Il numero analisi di un nodo concettuale

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Il numero analisi di un nodo concettuale
Il numero
analisi di un nodo concettuale
di
L. Alessandrini G. Bolondi M. Iannelli
"E' senza dubbio un pregiudizio credere che le nozioni più semplici e
conquistate più anticamente dall'umanità siano anche quelle di cui è più
facile ricostruire la genesi e determinare la natura"
(Leon Brunschwicg, 1912)
"E' maledettamente idealista, continui, quel che mi racconta."
"Vuole dire realista: i numeri sono delle realtà. Esistono i numeri!
Esistono come questo tavolo, più di questo tavolo eterno esempio dei
filosofi, infinitamente più di questo tavolo bang!"
"Non potreste fare un po' meno fracasso," disse il cameriere.
"Chi le ha chiesto qualcosa," disse Saxel.
"Si sente solo voi qui," disse il cameriere.
(R. Queneau "Odile", 1937)
1- Un nodo concettuale intricato. 2- Senso comune, dizionari, enciclopedie. 3- L'osso
del pastore. 4- Le caramelle di Giovanni. 5- I bottoni e i bicchieri di Piaget. 6Regina o pomodoro? 7- Il gioco di Cantor e quello di Peano. 8- Oltre i naturali. 9Che si fa con i numeri? 10- Bibliografia. 11- Ancora due parole.
1. Un nodo concettuale intricato.
Che i numeri siano una realtà, come il protagonista del romanzo di Queneau
afferma, battendo un concretissimo pugno sul tavolo che gli sta di fronte, non è cosa
evidentissima anche se moltissimi interlocutori si dichiarerebbero d'accordo
sull'affermazione. E' piuttosto sulla natura di questa realtà che ci si troverebbe in
imbarazzo a prendere posizione e ben risulta pertinente la citazione da Leon Brunschwicg
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che abbiamo riportato. Di fatto le parole di Brunschwicg descrivono perfettamente il
problema che ogni insegnante di scuola dell'infanzia o elementare incontra quando vuole
parlare di "numeri" a bambini di 5 o 6 anni. Cosa sono i numeri? Quale è la natura di
questo concetto che io - adulto - uso quasi senza pensare, e che invece il bambino, posto
di fronte a situazioni "semplicissime", dimostra di non padroneggiare?
Effettivamente, si fa presto a dire "numero" ma più difficile è rendere conto della
complessità del concetto che nasce dall'incontro di aspetti diversi e si presta a differenti
letture interpretative. D'altra parte, come un nodo, appunto, che, generato dall'intrico dei
fili che lo compongono è tuttavia altro dai singoli fili componenti, il concetto di numero
esprime, nella sua definizione assiomatica, un senso che va oltre la giustapposizione delle
singole istanze che lo hanno generato.
Così, volendo presentare un'introduzione che abbia una sua utilità nella didattica,
in questo fascicolo cerchiamo di analizzare i diversi aspetti che concorrono alla genesi del
concetto di numero per distinguerli dalla "definizione" matematica che invece cerchiamo di
ottenere come punto di arrivo e conquista finale di un processo costruttivo. Altrove ci
occuperemo di una presentazione più completa e dettagliata del concetto dal punto di vista
della matematica, così come delle attività didattiche ispirate alla presente analisi; questo
primo passo introduttivo ha comunque una sua compiutezza e una sua ragione che
rendono significativa la sua diffusione nella forma in cui lo proponiamo.
2. Senso comune, dizionari, enciclopedie.
Cosa sono, dunque, i numeri nel pensiero comune? Dopo aver tolto subito di
mezzo l'equivoco (pure molto diffuso) per cui il numero è una parola ("uno, due, tre..."),
o un simbolo ("1, 2, 3,..."), osserviamo che, per la maggior parte delle persone i numeri
sono le "entità" con cui si "contano" gli oggetti. E in effetti il saper contare è
generalmente considerata una abilità comune, posseduta dalla totalità degli individui delle
popolazioni civilizzate, anche dagli analfabeti. Naturalmente ci potranno essere persone
che non conoscono l'uso dei simboli, o gli algoritmi per effettuare le operazioni, ma ciò
non toglie che anche gli strati più incolti di una popolazione sappiano "contare" gli
oggetti con cui hanno a che fare, eventualmente aiutandosi con strumenti rozzi di
conteggio. Questo potrebbe far pensare che i numeri siano "innati", così come è innato il
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fatto di usare la voce per esprimersi o gli arti per muoversi, e che siano presenti nella
forma che conosciamo nella mente di ogni essere umano.
Questi enti che "servono per contare" appaiono infatti così connaturali
all'uomo e al suo pensiero che non a caso sono stati chiamati dai matematici "numeri
naturali"; e solo molto tardi, alla fine del secolo scorso, i matematici professionisti
hanno provato il bisogno di darne una definizione rigorosa: quando tutto l'edificio della
matematica era scosso da una profonda crisi, detta crisi dei fondamenti. Tra i
fondamenti messi in crisi c'era proprio il concetto di numero naturale e, ancora non per
caso, proprio nello stesso periodo, durante la stessa "crisi", è emerso nella matematica un
altro concetto destinato ad imporsi come "primitivo": quello di insieme. In effetti, la
frase di Leon Brunschwicg fu proprio scritta quando ci si rese conto che quella crisi aveva
rivoluzionato il modo abituale di fare (e pensare) la matematica tanto che il filosofo, nello
studiare le tappe del pensiero matematico, identifica nella formazione del concetto di
numero (naturale), il primo grande passo del pensiero umano verso l'astrazione.
Tutti dunque sappiamo contare, ma ci sarebbe difficile dire, ad esempio, che cos'è
il 5. Un modo per tentare di "definire" il 5 potrebbe essere quello di guardare a "ciò che
hanno in comune le dita di una mano, di un piede, i giorni lavorativi della settimana
corta, i punti racchiusi tra le seguenti parentesi graffe {. . . . . }, le lettere racchiuse tra
le seguenti parentesi quadre [ C F U H L ], etc...". Naturalmente bisognerebbe
prolungare la lista a tutti gli insiemi che hanno cinque elementi, e astrarre da essa
l'essenza della "cinquità". L'idea è in un certo senso corretta ma il problema si sposta
sulla definizione del procedimento attraverso cui identificare "ciò che hanno in comune
...". La questione fu approfondita dal matematico G. Cantor (di cui parleremo più avanti),
fondatore della teoria degli insiemi, che sviluppò in tale ambito una "teoria dei numeri
transfiniti" di cui i numeri naturali sono un caso particolare.
Si vede dunque che la teoria matematica prende le mosse dal "senso comune" e
cerca di rispondere a esigenze cognitive molto naturali. Contemporaneamente però, si
osserva anche che l'idea di base che cerca di cogliere la "cinquità" si riferisce ad un solo
aspetto della "natura" del numero e non esaurisce tutte le possibilità d'uso del "cinque": ad
esempio, lascia in ombra completamente (almeno all'inizio) l'aspetto ordinale del
numero.
Questo aspetto può, a buon diritto, essere considerato altrettanto "primitivo" che
quello cardinale. Individuare la posizione di un elemento in una sequenza ordinata è una
operazione di base, concettualmente distinta da quella di misurare la quantità di un insieme
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discreto. E per dare alla parola "primitivo" una colorazione antropologica, potremmo
ricordare che esistono popolazioni che non usano dare nomi ai figli, e semplicemente
usano -in tutte le famiglie- soltanto l'equivalente del nostro "Primo, Secondo, Terzo....".
