Kosovo, stava tra le altre cose anche rendendo un favore a
qualcuno...
La Jugoslavia è ormai diventata una partner economico di primo piano dell'Italia. Il volume degli scambi
commerciali tra i due paesi, che vede l'Italia al secondo posto, è stato l'anno scorso di 754 milioni di
dollari, con un aumento di ben il 22% rispetto al 1996, ma secondo i dati relativi ai primi due mesi di
quest'anno l'Italia è balzata addirittura al primo posto tra i partner commerciali della Federazione. Intanto
la Telecom serba è a corto di fondi e pare che per reperire denaro sia intenzionata a vendere ulteriori
quote al partner italiano, il quale potrebbe così acquisire definitivamente una posizione di controllo nella
società. La posta in gioco in Jugoslavia, tra scambi commerciali e privatizzazioni, rimane sempre alta, così
come rimane fondamentale per la Farnesina mantenere un ruolo diplomatico di primo piano in questo
paese al centro dei Balcani. Chissà quindi che dietro lo pseudonimo di 'Serpicus', che firmava un articolo
intitolato "Perché aiutiamo la Serbia" pubblicato l'ultimo numero di una testata vicina al governo come la
rivista di geopolitica "Limes" e nel quale si formula a chiare lettere la necessità di aiutare la Serbia e di
impedirne la frammentazione, non si nasconda qualche noto alto esponente della diplomazia italiana, di
casa a Belgrado.
(fonti: "Nasa Borba", 16-17 dicembre 1997 e 16 febbraio 1998; TANJUG, 10 marzo 1998; "Limes", n. 1,
1998)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 92, 18 ottobre 1998:
DOPO L'ACCORDO MILOSEVIC-HOLBROOKE
Cominciamo questa rassegna di aggiornamenti in breve con un particolare che può sembrare folcloristico,
ma che è pur sempre un indice di quale sia il ruolo dell'Italia nella crisi del Kosovo. Tutti questi ultimi
giorni il quotidiano di Belgrado "Politika", organo del Partito Socialista di Milosevic, è uscito con una
vistosa reclame in prima pagina della Telekom serba, una società nella quale l'azienda pubblica italiana
STET, come abbiamo più volte ricordato, detiene un'importante quota. L'Italia non si limita quindi al ruolo
fondamentale svolto con il versamento, in occasione della privatizzazione della Telekom, di fondi senza i
quali difficilmente Belgrado avrebbe potuto permettersi le operazioni militari degli ultimi mesi, ma
prosegue anche ora contribuendo di fatto a finanziare la propaganda del regime (e questo mentre i
quotidiani d'opposizione vengono chiusi con leggi degne del Minculpop). Non vi è quindi da meravigliarsi
se il ministro Dini, a più riprese sponsor del regime serbo, si preoccupi sempre, oggi come all'indomani
del massacro di Drenica, di indicare negli albanesi del Kosovo il principale problema: "E' stato compiuto
un importante progresso verso la creazione di condizioni per la soluzione della situazione in Kosovo
attraverso i mezzi politici sui quali l'Italia ha insistito fin dall'inizio della crisi", ha affermato Dini in
dichiarazioni riportate ieri dal quotidiano "Blic". "Sono tuttavia di grande ostacolo le proteste e
l'insoddisfazione espressi dai rappresentanti della minoranza albanese rispetto all'accordo MilosevicHolbrooke", ha proseguito Dini, il quale ha concluso affermando che "nessun rappresentante della
comunità internazionale ha mai fatto alcuna promessa ai rappresentanti della minoranza nazionale
albanese in merito all'indipendenza della provincia meridionale della Serbia". L'impiego del termine
"minoranza nazionale albanese" e di quello "provincia meridionale della Serbia" dà una misura del
completo sostegno di Dini alle posizioni serbe sul Kosovo. [...]
Da "Notizie Est - Balcani" n. 154, 19 gennaio 1999:
L'OCCIDENTE E BELGRADO, TRA CANNONATE E MILIARDI
Mentre in Kosovo i cannoni sparano, il mondo continua a fare colossali affari con i boss del
regime di Belgrado. Dopo l'Italia con le telecomunicazioni è la volta della Francia che, con
l'aiuto di "consulenti" inglesi e statunitensi, si assicura il monopolio del cemento. Si apre
anche il capitolo delle concessioni autostradali per migliaia di miliardi, con l'Italia nuovamente
in prima fila.
LA CEMENTIFICAZIONE DEL GOVERNO SERBO
di Dimitrije Boarov
Nel bel mezzo delle festività per il Nuovo Anno, il premier serbo Mirko Marjanovic ha trovato il tempo per
ricevere Philippe Rollier, il vicepresidente dell'azienda francese Lafarge, confermando in tal modo le voci
secondo le quali il governo francese ha dato il 22 dicembre scorso il via libera alla fusione tra il
cementificio Beocin e l'importante azienda francese. Per essere precisi, la dichiarazione ufficiale dice solo
che l'azienda francese è pronta a cooperare con la Beocin e a investire nell'economia serba. Marjanovic,
da parte sua ha detto che entrambe le parti trarranno vantaggi dall'accordo e che altre aziende straniere
stanno dimostrando un interesse crescente nell'effettuare investimenti in Serbia. La dichiarazione,
naturalmente, non riflette nemmeno alla lontana i disperati tentativi dell'ultimo momento del governo
serbo di vendere i cementifici del paese con un'operazione che dovrebbe generare tra i 350 e i 750
miliardi nel giro dei prossimi anni.
Il problema è che vi è il bisogno immediato di 100 miliardi. Solo un giorno dopo l'incontro tra Marjanovic
e Rollier, il consulente finanziario dell'azienda britannica RMC Group/Readymix, Slobodan Krunic, ha
tenuto a Novi Sad una conferenza stampa per esprimere il proprio disappunto rispetto alla decisione del
governo di portare a termine un accordo con la Lafarge. Krunic ha addirittura espresso l'opinione che si
potrebbe trattare di una "falsificazione" dell'intero concorso, dovuta al fatto che la Lafarge ha promesso di
fornire al governo della Serbia un credito immediato di 95 miliardi, nonostante il divieto di effettuare
investimenti in Serbia approvato dall'UE nel maggio scorso. Dopo avere espresso la sua convinzione che
la parte francese non sia in realtà disposta a violare le sanzioni economiche adottate tra gli altri anche dai
rappresentanti francesi, Krunic ha affermato che la RMC avvierà una procedura legale e chiederà la
revisione dell'intero processo solo nel caso in cui la Lafarge dovesse mancare di mantenere la propria
promessa. La società britannica Readymix ha offerto al governo serbo un credito di 75 miliardi, con la
riserva che l'intera operazione avverrebbe solo se e quando le sanzioni imposte contro la Jugoslavia
verranno cancellate.
Sembra che sia i britannici che i francesi intendano comprare la quota del governo serbo nel cementificio
Beocin (BFC) mediante una soluzione con la quale il governo probabilmente "rimborserebbe" il credito
con le azioni che possiede nella BFC. Tra l'altro, lo stabilimento è uno dei 75 che non possono essere
privatizzati senza l'approvazione personale di Mirko Marjanovic. L'Istituto per le Scienze Sociali di
Belgrado ha calcolato il valore della BFC come pari a 153 miliardi, mentre sia la Lafarge che la Readymix
hanno promesso tra 100 e 150 miliardi per una ricapitalizzazione aggiuntiva. Sembra che le due società
estere siano pronte a un acquisto mediante "rimborso" di una quota compresa tra un terzo e un quarto di
questo appetitoso cementificio ubicato sulle rive del Danubio, il cui valore dovrebbe raddoppiare dopo la
capitalizzazione aggiuntiva. Naturalmente bisognerebbe affrontare innanzitutto tutta una serie di aspetti
poco chiari e non risolti. L'aspetto centrale è quello del controllo del prezzo del cemento sul mercato
serbo. Le autorità serbe hanno approvato un prezzo "interno" di 60 marchi alla tonnellata, mentre sui
mercati mondiali il prezzo di una tonnellata di cemento è di 110 marchi. Sarebbe quindi necessario
valutare i problemi economici che si presenteranno nell'abisso creato dalla differenza di prezzo
moltiplicata per circa 1,1 milioni di tonnellate di cemento, cioè la produzione annuale della BFC. A
differenza di altri giganti serbi, la BFC non ha importanti debiti esteri. Pertanto, rimane non chiarito
perché tra tutte le altre proprio questa doveva essere soggetta a una "capitalizzazione aggiuntiva", che è
un altro modo per dire la vendita dei suoi diritti di gestione, e non la ricerca di crediti per avviare delle
ristrutturazioni finanziarie senza l'interferenza di nessuno.
[...] Un'azienda la cui potenziale produzione annua è superiore a mille miliardi non è forse in grado di
trovare un credito a medio termine di 100 miliardi circa con un prezzo interno del cemento uguale a quelli
mondiali? Ciò avrebbe risparmiato alla BFC la vergogna di chiedere un "prestito" per il governo di
Marjanovic e di corteggiare i vari ministri del governo con o senza portafoglio, in particolare questi ultimi
[una chiara allusione al miliardario Bogoljub Karic, da sempre vicino al regime, di recente nominato
ministro senza portafoglio - a.f.]. Non è che c'è un gruppo selezionato di persone che conoscono vie
segrete per violare tutte le sanzioni che hanno afflitto la Serbia nel corso dell'ultimo decennio? Questo
gruppo di persone è forse in grado, con "società di filtraggio" all'estero (sono solo ipotesi), di ottenere
gas per la Serbia con accordi sotterranei che implicano la vendita di impianti industriali nazionali? Il
prezzo "controllato" del cemento in Serbia e i suoi effetti speculativi [...] ci portano alla conclusione che la
politica economica della Serbia sia stata privatizzata da un gruppo di singoli che possono accumulare
enormi ricchezze dopo essersi autonominati gli eroi della libertà e dell'eguaglianza.
[...] A differenza della vendita di metà della Telekom avvenuta due anni fa [la nota operazione
dell'italiana STET e della greca OTE - a.f.], un'operazione che si era svolta interamente all'interno della
cerchia più stretta di Milosevic, la vendita della BFC ha riguardato un numero molto più ampio di politici di
alto livello. Secondo varie voci, molti di essi hanno insistito per mediare in questo affare del secolo.
Alcune fonti dicono che tra le persone chiave della vendita della BFC vi siano il ministro delle
privatizzazioni Jorgovanka Tabakovic e il suo boss Vojislav Seselj, mentre altri dicono che a tenerne le fila
siano stati il vice-primo ministro Dragan Tomic e il ministro senza portafoglio Bogoljub Karic.
Con la vendita dei cementifici è cominciata anche un'aspra lotta tra le società internazionali di consulenza
che operano nel nostro paese. L'inglese "Deloitte & Touche", in questo caso consulente della "Lafarge", a
quanto si può giudicare dall'affare BFC ha conservato la forte influenza di cui gode nei circoli governativi
di Belgrado, nonostante gli imbarazzanti risultati delle perizie sul caso dell'anno, la vendita della
"Dafiment Bank", e le dimissioni del ministro Danko Djunic, che in passato era stato rappresentante in
Serbia proprio della "Deloitte & Touche". Fonti bene informate dicono che la consulente della Readymix
sia stata la società Price-Cooper. Anche la statunitense KPMG, che nell'affare ha fatto da consulente per
la BFC, sta aumentando la propria presenza nel paese, mentre nel settore del cemento ha già portato a
termine in Europa Orientale operazioni di privatizzazione di colossi come per esempio la bulgara "Devnja"
e la ceca "Hranice".
Anche i partiti politici serbi stanno cercando di ottenere la loro fetta della torta delle privatizzazioni. I
partiti al potere fanno affari in eleganti saloni, mentre i partiti di opposizione come il Partito Democratico
e la Lega dei Socialdemocratici di Vojvodina emettono dichiarazioni sulla "vendita sfacciata di tesori
nazionali". E' evidente che la vita politica della Serbia tornerà sul campo del denaro che le è proprio non
appena il conflitto in Kosovo verrà in qualche modo risolto. Non vi è dubbio che assisteremo ad altri
"thriller finanziari", probabilmente di gran lunga più interessanti di quello della BFC.
(da "Vreme", 9 gennaio 1999 - traduzione di A. Ferrario)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 205, 20 aprile 1999:
SILENZIO. PARLA LA FARNESINA. STORIA DI UN'AMICIZIA FINITA MALE
di Francesca Longo
Silenzio. Parla la Farnesina. Storia di un'amicizia finita male. Dicembre 1996, dichiarazione di Lamberto
Dini, in visita in una Belgrado 'occupata' da Zajedno e dagli studenti: 'La richiesta dell'opposizione di un
riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica'. Seguono, nel '97 tre visite di
Dini in Serbia, che 'agevolano', nel luglio dello stesso anno, la privatizzazione della Telecom serba,
acquistata da una cordata della Stet italiana e della Ote greca, per complessivi 800 miliardi di lire. Il 15
dicembre (in piena campagna elettorale per la presidenza e pochi giorni dopo l'abbandono da parte
jugoslava e serbo-bosniaca della conferenza di pace di Bonn, perchè contrari all'inserimento del 'caso
Kosovo' nei temi da trattare) Dini incontra Milosevic e Milutinovic. Scrive l'Ansa: 'Dini ha detto ai
giornalisti che da parte jugoslava si auspica un 'intervento più massiccio del settore privato italiano
industriale e bancario' in vista anche delle grandi nazionalizzazioni preannunciate dal governo. Grande
soddisfazione è stata espressa per la partecipazione dell'Eni alla realizzazione del progetto di gasdotto
che dovrà collegare quello proveniente dal Mar Nero con quello che dalla Jugoslavia porta al
Mediterraneo. Nel colloquio (...) sono stati messi a punto accordi per la promozione e la protezione degli
investimenti'. Dini sostiene che 'la collaborazione economica tra Jugoslavia e Italia è in continua crescita',
che 'i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente' e auspica 'una normalizzazione dei
rapporti nel Kosovo'. Pochi giorni prima dell'esplodere della crisi kosovara e pochi giorni dopo che l'Enel
veniva inserita nel novero dei quattro candidati ufficiali per l'acquisto della società di stato serba per
l'energia elettrica, l'Eps, il ministro degli esteri jugoslavo, Zivadin Jovanovic, ricambia la visita a Roma. 'Il
Ministro Dini ha espresso apprezzamento per l'opera di sensibilizzazione svolta dal Presidente Milosevic
sui serbo-bosniaci per la costituzione del nuovo governo di Banja Luka e ha auspicato che Belgrado
continui a svolgere un ruolo costruttivo in proposito, favorendo il regolare svolgimento delle prossime
elezioni generali in autunno. Un'azione di Belgrado in tale direzione non potrà che avere ripercussioni
positive sulla stabilità della Regione' (Ansa). Quanto al problema Kosovo, Dini auspica 'colloqui diretti tra
Belgrado e Pristina a partire dall'accordo sulle scuole sponsorizzato dalla Comunità di Sant'Egidio'. Pochi
giorni prima i sindacalisti dell'Eps avevano denunciato all'informazione jugoslava le mire dell'Enel sulle
centrali termoelettriche del Kosovo. 9 marzo '98, primo pacchetto di sanzioni:embargo alle armi e
sospensione delle interazioni finanziarie. 'Dini ha detto che l'Italia rispetterà in toto queste misure e
congelerà quindi gli investimenti diretti per le imprese pubbliche serbe in via di privatizzazione' (Ansa).
12 marzo '98: 'La pace però non dipende solo da Milosevic- sostiene Dini, riporta l'Ansa-: se da un lato
'come auspichiamo ci saranno progressi con Belgrado' dall'altro 'ci rendiamo conto che il progressivo
miglioramento della situazione dipende anche da un atteggiamento costruttivo dei kosovari, che potrebbe
veder rapidamente calare la simpatia internazionale che li circonda, se non faranno la loro parte'. 9
maggio, congelamento dei fondi esteri della federazione jugoslava. Dini, laconico: 'Abbiamo riaffermato i
principi e le misure del Gruppo di Contatto che ora sono condivise nel contesto più largo del G8'. 20
giugno '98. Ultimo appello di Dini a Belgrado 'è stata fermamente rinnovata la richiesta di ritirare le unità
speciali di sicurezza (...) Dini è intervenuto ieri su questo specifico punto con un messaggio diretto al
presidente Milosevic. La parte kosovara -si sottolinea infine da parte italiana- deve 'evitare di assumere
iniziative che possano offrire pretesti a Belgrado per nuove azioni di repressione' (Ansa).
Da "Notizie Est - Balcani" n. 332, 13 giugno 2000:
LA STRANA TEMPISTICA DEGLI INVESTIMENTI ITALIANI NEI BALCANI
di Andrea Ferrario
Sarà un caso, ma la scelta dei tempi di intervento da parte del grande capitale italiano nei Balcani sembra
ricalcare un modello ben preciso che si ripete a più riprese: laddove c'è un regime autoritario o
un'oligarchia in crisi, il più delle volte si trova anche un'azienda italiana pronta a riversare centinaia di
miliardi nelle loro casse (beninteso, facendo molta attenzione ai propri interessi). E' avvenuto così con la
privatizzazione della Telekom serba nel 1997, che ha visto l'italiana STET "finanziarie" indirettamente il
bilancio del regime di Belgrado con centinaia di miliardi nel momento in cui le casse dello stato serbo
erano vuote e gli oligarchi di Milosevic si preparavano alla resa dei conti in Kosovo. E' avvenuto così
ancora una volta nel dicembre scorso, quando la Comit ha trattato e concluso con il ministro Skegro,
uomo di Tudjman e corresponsabile con quest'ultimo della catastrofe economica del paese, un affare da
centinaia di miliardi che ha nei fatti aiutato, non i croati, ma l'oligarchia politico-finanziaria del regime, a
rendere più "indolore" il passaggio dei poteri dopo la morte di Tudjman, a scapito dei lavoratori del paese
(si vedano nell'articolo di "Nacional" i costi del risanamento delle banche di svariate volte superiori agli
introiti generati dalla loro successiva vendita) e questo al di fuori di ogni controllo democratico (l'affare è
stato concluso quando il parlamento era sciolto, in attesa delle elezioni). Il modello si replica poi in buona
parte, anche se in un contesto politico diverso, con il recente acquisto, sempre in Croazia, della Splitska
Banka da parte della UniCredito. Anche la "variante bulgara", pur nella sua diversità contestuale, rimane
analoga nella sostanza: l'offerta e il probabile accordo finale della UniCredito per l'acquisto della Bulbank
arrivano nel momento in cui il regime di Sofia è in piena crisi, travagliato da violente lotte intestine e in
preda a paranoici timori "golpisti", in un'atmosfera che ricorda quella che regnava nel regime di Tudjman
mentre andava verso la disfatta (e anche qui, come scrive il settimanale "Kapital" [n. 22, giugno 2000] in
edicola la settimana scorsa, si apre la possibilità che, grazie a una recente operazione della Bulbank
ancora statale, la Bulbank "italianizzata" riesca in futuro a mettere le mani sugli attivi della Parva Castna
Banka, la ex maggiore banca bulgara, fallita anni fa per malversazioni con esiti disastrosi per l'economia
del paese). Anche gli affari che non sono andati bene, come il contratto della Marconi con il governo
bulgaro, sono indicativi del contesto in cui si svolgono gli affari: l'accordo, siglato nell'inverno '98, è stato
disdetto nei mesi scorsi, poco dopo un avvicendamento ai vertici del ministero della difesa bulgaro in
seguito alla "purga" messa in atto dal premier Kostov e con la quale sono state emarginate importanti
lobby politico-finanziarie (a vantaggio di altre). Quello che rimane più esemplare, tuttavia, di questo
affare è il fatto che il governo bulgaro si sia impegnato a stanziare cento miliardi per la costruzione di un
sistema di telecomunicazioni militari il cui unico scopo è quello di facilitare le operazioni NATO nell'area,
mentre nel paese la disoccupazione continua a fare balzi in avanti e sono decine di migliaia i lavoratori
che non ricevono lo stipendio da mesi e, in alcuni casi, anche da anni. Anche in questo caso, il capitale
italiano è stato subito presente all'appello.
LA STET, LA SDS E I FACCENDIERI BULGARI E RUSSI
La Bulgaria è scossa da alcune settimane da un intricato scandalo, che ha portato alla luce gli stretti
legami tra finanzieri russi legati alla mafia (Michael Corny e Grigorij Lucanski) e i loro "rappresentanti"
locali (il pluriincriminato finanziere bulgaro Krasimir Stojcev, oltre all'imprenditore Vladimir Grasnov), i
cui capitali, in questi anni, si sono concentrati soprattutto sulla "Mobiltel", la società che detiene il
monopolio dei GSM in Bulgaria. Impossibile riassumere nei dettagli la dura e complessa resa dei conti tra
il premier Kostov e tali ambienti, un tempo a lui vicini e ora diventati scomodi in conseguenza delle faide
interne al partito al governo a Sofia, la SDS. L'ultimo sviluppo ha visto la moglie di Kostov dovere
ammettere che la sua fondazione "caritatevole" ha ricevuto qualche giorno prima delle elezioni del '97 un
lauto finanziamento da una società di Lucanski, che a sua volta sostiene di avere in passato finanziato il
partito a suon di miliardi, in collaborazione con Stojcev, il quale in precedenza aveva già ammesso
apertamente la cosa. Tra i fatti ritornati a galla dopo alcuni anni, ve ne è uno che riguarda direttamente
l'Italia. La "Mobiltel" è stata acquistata nell'estate del '96 da due società di Lucanski, che la hanno rilevata
da Stojcev. La società, secondo le accuse avanzate ora, era il canale attraverso il quale passavano i
"fondi neri" della SDS, che nel '96 era impegnata nella campagna presidenziale e puntava a elezioni
anticipate, poi ottenute con pressioni di ogni tipo nella primavera '97. Nel febbraio del '97 Stojcev si è
infine dimesso anche da ogni incarico nella "Mobiltel" per diventare direttamente consulente della SDS in
vista dell'imminente campagna elettorale (con la quale poi il partito ha conquistato la maggioranza
assoluta, dopo una serie di manifestazioni e assalti al parlamento sapientemente orchestrati).
