Da dodici secoli sulla via di Santiago

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Da dodici secoli sulla via di Santiago
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Poste Italiane SpA – Sped. In abb. Post. – DL 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/2004 N° 46) Art. 1, com. 2, DCB PG. Tassa pagata.
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Mensile di cultura religiosa e popolare
la nave va
in acque
paludose
Da dodici secoli
sulla via di Santiago
di Ulderico Bernardi
Itinerari dello spirito: l’Anno Santo Giacobeo
Italia oggi
E
T
iriamo l’orecchio agli ultimi
brontolii (si spera) di una
crisi canaglia, scatenata
sulle teste di milioni e milioni di innocenti lavoratori del
mondo dalla forma più abietta
dell’economia, la speculazione
finanziaria. Indifferente ai bisogni
delle comunità e al collasso
delle relazioni sociali. Tesa solo
a realizzare in fretta il massimo
profitto, a danno di chicchessia.
Qualcuno sperava che dalla bufera
uscisse una luminosa schiarita
nei modelli di sviluppo, con stili
di vita finalmente improntati
alla sobrietà e consapevoli della
responsabilità solidale. Forse è
presto per abbandonare l’illusione.
Anche se molti segni avvertono
che la svolta fatica a compiersi.
Il male, ammonisce la cultura
popolare dei proverbi, arriva a
chili e se ne va a once. Lo
scadimento morale di questi
anni è stato impressionante.
Quella che Pier Paolo Pasolini
chiamava mutazione antropologica,
del popolo sembra essersi imposta
in modo devastante. Ha investito
tutti i campi dell’umano vivere:
l’economia, dove l’etica degli
affari rimane, più che altro,
un richiamo teorico, specie per
i grandi capitali; ha sconvolto
costumi secolari: basti pensare alla
caduta verticale dei matrimoni,
sostituiti da unioni precarie,
con la crescita precipitosa delle
separazioni e dei divorzi, che
lasciano figli allo sbando e
generano solitudini angosciose.
Ma soprattutto ha diffuso tra le
giovani generazioni delle visioni
del mondo imperniate sull’idea
di arricchirsi comunque e in
fretta.
Come difendersi
dalle insidie
dei manipolatori
Laura Di Teodoro
alle pagine 12 e 13
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All’interno
Il Presidente
che picconava
Ma i messaggi di Cossiga
non furono purtroppo raccolti
Gino Carrara a pagina 6
Amori
usa&getta
La ginecologa Vera Spagnoli:
sessualità senza riflettere
Laura Di Teodoro
a pagina 9
Il
paese degli
strafalcioni
Italiano sempre più maltrattato
a scuola e non solo
Anna Carissoni a pagina 10
Paese che vai
TV che trovi
Milioni di pellegrini si riversano ogni anno, da dodici secoli a questa parte, nella città di Santiago di Compostela,
in Spagna. Ricorre, in questo 2010, l’Anno Santo Giacobeo. È un luogo di memoria e di identità per i cristiani
e per le radici dell’Europa. Uno scrittore ci fa respirare e assaporare il cammino verso Santiago.
Ulderico Bernardi a pagina 3
La rivoluzione del digitale
e i nuovi programmi
Gino Carrara a pagina 15
Figli cresciuti, ruolo ritenuto concluso…
Da Assisi al cielo
La crisi dei cinquantenni
adolescenti di ritorno
L
➢ continua a pagina 14
Docente di Sociologia, Università
Ca’ Foscari, Venezia
Anna Oliverio Ferraris
Anno 53 - Ottobre 2010 / n. 10
Attualità di San Francesco
Il nostro tempo ha bisogno di esempi forti di costruttori di fede, speranza
e carità, testimoni coerenti del Vangelo. Sentiamo il richiamo alla santità. Dopo
più di ottocento anni San Francesco “continua a parlare
e a commuoverci con le sue parole e la sua vita”, ha scritto Susanna Tamaro, celebrando il poverello di Assisi come uno spirito che continua a diffondere
le armonie di un inno all’amore per Dio, per l’uomo e per il creato.
Nell’immagine il “Pianto delle Clarisse” (ciclo giottesco).
Giuseppe Zois a pagina 4
a famiglia è un mondo in
movimento. Cresce giorno
dopo giorno. E, giorno
dopo giorno, fa crescere. Non si è
mai famiglia una volta per tutte.
Ma ogni giorno ci si adegua, ci
si aggiusta, ci si misura e ci si
confronta. E si cambia. Intorno
alla coppia, innamorata, felice,
carica di aspettative che ne formano il nocciolo, si tessono, nel
tempo, tutta una serie di relazioni
che vedono i figli al centro. La
loro attesa, la loro mancanza, il
loro arrivo, la loro crescita, le
malattie, i problemi, la scuola,
i parenti, gli amici, la Prima
Comunione, le attività del tempo
libero... E gli anni procedono
veloci e ritmati dall’apertura e
dalla chiusura delle scuole, dei
saggi di fine anno, dalle pagelle
e dalle vacanze tutti insieme al
mare. Poi all’improvviso, senza
neppure troppe avvisaglie, i figli
sono cresciti. Tutto ad un tratto
hanno 18 anni, degli amici con
cui rivendicano di andare in
vacanza, un fidanzato con cui
vogliono andare a convivere e
una vita loro da vivere. E per noi
genitori, che per anni abbiano
trottato allegri e felici al loro
fianco, come instancabili segugi,
sempre pronti, sempre fedeli, sempre
sul punto di buttare la pasta,
si spalanca un tempo diverso.
Corinne Zaugg
➢ continua a pagina 14
Campo e spalti
Per il calcio
una medicina di
nome fair play
Gino Carrara e Enzo Dossico
alle pagine 16 e 17
13/09/10 16:03
2
/ Ottobre 2010
Il campione di motociclismo è passato alla Ducati
O Valentino vestito di rosso
Con lui il made in Italy alla conquista del mondo
P
er il padre del “dottore”,
Graziano - il quale pure
fu un centauro di spicco
negli anni ’70 del ‘900 -, si è
compiuta una “magia”. Per Gabriele
Del Torchio, presidente della Casa
che adesso se ne è assicurata le
prestazioni, si è avverato un “sogno”.
Nelle prossime due stagioni, dunque,
Valentino Rossi, nel campionato
delle moto GP, correrà su una
Ducati. In molti lo prefiguravano,
in chiusura di carriera, al volante
di una rossa a quattroruote di
Maranello; lui ha optato, invece,
per la rossa a due ruote di Borgo
Panigale (Bologna). Dopo sette
stagioni, il “fenomeno” pesarese ha
deciso di
lasciare la
Yamaha,
ome e perché
sulla quale
il fenomeno
era salito
ha cambiato moto nel 2004.
Coerente
con il suo
stile - tendente ai gesti inconsueti
- si è congedato (ufficialmente) - in
quello che i cronisti hanno definito
il D-Day, nello scorso Ferragosto con una “lettera d’amore” scritta a
mano: nella missiva ha dato libero
sfogo ai sentimenti di gratitudine,
ma ha, altresì, rimarcato i propri
meriti nel rendere competitiva ai
livelli più alti (quattro titoli mondiali) una moto che, quando lui
vi salì, tale non era. Perché il
funambolico corridore di Tavullia
si è orientato a cambiar casacca
(pur mantenendo il “suo” numero
46)? “Ho bisogno di nuovi stimoli - ha
risposto Valentino Rossi ai curiosi
-. Cerco nuove sfide”. In realtà ha
capito che la Yamaha sta ormai
puntando sull’asso emergente Jorge
Lorenzo (di 8 anni più giovane
del “dottore”). E forse anche la
ventilata riduzione dell’ingaggio lo
ha convinto a far le valigie in
direzione della Ducati, che gli
ha garantito un trattamento di
13 milioni annui per due stagioni. Nel 2011 saranno parecchi i
cambiamenti nello schieramento
delle moto GP (a partire dall’ex
ducatista Casey Stoner in sella ad
una Honda). I fans di questo sport
stanno, già da tempo, pensando
alle “battaglie” spericolatissime che
si vedranno tra i non pochi giovani e grintosi “galli”, di recente
emersi (Jorge Lorenzo e Casey
Stoner, appunto, più i vari Daniel
Pedrosa, Andrea Dovizioso e altri)
e l’ormai “vecchio” (trentaduenne)
Valentino Rossi, determinato però
- per molteplici ragioni - a… non
mollare l’osso. Alla Ducati non
hanno certo nascosto l’intendimento
di puntare ai gradini più alti dei
podî, per ripetere, almeno in parte,
quanto avvenne tra il 1966 e il
1972, allorché, per sette stagioni
consecutive Giacomo Agostini
.
C
vinse il “mondiale” (classe 500)
con la MV Augusta, moto nata
da un’azienda fondata nel 1907,
presso la Cascina Costa di Samarate
(Varese), inizialmente applicatasi
alle costruzioni aeronautiche e,
dal 1945, con una fabbrica eretta
a Verghera, dedicatasi, anche, alla
produzione di veicoli a motore a
due ruote. “Il doppio inno nazionale
italiano dopo una gara ‘mondiale’ - ha
commentato nel D-Day Giacomo Agostini, auspicando che il
‘dottore’, con la Ducati, riesca
a mettersi sulle sue orme - è
un emozione inimmaginabile!”. “Ago”,
nato nel 1942 al confine tra le
province di Brescia e Bergamo,
resta una “stella” ineguagliata del
motociclismo italiano: 360 corse
vinte, successi in 123 dei 190
Gran Premi disputati, 15 titoli
mondiali (in due classi), 10 Tourist
Trophy, 18 titoli italiani. Valentino
Rossi per ora è a quota 9 titoli
mondiali: tanti quanti ne conquistò
negli anni ’50, anch’egli su una
MV Augusta, il bergamasco Carlo
Ubbiali, nato nel 1929 e ritiratosi
dall’attività nel 1960, a 31 anni,
quando morì il fratello Maurizio,
suo manager e consigliere.
Arturo Consoli
Valentino Rossi, uomo simbolo
del motociclismo che vince, è passato
dalla Yamaha alla Ducati:
l’immagine è assicurata, c’è
da aspettare che torni il successo.
Sogni in sella
prestigio da ritrovare
La storia del marchio di Borgo Panigale
S
perano fortemente clamorose
affermazioni dal binomio
Rossi-Ducati, oltre agli sportivi,
tutti coloro che hanno a cuore
il “made in Italy” nel mondo. Il
“dottore” è uno dei pochi nostri
connazionali davvero universalmente
conosciuti. La Ducati, dal canto
suo, è l’unica casa motociclistica
italiana che (nel 2007, con Casey
Stoner, australiano) è riuscita a
battere le case giapponesi nel
“mondiale” delle moto GP. Avviata
nel 1926 a Bologna dall’ingegner
Antonio Cavalieri Ducati, l’azienda
agì inizialmente nel campo delle
componenti per telecomunicazioni.
Nel 1946 a Borgo Panigale, fu
creato il reparto motociclistico e,
nelle euforie della ricostruzione
postbellica, fece colpo e cospicui
affari con il ciclomotore “Cucciolo”,
del quale vendette, rapidamente,
più di 250 mila esemplari. La
società cambiò più volte proprietà.
Arrivarono pure gli americani.
Dal 2005 è tornata in mani italiane. Scattò nel 2001-2002 l’idea
di un impegno nella classe più
prestigiosa dei “mondiali” motociclistici. Grazie a Loris Capirossi
arrivarono, a partire dal 2003,
le prime affermazioni. Non ha
avuto fortuna Marco Melandri,
ingaggiato dalla Ducati un paio
di anni or sono. Adesso scende
in campo il “dottore”. Riuscirà
- con un mezzo che già è assai
competitivo - a fare quello che
dal 2004 in qua ha realizzato
con la Yamaha? E magari di più?
(a.c.)
Esame per tutti
Se vogliamo
promuovere
la scuola
È
ripartita la macchina della scuola.
Un altro anno fra i banchi per
allievi, docenti, famiglie. Un problema che non potrà più a lungo essere
disatteso e tenuto nei cassetti è quello
del calendario scolastico, che pure va
riformato e radicalmente. In altri Paesi
vi hanno posto mano da tempo e, in
qualche nazione vicina a noi, la scuola
comincia a inizio agosto. “L’Italia l’è
longa”, imprecava quasi Gianni Brera,
e questo va senz’altro tenuto conto:
quando a Bolzano si va già ben coperti,
a Palermo si fa ancora il bagno al mare.
Differenziamo pure, importante è che
ci sia volontà di procedere.
La globalizzazione, la tecnologia, la
mobilità, la comunicazione hanno stravolto, come uno tsunami, un mondo
di modalità, abitudini, tradizioni che
reggevano da tempo immemorabile.
Noi, nell’Occidente che continuiamo
a ritenere avanzato, andiamo avanti,
ancora, con l’impostazione della civiltà
contadina e relative stagioni.
Oggi, per prendere contatto con la civiltà contadina
occorre andare
al Museo, e i
è necessità
bambini di città,
quando vedo- di rivedere
no una mucca
il calendario
vera al pascolo,
chiedono come mai non sia viola come
quella della pubblicità di una certa
marca di cioccolato! Nel presente, in
casa non c’è più nessuno, scomparsi
anche i nonni e, quindi, molti bambini
sono soli e vengono parcheggiati di qua
o di là. Per fortuna, ci sono le parrocchie che da anni si fanno benemerite
promotrici dei campi ricreativi estivi.
Si può riorganizzare, verbo che non
significa in alcun modo caricare - prevengo
la reazione istintiva di categoria - sulle
spalle dei docenti ulteriori gravami.
Chi fa seriamente il proprio lavoro,
ed è la stragrande maggioranza della
classe docente, ha già il suo bel carico.
Si consideri, poi, che due o, anche, tre
mesi di vacanze, da metà giugno a metà
settembre (dipende dalle regioni), sono
troppi e controindicati per i ragazzi. Si
mantenga pure lo stesso numero di
giorni di vacanza, se i responsabili
ritengono che sia il caso, ma che questi
giorni vengano distribuiti diversamente
sul calendario. E in fine, la scuola
non è un pianeta a parte, dove ogni
giorno si fanno planare i figli, gli
studenti, che, poi a sera, riprendono
la navicella spaziale per far ritorno
sul pianeta casa: la scuola siamo
tutti noi e non possiamo consentirci
la libertà o il lusso di lasciarla sulle
spalle dei dirigenti, dei docenti e degli
studenti.
Questo è il punto di partenza irrinunciabile per ogni e qualsiasi intervento
sulla scuola: la prima autorevolezza
incomincia dall’assunzione di questa
responsabilità. A ciascuno la propria.
(e.t.)
C’
3
/ Ottobre 2010
Per milioni di pellegrini
Santiago
memoria e identità
Servizio di Ulderico
Bernardi
U
n viaggio all’origine
dell’appartenenza. Passo
dopo passo, nel respiro
cadenzato della preghiera silenziosa del solitario, o nella recita
condivisa, ad alta voce, nella fila
pellegrinante. Un modo offerto al
cristiano per rinascere alla fede e
alla consapevolezza di essere parte
d’una civiltà orgogliosa di avere
diffuso nel mondo la Parola. E
uno spiraglio aperto sull’Eterno,
in fondo al lungo Camino de
Santiago, che ha termine nella
città di Compostela. L’Anno Santo
Giacobeo di questo 2010 si va
concludendo. Per il prossimo si
dovrà attendere il 2021, continuando
Fede&Storia
una tradizione nata nove secoli
fa, che si ripete per tutti gli anni
in cui la festa di San Giacomo,
il 25 luglio, cade di domenica.
L’indulgenza plenaria, offerta al
pellegrino che giunge al Santuario
galiziano, conferma l’importanza
straordinaria che questo luogo
santo ha avuto, ed ha, attraverso
i secoli. La devozione resa alle
reliquie dell’Apostolo, che con
il fratello Giovanni Evangelista,
seguì il Cristo per farsi pescatore di uomini, è divenuta parte
importante dell’identità spagnola
ed europea.
Il simbolo
I pellegrini
che raggiungevano Santiago
testimoniavano il loro
viaggio con la conchiglia
che è rimasta icona
del santuario. Qui, attorno
al Mille, nacque l’inno
“Salve Regina”.
Da dodici secoli
itinerario dello spirito
Santuario sorto nel Campo della Stella
D
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Uomini di fede
e persone
da ogni dove
Sulla via di san Giacomo, popoli alla ricerca dell’identità cristiana
a dodici secoli, milioni
di pellegrini hanno indirizzato i loro passi verso
la basilica sorta nel campo dove
una prodigiosa luce come di stella,
nell’estate dell’813 fece ritrovare
all’eremita Pelagio la sepoltura di
Giacomo. Di qui il nome della città
che vi è sorta attorno: Campus
Stellae, nel tempo del passaggio
dalla parlata latina al volgare
divenuta Compostella.
San Giacomo fu il primo, tra gli
immediati compagni di Gesù, a
subire il martirio in Palestina. Di
qui, con un miracoloso trasferimento,
la barca dov’era stata collocata la
venerata spoglia, raggiunse la costa
settentrionale della penisola iberica,
non lontano dal promontorio che per
i latini segnava la fine del mondo
conosciuto: Finis terrae, in faccia
all’Oceano. Con i palmieri, che
ritornavano dalla visita al Sepolcro
Seguendo di notte
la Via Lattea
di Cristo in Terra Santa, recando
come segno un ramo di palma, e
i romei, che scendevano a Roma,
centro della cristianità, i pellegrini
che in lunghe marce raggiungevano
Santiago, testimoniavano il viaggio
compiuto recando una conchiglia
raccolta sulla spiaggia atlantica.
Un simbolo sacro, uno stemma
dalla costolatura come raggi del
sole, che irradia santità sul petto
del pellegrino. È la coquille Saint
Jacques dei francesi, la Capa Santa
dei veneti. Che Papa Innocenzo VI
volle nel suo stemma. Simbolo, con
le sue due valve, dell’attaccamento
a Dio e dell’amore per il prossimo.
Un’accumulazione di grazie, da
quei secoli lontani, ha confermato
la luminosa potenza della santa
reliquia. Qui, intorno al Mille, il
vescovo Pedro de Mezonzo scrisse
l’inno Salve Regina che ancora
rivolgiamo alla Vergine. Alla tomba
del Santo, ebbe a ricordare Giovanni Paolo II, convennero Francesco
Volge al termine
l’anno Giacobeo,
con il cuore nella città di
Santiago de Compostela.
Nell’estate dell’813,
il prodigio di una
stella fece ritrovare
all’eremita Pelagio
il luogo galiziano,
dov’erano sepolti i resti
dell’Apostolo Giacomo,
fratello di Giovanni.
d’Assisi, Re e Imperatori. “L’intera
Europa - affermò il Papa, nel discorso
tenuto a Santiago in occasione del
precedente Anno Santo Giacobeo
- si è ritrovata intorno alla
memoria di Giacomo in quegli
stessi secoli nei quali essa
si costruiva come continente
omogeneo e spiritualmente
unito. Per quello, lo stesso Goethe affermerà che la
coscienza d’Europa è nata
pellegrinando”.
I pellegrini richiedono i timbri che
certificano il passaggio, nelle varie
tappe lungo il cammino, in attesa
di ottenere, una volta giunti alla
meta, il diploma che riempie di senso
il gesto di abbracciare la statua del
Santo, com’è consentito al pellegrino. Sulla via di San Giacomo il
continente che ha voluto e saputo
spingersi oltre quel misterioso oceano
su cui si affaccia, portando a tanti
popoli il Vangelo di Cristo, può
ritrovare la grandezza e la serenità
che nessuna abbondanza monetaria
e innovazione tecnologica possono
assicurare. Una comunità di genti
di nuovo in pace col suo Dio.
L’
identità dei popoli europei è intessuta nel filo
prezioso delle visite ai
santuari cristiani, piccoli e grandi,
presenti ovunque nel continente.
I pellegrini di Santiago, lungo
le ardue e pericolose strade
medievali, seguivano nelle notti
stellate la direzione tracciata
dalla Via Lattea. Le cronache
antiche registrarono la presenza di 74 nazioni cristiane,
ma anche di arabi e giudei.
