Il calcestruzzo è il prodotto di una miscela di acqua, cemento ed

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Il calcestruzzo è il prodotto di una miscela di acqua, cemento ed
Il Calcestruzzo
Il calcestruzzo è il prodotto di una miscela di acqua, cemento ed aggregati opportunamente dosati tra di loro.
Esso è dunque un materiale composito in cui la pasta di cemento costituisce la matrice e gli aggregati le fibre
disperse. Il calcestruzzo come è inteso ai nostri giorni è un materiale relativamente moderno, in quanto
comprende tra i prodotti di partenza il cemento, che è stato ottenuto per la prima volta all’inizio dell’ottocento.
Il calcestruzzo armato contiene in più le barre in acciaio al carbonio che, opportunamente distribuite al suo
interno, conferiscono al prodotto finale resistenze meccaniche talmente elevate da consentire la realizzazione
di strutture che in natura sono assimilabili solamente ai monoliti; esso è quindi un composito che ha, oltre alle
fibre diffuse, anche le fibre continue. Oggidì ai componenti tradizionali sopra citati vengono aggiunti anche
additivi di varia natura che modificano in qualche modo le proprietà del prodotto finale oppure consentono di
lavorare al meglio la miscela di partenza. Il cemento, secondo la definizione della norma europea, è un
materiale inorganico finemente macinato che, mescolato con acqua, forma una pasta che rapprende e
indurisce a seguito di reazioni e processi di idratazione e che una volta indurita mantiene la sua resistenza e
stabilità anche sott’acqua. Il cemento rientra dunque nella categoria dei cosiddetti leganti idraulici, di cui fanno
parte anche le calci idrauliche, oggi pochissimo usate, che possono essere considerate a buon diritto
antesignane dell’attuale cemento. La calce idraulica propriamente detta è stata prodotta industrialmente fin
dal 1700 per riscaldamento a circa 900 - 1000 °C di una marna calcarea naturale, il cui contenuto di argilla
consente di ottenere una miscela di ossidi di calcio, allumina e silice; questi, combinandosi tra loro formano
prodotti in grado di indurire una volta miscelati con acqua e di mantenere caratteristiche meccaniche
soddisfacenti anche sott’acqua. Tra i cementi, il Portland è quello di gran lunga più noto e utilizzato; esso è
ottenuto macinando il clinker e aggiungendo nel mulino stesso gesso biidrato. Il clinker è dal punto di vista
morfologico un insieme di sferette irregolari di diametro compreso tra 3 e 25 mm, e dal punto di vista chimico
una miscela di silicato bicalcico (C2S), silicato tricalcico (C3S), alluminato tricalcico (C3A), ferroalluminato
tetracalcico (C4AF) e altri componenti minori, tra i quali gli ossidi di sodio e di potassio rivestono grande
importanza ai fini dell’ambiente che sono in grado di creare nel prodotto finale. Il clinker viene ottenuto per
cottura ad elevata temperatura, in lunghi forni rotanti pressoché orizzontali, di una miscela di calcare e argilla
in proporzioni opportune. Il rapporto tra i materiali di partenza governa il rapporto tra i quattro costituenti del
clinker sopra citati e quindi le proprietà del prodotto finale. Le principali reazioni che avvengono all’interno del
forno sono riportate schematicamente nella tabella seguente:
Principali reazioni che avvengono nel forno di produzione del cemento Portland
Nota: l’acqua (vapore) e l’anidride carbonica si allontanano insieme ai fumi di combustione
Il gesso che viene aggiunto all’atto della macinazione del clinker deve essere rigorosamente solfato di calcio
biidrato e serve come regolatore del processo di presa. Oltre al cemento Portland, vengono largamente usati
altri leganti idraulici denominati cementi di miscela, che contengono altri materiali inorganici che hanno la
capacità di partecipare alle reazioni di idratazione (aggiunte minerali). Le aggiunte principali sono i materiali
pozzolanici e le loppe di altoforno granulate. I materiali pozzolanici maggiormente utilizzati sono la pozzolana