Contemporaneamente al suo ritiro dagli affari, Stojcev annunciava l'imminenza della vendita della
"Mobiltel" (da alcuni mesi comunque di proprietà di una società di Lucanski) all'italiana STET, società
controllata dalla Telecom Italia e quindi indirettamente dal governo italiano. La STET avrebbe posto allora
tuttavia come condizione che alla "Mobiltel", invece di una semplice licenza, venisse assegnata dallo stato
una concessione. Il governo tecnico di transizione guidato da Sofijanski, nominato nel periodo di
interregno dopo le elezioni, però, ha respinto la richiesta nella primavera inoltrata del '97, la STET si è
quindi ritirata dall'affare e la "Mobiltel" è passata infine nelle mani di Corny, un protetto dello stesso
Lucanski e anch'egli vicino alla SDS. Secondo la ricostruzione del settimanale "Kapital", a suggerire a
Stojcev la vendita di quote di controllo alla STET sarebbe stato l'ente statale per le telecomunicazioni, il
quale poi avrebbe accettato un preventivo passaggio della "Mobiltel" in mano al faccendiere Lucanski
stante la garanzia che comunque alla fine sarebbe stata venduta alla STET. L'operazione non è andata in
porto e la STET ha rivolto i suoi interessi altrove, andando a firmare da lì a pochi mesi con i burocrati del
regime di Milosevic il noto accordo megamiliardario per l'acquisto di una quota della Telekom serba. Da
un punto di vista tecnico, riguardo alle vicende bulgare della STET in Bulgaria non c'è nulla da eccepire,
ma non si può non rimanere sconcertati dalla leggerezza con cui una società nei fatti controllata dallo
stato italiano abbia condotto per mesi trattative di acquisto con faccendieri come il bulgaro Stojcev, la
provenienza dei cui capitali non è mai stata chiara e che è stato costantemente al centro di scandali e
incriminazioni, o peggio ancora con società del russo Lucanski, condannato negli anni '80 in Lettonia a
sette anni di prigione per truffa, definito da un rapporto dei servizi segreti tedeschi "il capo della mafia
russa", indicato dall'Interpol come persona che si interessa del contrabbando di armi e il traffico di
narcotici, definito dal "Time" il più astuto e inafferrabile criminale del mondo e, infine, dichiarato persona
non grata in Canada, Gran Bretagna e negli USA. L'operazione mancata è uno dei tanti capitoli degli affari
del capitale italiano, a controllo statale o privato, in Bulgaria, ultimo dei quali è stato quello della vendita
della Bulbank all'UniCredito, che ha sollevato una marea di critiche e di accuse. Chi scrive si ricorda
ancora che nei primi mesi del '97, cioè proprio nel periodo in cui la STET puntava all'acquisto della
"Mobiltel", una delegazione italiana formata da Casini, Mastella e Gawronski si era recata a Sofia per
appoggiare le manifestazioni della SDS intenta nelle sue operazioni di conquista del potere. I tre erano
stati immortalati anche dalla televisione italiana mentre in una di queste manifestazioni, mano nella mano
con Kostov, saltavano sul palco al grido di "chi non salta un comunista è". Visto quanto emerso nel
frattempo, lasciamo giudicare al lettore cosa sia chi, invece, salta.
(da materiali pubblicati da "Sega", 8 settembre 2000 e "Kapital", 9-15 settembre 2000)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 357, 12 ottobre 2000:
[...] Oggi sono in visita ufficiale a Belgrado il primo ministro italiano Giuliano Amato e il ministro degli
esteri Lamberto Dini. Quest'ultimo, poco prima di partire, si è preoccupato di dichiarare all'ANSA che
"nonostante i forti aiuti dell'UE per la ricostruzione, tutti i leader albanesi continuano a invocare
l'indipendenza del Kosovo, che non è prevista dalla risoluzione 1244 dell'ONU". Chissà se Dini incontrerà
il presidente serbo Milutinovic, uno dei suoi più importanti riferimenti in Serbia fin dall'affare Telekom e
nel corso delle presidenziali serbe del '97. E a proposito di Telekom serba, proprio nei giorni della visita di
Dini i sindacati indipendenti del settore poste e telecomunicazioni hanno chiesto le dimissioni del direttore
generale delle poste e telegrafi (PTT), Aleksa Jokic, nonché di tutti gli altri alti dirigenti. Sono state
chieste espressamente anche le dimissioni del direttore della Telekom serba (che dipende dalle PTT
serbe, ma è a larga partecipazione italiana), Milos Nesovic, nonché dell'intero consiglio di
amministrazione dell'azienda. Il sindacato accusa la direzione delle PTT di essere stata un canale per il
lavaggio di denaro sporco e per la diversione di fondi verso le forze politiche che sostenevano Milosevic.
L'accusa di avere trasferito fondi al SPS viene fatta anche al direttore generale della Telekom. Il sindacato
chiede inoltre che le PTT e la Telekom presentino immediatamente un bilancio delle loro condizioni
economiche attuali e che vengano reintegrati i lavoratori scacciati, trasferiti o licenziati dalle due aziende
per le loro attività sindacali, dando un ultimatum per il 16 ottobre.
(fonte: "Danas" del 12 ottobre 2000)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 364, 7 novembre 2000:
SCHELETRI NELL'ARMADIO E CADAVERI "PULITI"
I LAVORATORI DELLA TELEKOM IN SCIOPERO: VOGLIAMO VEDERE IL CONTRATTO DI VENDITA
A STET E OTE
di O.R. - ("Danas", 7 novembre 2000)
Belgrado - "Non siamo entrati in sciopero per interrompere il sistema delle telecomunicazioni. In
conformità al contratto collettivo rispetteremo il livello minimo di lavoro, ma se saremo costretti a
interrompere completamente le attività, il pubblico ne verrà informato in tempo", è stato dichiarato ieri in
una conferenza stampa comune del sindacato indipendente dei lavoratori delle Poste e Telecomunicazioni
(PPT) della Serbia "Nezavisnost" e del Sindacato della Telekom Srbija. Leonard Bobisud, presidente del
sindacato indipendente dei lavoratori delle PPT "Nezavisnost" ha comunicato ai giornalisti che, vista
l'identicità delle rispettive richieste, i due sindacati coordineranno le loro azioni. "Nella seduta congiunta
di ieri abbiamo formato un comitato di coordinazione formato da otto membri che lavoreranno
attivamente affinché vengano accettate le richieste che i direttori generali delle PTT e della Telekom,
Aleksa Jokic e Milos Nesovic, nonché i membri dei Consigli di Amministrazione di tali due imprese,
vengano immediatamente rimossi dal loro incarico e che all'opinione pubblica e ai dipendenti venga reso
accessibile il contratto di vendita della Telekom [si fa riferimento alle quote vendute alla STET e alla OTE
nel 1997 - N.d.T.]", ha detto Bobisud. Egli ha affermato che al governo della Serbia è stato dato un
termine di quarantotto ore per soddisfare le richieste degli scioperanti. Dopo lo scadere del termine, è
stato detto, "verrà effettuato un blocco delle direzioni di PPT e Telekom e forse dello stesso governo".
Secondo le sue parole, i sindacati intraprenderanno "ogni msura legittima affinché dall'azienda vengano
allontanate tutte le persone che la hanno portata alla rovina". "Se il governo non rimuoverà dal loro
incarico le dirigenze, le costringeremo noi a firmare le dimissioni", ha concluso Bobisud. Secondo le
parole di Zoran Mrvaljevic, presidente del Sindacato della Telekom Srbija, stanno scioperando circa
tremila lavoratori. "Terremo duro sulle nostre richieste", ha affermato. Egli ha ricordato che lo sciopero
dei lavoratori della Telekom è stato rimandato dopo le promesse del Governo di rimuovere dalle loro
funzioni nel più breve tempo i dirigenti dell'azienda. Mrvaljevic ha fatto riferimento al contratto di vendita
della Telekom, affermando che "ai cittadini deve essere reso conto di tale operazione. Sono stati promessi
grandi stipendi ai lavoratori, ma tutto si è trasformato in un'operazione mafiosa", ha detto.
Da "Notizie Est - Balcani" n. 366, 11 novembre 2000:
TELEKOM: LA GALLINA DALLE UOVA D'ORO IN UN CORTILE STRANIERO
di Jelica Putnikovic - ("Reporter", 8 novembre 2000)
[Segue più sotto una "infornata" di notizie in breve sull'affare Telekom Srbija e, con l'occasione, sui
rapporti Vaticano-Mira Markovic]
Oltre che sulla vendita della Telekom Srbija [all'italiana STET, controllata dalla Telecom Italia, e alla greca
OTE], i cui dettagli rimangono ancora oggi ignoti, vi sono dubbi anche sui profitti della società mista così
formata (conseguiti effettivamente o fittiziamente), che un piccolo numero di eletti si è accaparrato per
sé, lasciando, eventualmente, le briciole a un altro gruppo ristretto di privilegiati. Per cominciare dalla
fine, in questi giorni si è fatta molto attuale la domanda del perché la Telekom ha ceduto i redditi
generati dagli apparecchi automatici. Per quale importo e a chi? Marija Dancetovic, una dei leader
sindacali della Telekom, ha affermato in una conversazione con "Reporter" che il Sindacato di tale azienda
non dispone di alcun dato nero su bianco, ma che è un "segreto noto a tutti" che l'85% dei redditi di
determinati apparecchi automatici (quelli più redditizi) vanno agli "acquirenti nascosti" e solo il 15 per
cento rimane alla Telekom. Come "acquirenti" segreti vengono menzionati le società sportive Partizan e
Crvena Zvezda (Stella Rossa), divenute tali grazie all'intermediazione della società privata di Milorad
Jaksic, che è stato privato della sua poltrona di direttore in maniera estremamente affascinante un giorno
prima della vendita della Telekom.
LE CONCESSIONI
L'impresa pubblica PTT Srbija (Poste e Telegrafi della Serbia) ha il diritto di assegnare concessioni sulla
Telekom e Aleska Jokic, della JUL, lo ha fatto nella sua veste di direttore generale. L'ex direttore generale
delle PTT Srbija Milorad Jaksic, che è stato rimosso dal suo incarico, sembra tuttavia essere rimasto in
gioco. "Alla Telekom ogni cosa è un 'segreto d'affari', perfino quanti soldi arrivano effettivamente sul
nostro conto corrente" afferma Marija Dancetovic. Il Sindacato Telekom, da parte sua, è stato formato il
9 luglio 1997, alcuni giorni dopo che è stato venduto il 49% delle azioni della telefonia delle PTT Srbija.
Oltre a esso, nelle PTT Srbija esistono altre due organizzazioni sindacali. Critica nei confronti dei suoi
colleghi del sindacato "Nezavisnost" i quali boriosamente e con arroganza hanno fatto irruzione
nell'edificio delle poste nella Takovska ulica, Marija Dancetovic non risparmia le critiche nemmeno nei
confronti dei colleghi del terzo sindacato, quello statale (SSS), e afferma che i suoi leader sono stati
comprati affinché non facessero problemi. Come esempio, l'interlocutrice di "Reporter" racconta che
Srdjan Golubovic, ex presidente del Sindacato PTT, ha ottenuto dall'azienda un appartamento a Belgrado
nella Ulica internacionalnih brigada (sotto la Biblioteca Nazionale) numero 20, di 200 metri quadri.
Questo sindacalista di Leskovac recentemente ha dato le dimissioni e ha ottenuto un posto di lavoro alla
Takovska 2 (la Direzione Centrale delle Poste). "Anche prima della vendita della Telekom avevamo
avvertito che, con l'entrata del capitale estero sarebbero venuti anche dei datori di lavoro esteri. I
lavoratori della Telekom non hanno i medesimi interessi dei lavoratori delle PTT Srbija. Per nostra
sfortuna, al tempo della vendita della Telekom ministro del lavoro, della casa e delle questioni sociali era
appena diventato Tomic Milenkovic, che dopo essere stato presidente dei sindacati statali SSS, e prima di
diventare ministro, ha lavorato alle PTT, nella Unità di lavoro di Pancevo. La nostra rivolta non è servita a
nulla. Abbiamo cercato, per mezzo dell'assemblea del Sindacato PTT, di fare capire ai funzionari sindacali
delle PTT che saremmo stati venduti e non avremmo ottenuto nulla in cambio. Solo i dipendenti delle PTT
non hanno potuto ottenere il diritto alle azioni dell'azienda nella quale lavorano, perché la Telekom è
stata venduta prima della Legge sulla trasformazione delle imprese (che dà ai dipendenti il diritto di
ottenere una quota del patrimonio dell'azienda). Ci hanno venduti dopo avere apportato modifiche e
aggiune alla Legge sui sistemi di comunicazione e alla Legge sulle concessioni. Hanno trovato un modo di
scorporare la Telekom dalle PTT e di venderci. E le telecomunicazioni sono una 'gallina d'oro' che produce
'uova d'oro'. E' una cosa nota in tutto il mondo. Ci ha venduti Milan Beko [fino al settembre scorso,
direttore generale della Zastava, azienda a partecipazione dell'italiana IVECO - N.d.T.]. Ha fatto tutto
quando era ministro delle privatizzazioni. I contratti di vendita e quelli azionari non li ha mai visti
nessuno. Il loro contenuto è noto solo a Beko e, probabilmente, a Slobodan Milosevic", afferma questa
lavoratrice del Servizio 988, ricordando che Milorad Jaksic "un giovedì prometteva ai lavoratori che
sarebbero stati protetti e che avrebbero avuto delle buone condizioni" e il giovedì successivo veniva
sostituito.
I MILIARDI
Il motivo di questa sostituzione, sempre secondo le voci che corrono, è che tale dirigente delle PTT,
comunque capace, stava cercando di concludere un affare con la svedese "Ericsson" e la tedesca
"Siemens" alle spalle di Beko. Così, a quanto sembra, ha cominciato a dare fastidio a persone con una
posizione politica molto forte che volevano una fetta della torta per sé, e quindi è stato sostituito. L'affare
sulla condivisione dei profitti dagli apparecchi automatici gli è stato quindi concesso come premio di
consolazione. Dopo avere dichiarato che con la privatizzazione delle PTT, dopo la scorporazione delle
poste dalle telecomunicazioni, ci si sarebbe potuti attendere l'afflusso di qualche miliardo di dollari,
Milorad Jaksic è stato rimosso dal proprio incarico dal governo della Serbia, mentre si trovava in viaggio
d'affari, il 28 gennaio 1997. Il suo successore Aleksa Jokic non si è opposto quando la Telekom, invece
che per alcuni miliardi di dollari, è stata venduta per 1,568 miliardi di DEM. Va osservato che il valore di
acquisto delle PTT era stato valutato da "Nat West Markets", consulente di queste ultime, come compreso
tra 2,9 e 3,2 miliardi di DEM, mentre il consulente del partner straniero, la società svizzera UBC, aveva
affermato che le PTT valgono 3,3 miliardi. Puntando il dito contro la cattiva gestione dell'azienda, i
sindacalisti affermano che nel parco macchine del direttore generale della Telekom, Milos Nesovic, c'è una
vettura di marca Audi del valore di 300.000 DEM. Alla giustificazione di Nesovic che questa automobile di
lusso, così come altre, non è di proprietà della Telekom, bensì delle PTT Srbija, e che la prendono in
affitto dalle PTT per aiutare la società madre, Marija Dancetovic afferma: "Sarà anche delle PTT Srbija.
Ma le PTT non hanno così tanti soldi come la Telekom. Nelle PTT le spese sono pari all'80% dei redditi
complessivi, e quindi difficilmente con il rimanente 20 per cento possono comprarsi i modelli più recenti,
blindati e con i vetri neri. Sono soldi presi da quel 51% della Telekom di proprietà della holding.
L'azionista greco si prende la sua quota, quello italiano la sua e noi ci dividiamo il rimanente bottino. E
nonostante tutto questo, i lavoratori nel 1997, al momento della vendita della Telekom, avevano uno
stipendio di 400 DEM, mentre adesso ne prendono solo 150, in media. Anche se in occasione della
vendita della Telekom è stata inserita una clausola secondo cui per i cinque anni successivi alla
conclusione dell'affare, i dettagli del contratto non possono essere resi accessibili al pubblico, il sindacato
chiede: 'Fate vedere il contratto, affinché possiamo sapere cosa ci aspetta'.
RIQUADRO: COMMERCIO CON PICCOLI E GRANDI MEZZI
[Riporto per completezza anche il seguente riquadro redazionale di "Reporter", che accompagna l'articolo
di Jelica Putnikovic, segnalando tuttavia subito che i dubbi sulla vera identità degli acquirenti della
Telekom Srbija sono del tutto infondati, come spiegato nei particolari nella mia successiva nota - A.
Ferrario]
La domanda a chi e a quali condizioni è stata venduta la Telekom è stata avanzata in questi giorni dal
Fondo per lo sviluppo della democrazia. E' stato segnalato che esistono dubbi su chi siano i proprietari
effettivi, perché: all'opinione pubblica (con un annuncio dato su "Politika" l'8 giugno dal consulente delle
PTT, la società Net West Markets) è stato comunicato che il 20 per cento era stato acquistato dalla greca
OTE e il 29 per cento dalla Telecom Italia S.p.A., mentre presso il Tribunale commerciale di Belgrado e
nella Gazzetta ufficiale della Federazione jugoslava, accanto alla società greca OTE, quale acquirente di
una quota della Telekom Srbija viene citata la società olandese Stet International Netherlands N.V. Quindi
la società italiana non viene nemmeno nominata e il Fondo per lo sviluppo della democrazia afferma che,
secondo dati non ufficiali, non vi sono assolutamente rapporti tra la società olandese e quella italiana
(con l'eccezione del fatto che negli organi dirigenziali della società di Amsterdam figurano anche degli
italiani). E' interessante notare che, comunque, non sono noti gli azionisti di tale società olandese e
quindi non si sa se tra di essi vi sono jugoslavi. Se il vero acquirente del 29 per cento della Telekom è
una società olandese o italiana lo confermerà, tra gli altri, il nuovo governo della Serbia. Se i dubbi sugli
azionisti effettivi, nonché sulle malversazioni e sulle provvigioni, verranno confermati, dovranno
occuparsene i giudici. L'avvocato Milenko Radic, del Fondo per lo sviluppo della democrazia, sospetta
anche dell'accordo stipulato con l'assistenza di Douglas Herd (che il 24 luglio si era incontrato con
Slobodan Milosevic e Ljubisa Ristic proprio per la vendita della Telekom) e della Net West Markets da egli
rappresentata, perché il prezzo reale era almeno tre volte maggiore di quello realizzato. Ricordando lo
scenario in cui è avvenuta la vendita della Telekom, Radic afferma che cinque giorni prima della vendita il
governo della Serbia aveva approvato un Decreto per l'impiego e lo sfruttamento dei fondi provenienti
dalla vendita del capitale di imprese pubbliche, e che lo stesso giorno aveva dato il proprio accordo al
programma del Fondo per lo sviluppo della Serbia, nel quale tale denaro è andato ad affluire. Inoltre, nel
Consiglio di amministrazione del Fondo per lo sviluppo della Serbia il governo aveva praticamente
nominato se stesso (il presidente del Consiglio di ammiknistrazione del fondo era il premier Mirko
Marjanovic, e i membri erano Dragan Tomic, Dusan Matkovic, Borka Vucic...). Il 9 giugno è stato firmato
il contratto e la Telekom è diventata una società per azioni con una partecipazione estera del 49%. E'
interessante notare, tuttavia, che gli azionisti di minoranza hanno nei fatti il potere reale nella Telekom,
perché su cinque membri del Consiglio Esecutivo dell'azienda tre sono stranieri e, secondo fonti non
ufficiali, nella stessa azienda gode di maggiori poteri del direttore Nesovic il suo collega straniero, che
ricopre l'incarico di vice-direttore generale.
NOTA: I dubbi espressi dall'avvocato Milenko Radic del Fondo per lo sviluppo della democrazia in merito
alla Stet International Netherlands sono del tutto infondati, come risulta anche solo da una rapida verifica
su Internet. La Stet International Netherlands N.V infatti è una società interamente controllata dalla
Telecom Italia S.p.A. e la cui funzione è quella di effettuare le acquisizioni estere della casa madre nel
settore della telefonia fissa. La Stet International ha infatti acquistato quote di operatori telefonici in
Spagna, Brasile, Argentina, Cile, Bolivia e Cuba, come riportato nei particolari da svariate fonti
specializzate, e compare regolarmente nei bilanci delle società del gruppo Telecom Italia. Anche
nell'ultimo numero del settimanale serbo "NIN" (9 novembre 2000) si avanzano dubbi infondati sui legati
tra la Stet International Netherlands e la Telecom Italia. Nel relativo lungo articolo vengono tuttavia
citate altre informazioni interessanti, sempre da leggere con la dovuta prudenza. Secondo il settimanale
sarebbe stato Ivan Curkovic, noto ex calciatore serbo e attuale presidente del Partizan di Belgrado (del
Partizan parla anche l'articolo di "Reporter" più sopra), nonché amico dell'ex premier federale Marjanovic
(si veda sempre l'articolo di "Reporter"), ad aprire canali di contatto tra le autorità serbe e la Telecom
Italia. In quegli anni Curkovic aveva numerosi contatti con importanti banche di tutto il mondo, poiché si
occupava della compravendita di giocatori jugoslavi e dell'organizzazione delle partite all'estero delle
squadre serbe. Il tutto, secondo quanto scrive "NIN", avveniva per il tramite di una società svizzera, la
Radiotele, che allo scopo ha fondato in quegli anni una omonim consociata in Olanda, con filiale in Italia.
Da qui probabilmente vengono i sospetti dei due settimanali serbi, visto tra l'altro che, causa l'embargo, il
settore degli affari calcistici per centinaia di miliardi sembra essere stato uno dei canali per la diversione
di fondi. L'altro particolare interessante rilevato da "NIN" è che nel consiglio di amministrazione del
Partizan Belgrado ai tempi dell'affare Telekom sedevano il ministro delle telecomunicazioni della Serbia,
Dojcilo Radojevic, e il già menzionato direttore della società telefonica Mobtel, Aleksa Jokic, oggi direttore
delle PTT.
Un articolo pubblicato dalla newsletter di settore "Telecommunications Online" nel luglio 1997 riguardo
alla vendita della Telekom Srbija conferma invece quanto scrive "Reporter" in merito all'alto grado di
controllo effettivo che la Stet (cioè Telecom Italia) ha della gestione degli affari correnti della società
serba, pur essendo azionista di minoranza: "Il governo serbo passerà [ai partner stranieri] la gestione
quotidiana della Telecom Serbia, ma tratterà per sé una 'golden share' che gli darà il diritto di veto sulle
decisioni importanti. Stet ha affermato che deterrà quella che viene definita una 'sub-golden share', che
le consentirà di avere il voto decisivo nel consiglio di amministrazione". Riguardo alla società di
consulenza Net West Marktes le informazioni reperibili in Internet e negli archivi della stampa sono
risultate, finora, molto scarne: la società era stata scelta nell'ottobre del '97, alcuni mesi dopo l'affare
Telekom, come uno dei consulenti del governo macedone per la vendita della Telekom Makedonija (la
società non è ancora stata venduta, anche se è oggetto di interesse da parte della greca OTE e della
francese Alcatel). Il 9 marzo 1998 il quotidiano serbo "Nasa Borba" registrava una dichiarazione del
direttore della Net West, John Crowley, secondo cui "con il contratto con la STET e la OTE è stato dato un
segno di sicurezza e il paese si è confermato come un luogo in cui gli investitori esteri possono operare".