Elencando guasconi, bretoni,
tedeschi, inglesi, borgognoni,
normanni, tolosani, provenzali,
lombardi. Anime
di un’Europa che
nella ricchezza
della sua diversità
vibrava di spiritualità partecipe.
Alla tomba
Ciò che ora le è
dell’Apostolo
venuto a mancauna unità
re. E ne avverte
la sofferenza.
e continuità
Lo dimostra la
di generazioni
forte ripresa dei
pellegrinaggi a
Santiago negli ultimi decenni.
Uomini di fede e persone alla
ricerca di Dio, in questa età
dubbiosa, mortificata dal materialismo, accorrono numerosi alla
tomba dell’Apostolo cercando
di ritrovare la continuità con
le generazioni che fondavano
il loro vivere sull’amore e il
timore di Dio. Riaprono le
vecchie strade, si restaurano gli
ostelli e le chiese romaniche
lungo il percorso.
13/09/10 16:03
4
/ Ottobre 2010
Chiesa, società e bisogno di una nuova evangelizzazione
La tentazione di credere
di Giuseppe Zois
U
na donna che da anni
si trova a vivere in una
posizione di confine. Una
donna che in casa non ha avuto
un orientamento religioso, un’educazione cattolica: anzi, una donna
che proviene da un ambiente ateo,
anticlericale, massone. Una donna
inquieta che ha fatto un lungo
cammino spirituale. In questi pochi
tratti, c’è un accenno dell’identità
di Susanna Tamaro, scrittrice famosa
per i suoi successi, solida per il
suo sentire, delicata nel raccontare
l’interiorità delle persone, le variegate situazioni del vivere. Susanna
Tamaro è colta, ha uno stile di
vita ispirato
all’essenzialità, non fa
empo
concessioni al
di camerieri mercato, non
di idee alla moda frequenta salotti e jet set.
Vive la sua
vita avvolta nella discrezione in cui
ha scelto di stare. Si fa vedere - e
notare - con i suoi scritti, i suoi
interventi sempre acuti e ricchi
di intuizioni, che poi, ciascuno le
invidia, soprattutto con i suoi libri,
puntualmente densi di momenti,
di percorsi, di incontri, in una
parola di calda umanità che fa
da filigrana preziosa e continua.
In un tempo di diffuso qualunquismo, di conformismo e
di filosofia del tornaconto, di
camerieri delle idee alla moda,
questa scrittrice non ha paura di
affrontare temi scomodi, anzi ha
il coraggio di dire, con chiarezza,
come la pensa e di accendere
dibattiti e confronti su aspetti
scottanti, problemi controversi. Per
come vanno le cose, è certo che
Susanna rimedia incomprensioni,
attacchi, veleni. Non per questo
desiste dall’affrontare scogli, dal
denunciare contraddizioni, incongruenze, assurdità, il velinismo
che affligge molte ragazzine, che
non sanno niente della vita e
dell’amore e inseguono il mito
abilmente creato da moltiplicati
“gatti” e “volpi” che popolano il
presente. E poi, la bellezza vestita
di ossessiva perfezione, la maternità
tradita con una pillola, l’aborto
che diventa un facile e banale
contraccettivo… Lo stesso ha fatto
contro le moderne gogne mediatiche
perfide e orrende, che macchiano
per sempre - per interesse, calcolo
politico, ecc. - le esistenze di persone integre, magari per scusarsi
dopo qualche tempo (vedere in
proposito il caso Boffo).
Con un suo nuovo intervento
sul “Corriere della Sera”, Susanna ha
firmato una diagnosi dei mali che
affliggono la Chiesa, dall’eclisse di
Dio alla grave crisi del senso della
fede cristiana e dell’appartenenza
alla Chiesa, per usare le parole
del Papa. Susanna ha adoperato
la frusta contro la secolarizzazione
in atto e, ancor più, contro i
pannicelli con cui ci si illude di
poter guarire una patologia fattasi
ormai grave. Alla base delle sue
critiche c’è, comunque, un terreno
d’amore, con il desiderio di una
catarsi morale.
T
“San Francesco rinuncia
al padre”. San Bonaventura
ha scritto: “Francesco
restituì al padre ogni cosa,
e spogliatosi rinunziò ai beni
paterni e terreni, dicendo
al padre: “D’ora in poi posso
dire: Padre Nostro che sei nei
cieli, poiché Pietro di
Bernardone mi ha ripudiato”.
(Cap II,1043)
Davanti alla cosificazione dell’uomo
I
S
l riaffiorare di questi temi viene fuori dalle esperienze vissute da persone
della generazione di Susanna, uscite da sbornie ideologiche, dalla ricerca
di autenticità, di sostanza, di fede nel Vangelo. Invece che il padre del figliol
prodigo, invece del buon samaritano o del pastore che lascia le 99 pecore
per andare in cerca di quella smarrita, questi “orfani” del Padre hanno
trovato porte chiuse, l’esatto contrario dell’annuncio di Cristo che esorta
a “chiedere, perché vi sarà dato”, a “bussare, perché vi sarà
aperto”. Non trovando quell’accoglienza di comprensione e di ascolto che si
attendevano, gli ondeggianti se ne sono ripartiti. In queste accuse Susanna è
in buona compagnia con robuste figure di teologi, che sono rimasti dissenzienti
fedeli - come lo erano Mazzolari, Milani, Turoldo, Fabbretti, Levi, De Piaz…
Caustica e amara, ma profondamente vera, Susanna quando cita un prete,
uno dei sempre più diffusi preti che tuonano il verbo, alla maniera del “così
è”, preti manager, che viaggiano con valigette come se dovessero frequentare
consigli di amministrazione piuttosto che banchi di chiese. Dunque: un
giorno, la scrittrice spiegava a un prete il sentito e tardivo riavvicinamento
alla fede di un’amica di cui avrebbe, dopo poco, celebrato il funerale. “Gli
ultimi mesi non contano niente, bisogna stare da sempre nella
Chiesa”, obiettò quel sacerdote che aveva ben chiaro - evidentemente - l’annuncio evangelico e la confortante assicurazione di Gesù: “Ci sarà più
gioia in cielo per un peccatore convertito, che per 99 giusti
che non hanno bisogno di conversione”. (Lc 15,7)
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Francesco
con le parole
e la vita
“M
algrado tutti i discorsi
sull’apertura, sulla nuova
evangelizzazione, la Chiesa - annota
la Tamaro - continua ad essere
una struttura solo apparentemente
accogliente, raccoglie giustamente i
poveri, si prodiga con generosità per
alleviare le sofferenze degli ultimi, ma
spesso in questa bulimia di buone
azioni, si dimentica delle inquietudini
delle persone normali”. Poi, ecco
un affondo su cui soffermarci
tutti: “Mancano i padri e le madri
spirituali, persone credibili, che abbiano
fatto un cammino, che conoscano
la complessità e la contraddittorietà
della vita e che, con umiltà e pazienza, sappiano accompagnare le
persone lungo questa strada, senza
giudicare e senza chiedere risultati.
Nel padre o nella madre spirituale non
c’è niente di nuovo, bensì qualcosa
di straordinariamente antico: la sete
di un’anima che incontra un’altra
anima in grado di aiutarla a cercare
l’acqua”. La realtà è sotto gli
occhi di tutti, l’appannamento
del sacro, i giovani, e non solo
loro, sempre più lontani, l’indifferenza e
il relativismo,
a
anni
il cristianesimo “à la
continua
carte” stanno
svuotando le a commuoverci
chiese. Mentre il malato si aggrava, più
che pensare ad una terapia
d’urto - ossia al ritorno al
Vangelo - si istituiscono nuovi
organismi, come il Pontificio
Consiglio che ha la missione
di promuovere una rinnovata evangelizzazione. In questo
momento ci sarebbe bisogno
di gente giovane, trascinatrice,
con un forte ascendente sulle
nuove generazioni, capace di
incendiare entusiasmi e passioni.
Questa Chiesa, che in passato
ha espresso figure gigantesche
di profeti e rinnovatori, Sceglie
come sua guida un vescovo
intellettuale che ha ricevuto il
compito di gestire una rivoluzione
dei cuori. Perché i carismi ci
sono pure per qualcosa! E del
resto la Tamaro fa il nome
di un uomo e di un santo
che ha dato una delle scosse
fondamentali per un ritorno
alla semplicità, all’umiltà, alla
povertà: San Francesco d’Assisi.
È un passaggio di grande forza:
il fascino del Poverello è rimasto
contagioso. “San Francesco da più
di 800 anni continua a parlare e a
commuoverci con le sue parole e la
sua vita. San Francesco infatti era un
Santo. E cosa vuol dire Santo? Essere
una persona integra, una persona che
non ha doppiezze, fraintendimenti,
che conosce solo il sì sì e no no di
evangelica memoria”.
D 800
Cercatori di infinito
Bussate e vi sarà chiuso
Susanna Tamaro
Una risposta di santità
ul bisogno di santità e sugli uomini di Chiesa la Tamaro pome amare domande:
“Chi sono le persone di Chiesa che ci vengono incontro, che
parlano dai pulpiti delle parrocchie, in televisione, sui giornali? Hanno
sguardi luminosi? Le loro bocche parlano davvero della pienezza del
cuore? Sono forze di santità? E se lo sono, perché non arrivano,
perché le loro parole lasciano per lo più indifferenti se non irritati?
Perché non faccio altro che incontrare persone buone, rette, etiche,
che si sono allontanate per sempre dalla Chiesa dopo esperienze
deteriori con i suoi rappresentanti?”. Ha ragioni da vendere Susanna quando
sostiene che l’attuale sete di verità e bellezza non può venire soddisfatta né dalla
mediocrità delle vite e delle testimonianze, né da una liturgia che ha abbandonato
il sacro, diventando sempre più simile a una sorta di intrattenimento televisivo. I
tempi nuovi impongono strategie adeguate, che non abbiano paura di andare avanti
e che non si accontentino del ricordo. “Forse è il momento di capire che
non è la quantità dei sacerdoti, ma è la qualità a fare la differenza.
E la qualità non dipende dalla preparazione teologica, dai convegni,
dai master accumulati, ma dalla purezza dell’anima che si arrende
alla Grazia. Un’anima arresa è un’anima che converte, che disseta.
Un’anima che traffica, organizza, o si assopisce sui suoi privilegi, è
un’anima che allontana. I nostri tempi hanno bisogno estremo di
santità, perché davanti alla cosificazione dell’uomo, è l’unica condizione
che lo riporta alla straordinaria grandezza per cui è nato”.
13/09/10 16:03
5
/ Ottobre 2010
Uccisi perché
sospettati di fede
Karen Woo era alla vigilia delle nozze
Un attentato in Afghanistan per colpire
un gruppo di volontari: massacrati 8 medici,
5 uomini e 3 donne di un’organizzazione
che opera nel martoriato Paese da 40 anni.
L
e imboscate, gli agguati,
gli attentati sono sempre
odiosi, perché vili e
sferrati a tradimento. Lo sono
in misura colossale quando
vengono compiuti contro persone in missione umanitaria.
Una orrenda strage è stata
compiuta a inizio agosto in
Afghanistan, nella provincia
nord-orientale del Badakhshan.
Dieci volontari sono stati
uccisi da irriducibili talebani,
uomini legati ad Al Qaeda
e al clan Haqqani.
Terroristi accecati dal fondamentalismo e dall’imperativo
categorico della guerra di
religione in nome dell’islam.
Le vittime sono sette uomini e 3 donne, 6 americani,
un’inglese, un tedesco e 2
afghani.
Sono stati giustiziati perché
“
Gli aspetti positivi sono
la generosità, la capacità
di condividere; quelli
negativi sono la rigidità
del sistema, la sicurezza
nel conformismo.
Karen Woo
sospettati di essere spie e di
fare proselitismo per il Dio
dei cristiani. Gli 8 medici
occidentali e i 2 afghani sono
caduti sotto una raffica di
colpi: i loro corpi sono stati
trovati da un pastore. Il capo
del gruppo era l’americano
Tom Little, in Afghanistan
da 30 anni, conosceva e
parlava le lingue locali: qui
ha cresciuto anche le sue tre
figlie. Il capo dell’organizzazione IAM (International
Assistance Mission), Dirk Frans
non sa capacitarsi di questo
attacco: “Siamo un’organizzazione
cristiana ma non abbiamo mai
fatto proselitismo. È vietato dal
nostro statuto.
Siamo qui da 40 anni e abbiamo
lavorato sotto il re, sotto i russi,
sotto i comunisti, sotto i signori
della guerra e sotto i talebani”.
“
Questo fatto è una
tragedia, soprattutto
se si pensa agli enormi
bisogni di alcune aree.
C’è ancora posto
per il lavoro umanitario?
Alberto Cairo
“Ho paura ma voglio
aiutare chi soffre”
L’
inglese Karen Woo si
sarebbe dovuta sposare
in settembre e s’era fatta
preparare l’abito nuziale da un
afghano. Karen teneva un diario
in cui rivela tutto il suo animo,
la sua umanità, la sua ansia di
solidarietà. Ecco un passaggio
che ci dà la misura del suo
sentire: “Questo è un posto molto
diverso dall’Inghilterra e le gerarchie
sociali e famigliari sono molto forti. Gli
aspetti positivi sono la generosità,
la capacità di condividere malgrado
la mancanza di cibo e spazio e soldi;
quelli negativi sono la rigidità del
sistema, la sicurezza nel conformismo
e quindi la mancanza di coraggio di
rompere lo stampino per mostrare la
propria individualità. È difficile da
spiegare ma tentare di assumere un
comportamento diverso dal normale
significa venire subito condannati.
Così i costumi cambiano davvero
lentamente. Ho paura ma voglio
comunque aiutare chi soffre”.
Alberto Cairo, che lavora in
Afghanistan per il Progetto ortopedico del Comitato internazionale
della Croce Rossa, ha rilasciato
un commento molto commosso,
ma altrettanto fermo nell’analisi
e nella condanna di chi vuol
promuovere Dio con le bombe
e la morte. Dell’organizzazione
di cui facevano parte le vittime,
Cairo ha detto che “con mezzi
limitati riesce ad ottenere grandi risultati,
grazie ad una gestione accorta delle
risorse e ad una profonda dedizione.
Non trovi mai i suoi volontari a feste
o cene sontuose: vivono in case modeste, guidano macchine di terza mano.
Trascorrono mesi ad imparare le lingue
locali e dichiarano apertamente di
ispirarsi a principi cristiani. Mi trovo
in Afghanistan da 20 anni. Anni in
cui ho assistito a fatti, misfatti, gesta
grandiose e meschine. Anni che mi
hanno cambiato. Con l’esperienza ora
accetto cose per le quali un tempo mi
indignavo, tollero usanze spesso assurde,
aspetto paziente guardando fisso ai
risultati. Sono diventato pragmatico.
Ma per eventi come questo continuo
a urlare. Sono inaccettabili, mostruosi. E viene spontanea la domanda:
nell’Afghanistan di oggi c’è posto per
il lavoro umanitario? È ancora possibile? A Kabul rimane relativamente,
malgrado si vedano stranieri costretti
dalle ambasciate a limitare moltissimo
le loro attività sulla base di regole
di sicurezza spropositate. Molto più
problematico è invece lavorare nelle
province dove si combatte. Spesso non
è presente neanche un’organizzazione
non governativa. E del resto: senza
sicurezza, come si può lavorare? Questo
fatto è una tragedia, soprattutto se si
pensa agli enormi bisogni di alcune
aree”.
(e.t.)
Non c’è solo negatività attorno a noi: la tragica e al tempo stesso edificante storia-testimonianza di Pillon morto da eroe in India
Riccardo, il gigante buono che si spendeva per gli altri
N
ello scorso mese di agosto, durante il maltempo che
ha funestato l’India e il Pakistan, seminando morte e
distruzione fra popolazioni spesso già allo stremo, se n’è
andato un giovane italiano: Riccardo Pillon. La sua scomparsa
nel Kashmir, ha lasciato sconvolta la famiglia e ammutolita una
folla di amici. Questo giovane era una bella persona: una di quelle
figure miti, generose, solidali, impegnate per il proprio avvenire e
attente ai bisogni del prossimo, soprattutto quello in difficoltà.
I vari TG, nemmeno dopo che è morto hanno voluto occuparsi
di lui andando oltre le poche righe, con un appello commovente
della mamma per il recupero della salma. Andare in cerca di
buone notizie non è facile: ma, quando i giornali scrivono il profilo
e danno la misura della grandezza d’animo di una persona, si
potrebbe pensare ad un servizio da collocare dentro una palude
di degrado della politica, di criminalità crescente, di incidenti e
pirateria della strada, di stupri e traffici di droga, cioè l’ordinaria
filigrana di un TG qualsiasi.
I giornali hanno riferito che Riccardo Pillon, 23 anni, è morto da
eroe, spingendo un vicino oltre la piena in arrivo e salvandogli la
vita. Il ritratto è quello di un giovane d’oggi, nella cui esistenza
c’era posto per tutto. “Alto, bello sportivo. Giocava a
basket nella Don Bosco Crocetta, sciava, faceva sci
alpinismo. Amava la medicina”. Era il “gigante buono
000Frate_Ottobre2010.indd 5
che divorava la vita”, ma si distingueva soprattutto per l’aiuto
che dava a piene mani al prossimo. Ancora dai giornali: “Da
anni era volontario del Centro culturale Valmiana… La
sua fede era vissuta ogni giorno in una testimonianza
costruita nei corsi di formazione spirituale, nell’aiuto
elargito agli studenti più giovani. E soprattutto nelle
attività estive di volontariato. Gli amici raccontano
che risparmiava durante l’anno euro su euro per
poter andare, a sue spese, in estate in Paesi lontani
a costruire quel che mancava”.
Se ancora non bastasse, ecco altre tessere di un mosaico di
umanità davvero splendida: “In Nicaragua, qualche anno
fa quando era giovanissimo, aveva realizzato servizi
igienici in un villaggio e l’anno scorso in Romania
si era dedicato con alcuni amici alla ristrutturazione
di una chiesa del rito greco e di un asilo. Era così
Riccardo Pillon; capace di collezionare trenta agli
esami e di stupire i docenti”.
Lo squarcio affettivo per la perdita di un uomo come Riccardo
Pillon è molto profondo: al tempo stesso la sua testimonianza
circoscritta agli amici e ora rivelata da chi lo conosceva all’opinione pubblica è una spinta a demolire il muro di sfiducia che
i media ogni giorno innalzano. Da una gioventù tanto sparlata
escono ancora, per nostra fortuna, figure di nitida luminosità
che rischiarano il cammino di tutti. Non sono casi sporadici o
eccezionali: ce ne sono. Dobbiamo solo imparare a guardare oltre
la linea nera che ogni TG traccia. Se alziamo di poco lo sguardo
vediamo l’azzurro e il sole che ora avvolgono del tutto Riccardo
Pillon e tutta la scia di bene che ci ha tracciato.
(gi. zo.)
13/09/10 16:03
6
/ Ottobre 2010
Quelle picconate
finite in niente
La morte a 82 anni di Francesco Cossiga
di Gino Carrara
“S
e potessi tornare indietro, non
impugnerei più il piccone
perché la fasulla seconda
Repubblica di oggi ha dimostrato che i
miei sforzi sono stati inutili (…). Nessuno
volle raccogliere il messaggio. Nessuno capì
l’allarme (…). Avevo proposto un salto
nel futuro, ma ero troppo in anticipo sui
tempi…”. Queste riflessioni che,
Francesco Cossiga fece a voce alta
con un giornalista poche settimane
prima di morire, vanno lette come
un’autocritica o come un’autodifesa?