Anche quest'aspetto è stato approfondito, ed anche in questo caso ciò ha portato
allo sviluppo di una teoria matematica, o meglio ad una particolare sistemazione e
formalizzazione della teoria matematica dei numeri naturali.
Vale allora la pena continuare ancora a ricercare cosa siano i numeri nel linguaggio
e nell'uso comune, per poi tentare di precisare il concetto in senso matematico. A questo
scopo, scegliamo come punto di partenza un luogo ufficiale: un dizionario della lingua
italiana che, per sua natura, dovrebbe essere in grado di parlare a chiunque. Dice lo
Zingarelli:
Delle due definizioni che troviamo la prima è troppo vaga tanto che ... non
significa nulla (c'è da chiedersi cosa comunichi al lettore, visto che non viene spiegato in
che senso il numero caratterizzerebbe un insieme), la seconda è più precisa, ma non dice
nulla al lettore comune (anche se evoca nozioni in qualche modo note: operazioni,
proprietà commutativa ...). La seconda definizione, comunque, mette in guardia nei
confronti della possibile confusione tra numero e sua rappresentazione; inoltre
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implicitamente lo definisce come "l'oggetto dell'aritmetica", e questo è un punto
cruciale oltre che corretto, che riprenderemo in seguito.
Per saperne di più (abbiamo bisogno di qualche spiegazione che getti luce sulla
seconda definizione che appare più tecnica) prendiamo l'Enciclopedia Italiana: qui
troviamo una voce (scritta nel 1936), curata da un matematico di fama (Federigo
Enriques), che rinuncia, in un primo tempo, a darne una definizione, e presenta il concetto
di numero tracciandone la storia. Anche altre enciclopedie più tecniche (del tipo
"Encyclopaedia of Mathematics", Reidel - Kluwer Academic Publishers) ci forniscono un
excursus di tipo storico. Sembra quindi necessario, quando si voglia "afferrare" il
concetto di numero, cercare di ripercorrere non solo le tappe del pensiero di ogni singolo
uomo (ontogenesi), ma anche le le tappe del pensiero umano (filogenesi).
Ma come esplorare queste questioni, come fare luce nella notte dei tempi e come
riuscire a guardare dentro quel sistema delicatissimo e in tumultuosa evoluzione che è il
bambino? Vorremmo indagare su come tale concetto si è formato lungo la storia della
civiltà (anzi, le storie delle civiltà), con tutte le sue generalizzazioni e innumerevoli
applicazioni; e vorremmo capire come si forma, si costruisce, o si scopre, e attraverso
quali tappe, nella vita di ogni uomo.
Naturalmente è proprio riflettendo sulla enormità di questa impresa che si
comprende appieno la frase di Brunschwicg; d'altra parte, se per un verso non possiamo
accontentarci di una nozione mal fondata su un generico "senso comune", per un altro
verso anche la nozione matematica rigorosa non ci può soddisfare perché costituisce
piuttosto il punto di arrivo di un processo alla cui analisi concorrono varie discipline.
Per indagare tali questioni è necessario ricorrere a fonti inevitabilmente indirette ed esterne
alla matematica, per la cui interpretazione sono richieste una serie di ipotesi di tipo
filosofico, che sono in generale abbastanza comunemente accettate. Le discipline che
possono aiutare sono l'etnografia, la linguistica, la psicologia infantile, in misura
minore l'etologia .
Usare l'etnografia vuol dire cercare di comprendere come viene affrontato un
problema (nel nostro caso, quello di contare) dalle popolazioni primitive, che spesso
adottano procedure meno efficaci delle nostre. A partire da questi dati si cerca per analogia
e per estensione di ricostruire cosa è successo negli stadi più antichi delle civiltà che, come
la nostra, hanno elaborato sistemi più complessi, e come questa evoluzione si è messa in
moto. Naturalmente, non bisogna supporre a priori che fenomeni e manifestazioni di
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culture, lontane tra di loro nel tempo e nello spazio, debbano necessariamente disporsi in
un'unica successione ordinata.
Quando si usa la linguistica (applicata soprattutto ai linguaggi dei primitivi) si
cerca di usare il linguaggio come una finestra sui processi mentali attraverso cui l'uomo
riesce ad avvicinarsi a concetti astratti, quali i numeri.
Anche la psicologia infantile è centrale nello studio del concetto di numero. Un
bambino si trova ad affrontare molte situazioni e problemi che noi sappiamo ricondurre
alla nozione di numero; li affronta e li risolve (in modo spesso errato), e le sue azioni
possono aiutarci a ricostruire la genesi e lo sviluppo di una maturazione che lo porterà a
condividere con noi la nozione di numero. In questo caso come nel precedente si cerca (si
pretende?) di capire il comportamento della mente umana, "spogliata" il più possibile dalle
influenze esterne, per vedere in definitiva come si origina il procedimento di astrazione
che è alla base del concetto di numero.
Usare l'etologia, con grande cautela metodologica, vuol dire capire quali
comportamenti numerici presenti negli animali hanno un analogo nell'uomo e sono quindi
legati a fatti puramente biologici o genetici.
3. L'osso del pastore
Uno strano reperto archeologico preistorico, frequente in quasi tutto il mondo, è
l'osso intagliato: è un osso di animale su cui una mano umana ha segnato delle tacche.
A cosa servivano questi ossi intagliati? Lo scopriamo guardando l'uso che ne fanno
ancora adesso molte popolazioni dell'Africa, dell'America e dell'Australia: servono a
"contare". Sono usati a questo scopo anche da popolazioni o singole persone che non
posseggono il concetto di numero così come lo intendiamo noi.
La tecnica è semplicissima, "naturale": facendo uscire il gregge dall'ovile il pastore
segna una tacca sull'osso per ogni pecora che esce; quando poi dovrà controllare se sono
tutte rientrate nell'ovile farà scorrere il dito sull'osso facendosi passare davanti le pecore
ad una ad una. Anticipando un fenomeno che si presenta nei comportamenti del bambino,
possiamo dire che fino a quando le pecore sono poche il pastore probabilmente sa
riconoscere con un colpo d'occhio se ci sono tutte; oltre un certo numero non gli è più
possibile. Alcuni esperimenti con animali (con tutte le limitazioni di cui s'è detto), danno
lo stesso risultato: una gatta si accorge che manca uno dei nuovi nati se il gruppo
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complessivo è composto da quattro o cinque piccoli, ma non se il gruppo è più numeroso.
Ci sono dei limiti oggettivi, per ogni specie animale, alla capacità di "quantificare" in
modo immediato le percezioni.
L'osso è uno strumento molto comune, ma c'è chi usa insiemi di sassolini,
conchiglie, bastoncini, persino escrementi secchi: i racconti dei primi viaggiatori venuti a
contatto con popolazioni "primitive" abbondano di osservazioni di questo genere.
La prima considerazione che viene naturale è che all'origine stessa dei tentativi di
conteggio fatti dall'uomo, nella sua evoluzione culturale, c'è l'idea di corrispondenza
biunivoca (che riprenderemo nel paragrafo 7). Ancor prima di avere elaborato l'idea di
numero, e ben prima di averne l'espressione linguistica o grafica, l'uomo riusciva a
contare. I primi "simboli scritti" che ci hanno lasciato i nostri antenati sono quelle tacche,
e sono essenzialmente simboli di numeri. Con una analogia non dimostrabile ma
affascinante e verosimile siamo portati a pensare che anche nei bambini, nella loro
scoperta dei numeri, la corrispondenza biunivoca debba giocare un ruolo fondamentale.