Le voci corse sull'affare Telekom sono state davvero molte. Ne riprendiamo qui per la cronaca altre due
che riguardano direttamente l'Italia. In un articolo del settimanale montenegrino "Monitor" pubblicato il 4
febbraio 2000 e riguardante la revoca dal proprio incarico dell'ex ambasciatore jugoslavo in Italia Miodrag
Lekic, si scrive che quest'ultimo era stato tenuto dalle autorità di Belgrado all'oscuro di tutti i più
importanti rapporti tra Italia e Jugoslavia e tra le altre cose si cita a proposito "l'incontro segreto tra il
presidente serbo Milutinovic e [il ministro degli esteri italiano] Dini (probabilmente in relazione al
contratto di compravendita della Telekom Srbija) avvenuto in un appartamento privato di Roma", senza
aggiungere ulteriori particolari. Il quotidiano "Danas" (7 aprile 2000) e il settimanale "Reporter (19 aprile
2000) hanno aperto un altro "fronte diplomatico", scrivendo che l'ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano,
Dojcilo Maslovaric, membro della JUL (come il direttore delle PPT, Jokic) e particolarmente vicino alla
moglie di Milosevic, Mira Markovic, aveva guadagnato tra 2 e 5 milioni di marchi tedeschi come
provvigioni per il suo ruolo chiave nell'affare Telekom. Maslovaric aveva buoni contatti anche con don
Vincenzo Paglia, della comunità di Sant'Egidio e, secondo quanto scrive Pregrad Simic in "NIN" del 18
maggio 2000, l'iniziativa delle trattative tra Rugova e Milosevic per l'accordo sull'educazione, poi firmato
nel settembre 1996 e mai applicato, sono partite dai due. Nello stesso periodo don Paglia premeva sul
Vaticano affinché il Papa si recasse in visita in Serbia, un progetto, secondo Simic, fortemente caldeggiato
da Mira Markovic. Ci permettiamo a proposito un'ulteriore digressione, rilevando due fatti che sono un
chiaro segno delle buone relazioni tra Vaticano e la signora Markovic. Durante i bombardamenti NATO del
1999, RAI 1 aveva trasmesso una puntata della trasmissione "Porta a porta", condotta da Bruno Vespa,
giornalista che notoriamente intrattiene ottimi rapporti con le gerarchie vaticane, durante la quale è stata
intervistata in diretta Mira Markovic, mentre in studio c'era una profuga albanese del Kosovo che non
aveva più notizie dei suoi famigliari. Grazie all'abile opera di Vespa in studio, alla Markovic è stata data
l'occasione di mostrarsi "umana" raccomandando alla profuga di andare a chiedere notizie dei suoi cari
alla... ambasciata jugoslava a Roma! (E' stata certamente una delle trasmissioni televisive più ciniche del
periodo dei bombardamenti). La Markovic inoltre, è stata intervistata con grande risalto nell'ottobre del
1999 dal settimanale cattolico "Famiglia Cristiana". Imboccata ad arte dall'intervistatore, la Markovic ha
affermato che la delegazione jugoslava a Rambouillet non aveva firmato il relativo trattato a causa del
noto "Allegato B" - per la cronaca, si è trattata della prima affermazione in tal senso da parte di un
personaggio ufficiale jugoslavo, visto che nessun rappresentante jugoslavo si era mai lamentato di tale
Allegato, né a Rambouillet, né nei sei mesi successivi.
Tra le altre notizie trovate negli archivi sull'affare Telekom Srbija va citato ancora un articolo di "Nasa
Borba" (28 gennaio 1998) in cui, riprendendo materiali pubblicati dal "Financial Times", si scrive che
l'azienda serba avrebbe presto venduto un ulteriore 20% delle azioni ai partner stranieri, per un totale di
500 milioni di dollari, e che nei mesi precedenti la Telekom Srbija aveva ottenuto crediti a breve termine
dalla Stet e dalla OTE per 63 milioni di marchi.
(a cura di Andrea Ferrario)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 369, 18 novembre 2000:
AFFARI, BANCHE & CONDONI
[Seguono, nell'ordine, brani di un'intervista concessa a "NIN" da Maslovaric, ex ambasciatore jugoslavo in
Vaticano, sull'affare Telekom Srbija; un breve pezzo sulla ristrutturazione "balcanica" dell'italiana
Mediobanca; un commento di "Danas" sulla recente amnistia dell'UE agli uomini del regime di Milosevic,
con un elenco dei nomi più noti cancellati dall'elenco delle persone bandite dall'Unione]
CHI SI RIVEDE, DOJCILO MASLOVARIC
Il settimanale di Belgrado "NIN" ha pubblicato nel suo numero del 16 novembre un'intervista a Dojcilo
Maslovaric, l'ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano al quale avevamo accennato nella serie di materiali
riguardanti l'affare Telekom Srbija pubblicati in "Notizie Est" #366 dell'11 novembre scorso. Riportiamo
più sotto i passi maggiormente interessanti di tale intervista (Maslovaric è stato contattato da "NIN" a
Roma, dove ancora si trova).
[...]
NIN: Si dice che lei sia stata una delle persone chiave che hanno mediato per la firma del contratto
relativo alla vendita della Telekom.
MASLOVARIC: Sono scemenze, idiozie, "tesi cospirative". Visto che mi trovavo in Italia da quattro anni,
visto che conosco molte persone, avevo il fortissimo desiderio di aiutare ad arrivare alla conclusione di
tale affare. Ho portato il presidente del Banco di Roma a Belgrado già il 13 giugno 1996, all'incirca
quando sono venuto qui a Roma. Successivamente con il Banco di Roma ha lavorato Borka Vucic
[direttrice generale della Beogradska Banka e comunemente definita la "banchiera privata di Milosevic" N.d.T.]. E così si è arrivati alla Telekom. Io ero il tramite, mi contattavano per la mia conoscenza con il
presidente. Ero io il contatto per fissare un incontro.
NIN: Si ritiene che una persona coinvolta in tutto questo ne tragga dei vantaggi materiali, delle
provvigioni, una percentuale?
MASLOVARIC: Sì, ma come può ottenerne un ambasciatore? Penso che assolutamente non possa. A tutto
ciò hanno lavorato persone del governo, persone delle Poste e della Telekom, da questa e dall'altra parte.
Su queste cose vi può raccontare tutto Milan Beko, che vi ha partecipato direttamente, che è stato
nominato dal presidente del governo e da quelli delle Poste che allora hanno lavorato. Naturalmente, è
stato necessario allora sostituire alcune persone delle Poste. A quei tempi è stato sostituito Jaksic. Eh, si
tratta di businessmen che possono trarre vantaggi, guadagnare.
NIN: E' vero che l'affare ha avuto un valore di un miliardo e cento milioni di lire [si tratta della cifra
ufficialmente comunicata - N.d.T.]?
MASLOVARIC: Milan Beko ha tutti i relativi dati precisi. Oltre agli italiani, vi hanno preso parte anche i
greci. E la cifra precisa è superiore a un miliardo e mezzo di marchi, vicina a un miliardo di dollari. Si
tratta di una cifra molto alta rispetto al caso della Romania. Qui, nei giornali, gli italiani sono stati criticati
per avere pagato troppo da noi. E Milan Beko ha detto che Nikola Sainovic e Jaksic volevano vendere per
venti anni a fronte di una cifra minore, e lui è riuscito ad accordarsi per otto anni e per più soldi.
NIN: Come è stato speso quel denaro? Per le pensioni prima delle elezioni del 1997?
MASLOVARIC: Ero presente quando il presidente Milosevic ha detto apertamente a Marjanovic [l'allora
premier] e a tutti gli alti funzionari: "E' una buona iniezione per la nostra economia, risponderete
personalmente di fronte a me se quei soldi non verranno diretti come è necessario e dove è necessario".
"E come no, presidente", gli hanno risposto. E sapete dove sono andati a finire? Piccole somme sono
andate per le pensioni, mentre quelle grandi sono state spese nelle grandi imprese, nelle imprese "di
successo".
[...]
[Tra gli altri particolari interessanti cui Maslovaric accenna nelle parti qui non riportate, vanno segnalate
le sue affermazioni secondo cui uno dei motivi per cui egli non ha fatto ritorno in Serbia dopo la sua
revoca nel febbraio scorso sono state le minacce provenienti da Marko Milosevic, figlio del più noto
Slobodan, il quale sarebbe tra l'altro stato due volte a Roma alla fine del 1996. Maslovaric si lamenta
anche della non professionalità di molti diplomatici jugoslavi, citando in particolare il caso del console a
Milano, che era stato in precedenza direttore della "Zastava". Si conferma inoltre il particolare favore di
cui Maslovaric godeva in Vaticano, visto che l'ex ambasciatore afferma di essere stato insignito, dopo soli
due anni e due mesi che era a Roma, dell'ordine "Pio IX" conferito dal Papa, secondo Maslovaric un fatto
senza precedenti per un ambasciatore. "NIN" riporta anche un breve profilo biografico di Maslovaric: è
nato a Istok, in Kosovo, nel 1953, ha studiato legge a Belgrado e dal 1976 lavora al ministero degli
esteri. E' stato console a Roma dal 1986 al 1990, vicesegretario nel governo di Milan Panic, segretario
agli esteri della Serbia dal 1994, ed è infine diventato ambasciatore in Vaticano nel 1996, fino alla sua
rimozione nel febbraio 2000]
MEDIOBANCA O MEDIOBALCANICA?
di Andrea Ferrario
In Italia i Balcani sono purtroppo diventati nel senso comune, grazie anche all'opera dei media, sinonimo
di loschi traffici, regimi autoritari e, soprattutto, immigrazione criminale. Nelle sfere della grande finanza,
tuttavia, il termine ha un'accezione molto meno sgradevole, come è facilmente comprensibile a chi segua
i grandi affari che il capitale italiano ha realizzato nei Balcani. Lo dimostra tra le altre cose la recente
ristrutturazione dei vertici di Mediobanca, la grande banca d'affari che è sempre stata il salotto buono in
cui si riunisce la "crème" del capitale italiano. Il 28 ottobre (ironicamente, l'anniversario della marcia su
Roma di Mussolini, un altro "appassionato" di Balcani) nel consiglio di amministrazione di Mediobanca
sono entrati a fare parte rappresentanti di Banca di Roma (Giorgio Brambilla) e di UniCredito (Paolo
Biasi). Le due banche avranno fra breve loro uomini anche ai posti dei due vicepresidenti di Mediobanca.
E' stato rinviato solo di poco l'ingresso di Roberto Colaninno, numero uno di Telecom Italia. Dei vertici di
Mediobanca fa tradizionalmente parte anche la Fiat, mentre il 28 ottobre ha visto l'uscita della Comit.
Tutte queste banche e aziende hanno svolto un grande (e chiaccherato) ruolo nei Balcani: la Banca di
Roma ha grossi interessi in Albania e, secondo quanto racconta qui sopra Maslovaric, avrebbe avuto un
ruolo nel mega-affare Telekom Srbija, tramite i suoi contatti con Borka Vucic, importante esponente di
regime; la UniCredito ha realizzato affari megamiliardari, oggetto di una valanga di accuse da parte dei
media locali, in Croazia e in Bulgaria (Splitska Banka e Bulbank rispettivamente); il Gruppo Fiat ha da
anni interessi nella jugoslava Zastava, fino a poco tempo fa una delle roccaforti dei socialisti di Milosevic;
la Telecom Italia è nota a tutti per l'acquisto della Telekom Srbija nel 1997, affare tornato alla ribalta
sulla stampa serba nelle ultime settimane. La Comit da parte sua abbandona Mediobanca, ma ne faceva
parte nel momento in cui, l'anno scorso, trattava e realizzava con gli uomini del regime di Tudjman
l'affare per l'acquisto della Privredna Banka. Insomma, Mediobanca balcanizzata, ma con stile e,
soprattutto, con profitto.
(i dati sui cambiamenti ai vertici di Mediobanca sono tratti da "Corriere della Sera" e "Repubblica" del 29
ottobre 2000)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 381, 24 dicembre 2000:
LINEE BOLLENTI
di Nikola Vrzic - ("NIN", 21 dicembre 2000)
[Nota: La stampa serba continua a seguire con attenzione gli sviluppi relativi alla vendita di quote della
Telekom Srbija a italiani e greci, a differenza di quella italiana che sull'argomento, a quanto ci risulta,
tace completamente]
L'ex presidente ha guardato negli occhi Miodrag Miki Vujovic, nel corso di un'intervista per la TV Palma,
ha pensato all'intero popolo e lo ha messo in guardia: il nuovo governo svenderà agli stranieri tutte le
imprese serbe strategiche a prezzo derisorio, a differenza di quello precedente, cioè il suo governo, quello
del popolo. Nella discussione sulle vendite e le svendite, tuttavia, dopo l'ex presidente ha preso la parola
anche un potenziale futuro candidato a presidente del governo della DOS, Zoran Djindjic - ha ricordato la
vendita di quote della Telekom Srbija agli italiani e ai greci nel giugno del 1997, definendo il relativo
accordo estremamente dannoso per lo stato, il più dannoso mai stipulato, e ha dichiarato che sarà
oggetto di una revisione. All'inizio del giugno 1997 lo stato della Serbia ha trasformato quella che fino ad
allora era l'Impresa pubblica PTT Srbija (Poste e Telegrafi della Serbia), scorporando dalle Poste la
Telekom e vendendo il 49% delle sue azioni a due aziende estere, l'italiana STET, o più precisamente
l'impresa STET International Netherlands N.V. (SIN) con sede ad Amsterdam, e la greca OTE. Gli italiani
hanno acquistato il 29% delle azioni, i greci il 20%. Complessivamente, il pacchetto di azioni è stato
collocato a 1 miliardo e 568 milioni di marchi tedeschi - secondo quanto allora è stato comunicato al
pubblico dai più alti vertici, la quota della STET è costata 893 milioni di marchi, mentre i rimanenti 675
milioni sono giunti allo stato della Serbia dalla greca OTE.
IL REGISTA LJUBISA RISTIC
Tuttavia: "L'OTE ha pagato la sua quota 650 milioni di marchi", afferma per NIN Aris Heretis,
rappresentante della OTE nella Telekom serba e consigliere speciale di tale impresa. Una "nutrita"
differenza, quindi, pari a 25 milioni di DEM, rispetto alla versione ufficiale, una differenza uguale alla
somma che la OTE ha dato in prestito alla Telekom (con gli interessi, si tratta ora di una somma che
supera i 30 milioni). Ad ogni modo, afferma il signor Heretis, la OTE non ha acquistato la sua quota dal
Governo della Serbia, bensì dalla STET, che ha anche offerto loro le azioni. Ma questa è soltanto la punta
dell'iceberg della vendita della Telekom, un iceberg che solo ora comincia a sciogliersi. Le stesse modalità
di reperimento dei partner stranieri aveva già allora sollevato dubbi, poiché non vi è stata traccia di
alcuna asta pubblica. "Non si sa ancora esattamente come sono stati trovati i partner stranieri", ha
dichiarato a NIN il ministro federale delle telecomunicazioni Boris Tadic. "Invece di un'asta pubblica
abbiamo organizzato una gara di vendita su invito", con queste parole laconiche ai tempi aveva dissipato
i dubbi il ministro per la trasformazione delle proprietà, Milan Beko, direttamente incaricato da Slobodan
Milosevic di portare a termine la fase conclusiva delle trattative. Secondo quanto rivela il ministro Tadic,
nella prima fase delle trattative la parola principale la ha avuta il leader universale della Sinistra
jugoslava (JUL) Ljubisa Ristic, politico, esperto di economia e di teatro. "Ristic ha condotto negoziati
relativi alla stima del valore della Telekom insieme all'ex ministro britannico degli esteri Douglas Hurd,
rappresentante della società di consulenza Net West", afferma Tadic e prosegue: "Nello stimare il valore
della Telekom, Ristic lo ha in un primo momento sopravvalutato di svariate volte, fino a quando
successivamente è accaduto qualcosa che lo ha spinto a modificare drasticamente l'offerta e a proporre
un prezzo che è decisamente inferiore a quello reale e a quello originale. Alla fine, comunque, la seconda
offerta di Ristic è aumentata in una certa misura e il 49% della Telekom è stato venduto (ufficialmente)
per un miliardo e 568 milioni di marchi tedeschi". Qui si riscontra un altro problema: "Le azioni della
società sono state vendute per molto meno denaro di quanto se ne sarebbe potuto ricavare. Secondo
alcune valutazioni, la Telekom valeva addirittura quattro miliardi di marchi", afferma il ministro Tadic,
"mentre il valore delle intere PTT di allora era di circa otto miliardi". Il direttore generale incaricato della
Telekom, Drasko Petrovic, ha espresso di fronte a NIN un'opinione analoga e afferma che "la somma per
la quale è stata venduta parte della Telekom è lontana dal suo valore reale". Quei quattro miliardi, è
chiaro, non potevano essere ottenuti in alcun modo nel 1997, sia per l'instabile situazione politica
all'interno del paese, sia per il muro esterno di sanzioni e per l'imminente guerra in Kosovo... Se la
vendita della Telekom fosse stata rimandata a tempi più pacifici e fortunati probabilmente si sarebbe
ottenuto molto di più, ma non è andata così. Alla domanda perché non è stato così si possono dare due
risposte e quale sia quella giusta è una cosa del tutto lampante. Una spiegazione, in particolare, potrebbe
essere che tutto ciò è stato fatto per il bene della società telefonica nazionale, l'altra, invece, è che le
quote della Telekom sono state vendute per altri motivi nazionali.
L'ACCORDO SEGRETO "DISSOTTERRATO"
Quale delle due risposte sia più vicina alla verità lo si intuisce dalle parole di Drasko Petrovic, il quale ai
tempi della vendita di tale impresa era deputato nel Parlamento della Serbia e membro del Comitato per i
Trasporti e le Comunicazioni: "Tutto quello che so con sicurezza è che del denaro ottenuto nemmeno un
marco è entrato nella Telekom o nelle PTT". Alle parole di Petrovic si affiancano quelle del ministro Boris
Tadic: "Non abbiamo ancora un'idea precisa di dove sia andato a finire il denaro, ma sappiamo che una
parte è andata a tappare i buchi del bilancio". Gli stipendi e le pensioni, quindi, hanno portato via una
parte del denaro (Petrovic ritiene che varrebbe la pena di "andare a frugare" anche nel Fondo per lo
sviluppo della Serbia), mentre crediti rilevanti e "singole" imprese e persone si sono portati via l'altra
parte - c'era bisogno tra le altre cose di aiutare la campagna elettorale dei partiti di governo... Le vie
prese dal denaro ottenuto sono sorprendenti, indipendentemente da quanto esso sia stato, anche se tutto
finora rimane nella sfera delle ipotesi - un quadro preciso verrà tracciato solo dall'indagine che verrà
avviata, dichiara il ministro Tadic. Per quanto riguarda il denaro, non è tutto; la realtà è molto più
distorta: non solo la Telekom non ha ottenuto nemmeno un marco dalla vendita della metà delle sue
quote, ma si è addirittura, come veniamo a sapere dal direttore Petrovic, maggiormente indebitata, tanto
che entro il 2005 dovrà restituire oltre duecento milioni di marchi tedeschi. E' interessante, altrimenti,
anche la domanda del perché i partner stranieri abbiano deciso di entrare in tale affare proprio in quel
momento. Tre anni fa "NIN" ha scritto che nella notte della firma del contratto è atterrato a Belgrado in
incognito il ministro degli esteri italiano Lamberto Dini e Boris Tadic giunge alla conclusione che la vendita
delle quote della Telekom sia stata "un'iniezione finanziaria al regime di Milosevic", che sia stata "una
prova che l'Occidente in quel momento non desiderava cambiamenti democratici nel nostro paese".
Comunque sia, il contratto è stato firmato e direttore generale della Telekom Srbija è diventato Milos
Nesovic, presidente dell'Assemblea degli azionisti Radmil Andjelkovic e del Consiglio di Amministrazione
Milorad Vucelic. Lo stesso contratto è stato tenuto lontano da occhi indiscreti e ha ottenuto lo status del
segreto di stato più gelosamente custodito, accessibile solo a pochissimi intimi. Fino a che punto si sia
arrivati in ciò lo dimostra tra le altre cose che nemmeno il ministro per la trasformazione delle proprietà
nel governo di unità nazionale di socialisti-julisti-radicali, la funzionaria del Partito Radicale Serbo
Jorgovanka Tabakovic, è riuscita, nonostante i tentativi, a vedere l'accordo. Nemmeno Aris Heretis,
secondo quanto afferma, ha visto il contratto, i cui firmatari, in realtà, sono stati solo la STET, ovvero la
SIN, e il governo della Serbia, mentre la OTE ha firmato unicamente un accordo con la società italiana. Di
conseguenza le nuove autorità si sono dimostrate più ingegnose; il contratto per la vendita di quote della
Telekom agli italiani di Amsterdam è stato "dissotterrato" e, afferma Boris Tadic, la sua analisi è in corso,
motivo per cui può riferire solo alcuni dettagli. E le domande che "NIN" aveva da porre erano molte; quali
sono, per esempio, gli obblighi che il contratto prevede per i partner stranieri, ovvero, diciamo, in quale
modo vengono suddivisi i profitti... Finora, infatti, il pubblico è stato informato di tali questioni
unicamente dal precedente direttore della Telekom, Milos Nesovic: "Con l'accordo con gli azionisti greci e
italiani è stato stabilito che le telecomunicazioni verranno sviluppate in maniera equa sull'intero territorio
della Serbia e l'obiettivo è quello di avere entro il 2005 un numero di 40 linee telefoniche ogni 100
persone", nonché dal precedente presidente dell'Impresa pubblica PTT Srbija, Aleksa Jokic: "Per quello
che riguarda le due società straniere che entrano nelle nostre telecomunicazioni, il contratto precisa in
maniera chiara che ogni parte alla fine dell'anno, dopo la chiusura del bilancio, ha diritto a una propria
quota dei dividendi. Quale ne sarà l'entità, dipenderà dal successo della gestione e del funzionamento
della Telekom Srbija". "Fin dal primo sguardo è chiaro che l'accordo è stato scritto all'estero e quello di
cui noi disponiamo qui costituisce una sua traduzione incomprensibile in lingua serba", questa è la
descrizione fatta dal ministro Tadic. Aggiunge che finora non può parlare delle modalità di divisione dei
profitti e per quanto riguarda gli obblighi dei partner stranieri afferma laconicamente che l'accordo parla
di investimenti nell'infrastruttura, nella telefonia fissa e in quella mobile; in breve, di investimenti nello
sviluppo della società telefonica nazionale. Ma la realtà ha fatto del contratto semplicemente parola morta
sulla carta: "La politica di sviluppo della Telekom è stata direttamente una politica antisviluppo. E lo
stesso funzionamento dell'azienda è stato messo in causa dalla mancanza di finanziamenti", ricorda il
ministro Tadic.