L’interrogativo si aggiunge ai non
pochi irrisolti, su eventi clamorosi
della più recente storia italiana,
che “Ceccio da Chiaramonti” - come
Cossiga una volta si ribattezzò - s’è
portato nella tomba. Egli si è
spento (a 82
anni da poco
compiuti) il
lamorose
17 agosto,
esternazioni dopo un
breve ricovero
a fine mandato
ospedaliero,
imposto da
una crisi respiratoria. Ha voluto
funerali semplici nella sua terra,
la Sardegna. Anche nell’ora del
trapasso è rimasto coerente con
il suo stile, che lo rese straordinario sotto molteplici aspetti. Nato
a Sassari nel 1928 da genitori
originari di Cheremule, cresciuto
in una parrocchia che da ragazzi
frequentarono alcuni altri politici
illustri (a cominciare da Antonio
Segni, Presidente della Repubblica
dal ’62 al ’64), cugino in secondo
grado di Enrico Berlinguer, segretario
del PCI tra il 1972 e il 1984,
conseguì la maturità liceale a 16
anni, ebbe la laurea a 20 e poco
dopo prese ad insegnare Diritto
Costituzionale all’Università. A 17
anni Francesco Cossiga ottenne la
tessera della Democrazia Cristiana,
primeggiando rapidamente tra i
“giovani turchi sassaresi”. Nel ’48 - lo
riconobbe egli stesso apertamente
- fece parte dell’organizzazione
(“Gladio”) pronta ad imbracciare
C
le armi qualora i socialcomunisti,
perdute le elezioni del 18 aprile,
avessero tentato un colpo di stato.
A trent’anni il futuro “Ceccio”
era deputato a Roma. Nel 1966,
come sottosegretario della Difesa
con delega per i servizi segreti,
cominciò ad impratichirsi nell’arte
di governare, poi esercitata sino
ai gradi più alti. Ad appena 57
anni il 24 giugno 1985, al primo
scrutinio, con 752 voti a suo
favore su 977, fu eletto Capo
dello Stato, ottavo della serie dopo
la fine della monarchia in Italia,
il… meno in età degli approdati
al Quirinale. Austero e silenzioso
nei primi cinque anni, negli ultimi
due (prima delle dimissioni con
qualche mese di anticipo sulla
scadenza del settennato) inanellò
“esternazioni” e “picconate” in continuità “per denunciare che il sistema
non reggeva più e per far capire che, se
la classe politica non avesse fatto nulla,
sarebbe stata presa a pietrate per strada”.
Aspro, ironico, sarcastico
Giudizi brucianti
A
l momento della scomparsa di Francesco
Cossiga, pressoché unanime è stato il cordoglio, unito al riconoscimento dell’acutissima
intelligenza, della vasta cultura, della ricchezza
umana, del senso dell’umorismo, della perspicacia
politica che caratterizzavano l’insigne uomo di
Stato di origine sarda. Eppure, in vita, Francesco
Cossiga non fu mai tenero con nessuno. Non
di rado pronunciò giudizi e tracciò ritratti
brucianti di leaders sulla cresta dell’onda. Definì
Achille Occhetto, allora segretario del PCI, uno
«“zombi” con i baffi, capace di far rivivere le cose più
abiette e più volgari del paleostalinismo». Disse di
Romano Prodi: “Buon cristiano, ottimo marito e padre
di famiglia; ma per governare il Paese non basta”. E
su Silvio Berlusconi sentenziò: “Se lui è il nuovo
Alcide De Gasperi, io sono il nuovo Carlo Magno”.
A proposito delle proprie picconate, quando
qualcuno avrebbe voluto bloccarlo dichiarò:
“Io non sono matto. Io sono un finto matto che dice le
cose come stanno!”.
La corte
di S. M. Michelle
Diamanti
V
acanze regali, in Spagna, per Michelle
Obama: corteo di 13 auto per ogni
spostamento, servizio segreto alle calcagna,
alloggio a Villa Padierna Marbella, tra
i 10 hotel più belli al mondo, aereo
Air Force Two a Malaga. E gli USA,
in grave crisi economica, pagano.
000Frate_Ottobre2010.indd 6
Disse un giorno Francesco Cossiga:
“Quello di Presidente della Repubblica
è stato per me il lavoro più noioso e
ingrato”. Quando lo esercitò - tra il
1983 e il 1985 - gli parve invece
“divertente” il ruolo di Presiedete
del Senato. Gli risultò “pesante”
(tra il 1979 e il 1980) il compito
di Presidente del Consiglio: tra
tante cose gli capitarono addosso
infatti il giallo dell’aereo colpito
ad Ustica e la spaventosa strage
alla stazione di Bologna (fatti dei
quali, nello scorrere del tempo,
egli non mancò di dare sue
“interpretazioni”). Per Francesco
Cossiga fu però particolarmente
“vero”, duro e “dolorosissimo” il
“lavoro” di ministro degli Interni:
lo esercitò nel periodo culminante
degli “anni di piombo”, quando la
sinistra extraparlamentare scriveva
il suo nome sui muri con la K
e la svastica, ma, specialmente,
venne rapito e assassinato Aldo
Moro (primavera del 1978). Dopo
lo sconvolgente epilogo della vicenda, Francesco Cossiga si dimise;
cadde in depressione, mentre i
capelli gli si facevano, rapidamente,
bianchi. Aveva incubi notturni:
“Mi svegliavo urlando che ero stato io
ad ucciderlo - confidò -: ed in effetti
ero stato io a rappresentare in prima
persona la linea della intransigenza con
le Brigate Rosse”.
Dopo aver lasciato il Quirinale, contrariamente ai suoi… ex
colleghi, Francesco Cossiga, per
Dal telefonino ai trenini
Interessi a 360°
rancesco Cossiga era uomo dalle mille passioni
F
e dagli interessi infiniti. Sin da ragazzo cominciò
a collezionare un po’ di tutto: bandiere, penne,
soldatini di piombo, orologi, cravatte, medaglie.
Grandissimo è sempre stato il suo interesse per
le conquiste della tecnica, per l’elettrotecnica, per
l’elettronica. Fu tra i primissimi a dotarsi del telefonino ed ha sempre voluto tra le mani gli ultimi
modelli di cellulare; idem per il PC. Era anche
un incallito radioamatore: nelle sue conversazioni
notturne attraverso l’etere con il suo codice “Iofcg”
gli capitò di incrociare altri personaggi illustri
(come, per esempio, re Juan Carlos di Spagna).
Quando diventò ministro e poi capo del governo
dovette però lasciar perdere questo suo hobby.
Lo scomparso ex Presidente della Repubblica era
pure uno sportivo: praticava l’alpinismo, era un
tifoso della Juventus (e non del Cagliari), ma
aveva una speciale attenzione - anche se vi salì
poco - per la bicicletta: “Il ciclismo - asseriva - mi
piace perché è lo sport che più assomiglia alla vita. In sella
o hai le gambe buone per pedalare e il fiato o sei morto!”.
un certo periodo, ha esercitato
ancora attività politica, con prese
di posizione spesso determinanti
ora per il centro-sinistra ora per
il centro-destra, ma sempre con
una sua tipica caratterizzazione.
Scritte sin dal settembre 2007,
insieme al testamento personale,
nel giorno
del decesso,
ha lasciato
ondo politico
quattro letsordo
tere dirette
alle quattro ai suoi messaggi
più alte cariche dello Stato (Presidente della
Repubblica, Presidente del Senato
e della Camera, Presidente del
Consiglio). L’incipit della missiva
per il titolare del seggio più importante di Palazzo Madama ha
colpito tutti per la sua… difformità
dal politichese oggi di moda:
“Nel momento in cui il giudizio sulla
mia vita è misurato da Dio Onnipotente - queste le parole scritte
da Francesco Cossiga -, professo la
mia Fede religiosa nella Santa Chiesa
Cattolica e confermo la mia fede civile
nella Repubblica”. Amico di Joseph
Ratzinger sin dai tempi in cui
questi era cardinale, andava spesso
a trovarlo in Vaticano dopo la
sua elezione al soglio di Pietro.
Discutevano di tutto. Colpito
dalla sua conoscenza dei sacri
testi, Benedetto XVI un giorno
non si trattenne dal dirgli: “Lei
è anche un grande teologo!”. Non si
sa quale sia stato il commento
di… “Ceccio da Chiaramonti”.
M
Salame o ravioli,
insanguinati
Bisogna proprio
laurearlo?
G
C
S
overnava la Liberia con l’arma del
terrore. Dittatore sanguinario, Charles
Taylor è processato per 120 mila morti.
Alle belle donne regalava diamanti. A
Naomi Campbell, uno enorme. Lei ha
sempre negato, poi ha minimizzato. Incastrata da Mia Farrow e Carole White.
he Bossi abbia fiuto politico è provato
dal Carroccio che ha inventato dal
niente. Perché conferirgli una laurea “honoris
causa” in Scienze della comunicazione?
Semmai in Scienze politiche. Abbiamo
presenti il suo gergo e il suo elegante
esprimersi con il dito medio?
tutto fa cassetta
iamo usciti dalla solita estate delle
solite proposte di intrattenimento.
Che noia tutte queste sagre nostrane
del cotechino, del raviolo, del pesciolino, del bue… A parte il mangiare a
qualche modo e con igiene precaria,
ogni volta tombola, lotteria e cassetta!
13/09/10 16:03
7
/ Ottobre 2010
Lo spettro del voto
Osservatorio
di Claudio Bonvecchio*
Estate italiana di veleni
Se la politica
scade e diventa
lotta continua
Attacchi personali, ricatti, spaccature
In questa legislatura,
contrariamente alla precedente,
c’è una solida maggioranza
al potere. Ma, s’è visto che, anche
i numeri, a volte non bastano per
tener lontani una crisi e lo spettro
ricorrente di elezioni anticipate,
antico “rimedio” all’italiana.
“N
on siamo insensibili al
grido di dolore che da tante
parti d’Italia si leva…”.
Con questa “frase ad effetto” iniziò il
processo storico che ha condotto
all’Unità d’Italia: quella che oggi
noi celebriamo in sordina e con
diffuso disinteresse. Questa stessa frase - sempre oggi - sembra
dar conto del profondo disagio
del popolo italiano che assiste,
attonito, ad un degrado politico
che sembra inarrestabile: per non
dire, appunto, doloroso. Sembra,
infatti, che tutto quanto riguarda
la politica stia precipitando in un
abisso senza fondo, contrassegnato
Pericolo di frana
La casa e i politici
G
li italiani tengono molto - e giustamente - alla loro casa. Numerosissime sono le poesie e le canzoni che ne parlano: con
sentimento, passione, nostalgia e straziante ricordo. Altrettanto
costante è il desiderio di poter avere una casa propria: dove poter
“mettere le radici”, dove allevare i figli e dove trascorrere una serena
vecchiaia. Tutti ricordiamo l’antico e significativo detto popolare: “Casa
mia, per piccina che tu sia, tu mi sembri una badia (ovvero una abbazia)”. Ora, la
casa, sembra, invece, essere diventata una maledizione: almeno per i
politici. Il “buon ritiro” di Berlusconi - villa Certosa - gli ha procurato
noie a non finire; per una casa comperata nel centro di Roma (in
buona parte “senza che lo sapesse”) il ministro Scaloja ha dovuto dimettersi;
per una casa a Montecarlo (tra l’altro del fratello della compagna),
Fini ha grattacapi a non finire. Cosa sta succedendo? Sono lontani i
tempi in cui Cincinnato si ritirava nella casetta in campagna, De Pretis
nella modesta casa di Stradella, Garibaldi nella casetta (modestissima)
di Caprera. Che sia un problema di location e di metrature? Bisogna
che i politici vi riflettano.
000Frate_Ottobre2010.indd 7
da una guerra - ora sorda ora
esplicita - che coinvolge tutti: senza
pietà e senza il dovuto rispetto per
i cittadini che, secondo i principi
della Democrazia, sono i veri (e
gli unici) detentori del potere
politico. Cosa, questa, che viene
assolutamente scordata dai politici.
Alla luce di tutto ciò, diventa
assolutamente incomprensibile l’assurda personalizzazione politica che
contraddistingue lo scontro - mai
avvenuto prima nella storia della
nostra Repubblica - tra Berlusconi
e Fini. Uno scontro che dimentica che gli elettori hanno votato
entrambi affinché portassero a
termine - insieme - un programma
politico preciso e irrinunciabile: e
non altro. Vuol dire che i cittadini
rifiutano ogni protagonismo - da
qualsiasi parte provenga, così come
rifiutano che i loro rappresentanti
giochino con le istituzioni, sia per
mantenere un potere personale sia
per aumentarlo. Se questo - in
minima parte - può essere fisiologico alle dinamiche del potere
e della politica, quando diventa
patologico (come sta avvenendo)
mette in gioco la tenuta stessa
della Democrazia. Perché la Democrazia è una forma di governo
fragile, in quanto non si basa
su una legittimità che proviene
sua capacità di essere un collante
fra i cittadini. Questo apre la
strada alla speranza dell’attesa di
qualcuno - un mitico “salvatore”
- che “costringa”, in ogni modo,
i contendenti alla pace sociale
indipendentemente da qualsiasi
regola: o meglio, con le proprie
regole. Come è avvenuto troppe
volte. Ora, l’Italia si sta avvicinando,
pericolosamente, a questo
punto di “non ritorno”. Per
questo, è necessario che
a democrazia
tutti i politici ascoltino “il
grido di dolore” che si leva
dalla Democrazia italiana
fragile di governo
profondamente ferita, ma
è anche ora che gli ita- anche duro, se necessario - ma
liani facciano sentire la loro voce
passione e scontro devono essere
dicendo “basta!” a questo processo
degenerativo che ci sta conducendo
sostenuti e motivati da grandi
alla rovina. Ma l’ammonimento,
idee, da un rispetto reciproco e
solenne, non è diretto solo ad
dalla convinzione della assoluta
intercambiabilità dei soggetti politici
una maggioranza rissosa e che ha
(degli uomini politici) in gioco.
perso ogni discernimento politico.
È diretto anche ad una opposiQuando questo non avviene - e
zione (particolarmente il PD) allo
lo scontro tende a diventare una
sbando, senza una linea chiara e
“guerra fra bande” - allora la Desenza una guida salda, che non
mocrazia è in pericolo. Ed è in
può e non deve - pilatescamente
pericolo non perché congiurano
e come un avvoltoio - sperare di
contro di essa “poteri forti”, servicostruire la propria unità e il proprio
zi segreti “deviati”, Massoneria e
successo elettorale sulle disgrazie
Opus Dei o altre simili fantasie,
altrui, evitando ogni iniziativa e
ma perché viene meno la fiducia
ogni proposta, temendo che questo
nella Democrazia stessa e nella
possa aprire al proprio interno
un’altra “guerra fra bande”. Altrettanto
dicasi per i partiti minori - come
odice di riferimento
quello di Casini o Di Pietro - che,
con diverse tattiche, mirano ad
accrescere “fettine” di consenso,
sperando di accogliere (per scopi
ulla politica italiana e il suo preoccupante sfilacciamento in
elettorali) i “delusi, gli scontenti e gli
scontri personali e di schieramento, la Chiesa ha preso posizione
arrabbiati”. Altrettanto dicasi per la
a più riprese. Lo ha fatto il Papa, quando ha lanciato l’appello
Lega che - tenendo, il più possibile,
ai giovani, perché si impegnino e portino il loro contributo ideale
un basso profilo - è praticamente
alla costruzione di una società cristiana e lo ha fatto il Presidente
sicura di raccogliere i maggiori
vantaggi. Ebbene, cari politici, tutto
dei vescovi, il cardinale Angelo Bagnasco che - tenendo l’omelia
questo non è quella Democrazia
di San Lorenzo (10 agosto) a Genova, nella cattedrale dedicata al
di cui vi riempite, a sproposito,
martire, ha esortato, senza mezzi termini, alla “dimensione etica della
la bocca nei vostri esercizi di
vita personale e sociale… La Chiesa sa che alla radice di tanti mali e di tante
retorica. La Democrazia, lo si è
povertà vi è il sottosviluppo morale, come afferma Benedetto XVI. San Lorenzo
già ricordato, è altro. È rispetto,
non esitò ad indicare all’imperatore Valeriano la realtà umana che attende
modestia, umiltà, senso del limite,
soccorso e giustizia ma rivelò un nuovo modo di pensare e quindi di agire. San
coraggio, fede negli ideali comuni,
Lorenzo ricorda a chi detiene il potere un codice morale che nasce dallo spirito e
dalla natura stessa di ogni uomo; ricorda la distinzione tra il bene e il male, e che
lotta per il miglioramento, dialettica
questa non dipende dall’arbitrio di nessuno; ricorda che un giorno risponderemo
e servizio. Ricordatevene qualche
ad una istanza superiore e assoluta che è Dio; ricorda che esistono dei valori per
volta. Finché siete in tempo.
i quali vale la pena non solo di vivere ma anche di morire”.
*Docente di Filosofia delle Scienze
Sociali all’Università di Varese
dall’alto o sull’uso della violenza,
ma su un bilanciamento dei poteri
legislativo, esecutivo e giudiziario.
Questo bilanciamento - per delega
popolare - deve avvenire in nome
della ragione, a sua volta indirizzata
al bene comune e al progresso,
armonico ed intelligente, della
società. Il che non esclude, certo,
la passione politica e lo scontro
L
è una forma
C
Per chi detiene il potere
S
13/09/10 16:03
8
/ Ottobre 2010
Dalla Finestra di Anna Carissoni
Bambini o
“piccoli adulti”?
I
l mio nipotino ha compiuto
6 anni alla fine di agosto, ma
i suoi genitori hanno deciso
di non mandarlo a scuola: aspetteranno l’anno prossimo, con la
ferma intenzione di “lasciarlo giocare”
perché si goda ancora un po’ il
tempo privilegiato dell’infanzia.
Decisione criticata da molti tra
i loro amici e conoscenti, ma
che hanno mantenuto fermamente, peraltro spalleggiati dalla
sottoscritta la quale, da nonna e
da vecchia maestra, l’approva in
pieno. Sono, infatti, convinta - e
non da oggi - che i bambini
del nostro tempo sono a forte
rischio di stress per tutte le cose
che devono fare e molto spesso
subire. La condizione infantile,
nella società occidentale - a
parole tanto civile - è, infatti,
pesantissima: i piccoli vengono
stimolati a vivere come “piccoli
adulti”, cioè sottoposti al rigido
schema di giornate piene di
impegni e di responsabilità. (Ciò
vale, in verità, anche per molti
adulti, che pure avrebbero bisogno
di uno stile di vita più umano,
ma qui bisognerebbe fare un
altro lungo discorso).
Alle ore già di per sé totalizzanti
della giornata scolastica - anche se
si tratta di asilo-nido e di scuola
materna - si aggiungono quelle
dedicate ai corsi più svariati: e
non è vero che si tratta sempre
e solo di attività divertenti e
rilassanti, perché anche i corsi
esigono attenzione, concentrazione, competizione, obbedienza agli
ordini degli istruttori… E così
succede che tra scuola, catechismo, karatè, piscina, palestra,
danza e quant’altro, i nostri
bambini di tempo per giocare
liberamente, e anche solo per
riposare e fantasticare, non ne
hanno quasi più. E, per giunta,
quel poco tempo davvero libero
che gli resta, se resta, deve fare
i conti anche con la mancanza
di spazi per giocare e di coetanei
con cui condividere i momenti
di gioco.
Insomma, il modo di vivere degli
adulti e la strutturazione dei
tempi e degli spazi nella nostra
società sottraggono ai piccoli ciò
che spetterebbe loro di diritto,
con la conseguenza che, spesso, i
genitori sono costretti a rinunciare
ai progetti educativi che l’affetto
e la responsabilità suggerirebbero
per una educazione più attenta
ai bisogni dei bambini ed alla crescita armonica della loro
personalità.
Il tempo di vita quotidiano sia
dei genitori che dei bimbi è
scandito, infatti, non tanto dalle intenzioni educative, quanto
dalle condizioni materiali di vita,
000Frate_Ottobre2010.indd 8
Immigrati al museo
Yuri è un 40enne che viene
dall’Est. È laureato ma fa il
meccanico in un garage e la
domenica, non potendo permettersi vacanze più lunghe,
porta i figli di 8 e 10 anni
a visitare i Musei: hanno
già visitato quello egizio di
Torino, quello della Scienza
e della Tecnica di Milano,
la Pinacoteca di Brera e
altri. “Voglio che i miei figli
conoscano la cultura del Paese
che ci ha accolto - dice - voglio
che siano cittadini acculturati e
consapevoli, anche se dovranno fare un lavoro manuale come me”.