Una seconda considerazione è di natura più generale: la prima espressione del
pensiero umano di cui abbiamo traccia è, in definitiva, un tentativo di astrazione.
Sostituire un segno alle pecore (o alle fasi lunari, o agli animali uccisi,....) corrisponde a
risolvere un problema (quello di sapere se il gregge c'è tutto!) spogliandolo di tutte le
"contingenze" non essenziali per la sua risoluzione (il fatto che siano pecore o
montoni!) per conservarne solo i dati essenziali.
Alcune popolazioni primitive non hanno nomi per i numeri: hanno un termine per
dire "un uomo", "due uomini", oppure "un sasso" "due sassi", ma non un unico termine
per "uno" , oppure per "due". E infatti non sanno contare, almeno nel significato che noi
diamo a questo termine. Invece, ad un certo punto della loro storia, i pastori della
Mesopotamia si sono accorti che con lo stesso metodo, gli stessi segni -l'osso intagliato,
o il sacchetto di sassolini- risolvevano il problema di contare le pecore che uscivano per il
pascolo ed il problema di contare le provviste accumulate. Avevano cioè individuato
qualcosa di comune a due situazioni diverse. Nel momento in cui si prende coscienza di
questo "qualcosa di comune" e lo si identifica come un qualcosa avente una propria
entità inizia l'astrazione.
Qui l'astrazione porta a due risultati: a formulare l'idea di numero, e a formulare la
risoluzione del problema del contare (attraverso lo schema della corrispondenza
biunivoca).
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Una volta che il pastore ha "imparato" a contare attraverso l'osso intagliato, da
solo o perché glielo ha insegnato il padrone delle pecore, può farlo, usando questo
potentissimo strumento, senza dover ogni volta convincersi della sua efficacia, e senza
dover ogni volta riscoprirlo costringendosi a prendere coscienza di tutto quello che vi sta
dietro.
Noi ormai "contiamo" quasi senza pensare, ma non per questo contiamo male o
peggio del pastore babilonese; e quel gesto che all'epoca fu un grande balzo in avanti per
la civiltà umana, e che probabilmente costò al pastore un grande sforzo intellettivo, è
ormai completamente assorbito ed integrato negli automatismi della vita quotidiana. E
proprio quel gesto di operare una corrispondenza biunivoca si ripete in tantissime
circostanze: la maestra sa che i bambini sono tutti dentro l'aula quando vede che tutte le
sedie sono occupate; l'autista dell'autobus sa di avere 45 persone a bordo quando vede
ogni posto occupato da una persona; la suora sa che ha detto 50 AveMaria quando ha
finito di passare il dito sui grani della corona del rosario, e tutto questo senza contare; la
mente è quindi libera e pronta a dedicarsi ad altre elaborazioni.
4. Le caramelle di Giovanni
Abbiamo già detto che il pastore, protagonista del primo evento che in una
interpretazione suggestiva dei segni del passato costituisce il primo passo verso
l'acquisizione del concetto di numero, non aveva probabilmente bisogno del suo osso
intagliato per controllare una quantità limitata di pecore. Se ora prendiamo in
considerazione un bambino di tre-quattro anni e, di fronte a due o tre caramelle, gli
chiediamo quante siano, probabilmente risponde in modo corretto, a colpo d'occhio,
senza bisogno di contarle. Lo stesso bambino mostrerà di sapere "recitare", come fosse
una filastrocca, i nomi dei numeri nel loro ordine giusto, fino al cinque ed oltre. Ma
ancora lo stesso (che a questo punto chiameremo Giovanni), se gli verrà chiesto di contare
le tre caramelle già considerate, non necessariamente sarà in grado di compiere
l'operazione in modo corretto.
Queste osservazioni, che chiunque può facilmente verificare, mostrano che il
bambino di tre-quattro anni, pur mostrando di saper praticare attività che attengono al
concetto di numero, non possiede di fatto tale nozione, almeno in senso proprio e
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completo. Giovanni si trova in una situazione fluida paragonabile a quell'ipotetico
momento della preistoria che è poi sfociato nell'uso dell'osso intagliato.
Per comprendere anche solo in modo approssimativo ciò che succede in Giovanni
è necessario fare uso nello stesso tempo degli strumenti della matematica e delle categorie
della psicologia; e le conclusioni che possono essere tratte sono oggetto di dispute non
risolte (e non risolubili, evidentemente) tra le diverse scuole di psicologia. Possiamo
comunque ritenere per comunemente accettato, pur con differenze notevoli di
interpretazione, che proprio nell'età tra i cinque e i sei anni, nel momento del passaggio tra
la scuole dell'infanzia e la scuola elementare, avviene un cambiamento nel modo di
operare e ragionare del bambino. Non è possibile, in questa sede, fare una esposizione
nemmeno approssimativa delle diverse teorie cognitive elaborate per illustrare e spiegare
questo cambiamento; vogliamo solamente mettere in luce alcuni fatti che fanno parte del
quadro teorico che in un certo senso ha prodotto i programmi della scuola elementare e gli
orientamenti per la scuola dell'infanzia.
Esperienze di vario tipo, il cui esame sistematico risale fondamentalmente al lavoro
di J. Piaget e della sua scuola, mettono in luce che è tra i cinque e i sei anni che il
bambino inizia ad esplicitare, come struttura che resterà definitivamente in lui, e che poi
utilizzerà come "naturale":
- la nozione di conservazione della quantità di un insieme come una proprietà
indipendente dalle forme attraverso cui un insieme o un oggetto si presenta e viene
percepito (ad esempio, la forma del recipiente, o la disposizione degli oggetti).
- il concetto di numero come misura della quantità degli oggetti di un insieme o della
posizione di un oggetto in una sequenza ordinata (come "proprietà intrinseca"
dell'insieme o dell'oggetto nella sequenza).
Questo naturalmente non vuol dire che capacità numeriche più o meno esplicite
non siano presenti anche molto prima (lo abbiamo visto negli esperimenti con Giovanni),
e che l'acquisizione completa del concetto di numero non si prolunghi lungo tutto l'arco
della scuola elementare ed anche oltre (vedremo che il concetto di numero va sviluppato
oltre l'orizzonte dei numeri naturali). A più di cinquant'anni dalla pubblicazione dell'opera
fondamentale di Jean Piaget e Alina Szeminska ciò che sappiamo di sicuro è che il
cammino verso il numero è molto più complesso e ricco di problemi di quanto non si
pensasse allora.
Anche l'esperienza quotidiana dell'insegnamento, del resto, mostra che è proprio
tra i 5 e i 6 anni che Giovanni e i suoi coetanei, ciascuno con i propri tempi,
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passeranno da una valutazione solamente "percettiva" delle quantità, in cui le operazioni
elementari ("misura" della lunghezza, o della larghezza, o dello spazio occupato, o delle
parti in cui è suddiviso un oggetto o un insieme di oggetti) non sono coordinate tra loro e
sistemate in modo globale, ad una comprensione del concetto di quantità che, nel caso di
quantità discrete, porta al concetto di numero.