CINQUE DETTAGLI CONTROVERSI
Questo, in pratica, potrebbe significare che ai partner stranieri (al partner straniero?) è stato consentito
di non adempiere i propri obblighi per quanto riguarda l'effettuazione di investimenti per lo sviluppo e si
tratta di una cosa chiara a ogni cittadino di questo paese che, per ottenere una linea telefonica o qualche
servizio telefonico aggiuntivo come l'ISDN, per esempio, ha dovuto, al fine di togliersi lo sfizio, mettere
mano al proprio portafoglio. Complessivamente, secondo le parole di Tadic, i punti più controversi sono
cinque. Tra di essi vi è quello che assegna alla Telekom un diritto di monopolio fino al 2004, un
monopolio non solo su quello che ora esiste nel paese per quanto riguarda la telefonia, ma anche su tutti
gli altri servizi telefonici che potrebbero essere introdotti fino a tale data. "E' qualcosa che va contro non
solo alle stesse norme europee che vietano il monopolio, ma anche alle nostre leggi e alla nostra
Costituzione", afferma il ministro delle telecomunicazioni. Tra gli altri vari problemi che derivano
dall'accordo vi è anche il fatto che esso vincola il prezzo degli scatti al corso del marco tedesco, riferisce
Drasko Petrovic. "Il dinaro recentemente è stato svalutato. Se si dovesse mettere in atto tale clausola
degli accordi, quali sarebbero le conseguenze per i cittadini?", si chiede il nostro interlocutore. A "NIN"
sono state consegnate quattro pagine di uno degli allegati al contratto, "Accordo sull'assistenza tecnica",
firmato da SIN e Telekom Srbija, il quale prevede che alla SIN, oltre ai dividendi dall'ammontare finora
ignoto, la nostra azienda dovrà pagare anche "il tre per cento del reddito lordo" per il trasferimento di
conoscenze ed esperienze, vale a dire quello che in inglese si chiama "know-how". "Per reddito lordo si
intenderanno (nel testo dell'Accordo - N.d.A.) tutti i redditi mensili della Telekom Srbija che vengono
riportati nel rendiconto finanziario mensile della Telekom Srbija, espressi nella valuta nazionale convertita
in marchi tedeschi secondo il corso medio ufficiale mensile, escludendo le imposte dirette e indirette e le
imposte sul valore aggiunto che il Governo della Serbia o la Repubblica Federale Jugoslavia possono
approvare in futuro", scrive in tale documento.
LA FIRMA DI RATKO MARKOVIC
Il calcolo del reddito lordo secondo il corso ufficiale ha avuto, come conseguenza pratica, il fatto che il tre
per cento della SIN sia stato davvero molto più alto di quanto non sarebbe stato se si fosse tenuto conto
dello stato reale delle cose e del corso del cambio sulla strada. Vale a dire, in termini più pratici, che per il
trasferimento del know-how la SIN ha guadagnato mensilmente tra tre milioni e tre milioni e mezzo di
marchi. Tuttavia, come siamo venuti a sapere, la Telekom ha cessato di pagare tale denaro già nel corso
del 1998 e, rendendo il tutto ancora più interessante, Aris Heretis afferma di "non sapere niente" e che
"nessuno sa niente" di cosa effettivamente ci sia dietro la provvigione del tre per cento. Questa parte
dell'accordo dell'azienda serba con il partner straniero è stato definito dal ministro Tadic "un elemento
incredibile del contratto" e perché è tale lo si riscontra con chiarezza dalla lettera di 282 ingegneri
dipendenti della Telekom, inviata al governo della Serbia, nella quale essi affermano di essere "sorpresi
dalla recente notizia secondo cui ai partner stranieri viene pagata una determinata percentuale per il
know-how". "Noi dichiariamo in tutta responsabilità che i partner stranieri non ci hanno apportato alcuna
tecnica e miglioramento o progresso tecnologico, ma ci hanno solo reso il lavoro più difficile e ci hanno
ostacolati, a cominciare dalla nuova organizzazione che i direttori serbi affermano direttamente essere
stata proposta dal partner straniero", si afferma prima della chiusura della lettera, dopo la quale seguono
le firme degli ingegneri. Ma non è ancora tutto; come rivela a "NIN" il ministro Tadic, con la firma di
Ratko Markovic sotto una delle clausole del contratto, lo stato serbo ha rinunciato ai propri diritti di
sporgere querela, e ottenere eventuali risarcimenti, a fronte di danni che gli azionisti della Telekom
potrebbero causare all'azienda e allo stato con la loro gestione degli affari! Torniamo per un attimo alla
commissione del tre per cento, ovvero ai redditi lordi della Telekom in rapporto ai quali essa viene
calcolata - la maggior parte dei redditi proviene dal pagamento delle bollette telefoniche ed è un segreto
pubblico che a molte imprese statali viene consentito da mesi, se non da anni, di non pagare tali conti.
Oltre a ciò, ai "meritevoli" viene assegnato un gran numero di schede Telekom per i cellulari con conto
illimitato (e gratuito, s'intende). E' per questo che i partner stranieri sono stati privati dei loro introiti?
Oppure i relativi ammanchi sono stati riempiti "pompando" le bollette dei normali cittadini, che nella
maggior parte dei casi non hanno modo di controllare i loro addebiti mensili? Un anno fa "NIN" ha cercato
di indagare su questo problema, ma dall'ufficio dell'allora direttore generale Milos Nesovic è stata data la
risposta che non esistono le possibilità tecniche di effettuare una cosa del genere. Il successore di
Nesovic, Drasko Petrovic, non ci ha potuto dire nulla di più sull'argomento - ha solo confermato, per
rincarare la dose, che invece esistono le possibilità tecniche per "pompare" le bollette. Comunque, non
sono solo i cittadini a essere insoddisfatti del modo in cui fino a oggi ha funzionato la Telekom. Che
qualcosa non abbia funzionato lo pensano anche gli ingegneri, Aris Heretis e Drasko Petrovic. "Quando
sono arrivato al posto di direttore ho trovato una coordinazione molto cattiva nell'azienda, nell'ambito
della quale non venivano rispettati nel modo migliore i rapporti tra i partner", afferma Petrovic. Sulle
carenze di comunicazione e di una chiara suddivisione dei compiti e dei debiti si è diffuso più a lungo con
noi, negli stessi termini, anche il signor Heretis, e i retroscena, così come il significato, di tali critiche si
riduce, come veniamo a sapere dai vertici della Telekom, al fatto che "la JUL e gli italiani hanno messo in
un angolo i greci".
TENERE A FRENO I MONELLI
Come ha effettivamente lavorato l'azienda lo descrive in maniera eloquente con ancora un altro dettaglio
il direttore Petrovic: il Consiglio di Amministrazione della Telekom dalla fondazione fino a oggi non ha
approvato nemmeno una revisione finanziaria della gestione dell'impresa telefonica nazionale! Tuttavia,
non tutto alla Telekom Srbija è andato poi così male. Per esempio, non si può davvero considerare come
"cattivo" lo stipendio dell'ex direttore Milos Nesovic, che riceveva mensilmente la cifra incredibile di
13.500 (tredicimilacinquecento) marchi al mese. "Ho rifiutato un tale stipendio, perché per me è
impensabile potere ricevere una cifra che i dipendenti dell'azienda riescono a mettere insieme solo nel
giro di svariati anni", spiega Drasko Petrovic e aggiunge che il Consiglio di Amministrazione dell'impresa
ha detto che egli lavorerà per 26.000 dinari al mese - una cifra alla quale è giunto prendendo in
considerazione gli stipendi dei dirigenti delle PTT. Cosa succederà ora e come si andrà avanti? Il leader
del Partito Democratico Zoran Djindjic ha già annunciato una revisione del contratto, sperando in tal
modo di salvare il salvabile. La revisione, naturalmente, sarà preceduta da un completo esame del
contratto e della situazione nella Telekom che le nuove autorità hanno ereditato da quelle precedenti, e
del quale hanno parlato sia Boris Tadic che Drasko Petrovic. Si dà per sottinteso che tutto questo dovrà
essere accompagnato anche da un'indagine sulle responsabilità di coloro che hanno partecipato alla
stipula del contratto e, speriamo, da una rivelazione trasparente dei flussi del denaro ottenuto. E tutto
questo come pegno per il futuro, affinché non si realizzino le fosche previsioni dell'ex presidente, forte
della propria esperienza di capo che, ecco, non ha avuto forze sufficienti per tenere a freno i monelli tra
le proprie fila.
Da "Notizie Est - Balcani" n. 406, 22 febbraio 2001:
TELEKOM SRBIJA: GIOCHI DIETRO LE QUINTE
di Petar Cvijic - ("Vreme", 15 febbraio 2001)
[Questo articolo di "Vreme" è stato scritto appena prima che in Italia scoppiasse lo scandalo Telekom.
Seguono più sotto una breve nota sugli affari della Ericsson nei Balcani, un editoriale del quotidiano
"Danas" che riguarda anche lo scandalo Telekom, alcune informazioni sullo sciopero dei lavoratori della
Telekom Srbija, ancora in corso]
E' in corso un forte scontro riguardo alle aziende e intorno a esse. In particolare quelle che non sono
completamente in bancarotta, oppure hanno qualche prospettiva. I leader della DOS hanno cominciato a
installare "propri" uomini in posti chiave all'interno di tali imprese, dal direttore ai membri del consiglio di
amministrazione. In maniera in una certa misura casuale, cioè più che altro in conseguenza dei disaccordi
tra i nuovi poteri, alla guida della Telekom Srbija è arrivato Drasko Petrovic, che formalmente non fa
parte di nessuno dei partiti democratici chiave, ma in passato, nonostante la sua giovane età, è stato
membro noto di almeno tre tali partiti. Gli hanno aperto la strada i sindacati e nemmeno i partner
stranieri (italiani e greci, partner del governo serbo nella Telekom) hanno avuto qualcosa in contrario.
Zoran Djindjic, a quanto pare, non è stato contento di tale incarico e ha affermato che "un dilettante non
può guidare una 'Formula 1'". I suoi uomini fidati a livello federale e della repubblica, Boris Tadic e Marija
Raseta-Vukosavljevic, aiutati dal presidente del governo cittadino di Belgrado, Nenad Bogdanovic, hanno
cominciato a fare sentire il fiato sulle spalle al nuovo direttore generale. E ben presto hanno avuto una
buona occasione - il direttore nominato dal partner italiano (Cristofoli) ha richiesto una fornitura urgente
di "un certo numero di stazioni di base e altre apparecchiature specifiche", perché la rete di telefonia
mobile attualmente esistente è talmente sovraffollata che viene "messo in questione il proseguimento del
suo funzionamento e in generale l'esistenza del sistema nel suo complesso". Contemporaneamente,
l'italiano ha subito ottenuto un'offerta dalla Ericsson italiana, il cui valore su due fatture è di 48 milioni di
marchi tedeschi. Petrovic, quale dirigente nuovo, giovane e ambizioso, ha scritto alla Ericsson svedese
chiedendo un'offerta per le stesse apparecchiature citate nell'offerta della società affiliata italiana.
L'offerta della sede centrale arriva e afferma: per le stesse apparecchiature 23 milioni di marchi. La
Ericsson italiana - un successivo controllo porterà alla luce che tutte le sue offerte, alcune delle quali
anche realizzatesi, avevano prezzi più alti di almeno il 40% rispetto a quelli reali - invia in tutta fretta e
alla bell'e meglio un'altra offerta, sensibilmente più bassa, ma ancora superiore del 40%. Come direbbe il
nostro popolo, qualcuno in tutto questo gioco ci è rimasto pienamente incastrato. Ma il ministro della
repubblica Marija Raseta-Vukosavljevic ha inviato al direttore Petrovic un fax per un incontro immediato e
tale fax comincia con le parole: "Egregio signor Draskovic". Per un tale errore perfino Freud si sarebbe
rivoltato nella tomba almeno due volte. Il ministro, che altrimenti è anche quadro del CIP, vale a dire che
è stata collaboratrice del grande edificatore della Serbia, Milutin Mrkonjic [nel 1999 direttore della
Direzione per la ricostruzione del paese, nell'ambito della quale ha collaborato con Borka Vucic,
"banchiere personale" di Milosevic - N.d.T.], fa pervenire a Petrovic, ormai in perfetto stile thriller,
l'avvertimento "da parte del capo, che egli verrà arrestato se non sarà ubbidiente". Petrovic le risponde
che c'è un solo capo e "sta in cielo" e che non accetta una terminologia che è propria della mafia siciliana.
Lo scontro nella DOS si infiamma, viene messo in circolazione anche il nome di Nenad Bogdanovic come
nuovo primo uomo della Telekom, ma anche quello di Andrija Bendarik come soluzione transitoria.
L'intero garbuglio, nel quale vengono utilizzati gli argomenti più pesanti del tipo di "rapina", "contratto
dannoso", "abuso di facoltà di ufficio", "firma senza firma depositata", "acconto del 30% in contanti",
sono stati lanciati al fine di giustificare una rapida sostituzione di Drasko Petrovic.
L'intero caso è giunto anche fino al presidente della Jugoslavia, Vojislav Kostunica, il quale commenta il
tutto affermando con la parola "criminale" e successivamente il punto all'ordine del giorno con il quale
Petrovic doveva diventare un bersaglio da colpire di fronte al governo della repubblica è stato ritirato e
questo su insistenza di alcuni ministri che ne sapevano di più sul'intero problema. E quindi si è spenta la
luce nell'osteria balcanica - sono partiti da più parti gli attacchi orchestrati nei confronti di Petrovic, alcuni
media che anche durante il passato regime non esitavano a svolgere un tale ruolo hanno dato il loro
completo contributo e ormai si può dire fin da ora che il direttore generale della Telekom Srbija è già un
ex, solo che non lo si sa ancora. Oppure non si arrenderà. Senza alcun desiderio e intenzione di fare da
arbitro o di schierarsi da qualsiasi parte in questa disputa, una persona, se è onesta, deve comunque
porsi qualche domanda legittima: a chi conviene la modernizzazione della Telekom, cosa sottintende
l'ampliamento delle capacità, l'introduzione del roaming, la sostituzione delle vecchie apparecchiature?
Forse ne traggono un rendiconto coloro che sono a favore dell'introduzione di un terzo operatore di
telefonia mobile, visto che con una Telekom sempre più disastrata ci saranno maggiori occasioni d'affari
per questo terzo operatore e quindi anche un prezzo maggiore?
[Il settimanale "Vreme" ha pubblicato, accanto all'articolo, anche il testo integrale della lettera di Drasko
Petrovic al premier Djindjic in cui si denuncia l'enorme differenza di prezzo tra l'offerta della Ericsson
italiana, richiesta dal direttore nominato dall'azionista italiano, e quella della centrale svedese]
LA ERICSSON E I BALCANI:
La società svedese ha firmato solo pochi mesi prima dei bombardamenti NATO sulla Jugoslavia, a fine
dicembre 1998, un contratto da 350 miliardi di lire con la società serba Mobtel per lo sviluppo della rete
GSM nel paese e il relativo credito è arrivato a Belgrado attraverso la "Progres" del premier Marjanovic
(AFP, 22 dicembre 1998; AIM Podgorica, 23 dicembre 1998). Nello stesso mese la Ericsson è stata scelta
dal governo greco per l'acquisto di quattro sistemi radar volanti per usi militari: la commessa ammontava
a un totale di 570 milioni di dollari ("Nova Makedonija", 21 dicembre 1998). In Montenegro, la filiale
croata della Ericsson ha finanziato la creazione di un secondo operatore di telefonia mobile con un
apporto di 25 miliardi di lire ("Monitor", 16 giugno 2000).
QUANDO L'INDAGINE RITARDA
editoriale di "Danas", 21 febbraio 2001
Il governo della Serbia e il ministero proporranno al parlamento di approvare con procedura d'urgenza
una legge sulla corruzione, ha dichiarato il ministro della giustizia Vladan Batic a una conferenza stampa
del suo partito. Come ha spiegato ai giornalisti, "si tratterà di una specie di 'lex specialis' rispetto alle
attuali leggi penali esistenti, perché l'escalation della corruzione minaccia le basi dello stato". La
magistratura di Torino ha aperto l'altroieri un'indagine sull'acquisto di quote della Telekom Srbija da parte
dell'impresa italiana per le telecomunicazioni STET, in conseguenza delle notizie secondo cui tale impresa
avrebbe ricevuto una tangente per entrare nell'affare. Lo stesso giornale ha affermato venerdì che nel
1997 la STET ha pagato 900 milioni di marchi tedeschi per il 29% delle quote della Telekom Srbija, di cui
il tre per cento sarebbe stato pagato come tangente. Il giudice del Tribunale Centrale di Atene, Yanis
Sakelakos, ha avviato l'altroieri un'indagine preliminare riguardo alle affermazioni di "La Repubblica",
secondo cui la OTE, impresa statale greca per le telecomunicazioni, e la STET hanno preso una tangente
per comprare il 49% della Telekom Srbija nel 1997. La magistratura jugoslava e serba non hanno ancora
avviato un'indagine. E' vero che il ministro Batic, annunciando la lex specialis, ha detto che presto
comincerà un'indagine anche sulla vendita della Telekom. Il parlamento serbo ha nominato la settimana
scorsa nuovi giudici e magistrati. L'imbarazzante coincidenza della circostanze porta al dubbio che il loro
primo compito sarà quello di portare in tutta fretta dietro le sbarre, sfruttando la lex specialis, i sospettati
dell'ex regime. Senza grandi indagini e senza pompa, con testimoni protetti e altre categorie simili. E' un
fatto che la lex specialis non sia una forma gradita in Serbia, visto i ricordi ancora freschi dell'intervento
di Milosevic nel 1997, quando proprio attraverso l'applicazione di una tale legge è riuscito a sfuggire alla
responsabilità per i brogli elettorali. [...] L'ex presidente serbo e jugoslavo era ai massimi vertici del
paese, eppure, a differenza di Torino e Atene, non ci sono ancora indagini. Le importanti notizie
evidentemente non costituiscono una traccia sufficientemente degna di fede per le nostre autorità,
nonostante il fatto che, secondo quanto afferma "La Repubblica", la somma pagata abbia consentito a
Milosevic di vincere le elezioni del 1997. "Con l'aiuto di tale denaro ha potuto pagare stipendi e pensioni e
rianimare le riserve in valuta, ridotte a soli 200 milioni di dollari. Quello che è ancora più importante, è
che Milosevic ha potuto armare l'esercito in Kosovo", ha affermato il quotidiano di Roma. La precedente
"vittoria", ricordiamo, è stata ufficializzata da Milosevic con una lex specialis, con la quale ha dato una
dimostrazione di potere ai rappresentanti del popolo e al popolo stesso. La lex specialis che si annuncia
ora, tuttavia, sembra più una conferma dell'impotenza delle nuove autorità a fare i conti con i criminali
ricorrendo a mezzi legali e a procedure regolari. E in particolare con i grandi criminali.
SCIOPERO ALLA TELEKOM
Ieri è stato il terzo giorno di sciopero dei lavoratori della Telekom Srbija, che si recano sul posto di lavoro
ma hanno ridotto le loro attività. I lavoratori chiedono tra le altre cose il pagamento degli stipendi
dell'ultimo trimestre, non ancora arrivati. Nonostante l'afflusso di capitale estero nel 1997, come
avevamo già notato, gli stipendi medi dei dipendenti della Telekom sono diminuiti da 400 marchi in
quell'anno ai 150 odierni. I sindacati chiedono trattative dirette con il premier Djindjic. Una delle loro
richieste principali rimane ancora quella che venga resa pubblica la versione integrale dell'accordo di
vendita del 1997. Zoran Mrvaljevic, presidente del Sindacato della Telekom Srbija ha affermato di
"sospettare che il partner italiano impedisca volutamente il lavoro del Consiglio di amministrazione", visto
che i suoi cinque rappresentanti non vi partecipano e sono irreperibili. Ieri i lavoratori hanno parlato con
due direttori italiani, Giovanni Garau e Renzo Fiarini, i quali tuttavia non avendo alcun potere di firma,
non sono in grado di prendere impegni. Infine, il sindacato indipendente delle PTT Srbije ha svolto
un'indagine che ha portato alla denuncia pubblica del fatto che dal 1996 al 2000 la Telekom ha assegnato
ben 126 appartamenti con crediti a tasso agevolato, in molti casi senza che il rimborso delle somme
fornite sia mai nemmeno cominciato. Il tutto, secondo il sindacato, per un valore di 7 miliardi.