I genitori italiani, invece,
la domenica portano i figli
nei centri commerciali, a
comprare telefonini di ultima generazione e occhialini
ultimo grido.
determinate, a loro volta, dall’organizzazione sociale generale: i
tempi di lavoro, i trasporti, i
servizi, ecc… Eppure, l’organizzazione del tempo della giornata
è un indicatore fondamentale
della qualità della vita!
Il mio nipotino ha la fortuna
di avere dei genitori molto attenti alla sua crescita ed alla
sua educazione, al punto che
ogni loro scelta viene presa in
quest’ottica, compresa quella di
non lavorare sempre entrambi
fuori casa - pur con i sacrifici
economici conseguenti - e di
non mandarlo a scuola appena
compiuti i sei anni.
Più affidabili delle baby-sitter e più autorevoli delle tate e fanno anche risparmiare
Nonni: meno male che ci sono
2
ottobre, festa degli Angeli Custodi e Festa dei Nonni. Che,
in effetti, svolgono, spesso, il
compito di angeli custodi, e di solito egregiamente, se, come dicono le
statistiche, sono più affidabili delle
baby-sitter e più autorevoli delle tate. Nella sola Milano sono 30.000
i nonni “in servizio permanente
attivo”, quelli che vanno a prendere
i nipoti a scuola, li fanno studiare, li
portano in piscina o a sport, danno
loro la cena e li mettono a letto. I
più impegnati hanno tra i 55 e i 64
anni, in maggioranza donne, e se i
nipoti abitano nei loro stessi paraggi,
li portano anche in vacanza.
I numeri dicono che, nella sola Milano,
il fatto di poter disporre di nonni- babysitter fa risparmiare alle famiglie più
di un miliardo di euro all’anno. “Una
vera e propria economia della
terza età - commenta Mariolina Moioli,
assessore ai Servizi Sociali - contributo
impagabile fatto di esperienza
e di gioia di vivere… I nonni
sono un elemento fondamentale
della nostra società”.
Già, senza contare il vantaggio psicologico
per una crescita serena: i nipotini, infatti,
affermano unanimi di amare i nonni
“perché li ascoltano e li fanno
giocare”. Perché, in effetti, in tante
famiglie sono solo i nonni ad avere il
tempo di ascoltare i nipoti e di giocare
con loro: provvidenziali, dunque, anche
come “rifugio” psicologico, un cuscinetto
che attutisce gli attriti, un punto di
riferimento, un aiuto disinteressato su
cui si può sempre contare.
Irina che voleva
scoprire l’Italia
I
TV: c’è anche
chi giudica
1
00 mila persone che per 48 ore, dalle
7 di sabato alle 23 della domenica,
non guardano la tv e riflettono sull’uso
e sull’abuso della televisione. Sono le cifre
dell’11° “sciopero dei telespettatori” indetto per
passaparola sulla Rete (“No tv day”). Certo la
cifra appare irrisoria a fronte dei 23/25 milioni
di persone che ogni sera vivono davanti al
piccolo schermo, ma è comunque un buon
segno: le adesioni a questi scioperi sono in
continuo aumento e dicono l’insoddisfazione
di quanti vorrebbero una tv meno lontana
dalla realtà e più vicina alla vita. Buon segno
anche per smontare il mito dell’auditel, che
non conta mai i telespettatori disgustati che
a un certo punto, spengono la tv, guardano
un dvd o prendono in mano un libro.
rina fa la badante: l’anziano che assiste,
ex- imprenditore edìle, ricco quanto scorbutico, parla poco con lei, quasi solo per
brontolare. Anche i suoi parenti sono un po’
così e Irina, che pure svolge il suo lavoro
con infinita pazienza, non riesce a nascondere la sua delusione. “Quando ero studentessa
in Ucraina - dice - ero innamorata dell’Italia,
sognavo di visitarla. Ho letto tanto sul vostro Paese,
amo la vostra letteratura, l’arte, la musica… Pensavo
che qui da voi avrei potuto approfondire tutto questo,
parlarne con il mio datore di lavoro, i suoi parenti, i suoi
amici… E invece i miei padroni non sanno nemmeno
chi siano Dante Alighieri, il Caravaggio, Giuseppe
Verdi…”. Capisco la delusione di Irina: sta
imparando che il solo benessere materiale
non rende la gente migliore.
Schiuma-party
all’oratorio, che idea!
F
ossi una mamma con figli in età scolare,
mi guarderei bene dal mandarli, l’estate
prossima, al Centro Ricreativo Estivo
dell’Oratorio di un paese vicino. Nel luglio
scorso, mese canonico dei C.R.E., l’ultima
trovata dei responsabili, per “far divertire” come hanno detto - i bambini e i ragazzi, è
stata l’organizzazione di uno “schiuma-party”,
in collaborazione con una tv locale che poi
ne ha trasmesso le immagini: alcune centinaia
di ragazzini che si agitavano come zombie
sotto la pioggia di schiuma che fuoriusciva
da un “cannone” al ritmo di un’ossessionante
musica - si fa per dire - da discoteca. Mi sono
indignata e angosciata: di chi possono fidarsi
oggi i genitori, se anche l’Oratorio si adegua
all’andazzo diseducativo imperante?
13/09/10 16:03
9
/ Ottobre 2010
L’esperienza di vita della ginecologa Vera Spagnoli
Primo: educare in casa
Filippine,
storie di vita
Sessualità consumata senza riflessione sul significato
di Laura
di Teodoro
Missione
U
na vita trascorsa
tra la gente, per la
gente. Una vita fatta di
ascolto, azioni concrete,
aiuto e sostegno a giovani madri, a ragazze alle
prese con il tema della
sessualità e a madri che
vivono nelle zone più
povere delle Filippine.
Vera Spagnoli non è
una semplice ginecologa
divisa tra studio e
ospedale. Per lei il lavoro
è una “missione di
vita”, uno strumento
di aiuto per gli altri,
per costruire una vita
migliore anche in situazioni estreme: dall’Italia,
in un contesto in cui
“l’educazione ha
raggiunto livelli
disastrosi e si è
perso il vero valore
dell’essere famiglia”,
fino alle Filippine dove
la ginecologa ha operato
in una Missione, a
contatto con una
mortalità che è un fatto
quotidiano. Originaria
di Sabaudia, ginecologa
dal 1968 e presidente
dei Medici Cattolici
della diocesi di AnagniAlatri, Vera Spagnoli
tiene corsi di preparazione al matrimonio per
informare i futuri sposi
sull’importanza della
vita. Da 10 anni lavora
anche al Consultorio
multietnico di Frosinone
e segue i volontari
all’ospedale di Alatri.
C
ome si può impartire
un’educazione seria e
responsabile in un tempo in
cui sembrano regnare solo
l’immagine, il mordi e fuggi
e i valori perdono sempre
più significato?
L’educazione oggi è un
grave disastro. L’origine e
la causa di tutto è da ritrovare nell’esempio famigliare:
le coppie si costituiscono
in “famiglie” senza sottoscrivere l’impegno a cui
vanno incontro per essere
libere da eventuali divorzi
o separazioni. E questo
già è un primo motivo
di destabilizzazione per un
figlio che viene turbato nel
discorso dell’affettività. La
vita sfrenata, i ritmi sempre
più incalzanti, infatti, sono
alla base di una carenza
affettiva smisurata diventata,
purtroppo, una costante.
Insomma ci troviamo a vivere
in una realtà dove i genitori
non sempre sanno dare il
giusto e concreto affetto ai
figli. Se mancano queste
importanti fondamenta, la
famiglia finisce con il costruirsi sul nulla: le coppie
separate si dividono i figli,
si comprano e accattivano
l’affetto dei bambini o ragazzi.
Siamo arrivati, addirittura,
al punto di vedere figli di
separati contenti di quella
determinata situazione, perché
si trovano a ricevere più
regali al compleanno o a
Natale. È assurdo, ma è un
discorso che purtroppo si
sente in diverse situazioni. I
ragazzi di oggi sono liberi,
non hanno vincoli. Non
hanno una guida adulta
in grado di dare un senso
a certi gesti.
Prima si consuma
solo dopo si pensa
E qui si entra nel discorso
della sessualità. Alcuni tabù
sembrano essere caduti ma
si è passati all’eccesso. Come
è vissuta oggi questa delicata
sfera umana?
Purtroppo senza la giusta
e corretta consapevolezza.
La sessualità, oggi, è legata
esclusivamente a un fatto
meccanico, a un istinto
ormonale da assecondare.
Tutto è diventato lecito
a discapito dei valori su
cui al contrario dovrebbe
costituirsi una famiglia.
Qual è la sua esperienza?
Che bilancio fa?
Come ginecologa posso dire
che la maggior parte delle
ragazze prima si approcciano
al sesso, poi ne capiscono
il significato. Rispetto al
passato, in famiglia se ne
parla di più, ma si è passati
all’atteggiamento opposto:
mamme che portano le
figlie di 14 anni a prendere la pillola, invitandole
così ad agire liberamente
senza una giusta coscienza
e responsabilità individuale,
oltre che di coppia.
Che angoscia la fame!
Quali sono l’esperienza e il momento del suo lavoro che si
porta dentro, come più profondi e indimenticabili?
L’immagine di una mamma incinta, che doveva partorire,
vicina al penultimo figlio appena morto di fame perché
malnutrito. Ricordo anche un episodio curioso di un
bambino a cui ero molto affezionata. Ai tempi aveva due
anni e stava mangiando un boccone di carne. Il cibo è
andato di traverso e lo stava soffocando. L’ho aiutato a
tirare fuori quel boccone e in quel momento è scoppiato
a piangere non tanto per il pericolo corso ma per il fatto
che stava rischiando di non mangiare quel pezzo di pane.
Bisogno di cibo
e di affetto
Una perdita di valore che
colpisce la sessualità e la vita
di tutti i giorni...
Certamente. Vedo mamme
che incitano i propri figli
a dire le parolacce o a
cantare canzoni “sporche”
a due o tre anni. Atteggiamenti che poi diventano
abitudini e così non si
costruisce il rispetto verso
l’altro. Persistono i cartoni
animati fatti di violenza e
botte. Fortunatamente, anche
se in minoranza, esistono
associazioni laicali e oratori
che curano l’educazione dei
ragazzi, ma il lavoro dei
responsabili è veramente
duro per il susseguirsi di
messaggi negativi di fronte
a cui i genitori non fanno
nulla se non prendere le
difese dei figli, sempre e
comunque.
“N
elle Filippine ho visto la
vera povertà: gente che
donava il sangue per avere in
cambio un paio di calzoncini,
una maglietta e qualcosa da
mangiare. Dopo quell’esperienza,
per mesi non sono più riuscita
a sedermi a tavole imbandite
e ricche. Sapere che io avevo
del cibo e loro morivano di
fame mi angosciava e continua
a tormentarmi. Così ho iniziato
a parlare ai giovani di quella
realtà e di quel bisogno di
cibo e affetto che avevano e
continuano ad avere i bambini che vivono in quel Paese.
Ho imparato ad essere molto
più parsimoniosa nei pasti e
nell’abbigliamento, lontano da
quell’abbondanza
che purtroppo
regna alle nostre
latitudini. Ho fatto in modo che
venissero adottati
75 bambini da
miei conoscenti e
persone che ho
incontrato negli
anni. PersonalHo imparato
mente seguo una ad essere molto
famiglia avvicinata frugale nei pasti
anni or sono: dopo aver visto
feci il parto
morire di fame
cesareo a una
madre all’ottavo
mese di gravidanza.
Era il giorno del mio compleanno, così hanno chiamato
la bambina Vera. Non solo,
sono stata io a battezzarla.
È stata un’emozione forte e
bellissima. Da allora, ho sempre
mandato loro i soldi che hanno
permesso di far studiare i 5
figli e di costruirsi una casetta.
Non mi stanco di ripetere nei
miei incontri, soprattutto con
i giovani: ciascuno di noi può
essere una goccia nel mare,
ciascuno di noi può fare qualcosa per costruire un mondo
migliore”.
Nel matrimonio civile nessuna preparazione
Come prendere un impegno con nessuno
Lei segue anche le coppie
che vogliono prepararsi al
matrimonio. Come si affronta
questo momento?
Molti si sposano in chiesa
non per convinzione propria,
ma perché spesso spinti
dalle famiglie. I più “coraggiosi” rinunciano e vanno
a convivere o si sposano
in Comune. Ma se per la
Chiesa esiste un percorso
di preparazione, sul fronte
civile, invece, manca questo
000Frate_Ottobre2010.indd 9
passaggio: non si fa alcuna
riflessione ed è come se si
prendesse un impegno con
nessuno. Si finisce con il
vivere alla giornata e ciò
va a discapito delle giovani
coppie, spesso, già figlie di
famiglie separate. Si viene
così a creare un circolo
vizioso che crea un danno
alla società e alla scuola.
E nelle Filippine, rispetto
all’Occidente evoluto, che
situazione ha trovato?
Sono tornata nelle Filippine,
l’ultima volta, nel 2004 e
andavo già da dieci anni.
Sono stata nelle zone più
povere, dove c’è la miseria
più assoluta. Rispetto a noi,
forse, il senso di famiglia è
un po’ più forte anche se
non mancano gli estremi: ci
sono uomini che abbandonano le mogli o addirittura
uomini che si risposano e
lasciano morire di fame
i figliastri. Per molteplici
circostanze, paradossalmente,
c’è un diffuso individualismo.
Chi è cresciuto dalle suore,
pur con la nostalgia di
casa, della propria mamma
e con la costante ricerca del
genitore perduto, ha studiato,
ha preso il diploma e, in
un certo senso, ha avuto
la possibilità di recuperare
la propria vita.
In che considerazione tengono
la vita e la famiglia?
La vita è un bene che può
essere tolto da un momento all’altro. La mortalità,
infatti, è molto alta. A
Manila, i bambini giocano
su montagne di spazzatura,
prendono quanto riescono a
trovare per poi vendere pezzi di plastica o altro. Di
contro, ci sono zone con
ville grandi, dove si vedono
bambini che giocano con
le baby sitter.
13/09/10 16:03
10
/ Ottobre 2010
Lingua strumento di cittadinanza e coesione nazionale
Il paese degli strafalcioni
L’insegnamento dell’italiano “straniero” in molte scuole
Servizio di Anna
Carissoni
L
a locandina della festa
in bella vista sul cartello
all’inizio del paese dice,
tra l’altro, a caratteri cubitali:
“A tutti i partecipanti i gnocchi
verranno distribuiti a gratis!”. È
solo l’ultimo degli strafalcioni
che mi capitano sott’occhio,
se ne vedono tanti in giro,
ma il riflesso condizionato
della vecchia maestra mi fa
sobbalzare anche stavolta:
che diamine, semianalfabeti
che scrivete le locandine, si
dice “gli gnocchi” e l’avverbio
“gratis” non richiede di essere
preceduto dalla “a”!
Ma tant’è, pare che con gli
strafalcioni si debba ormai
convivere, rassegnandosi al
pessimo uso della lingua anche
da parte di chi la dovrebbe
conoscere bene come prerequisito professionale: penso a
certi giornalisti e conduttori
televisivi, penso a tanti politici, soprattutto padani, che
pretendono che gli immigrati
imparino la nostra lingua (cosa
che spesso fanno meglio di
noi, tra parentesi) quando sono
loro i primi a dimostrare di
non aver dimestichezza, né
con la grammatica, né con
la sintassi né con un lessico
appropriato…
Quando poi sento qualcuno
di loro ironizzare sulle pessime condizioni di salute della
lingua nazionale mi arrabbio
ancora di più: perché non
usano altrettanta ironia con
i loro colleghi della Pubblica
Istruzione che continuano da
decenni a sottrarre alla scuola
ore di studio alla lingua ed
alla letteratura italiana? Nel
triennio degli Istituti Tecnici,
per esempio, le ore di italiano
sono tre per settimana, le
stesse che si dedicano allo
studio delle lingue straniere;
nelle facoltà di Lettere non
ci sono esami di grammatica né di sintassi nemmeno
per chi proviene da scuole
dove non si è studiato il
latino, lingua che invece è
indispensabile per chi voglia
insegnare consapevolmente la
nostra lingua. E i risultati si
vedono e si sentono: “édile”
invece di “edìle”, “uténsile”
invece di “utensìle”, “cosmopòlita”
invece di “cosmopolìta”, e così
via… Ma, anche a livello
di scuola elementare le cose
non vanno molto meglio: a
parte l’esiguità del tempo da
dedicare all’italiano, è invalsa la pessima abitudine di
verificare le conoscenze e le
competenze via via raggiunte
dagli scolari con domande
a mo’ di quiz: gli alunni
devono solo crocettare le
Nei banchi
13 anni
spesi male
U
Dimmi come parli
e ti dirò come hai
imparato l’italiano:
si abbassa
inequivocabilmente
il livello di padronanza
della nostra lingua
e ne abbiamo prova
ascoltando radio-tv e
leggendo giornali
risposte giuste: il che, se fa
risparmiare tempo, si rivela
poi un disastro per la capacità di espressione, perché i
ragazzi non si abituano né
a parlare né a correggere il
Maturità, 58% bocciato
P
iù della metà degli studenti italiani sarebbero da bocciare in
italiano. Lo ha appurato un’indagine congiunta dell’Invalsi e
dell’Accademia della Crusca che ha analizzato 6000 prove dell’esame
di maturità del 2007, “bocciandone” il 58 % per “l’insufficiente
padronanza della lingua italiana” rivelando, sottoforma di
errori di ortografia, un uso inappropriato della punteggiatura e di
periodi senza senso. Davvero un misero risultato, se si considera che
gli autori delle prove hanno alle spalle un percorso scolastico durato
13 anni, e tanto più preoccupante se confrontato con la valutazione
ufficiale, quella dei commissari della maturità, che invece hanno
assegnato punteggi bassi solo al 20% dei candidati.
loro modo di parlare con la
guida dell’insegnante che fa
domande e chiede risposte
chiare e coerenti.
Ha ragione la professoressa
Paola Mastrocola: la lingua
nazionale bisogna impararla
bene fin dai primi anni di
scuola, perché la conoscenza
dell’italiano è la prima arma
per emanciparsi, o per farsi
strada nel Paese in cui si è
venuti a vivere. La scuola che
non insegna presto e bene
l’italiano perpetua le ingiustizie
e l’esclusione dalle opportunità:
lo diceva don Milani e lo
ripete da decenni Tullio De
Mauro, mentre anche l’Unione
Europea ravvisa nella buona
conoscenza della lingua uno
strumento di cittadinanza e
di coesione sociale.
na professoressa dell’Invalsi,
Elena Ugolini,
commentando
un tema scritto
alla maturità,
ha parlato non solo
di errori ortografici
e sintattici, ma
anche di “un’organizzazione logica
delle frasi che
evidenzia
un livello linguistico da terza
elementare” e
del “non possesso
degli strumenti
linguistici essenziali”, per chiedersi
amaramente, in conclusione, che cosa è
stato insegnato, in
13 anni di scuola, a
un ragazzo che scrive
così, e quale potrà
essere il suo futuro.
Tra le prove prese
in considerazione,
i temi ben scritti
rappresentavano
il 13%: segno che
la prova di italiano
della maturità, quella cui nella nostra
tradizione scolastica
viene attribuito un
significato culturale
fondamentale, non
gode affatto di
buona salute.