Uno dei problemi chiave della didattica della matematica è capire come questi, o
altri, dati dell'osservazione e della ricerca psicologica e, più generalmente, cognitiva,
possano servire a impostare e sviluppare l'insegnamento della disciplina.
5. I bottoni e i bicchieri di Piaget
A titolo di esempio (e per priorità storica), ci soffermiamo a presentare alcune delle
classiche esperienze di Piaget il cui lavoro, come si è già detto, è un punto di riferimento
fondamentale sia per chi ne ha accettato i risultati (in parte o in toto) sia per chi sostiene
tesi differenti. Queste esperienze sono peraltro utili all'insegnante, per costruire il
momento del primo incontro con il bambino (vedi [5]).
Jean Piaget ha studiato la genesi del numero nel bambino; molte delle sue
esperienze sono state confermate da successive osservazioni, altre sono state interpretate
diversamente alla luce di altre osservazioni. Naturalmente esiste sempre la possibilità di
interpretare e spiegare in modo radicalmente diverso gli stessi fatti sperimentali; va anche
detto che sono state avanzate riserve su alcuni aspetti della metodologia di Piaget e della
sua scuola.
D'altra parte, la semplicità di suoi molti esperimenti permette a qualunque
insegnante di effettuarli nella propria classe, ed è proprio su alcuni dei suoi test che
potranno essere basati parte degli strumenti di verifica del lavoro svolto. Di fatto, molte
schede presenti nelle raccolte e molti test di controllo in uso nelle scuole italiane sono
esattamente le prove eseguite da Piaget.
La sua tesi principale è che l'acquisizione del concetto di numero si sviluppa per
tappe successive, parallelamente al consolidarsi delle strutture logiche, e che la
sequenza dei numeri è la sintesi operatoria della comprensione sia dell'aspetto
ordinale che dell'aspetto cardinale. Una volta acquisita definitivamente, è sentita dal
bambino come una cosa a priori, da sempre conosciuta, e non più rimessa in
discussione.
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La comprensione della conservazione delle quantità (e quindi, per astrazione,
la comprensione del concetto di quantità), sia che si tratti di quantità discrete (un insieme
di oggetti come ad esempio bottoni) sia che si tratti di quantità continue (quale ad
esempio quella di un liquido in un bicchiere), passa attraverso i tre stadi seguenti:
1) Al bambino piccolo sembra naturale che la quantità di bottoni o la quantità di
un liquido varino a seconda della disposizione dei bottoni stessi o, rispettivamente, della
forma e della dimensione dei bicchieri che contengono il liquido in questione: la
percezione dei cambiamenti apparenti non è soggetta alle correzioni operate da un sistema
di relazioni che garantisce l'invarianza delle quantità.
2) In un secondo stadio di transizione la conservazione si impone
progressivamente, e viene scoperta in corrispondenza a certe configurazioni oppure in
certi travasi, con particolari caratteristiche, ma non in tutti. Il bambino riesce a correlare la
quantità ad uno dei parametri in gioco (altezza, o larghezza del recipiente), ma non a
coordinare i diversi parametri.
3) In un terzo stadio, il bambino postula di colpo la conservazione delle
quantità: è per lui ovvio che cambiando la disposizione dei bottoni o la forma del
recipiente la quantità non cambia; le domande che gli stiamo facendo gli sembrano troppo
facili, prive di senso. Infatti, proprio questo è il punto: nelle fasi precedenti, il bambino
sbaglia a rispondere perché proprio non capisce cosa vogliamo chiedergli.
Nel primo stadio il bambino si limita a una percezione globale, intuitiva. Con una
forzatura, si potrebbe chiamare "biologica": esperimenti sugli animali e sul loro modo di
percepire le quantità hanno permesso di verificare che persino nei casi più avanzati gli
animali giudicano le quantità esclusivamente dal punto di vista dell'estensione spaziale o
di una qualche sensazione ad essa equivalente, magari molto raffinata; un uccello tenderà a
scegliere un mucchio di venti chicchi di becchime rispetto ad uno di trenta, se il primo
occupa più spazio; l'uccello "non sa contare" oltre un certo limite. Si tratta ancora di una
quantità bruta; la quantificazione non va al di là del rapporto percettivo immediato; il
bambino si fida solo della percezione sensibile e comprende solo parzialmente il
problema. Questo stadio può durare fino a 5 anni, talvolta oltre.
Nel secondo stadio il bambino comprende il problema, riesce a seguire i
ragionamenti, ma oscilla continuamente tra un tentativo di coordinazione logica e la
sottomissione alle illusioni percettive. Cerca di giustificare con operazione logiche quello
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che inizia a vedere come una esigenza, la conservazione della quantità. Non riesce però
ancora a coordinare le diverse percezioni: la percezione delle quantità si sta strutturando.
Questo stadio si incontra frequentemente in bambini di sei anni, ed anche oltre.
Nel terzo stadio è ormai acquisita la consapevolezza del fatto che la quantità si
conserva, indipendentemente dalla disposizione dei bottoni, dai travasi o dalle
suddivisioni. Come il bambino scopre questa invarianza, la afferma come una cosa così
semplice e evidente che gli appare del tutto indipendente da ogni operazione o ogni
ragionamento. E' la scoperta della conservazione che porta alla possibilità di coordinare le
diverse percezioni.
Gli stadi appena descritti sono del tutto indipendenti dalla conoscenza dei nomi e/o
dei simboli dei numeri. Il numero nasce come conseguenza della scoperta dell'invarianza
della quantità: talvolta si incontrano bambini che sono in grado di stabilire una
corrispondenza biunivoca senza che questo li aiuti a padroneggiare il concetto di
numero: infatti la corrispondenza è percepita fino a che esiste un contatto visivo o spaziale
tra gli insiemi, ma cessa di esistere quando il contatto viene abolito o modificato.
In relazione a quanto detto dobbiamo dobbiamo osservare, chiarendo un punto
fondamentale sorgente di infiniti malintesi e discussioni con i genitori dei bambini, che le
seguenti cose sono molto diverse:
- saper contare, cioè avere la capacità di riconoscere e operare sulle quantità (discrete),
con particolare riguardo alla invarianza del numero degli oggetti di un insieme rispetto
alle disposizioni, suddivisioni ecc. di tali oggetti;
- conoscere i nomi dei numeri, sotto forma di filastrocca, eventualmente abbinata
alla capacità di "fare la conta", in modo meccanico, di una sequenza di oggetti di un
insieme ordinato;
- conoscere i simboli dei numeri , riconoscerli sul telecomando del televisore,
sull'orologio, sulla facciata delle case .....
Normalmente, i bambini della scuola materna sanno già riconoscere i simboli delle
cifre arabe. Ma per loro sono solamente simboli o contrassegni, come se fossero la
stellina, il triangolo o il coniglietto con cui identificano il proprio grembiule. Il bambino
Giovanni, protagonista del paragrafo precedente, riconosce correttamente il numero civico
(ad esempio 7) della propria abitazione, ma non collegherà questa informazione al fatto
che la casa di fronte ha il numero 6, anche se conosce la filastrocca dei numeri ...5,6,7,...
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Di fatto, le cifre sono per lui solo simboli e non gli è chiaro cosa ci sia dietro al simbolo 7
come numero, non è detto cioè che sia in grado di assegnarlo correttamente ad un insieme
di 7 elementi.