(da "Danas", 21 e 22 febbraio 2001)
Da "Notizie Est - Balcani" n. 408, 24 febbraio 2001:
DAL PIEMONTE AL PIEMONTE, PASSANDO PER DEDINJE
[Seguono due pezzi: 1) un aggiornamento sugli ultimi sviluppi del caso Telekom in Serbia; 2) un articolo
del 1999, tratto dal settimanale montenegrino "Monitor", sulla traettoria della lobby favorevole alla
"causa serba" in Italia - il settimanale parte dall'800 e dal ruolo del Piemonte, regione in cui tutto infine
ritorna... con l'apertura dell'inchiesta da parte della magistratura torinese]
1) TELEKOM SERBA: IL MAGGIORE E (O) IL PEGGIORE INVESTIMENTO IN SERBIA
di Rade Repija - ("Danas", 24 febbraio 2001)
[...] Dopo la firma del Contratto, al posto di direttore della Telekom è arrivato Milan Nesovic, al quale è
stato affiancato un vice nominato dalla italiana STET. Secondo il contratto, il vice ha poteri quasi identici
a quelli del direttore generale, mentre la parte italiana ha il diritto di veto su tutte le transazioni (cosa che
non vale per la parte greca). Inoltre, secondo alcune informazioni, il governo serbo ha rinunciato con il
contratto anche a sporgere causa per ottenere il pagamento dei danni in caso di cattiva gestione. Il dato
forse più eloquente sulla qualità della gestione è il fatto che i debiti della Telekom siano pari a 200 milioni
di dollari, mentre attualmente il reddito mensile della società è di 25-30 milioni di marchi. Il contratto,
secondo quanto afferma il ministro Tadic, è attualmente oggetto di esame e ha cinque particolari
controversi, dei quali il maggiore è quello del monopolio su tutti i servizi telefonici fino al 2004. In un
allegato particolare viene regolato anche il pagamento del 3% del reddito lordo alla Stet International
Netherlands per il trasferimento di know-how, che viene calcolato al corso ufficiale (vale a dire molto più
alto), ma del quale nessuno sa cosa rappresenti. Le modalità di gestione della società vengono illustrate
eloquentemente anche dal fatto che il consiglio di amministrazione non ha mai approvato nemmeno un
rapporto finanziario dal momento della sua formazione. Il motivo della cattiva gestione della Telekom può
essere individuato soprattutto nella funzione sociale, attraverso il mantenimento di un basso prezzo dei
servizi, nonché nel fatto che attraverso l'acquisto di spazi e il pagamento di servizi alle poste è stata fatta
defluire una buona parte dei fondi, ma lo si riscontra in particolare nella cattiva organizzazione della
società. Il modello applicato alla Telekom, che prevede 16 direttori, è una copia di quello della STET, ma
oltre al fatto che le direzioni più importanti sono in mano agli italiani, per molte decisioni è necessario
l'assenso di più direttori. Il partner greco nella Telekom è anch'egli altrettanto insoddisfatto del modello
organizzativo, ma la sua proposta di riorganizzazione non riceve risposta ormai da due anni. Il vecchio
sistema organizzativo della Telekom era in alcuni casi di gran lunga migliore, afferma una fonte di
"Danas" in tale azienda. "La politica di sviluppo della Telekom è stata direttamente antisviluppo. Lo stesso
funzionamento dell'azienda è stato messo in dubbio dalla mancanza di investimenti", afferma Tadic.
Come affermano alla Telekom, nonostante la cattiva gestione dell'azienda, con il miglioramento del
sistema tariffario, la cancellazione della zavorra delle PTT (i cui debiti sono stati assunti in occasione della
divisione della precedente impresa pubblica), nonché convincendo i partner stranieri della necessità di
effettuare maggiori investimenti, per esempio tramite la rinuncia al diritto per il know-how, la Telekom
potrebbe essere un'azienda redditizia, e potrebbe anche darsi da fare per il terzo operatore di telefonia
mobile, che secondo quanto annunciato presto dovrebbe essere introdotto in Serbia.
UN POSSIBILE COMPROMESSO
"E' sbagliata la politica di procedere a una revisione del contratto, perché ciò costituirebbe, innanzitutto,
una soluzione controproducente e costosa", affermano alla Telekom. Sarebbe molto meglio giungere a
compromessi attraverso trattative, perché un arbitrato internazionale potrebbe erodere il valore
dell'azienda, come è avvenuto nel caso della Telecom russa. L'entrata in scena di un terzo operatore
potrebbe in questo momento mettere in ginocchio la Telekom, e in particolare il suo settore di telefonia
mobile, il cui sviluppo si trova a metà strada. Soprattutto perché attualmente il mercato della telefonia
mobile rappresenta una torta piuttosto limitata per potere essere divisa in tre fette, mentre gli altri due
operatori sarebbero comunque in una posizione di partenza migliore - liberi dalle zavorre delle poste e
della telefonia fissa. Tuttavia, si prevede un futuro migliore per gli utenti della telefonia mobile in Serbia,
poiché riviste americane prevedono che nel 2005 in Serbia ci saranno 5 milioni di utenti, i quali avranno
uno stipendio medio di 500 DEM. Queste previsioni, e il fatto che la richiesta di tale tipo di servizio sia
alta (è sufficiente guardare le code per acquistare le schede), giustificano forse l'introduzione di un terzo
operatore e le trattative con le aziende interessate in gran parte continuano. Tra gli interessati vi sono la
Deutsche Telekom, la France Telecom, la norvegese Telenor, l'ungherese Matel, la Siemens Austria, la
Hermann (tedesca) e la stessa OTE. Un fattore chiave è tuttavia quello del tempo, perché anche i
dipendenti della Telekom chiedono il rinvio di circa un anno, un periodo di tempo che secondo le
valutazioni degli esperti dovrebbe consentire a questa azienda di riprendersi. Da parte delle autorità
provengono affermazioni secondo cui non è compito dei dipendenti occuparsi di queste cose. Che il caso
Telekom (come d'altronde anche in Italia e in Grecia) abbia un rilevante retroscena politico, lo si constata
dal fatto che recentemente nel governo serbo è stata sollevata la questione dell'acquisto di moderne
apparecchiature della Ericsson per la telefonia mobile, che miglioreranno di molto questo tipo di servizi.
In relazione a tutto ciò, è stata presa in considerazione anche la sostituzione di Drasko Petrovic, direttore
generale della Telekom, la cui elezione era stata approvata anche dai partner stranieri e da tutti e tre i
sindacati. Non molto tempo dopo, questa nomina è sta messa in questione, ma si è rinunciato a una
sostituzione, per motivi che non sono noti. Indipendentemente dai cambiamenti ai vertici del potere, il
destino della Telekom continuerà anche in futuro a dipendere dai rapporti tra i due maggiori partiti della
coalizione governativa, e gli utenti dei servizi risentiranno positivamente o negativamente del successo
(insuccesso) della consolidazione dell'azienda solo in un secondo tempo.
DAL PIEMONTE A DEDINJE
di Gordana Borovic - ("Monitor" [Podgorica], 15 ottobre 1999)
[Il settimanale montenegrino "Monitor" uscito ieri, pubblica in copertina una fotografia di Dini e Milosevic
in sorridente conversazione, con il titolo a tutta pagina: "Come è stato finanziato Milosevic: la Italian
Connection". L'articolo principale è un ampio sunto delle inchieste di "Repubblica" e pertanto non lo
riprendiamo perché i fatti sono ampiamente noti ai lettori italiani. Sotto l'articolo, tuttavia, "Monitor"
segnala un suo pezzo pubblicato nell'ottobre 1999 sui rapporti tra Italia e Serbia. Lo riportiamo qui sotto,
insieme al riquadro che l'ultimo numero di "Monitor" pubblica sulle reazioni formulate rispetto a tale
pezzo dall'allora ambasciatore italiano Riccardo Sessa, e ad alcune brevi dichiarazioni rilasciate al
settimanale dal giornalista di "Repubblica" Guido Rampoldi. Riguardo alla parte conclusiva dell'articolo di
"Monitor", relativa all'appoggio alla "causa serba" dato da settori politici e giornalistici italiani, osserviamo
che il settimanale va "a rullo compressore" e che andrebbero fatti precisi distinguo - ad esempio, è
senz'altro assolutamente fuori luogo e ingiusto affiancare a tale proposito i Verdi e Luigi Manconi ad
Armando Cossutta e Gianfranco Fini. Nonostante le numerose riserve, pubblichiamo integralmente
l'articolo che dà comunque una panoramica interessante sul tema (le posizioni della Lega Nord, per
esempio) ed è un esempio di come spesso da oltre Adriatico si guardi all'Italia - a.f.]
SERBIA-ITALIA: C'E' QUALCHE LEGAME SEGRETO
**Mentre gli aerei NATO decollavano dagli aeroporti italiani, i rapporti tra Roma e Belgrado
sono rimasti quasi intatti. Perché gli affari segreti e pubblici tra i due paesi sono cominciati
tanto tempo fa**
La creazione di legami tra l'Italia e la Serbia comincia nella seconda metà del secolo scorso. Coloro che
combattevano per la liberazione dei serbi dai Turchi guardavano all'Italia appena unitasi, e al suo centro,
il Piemonte, come a un modello per la formazione di uno stato nazionale.
Nel corso della prima guerra mondiale l'esercito italiano ha dato un significativo aiuto ai Serbi e ai
Montenegrini. Ma alla fine della guerra, e dopo l'annessione del Montenegro da parte della Serbia, l'Italia,
nonostante i legami famigliari con la dinastia Petrovic, non ha in alcun modo aiutato gli interessi
montenegrini e ha riconosciuto de facto tale atto.
Negli anni '30 di questo secolo i rapporti italo-serbi si raffredderanno temporaneamente, soprattutto a
causa degli interessi del Vaticano in Croazia e delle mire di Mussolini sulla Dalmazia. A un loro nuovo
intensificarsi si giugnerà direttamente nel corso della Seconda guerra mondiale, quando si sono rafforzati
i rapporti tra i fascisti italiani e i cetnici serbi, ma anche tra gli antifascisti italiani (che hanno disertato
dall'esercito dopo la capitolazione) e i comunisti serbi. Circa 40.000 italiani sono stati tra i partigiani,
combattendo nelle unità non disciolte della Garibaldi. Successivamente, molti di loro sono diventati
membri del Partito Comunista Italiano e hanno mantenuto contatti con i comunisti italiani. A una crisi nei
rapporti con la Jugoslavia si arriverà nuovamente con Trieste.
Ma il governo italiano ha guardato con simpatia alla rottura di Tito con Stalin. Gli esperti di rapporti
serbo-italiani affermano che proprio a partire da tale momento all'interno del ministero degli esteri
italiano si è formata una potente lobby favorevole a Belgrado. Si tratta, secondo le affermazioni di alcuni,
della più potente lobby (tra i paesi dei Balcani e dell'Europa Orientale) all'interno del palazzo romano
della Farnesina, che non ha posto ostacoli né alla posizione degli altri paesi dell'Europa Occidentale
rispetto alla guerra in Jugoslavia, né agli obiettivi espansionistici e di pulizia etnica di Milosevic.
Nel settembre 1992 Roma è stata l'unica capitale occidentale nella quale è stato accolto ufficialmente il
presidente serbo-montenegrino, e scrittore nazionalista, Dobrica Cosic. Il ministro degli esteri Emilio
Colombo ha ignorato il 21 gennaio dell'anno seguente l'embargo diplomatico nei confronti di Belgrado,
recandosi personalmente in visita da Milosevic. Il successivo ministro, Susanna Agnelli, altrimenti sorella
di Gianni Agnelli e uno dei proprietari della Fiat, si è opposta all'intervento in Bosnia. Nel giugno del 1995
anche lei ha visitato Belgrado.
L'unico, ma breve, periodo di raffreddamento dei rapporti serbo-italiani lo si è avuto dopo il 7 gennaio
1992, quando un MIG serbo ha abbattuto sopra la Bosnia un elicottero che trasportava quattro italiani
osservatori della CEE. L'Italia aveva richiamato l'allora ambasciatore a Belgrado, Sergio Vento, ma alla
fine si è accontentata delle scuse della parte serba.
L'attuale ministro degli esteri, Lamberto Dini, ha con la Serbia dei legami quasi "di famiglia". Sua moglie
Donatella è una delle proprietarie della Telekom serba. Si dice che con parte della sua quota di
investimento, 80 milioni di marchi, Milosevic abbia finanziato le ultime elezioni.
Le simpatie italo-serbe trovano radice in diversi campi. Sebbene condizionata dagli interessi geostrategici
dell'Europa "latina" e dalla necessità di frenare la penetrazione del marco tedesco e degli interessi
tedeschi nei Balcani, questa amicizia politica viene consolidata anche dalle più solide tra tutte le basi - gli
investimenti finanziari a livello internazionale ed economico, così come svariati affari sospetti di persone
eccezionalmente influenti di entrambi i paesi.
Alcune di tali persone impersonificano e simbolizzano, in misura maggiore o minore, tale amicizia. A parte
Donatella Dini, tra gli esponenti dell'establishment politico-finanziario il più influente è ovviamente Gianni
Agnelli, la cui Fiat ha una collaborazione di svariati decenni con la Zastava di Kragujevac.
Una delle "eminenze grigie" dei rapporti italo-serbi è Giovanni Di Stefano, personaggio mediatico nel
corso dei due mesi dell'ultima guerra, altrimenti compagno "d'affari" e amico personale di Arkan. Di lui si
afferma che ha tre passaporti e una vita che divide tra la Serbia e il Belgio. Su uno di questi passaporti,
affermano, come luogo di residenza vi è l'indirizzo: Tolstojeva 31, Belgrado. Il SISMI (il controspionaggio
italiano) sospetta che sia proprio lui l'uomo più importante che organizza il traffico di droga tra l'America
Centrale e i Balcani. Tra le sue numerose attività (ha fondato il Partito Nazionale in Italia, ha fatto affari
con la Metro-Goldwin Mayer) vi è anche una collaborazione d'affari con il noto businessman Radojic
Nikcevic, legato all'establishment di Belgrado, ucciso nel '93 in circostanze misteriose. Di Stefano, nel
frattempo, continua a essere più che attivo.
Ci ricordiamo Di Stefano nel programma "Pinocchio", quando, nel corso della guerra, è stato intervistato
dal noto conduttore televisivo italiano Gad Lerner, altrimenti giornalista della "Stampa" di Torino, il cui
proprietario è Agnelli. Di Stefano si è fatto vedere da Belgrado, dando l'impressione di essere
eccezionalmente bene informato sulla questione nazionale serba. E' stato strano ascoltare un italiano
parlare da dure posizioni serbo-nazionaliste. Recentemente si è lamentato sulle pagine del "Corriere della
Sera": "Le bombe NATO hanno distrutto edifici che ho realizzato per i poveri intorno al ministero degli
interni jugoslavo, il mio appartamento nei pressi dell'Accademia militare e il 'Gran Casino Royal'
all'interno dell'hotel Jugoslavija".
Di Stefano si prende cura degli affari di Arkan in Europa, perché quest'ultimo non può muoversi
liberamente in seguito al mandato di cattura dell'Aia. Si afferma che Arkan e Di Stefano abbiano
l'esclusiva sull'importazione della birra olandese Heineken in Serbia. Ma oltre alla birra e alle squadre di
calcio, la loro attenzione si è concentrata sui redditizi affari con l'America Centrale. Si sa che in tali affari
non vi sono divisioni lungo linee nazionali - la mafia serba è legata a quella croata, kosovara, macedone e
albanese nel commercio di armi e droga, e nel controllo della prostituzione.
Gli affari italo-serbi sono di grandi dimensioni e ramificati. La Bosnia "serba", naturalmente, non è stata
dimenticata né sul piano politico né su quello degli "affari". Così, nel 1996 la rivista "Avvenimenti" ha
informato che nel corso di un'inchiesta a Torre Annunziata, che seguiva le tracce di auto rubate in Italia e
vendute in Bosnia, si è giunti ai conti svizzeri di Radovan Karadzic, che gli servivano per il pagamento
delle armi vendute. E' finito in prigione anche Lorenzo Macega, un 42enne di Mestre, nei pressi di
Venezia, il quale ha visitato a più riprese Pale con il russo Andrej Aleksiev. Queste due persone dovevano
prendere 54 milioni di dollari per la vendita della bomba "Vacuum" e le rampe di lancio "Uragan" a
Karadzic. I due hanno affermato di avere pagato a Karadzic 600 milioni di lire (seicentomila marchi) di
tangente.
Nemmeno i partiti politici italiani hanno rinunciato alla gara per pronunciare la propria inclinazione nei
confronti della Serbia. La domanda è se sia un caso che si tratti esclusivamente di partiti nazionalisti di
destra o della sinistra comunista, cioè della stessa miscela che forma la politica di Milosevic. L'irredentista
Lega Nord è stata apertamente, nel corso di tutte le guerre di Milosevic, dalla parte della Belgrado
ufficiale. E Milosevic a suo tempo ha accolto il controverso leader leghista Umberto Bossi con tutti gli
onori. I legami tra i leghisti e i serbi risalgono direttamente alla guerra in Bosnia, quando alcuni leghisti
sono stati membri del battaglione "Garibaldi" nella Krajina, una formazione misteriosa e paramilitare
sotto il comando diretto di Milan Martic. Vi sono anche sospetti che in Italia siano arrivate armi serbe per
la Lega: in occasione di una perquisizione della polizia in una sede della Lega sono state trovate armi di
provenienza jugoslava e recanti la bandiera serba.
Nel corso del 1995, Adriano Bertasso, alto esponente della Lega Veneta, ha consegnato a Karadzic il
"Leone di S. Marco", cioè il loro simbolo di indipendenza. L'entrata dell'Italia nel progetto "Euro" ha
decisamente scompigliato i calcoli di Bossi, anche se non si sono interrotti i contatti con gli amici di
Belgrado e di Pale.
Dalla parte dei serbi, e basandosi su posizioni comuni antiamericane e antimperialiste, sono anche i
comunisti di Armando Cossutta, il quale ha anch'egli visitato il despota di Belgrado, e i Verdi di Luigi
Manconi. Da destra, Gianfranco Fini, leader del partito neofascista Alleanza Nazionale, ha coltivato grandi
simpatie per Milosevic, soprattutto per la sua politica anticroata. Ora Fini è dalla parte della NATO. Sono
passati anche i tempi in cui Seselj salutava Berlusconi come "un grande patriota... che si opporrà al fatto
che gli aerei NATO decollino dall'Italia contro i serbi in Bosnia". Questa mescolanza politica di coloro che
sostengono Milosevic si è formata su diverse basi: gli umori antiamericani, le nostalgie comuniste, il
revanscismo anticroato, il falso pacifismo...
La stampa e la televisione hanno, naturlamente il ruolo più importante nella formazione dell'opinione
pubblica filoserba in Italia. Purtroppo, in questo "amore per i serbi" molto raramente e molto difficilmente
riescono a prendere le distanze dal regime di Belgrado. Così la disposizione filoserba nella sua variante
italiana, sulla scena politica come nei media, si dimostra spesso una volgare propaganda in stile
Milosevic.
Il "Corriere della Sera" e la "Stampa" (il primo e il terzo quotidiano per numero di copie vendute in Italia)
ricevono sostegno finanziario dalla Fiat di Agnelli. Tali giornali sono stati da sempre moderatamente
filoserbi, ma senza grandi cadute di stile. In Italia, a suo tempo, durante la guerra in Bosnia, è scoppiato
un grande scandalo quando è emerso pubblicamente che l'Italia è il maggiore esportatore mondiale di
mine-"giocattolo" e il loro più grande produttore è una fabbrica della Fiat. Per finte penne stilografiche,
accendini o giocattoli per bambini, molti bambini sono rimasti invalidi in tutta la Bosnia.
I giornali del gruppo De Benedetti, il quotidiano "La Repubblica" e il settimanale "L'Espresso", per
esempio, hanno mantenuto, fin dalla guerra con la Croazia e in Bosnia, una posizione critica nei confronti
della Belgrado ufficiale. Mentre il giornale più importante della sinistra extraparlamentare, il "Manifesto",
forse per vecchie nostalgie comuniste, è sempre stato su posizioni favorevoli ai serbi. "Liberazione", il
quotidiano di Rifondazione Comunista, è stempre stato apertamente dalla parte serba, come, d'altra
parte, "Il Giornale" (del gruppo Berlusconi). Molti giornalisti italiani hanno tifato durante la guerra per la
Serbia, come se si trattasse di una partita di calcio. Sono note per lo stessso motivo anche alcune
trasmissioni televisive, come "Pinocchio" di Gad Lerner e "Moby Dick" di Italia Uno, una delle televisioni di
Berlusconi.
Proprio a causa di tutto questo, è stato possibile che nel corso della guerra del Kosovo i rapporti italoserbi abbiano avuto un carattere, come minimo, strano. L'Italia ha potuto seguire, senza grandi
conseguenze, una politica del doppio binario. Da una parte è stata fedele alla NATO, dall'altra ha
insistentemente flirtato con la Belgrado ufficiale. Gli aerei NATO partivano durante la campagna aerea da
basi sul territorio italiano. Ma Belgrado, evidentemente, glielo ha perdonato. L'Italia, per l'intero periodo
della guerra, è stato il paese occidentale più privilegiato da Belgrado. Solo l'ambasciata italiana è rimasta
aperta e dalla Serbia l'unico giornalista a non essere stato scacciato è stato Ennio Raimondino, della RAI.
Tutto questo per il Montenegro non avrebbe una grande importanza, se molti influenti esponenti italiani,
in tutta una rete di rapporti in un primo tempo solo accentuati con la Belgrado ufficiale, non si
comportassero come dei consiglieri politici di Milosevic nella campagna iniqua e dai toni aspri il cui
obiettivo, si sostiene, è solo la lotta contro la criminalità. Materiali faziosi che compaiono sulla stampa
italiana vengono zelantemente e in maniera non selettiva ripubblicati sulla stampa di regime di Belgrado,
così come in quella filo-Milosevic in Montenegro.
LA RABBIA DELL'AMBASCIATORE
("Monitor" [Podgorica], 23 febbraio 2001)
"Monitor" ha pubblicato il 15 ottobre 1999 [il testo qui sopra riportato] nel quale analizza in maniera
critica i rapporti più che vicini tra Roma e Belgrado, addirittura anche durante i bombardamenti della
NATO. In quella occasione erano stati menzionati anche i legami quasi "di famiglia" di Lamberto Dini con
le autorità di Belgrado. "Monitor" aveva successivamente ricevuto una reazione dell'allora ambasciatore
italiano a Belgrado, Riccardo Sessa, nonché della direzione della Telekom Srbija, nella quale tali
affermazioni venivano definite completamente infondate e non veritiere. "Non posso nascondere la mia
sorpresa che un giornale così serio abbia pubblicato per la seconda volta una notizia infondata e già
smentita che, proprio per tale motivo, non riflette in modo corretto l'ampia, complessa, spesso difficile,
ma sempre equilibrata e obiettiva, attività che negli ultimi anni l'Italia ha svolto sul piano politico e che
ha ispirato i nostri espliciti sentimenti nei confronti di una regione importantissima per l'Italia", ha scritto
Sessa. Chi sia stato serio, e chi abbia "agito in maniera equilibrata e obiettiva" forse oggi è chiaro a tutti,
probabilmente anche all'ambasciatore Sessa, che dopo la Jugoslavia ha proseguito il suo servizio
diplomatico in Iran.
"ERA NORMALE FARE AFFARI CON MILOSEVIC"
("Monitor" [Podgorica], 23 febbraio 2001)
"Forse l'intero scandalo ha ottenuto tanta pubblicità perché in Italia ci saranno tra breve elezioni a tutti i
livelli. Da noi è cominciata la campagna elettorale. Perché, quando io ne ho scritto tre anni fa, non è
accaduto nulla", racconta a "Monitor" Guido Rampoldi, giornalista de "La Repubblica", esperto di Balcani.