Un’amara
esperienza vissuta
Se l’esame
diventa
un quiz
D’
accordo, il nostro è un Paese
in cui le regole e i limiti
sono spariti da un pezzo non solo
dalla scuola, i “tagli” alla scuola
pubblica certo non aiutano e la tv,
che una volta portava l’italiano
dappertutto si è trasformata nella
peggiore delle maestre… Ma questi
non sono buoni motivi per non fare
nulla. Come scrive Marco RossiDoria, bisogna tornare ad un test
prima del biennio delle superiori e,
affinché questo funzioni, ci vuole
un esame ancora prima: l’esame di
quinta elementare per tutti, italiani e
stranieri. L’ultima grossa discussione
che, quando facevo la maestra, mi
contrappose ai colleghi
ed alla direttrice didattica verteva proprio
su questo argomento:
mi rifiutai, infatti,
di adottare la prova
- standard d’italiano
dell’esame di quinta
elementare predisposta
dalle altre maestre, la
solita scheda con il
I docenti
solito quiz per verificare
devono essere
la comprensione di un
esigenti se
testo scritto, un breve
vogliono
racconto. Dissi che, a istruire davvero
10 anni, gli scolari non
vanno trattati come
dei poveri minorati mentali, perché,
se gli insegnanti hanno fatto il loro
dovere, i ragazzi di quell’età sono
perfettamente in grado di riassumere
un racconto con parole loro, di indicarne i personaggi e i protagonisti,
di individuarne e sintetizzarne gli
eventuali messaggi e così via… Di
fronte alla mia ostinazione la direttrice dichiarò che avrebbe chiuso un
occhio e mi lasciò fare, con la mia
classe, a modo mio, limitandosi a
sorridere di quella che definì “la
mia solita fissa della lingua
italiana”.
Troppi ragazzi leggono e ascoltano spesso senza capire. Frasi stereotipate
Un esame da ripristinare
“B
isognerebbe urlarlo
perché è uno scandalo
insopportabile che
non si impari più la nostra lingua
a scuola”.
È la denuncia, sacrosanta, della
professoressa Paola Mastrocola
(foto qui a lato): i nostri ragazzi
usano male le parole e ne
utilizzano sempre di meno.
Leggono e ascoltano spesso
senza capire, come dimostrano
anche le periodiche prove a
livello nazionale dell’Invalsi.
Usano per lo più frasi fatte,
tratte dagli stereotipi della tv.
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Non conoscono le basi della
sintassi: il “che” è diventato
una parola tuttofare usata,
indifferentemente, al posto di
“a cui”, “in cui”, “di cui”, ma
anche al posto di “quando”
e “dove”…
Non è una questione da
poco, perché se una persona
perde la lingua, perde anche
la logica, cioè il pensiero. Se
muore il congiuntivo, muore
la capacità di costruire ipotesi;
se muoiono i connettivi fondamentali (“infatti”, “mentre”,
“tuttavia”, ecc…), muore la
capacità di argomentare. Se
muoiono la punteggiatura
e l’ortografia, la capacità di
fare ordine nella mente per
esprimersi poi con chiarezza si impoverisce in modo
impressionante.
In Cina i bimbi di sei anni
devono saper leggere e scrivere almeno 300 ideogrammi,
da noi i quindicenni usano
normalmente, in media, 300
parole; in Francia il dettato
si fa fino al Liceo, da noi
non lo si fa più nemmeno
nei primi anni di elementari.
Ma come mai si è arrivati a
questo punto, se i programmi
nazionali - che adesso si
chiamano indicazioni - dicono
chiaro e tondo che alla scuola
materna, elementare e media
bisogna insegnare innanzitutto
l’italiano, cioè proprio la
sintassi, la grammatica, il
lessico, la punteggiatura? E
come mai, allora, gli insegnanti che non lo fanno
non vengono mandati a
casa, dal momento che i
programmi sono vincolanti
per i docenti e i traguardi
fissati sono irrinunciabili? La
libertà di metodo non può
essere una scusa, perché il
modo di insegnare è giustamente a discrezione del
docente, ma il contenuto
dell’insegnamento deve essere
verificabile e verificato.
13/09/10 16:03
11
/ Ottobre 2010
Comune stile digitale di vita
Dai ragazzini alla fascia anagrafica medio-alta ecco il rapporto con il virtuale
di Adolfo Celli
C
ome sempre è avvenuto
nella “rivoluzione mediatica”, tra fasi di stanca e
momenti frenetici, anche nella
temperie attuale, i mezzi audiovisivi …emergenti si sono,
progressivamente, affiancati e con
crescente capillarità continuano
a combinarsi con quelli in uso
da più o meno lunga data,
senza dunque scalzare del tutto
quest’ultimi.
I giovani e i ragazzi, nati e
cresciuti con il computer e gli
aggeggi affini sotto il naso, li
utilizzano con maggior naturalezza
rispetto agli adulti. Sono pure
più versatili, nel senso che si
muovono agevolmente fra tutti i
mezzi a disposizione, con …una
marcia in più nel trarre tutti gli
apporti possibili dagli strumenti
Tra cambiamenti continui
Statistiche
e prospettive
sul futuro
che avanza
di più aggiornata concezione.
Tuttavia non si può dire che
gli adulti e gli anziani siano
in massa rimasti ancorati al
passato e continuino a restarvi
legati; in un numero via via più
consistente - per libera scelta
o per sempre più ineludibile
necessità - essi si preoccupano
di mettersi al passo con l’era
Computer Sicuro
Come si è
radicato e con
quale ritmo sta
diffondendosi
tra la gente
quello che viene
definito lo “stile
digitale” della
vita quotidiana?
Analisi della
propensione
diversa nelle
varie fasce d’età
verso le nuove
situazioni
determinate
dagli strumenti
audiovisivi.
che corre e di porsi nelle condizioni necessarie per usufruire
del futuro che avanza.
Lo dimostrano le statistiche. Da
una ricerca effettuata recentemente negli Stati Uniti - e dati
non molto differenti sono stati
colti pure in Italia - è emerso
che coloro che in un mese
dedicano più tempo ad internet
con Daniela Baiguini
Come possiamo difenderci?
I
000Frate_Ottobre2010.indd 11
Come possiamo difenderci? NaUna volta chiuso internet, dovrete
turalmente è bene essere dotati
cliccare sulla nuova icona del
di un buon antivirus che di
programma scaricato: si aprirà
solito è compreso nel pacchetto
una finestra e voi sceglierete
al momento dell’acquisto del
“esegui”. Quest’operazione installa
automaticamente l’antivirus sul
Pc. Ma se non ne avete già
computer (dovrete solamente eseuno, ne trovate di gratuiti ed
efficaci in: http://www.
guire le istruzioni) e
programmigratis.org/ Il PC di un ignaro può richiedere qualche
AntivirusFree.aspx. utente può essere minuto. Al termine,
in alcuni casi, vi viene
Nell’elenco troverete
usato per scopi
molti prodotti che
illegali e immorali richiesto di riavviare
il computer per comottengono un buon
risultato su computer dotati dei
pletare l’installazione. Una volta
riacceso, sarà sufficiente avviare
principali sistemi operativi (Windows XP, Vista o Windows 7). Vi
il programma e il computer sarà
basterà scaricarli, cliccando sulla
analizzato, ripulito e protetto.
dicitura “download” e salvare il
1. continua
file sul desktop del computer.
Indirizzi per l’uso
Antivirus d’emergenza
S
(per motivi e con finalità varie)
sono i 35-44enni; accanto alle
loro 42 ore e 35 minuti (di
navigazione mensile media) si
collocano le 39 ore e 27 minuti
(di navigazione mensile media)
dei 45-54enni, le 35 ore e 49
minuti dei 55-64enni, le 31 ore
e 37 minuti dei 25-34enni, le
28 ore e 34 minuti degli ultra
Strategie in continuo aggiornamento
Massima attenzione ai pericolosi “cavalli di Troia”
nternet: alleato o nemico? Le
più recenti statistiche rivelano
la ricchezza della dotazione
tecnologica delle case italiane e la
supremazia indiscussa di computer
e internet: il 76% degli italiani
possiede un computer e il 65%
una connessione
Siamo un popolo internet veloce.
sempre più in rete, Gli scettici che
il 65% possiede mostrano una
connessione internet certa resistenza
all’innovazione
tecnologica e che non credono
che essa migliori la qualità della
vita sono solo il 9% (solo il 13%
degli over 50). Siamo sempre più
un popolo in rete, dunque, ma
di fronte agli indubbi vantaggi,
molti sono anche i pericoli che
internet nasconde: virus, spyware,
dialer, spam, phishing e keylogger
sono alcuni nomi per indicare
diversi tipi di attacco ai computer.
Con la trappola di richiedere di
“scaricare” qualcosa di particolarmente “attraente”, per esempio,
si installano i cosiddetti “cavalli
di Troia” (trojan) che consentono ai malintenzionati di usare
il computer dell’ignaro utente
per scopi illegali e immorali,
come spam (il trojan prende il
controllo dei vostri contatti di
posta elettronica e li utilizza a
suo piacimento per inviare mail
di ogni genere), truffe, ricatti.
Gli esiti
dei rilevamenti
e dei sondaggi
appositamente
condotti un po’
ovunque, rendono le risposte
abbastanza
complesse.
65enni, le 14 ore e 19 minuti
dei 18-24enni. E poi: le 11
ore e 32 minuti dei 12-17enni
e le 5 ore e 21 minuti (di
navigazione mensile media in
internet) degli 11enni.
Nella valutazione comparata delle
cifre qui esposte vanno tenute
presenti le chances (quanto a
tempo, intendimenti, occasioni
ed altro) concesse o connesse
ad ogni singola categoria.
Grazie ad un’analisi più mirata si è constatato che se i
12-17enni, di solito, passano, in
media mensilmente, 3 ore 5’ e
57” guardando video on line, i
18-24enni trascorrono, dal canto
loro, nella medesima maniera 5
ore 35’ 58”, i 25-34enni 4 ore
44’ 13”, i 34-44enni 3 ore 30’
33”, i 45-54enni 2 ore 5’ 33”,
under 11enni un’ora 48’ 43” e
gli ultra 65enni un’ora 13’ 34”.
e avete bisogno di un Antivirus
di emergenza è ottimo (e gratuito)
Kaspersky Rescue Disk (http://
devbuilds.kaspersky-labs.com/
devbuilds/RescueDisk/) da scaricare in un cd per poi far ripartire
il computer con il cd inserito per
ripulire i virus più tenaci. Conviene,
inoltre, leggere quanto Microsoft
scrive sulla sicurezza di un computer in famiglia (www.microsoft.
com/italy/athome/security/) e,
soprattutto, tenere sempre aggiornato
il sistema operativo di sicurezza,
impostando l’aggiornamento e l’installazione automatici dal pannello
di controllo “Centro sicurezza
Pc”. È molto utile anche la guida
di Adiconsum (www.adiconsum.it)
e Anssaif (www.anssaif.com) sul
furto di identità e su come tutelare
i propri dati personali in internet.
Rivoluzione in corso
di Arturo Consoli
G
enitori (giovani, di mezza età
e …oltre) e figli (adolescenti
o …bamboccioni) frequentano pressoché gli stessi siti; i teenagers
mostrano però una spiccata predilezione per i social network, trovandoli
“luoghi” di esperienze e conoscenze
notevolmente desiderate alla loro età:
essi (consapevolmente o inconsapevolmente) vanno così incontro a forti
rischi. La passione per i videogiochi
pare che sempre meno sia …peculiare
degli under 20; al contrario, essa sta
coinvolgendo un po’ tutti, madri di
famiglia comprese. Sembra abbia poco
fondamento l’opinione circa uno scarso
interesse da parte degli under 20 per
i giornali e per i libri in generale;
essi li tengono d’occhio, con chiara
predilezione per determinate testate loro
congeniali, ma contemporaneamente,
cercano notizie e nozioni, si aggiornano
pure lungo altre vie. Non snobbano la
“vecchia” radio; tuttavia la musica,
in parecchie occasioni, preferiscono
ascoltarla attraverso l’mp3. Ritengono
un …residuato d’altri tempi il televisore;
ma badano - per certi aspetti persino
più degli adulti - alla televisione; la
“consumano” a modo loro, con i mezzi
e nelle modalità più gradite. Un autorevole critico televisivo ha detto che - in
virtù dell’attuale ricchezza tecnologica
e sovrabbondanza di offerta (quanto
a programmi e reti) - i teenagers, non
di rado, si accostano alla televisione
“come in altre epoche le avanguardie
artistiche osservavano il cinema tramite
l’estetica del frammento”.
Le nuove generazioni
consumano musica
soprattutto con l’mp3,
in ogni momento e in ogni
situazione, su bus come
negli spostamenti a piedi.
Pare allentarsi, purtroppo
il rapporto con la lettura. Ai
cari vecchi libri si preferiscono
la facilità e l’approssimazione via internet.
13/09/10 16:03
12
/ Ottobre 2010
Comportamenti a rischio
Si guarda senza
osservare…
Attenti a quei
manipolatori
Imparare esige
applicazione
Le insidie della modernità
Servizio di Laura
Di Teodoro
U
na mente umana catturata
dalla retorica, da immagini e informazioni che
persuadono e seducono, privando
la coscienza di un proprio spirito
critico e togliendo la voglia di
scoprire e approfondire. Una mente
umana che Anna Oliverio Ferraris
definisce, in maniera schietta e
senza giri di parole, “manipolata”. Da chi, o meglio da cosa?
Dall’evoluzione mediatica, dalla
comunicazione multimediale (comunicazione ridotta a diffusione),
dalla voglia di ciascuno di noi di
farsi convincere, dalla pubblicità
(dichiarata o meno), dalla politica
e dalla schiera di “sofisti del Duemila”
che si avvalgono delle più moderne tecnologie di comunicazione
per entrare capillarmente nelle
case. Insomma, un intero mondo
“virtuale” che, neanche troppo
lentamente, si sta sovrapponendo a
quello reale. Nel suo più recente
libro “Chi manipola la tua mente?”
l’autrice si sofferma sulla facilità
di strumentalizzare e influenzare
comportamenti, inclinazioni naturali,
indirizzando così ciascuno di noi
verso stili di vita e consumi scelti
da altri: “Autoanalisi, osservazione e
riflessione sono gli strumenti cognitivi a
nostra disposizione che ci consentono di
Capire e reagire
Messaggi
M
essaggi mediatici
fatti di suggestioni,
seduzioni e persuasioni
sottili, occulte in cui si nascondono raffinate tecniche di
manipolazioni che spingono
i ragazzi verso scelte inconsapevoli.
Strade pericolose
C
ome fare quando ci si
trova in determinate situazioni e non si sa quale
strada non pericolosa prendere.
Nero su bianco ecco tecniche
e modalità di manipolazione per
aiutare il lettore a capire e reagire.
Volpi d’oggi
A
nna Oliverio Ferraris svela, nel suo ultimo libro, i
trucchi per difendersi
dai manipolatori moderni, volpi
sempre più astute e affamate,
e come difendere o riacquistare
una propria coscienza critica.
Anna Oliverio
Ferraris, psicologa
e psicoterapeuta,
mette in guardia
i giovani
dalle insidie
di comportamenti
“orientati”.
prendere le distanze dai messaggi che ci
raggiungono e di valutarli”.
Anna Oliverio Ferrarsi, perché l’idea
di scrivere questo libro?
Mi occupo di questi argomenti
da parecchi anni: nel 2004 ho
scritto “Tv per un figlio” in cui
sottolineavo gli effetti deleteri della
televisione sui bambini, e nel
2008 “Sindrome Lolita” in merito
ai condizionamenti sul mondo
infantile e alla iper-sessualizzazione,
argomenti che ritengo essere di
estrema attualità. Il tema della
manipolazione della mente risale
ai greci e non è sicuramente
un’invenzione moderna; in passato,
però, si trattava di una manipolazione verbale, oggi invece, ci
sono le numerose immagini che
provocano suggestioni e reazioni
diverse, colpendo in maniera più
incisiva la sfera emotiva e quindi
la mente. Ci sono le pubblicità
di tipo indiretto e diretto, c’è la
comunicazione televisiva, politica
ecc. Nel Ventesimo secolo gli
studi sulla suggestionabilità sono
aumentati, a dimostrazione che
le menti di tutti sono molto
influenzate e influenzabili. Al
contrario invece, chi ha figli o
alunni, vorrebbe che i propri
ragazzi fossero consapevoli e autonomi nelle scelte. Il libro è
stato scritto proprio per questo:
per continuare a coltivare il senso
critico più che mai in un’epoca
in cui tutti cercano di vendere
il proprio punto di vista agendo
sulle emozioni.
Cosa differenzia i ragazzi di oggi
rispetto a quelli di 20 anni fa?
I giovani d’oggi vanno molto
su internet e sono “vittime”
della velocità. L’eccesso dei
messaggi porta a una superficialità dell’informazione a cui
ci si tende ad abituare. Non
si approfondisce più nulla e il
rischio, oggi, è proprio questo:
conoscere senza capire, guardare
senza osservare nel dettaglio,
nel profondo delle cose non
comprendendo, quindi, certi
aspetti importanti della vita.
Ci sono nozioni difficili da
imparare, prima a
scuola e poi nel
lavoro e questo
richiede un’applicazione e un
impegno che tendono ad affievolirsi.
Ciascuno di noi
deve avere una
propria griglia di
valutazione, una
propria coscienza
Sono troppe
critica per capire
le imboscate
quello che succede della TV contro
altrimenti si rischia
bimbi indifesi
di avere un’unica
cultura popolare,
ma non una propria identità.
A discapito della fantasia…
Certamente. La fantasia, soprattutto nell’infanzia, ha un
ruolo fondamentale. Se una
persona si abitua a consumare
prodotti fatti da altri perde
confidenza con la propria
immaginazione. Per questo i
giochi classici infantili hanno
un loro grande valore che
sicuramente la televisione non
può sostituire.
Tutto avviene velocemente con poche possibilità di filtro
La rapidità dei messaggi nel tempo presente, praticamente un bombardamento continuo, non permette al bambino di riflettere
Tutti possiamo essere e siamo manipolati.
Ma come può nascere un’adeguata coscienza
critica, come è possibile costruirsi un muro
di difesa contro questi “attacchi”?
Riflettendo sulle strategie che vengono usate
dai “manipolatori”. Proprio per questo
motivo, nei vari capitoli, del libro passo in rassegna le tecniche utilizzate per
manipolare la mente in televisione, nella
politica, nella vita di tutti i
giorni e lo faccio utilizzando
un linguaggio semplice e una
forma scientifico-divulgativa.
La fascia più sensibile è sicuramente
quella dei bambini e dei ragazzi.
Quale può e deve essere il ruolo
della scuola?
La scuola deve affrontare una
grande sfida soprattutto nei
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confronti della televisione e internet che
rappresentano le minacce più serie. Sul
fronte televisivo, la concorrenza, la guerra
dell’audience e la ricerca di quella seduzione
perenne hanno portato ad un azzeramento
dei valori e alla diffusione di messaggi
semplici costruiti sempre sulla sessualità,
sulla superficialità e su tutto ciò che suscita
emozioni forti nello spettatore. Il tutto
“Su centinaia
di siti internet
va in scena la
oggettivazione
del corpo
femminile: la
donna usata
nel peggiore
dei modi”
succede velocemente e questo rende ancora
più difficile bloccare o filtrare quanto viene
trasmesso e, soprattutto, non permette al
bambino di riflettere su quanto vede.
Qual è la minaccia che la spaventa, soprattutto
in merito alla sfera infantile?
Sicuramente l’ambito sessuale, dove stiamo
assistendo a una deriva preoccupante: ci
“Nell’ambito
sessuale
assistiamo
a una deriva
preoccupante
e rischiosa
per i bambini
di 11 o 12
anni”
sono ragazzini di 11 o 12 anni che già
vedono scene hard e questo deve farci
riflettere sulle conseguenze. Alcuni studi
sostengono che bambini che consumano
prodotti pornografici prima dei 14 anni
sviluppano nel corso degli anni una sessualità
deviata. E questo è il futuro che molti si
stanno costruendo. Ora basta premere dei
tasti per trovare decine, centinaia di siti
internet dove va in scena una
certa oggettivazione del corpo
e dove la donna viene usata
nel peggior modo possibile. C’è
un’eccessiva attenzione al look
già in tenera età e questo,
per molti, diventa il pensiero
dominante a scapito della testa,
della propria cultura e di tutto
quanto si dovrebbe imparare
per vivere.
13/09/10 16:04
13
/ Ottobre 2010
In TV messaggi stupidi e ad effetto
Copertina
Imparare a distinguere
il vero dal verosimile
E dobbiamo affidarci a noi stessi
Dove finisce la famiglia in tutto
questo terremoto di valori educativi?