Lo stesso discorso vale per i nomi dei numeri. Secondo un'esperienza che tutti
avranno fatto (e da cui sostanzialmente è partito J. Piaget), Giovanni sa "contare" un
certo numero di biglie (ad esempio 6) ma, se ne viene cambiata la disposizione sotto i suoi
occhi e gli si chiede ancora quante biglie ci sono, Giovanni conta di nuovo per dare la
risposta (magari sbagliandosi). Sono osservazioni di questo tipo che vengono spiegate
riferendosi alla mancanza della conservazione della quantità da parte del bambino,
anche se ha già una conoscenza corretta del nome dei numeri, del procedimento del
contare, e persino della corrispondenza biunivoca.
Dunque la corrispondenza biunivoca è un passo verso la comprensione del
numero, ma non è sufficiente per il bambino: nemmeno procedimenti di "scambio uno a
uno" ("io ti do una moneta, tu mi dai una macchinina") lo conducono necessariamente a
convincersi che le quantità degli oggetti scambiate siano le stesse, con tutte le conseguenze
operative e concettuali che questo comporta.
Altre esperienze (mettere in ordine crescente o decrescente pupazzi, abbinare
ordinatamente due sequenze di oggetti crescenti o decrescenti, ecc.) mettono poi in luce
come anche la comprensione dell'aspetto ordinale del numero passi attraverso fasi del
tutto parallele e generalmente simultanee a quelle descritte.
In definitiva, le esperienze di Piaget mostrano che solo verso i 7 anni si può dare
per scontato che i bambini abbiano in maggioranza acquisito l'invarianza della quantità e
quindi sappiano usare a proposito i numeri, nel loro aspetto ordinale e cardinale. L'età
intorno ai sei anni è quindi critica ai fini di questa acquisizione; a quest'età i bambini si
trovano in un'area di "sviluppo prossimale", ed è per questo che proprio il concetto di
numero ha un ruolo centrale nella continuità da costruire tra la scuola dell'infanzia e la
scuola elementare.
Di fatto, è innegabile che il bambino sviluppi il concetto di numero attraverso una
serie di stadi che vengono a maturazione piuttosto rigidamente (e questo è il nucleo della
impostazione piagetiana ortodossa). E' bene non forzare questa rigidità, ma si può tuttavia
favorire la maturazione guidando il bambino attraverso esperienze concrete in cui siano
presenti l'aspetto ordinale, l'aspetto cardinale e quello di misura, senza necessariamente
organizzare formalmente tali esperienze prima del tempo.
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Osserviamo infatti che l'esperienza quotidiana autonoma dei bambini non è
armonica. Spesso è a senso unico (anche se ricca), spesso non sufficientemente digerita (a
volte certe attività svolte prematuramente si bruciano ...), spesso non attiva (alla
televisione si vedono molte cose, ma in modo passivo): il compito dell'insegnante sarà
quello di estendere, arricchire, articolare, pilotare l'esperienza in modo coscientemente
produttivo.
6. Regina o pomodoro?
Abbiamo finora seguito due fondamentali fili che concorrono all'intreccio del nodo
concettuale relativo al numero naturale (ci occuperemo più in là dell'estensione di
questa nozione, quando parleremo di frazioni; e vedremo così che anche altri fili - quello
della misura ad esempio- si intrecciano in questo nodo). La prospettiva storica e quella
ontogenetica ci hanno mostrato infatti che i numeri naturali nascono da quell'attività
mentale primitiva che corrisponde al contare, allo scopo di misurare la quantità di
elementi di un insieme discreto di oggetti, o la posizione in cui un dato elemento è
collocato in una serie. Sottolineiamo il carattere mentale di quest'attività perché i numeri
nascono quando l'uomo si trova di fronte alla necessità di andare al di là delle capacità
puramente percettive (o della capacità di memorizzare una percezione quantitativa).
A questo punto occorre andare ancora oltre nel processo di astrazione che conduce
alla comprensione del concetto di numero in quanto concetto "matematico". Il punto è che
non ha tanto senso considerare ogni singolo numero come a sé stante, quanto trattare tutti
i numeri nel loro complesso, considerare cioé il sistema dei numeri naturali, su cui
poter agire con operazioni (mentali, non più solo percettive) di confronto, di addizione,
etc.... Di ciò ci si rende conto facilmente quando si osservi che una misura di quantità
risulta utile e significativa solo se può essere confrontata con altre misure, se può essere
sommata ad un'altra misura etc...
Arriviamo dunque alla seguente "definizione" di numero naturale:
I numeri naturali sono enti (elementi di un insieme ordinato) sui quali si
opera con le operazioni dell'aritmetica (addizione e moltiplicazione).
In questa definizione, privilegiamo le regole del gioco nei confronti dei pezzi con cui il
gioco stesso si svolge. D'altra parte, se in una partita di scacchi sostituissimo il pezzo che
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comunemente rappresenta la regina con un pomodoro, non avremmo nessuna difficoltà
a sviluppare il gioco, pur di assegnare al pomodoro le mosse tipiche della regina. Così
con il precedente tentativo di definizione ci avviciniamo al concetto di numero cui i
matematici sono ormai abituati: spogliato del riferimento concreto e fenomenologico,
ciascun numero vive grazie alla struttura che lo mette in relazione con ogni altro numero.
Come abbiamo già osservato nel paragrafo 1, matematici sono arrivati molto tardi
a formalizzare (cioè a dare definizioni formali all'interno di un sistema teorico) i numeri
naturali. Solo alla fine del secolo scorso, infatti, ci si è posti il problema dei
"fondamenti della matematica", e ciò è avvenuto in concomitanza e sotto l'influenza
dell'analisi dei procedimenti logici dell'argomentare matematico e in generale del pensiero
umano che in quei decenni è stata sviluppata ad opera di Frege, Cantor, Peano, Russel e
molti altri.
Non deve meravigliare che nell'evoluzione del pensiero matematico il problema dei
"fondamenti" arrivi molto tardi, quando ormai l'edificio matematico è in piedi. Una cosa
analoga succede nel bambino, in cui la presa di coscienza delle strutture matematiche ha
luogo in ordine inverso a quello della loro genesi. Per lungo tempo i matematici non
hanno sentito il bisogno di dare una definizione dei numeri naturali, prendendoli come un
oggetto di fatto esistente (per l'appunto) in natura, sulla base del quale, con costruzioni
via via più complesse ed astratte, si definivano tutti gli altri enti matematici. E' stato solo
quando l'intero edificio matematico è stato scosso dalla scoperta di paradossi che si è
posto il problema di verificare e giustificare i punti di partenza. Questo problema è alla
radice stessa del nascere della teoria degli insiemi.
7. Il gioco di Cantor e quello di Peano
Dopo aver chiarito che ciò che ci interessa del numero sono le regole del gioco cui
è soggetto, bisogna accennare alle due formalizzazioni proposte rispettivamente da
Georg Cantor e Giuseppe Peano. Si tratta di due diversi modelli (giochi, se
vogliamo) equivalenti che si fondano l'uno sulla cardinalità, l'altro sull'ordinalità. E'
interessante vederne a grandi linee la struttura perchè in entrambi i casi la costruzione
teorica si avvale dell'intuizione psicologica e della coscienza storica, rientrando quindi
pienamente nel quadro che abbiamo delineato fino a qui. Non ci interessa qui presentare
una trattazione teorica, che svilupperemo invece altrove, ma solo mettere in luce come
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anche questo punto di arrivo, la sistemazione della teoria, si ricolleghi a tutto l'intreccio
sopra descritto.