propriamente detta, prodotto naturale, la cenere di carbone, detta cenere volante, e la microsilice, detta fumo
di silice. Tutti questi materiali hanno la caratteristica di essere molto reattivi grazie alla struttura amorfa ed
alla elevata superficie specifica. L’inizio del fenomeno, denominato presa, si ha quando la pasta perdendo la
sua plasticità diventa meno lavorabile, mentre la fine della presa corrisponde alla completa solidificazione. Al
termine della presa l’idratazione dei prodotti che non hanno ancora reagito con l’acqua prosegue per un tempo
indefinito, periodo di indurimento, con un corrispondente aumento delle caratteristiche meccaniche
dell’impasto. I diversi costituenti del clinker reagiscono in modo vario con l’acqua: il C3A ad esempio ha una
velocità di reazione molto elevata e pertanto la sua presenza tal quale comporterebbe una solidificazione
immediata della pasta, con conseguente diminuzione della plasticità e quindi della possibilità di lavorare la
pasta stessa. Questo è il motivo per cui è necessario addittivare il clinker con il gesso, che blocca l’attività
superficiale dei granuli di alluminato attraverso la formazione di un composto, ben noto a chi si occupa del
calcestruzzo, che è l’ettringite, alluminosolfato di calcio idrato. La reazione del C3A con il gesso avviene con
aumento considerevole di volume, ma questo fatto è del tutto privo di conseguenze all’atto della formazione
dell’impasto, mentre provoca seri inconvenienti quando la reazione ha luogo, ad opera delle acque solfatiche,
per il calcestruzzo già indurito.
Degrado chimico
ALCALI – AGGREGATI
La reazione alcali-aggregati ha luogo tra gli ioni ossidrili presenti nella soluzione dei pori e alcuni tipi di
aggregati silicei particolarmente reattivi. La concentrazione di ossidrili, e quindi il pH, dipendono fortemente
dal contenuto di alcali (sodio e potassio) nel cemento utilizzato per l’impasto: mentre infatti l’idrossido di
calcio è presente nei pori in forma cristallina, gli idrossidi di sodio e potassio rimangono in soluzione,
conferendo carattere vieppiù alcalino alla soluzione dei pori. Il quarzo è la più diffusa forma di silice e presenta
un reticolo cristallino molto ordinato, e dunque poco incline a reagire; l’opale all’opposto ha il reticolo più
disordinato e quindi la massima reattività con le soluzioni ad elevata alcalinità. I prodotti della reazione alcaliaggregati sono costituiti da silicati alcalini gelatinosi che rigonfiandosi provocano la formazione di fessure e
distacchi superficiali; le fessurazioni dovute alla reazione alcali-aggregati hanno un tipico aspetto a ragnatela e
sono quindi facilmente distinguibili da quelle dovute a corrosione dei ferri di armatura, che viceversa seguono
rigorosamente il percorso delle barre.
Le condizioni che devono verificarsi per avere questo tipo di danneggiamento sono:
• la presenza di aggregati reattivi
• elevato pH della soluzione dei pori
• presenza di ambiente particolarmente umido
• presenza di una notevole quantità di idrossido di calcio nella pasta di cemento
La presenza di reazione alcali-aggregato in atto è evidenziata, dall’esame visivo, dalla presenza di fessurazioni
distribuite in forma di ragnatela, al cui interno è quasi sempre visibile una sostanza biancastra gelatinosa.
Allorché gli aggregati reattivi si trovino nel calcestruzzo sotto forma di piccoli granuli è visibile l’espulsione di
una porzione di quest’ultimo intorno ai granuli (pop-out); in questo caso un’analisi di laboratorio può
escludere, in assenza di solfati, l’attacco da solfati e chiarire invece il fenomeno se si evidenzia la presenza di
silice amorfa, ad esempio mediante diffrattometria a raggi X.
ATTACCO DA SOLFATI
Quando il calcestruzzo è in contatto con acque o terreni contenenti solfati oppure con atmosfere ricche di
anidride solforosa o solforica, queste sostanze possono diffondere al suo interno e reagire con alcuni dei
prodotti presenti nella pasta cementizia.