La famiglia deve essere ancora
più impegnata perché il mondo è sempre più complesso e
soprattutto esiste un mondo
virtuale, quello della televisione
e internet, con cui fare i conti.
Tutti noi dobbiamo imparare a
distinguere il vero dal verosimile,
Gabbia dorata
seduttiva
✍ “Un’esposizione regolare alla
TV nei primi tre anni di vita
interferisce negativamente con lo
sviluppo del linguaggio e dell’intelligenza senso motoria, quella
forma di intelligenza che caratterizza
le prime fasi dello sviluppo, che
presiede alla formazione dello
schema corporeo e all’acquisizione
di tutte quelle abilità che si
apprendono attraverso i giochi e
le attività di movimento”.
✍ “La comunicazione multimediale
ha la caratteristica di catturare
la mente umana e di ridurre il
processo di comunicazione alla sua
fase di diffusione:
una comunicazione
a senso unico e
incompleta”.
✍
“Pubblicità
emotiva, pubblicità seduttiva, fiction
ingannevole, informazioni addomesticate
o profondamente
Bruno Bozzetto modificate stanno
e una vignetta
disegnando, tutte
molto critica
insieme, i contorsulle notizie che ni di una società
passano in tv
manipolatrice che
alla fine crea una
sorta di gabbia dorata che valorizza coloro che riescono a dare
agli altri la sensazione di essere
liberi nelle proprie scelte e nei
loro atti, quando invece costoro
fanno esattamente ciò che viene
loro imposto”.
✍ “Il flusso ininterrotto delle
immagini sul piccolo schermo
trascina l’attenzione del bambino, anche quando lui/lei non è
ancora in grado di distinguerle
e comprenderne il valore rappresentativo”.
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Scienza in famiglia
Anna Oliverio
Ferraris
è professore
ordinario di
Psicologia
dello Sviluppo
all’Università
La Sapienza di
Roma dal 1980
ed è sposata
con il professor
Alberto Oliverio
Pubblicità
Mass-media e noi
le cose serie dalle invenzioni
e possiamo farlo affidandoci a
noi stessi, alla nostra coscienza
critica che dobbiamo coltivare e
aiutare a prendere il sopravvento. Purtroppo, la televisione ci
presenta programmi tutti uguali,
studiati per colpire il pubblico
con messaggi stupidi e superficiali. L’obiettivo per tutti è il
A
nna Oliverio Ferraris è autrice di saggi divulgativi, articoli scientifici e testi scolastici in cui affronta i temi dello sviluppo normale
e patologico, dell’educazione, della famiglia, della scuola, delle
emozioni della comunicazione e del rapporto con i media. È stata membro
della Consulta Qualità della Rai e del Comitato Nazionale per la Bioetica. Dirige “Psicologia Contemporanea” e collabora con “Mente e
Cervello”, “La scuola dell’infanzia”, “Prometeo”. Il marito, Alberto,
insegna pure all’Università La Sapienza, dove è docente di Psicobiologia,
Dipartimento Genetica e Biologia Molecolare.
profitto, la pubblicità e non
certo l’educazione e l’arricchimento culturale di chi guarda.
La televisione va smitizzata.
L’etica in televisione è un miraggio
quindi?
Purtroppo sì. In molti casi le
reti si sono commercializzate
troppo perdendo la missione
originaria che era l’etica appunto.
Ora, invece, bisogna reggere la
concorrenza inseguendo, spesso,
notizie false e presentando alla
gente un mondo non vero,
fatto di storie spesso inventate
e personaggi finti. La mia speranza è che la gente prenda
coscienza prima possibile di
quanto li circonda. Finché ci
sarà un pubblico che guarda
certe trasmissioni non possiamo
sperare che queste chiudano.
Io mi affido all’intelligenza e
al buon senso delle persone
e spero.
L’opinione pubblica italiana purtroppo risente di questo clima inquinato
Troppi intellettuali
hanno perso grinta
Più combattivi in altre realtà
sono molto più combattivi ed
effettivamente, anche di fronte a
certi scandali, vediamo un’opinione
pubblica più preparata e attenta.
T
utto - o comunque sempre
di più - nel vivere d’oggi
è dominato dalla comunicazione. Incide in una maniera
che non riusciamo neppure a
pesare personalmente sui nostri
comportamenti. Abbiamo riflessi
condizionati dalla pubblicità e
da tanti criteri abilmente studiati
dagli specialisti e fatti viaggiare
a fini meramente consumistici.
Professoressa Anna Oliverio Ferraris, nel suo libro sottolinea che la
Comunicazione, quella vera, ormai
si è persa. Il messaggio che si vuole
mandare deve sedurre, persuadere
e suggestionare, il tutto a discapito
del contenuto reale. Che fine ha
fatto la comunicazione?
Purtroppo molti intellettuali
hanno perso la loro grinta e
sono diventati poco incisivi nei
confronti del pubblico. Al contrario, in Francia, gli intellettuali
Lei sta girando le scuole per far
conoscere ai ragazzi il suo libro e
per consapevolizzarli sui rischi ai
quali vanno incontro. Che risposta
sta trovando?
La risposta è molto buona. I
giovani delle scuole superiori
Cinema
Humphrey Bogart divenne
famoso per una battuta
passata alla storia:
“È la stampa bellezza”,
un riconoiscimento in anticipo
del peso del mass-media.
Sopra Rita Hayworth e
Orson Welles. Disse di lui:
“Vuole essere applaudito”.
che ho incontrato hanno fatto lavori molto interessanti su
questo tema, dimostrando di
aver capito. Non è impossibile
portarli sulla giusta strada, ci
vuole molta forza di volontà da
parte di chi educa e da parte
dei ragazzi stessi.
Professoressa, scrittrice e dal
2008 direttrice di Psicologia
Contemporanea, storica rivista
del settore. Come ha intrapreso
questa avventura?
Con la volontà di trattare e approfondire gli argomenti di attualità
e di allargare la rivista anche
alle scienze umane in generale,
senza naturalmente tralasciare
il cuore della pubblicazione e
quindi le tematiche psicologiche.
Deve essere insomma sempre più
uno strumento di formazione e
di lavoro che lasci il segno e
un certo impatto.
13/09/10 16:04
14
/ Ottobre 2010
E la nave va
in acque paludose
➢ segue dalla prima
R
agazze dimentiche del pudore
e della dignità si vendono
con leggerezza sotto la sigla
anonima di escort, ma continuando
il mestiere più antico del mondo.
E giovanotti che si sono liberati,
senza rimpianti, dei problemi di
coscienza si buttano, nella loro
scia, proponendosi come gigolò.
Ma quel che è peggio, il nerbo
dell’homo faber, l’asse portante della
società che produce, quella figura
d’imprenditore chiamato artigiano,
per la quale lavoro e famiglia
sono una cosa sola, è stato messo
ai margini, umiliato sotto ogni
profilo. La sua era la condizione
aurorale del lavoratore autonomo,
il protagonista dell’industrializzazione diffusa, cui l’Italia deve la
grande trasformazione del suo
vivere, l’emancipazione dalla povertà
di intere regioni del Paese. Da
questi uomini e donne venivano
quel fervore operativo e quella
creatività che ci hanno attirato le
simpatie e l’attenzione del mondo
intero, affascinato dal made in Italy.
Un potenziale prezioso per ogni
regione italiana, che le vecchie
Scuole di Arti e Mestieri avevano
messo nelle condizioni di dare il
Il divorzio tra Fini e Berlusconi
è l’origine dell’attuale crisi politica
italiana.
meglio di sé, fornendo l’istruzione
professionale capace di accendere
le vocazioni. Ora, tra sindacati
imbalsamati guidati da burocrati
dello sciopero, incapaci di fornire
sostegni in positivo, arroccati solo
sull’assistenzialismo, e governanti
troppo occupati nelle interminabili
scaramucce partitiche piuttosto
che nei progetti di vasto respiro,
quella che risalta nella sua cruda
essenza è la brutale lacerazione
subìta dal tessuto sociale. Una
ferita profonda, che toglie ogni
forza alla vita di relazione, ormai
quasi priva di orgoglio, di senso
della nazione, di voglia di sfida
e di confronto. Proprio nel momento in cui maggiore sarebbe la
necessità di contare sulla coscienza
collettiva per superare le difficoltà
del ciclo economico e per gestire con efficacia l’integrazione di
tante nuove culture trapiantate
nel territorio.
La Chiesa, unica provvidenziale
istituzione che, nelle opere e
nell’indirizzo dottrinale richiama
ai veri ideali e conforta, è per
questo aspramente attaccata. Ogni
giorno, il Papa, i consacrati e
i credenti, sono aggrediti sul
piano nazionale ed europeo, in
un intreccio di complicità tra
poteri forti, spesso subdolamente
capaci di mettere insieme supposti
progressisti e veri speculatori. Tutti
interessati a cancellare dalla faccia
della contemporaneità ogni traccia
di legge morale. Un momento
drammatico, che richiama a uno
sforzo collettivo famiglie e persone
di buona volontà per raddrizzare
l’asse morale del mondo, come scriveva in un’epoca altrettanto in
pericolo il sociologo e Servo di
Dio Giuseppe Toniolo.
Pochi anni dopo l’Europa e gli
altri continenti avrebbero conosciuto gli orrori della Grande
Guerra.
Ulderico Bernardi
Figli cresciuti, ruolo ritenuto concluso…
La crisi dei 50enni
adolescenti di ritorno
➢ segue dalla prima
N
uovo.
Settembre è passato
e non c’è stato nessuno
che ha ripreso la scuola.
Nessun tour de force presso le librerie per i libri di testo. Nessuna
polemica sulla formazione delle
classi. Nessuna lagnanza per i
professori toccati in sorte. La
sveglia è rimasta puntata sulle
sette, anche se non c’è più nessuno che prende l’autobus al
volo, la brioche in piedi e che
dimentica il diario a casa. Dalla
mattina alla sera 15 anni sono
passati. Quindici anni che pensavo
durassero per sempre. Quattro
figli sono passati, trascorsi da
questa casa come in un sogno.
E oggi nella stanzetta accanto alla
nostra, dorme la nonna. Certo, gli
affetti sono rimasti. Come pure le
preoccupazioni per questi quattro
futuri appena intrapresi. Ma la
presenza, le piccole abitudini, il
cesto della biancheria straripante,
il tema centrale dei discorsi col
marito, non ci sono più. Quel
tempo che una volta si invocava
per sé, che sempre mancava e
che era divenuto poco più di
un irraggiungibile miraggio, ora
improvvisamente ci si spalanca
davanti. Si fa fatica a riempirlo.
Come si fa fatica a rimettere la
relazione coniugale al centro dei
propri interessi.
Le mille e un’esigenza del quotidiano
ci avevano abituati a non avere
mai tempo l’uno per l’altro. I pigri
indugi della domenica mattina a
letto, il lusso di una cena fuori, la
gratuità di una serata al cinema,
sono momenti dimenticati di cui,
forse, si è persa persino l’esigenza. Così come, forse, per anni
ci si è dimenticati di guardarsi
l’uno negli occhi dell’altro, per
cercarvi la complice intesa che
aveva innescato tutta la nostra
storia d’amore. Siamo di nuovo
in due. Circondati, certo, da un
corollario di persone, di affetti,
di relazioni, ma sostanzialmente,
siamo di nuovo in due.
Che fare di questa relazione?
La domanda non è obsoleta.
Molti sono i matrimoni che dopo
venti-venticinque anni, si sfasciano.
Attraversate tutte le tappe descritte
sopra, alla fine, la valutazione
risulta negativa. La volontà di
stare insieme si è persa per strada.
Il collante dei figli non c’è più.
E allora, succede che si decide,
di andare ciascuno per la sua
strada. Una strada nuova. Una
strada tutta da inventare. Dopo
una vita di regole e inevitabili
sacrifici, è come se si spalancassero
all’improvviso le porte di una
nuova adolescenza. Finalmente
“
Sono già passati 15, 18,
20 anni e non ce ne siamo
nemmeno accorti.
In passato l’uscita di casa
dei figli, rendeva nonni,
oggi fa tornare
adolescenti. Siamo
tra le prime generazioni
ad attraversare questo
passaggio di crisi. Tutti
inseguono quella grande
ricercata che è la felicità.
Uno studio americano non lascia dubbi: da campioni di giustizia a protagonisti di violenza
Supereroi? Macché, pessimi maestri della denuncia
S
tiamo assistendo alla caduta di molti
valori e di molti modelli. Era inevitabile
che nella frana venissero travolti anche
quelli che erano campioni di positività. Al
loro posto, come brutto segno dei tempi,
ecco che arrivano i sostituti: nuovi supereroi,
diseducativi ed egoisti, violenti e maschilisti,
uno peggio dell’altro e tutti un pessimo
esempio per i ragazzi. Non è un’impressione
soggettiva o il giudizio di qualche maestro o
professore o educatore deluso dai miti delle
nuove generazioni. C’è uno studio dell’Università
del Massachussets, negli Stati Uniti e Sharon
Lamb, presentando la ricerca al congresso
dell’American Psycho-logical Association è molto
esplicita in materia: «C’è una grande differenza
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tra i supereroi dei fumetti di ieri e quelli che vediamo
sugli schermi al giorno d’oggi. Quello attuale è un eroe
dedito alla violenza non stop, sarcastico e che raramente
parla delle virtù dell’aiutare il prossimo». Quello che
manca agli eroi moderni, è una dimensione «umana»: «quelli di una volta combattevano sì i
criminali, ma nella vita di tutti i giorni erano persone
comuni, da cui i ragazzi potevano prendere esempio».
Dall’inchiesta è emerso che i comics di oggi
offrono solo due tipi di modelli, il player,
cioè il supereroe «24 ore su 24» come gli X-Men,
con pochissimo senso della solidarietà e della
giustizia, ma animato da desideri di violenza
e vendetta, o lo slacker (non motivato), un
personaggio, cioè, disinteressato a qualunque
tipo di coinvolgimento o responsabilità.
Barbara De Rossi, interprete
di “Un ciclone in famiglia” ha
lasciato il marito: colpo di fulmine
per uno più giovane di 21 anni.
liberi di innamorarsi di nuovo.
Di sentirsi giovani. Di vivere la
propria vita. Succede. Succede agli
uomini e alle donne. Alle madri
e ai padri. Vent’anni di vita in
comune vengono stralciati. Case
costruite con i sacrifici di una
vita in comune, vendute. Principi
difesi da sempre, abbandonati.
All’improvviso sbucano grandi
amori, passioni travolgenti, amici
d’infanzia e l’irrazionale voglia di
vivere il sogno si fa gesto concreto.
In passato, l’uscita di casa dei
figli rendeva nonni, oggi, fa tornare adolescenti. E i ruoli si
invertono. I figli cercano di far
ragionare genitori “fuori di testa”,
prospettando loro il futuro, la
vecchiaia, la necessità di guardare
avanti, di costruire sulla certezza.
Ma i genitori non ascoltano. E
fanno il salto nel vuoto. Come
va a finire? Difficile dirlo. Forse
è presto. Siamo tra le prime
generazioni a comportarci così.
Ci vorranno anni, ci vorrà la
vecchiaia, che prima o poi, ci
raggiungerà anche se abbiamo una
relazione con chi ha la metà dei
nostri anni, o se ci illudiamo di
procrastinarla vivendo alla giornata.
Non so proprio come andranno
a finire queste storie. Chi, alla
fine, avrà raggiunto quella a cui
tutti, in modi infinitamente diversi,
tendiamo: la felicità. La mia scelta
è di innamorarmi da capo. Non
di un amore nuovo. Ma di chi
mi accompagna da più della metà
della mia vita lungo il su e giù
che la vita ci ha preparato. Di
chi mi ha conosciuta giovane,
innamorandosi anche dei miei
sogni, delle mie ingenuità, dei
miei progetti di vita. Di chi mi
è stato accanto per uno, due, tre,
quattro parti, condividendone ansie
e gioie. Di chi mi ha permesso
di crescere e diventare quello che
sono. Di mio marito.
Corinne Zaugg
13/09/10 16:04
15
/ Ottobre 2010
La nuova stagione con notevoli cambiamenti tecnologici e di contenuto
Paese che vai,
televisione… che trovi
La rivoluzione dall’analogico al digitale
di Gino Carrara
S
i sta entrando a gonfie
vele nella nuova stagione
televisiva, caratterizzata assai
più delle precedenti da significativi cambiamenti. È in corso
(e dovrà concludersi a livello
nazionale entro il 2012, secondo
i progetti) la “rivoluzione tecnologica” del passaggio dalla forma
analogica al cosiddetto digitale
terrestre. Quando non ci sono
motivi o mezzi per acquisire
televisori della più aggiornata
generazione (con incorporati i
nuovi necessari meccanismi), nelle
case entrano (e in moltissime case
sono già entrati) i decoder del
tipo “zapper” (i più economici),
che permettono di continuare a
vedere i canali gratuiti, oppure i
decoder più sofisticati che… aprono
la strada pure ai canali pay. In
virtù dell’impostazione che va
diffondendosi, si è enormemente
accresciuta l’offerta dei programmi (anche di libero… accesso).
L’emittente di stato (la Rai), in
particolare, nell’ammodernare il
proprio look e nell’attuare parecchi avvicendamenti nei cast di
alcuni degli appuntamenti “storici”
dei suoi palinsesti, ha deciso di
affiancare alle tre consolidatissime
reti generaliste una serie di canali
monotematici (dedicati al cinema,
ai cartoni animati, all’intrattenimento e all’approfondimento,
allo sport, “maggiore” o “minore”)
destinati a trovare un audience
via via più esteso.
Mentre in Italia si vive questa
fase di transizione, può essere
interessante una rapida panoramica su quello che va in onda
in altri Paesi. Ormai da tempo,
è risaputo che, anche per il
piccolo schermo, è scattata la
globalizzazione: quello che fa colpo
in un certo Paese, di solito,
viene acquistato (come “format”
o schema di trasmissione) in altri
Paesi. L’autore inglese Simon
Cowell ha visto il suo “X-Factor”,
lanciato in terra britannica nel
2004, dilagare in 24 Stati (Italia
compresa) e il suo “Got talent”
(solo di recente acquisito dalle
nostre parti) approdare in una
quarantina di Paesi. In Inghil-
Gabriella Carlucci, Jerry Scotti,
Paolo Bonolis e Simona Ventura.
terra, nel 1998 ha visto la luce
anche “Chi vuol essere milionario”,
ormai proposto in 108 Paesi più
o meno nelle modalità nelle
quali in Italia viene condotto
da Gerry Scotti. Ha il marchio
della britannica BBC (dal 2004)
Francesco Facchinetti
presentatore di X Factor.
il “Ballando con le stelle”, “esportato”
in una trentina di Paesi e da
noi diventato il “successo” del
sabato sera, gestito da Gabriella
Carlucci. Sulle rive del Tamigi
(nel 2002) è sbocciata persino
l’idea matrice di “Affari tuoi”,
rapidamente sviluppata in una
sessantina di Paesi. Dagli Stati
Uniti (dove è la trasmissione
più seguita) è arrivato in più
di 40 Paesi di tutti i continenti
“Pop Idol”, il talent show musicale “pensato” da Simon Fuller, il
produttore degli spettacoli delle
Spice Girls.