Consideriamo anzitutto la costruzione di Cantor che, come abbiamo già detto nel
paragrafo 1, prende le mosse dal procedimento che permette di cogliere "ciò che hanno
in comune le dita di una mano etc. ...". Tale procedimento, si fonda sulla la nozione di
corrispondenza biunivoca che intercorre tra due insiemi quando si può stabilire una
regola per collegare ciascun elemento di un insieme ad uno ed un solo elemento dell'altro,
in modo che:
- tutti gli elementi del secondo insieme siano coinvolti;
- a due elementi diversi del primo insieme corrispondono due elementi diversi del
secondo.
Con questo strumento si ripartiscono tutti gli insiemi in gruppi, in modo che in
ciascun gruppo ci siano tutti gli insiemi che sono in corrispondenza biunivoca tra di loro.
Si ottengono raggruppamenti ("classi di equivalenza") diversi, corrispondenti a
"cardinali" diversi. Cardinalità di un insieme è la sua classe di equivalenza, e i
numeri naturali sono le cardinalità degli insiemi finiti. Così, ritornando al discorso
iniziale, la tanto ricercata "cinquità" si identifica nell'appartenenza ad una delle classi di
equivalenza prodotte dal procedimento descritto.
Tutta una serie di osservazioni sono a questo punto necessarie, per far capire che,
presentato in questo modo, il sistema di Cantor appare ancora piuttosto "ingenuo" e
mediato da tutta una serie di "sottintendimenti". Questi sottointendimenti non possono
però essere qui precisati senza entrare in considerazioni specialistiche, per le quali
rimandiamo alla bibliografia.
L'approccio suindicato è piuttosto dovuto a Gottlob Frege ("Grundlagen der
Arithmetik", 1884) che, riprendendo i lavori di Cantor, affranca il concetto di numero da
quel tanto di psicologico ancora presente. Infatti, il punto di partenza di Cantor, che
riportiamo integralmente dal testo della sua memoria del 1895 ("Contributi alla fondazione
della teoria dei numeri transfiniti" Mathematische Annalen vol. XLVI) nella quale si trova
l'esposizione finale della sua teoria, ha ancora un sapore "pre-matematico":
Denomineremo "potenza" o "numero cardinale" di [un aggregato] M il concetto
generale che, per mezzo della nostra attiva facoltà di pensiero, nasce
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dall'aggregato M quando facciamo astrazione della natura di vari elementi m e
dell'ordine in cui vengono dati
Un secondo punto riguarda le implicazioni insite nel concetto di insieme; infatti,
quando nella costruzione indicata consideriamo tutti gli insiemi per ripartirli in classi,
dovremmo metterci al riparo dalle trappole che il concetto di insieme porta con sé. Così
dobbiamo renderci conto che una rigorosa costruzione del sistema di Cantor presuppone
un'altrettanto rigorosa conoscenza delle problematiche relative al concetto di insieme.
Infine occorre osservare che così introdotto, il numero (la cardinalità) va ben oltre
il sistema dei naturali e, infatti, la teoria di Cantor riguarda ciò che egli chiama "numeri
transfiniti", che sono il vero oggetto di indagine, motivante tutta la teoria. I numeri
naturali, dunque, come parte propria di tutto il sistema vanno ulteriormente identificati
(come cardinalità degli insiemi finiti) e la sequenza tradizionale (0 1 2 3 ...) specificata
attraverso l'indicazione di "insiemi campione".
La costruzione di Peano si basa essenzialmente sul concetto di "successivo"
concretizzato in una funzione che permette di identificare il successivo, appunto, di ogni
numero. I postulati di Peano definiscono infatti il sistema dei numeri naturali
come un insieme N che gode delle seguenti proprietà:
a) esiste una regola f (una "funzione") che ad ogni elemento x dell'insieme
N ne associa un altro, f(x) (detto "il successivo"), in modo che ad
elementi distinti corrispondono elementi distinti (cioè, se x≠y, allora
f(x)≠f(y) );
b) esiste un elemento privilegiato, che indichiamo con 0, che non è il
successivo di nessun altro elemento;
c) un qualunque sottoinsieme S di N che contiene lo 0 e che ha la seguente
proprietà: "se x sta in S, allora anche f(x) sta in S", deve necessariamente
essere uguale a tutto N.
Non rientra nei nostri scopi discutere le motivazioni matematiche che hanno
portato a questa definizione (in particolare alla proprietà c), legata al cosiddetto principio
di induzione, sicuramente oscura per il non matematico), e la sua validità dal punto di
vista teorico. Dobbiamo però notare che, di fatto, l'approccio di Peano, pur basandosi su
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una proprietà intuitiva dei numeri naturali (l'esistenza di un numero che viene dopo) è un
approccio del tutto assiomatico, che prescinde completamente dalla natura degli oggetti
di cui parla. Chiamiamo infatti "numeri naturali" un qualunque insieme che soddisfa le
proprietà assiomatiche indicate che sono dunque quelle che li definiscono intrinsecamente.
Lo sviluppo successivo della matematica ha posto in luce la potenza di questo approccio.
Essenziale nella definizione è la regola f, che ad ogni numero associa il
successivo. L'insieme dei numeri naturali è quindi intrinsecamente associato
all'ordinamento che nasce da f: il successivo di 0 si chiamerà 1, il successivo di 1 si
chiamerà 2, e così via. L'aspetto ordinale dei numeri è quindi il centro della costruzione di
Peano, ed è sufficiente a caratterizzare tutto il sistema. Ovviamente, anche in questo caso
occorre sviluppare la struttura definendo le operazioni tra numeri con le loro proprietà
caratteristiche, ma questo può essere fatto sulla base delle proprietà a),b),c) che sono
sufficienti a sostenere tutto l'edificio.
Per tornare ai problemi della didattica, alla luce di quanto detto, sottolineiamo che i
matematici non definiscono "il numero 5", "il numero 6", etc..., ma parlano sempre di un
sistema di numeri. E questo è un punto chiave anche nell'insegnamento: non ha molto
senso parlare di "5", se non comprendendo che 5 "viene dopo" 4 e "prima" di 6, oppure
che 5 si ottiene da 4 "aggiungendo" 1. Bisogna sottolineare che questo fatto è cruciale
nell'insegnamento. Non è difficile "insegnare i numeri" ai bambini, in modo che
"sappiano contare"; è difficile insegnarli in modo che il concetto venga acquisito in tutta la
sua ricchezza, con tutte le potenzialità che verranno comprese e sviluppate in seguito.
Dalla completezza della concettualizzazione iniziale del sistema dei numeri dipende la
possibilità di comprendere gli sviluppi successivi dell'aritmetica; trascurare qualche
aspetto di base dei numeri vuol dire andare incontro a difficoltà di comprensione in futuro.
I bambini imparano ben presto che i numeri naturali formano un sistema, la cui natura è
astratta e di cui i modelli ed esempi concreti offrono solo una visione molto parziale, e si
scontrano con un problema fondamentale e, di fatto, molto difficile: quello dell'infinito (i
numeri sono infiniti!). Questo è rivelato, già nei bambini molto piccoli, da domande del
tipo "quale è il numero più grande di tutti?" "facciamo il gioco di chi dice il numero più
grande?", e così via. Tutti abbiamo visto lo stupore, la meraviglia e , talvolta, il dispetto
dei bambini quando "scoprono" che questo gioco si esaurisce nel momento in cui
imparano a dire "più uno", "più uno"... L'acquisizione della padronanza dell'operazione
di "passare al successivo", intrinseca al sistema, si intreccia con la scoperta dell'infinità
dei numeri.