Le reazioni più comuni che si possono svolgere sono le seguenti:
(si ricorda che C3A è l’alluminato tricalcico 3CaO.Al2O3)
Le tre reazioni sopra riportate hanno in comune il fatto che i tre prodotti finali sono più voluminosi di quelli di
partenza; pertanto si hanno, all’interno del calcestruzzo in cui sono penetrati i solfati, dei rigonfiamenti più o
meno pronunciati che provocano la fessurazione del calcestruzzo stesso.
ATTACCO DA SOLFURI
I solfuri sono per lo più presenti nei terreni, ad esempio come solfuro di ferroso FeS, o nelle acque di scarico.
Nei terreni ricchi in pirite e aerati possono avvenire le seguenti reazioni: Laddove il terreno si trova
permanentemente nella falda acquosa le reazioni sopra riportate sono molto meno probabili. Risulta
evidentemente il tipo di degrado che acidi come il solforico ed il carbonico possono provocare nel calcestruzzo.
Le acque di scarico che contengono idrogeno solforato provocano un attacco del tutto simile in quanto l’H2S si
trasforma in acido solforico grazie all’ossigeno dell’aria e questo è il motivo per cui il danneggiamento avviene
prevalentemente alla superficie di separazione acqua/aria.
Per minimizzare l’attacco dovuto all’acido solforico generato dall’ossidazione dei
ATTACCO DA ACQUE CONTENENTI ANIDRIDE CARBONICA
Nello strato più esterno del calcestruzzo l’idrossido di calcio liberato dalle reazioni di idratazione dei costituenti
del clinker reagisce con l’anidride carbonica contenuta nell’aria per dare carbonato di calcio, prodotto
pressoché insolubile che contribuisce al riempimento dei pori e a rendere quindi ancor più impermeabile la
matrice del calcestruzzo. A contatto con l’acqua però può accadere che, in funzione della composizione di
quest’ultima si possa verificare la reazione seguente:
Con la conseguente trasformazione di un composto insolubile in uno solubile e quindi dilavabile da parte
dell’acqua a contatto con il calcestruzzo. I pori vengono quindi svuotati e disgregati dall’acqua in movimento.
Il fenomeno di degrado dovuto all’attacco da parte delle acque contenenti anidride carbonica è strettamente
legato, come sopra accennato, alla qualità e quantità dei sali e dei gas presenti nell’acqua stessa; in altre
parole non è solamente il contenuto di anidride carbonica che determina l’evoluzione della reazione di
dissoluzione del carbonato di calcio, ma intervengono anche il contenuto di bicarbonati e di altri sali solubili, il
pH, la temperatura, la concentrazione del calcio; potrebbe al limite accadere che in acque contenenti anidride
carbonica la reazione sopra indicata si svolga in senso opposto a quello indicato e si abbia quindi
precipitazione di carbonato di calcio anziché la sua dissoluzione.
DEGRADO DEI FERRI DELL’ARMATURA
La corrosione dei ferri di armatura rientra tra i fenomeni di corrosione a umido, di
natura prettamente elettrochimica. Essa è riconducibile al funzionamento di micro e macropile che
obbediscono alle leggi di Faraday; nelle zone anodiche si ha l’ossidazione del metallo ed in quelle catodiche
si ha la riduzione dell’ossigeno o dell’acqua.
Normalmente all’interno del conglomerato cementizio viene a crearsi, a seguito delle reazioni di idratazione del
legante, un ambiente fortemente basico, con valori di pH superiori a 12 e spesso intorno a 13. Questo
ambiente favorisce in modo netto la formazione sul ferro di una pellicola sottilissima di ossidi che protegge il
metallo da ulteriori attacchi ossidativi: questo fenomeno viene denominato passivazione del ferro, ha
caratteristiche dinamiche e pertanto comporta una “corrosione” che si svolge con velocità molto bassa, più o
meno costante, e corrisponde ad un consumo di materiale annuo inferiore a 1 – 2 μm di spessore, valori del
tutto trascurabili ai fini della durata dell’opera (in 1000 anni si perderebbero 1-2 mm di spessore).