È, ovviamente, “Il grande fratello”
(Big brother nella denominazione
originaria) il “responsabile” dei
“reality” che, con le più disparate
strutture e tematiche, hanno invaso tutti i continenti. Gli autori
delle singole aree hanno puntato
ora sul serio ora sul faceto. In
Lelio Luttazzi, pianista, compositore, attore, ma soprattutto…
Il “discobolo” dei successi musicali
E
ra un pianista, abilissimo nelle improvvisazioni e nel quale non esistevano vie per “anticipazioni” e “funell’infondere un certo spirito italiano nello swing ghe di notizie” e nessuno si azzardava a imbarcarsi in
americano; sapeva dirigere orchestre con molta iniziative alternative autonome, quella graduatoria era
verve; aveva firmato le colonne sonore di un’infinità di attesa dai fans della musica leggera (che erano un’infinità)
al pari dei risultati delle partite di calcio della
film e di riviste teatrali allestite da autori di
domenica pomeriggio sospirati dagli scommetgrido; si era proposto abilmente come attore
cinematografico e come conduttore di memorabili
titori del Totocalcio in un mondo non ancora
varietà televisivi (quali “Studio Uno” con la
invaso dalla spezzatino “footbaliero” televisivo.
partecipazione di Mina e delle gemelle Alice
L’artista triestino scomparso l’8 luglio scorso
all’età di 87 anni fu, in sostanza, il… discobolo
e Helen Kassler); proprio lui aveva messo sul
pentagramma le note di “pezzi” popolari come
di tutti i successi musicali degli anni ’60 e
“Giovanotto matto”, “Una zebra à pois”
’70. Coinvolto, a torto, nel periodo della sua
(a lungo cavallo di battaglia della “tigre di
massima notorietà, in una vicenda giudiziaria
con di mezzo la droga, benché totalmente e
Cremona”), “Vecchia America” (cara al
Quartetto Cetra), “Souvenir d’Italie”. Lelio Lelio Luttazzi pienamente scagionato, non ebbe più la forza
Luttazzi però è sempre rimasto nella mente di
di riprendersi. Si autoemarginò; e solo in poun signore
…quelli di una certa età principal-mente per dello spettacolo chissime occasioni (nel ’91 - ’92 con Gigliola
un grido: quell’“Hiiiiit Parade!” con il quale ingiustamente Cinguetti in “Festa di compleanno”; nel
ogni venerdì, tra il 1967 e il 1976, davanti ai messo ai margini 2006 con Fiorello a Radiodue; nel 2009 al
microfoni dell’emittente radiofonica di Stato (a
Festival di Sanremo come “padrino” di Arisa)
quell’epoca le “private” non esistevano) iniziava e chiudeva accettò di tornare alla ribalta. All’origine dei suoi guai ci
la presentazione (scandita dalle rispettive esecuzioni) dei fu… l’intercettazione di una telefonata di Walter Chiari.
“dischi più venduti della settimana”. In un tempo Certi problemi, davvero, non si risolvono mai.
Finlandia, per esempio, con il
titolo “Progetto felicità” si sono
messe a fuoco le problematiche
della solitudine; in Inghilterra
l’attenzione è stata invece rivolta
alle situazioni create dalla recessione economica che ha investito
tanta parte del pianeta Terra. In
parecchi Paesi arabi ha provocato
dure reazioni una “realistica” pièce
basata su stili di vita giudicati
eccessivamente emancipati.
In aggiunta ai “format” di portata internazionale, ogni Paese,
naturalmente, ha creazioni tipiche
proprie, studiate in risposta alle
attese del pubblico locale: nel
Belgio, per esempio, piacciono
molto le trasmissioni di tipo
culinario; i norvegesi amano il
proprio folklore e l’esplorazione
della loro patria; in Svezia - dove,
per via del rispetto della parità
dei sessi, sono mal tollerate le
trasmissioni con donne scollacciate
così di moda dalle nostre parti fanno il pieno le gare di bande
musicali e di cori; i tedeschi si
entusiasmano per i “game show”;
in Malesia, con un talent show
che mette in palio pellegrinaggi
alla Mecca e borse di studio
universitarie, si cercano nuovi
leader religiosi; in Brasile e in
Argentina continuano a spopolare le telenovelas a tinte forti;
in Cina, sotto la spinta delle…
esigenze commerciali alimentate
dalla crescente pubblicità, anche a
dispetto dei controlli del regime,
si è imposto il programma “Se tu
sei quello giusto”, nel quale gruppi di
24 ragazze si… scelgono il marito.
Ovviamente c’è pure la versione
opposta (giovanotti che identificano
la futura moglie). Nell’area di
Shanghai, il comico Zhou Libo
ottiene ascolti record con due…
trucchi: fa satira politico-sociale su
questioni generali (senza dunque
colpire direttamente i “capi”) e
usa, prevalentemente, un dialetto
locale (che a Pechino non tutti
capiscono).
Il gran ritorno di Lorella Cuccarini, nozze d’argento con la TV
N
el battâge mediatico per la presentazione della stagione televisiva 2010/2011
ha avuto la parte del leone il rientro sul
video (dopo un lunghissimo periodo di…
panchina) di Lorella Cuccarini. È stata
chiamata (sulla soglia dei suoi 45 anni,
madre di quattro figli, sposata col produttore Silvio Testi) a prendere, su Raiuno, il
timone di “Domenica in”, per molto tempo
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rimasto nelle mani di Pippo Baudo, ossia
di colui che la scoprì tra le ballerine di
fila di una manifestazione pubblicitaria e
la lanciò, nel 1985, in alcune delle più
seguite edizioni di “Fantastico”. Con l’attuale
rentrée, Lorella Cuccarini festeggia, dunque,
anche il quarto di secolo di attività (purtroppo con un notevole, non desiderato…
riposo) sul piccolo schermo. All’inizio degli
anni ’90, Lorella Cuccarini, insieme a
Marco Columbro, guidò “Buona Domenica”
su Canale 5. Apprezzata soprattutto come
showgirl (cantante e ballerina), ha saputo
però farsi valere pure come attrice di
prosa; ed è stata, spesso, una convincente
testimonial di “Tèlethon” (la manifestazione
annualmente proposta per la lotta contro
la distrofia muscolare).
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/ Ottobre 2010
Mondiali 2010:
Tutto era stato
cronaca di una
ampiamente previsto
Waterloo
mai così giù
annunciata
dalla
di Enzo Dossico
U
na novità c’è, si chiama
Cesare Prandelli. È l’allenatore che dovrà traghettare
la nazionale italiana di calcio nella
ricostruzione da uno dei crolli più
disastrosi degli ultimi trent’anni.
Subentra a Marcello Lippi che ha
perso l’occasione di passare alla
storia come un trionfatore d’eccezione, timoniere travolto insieme
a tutta la squadra nel naufragio
sudafricano. Prandelli ha esordito
in luglio, dopo il giugno della
Waterloo. Da tempo si sussurrava
il suo nome, poi le voci si sono
intensificate, fino alla conferma.
Non è per altro casuale lo sfaldamento della Fiorentina, dopo
le notizie che lo
Donadoni
davano partente.
era stato fatto fuori L’allenatore brenel peggiore dei modi sciano, che fece
con il rientrante Lippi notizia quando
lasciò la guida
della Roma per stare vicino alla
moglie colpita dal cancro, è di
sicuro un campione di umanità.
Su questo è imbattibile: non c’è
partita con il suo precedessore di
Viareggio, che si è sempre distinto,
anche nelle ultime esibizioni, per la
sua arroganza e la sua supponenza
nel rapportarsi con i giornalisti
e in generale con tutti, smentito
Dopo il naufragio sudafricano
Prandelli nuovo
timoniere azzurro
poi dal campo. Prandelli ha il
vantaggio di partire da sottozero:
e quindi il tutto che farà, poco
o molto, si noterà subito. Sarebbe
stato più arduo il compito se la
nazionale si fosse piazzata bene.
Ma non c’era proprio alcuna
possibilità che una squadra così
mal messa, male assortita, peggio
ancora schierata, potesse andare
lontano. Il naufragio annunciato
Nel 1962 in Cile…
Ricordiamo gli oriundi?
L’
Italia è stata patria degli oriundi; qualcuno
si ricorda della disastrosa avventura cilena
con Maschio, Sivori, Sormani e Altafini? E a
quei tempi potevamo permetterci nomi come
Buffon e Albertosi in porta; Losi, David,
Trapattoni, Maldini, Salvadore in difesa;
Bulgarelli, Janich, Rivera a centrocampo… Ora
le frontiere sono state aperte. La Germania,
tra naturalizzati e stranieri nati in Germania
aveva nei suoi ranghi 7 giocatori…
è stato più veloce di quanto
si ipotizzasse. Si era sostituito il
mite Roberto Donadoni nel modo
peggiore e più sgradevole che
si potesse immaginare, sul piano
umano prima ancora che sportivo.
E si è fatto subito un erroraccio
da dilettanti: quello di ingaggiare il
rientrante CT vincitore in Germania
fino ai mondiali sudafricani. Un
ambiente, quindi, che respirava
l’aria di smobilitazione generale.
Siamo non a caso la terra del
“Gattopardo” assunto ad icona
nazionale. Tutto cambi purché
resti tutto come prima o quasi.
Il rinnovamento riguarda sempre
qualche vittima sacrificale designata o annunciata, come nel
caso degli allenatori: il resto rimane quasi sempre immutato,
intoccabile. Prendiamo il vertice
della Federcalcio. Via via se ne
sono andati, con alterne vicende,
quasi tutti in fase discendente
o da giubilati, Bearzot, Vicini,
Sacchi, Maldini, Zoff e siamo già
a Lippi-Donadoni-Lippi. Gli allenatori passano, i vertici rimangono,
per cui il presidente Giancarlo
Abete non si fa neppure sfiorare
dall’idea che sarebbe moralmente
decente farsi da parte dopo un
tonfo di cui è, comunque, tra i
responsabili primari. A prescindere
dai risultati, questo signore del
calcio è nella stanza dei bottoni
da “temporibus illis”. Nel 1990,
cioè vent’anni or sono, sedeva
già nel consiglio federale della
Corea in poi
Figc, come presidente delegato del
settore tecnico. È stata una scalata
inarrestabile fino alla sommità.
Suoi buoni amici e compagni di
strada, quindi vecchie conoscenze
e vecchie poltrone sono Mariano
Delogu, consigliere e commissario
dell’Interregionale; Carlo Tavecchio,
vicepresidente vicario della Figc;
Azeglio Vicini, 77 anni, presidente del settore tecnico, che sarà
ora sostituito da Roberto Baggio
(scelto guarda un po’ da Abete);
Mario Macalli, guida della serie
C… e altri ancora. Ha pienamente
ragione chi dice che nei palazzi
del pallone ci sono sempre le
stesse facce: i risultati si vedono.
Ora tocca a Cesare Prandelli salire
sul carro e guidarlo, prima agli
Europei e poi ai mondiali. Contratto di 4 anni,
Il rilancio
con l’augurio di
sarà facilitato
buona fortuna e
di resistenza nel dal fatto che si parte,
mare tempestoso praticamente, da zero
del calcio. Dovrà
riabilitare l’immagine offuscata dell’Italia e, soprattutto, dovrà rifare i
ranghi, con pochi residui pilastri
dell’avventura tedesca: Buffon, Pirlo,
Gilardino e pochi altri. E dovrà,
anche, confrontarsi con convocazioni
scomode ed improcrastinabili, tipo
Cassano e Balotelli, ora accasatosi
in Inghilterra, dove, forse, potrà
esprimersi più tranquillo.
Senza appello
Esami subito infuocati
P
randelli dovrà dimostrare nello spogliatoio
e sul campo il suo valore. E alla testa
della nazionale, non ci saranno esami
di riparazione: non ce ne sono mai stati e
non si farà eccezione nemmeno per questo
condottiero dal volto umano. La storia insegna:
restano i capitani, saltano gli allenatori. I
mondiali hanno consacrato chi ha innovato
e hanno bocciato nomi sacri che parevano
inaffondabili, vedi Maradona e Domenech,
entrambi silurati.
Partite disputate senza la minima assistenza video. Errori clamorosi, ancora una volta, sui campi sudafricani
Potremo finalmente uscire dalla preistoria di Blatter?
S
arà la volta buona? Chissà! Forse, dopo
le scuse per le ripetute clamorose figuracce
globali degli arbitri ai mondiali sudafricani, Sua Maestà Joseph Blatter si deciderà a
qualche apertura. Lo esigono i tempi, lo esigono
gli interessi colossali che si muovono attorno al
rettangolo verde del calcio. Dopo gli scivoloni
globali visti in sudafrica, la Fifa ha deciso: un
fischietto in più in ogni area di rigore nelle
competizioni europee e in alcuni campionati
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(Francia, Messico e Brasile). Esclusa la serie A
italiana, si è “espulsa” la moviola per evitare i
processi. Un po’ come chiudere le banche, perché
ci possono essere le rapine. Oggi, finalmente,
altri sport hanno introdotto supporti tecnici
per una disputa più corretta della gara: rugby,
tennis, basket, hockey… Il presidentissimo si
è affrettato a dire che la perfezione non è di
questo mondo e non appartiene neppure alla
tecnologia più sofisticata. Può essere, ma è, in
ogni modo, preferibile il rischio minimo rispetto a
errori ripetuti, grandi come il Duomo di Milano.
Il tiro di Lampard durante la partita InghilterraGermania l’hanno potuto vedere e rivedere
ovunque, da Tokyo (un peccato l’eliminazione
dei giapponesi ai rigori) alle favelas brasiliane.
Un pallone che varca la linea bianca di 20 cm
si vede a occhio nudo, senza neppure bisogno
di occhiali: basta essere attenti. Se uno non lo
è, e può accadere, con le telecamere si rimedia
quasi scientificamente. E si evita un’ingiustizia
clamorosa. Monumentale anche la mano di
Henry nel gol che ha estromesso l’Irlanda di
mister Trapattoni dal mondiale sudafricano. Il
tempo è galantuomo, la Francia è stata subito
eliminata, ma chi ripaga gli irlandesi ieri o
gli inglesi oggi oppure, ancora, i messicani che
nella partita contro l’Argentina hanno subito
un gol in netto fuorigioco?
(e.d.)
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/ Ottobre 2010
Norme cambiate per tenere sotto controllo i bilanci
Medicina di nome fair play
Riuscirà a “curare” i molti e gravi mali del calcio?
di Gino Carrara
N
on spendere più di
quanto si guadagna:
si basa su questo
principio il fair play finanziario che Michel Platini, ex
bandiera della Juventus ed
ora presidente dell’Uefa (la
massima organizzazione del
football del vecchio continente), nel maggio scorso è
riuscito a varare, nell’intento
di mettere un freno alle
“follie” non di rado affioranti dal mondo del pallone,
determinate dalla smania di
questo o quel sodalizio di
vincere tutto e di più. Il
nuovo regolamento prevede
deroghe per gli investimenti
destinati alle costruzioni di
stadi, alla valorizzazione dei
vivai giovanili, alle iniziative
socio-culturali; ma è assai
rigoroso nell’esigere un appropriato equilibrio tra incassi
provenienti dalle normali
attività e spese per ingaggi
di campioni (autentici e…
presunti) e stipendi corrisposti
ai medesimi. Alcuni dati aiutano a capire le ragioni della
normativa ora introdotta (ragioni
riassumibili nella volontà di
evitare l’autodistruzione, in
una colossale bancarotta delle
sue massime espressioni, di
uno degli sport più belli e
seguiti nel mondo): negli ultimi
dieci anni, nel tentativo di
rafforzarsi, il Real Madrid ha
speso mille milioni di euro,
il Barcellona oltre 700; il
londinese Chelsea circa 600.
In base al fair play finanziario
di recente conio, tra il 2011
e il 2017 tutti i bilanci “malati” dovranno essere risanati,
gradualmente, nelle fasi e
nelle modalità che sono state
accuratamente stabilite. Chi
non si adeguerà, incorrerà
in sanzioni, in penalizzazioni
sino all’esclusione da ogni
competizione. Gli osservatori
hanno indicato in questa
spada di Damocle profilatasi
all’orizzonte il motivo principale della “fiacchezza” del
“mercato” (acquisti e cessioni
dei cartellini dei giocatori)
che in tutta Europa ha preceduto la stagione calcistica
2010/2011 ormai avviatasi.
È la stagione che vedrà anche
le nazionali correre per qualificarsi ai prossimi campionati
europei che si disputeranno
nel 2012. La macchina del
calcio, come si sa e come
si vede, è sempre in corsa e
non concede arresti, perché
non può concedersi il lusso
di rinunciare all’introito di
soldi, tanti soldi. La giovane Italia (e l’immagine ci
sta proprio tutta nell’anno
in cui si ricordano i 150
anni dell’Unità d’Italia, con
i grandi che la fecero, da
Camillo Benso di Cavour
a Giuseppe Mazzini, ecc…)
Fuoricampo
Esame
di maturità
M
“Le Roi”, “il re”
Michel Platini
riuscirà a varare
una riforma
in profondità
di quel grande malato
che è il calcio?
Balotelli e Cassano
riusciranno
a maturare e a far
diventare matura
la nazionale?
ha ricominciato la sua corsa.
Nell’esordio amichevole con
la Costa d’Avorio a Londra,
gli azzurri del nuovo corso
sono stati sconfitti per 1 a
0. E già sui giornali c’è stata
Cifre da capogiro
N
el 2008 i 732 più importanti club europei hanno
pagato ai loro calciatori stipendi pari a 7,1 miliardi
di euro; il 47 per cento di tali club hanno chiuso i
conti in perdita; i debiti delle società calcistiche impegnate nei
cinque più importanti campionati europei (inglese, spagnolo,
italiano, tedesco, francese) sono ammontati complessivamente
a 5,5 miliardi di euro. Nel mondo del calcio si viaggia ormai
senza più freni: una spirale perversa dove si spendono cifre
pazzesche sperando di introitare cifre ancora più alte con i
diritti tv, abbonamenti, biglietti d’ingresso, ecc… Ma il più
delle volte questo meccanismo funziona solo sulla carta.
una raffica di critiche, come
se fosse possibile fare dei
miracoli in pochi giorni e,
soprattutto, all’indomani dei
Mondiali e in piena estate,
quando molti giocatori sono
ancora al primo riacclimatarsi
con il pallone. La buona
volontà è importante, lo
stimolo delle novità offre il
suo contributo, la voglia di
ben figurare da parte dei
nuovi convocati è pure un
buon viatico, ma c’è un
tempo per tutto e occorre
anche saper attendere.
Non si cominci con i processi
alle intenzioni già alla prima
partita, per un cambiamento
che dovrebbe rivelarsi come
svolta storica per una nazionale lasciata invecchiare dai
responsabili.
ario
Balotelli,
un italiano di colore, ha
compiuto 20 anni e,
dopo essere stato un
sistematico, regolare,
puntuale protagonista sui campi di
calcio e anche fuori,
è approdato in Inghilterra al Manchester
City di Mancini.
Speriamo che la lontananza dal pubblico
italiano lo aiuti a
ritrovare la necessaria
serenità. Il pubblico
londinese, in genere
più freddo e controllato (ma non sempre)
dovrebbe aiutarlo su
questa strada. Ma la
prima mossa, quella
decisiva sarà la sua,
evitando le chiassate
e gli atteggiamenti
plateali di cui si è
reso protagonista in
Italia fino al momento di imbarcarsi con
le valigie ed anche
oltre. Il Balotelli
calciatore ha dimostrato di saperci fare,
sorretto anche da
un forte fisico. Il
Balotelli uomo, che
prenderà 3,5 milioni
di euro a stagione per
5 anni, ne ha ancora,
e molta, di strada da
percorrere.
La più urgente
delle riforme
Un’adeguata
cultura
ad ogni livello
I
l nuovo campionato di serie
A in Italia si è presentato
con nuovi titolari di ben 11
“panchine” su 20. Sono cambiati
i “mister” di tre delle squadre più
seguite: all’Inter Rafa Benitez ha
rimpiazzato il superdiscusso ma
pure plurivincitore José Mourinho;
al Milan, tra una dissertazione/
sfuriata e l’altra di Silvio Berlusconi, si è insediato Massimiliano
Allegri (in arrivo da Cagliari);
alla Juventus con Gigi Delneri
e Beppe Marotta - e il ritorno
di un Agnelli alla presidenza - si
è inaugurato un nuovo corso.