"E' vero, non avevo tutti i dettagli e le informazioni di cui dispongono i miei colleghi che ora hanno fatto
l'inchiesta. Ma dell'affare hanno scritto anche il 'Financial Times' e il settimanale americano 'Time', e
anche in tali casi non è accaduto nulla, perché si riteneva normale fare affari con Milosevic". Rampoldi
ritiene che questo scandalo non avrà alcuna conseguenza sui rapporti tradizionalmente buoni tra Roma e
Belgrado. "Ma è possibile che venga riesaminata la nostra posizione rispetto a Milosevic negli ultimi anni.
Penso che nella diplomazia italiana abbia regnato per troppo tempo l'idea che l'opposizione serba fosse
incapace. Successivamente, tuttavia, si è dimostrata vincente, e nel conseguire questo obiettivo è stata
aiutata e orientata dagli americani e dai tedeschi. La nostra diplomazia deve capire che la politica nei
confronti della Serbia è stata errata".
Da "Notizie Est - Balcani" n. 471, 19 settembre 2001:
SCIOPERO GENERALE ALLA TELEKOM SRBIJA
Da ieri è in atto uno sciopero generale a oltranza dei dipendenti della Telekom Srbija. I lavoratori
chiedono un aumento salariale, affermando che attualmente la stragrande maggior parte degli stipendi è
di circa 200 DM al mese, mentre lo stipendio medio nell'azienda è di 250 DM al mese solo perché un
numero limitatissimo di singole persone ha retribuzioni enormemente alte. I dipendenti ritengono
doveroso ottenere un aumento, visto che l'azienda realizza un profitto di circa 70 milioni di marchi al
mese. I lavoratori richiedono inoltre "che si proceda finalmente alla revisione dell'Accordo di vendita della
Telekom" alla Telecom Italia e alla greca OTE. Vi è anche la richiesta che si riunisca il consiglio di
amministrazione dell'azienda, che non si riunisce da lungo tempo nonostante sia tenuto a farlo almeno
una volta al mese. [SEGNALAZIONE IMPORTANTE: Segnaliamo, per chi legge il serbo, che il quotidiano di
Belgrado "Glas Javnosti" sta pubblicando dal 25 agosto scorso un lunghissimo dossier sulla Telekom
Srbija, praticamente un libro a puntate, intitolato "Abusi, manipolazioni giuridiche e criminalità nelle
telecomunicazioni della Serbia" - lo potete leggere ricuperando i relativi numeri nella sezione "Arhiva" del
sito del quotidiano (http://www.glas-javnosti.co.yu)]
Da "Notizie Est - Balcani" n. 542, 18 marzo 2002:
TELEFONI SCANDALOSI E TELEFONI IN RITIRATA
[Seguono: 1) un articolo del settimanale bulgaro "Kapital" sul (presunto) scandalo dell'asta per il secondo
operatore GSM in Bulgaria, che ha coinvolto la greca OTE e l'italiana TIM; 2) il brano di un articolo del
settimanale serbo "NIN" sull'intenzione della Telecom Italia di ritirarsi dal mercato della telefonia serbo e
sul desiderio della OTE di aumentarvi di conseguenza la propria presenza]
1) L'OTE E LO SCANDALO DEL SECONDO OPERATORE GSM BULGARO
di Borjana Semkova - ("Kapital" [Sofia], 16-22 marzo 2002)
Le scoperte del giornale greco "Kathimerini", pubblicate una decina di giorni fa, hanno coinvolto
l'operatore di telecomunicazioni OTE in uno scandalo relativo a tangenti internazionali, legato ai suoi
investimenti in Bulgaria. Secondo il giornale, la OTE ha pagato 3,5 miliardi di dracme (10 milioni di euro)
alla società italiana Telecom Italia Mobile (TIM), affinché quest'ultima si ritirasse dalla partecipazione al
concorso finale per la licenza di secondo operatore GSM in Bulgaria. L'accordo, afferma il giornale,
sarebbe stato raggiunto il 10 dicembre 2000 tra il presidente e CEO della OTE, Nikos Manasis, e l'allora
direttore esecutivo della filiale greca della TIM - Stet Hellas - Roberto Rovera. "Kathimerini" ricorda che
una settimana dopo tale data la OTE è stata dichiarata vincitrice dell'asta per il secondo operatore GSM in
Bulgaria. La TIM ha rinunciato alla sua partecipazione alla gara quando era arrivata a un'offerta di 130
milioni di dollari e in tal modo la OTE ha conquistato il primo posto con 135 milioni di dollari. Il 10 marzo
2002 il quotidiano "Kathimerini" ha pubblicato il facsimile di una lettera, inviata il 21 febbraio 2001
dall'allora direttore finanziario della OTE, Dimitris Kouvatzos, al capo delle operazioni internazionali della
TIM, Elis Bontempelli. In tale lettera vengono elencati sei servizi alternativi, per i quali la TIM poteva
ottenere dalla OTE 2 miliardi di dracme. Si presuppone che si tratti della prima di due tranche dell'intera
somma dell'accordo. "Kathimerini" afferma che la prima tranche doveva essere ricevuta il 31 gennaio
2001 e la seconda entro il 31 luglio 2001. Per ora tuttavia non vi è nessuna prova categorica a supporto
della veridicità delle affermazioni del giornale greco riportate qui sopra. In un'intervista alla radio greca
"Sky", citata dalla radio "Deutsche Welle", il ministro dei trasporti e delle comunicazioni Hristos Verelis ha
dichiarato di avere chiesto a tutte le società della holding OTE informazioni esaurienti sui movimenti di
somme provenienti da, e destinate a, società della TIM nel corso degli ultimi due anni. I rapporti tra la
OTE e la TIM in relazione all'asta svoltasi nel nostro paese sono stati esaminati nel corso di una seduta
del parlamento greco. Martedì il presidente dei pubblici accusatori del Tribunale di prima istanza di Atene
ha disposto l'avvio di un'indagine conoscitiva in relazione alla pubblicazione di "Kathimerini". In una sua
dichiarazione ufficiale la OTE ha negato i fatti riportati da "Kathimerini", affermando che essi mirano a
discreditare il nome dell'azienda. Per quanto riguarda le operazioni in denaro con la TIM, la OTE afferma:
"Il documento pubblicato si riferisce alla risoluzione di precedenti relazioni finanziarie tra la OTE e la
Telecom Italia". La notizia che la OTE si è rivolta alle società di audit indipendenti Ernst & Young e Arthur
Andersen affinché certifichino che tra il 1 gennaio 2000 e il 31 gennaio 2001 non sono stati effettuati
pagamenti di alcun tipo alla Telecom Italia, con l'eccezione della risoluzione dei conti con la Stet Hellas, è
una chiara dimostrazione degli sforzi della società per essere il più convincente possibile nel respingere le
accuse rivoltele. Lo scandalo è stato seguito da un'assemblea generale straordinaria dell'OTE, tenutasi
mercoledì - la prima in 53 anni di storia dell'azienda - con la quale è stato eletto il nuovo CEO che
sostituirà Nikos Manasis, nominato nell'estate del 2000. "L'OTE non sarà più diretta da personaggi
politici", ha dichiarato prima dell'assemblea il portavoce del governo Hristos Protopapas. Le cose
sembrano stare effettivamente così, almeno a prima vista: il nuovo presidente e CEO della OTE, Elefterios
Antonakopoulos, ha lavorato per quasi 30 anni nel gruppo Shell. Secondo gli osservatori, la sua elezione
a tali cariche conferma le parole di Protopapas e l'intenzione del governo, annunciata prima
dell'assemblea, di diminuire il proprio controllo sull'operatore di telecomunicazioni. Il giornale greco
"Vima" afferma tuttavia che il nome di Antonakopoulos è stato imposto dal ministro delle finanze Nikos
Hristodoulakis. Alla domanda di "Kapital" sul perché l'assemblea generale straordinaria della OTE si sia
svolta in coincidenza con la pubblicazione di "Kathimerini", George Georgiadis, direttore della filiale di
Sofia della OTE International, ha riposto che la sua convocazione è legata in realtà alla diminuzione della
quota statale nella società, che è scesa sotto il 50%, e allo scadere del mandato dell'attuale dirigenza,
eletta dallo stato. Georgiadis ha precisato che la convocazione dell'assemblea è stata pubblicata un mese
fa (come vuole la legge greca) nella gazzetta ufficiale locale e in quattro quotidiani. Secondo Georgiadis,
le pubblicazioni di "Kathimerini" avevano come fine quello di discreditare la OTE esattamente appena
prima dell'assemblea generale, al fine di diffondere la sfiducia tra gli azionisti della società. L'unico media
che ha avallato la tesi da un nesso tra l'assemblea degli azionisti e una tangente è stato il "Financial
Times". E' tuttavia un fatto che Nikos Manasis ha visitato il ministro dei trasporti e delle comunicazioni
Hristos Verelis dopo la pubblicazione dell'articolo di "Kathimerini", e la maggior parte dei media mondiali
e greci danno per vero che il motivo della visita sia stato quello di dare le dimissioni (alcuni giorni prima
dello scadere del mandato). Lo stato ha progressivamente diminuito la propria partecipazione nella OTE e
nel 2001 è riuscito a portarla al di sotto del 50%, ma non è riuscito a realizzare la vendita di un altro
20% a un partner strategico europeo. Gli operatori di telecomunicazioni del vecchio continente non si
sono dimostrati interessati all'offerta, per il timore che lo stato riesca a continuare a esercitare un
controllo sulla gestione. Attualmente la quota dello stato è del 41,75%. L'avvicendamento ai vertici non
ha tuttavia aumentato la fiducia degli investitori e le azioni della OTE la settimana hanno subito un calo.
Giovedì alla borsa di Atene venivano scambiate a 17,04 euro, mentre lunedì la loro quotazione era di
17,94 euro. Il trend al ribasso ha colpito anche le note di deposito americane della OTE sul mercato dei
fondi di New York. In Bulgaria la OTE, oltre a essere proprietaria del secondo operatore GSM, si è
dimostrata interessata alla privatizzazione della telecom nazionale, la BTK.
COME LA OTE HA OTTENUTO LA LICENZA DI SECONDO OPERATORE GSM IN BULGARIA
Sono stati cinque i candidati che entro il termine previsto di inizio dicembre hanno presentato offerte per
la gara di assegnazione della licenza di secondo operatore GSM. Hanno consegnato la documentazione
entro i termini previsti la "Fintur Holdings" (i cui azionisti fondamentali sono il maggiore operatore GSM
turco "Turksel" e la finlandese "Sonera"), "Rumeli Telsim konsorcium" (il secondo operatore GSM della
Turchia in ordine di grandezza), "Vodafone Bulgaria" (al 90% di proprietà dell'operatore mobile mondiale
"Vodafone" e al 10% della Obedinena Bulgarska Banka) e "TIM International" (il maggiore operatore GSM
in Europa per numero di clienti). La turca "Rumeli Telsim konsorcium" tuttavia non è stata ammessa
all'asta. La commissione d'asta non ha dato spiegazioni per il respingimento di quest'ultima. Anche la
società turca non ha voluto commentare la propria mancata ammissione all'asta. Una fonte vicina alla
"Rumeli Telsim" ha dichiarato che la decisione di non ammettere la società è stata motivata con la
circostanza che il consorzio non è registrato come persona giuridica. La gara, per la quale era stato
fissato il termine del 15 dicembre 2002, è cominciata con 40 milioni di dollari, e la quota di aumento per
ogni tornata era di 5 milioni di dollari. La "Vodafone" ha interrotto la propria partecipazione a 75 milioni di
dollari, mentre la "TIM International" si è fermata a 130 milioni di dollari. In tal modo, la OTE ha vinto
l'asta per la licenza con la sua offerta di 135 milioni di dollari.
2) GLI ITALIANI SE NE VANNO
di Tanja Jakobi - ("NIN" [Belgrado], 14 marzo 2002)
[...] Secondo quanto ha detto Tadic [presidente del consiglio di amministrazione delle PTT (Poste e
Telegrafi) serbe, nonché vicepresidente del DS, il partito di Djindjic] attualmente sono tre le opzioni in
gioco [sul mercato della telefonia serba]: la vendita della quota statale nella Mobtel o nella Mreza 064, la
vendita della partecipazione statale nella telefonia fissa e la concessione di un'altra licenza per la telefonia
fissa nella quale lo stato manterebbe una certa partecipazione, l'introduzione di un terzo operatore, una
variante che in questo momento è complicata e costosa dal punto di vista tecnico, perché gran parte delle
frequenze sono in mano all'Esercito jugoslavo. Se l'Esercito dovesse rinunciare a tali frequenze, sarebbe
necessario comprargli attrezzature per altre frequenze. Tutte le opzioni per il settore delle
telecomunicazioni entreranno in gioco in una volta sola, poiché la Telecom Italia, pressata da difficoltà
finanziarie, desidera definitivamente vendere tutte le sue partecipazioni di minoranza in aziende estere e
ciò significa che si ritirerà anche dalla Telekom Srbija e dalla Mreza 064. Tadic, come ha confermato egli
stesso a "NIN", ne discuterà con gli italiani all'inizio di aprile. La OTE ha già fatto intendere in passato di
essere disposta a comprare la quota italiana e/o quella dello stato, oppure, mediante una capitalizzazione
aggiuntiva, a diventare proprietario di maggioranza dell'operatore di telefonia fissa. In tale caso, l'OTE
sarebbe disposta a rinunciare alla posizione di monopolista di cui gode grazie agli attuali accordi, in
cambio della facoltà di licenziare dipendenti e di decidere le tariffe, ha detto alla fine dell'anno scorso a
"NIN" il direttore del settore internazionale della OTE, Jorgos Skarpelis. Egli ha affermato che la OTE non
è preoccupata nemmeno dell'eventuale entrata della Vodafone nell'operatore mobile Mobtel, perché in
Grecia l'operatore mobile della OTE, "Cosmote", ha più successo. Sembra che la parte jugoslava
preferirebbe qualche altro partner strategico sia nella telefonia fissa che nella Mreza 064, come per
esempio la Telnor, l'operatore norvegese che detiene una quota nel primo operatore di telefonia mobile
montenegrino "Promonte".
Da "Notizie Est - Balcani" n. 552, 24 maggio 2002:
TELEKOM SRBIJA: TANGENTE DA 78 MILIONI DI DM
("Blic" [Belgrado], 24 maggio 2002)
Presso il Primo tribunale circondariale di Belgrado è stata condotta una procedura di indagine in seguito
alla rogatoria del pubblico procuratore di Torino, nell'ambito del procedimento penale contro gli italiani
Tommaso de Tommasi e Giuseppe Guardini per svariati atti penali, tra i quali falso in bilancio e
corruzione, ha confermato a "Blic" il giudice Nebojsa Mrkic, portavoce di tale tribunale. Secondo le parole
di Mrkic, sono stati ascoltati come testimoni Milorad Jaksic, ex direttore della Telekom Srbija, Aleksa
Jokic, ex direttore delle PTT Srbija, Milan Beko, ex ministro per le privatizzazioni nel governo della Serbia,
Borka Vucic, Nikola Sainovic, Milan Milutinovic, Vladislav Jovanovic... Come afferma Mrkic, la procedura è
terminata e la documentazione è stata inviata agli organi giudiziari italiani. Alla domanda perché il
pubblico non sia stato informato delle indagini, egli ha affermato che si tratta di una procedura dalla
quale il pubblico è escluso e ha aggiunto che agli interrogatori non ha partecipato alcun rappresentante
degli organi giudiziari italiani. "Il pubblico procuratore italiano è stato informato sulle scadenze di
effettuazione del lavoro di indagine e ha annunciato il suo arrivo, ma non si è fatto vedere", afferma
Mrkic e aggiunge che, come è norma, i testimoni sono stati avvisati che la falsa testimonianza è un atto
penalmente perseguibile. Agli interrogatori dei testimoni, afferma una fonte di "Blic" che ha desiderato
rimanere anonima, non hanno assistito né rappresentanti delle autorità jugoslavi né gli attuali dirigenti
della Telekom, anche se questa sarebbe la prassi comunemente adottata nel mondo per tali tipi di
testimonianze. Secondo informazioni non confermate, agli interrogatori ha assistito un rappresentanto
delle autorità giudiziarie serbe. Altrimenti, il pubblico procuratore di Torino ha inviato alle autorità
jugoslave una rogatoria basata su quanto rilevato dalla "Commissione 40", composta da 20 senatori e 20
giudici, che è stata formata dal premier italiano Silvio Berlusconi per condurre indagini sui dettagli
dell'acquisto di quote delle telecomunicazioni serbe da parte della Telecom Italia. Secondo fonti di "Blic" a
Roma gli esiti del lavoro della "Commissione 40" indicano che la parte italiana ha pagato la partecipazione
alla Telekom Srbija molto di più del suo effettivo valore. I responsabili del "gonfiamento" del prezzo sono
gli accusati Tommasi e Guardini, che hanno distribuito ai mediatori della transazione, sotto forma di
provvigioni, 78 milioni di marchi. La maggior parte di tale somma, secondo le affermazioni della nostra
fonte, è stata suddivisa tra Srdjan Dimitrijevic (30 milioni), il conte Vitali (20 milioni) e una società
macedone. La stessa fonte afferma che gli interrogatori condotti a Belgrado hanno indicato che l'ex
presidente jugoslavo Slobodan Milosevic non è direttamente coinvolto nella "distribuzione" delle
provvigioni, ma che rimane non chiarito quanto abbiano influito sulla vendita della Telekom Srbija i suoi
rapporti con l'ex premier britannico Douglas Hurd. "Milosevic non si è intromesso direttamente, ma
continuava a ripetere ai suoi collaboratori: 'alzate quanto più possibile il prezzo!'", afferma la fonte di
"Blic". In Italia le indagini su tale acquisto hanno un denso retroterra politico e secondo gli osservatori
esse sono in massima parte spiegabili come uno scontro tra le opzioni politiche del premier Berlusconi e
quelle dell'ex ministro degli esteri Lamberto Dini. Berlusconi forza l'indagine sull'acquisto della Telekom
Srbija per portare alla luce il ruolo di Dini nella suddivisione delle provvigioni, ma anche per distogliere
l'attenzione del pubblico dalle numerose accuse di cui è oggetto per evasione fiscale e malversazioni
finanziarie. A Roma il silenzio delle attuali autorità serbe viene interpretato come del tutto ragionevole.
"Cosa diranno mai adesso, dopo quanto scoperto dalla commissione, coloro i quali affermavano che la
Telekom Srbija è stata venduta a un prezzo inferiore di quello reale e che delle provvigioni hanno
approfittato soprattutto i membri della parte serba alle trattative", si chiedono a Roma, con una certa
dose di malignità.
TELEKOM SRBIJA: IL VALORE DELL'AZIENDA CRESCE, LE AZIONI NON SARANNO A BASSO
PREZZO
di I. Krasnic - ("Glas Javnosti" [Belgrado], 28 maggio 2002)
BELGRADO - "Secondo le mie informazioni ci sono stati contatti negli ultimi tempi tra i greci e gli italiani,
azionisti della Telekom serba, ma non so se gli azionisti esteri hanno raggiunto un accordo sulla modifica
dei rapporti di proprietà all'interno della Telekom Srbija", vale a dire se l'italiana STET ha offerto alla
greca OTE l'acquisto delle proprie azioni. Ogni decisione, anche quella degli italiani di vendere
eventualmente le proprie quote, è possibile nel caos che si è creato con la privatizzazione della Telekom
Srbija. "E' un fatto che gli italiani negli ultimi tempi vendono le azioni di tutte le loro società di
telecomunicazioni nel mondo nelle quali non detengono quote di maggioranza, e in generale è questo il
trend nel mondo. Tuttavia potrebbe trattarsi di una 'bufala' che qualcuno mette in giro per interessi
personali", ha detto a "Glas Javnosti" Dragor Hiber, presidente della UO Telekom Srbija ed esperto di
telecomunicazioni, in riferimento ad articoli comparsi sulla stampa e alle dichiarazioni di politici italiani
secondo cui la STET venderà le proprie azioni alla OTE a metà del prezzo pagato per il 29% delle quote
della Telekom Srbija.
Hiber afferma che il prezzo delle azioni della Telekom Srbija che gli italiani eventualmente offrirebbero
non dovrebbe essere basso, il che vuol dire che la STET sicuramente non venderà le proprie azioni tanto
per venderle. Così come la OTE, anche la parte serba avrebbe il cosiddetto diritto di prelazione, ovvero il
diritto di acquistare le azioni a un prezzo migliore di quello al quale un azionista offre le proprie azioni ad
altri nell'ambito della comune azienda. Secondo le parole di Hiber gli italiani non hanno mai venduto per
quattro soldi azioni che detenevano in qualche società, come invece sostengono i politici italiani per
quanto riguarda la nostra Telekom. "Se la STET davvero offrirà in vendita le proprie azioni, il governo
della Serbia, se avrà il denaro per acquistarle, dovrà avere un'idea chiara e un piano strategico sui passi
successivi da compiere, perché una tale cosa non la si acquista senza sapere perché, così come non si
accumulano proprietà senza motivi. In ogni singolo caso gli esperti dovranno valutare se procedere con
una tale opzione e comunque, secondo la mia valutazione, il valore della Telekom Srbija sta aumentando,
perché nell'azienda sono stati investiti molti soldi, l'impresa si sta sviluppando e nel campo della telefonia
mobile ora la Telekom ha un milione di utenti. Sono stati fatti grossi investimenti anche nella telefonia
fissa. Per coloro che desiderano acquistare le azioni è giunto il momento giusto, mentre chi vuole vendere
forse dovrebbe aspettare ancora un po'", afferma Hiber, ricordando che nel 2000 la Telekom era in
perdita, mentre l'anno scorso ha conseguito un bilancio di segno positivo, che nel 2002 crescerà
ulteriormente. Hiber dice che un'eventuale trasferimento di quote all'interno della Telekom non
migliorerebbe, né peggiorerebbe, la situazione e che indipendentemente da ciò è necessario fare ordine
nei rapporti tra gli azionisti. "A noi spetta," dice Hiber, "continuare con la consolidazione e con gli
investimenti nella società. E ad ogni modo, con la privatizzazione della Telekom Srbija la Serbia ha
incassato 1,7 miliardi di marchi".