Allorché il pH in prossimità dei ferri di armatura viene ad abbassarsi in maniera generalizzata o localizzata si
verifica un aumento considerevole della velocità di corrosione, che può portarsi anche a diverse decine di
μm/anno e anziché formarsi uno strato sottile di ossidi protettivi si ha la formazione di prodotti di corrosione
tipo ruggine, che hanno l’inconveniente di occupare un volume considerevolmente maggiore (5-6 volte) di
quello del metallo da cui sono stati generati. Cosicché, all’interno di un materiale poco elastico come il
conglomerato cementizio, l’aumento di volume genera in poco tempo la formazione di fessure e favorisce in tal
modo l’ulteriore ingresso di agenti aggressivi, con aumento esponenziale dei fenomeni di corrosione. Le cause
più comuni dell’abbassamento del pH e del conseguente attacco dell’armatura sono essenzialmente due: la
carbonatazione e l’ingresso di cloruri.
CARBONATAZIONE
La carbonatazione del calcestruzzo avviene a seguito della reazione chimica fra l’anidride carbonica contenuta
nell’atmosfera e i prodotti di idratazione dei leganti. Normalmente il contenuto di anidride carbonica nell’aria è
pari allo 0.03%; in particolari situazioni, quali ad esempio nelle gallerie o nei parcheggi al chiuso, la
concentrazione può localmente salire fino al 3%. I principali composti idratati della pasta di cemento, il più
comune dei quali è il silicato di calcio idrato, oltre che naturalmente l’idrossido di calcio liberato nel corso delle
reazioni di idratazione, reagiscono con l’anidride carbonica per dare carbonato di calcio e gel di silice. In modo
molto semplificato si può schematizzare la reazione principale come segue:
Analogamente gli altri alcali contenuti in piccolissime quantità nella soluzione dei pori (soda, potassa) si
combinano con l’anidride carbonica a dare carbonato di sodio e di potassio. Tutte queste reazioni hanno
bisogno della presenza di acqua. Il meccanismo d’attacco dei cloruri sull’armatura è abbastanza complesso ed
è simile a quello che gli stessi ioni sono in grado di provocare sugli acciai inossidabili. L’innesco implica la
perforazione della pellicola protettiva di ossidi che si è formata spontaneamente in ambiente fortemente
alcalino, mentre la propagazione dell’attacco viene stimolata dalla reazione di idrolisi del cloruro di ferro
formatosi, che provoca la formazione locale di acido cloridrico:
Questo
tipo
di
corrosione
localizzata
viene
comunemente denominato vaiolatura o pitting e
comporta, come si è visto, l’abbassamento sensibile del
pH e quindi un consumo di ferro autostimolante.
Naturalmente le possibilità di innesco e la velocità di
propagazione del fenomeno sono strettamente legate
alla concentrazione dei cloruri. Nella Fig. 10 è
rappresentato schematicamente l’attacco da cloruri nei
confronti dell’armatura; è ovvio che mano a mano che i
cloruri penetrano all’interno del copriferro la morfologia
passa da fortemente localizzata a generalizzata e
pertanto i ferri soggetti ad attacco da cloruri da lungo
tempo appaiono corrosi pressoché uniformemente,
anche se l’innesco è stato inizialmente fortemente
localizzato.
Fig. 10 Modello semplificato dell'attacco da cloruri dell'armatura
ALTRI TIPI DI ATTACCO CHIMICO
Nel caso di attacco da parte di acque aggressive vi è l’impossibilità di evidenziare i prodotti di reazione in
quanto questi sono comunque presenti anche nel calcestruzzo non degradato; pertanto l’unico modo di
diagnosticare questo tipo di degrado consiste nell’esame visivo: il dilavamento del calcestruzzo superficiale
con messa a nudo degli aggregati in misura più o meno marcata è in genere sintomo di degrado da attacco da
parte di acque aggressive.