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8. Oltre i naturali
Anche in una sistemazione matematica rigorosa una possibile costruzione completa
del "sistema dei numeri" prende le mosse dal sistema dei numeri naturali e procede
ampliando tale sistema a più riprese. Dai naturali (0, 1, 2, 3, ...) si passa infatti agli
interi (introducendo i numeri negativi), ai razionali (introducendo le frazioni, per
trattare i rapporti tra grandezze omogenee commensurabili) e poi ai reali (per includere
rapporti tra grandezze incommensurabili quali il lato e la diagonale di un quadrato, le
radici, pigreco ...) e quindi ai complessi (per poter parlare delle radici di numeri negativi
...). Ogni passaggio avviene avendo cura di soddisfare un "principio di estensione"
per il quale nel nuovo sistema ampliato sono definite operazioni che, se considerate per
elementi del vecchio sistema, coincidono con le operazioni vecchie. Ogni sistema
comprende cioè gli elementi del precedente con le sue operazioni e, fino alla costruzione
dei reali, con il loro ordinamento naturale.
Anche il bambino, già nella scuola elementare, incontrerà le frazioni, e i numeri
decimali, e poi i numeri negativi, e poi le radici quadrate etc.. In particolare, si incontrerà
(o scontrerà), con "numeri" che non servono più per contare, o ordinare: diventa
prevalente l'aspetto della misura. Numeri come 5/7 oppure 2 non indicano certo la
quantità di elementi di un insieme o la posizione in un ordine d'arrivo: misurano una
quantità (di torta, oppure il rapporto tra la lunghezza della diagonale di un quadrato e
quella del lato.....).
E' ben noto che, scolasticamente, questi ampliamenti rappresentano altrettanti
scogli potenziali per l'alunno. Spesso queste difficoltà hanno le loro radici nel modello
mentale che l'alunno si è fatto del sistema precedente. Un punto cruciale è che
attraverso tutte queste estensioni si viene a perdere la "natura concreta" del concetto di
numero (si vengono a perdere cioè alcuni legami con le motivazioni originarie), ciò che
resta è un insieme di oggetti astratti soggiacenti a un sistema di assiomi (regole che fissano
particolari proprietà che, anche se rispecchiano le motivazioni originarie, ne sono
indipendenti dal punto di vista della validità logica). E' nel momento in cui questi
ampliamenti vengono effettuati che il nodo concettuale deve avere già acquisito una
propria logica: altrimenti, il bambino si smarrisce.
Una descrizione informale del processo di estensione che porta alla costruzione del
sistema dei numeri reali può essere svolta in poche parole, con l'intesa che ciascun
passo andrebbe approfondito ulteriormente e arricchito di particolari che potrebbero
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costituire altrettanti spunti per la didattica. Con questa precisazione passiamo a descrivere
brevemente il processo.
Il sistema dei numeri naturali è costituito dai numeri che si usano per
"contare": 0, 1, 2, 3 ...., con le due operazioni fondamentali di addizione e
moltiplicazione e la relazione di ordinamento. La sottrazione e la divisione, quando
possibili, sono le operazioni inverse delle prime due.
I numeri interi sono ottenuti dai naturali "aggiungendo" i numeri negativi: -1,-2,
-3, -4 .... ottenendo così una sequenza illimitata nei due sensi:
... -3, -2, -1, 0, 1, 2, 3 ...
Abbiamo ancora le due operazioni fondamentali di addizione e moltiplicazione; notiamo
che adesso la sottrazione è sempre possibile.
I numeri razionali sono ottenuti "aggiungendo" al nostro sistema anche tutte le
frazioni (positive e negative). In questo sistema è sempre possibile dividere una frazione
per un'altra (diversa da zero). Notiamo che anche i numeri interi (e naturali) possono
3
essere visti come frazioni ( 3= 1 ), e che la "rappresentazione" di un numero razionale
come frazione non è unica (o, come si dice, ci sono frazioni "equivalenti"): nel nostro
5 10
sistema, 3 = 6 .Al momento dell'introduzione delle frazioni diventa indispensabile che il
bambino sappia usare i numeri anche per "misurare", e non solo per "contare".
Con le frazioni, potremmo sperare di avere uno strumento per "misurare" le
quantità continue. In realtà, già dai tempi di Pitagora sappiamo che non sono sufficienti.
Cosa facciamo ad esempio per misurare una lunghezza? Fissiamo una unità di misura (il
metro, ma potrebbe essere il cubito, o il piede,...) e vediamo "quante volte ci sta" (una,
tre, dieci,...) nell'oggetto da misurare. Naturalmente, quasi mai questo sarà possibile in
modo preciso (quasi mai, cioè, l'oggetto da misurare avrà una lunghezza pari a un numero
intero di volte l'unità di misura). Si procede allora così: si divide l'unità di misura in un
certo numero di parti, e si guarda se con queste "sottounità" l'operazione riesce in modo
preciso. Se dividiamo il metro campione in 100 parti uguali, e con 345 di questi pezzettini
riusciamo a ricoprire esattamente l'oggetto da misurare, possiamo concludere che il nostro
oggetto ha una lunghezza pari a 345 centesimi del metro campione, o che è lungo 3,45
345
metri (=100 di metro). La sua lunghezza è espressa da una frazione rispetto all'unità di
misura fissata.
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Si potrebbe pensare che questo sia sempre possibile, a patto di scegliere
sottomultipli dell'unità di misura abbastanza piccoli. Quando questo è possibile, si parla di
grandezze commensurabili.
Già gli antichi Greci erano riusciti a dimostrare che il lato e la diagonale del
quadrato sono incommensurabili: per quanto fine sia la suddivisione in parti uguali del
lato di un quadrato, la diagonale non sarà mai pari a un numero intero di questi pezzettini.
In altre parole, la sua lunghezza non sarà mai espressa da una frazione rispetto al lato: se il
lato è lungo un metro, non possiamo trovare tra le frazioni il numero "x" con cui poter
dire "la diagonale è lunga x metri". Sappiamo infatti da un teorema (che non a caso si
chiama teorema di Pitagora) che la diagonale del quadrato di lato lungo 1 metro è lunga 2
metri, e 2 non è una frazione.
Nasce così l'esigenza di un insieme di numeri più ampio, che permetta le misure di
tutti i segmenti. Tale sistema, la cui definizione rigorosa richiede tecniche matematiche
non elementari, si chiama sistema dei numeri reali. Possiamo "visualizzarlo" come
un insieme i cui elementi sono in corrispondenza biunivoca con in punti di una rettta.
9. Che si fa con i numeri?
Con i numeri, fondamentalmente, come abbiamo già detto, si fanno le operazioni.
Obbiettivo principale della aritmetica nel primo ciclo della scuola elementare è portare i
bambini a scoprire che con i numeri, oltre che contare e ordinare, si può anche operare.
Si può anzi dire che l'acquisizione del concetto di numero non è completa fino a quando il
bambino non sa operare (addizionare e moltiplicare) su di essi.