[RIQUADRO:] Parlando dei soldi che gli azionisti locali devono agli italiani ai sensi dell'Accordo sugli aiuti
tecnici, e che ammontano a circa 50 milioni di dollari, Hiber dice che si tratta di un "debito formale" che
sta effettivamente aumentando in conseguenza del tasso annuale previsto del 13,5%. "Stiamo cercando
una soluzione a questo problema e spero che la troveremo presto. La parte serba dal 1997 non paga il
3% del reddito annuale della Telekom Srbija a fronte del cosiddetto Accordo sul know-how, motivo per
cui, secondo quanto ha scritto la stampa, il premier italiano Silvio Berlusconi ha rimproverato Zoran
Djindjic, il premier della Serbia, in occasione della visita ufficiale di quest'ultimo a Roma".
Da "Notizie Est - Balcani" n. 568, 17 giugno 2002:
TELEKOM SRBIJA: UN'EREDITA' DI DEBITI, INDAGINI E SOSPETTI
di Vojislava Crnjanski Spasojevic - ("Nedeljni Telegraf" [Belgrado], 12 giugno 2002)
**Una delle promesse delle nuove autorità, prima di salire al potere, era quella di chiarire
tutta la storia della vendita della più preziosa azienda serba: la Telekom. Tuttavia, a due anni
di distanza, lo scandalo è stato aperto non dai serbi, bensì dagli italiani. E non per quello che ci
preoccupa, ma per 78 milioni di marchi di commissioni che sono stati presi dalle loro "tasche"
e distribuiti da persone il cui luogo di intermediazione per la vendita della società serba è
rimasto non chiarito**
Non siamo riusciti a mettere le mani sull'accordo azionario, perché si tratta di un segreto d'affari e
chiunque lo renda pubblico dovrebbe pagare agli altri una penale astronomica. Questo, in una certa
misura, potrebbe spiegare perché tutta la storia della vendita della Telekom è ancora oggi avvolta da un
velo di segreto. Tuttavia, cercando i nomi di tutti coloro che hanno ricevuto enormi somme sotto forma di
commissioni, "Nedeljni Telegraf" (NT), è riuscito ad arrivare a dei fatti che colpiscono. E' emerso che la
Serbia deve essere preoccupata, molto di più che per le commissioni, per gli enormi debiti di cui i partner
esteri ci chiedono il rimborso, a titolo degli aiuti tecnici (il cosiddetto know-how) e del prestito degli
azionisti alla Telekom. Trattandosi di cifre che ammontano a milioni (di euro), se in Italia non fosse
scoppiato lo scandalo, la loro [dei partner esteri - N.d.T.] posizione sarebbe molto più forte e non è
escluso che tenterebbero, sulla base dei debiti, di diventare soci di maggioranza della Telekom Srbija!
LA LICENZA PER LA TELEFONIA MOBILE MESSA IN FORSE
Solo per la voce relativa all'accordo di aiuto tecnico, la Telekom Srbija deve al socio italiano, dall'ottobre
del 1998 all'aprile di quest'anno, 58.646.176,39 euro! Si tratta del dato ufficiale che NT ha ottenuto dal
presidente del Consiglio di Amministrazione della Telekom, dr. Dragor Hiber.
Nella dichiarazione scritta che ci è stata consegnata, Hiber scrive letteralmente: "In occasione della
vendita della quota di minoranza della Telekom Srbija è stato incluso l'Accordo di aiuto tencico, con il
quale si prevedeva che la Telecom Italia, per un periodo di esclusiva di otto anni, avrebbe pagato, a titolo
del trasferimento di conoscenze (know-how), il tre per cento del reddito lordo della Telekom Srbija. In
base a tale accordo fino al settembre del 1998 sono stati pagati 37.016.539,93 marchi, dopo di che i
pagamenti previsti per il periodo successivo sono stati sospesi".
Quindi, dall'ottobre 1998 la parte serba deve agli italiani la somma sopra menzionata. Per questo motivo
gli azionisti hanno creato un gruppo di lavoro che dovrebbe trovare una soluzione soddisfacente per tutti i
proprietari. Fino a oggi tale gruppo di lavoro non è riuscito a giungere a nulla. Lo si vede in particolare
dalla seconda parte della lettera di Hiber a NT, relativa al prestito degli azionisti. In essa si spiega che
tutti gli azionisti nel 1997 hanno approvato un prestito alla Telekom per la realizzazione di progetti di
sviluppo, ammontante a 92.963.939 marchi. L'interesse è stato modificato svariate volte: in principio era
del 7%, e successivamente era pari a EURIBOR + 10%.
"Nel periodo delle sanzioni la Telekom Srbija non è stata in grado di trovare sul mercato del denaro delle
condizioni di credito migliori", scrive Hiber. Tuttavia, dopo l'ottobre del 2000 la situazione è cambiata. La
Telekom ha chiesto agli azionisti di armonizzare le condizioni di credito con le attuali condizioni sul
mercato del denaro, che corrispondono a EURIBOR + 2%. Nessuno degli azionisti fino a oggi lo ha
accettato".
Di quale cifra (enorme) si tratti lo si riscontra dei promemoria riservati ai quali NT ha avuto accesso, e
che sono stati preparati da Hiber per la seduta dell'Assemblea degli azionisti della Telekom Srbija tenutasi
l'anno scorso. In questo documento segreto si scrive:
* che la Telekom Srbija ha un debito di quasi mezzo miliardo di marchi
* che la perdita per l'anno 2000 è pari a quasi sette miliardi di dinari
* che la situazione di arretratezza tecnologico-tecnica è enorme, soprattutto nella telefonia fissa, ma
anche in quella mobile
* che l'organizzazione della società è vecchia e inefficace, e che gli azionisti di minoranza (italiani e
greci), in conformità alle delibere statutarie, non solo controllano singole direzioni, nonché servizi
(telefonia mobile), ma possono anche bloccare le decisioni della società (il Consiglio di Amministrazione
approva le delibere con una maggioranza della quale deve fare parte almeno un voto di ciascun
azionista).
Nella struttura del debito, si prosegue in questa lettera, dominano: il debito relativo ai prestiti degli
azionisti, pari a 150 milioni di marchi, riprogrammato, con un interesse del 13 per cento, i debiti nei
confronti dei grandi fornitori di attrezzature (Siemens, Alcatel, Ericsson), il credito oggetto di contesa con
la STET Italia per il Contratto di "know-how" e le questioni e i debiti non risolti con la PTT (Poste e
Telegrafi della Serbia) relativi a svariati contratti di servizi congiunti.
"Le questioni irrisolte tra gli azionisti sono tali che non sono stati approvati i rapporti dei revisori per gli
anni 1999 e 2000, un fatto che va contro i documenti della società e le leggi della Jugoslavia. Non esiste
un piano strategico e gli investimenti sono stati in pratica interrotti", afferma Hiber in questa lettera
riservata, e aggiunge: "La conseguenza della mancata soluzione di tali questioni è una scarsa qualità dei
servizi della Telekom, tanto che potrebbe essere messa in forse addirittura la licenza per la telefonia
mobile!"
22 MILIONI DI MARCHI DI DEBITO CON LA PTT
Abbiamo cercato di avere maggiori dettagli sulla vendita della Telekom anche dall'azionista di
maggioranza nazionale, la PTT Srbija. Il direttore del settore per le relazioni esterne, Jovan Birac, ha
affermato, anch'egli con una comunicazione scritta, quanto segue:
"Le indagini sulle circostanze della vendita della Telekom sono di competenza degli organi giudiziari, e
non dell'Impresa pubblica PTT. Né gli organi di indagine italiani, né quelli locali, hanno finora chiesto alla
PTT alcun dato o documentazione. Nessuno dei nuovi dirigenti della PTT, che sono arrivati alla guida di
questa impresa poco meno di un anno fa, ha partecipato alla vendita della Telekom, con l'eccezione
dell'ex direttore generale Aleksa Jokic, la cui firma si trova tra quelle apposte sul contratto siglato con i
partner italiani e greci. Quando il governo ha messo alla guida delle Poste l'attuale direttore generale
Srdan Blagojevic, Jokic è diventato uno dei 45 consulenti speciali del direttore generale, ma
successivamente è stato trasferito al posto di addetto alla Tipografia delle Poste. Dal giorno del
trasferimento, Jokic non si è recato al lavoro e si è messo in malattia. Milorad Jaksic, anch'egli uno degli
ex direttori generali, sostituito appena prima della vendita della Telekom, ha abbandonato di propria
volontà la PTT Srbija".
Poiché nel frattempo siamo venuti a sapere che la Telekom ha debiti anche nei confronti della PTT,
abbiamo ricontattato Birac affinché ci spiegasse di quali debiti si trattasse. "I debiti si riferiscono a
immobili, al trasferimento di diritti per lo svolgimento di attività telefoniche, a servizi del Centro di
informazione delle poste e alla fornitura di servizi di cabine telefoniche. Al 2 aprile 2002 la Telekom ci
doveva 656.731.198,28 dinari, vale a dire circa 22 milioni di marchi tedeschi! Si tratta di un debito
documentato, che la Telekom contesta e non desidera pagare", è stata la breve spiegazione di Birac.
IL MISTERIOSO BUSINESSMAN
Cercando di chiarire ulteriormente il "caso Telekom", ci siamo rivolti ad alcuni testimoni che, su richiesta
delle autorità giudiziarie italiane, si sono presentati innanzi al nostro Primo tribunale circondariale di
Belgrado, in qualità di partecipanti alla vendita. Oltre a Ljubisa Ristic, alto funzionario della JUL, e a Milan
Beko, l'allora ministro per le privatizzazioni, hanno testimoniato di fronte al tribunale anche l'ex direttore
delle PTT, Milorad Jaksic, l'allora presidente del consiglio di amministrazione Radmilo Andjelkovic, il
successore di Jaksic, Aleksa Jokic, nonché Milan Milutinovic, Nikola Sainovic e Borka Vucic.
Ricordiamo che le autorità italiane hanno avviato un'indagine contro coloro che ai tempi hanno diretto il
progetto di acquisto della Telekom Srbija, Gerard Duzi [trascrizione dal serbo incerta - N.d.T.] e i suoi
collaboratori de Tommasina [evidentemente si intende Tomaso Tommasi di Vignano - N.d.T.] e Giuseppe
Guardiano, che hanno consentito al controverso businessman serbo che operava in Italia, Srdjan
Dimitrijevic, di ottenere 30 milioni di marchi di commissione, con l'accordo che il conte Vitali, definito dai
media italiani "compagno di caccia di Milosevic", avrebbe ricevuto 20 milioni e una società macedone i
rimanenti 28 milioni. I media di Skopje hanno reso pubblico unicamente che questa società aveva come
prima sigla nel proprio nome MAK e che, a quanto pare, era vicina al regime di Milosevic. Per quanto
riguarda il businessman Srdjan Dimitrijevic, non siamo riusciti a saperne di più. L'ex ministro federale per
le telecomunicazioni, Boris Tadic, ci ha confermato di avere anch'egli preso informazioni a suo tempo in
Italia e che gli è stato detto che si tratta di una persona che ha buoni contatti nel jet-set europeo.
Degli attori serbi del "caso Telekom" ha risposto alle nostre domande Ljubisa Ristic. Per la prima volta
Ristic smentisce in pubblico, in esclusiva per NT, le accuse che circolano secondo cui egli avrebbe
incassato, per la JUL e per se stesso, una commissione di 10 milionidi marchi. In particolare, nel 1996,
dopo gli accordi di Dayton, il governo della Serbia ha dato il via libera all'individuazione di acquirenti per il
49% dell'impresa statale per le telecomunicazioni. Il primo a giungere alla banca di investimento Nat
West Market, della quale era supervisore l'ex ministro degli esteri britannico Douglas Hurd, è stato a
quanto pare lo stesso Ljubisa Ristic. La stima del valore dell'azienda devava essere fatta dalla ditta di
consulenza e revisione Price Waterhouse di Londra, mentre lo studio di avvocati newyorchese Weil,
Gotschell e Mangis [trascrizione dal serbo incerta - N.d.T.] doveva portare a compimento l'affare. Ljubisa
Ristic nel corso del 1996 ha soggiornato più volte a Londra.
IL SEMAFORO VERDE E' STATO DATO DAGLI USA E DALL'INGHILTERRA
Ristic spiega a NT quanto segue: "Quando il governo ha espresso l'idea di procedere alla privatizzazione
era chiaro che disponevamo solo dei canali parlamentari per arrivare al mercato finanziario
internazionale. Pertanto, è stato logico che noi del parlamento, e io come presidente del comitato di
politica estera federale, ci impegnassimo in tale lavoro. Il nostro compito era esclusivamente quello di
fare capire agli stranieri che volevamo seriamente procedere alla privatizzazione e che eravamo dei
partner seri. Abbiamo trovato degli avvocati seri e delle banche serie, pronti ad aiutarci. E qui è finito il
mio compito. Io non ho partecipato alla vendita vera e propria. Non so se qualcuno ha incassato una
commissione e di quale commissione si trattava, ma ribadisco che tutta la faccenda della Telekom è stata
eccezionalmente trasparente!". Ristic afferma inoltre che l'affare non sarebbe mai andato in porto se gli
USA e l'Inghilterra non avessero dato semaforo verde! Dell'affare, afferma, sono stati informati il Club di
Londra, il Club di Parigi e il FMI. Egli aggiunge inoltre che l'offerta iniziale era inferiore di ben un miliardo
di marchi. Ammontava a poco più di 600 milioni di marchi.
"E' chiaro che Silvio Berlusconi vuole dimostrare come Lamberto Dini, con l'acquisto di quote della nostra
Telekom, abbia aiutato direttamente il regime di Slobodan Milosevic. E' una faccenda politica che riguarda
solo lui. Per quanto riguarda noi, per il 49% delle azioni abbiamo ottenuto il miglior prezzo in tutta
l'Europa sud-orientale. Se avessimo avuto la fortuna di riuscire a privatizzare anche tutto il resto, non ci
avrebbero bombardati. Quando hanno visto come abbiamo venduto bene la Telekom, l'Occidente ci ha
completamente chiuso il paese", conclude Ristic.
E per finire, il premier Silvio Berlusconi ha appena formato la Commissione dei 40, composta da 20
giudici e 20 senatori, che indaghera sui dettagli di tutto il caso della suddivisione delle commissioni. I
membri della commissione sono tenuti a concludere i loro lavori entro un anno.
[RIQUADRO 1: VOLEVO UN'ASTA, E NON UNA VENDITA DIRETTA
L'ex direttore generale della PTT, Milorad Jaksic, ha ripetuto di fronte al giudice per le indagini quanto
tempo fa aveva già dichiarato ai giornali, cioè che gli italiani erano interessati alla Telekom già nel 1994.
A quei tempi il conte Vitali aveva proposto la somma favolosa di 8,6 miliardi di dollari.
"Era chiaro che erano interlocutori privi di serietà, inviati da persone che si trovavano ai massimi vertici
del potere", ha commentato Jaksic. "Eppure si conducevano trattative con loro. Non potevo nemmeno
supporre che si trattava dell'ouverture di qualcosa che, in modo strano, sarebbe terminato alcuni anni
dopo".
"Prima degli inglesi, la prima stima della Telekom è stata effettuata dalla CES Mekon. Poiché si sapeva
che le analisi fatte localmente non potevano essere proposte sul mercato internazionale, nel giugno del
1996 è stata incaricata la Nat West. Nel mezzo dei preparativi per un'asta internazionale, con la quale
tramite le offerte si sarebbe dovuti arrivare al miglior prezzo possibile, sono nuovamente comparsi gli
italiani e hanno cercato di ottenere che l'affare venisse concluso con un accordo diretto", ha testimoniato
Jaksic. Tutto questo è successo un mese prima che la Nat West dovesse cominciare la stima del valore
dell'azienda. Jaksic ha continuato a insistere per l'asta. E' stato redatto un protocollo in serbo, dal quale
si evinceva che dopo la stima si sarebbe proceduto all'asta. Tuttavia, la Telecom Italia ha rifiutato di
firmare il documento in serbo e ha rchiesto una traduzione in italiano, nella quale, tuttavia, come per
magia era scomparsa la parola asta, sostituita dalla frase "vendita diretta". In seguito a ciò Jaksic,
almeno secondo quanto ha affermato, ha rifiutato di firmare l'accordo ed è quindi uscito dal gioco.
Gli italiani, secondo le parole di Jaksic, sono venuti a Belgrado il 15 gennaio 1997 con un accordo in base
al quale non solo avrebbero comprato la Telekom senza alcuna asta, ma la Serbia avrebbe venduto loro
anche una parte del sistema di telecomunicazioni della RTS [la Radio Televisione Serba] e la futura
società congiunta avrebbe dovuto avere due direttori generali. "E' stato dato l'ordine politico di firmare
tale accordo e Mirko Marjanovic mi ha fatto sapere che, per quanto lo riguardava, tutto era a posto e si
poteva firmare in 15 minuti!". Jaksic è stato rimosso e l'accordo è stato firmato da Aleksa Jokic.
[RIQUADRO 2: COMMISSIONI DOPPIE RISPETTO A QUELLE CITATE
(NT scrive degli interrogatori di svariate personalità serbe legate alla vicenda Telekom, svoltisi su
richiesta delle autorità giudiziarie italiane e dei quali avevamo giù riferito in "Notizie Est". Aggiunge
tuttavia anche alcuni ulteriori particolari:)
[...] Il giudice Mrkic non ha voluto svelare cosa hanno detto i testimoni. Ha confermato solo che nessuno
ha ammesso il coinvolgimento nello scandalo Telekom: "E' naturale che nessuno desiderasse mettersi in
un contesto in cui è coinvolta la politica, i rapporti tra due stati, e nel quale sono girati molti più soldi dei
già menzionati 78 milioni di marchi di commissioni. Forse addirittura il doppio! Gli italiani sono convinti di
avere pagato troppo cara la loro quota del 29% della Telekom, rispetto al valore reale, e quindi vogliono
mettere le cose a posto e punire i colpevoli. Per quanto ne so, per il momento sospettano solo di
Tommasini e Guardiano, ma hanno sospetti anche su Srdjan Dimitrijevic e il conte Vitali. Di loro questo
tribunale non sa nulla". Come NT è venuto a sapere in via non ufficiale da circoli della procura, i nostri
organi giudiziari, dopo avere mancato l'occasione di avviare per primi un'indagine sulle eventuali
malversazioni relative alla Telekom, stanno lavorando adesso su un altro soggetto, nel quale gli eventuali
colpevoli potrebbero portare anche alla Telekom. I nostri interlocutori affermano che è in questione una
frode di enormi dimensioni, con l'immancabile retroterra politico, nel quale sono coinvolte cifre ancora più
grandi che nel caso della Telekom, ma tutta la faccenda si trova ancora nella fase prima delle indagini. La
fonte di NT aggiunge: "Anche in questo caso vengono menzionati alcuni dei testimoni dello scandalo
Telekom. Tutto viene tenuto ancora sotto il più stretto segreto e se qualcuno per caso dovesse parlare, se
la passerebbe male. Il minimo che gli potrebbe accadere, sarebbe di perdere il posto di lavoro e
probabilmente gli andrebbe ancora peggio!".
(titolo di "Notizie Est"; traduzione di A. Ferrario)
Da "Balcani Economia" del 14 gennaio 2003:
TELEKOM SRBIJA: SALDI DI FINE STAGIONE O SVOLTA RISOLUTIVA?
I media serbi commentano l'operazione mediante la quale a gennaio il governo di Belgrado ha
acquistato la quota che Telecom Italia deteneva in Telekom Srbija
Domani, 15 gennaio, verrà firmato ufficialmente l'accordo per il "riacquisto" del 29% di Telekom Srbija da
parte dell'impresa pubblica PTT Srbije, controllata dal governo serbo (si veda "Balcani Economia", numero
speciale del 7 gennaio 2003). Già da alcune settimane, e più precisamente dall'annuncio del
raggiungimento della relativa intesa tra Telecom Italia e governo di Belgrado, in Serbia si è aperto un
dibattito circa i motivi che hanno portato a tale operazione e al futuro che attende l'operatore di telefonia
fissa nazionale serbo. Telekom Srbija era stata creata nel 1997 mediante lo scorporo delle attività di
telefonia fissa dalla PTT Srbije (Poste e Telegrafi della Serbia). Come è noto, la quota del 29% era stata
acquistata nello stesso anno dalla STET, controllata dalla Telecom Italia, che allora era un'azienda a
controllo statale. Contemporaneamente, la greca OTE aveva acquistato una quota del 20%. Il prezzo che
l'azienda italiana aveva pagato allora era di 495 mln di euro: la stessa quota viene oggi venduta da
Telecom Italia al proprietaro originale per "soli" 195 mln di euro, cifra che, oltretutto, comprende anche
debiti della parte serba per 60-75 mln di euro, rivendicati dagli italiani e mai incassati. In Serbia ci si è
posti innanzitutto la domanda del perché un'operazione di tale importanza sia stata portata a termine in
un periodo di festività, che generalmente si contraddistingue per la mancanza di eventi importanti. E'
difficile credere che abbia rappresentato "un regalo di Natale" del premier Djindjic ai cittadini serbi, come
ha ironizzato la stampa di Belgrado, che ha invece parlato apertamente di una scelta di tempi tesa a fare
sì che la notizia avesse la minore eco possibile, soprattutto in Italia. Alcune delle fonti più serie, si sono
concentrate tuttavia sugli aspetti tecnici dell'accordo e, soprattutto, sulle sue conseguenze.
Gli aspetti tecnici L'esperto di economia Dimitrije Boarov ha scritto sul settimanale "Vreme" che le lunghe
trattative per l'accordo (secondo la maggior parte delle fonti sarebbero durate almeno otto mesi) si sono
incentrate soprattutto sulla prima, e più importante, tranche del pagamento, che ammonta a 120 mln di
euro e dovrà essere versata entro quattro mesi. Di trattative per un "riacquisto" della quota si parlava già
dall'aprile del 2002 quando, secondo il settimanale di Belgrado "Ekonomist", si ipotizzava un prezzo
superiore: circa 220 mln di euro. L'accordo sarebbe stato raggiunto con grande ritardo poiché chi era più
scettico verso l'ipotesi del "riacquisto" riteneva che la Serbia non sarebbe stata in grado di assicurarsi una
tale somma in tempi così brevi, perché i suoi principali finanziatori esteri, per motivi sconosciuti, non
erano disponibili a sovvenzionare l'operazione. Il governo di Belgrado ha tuttavia infine ritenuto
vantaggioso assumersi l'impegno di pagare un aumento della quota di proprietà in Telekom Srbija (che
passerà dal 51% all'80%), sebbene ciò richieda uno stanziamento pari all'ammontare di tutti i fondi finora
ottenuti mediante la vendita di imprese statali a investitori esteri. L'operazione, secondo Boarov, rientra
in una strategia di più ampio respiro, che darà i suoi frutti finanziari solo quando sarà stata portata a
termine con successo. L'operatore di telefonia fissa nazionale rimane pur sempre appetibile, visto che nel
2002 ha raggiunto i 55 mln di euro di utili, cifra che secondo le stime dovrebbe toccare nel 2003 il tetto
di 100 mln di euro. Inoltre, l'impresa statale PTT Srbija, nuovo azionista di maggioranza di Telekom,
prevede di ricavare alti utili dalla vendita della quota che quest'ultima detiene nell'unico operatore mobile
del paese, Mobtel. E' grazie a queste prospettive che il governo di Belgrado è riuscito in extremis a
convincere le banche serbe a fornire il loro sostegno all'operazione. Vi è tuttavia chi, come il quotidiano
"Danas", ritiene che sarebbe stato più utile per il futuro sviluppo della Telekom investire i 195 mln di euro
in un versamento aggiuntivo di capitali, che avrebbe consentito di riacquisire il controllo dell'azienda e,
allo stesso tempo, di modernizzare sensibilmente l'azienda. Inoltre, nota il quotidiano, il riacquisto della
quota del partner italiano invia un messaggio negativo al mondo, perché è un segno di come la Serbia
non abbia una strategia precisa e preferisca liberarsi di investitori esteri, piuttosto che impegnarsi in seri
piani di sviluppo.
Il contesto politico Riguardo agli aspetti politici, Boarov si chiede perché, citiamo, "i notoriamente astuti
'latini' hanno accettato un accordo così conveniente per la parte serba" e in particolare perché Telecom
Italia abbia deciso di abbandonare, per soli 195 mln di euro, un'azienda che dal maggio del 2001 ha
quadruplicato la propria rete di telefonia mobile, passata da 400.000 a 1,3 mln di abbonati, che ha
cominciato ad aumentare rapidamente i propri profitti e che opera in un mercato telefonico lungi
dall'essere saturo. Inoltre, la parte italiana si era garantita una fonte continua di entrate grazie
all'accordo per il "know-how tecnico", che le aveva consentito finora di incassare 39 mln di euro. Facendo
un po' di calcoli, Telecom Italia avrebbe potuto facilmente ottenere la stessa somma di 195 mln di euro
senza dovere vendere la propria partecipazione, una circostanza che, scrive Boarov, "ha fatto venire i
brividi a tutti coloro che hanno seguito le trattative". La decisione rientra comunque nella strategia
generale dell'azienda italiana che dal 1999 si sta disimpegnando da tutte le società di cui non è azionista
di maggioranza e concentra le sue attività estere soprattutto sull'America Latina. Inoltre, l'Europa
Orientale si è rivelata essere un'area problematica per le telecom, come è testimoniato dal caso di un
gigante come Deutsche Telekom che, nonostante la sua forza, ha registrato nella regione perdite per
decine di miliardi di euro.
I motivi politici tuttavia non mancano e numerose fonti serbe, come per esempio l'autorevole
"Ekonomist", li individuano negli scandali che hanno fatto seguito all'operazione realizzata nel 1997,
quando era ancora al potere Milosevic, scandali che durano ormai da anni e sono ancora oggi oggetto di
indagini da parte della magistratura italiana. Ora, grazie al riacquisto della quota da parte di Belgrado, si
spera che tutto venga "nascosto sotto il tappeto", visto che tutto sommato nessun governo è entusiasta
del fatto che vengano condotte indagini parlamentari su importanti affari, anche quando lo scandalo è
stato ereditato da un governo passato. Rimane da vedere, si chiede Boarov sulle pagine di "Vreme", se
anche questa "fuga" di Telecom Italia dalla Serbia avrà un seguito.
Il futuro del monopolio e la telefonia mobile Il settimanale "Ekonomist" e il quotidiano "Politika" sono
convinti che l'uscita di Telecom Italia dalla società telefonica serba avrà come primo effetto quello di
mettere in discussione il monopolio che quest'ultima ha nel settore e che dovrebbe durare, secondo una
clausola contenuta nell'atto costitutivo, fino al 2005. La parte italiana avrebbe sempre esercitato pressioni
affinché tale monopolio non venisse eliminato, con la giustificazione che la sua esistenza aveva
contribuito ad aumentare il prezzo pagato per la quota di Telekom Srbija. Tuttavia la società serba
continua ad avere un partner estero, cioè la greca OTE, che potrebbe avvalersi delle stesse motivazioni,
come lascia pensare una dichiarazione resa dal direttore della PTT Srbija, Sdrjan Blagojevic: "Sono
contrario al monopolio, ma continuiamo ad avere un partner straniero, i greci, a cui tale diritto spetta
ancora". La bozza di legge sulle telecomunicazioni vieta l'esistenza di ogni monopolio, ma solo dopo lo
scadere di quello attuale. Alcune fonti ritengono che la parte greca abbia posto delle condizioni per
accettare la fuoriuscita di Telecom Italia e abbia addirittura chiesto un diritto di voto del 50% per la
propria quota che ammonta solo al 20%. Se non lo otterranno, affermano tali fonti, anche OTE potrebbe
decidersi a ritirare la propria partecipazione da Telekom Srbija, ma solo in cambio di una quota dell'80%
dell'operatore di telefonia mobile Mobtel. Proprio in questi giorni il ministro dell'economia e delle
privatizzazioni, Aleksandar Vlahovic, ha annunciato che entro fine gennaio inizieranno i preparativi per la
vendita delle partecipazioni statali in Mobtel, data entro la quale sarà certificato l'assetto proprietario
dell'operatore GSM, che secondo le previsioni vedrà lo stato in posizione di maggioranza. Il miliardario
serbo Bogoljub Karic continua tuttavia a rivendicare il 51% della proprietà di Mobtel attraverso la sua
società BK Trade e, vista la sua influenza politica ed economica, non è scontato che il problema possa
essere risolto facilmente. Il rischio è, viste le possibili rivendicazioni della parte greca e i problemi irrisolti
con Karic, che anche il caso della Mobtel si possa trasformare in un ostacolo allo sviluppo della telefonia
mobile, così come quello di Telekom Srbija lo è stato per il settore della telefonia fissa.
(a cura della redazione di "Balcani Economia")
Da "Osservatorio Balcani" (www.osservatoriobalcani.org), 15 maggio 2003:
IL CASO TELEKOM, INTERVISTA CON ANDREA FERRARIO
OB: Chi visita il tuo sito si accorge che sin dall'inizio hai avuto un'attenzione particolare per la vendita
della Telekom Srbija. Mi piacerebbe che tu riassumessi per punti salienti in cosa è consistita questa
discussa operazione finanziaria?
Ferrario: Nel giugno del 1997 la STET International, società controllata da Telecom Italia, ha firmato il
contratto per l'acquisto, in cordata con la greca OTE, di una quota del 49% di Telekom Srbija. In totale,
per tale quota sono stati versati circa 1.500 miliardi di lire, 900 dei quali pagati da Telecom Italia e 600
da OTE. La Telekom Srbija è una delle più importanti aziende della Serbia e a quei tempi era controllata
dallo stato. Nonostante la quota acquistata da Telecom Italia e OTE non fosse di maggioranza, una
clausola del contratto riservava agli italiani una golden share, cioè un diritto di veto nelle decisioni, che
conferiva a Telecom Italia il controllo di fatto dell'azienda. L'accordo, secretato subito dal governo di
Belgrado, è stato frutto di negoziati condotti per alcuni mesi e svoltisi in un clima politicamente molto
caldo per la Serbia, che era appena uscita dalle grandi proteste dell'inverno '96-'97 contro i brogli
elettorali del regime. Milosevic, grazie anche agli appoggi occidentali, ne era uscito alla fine vincitore.
C'era poi la situazione perennemente irrisolta del Kosovo, che da lì a soli tre mesi avrebbe visto
l'organizzazione di massicce manifestazioni di protesta contro le politiche repressive di Belgrado,
manifestazioni poi seguite dalla prima azione organizzata dell'UCK. L'enorme quantità di fondi che è
giunta nelle casse del regime di Milosevic, economicamente molto in difficoltà, ha quindi sicuramente
avuto un peso politico ed è stato un segno di appoggio da parte dell'Italia. Negli anni a seguire la
gestione italiana di Telekom Srbija si è dimostrata pessima. L'azienda ha continuato a sopravvivere senza
alcuna prospettiva di sviluppo e senza investimenti che ne consentissero una ripresa. Subito dopo la
caduta del regime di Milosevic, nell'ottobre 2000, sulla stampa serba hanno cominciato a comparire
svariati articoli di denuncia dell'accordo, delle sue conseguenze negative e, soprattutto, degli oscuri
retroscena politici. Nell'opera di denuncia hanno svolto un ruolo importante anche i sindacati serbi. Uno
dei personaggi chiave dell'operazione Telekom, uno dei tanti intermediari, si è infine fatto avanti dando la
propria disponibilità a parlare: si tratta di Dojcilo Maslovaric, ex ambasciatore jugoslavo in Vaticano ed ex
amico della famiglia Milosevic. Nel febbraio 2001 tali denunce sono state riprese dal quotidiano 'La
Repubblica', che ha condotto un'inchiesta con la quale è stato dimostrato che per l'acquisto delle quote
erano state pagate delle tangenti. Ne è nato uno scandalo finito sulle prime pagine di tutti i giornali
italiani, in seguito al quale la magistratura ha aperto un'indagine. Successivamente è stata creata anche
una commissione parlamentare di inchiesta, che tuttavia ancora oggi non ha chiarito i retroscena politici
dell'operazione. Infine, nel gennaio scorso, Telecom Italia è uscita da Telekom Srbija, rivendendo la
propria quota allo stato serbo per un cifra decisamente inferiore a quella a cui la aveva acquistata, cioè
per 195 milioni di euro.
OB: E' evidente che le ragioni dello scandalo legato alla Telekom Srbija sono diverse per l'Italia e per la
Serbia. In Italia l'intera questione assume una connotazione politica, uno scontro tra la sinistra e la
destra italiana che coinvolge la magistratura e i grossi processi in corso nel nostro paese. D'altro canto
invece la Serbia è interessata a vedere, non solo la questione delle supposte tangenti, ma l'appoggio del
governo italiano, nella figura dell'allora ministro degli esteri Lamberto Dini, al regime di Milosevic.
Vorresti chiarire questi due punti di vista?
Ferrario: In Italia c'è sempre stata scarsa considerazione per le conseguenze che l'operazione Telekom
Srbija ha avuto in Serbia e l'interesse si è rivolto quasi esclusivamente alle ripercussioni sulla scena
politica italiana. Non bisogna dimenticare in effetti che lo scandalo coinvolgeva, indirettamente, l'intero
establishment politico di allora: presidente del consiglio era allora Romano Prodi (oggi presidente della
Commissione Europea), ministro degli esteri Lamberto Dini (oggi impegnato nella redazione della
costituzione UE), sottosegretario agli esteri Piero Fassino (oggi segretario DS), mentre alla guida del
Ministero del Tesoro, che nel 1997 controllava Telecom Italia, c'era Carlo Azeglio Ciampi (oggi Presidente
della Repubblica). Anche per questo la commissione parlamentare sulla Telekom Srbija è diventata uno
strumento politico, che viene dispiegato pressoché regolarmente come ritorsione quando il governo
Berlusconi è in difficoltà per qualche motivo. Il più delle volte tale strumento si è rivelato efficace nel
mettere in imbarazzo alcuni dei protagonisti di allora. La destra fa un uso del tutto strumentale dello
scandalo, un uso assolutamente ipocrita, visto che la sua politica internazionale, per non parlare della sua
tradizione di corruzione, ha raggiunto livelli di gran lunga più bassi di quelli del centro-sinistra nei suoi
recenti governi. Il centro-sinistra, da parte sua, fa finta di nulla riguardo a tutta la vicenda Telekom Srbija
e i suoi esponenti, quando chiamati a risponderne, affermano di non averne mai saputo nulla. In Serbia
invece la vicenda è sempre stata vista come la dimostrazione del sostegno dato dall'Italia al regime di
Milosevic e come una prova del cinismo della diplomazia italiana. Anche le ricadute economiche negative
sono state particolarmente evidenziate: i giornali serbi più critici hanno sempre citato la Telekom Srbija
durante la gestione italiana come un esempio di sfruttamento di un importante settore economico
nazionale da parte di un vicino invadente, per nulla interessato a mettere in atto una politica di rilancio o
a migliorare le condizioni dei dipendenti.
OB: In un'intervista rilasciata da Lamberto Dini al Corriere della sera lo scorso 11 maggio, l'ex ministro
degli esteri sostiene di essere giunto a conoscenza dell'acquisto solo dopo il giugno '97. Dini insiste
dicendo che: "Anche se il governo avesse saputo, all'inizio del '97 non c'era alcuna ragione per la quale si
sarebbe dovuto fermare una società italiana in procinto di acquistarne una serba. La questione del
Kosovo, infatti, e scoppiata 18 mesi dopo. All'inizio del '97, Milosevic era un interlocutore gradito
all'Occidente: era un artefice dell'accordo di Dayton e anche gli Usa si sforzavano di aiutarlo". Non credo
che tu sia d'accordo con queste affermazioni, in particolare con l'ignoranza degli accadimenti in Kosovo
nel periodo indicato da Dini. Oltre tutto, i rapporti tra Dini e Milosevic mi sembrano piuttosto evidenti e
documentati, anche da fotografie.
Ferrario: Dini continua a ripetere che non sapeva nulla dell'affare. Io rimango convinto che la sua sia
un'affermazione che stupisce. Di norma le ambasciate italiane, che dipendono dal ministero degli esteri,
sono informate preventivamente sugli affari che le grandi aziende del nostro paese compiono in loco.
Nella maggior parte dei casi se ne fanno addirittura promotrici. Se comunque Dini non sapeva nulla,
rimane il fatto che era un ministro davvero poco informato su sviluppi così importanti e questo non va
certo a suo favore. D'altronde, anche oggi rilascia dichiarazioni che lasciano esterrefatti. Come è possibile
affermare che la "questione del Kosovo", come la chiama Dini, è scoppiata 18 mesi dopo l'inizio del '97?
Le repressioni di Milosevic in Kosovo erano in atto già da quasi un decennio! E le nuove proteste, il
conflitto armato, sarebbero scoppiati solo pochissimi mesi dopo. Come sono possibili tali imprecisioni da
parte di una persona che ha avuto un ruolo così importante nella diplomazia italiana nei Balcani? Sul
ruolo svolto da Dini in Serbia, comunque, basta citare alcune sue dichiarazioni rilasciate durante i quattro
viaggi compiuti a Belgrado tra il 1996 e il 1997. Nel 1996, quando centinaia di migliaia di serbi sono scesi
sulle piazze per protestare contro i brogli elettorali, l'ex ministro dichiarava che "la richiesta
dell'opposizione di un riconoscimento dei risultati elettorali annullati dal governo non è realistica". Nel
dicembre 1997, in piena campagna elettorale per le presidenziali serbe, Dini si faceva fotografare con
Milosevic e il candidato socialista Milutinovic (entrambi oggi all'Aia) e auspicava un "intervento più
massiccio del settore privato italiano industriale e bancario" in vista anche delle grandi privatizzazioni
preannunciate dal governo. Mentre le forze serbe si preparavano agli imminenti massacri in Kosovo, Dini
dichiarava a Belgrado che "i rapporti bilaterali tra i due paesi proseguono positivamente".
OB: Come hai precisato prima, la quota della Telekom Srbija di proprietà di Telecom Italia è stata
recentemente rivenduta alla Serbia, per un ammontare che è pari circa alla metà del valore di acquisto
iniziale. Credi che questa ulteriore manovra abbia a che vedere con il caos che suddetto acquisto ha
suscitato in Italia? Per dirla in altri termini: ci si è voluti in qualche modo liberare della "gallina dalle uova
d'oro" come venne chiamata a suo tempo, restituendola dopo che di uova ne aveva fatte ben poche e
dopo che ne è nato un vero e proprio scandalo in Italia? A dire il vero Telekom ha dimostrato un discreto
margine di utili proprio nel momento della vendita delle azioni di proprietà di Telecom Italia. Non trovi sia
curioso che 'la gallina' sia stata venduta proprio nel momento in cui le uova le stava facendo?
Ferrario: Sulla questione mi affiderei ai commenti della stampa serba, che ha osservato come in Italia vi
fosse il desiderio di chiudere un capitolo molto imbarazzante per Roma. In effetti l'operazione di rivendita
è stata siglata tra Natale e Capodanno: sono stati molti quelli che hanno affermato che la scelta dei tempi
non sia stata casuale ma scelta apposta per fare sì che la notizia avesse la minore eco possibile sui
media. Ed è vero anche che Telekom comunque realizzava profitti. E' tuttavia stato osservato, a ragione,
che comunque Telecom Italia ha adottato da tempo una strategia che prevede la vendita delle proprie
partecipazioni estere non essenziali, una mossa abbastanza logica vista la forte crisi del mercato
mondiale delle telecomunicazioni. Gli ultimi recenti strascichi dello scandalo Telecom, inoltre, sono
un'indicazione di come l'attuale governo Berlusconi non sia interessato per il momento a 'nascondere
sotto il tappeto' lo scandalo, semmai il contrario.
OB: Da un po' di tempo a questa parte ti sei occupato in modo particolare di economia, seguendo le
privatizzazioni, i flussi economici, le borse dei Balcani, ecc. Hai visto in quest'ultimo anno in Serbia altre
vicende controverse come lo è quella legata alla Telekom?
Ferrario: La vicenda Telekom appartiene a un'altra epoca, quella di Milosevic. Gli affari controversi
continuano a essere all'ordine del giorno nei Balcani, ma segnalerei per la sua valenza politica un altro
scandalo, quello della Jugoimport, uno scandalo direttamente legato al nuovo corso della politica
mondiale e in particolare a quella statunitense. La Jugoimport è un colosso dell'economia serba, dedito
all'import-export di armamenti. Ne hanno sempre fatto parte alti esponenti di governo, il suo consiglio di
amministrazione attualmente è presieduto dal ministro degli interni Dusan Mihajlovic, fino a poco tempo
fa ne faceva parte l'attuale premier Zivkovic. Nell'autunno scorso è scoppiato uno scandalo, in seguito
alla documentata vendita di armi da parte della Jugoimport all'Iraq, in violazione dell'embargo ONU, fino
all'estate del 2002. Il traffico illegale di armi era organizzato dalla stessa Jugoimport e dalla Orao, una
società serbo-bosniaca. L'azienda serba ha una lunga esperienza di vendita in Iraq e in genere nel Medio
Oriente. Su pressioni degli Stati Uniti, è stata creata una commissione di inchiesta su tale scandalo,
commissione della quale facevano parte gli stessi Mihajlovic e Zivkovic, i quali naturalmente hanno
insabbiato le indagini, limitandosi ad affermare che tali traffici di armi non si verificheranno più. In Bosnia
invece la vicenda ha avuto strascichi fino al mese scorso e ha portato alle dimissioni di importanti militari
e politici, tra i quali il rappresentante serbo nella presidenza collegiale bosniaca. Riguardo alla Serbia, il
voltafaccia degli Stati Uniti è stato incredibile e solo un mese e mezzo dopo lo scandalo, in dicembre, il
direttore della Jugoimport (tra l'altro, ex membro dei servizi segreti di Milosevic) si recava a Washington
per firmare un accordo di collaborazione con gli USA. A fine marzo Powell si è recato in visita a Belgrado,
in piena guerra, dichiarando il proprio entusiasmo per il governo di Zivkovic, diventato nel frattempo
premier. Dopo alcune settimane sono stati firmati svariati accordi economici e, soprattutto, Bush in
persona ha emesso un decreto in base al quale gli Stati Uniti potranno riprendere le vendite di armi alla
Serbia, considerato paese amico e importante per gli interessi nazionali degli USA. Infine è giunta la
notizia più clamorosa: sarà la Jugoimport a coordinare le aziende serbe che parteciperanno alla
ricostruzione in Iraq! Si tratta di un'altra vicenda che dimostra chiaramente il nesso costante tra grandi
affari (anche illeciti) e politica internazionale.
Intervista a cura di Luka Zanoni
LA DIFESA DI ALCUNI PROTAGONISTI:
LAMERTO DINI: " Anche se il governo avesse saputo, all’inizio del ’97 non c’era alcuna ragione per la
quale si sarebbe dovuto fermare una societa italiana in procinto di acquistarne una serba. La questione
del Kosovo, infatti, e scoppiata 18 mesi dopo. All’inizio del ’97, Milosevic era un interlocutore gradito
all’Occidente: era un artefice dell’accordo di Dayton e anche gli Usa si sforzavano di aiutarlo" (Corriere
della Sera, 11 maggio 2003)
ROMANO PRODI: " Un aiuto ad un regime criminale? No. L'operazione Telekom Serbia è del 1997. La
guerra del Kosovo è di due anni dopo. La firma del contratto per l'acquisto della partecipazione in
Telekom Serbia avvenne il 10 giugno 1997, in un periodo di progressiva normalizzazione dei rapporti con
la Serbia. Con gli accordi di Dayton del 21 novembre 1995 di cui lo stesso Milosevic era stato uno dei
firmatari e che, nel sancire il nuovo assetto costituzionale della Bosnia Erzegovina, costituivano un vero
trattato di pace, si era aperta nei confronti della Serbia, dopo gli anni del conflitto in Bosnia e, prima
ancora, di quello in Croazia, una stagione di rinnovato dialogo. Il 1° ottobre 1996, otto mesi prima della
conclusione dell'operazione Telekom Serbia, il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite aveva revocato le
sanzioni economiche contro Belgrado. All'inizio del 1997 Italia e Serbia conclusero due accordi per evitare
la doppia imposizione fiscale e per la tutela e la promozione degli investimenti. In questo contesto, molte
imprese occidentali, e numerose in particolare del settore delle telecomunicazioni, guardarono con
interesse al mercato che si stava riaprendo. Nella nuova situazione politica non c'erano, da parte né dei
governi europei né di quello americano, obiezioni di ordine politico a una ripresa degli investimenti.
Questa, nel quadro di una politica tesa ad aiutare la Serbia a ritrovare la strada della democrazia e dello
sviluppo, era anche la posizione del governo italiano. Qualificare un investimento nella Serbia del 1997
come "aiuto ad un regime criminale" e come finanziamento "del genocidio di un popolo" sulla base delle
responsabilità di Belgrado nel conflitto con il Kossovo di due anni dopo costituisce, prima e più ancora che
un inaccettabile metodo di polemica politica, un falso storico. (Repubblica, 8 settembre 2003)
MASSIMO D'ALEMA: " E’ stato montato un caso che non esiste. E’ ora di finirla con questa campagna
scandalistica". (Corriere della Sera, 10 settembre 2003)
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