Partendo dalle definizioni formali del sistema dei numeri naturali (Peano e Cantor,
ad esempio) è possibile definire in modo rigoroso le operazioni di addizione e
moltiplicazione. Occorre sottolineare che la struttura dei numeri naturali comprende
sia l'insieme che le operazioni sugli elementi dell'insieme. E riguardo a questo, anche per
non far nascere idee e modelli sbagliati nei bambini che poi sarebbe difficile modificare
negli anni successivi, occorre che anche tutti gli insegnanti abbiano chiaro che sotto il
nome "operazioni" vengono mescolati nel linguaggio corrente almeno tre problemi distinti:
- l'operazione in senso matematico, cioè la regola che a due numeri ne associa un
terzo (ad esempio, 15+37=52);
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- l'insieme di situazioni e problemi che vengono risolti mediante una stessa
operazione (ad esempio, "ho 15 mele e ne compro altre 37; quante ne ho in tutto?";
"Pierino pesa 15 chilogrammi in più di Giuseppe, che ne pesa 37; quanto pesa Pierino?";
etc.). Si noti che spesso problemi molto differenti concettualmente vengono risolti dalla
medesima operazione.
- l'algoritmo attraverso cui viene eseguita l'operazione (ad esempio la procedura
attraverso la quale, scrivendo i numeri 15 e 37 in colonna, si arriva a scrivere 52 nella riga
finale).
Fin dall'inizio della scuola (e già anche nella scuola dell'infanzia) i bambini si
imbattono, nel corso delle attività normali, in situazioni in cui hanno di fronte a sé
semplici problemi, di cui possono trovare direttamente il risultato (ad esempio: due
bambini mettono le loro macchinine in un mucchio comune, e guardano quante ne hanno
in tutto; nel negozio acquistano due oggetti di cui conoscono il prezzo, e scoprono quanto
devono pagare in tutto; da un gruppo di bambini ne vanno via alcuni, e ci si domanda
quanti ne restano; nel gioco dell'oca si tira il dado e ci si domanda in che casella andrà il
segnaposto,..., solo per fare alcuni esempi molto banali). Gli insegnanti (e i genitori)
dovrebbero essere pronti a "sfruttare" queste situazioni, facendo domande ai bambini,
invitandoli fare considerazioni di tipo numerico in queste situazioni che cambiano; in
definitiva, ad "operare" con le quantità. Non bisognerà chiamarle operazioni, nemmeno in
modo naif ( "facciamo il più" o cose del genere); anche qui, bisogna utilizzare tutte le
situazioni e le esperienze in cui entrano in gioco le quantità per stimolare il bambini a fare
osservazioni e considerazioni di tipo numerico.
E' evidente infatti che problemi sostanzialmente diversi vengono risolti mediante
una stessa operazione; di ognuno di questi problemi il bambino ha probabilmente un
modello, ed è attraverso tutti questi modelli che giungerà a comprendere l'operazione.
Ad esempio, consideriamo i due seguenti problemi:
1) Pierino ha 7 mele e Mario 5. Le mettono assieme. Quante mele ci sono in tutto?
2) Oggi è il 7 maggio. Che giorno sarà tra 5 giorni?
Probabilmente, il "modello" che guiderà il bambino nel primo problema sarà quello
dell'unione di due insiemi, mentre nel secondo sarà più probabilmente quello di uno
spostamento sulla linea dei giorni sul calendario murale. Così, il primo modello sarà
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intuitivamente commutativo, mentre il secondo no: nel primo caso abbiamo una
operazione che agisce su due elementi, nel secondo una trasformazione (lo
spostamento di 5 posti) che agisce su un elemento (la data di oggi). Notiamo en passant
che il primo modello è basato sull'utilizzo cardinale dei numeri naturali, il secondo su
quello ordinale.
Questi ed altri modelli si appoggiano, talvolta mescolandosi in modo incoerente,
sull'esperienza ordinaria, e sarà a partire da essi che il bambino "costruirà" e "apprenderà"
la sistemazione matematica delle operazioni aritmetiche. Questa esperienza si sviluppa e si
arricchisce già prima di iniziare la prima elementare. Su di essa, che deve essere il più
ricca e variata possibile, si deve innestare il lavoro che viene svolto in prima e seconda
elementare.
10. Bibliografia.
La bibliografia esistente su quest'argomento è pressoché sterminata. Daremo
quindi soltanto alcuni riferimenti da cui partire.
Avendo parlato molto di Piaget, citiamo anzitutto la sua celeberrima opera
pubblicata nel 1941, nella sua traduzione italiana :
[1] - J. Piaget- A. Szeminska "La genesi del numero nel bambino" La
Nuova Italia 1968
Poi, per avere un panorama delle ricerche attuali sulla costruzione del numero nei
bambini si può vedere:
[2] - J. Bideau- C. Meljac- J.P. Fisher et al. "Les Chemins du nombre"
Presses Universitaires de Lille, 1991.
Per una "storia" dei numeri il riferimento più completo e autorevole è il seguente
[3] - G. Ifrah "Storia Universale dei Numeri", trad. italiana Mondadori;
ma una rapida panoramica di piacevole lettura si trova in:
[4] - A.C. Capelo, M. Ferrari, G. Padovan "Numeri", Decibel-Zanichelli
1990
Infine segnaliamo un altro nostro fascicolo di prossima pubblicazione:
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[5] - L. Alessandrini, G. Bolondi, M. Iannelli "I giorni prima di domani
l'altro: l'incontro con i bambini sul terreno delle loro conoscenze
matematiche" Fascicolo del Laboratorio LRM 3 D2 , in preparazione
che si occupa dei primi giorni di scuola e delle conoscenze "prematematiche" del bambino.
11. Ancora due parole.
Ancora due parole, per concludere e inquadrare meglio gli obiettivi di questo
fascicolo, con qualche informazione sul contesto in cui nasce. Infatti, la discussione che
presentiamo è parte di un progetto più ampio che riguarda la matematica del primo ciclo e
l'attività che ruota intorno a questo progetto si svolge nell'ambito di una convenzione tra il
Dipartimento di Matematica e il IX Circolo Didattico della provincia Trento, fornendo la
base che configura la scuola elementare "Pigarelli" come Polo Scientifico IPRASE per la
matematica(*) .
Questo fascicolo dunque, come altri già diffusi ed altri che seguiranno, deve la
propria esistenza alla collaborazione e al supporto dei soggetti suindicati oltre che alla
concreta partecipazione di un folto gruppo di insegnanti che direttamente o indirettamente,
in numerose discussioni e confronti, hanno messo a disposizione la loro esperienza.
Ancora una volta ringraziamo tutti coloro che hanno contribuito.
(*) Il polo IPRASE per la matematica della Scuola “Pigarelli” è coordinato da Ivana Pulisizzi direttrice del
IX Circolo. Attualmente partecipano alle attività Marta Battistel, Valentina Benuzzi, Giliola Bommassar,
Elisabetta Bortolotti, Leopoldo Brugnara, Mariangela Cattaneo, Roberta D’Alessandro, Emanuela
Franceschini, Roberta Ianes, Rosina Marasco, Silvana Marchi, Aurora Menestrina, Anna Maria Morganti,
Rita Mottes, Carmen Odorizzi, Alessandra Elisa Pisetta, Alessandro Pontalti, Maria Luisa Rapanà,
Umberta Rossi, Antonietta Scarsella, Sandra Svaizer, Giuliana Tedeschi, Mariuccia Zocca.
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