Pure Sampdoria, Fiorentina, Parma,
Udinese hanno sostituito i rispettivi
tecnici. Ma si sa
che, pur appassionanti e coinvolgenti,
quelli legati agli
schemi tattici, ai
moduli schierati sul
rettangolo verde e
alla scalata della
classifica, non sono
- anche altrove, ma
Una festa:
in particolare nel
così
dovrebbe
nostro Paese - i
essere lo stadio
problemi più assillanti
e rilevanti connessi per i giocatori e
per il pubblico
al mondo del calcio
organizzato. Se dal
fair play finanziario
adesso escogitato può scaturire
(sia pure nel tempo) una migliore
(e più etica) configurazione del
giro di denaro che il gioco del
pallone alimenta, restano comunque
aperte molteplici altre questioni:
quelle che vanno dall’urgenza di
adeguate strutture logistiche, per
un ordinato svolgimento delle
partite, alla necessità della promozione di una nuova cultura
sportiva che crei davvero attorno
ai 22 atleti in campo non una
infernale bolgia di fanatici schierati in fazioni contrapposte, ma
semplicemente uno stadio colmo
di gente in festa.
Rivive sullo schermo il mito di Koblet, grande protagonista del ciclismo
Hugo, il pedalatore che si pettinava all’arrivo
L
o chiamavano “Falco
biondo”; passando vittorioso sotto lo striscione
dell’arrivo di una corsa - gli capitava spesso - di solito si pettinava
per risultare inappuntabile pure
dopo un’enorme fatica. Era un
bel ragazzo, alto e slanciato; gli
era facile presentarsi elegante
anche nei panni più dimessi.
Soprattutto però, in bicicletta, era
un campione completo, specialista
delle competizioni a tappe, forte
in salita e sul passo, abile in
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pista in tutte le specialità. Non
a caso fu il primo straniero a far
scrivere il proprio nome nell’albo
d’oro del Giro d’Italia: nel 1950
- Anno Santo-, nell’assalto alla
maglia rosa ebbe la meglio su
Gino Bartali. L’anno dopo vinse
il Giro di Francia. Nel ’53, lottò,
spalla a spalla (sulle rampe dello
Stelvio), sino alla fine con Fausto
Coppi (che nel ’50 era a casa per
le conseguenze della caduta di
Primolano). In quell’occasione
dovette arrendersi; nel 1951 invece
era stato il “campionissimo” di
Castellania ad inchinarsi davanti
alla sua superiorità nel Gran
Premio delle Nazioni, una delle
più prestigiose prove a cronometro.
Hugo Koblet - è di lui che si
sta parlando - ha di recente fatto
di nuovo parlare di sé in virtù di
un film-documentario sulla sua
vita che è stato proiettato con
successo, al Festival di Locarno con il titolo “Pédaleur de
charme” (Manuel Lowensberg
ha incarnato l’atleta nell’opera
di Daniel van Aarburg). Nato
nel 1925 a Zurigo, corridore
professionista dal ’46 al ’58,
trionfatore anche in tre Giri della
Svizzera (’50, ’53, ’55) oltre che
per 9 anni campione elvetico
nell’inseguimento, “storico”
antagonista in patria di Ferdi
Kübler, Hugo Koblet alimentò
parecchio pure le cronache rosa;
sposò la fotomodella Sonja Buhl.
Nella quotidianità non fu bravo
e fortunato come nello sport.
Appesa la bici al chiodo, tra il
’58 e il ’61 andò in Venezuela per
coltivare nuovi progetti. Tornato in
Europa, gli fu affidata dall’Agip
la stazione di benzina nei pressi di
quel Velodromo di Oerlikon, nel
quale in anni precedenti aveva,
ripetutamente, raccolto allori.
Incappò anche in malattie. Il
6 novembre 1964 - quando non
aveva ancora quarant’anni - in
auto si schiantò contro un albero
e morì. Per molti commentatori
non fu una disgrazia accidentale. Uno dei big del ciclismo
“epico” da allora cominciò ad
essere ricordato come il “James
Dean della bici”.
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18
/ Ottobre 2010
Amarcord Carosello
i segni dei tempi
di Nazzareno Capodicasa
Se lo dice la televisione...
C’era una volta
la televisione
Ieri, programmi più seri e misurati
Oggi prevalgono volgarità ed insulti
L’inizio della storia della
televisione può essere fatto
risalire al 25 marzo 1925,
quando l’ingegnere scozzese
John Logie Baird ne diede
dimostrazione nel centro
commerciale Selfridges di Londra.
Il termine “televisione” venne
stabilito il 10 marzo 1947
durante la conferenza mondiale
delle radiocomunicazioni di
Atlantic City dai delegati di 60
nazioni che, altresì, stabilirono di
adottare come abbreviazione la
sigla “TV” . (Fonte Wikipedia)
“L’
ha detto la televisione!”, si esclamava
trenta-quarant’anni
fa. E tutti pensavamo: “Ma
allora è vero”. Ora, più prudentemente si domanda: “Quale
canale?”. È proprio così, siamo lontanissimi dai primi
anni, quando entrò nelle nostre case
il piccolo
ha detto la tv
schermo.
Una graduale e,
lì per lì,
on è più così
impercettibile
e
lenta trasformazione ha modificato tante, forse troppe
cose.
Nel passato si mettevano in
“L’
!”
“Ma allora è vero”
N
onda film, sceneggiati tratti
da opere classiche, spettacoli teatrali di scrittori celebri.
Ora si trasmette pubblicità
con intermezzi di spezzoni
di film. Cercava di educare,
insomma, la vecchia televisione. Ora “influenza”, rubandoci anima, cervello, cultura
e libertà.
Nei quiz televisivi c’era una
proporzione tra la difficoltà
della domanda e l’entità del
premio in palio. Adesso basta telefonare e rispondere
che il nome di Garibaldi era
Giuseppe e piovono dal cielo
qualche migliaio di euro.
Una volta le persone “parlavano”,
educatamente
e
una alla volta. Ora urlano,
sbraitano tutte insieme, si
interrompono a vicenda, si
insultano, sono sul punto di
venire alle mani. Invece di
affinare i comportamenti e
la sensibilità dei cittadini, ne
assecondano gli atteggiamenti
più triviali.
Prima, nei salotti televisivi,
si poteva dire: “Domani sarà
sabato”. Ai nostri giorni, da
quando è in vigore la par
condicio, occorre invitare altrettanti ospiti, per quanti
sono i giorni della settimana.
Ed ognuno sceglierà liberamente il giorno per il quale
nutre maggiore simpatia.
C’erano, una volta, le tribune politiche televisive. Con
un personaggio politico ed
una schiera di giornalisti,
i quali, a turno, ponevano
la domanda. Il politico rispondeva e tutti ascoltavano.
Adesso, nelle tribune politiche televisive, ci sono un
giornalista ed una schiera di
politici. Il giornalista prova
a fare la domanda e, ancor
prima che l’abbia terminata,
scoppia la gazzarra. Con volute interruzioni per impedire agli altri di esprimere le
proprie opinioni.
Ai tempi di Mike Bongiorno
in bianco e nero, c’erano le
vallette. Mute. Dopo decenni
dall’onda delle giuste rivendicazioni dei diritti femminili,
sono ancora mute. L’unica
novità sta nell’abbigliamento,
di cui sono quasi prive le
attuali vallette.
Prima, nello sventurato caso
di omicidi e tragedie, si dava
la notizia. Adesso, per “dovere d’informazione”, si dice
che la persona è stata dilaniata, crivellata di colpi d’arma
da fuoco, sbrindellata con un
Se non c’è video e tecnologia, non c’è vita!
Schiavi di un mondo digitale
“S
e non vedo, non credo”. Così il
diffidente apostolo Tommaso
si rivolse agli altri discepoli
che affermavano di aver visto il
Maestro risorto. Ai nostri giorni
non c’è notizia o informazione
che assuma il marchio di verità,
se non appare in video. Una volta
si immortalava il momento sulle
tele e successivamente sul rullino
fotografico. Ora nei video.
Qualche decennio fa, Renzo Arbore
e la sua band cantavano: “La vita
è tutto un quiz”. Non è più vero. La
vita è tutta un video e se non
c’è video, non c’è vita.
Ne siamo ormai diventati quasi
schiavi. Schiavi dell’immagine
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in movimento e schiavi della
tecnologia. Non sappiamo fare
più un’addizione senza calcolatrice,
non possiamo più vivere senza
parabole. Intese come antenne.
Quelle evangeliche le abbiamo
dimenticate da tempo, purtroppo!
E chi non ha un telefonino o
due, alzi un dito.
Veniamo considerati trogloditi senza
un televisore d’ultima generazione,
senza decoder per la tv satellitare.
E ci hanno convinto che la vita
è tutta lì dentro e se non è lì,
non è vita. La Tv è il nostro
oppio. Pensa per noi, sceglie per
noi, decide per noi. Al massimo
possiamo decidere l’ora: un’ora
prima, un’ora dopo, dopo la doccia,
prima o dopo i pasti.
Il cellulare è diventata la nostra
sveglia (ma non sa fare il caffè!)
ed è il termometro dei nostri
rapporti interpersonali. Quanto
squilla, non squilla mai, nessuno
mi vuole o tutti mi vogliono e
nessuno mi si piglia!
E via in auto col nostro fido
navigatore, in modalità autostrada
o in modalità notturna come
cala il tramonto, gira a destra,
no per di là, ma ti sei scordato
dove abiti? Ma attenzione. Se
dimenticate una “s” finale, invece
che al Santuario di Lourdes, vi
ritroverete a Lourde, uno sco-
nosciuto paesino dei Pirenei. Il
navigatore, infatti, non prevede
l’errore ortografico e non capisce
le vostre intenzioni.
Nazzareno Capodicasa
“
Rimpiangere la
televisione del passato?
No, ma quella di oggi
è sempre più urlata e
volgare, che ci ruba
l’anima e il cervello.
Pubblicità sempre più
invadente e cronaca nera
truce.
machete, decapitata o fatta a
pezzi. E la telecamera rincorre ogni particolare, ogni
minima traccia del fattaccio,
con ingrandimenti, zummate,
fermo-immagine sulle pozze
di sangue e su ogni truce
particolare.
Se poi gettiamo uno sguardo
alla pubblicità, il quadro è
quasi completo ed ancor più
sconfortante. Ve li ricordate
Calimero, il commissario calvo per non aver usato una
certa brillantina, quel simpatico topastro di nome Gigio?
Beh, siamo lontani anni luce!
Allusioni solleticanti istinti
mandrilleschi e volgarità per
colpire la fantasia e indurre
all’acquisto di cose inutili: è
questa la regola. E sembra
che scelgano, con scientifica crudeltà, le ore dei pasti, prima dei telegiornali. E
per “stuzzicare” l’appetito, ti
sbattono in faccia pannolini, dentiere, assorbenti per
giovani ed anziane, rimedi
per diarree e perdite organiche. Il loro modo per dirvi:
“Buon appetito!”
“Come per le altre grandi ondate
innovative che hanno costituito lo
spartiacque tra passato e futuro,
ondate portate da una nuova tecnologia, come la macchina a vapore o
l’elettricità, oggi le tecnologie digitali
costituiscono un potente motore d’innovazione e gli stessi progressi della
ricerca sarebbero impensabili senza
l’uso intensivo di queste tecnologie.”
(UfficioStudi del Ministro per l’Innovazionee leTecnologie)
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/ Ottobre 2010
Acque dolci...
si fa per dire
Il lago Trasimeno,
non vanta solo acque
pulite, perché, secondo
il rapporto di
Legambiente, il suo
territorio eccelle anche
nel trattamento dei
rifiuti e delle acque
reflue, nei consumi
idrici e nella tutela
del paesaggio delle
aree costiere e
dell’entroterra.
Laghi italiani sotto controllo
Garda, Maggiore, Como, Iseo i più inquinati per Legambiente
Unica eccezione il Trasimeno con le sue acque perfettamente a norma
L
a Goletta dei Laghi
di Legambiente, con
il contributo del
partner principale COOU
(Consorzio Obbligatorio
Oli Usati) e dei partner
tecnici Novamont, Posta
Pronta e Pirelli Ambiente, tra luglio e agosto di
quest’anno, ha monitorato
lo stato di salute dei più
importanti laghi italiani.
Le regioni coinvolte nella
ricerca sono sei (Lombardia, Veneto, Trentino Alto
Adige, Piemonte, Umbria
e Lazio), i laghi ispezionati sono, invece, otto
(Garda, Maggiore, Como,
Iseo, Bolsena, Trasimeno
Bracciano, Albano). I responsi sono stati, purtroppo, deludenti, tranne per
il lago Trasimeno, che è
l’unico ad aver superato
i test d’inquinamento a
pieni voti.
I campioni prelevati sono
stati, in tutto, 58 di cui
ben 46 sono risultati
aventi una concentrazione
di batteri fecali praticamente doppia di quella
consentita dalla legge,
mentre sono 38 le foci
dei fiumi e dei torrenti
considerate fuori norma.
Quest’ultimo dato conferma che, tra le cause d’inquinamento più rilevanti,
ci sono quelle da attribuire agli scarichi fognari
non depurati che vengono
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convogliati direttamente
hanno rivelato pericolose
negli affluenti dei laghi.
concentrazioni di coliforI laghi lombardi sono i
mi fecali e streptococchi.
più inquinati, sia il lago
Molto
probabilmente,
di Como (altrimenti detuna parte di responsabilito Lario) che quello di
tà di questo grave danno
Iseo si sono agambientale va
giudicati il priattribuita alla
mato negativo, In troppi
nuova
norinfatti,
sono
mativa sulla
stati
relegati scaricano
ba l ne a z ione ,
negli
ultimi nei laghi
molto
più
due posti della
permissiva, a
graduatoria. Ma, anche i
detta di Stefano Ciafani,
prelievi effettuati sul più
responsabile scientifico di
esteso specchio d’acqua
Legambiente, della preceitaliano, il lago di Gardente.
da, una volta analizzati,
Se la cavano meglio i
laghi laziali, che hanno
presentato una minore criticità rispetto allo
scorso anno. Il primo
posto, comunque, spetta
al lago Trasimeno, l’unico trovato a norma nei
campionamenti effettuati,
ma non solo per questo. Infatti, la valutazione
positiva riguarda anche
la mobilità, l’energia, il
trattamento dei rifiuti, i
consumi idrici, le acque
reflue, i servizi per i disabili, il suolo, la tutela
del paesaggio delle aree
costiere e dell’entroterra.
Nessun luogo è lontano
di Bruno Del Frate
200 milioni in fuga dalle loro terre nel 2050
L’“esodo ambientale”
L
e cause potrebbero essere
diverse, ma, nel 2050, il
mondo potrebbe trovarsi
di fronte ad un’emergenza enorme, quella dei cosiddetti “rifugiati climatici”. Secondo una
stima dell’Organizzazione per le
Migrazioni (Iom, International
organization for migration), la
cifra totale di questi rifugiati
potrebbe raggiungere i 200 milioni. Già, oggi, la stessa agenzia
internazionale, ha calcolato che
il fattore clima coinvolgerebbe
circa 50 milioni di individui in
movimento verso nuove sitemazioni territoriali.
Le cause prevalenti sono state
individuate nei disastri ambientali: uragani, alluvioni, desertificazioni, guerre per il controllo dell’acqua ed altro ancora.
Tutte cause, insomma, determinate, perlopiù, dal cambiamento climatico in atto, che,
rendendo invivibili alcune aree
del mondo, ne causa, necessariamente, lo spopolamento.
Uno spopolamento che assume, il più delle volte, le tinte
tragiche di un disperato esodo di massa verso territori già
abitati, dove l’integrazione dei
nuovi arrivati è, quasi sempre,
Non è facile stabilire quali sono i laghi e
i fiumi più inquinati del mondo, di certo, quelli che enumeriamo di seguito non
godono di buona salute. Il lago Vittoria
(Kenya, Tanzania e Uganda), ha un alto
tasso d’inquinamento dovuto, prevalentemente, agli scarichi fognari delle città che
sono situate lungo le sue sponde. Chi si
bagna in questo stupendo specchio d’acqua rischia di ammalarsi seriamente. Il
fiume indonesiano Citarum, raccoglie gli
scarichi di oltre 500 industrie e, molto
probabilmente, è il fiume più inquinato
del mondo. L’immondizia che galleggia
sulla sua superficie non permette alle
acque fluviali di essere visibili.
La regione dei Grandi Laghi, tra Stati
Uniti e Canada, ha un tasso di inquinamento in costante crescita, dovuto agli
scarichi industriali. Il Fiume Giallo, a
causa delle tante industrie chimiche, che
scaricano le proprie scorie lungo il suo
percorso, il più delle volte, per lunghi
tratti, si colora di rosso. Il fiume Matanza-Riachuela che attraversa Buenos Aires,
è stato definito “la più grande latrina del
mondo”, nelle sue acque vengono riversate ogni giorno oltre 325.000 tonnellate
di liquami. Il fiume italiano Sarno, è
considerato, da molte fonti, il più inquinato d’Europa. Il Sarno molto spesso
esonda e contamina i campi adiacenti,
mettendo così a grosso rischio la popolazione locale. Il lago Karachay, in Russia,
è contaminato da scorie radioattive provenienti dal deposito di Mayak. Il fiume indiano Yumana, affluente del fiume
Gange, è talmente invaso da escrementi
che la fauna ittica e la flora fluviale non
riescono a sopravvivere. Il terzo lago della
Cina, il Tai, ha assunto una colorazione
verde molto intensa dovuta alla proliferazione delle alghe, favorita dal massiccio
inquinamento di oltre 2800 industrie. In
Cina, l’altissimo inquinamento del fiume
Yangtze è ritenuto ormai irreversibile. Il
fiume australiano più inquinato è il King
River. Scorre in una regione mineraria,
si considera che, in circa 150 anni, sono
finite nel fiume ben 1,5 milioni di tonnellate di scarti di lavorazione. L’immenso
Mississippi, attraversa dieci stati americani, scaricando nel Golfo del Messico tonnellate e tonnellate di agenti inquinanti
e formando, così, una zona morta, dove
l’acqua è talmente compromessa da non
permettere una qualsiasi forma di vita.
(BDF)
osteggiata, anche con violenza,
dalle popolazioni residenti.
Anche l’Ipcc (Intergovernmental panel on climate
change), un team di autorevoli ricercatori che, su mandato
Onu, sta studiando i cambiamenti climatici, è arrivato
alla conclusione che i flussi
migratori, intensificatisi negli
ultimi tempi, sono uno degli
effetti più evidenti dell’impatto disatroso sulle popolazioni
provocato dal surriscaldamento
della terra. Il clima, dunque,
è ritenuto dallo stesso gruppo
di studiosi “uno dei fattori più
importanti nel processo decisionale che porta allo spostamento di intere comunità”.
Secondo il rapporto della IOM,
attualmente, assommerebbero
a 192 milioni le persone, pari
a circa il 3% della popolazione
mondiale, che hanno abbandonato il loro luogo di nascita
alla ricerca di nuovi spazi di
sopravvivenza.
Quattro, infine, sono i punti
principali, indicati dalla IOM,
per liberare questi “prigionieri” del clima: riconoscimento ufficiale, da parte della
comunità internazionale, del
problema, politiche contro la
vulnerabilità,
mantenimento
alto del livello della ricerca
e aiuti consistenti ai Paesi in
via di sviluppo per contrastare
gli effetti del clima, partendo
dall’emergenza acqua e, di conseguenza, rendere possibile la
coltivazione delle terre abbandonate.
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20
/ Ottobre 2010
SottoVoce
“Hai tenuto nascoste
queste cose ai sapienti e
le hai rivelate ai piccoli”
I
Assisi, Basilica
Patriarcale
di San Francesco.
Sono milioni i pellegrini
che, ogni anno, si
recano sulla tomba
del Santo per pregare,
lasciandosi catturare dalla
straordinaria spiritualità
cristiana che qui regna
sovrana.
Lo “scrigno” di Francesco
Due magnifiche chiese sovrapposte e una cripta dove è sepolto il Santo
Un “luogo sacro” che conserva in sé tesori d’arte incomparabili
di Fratemarco
L
a Basilica Patriarcale di
San Francesco d’Assisi,
formata da due chiese
sovrapposte, costituisce, nel
suo insieme,
un singolare
monumento di pietra lavorata
ad arte: la Basilica Inferiore
secondo lo stile romanico,
mentre quella Superiore secondo gli stilemi del gotico.
Folle di pellegrini, da secoli,
arrivano ad Assisi per pregare sulla tomba del Santo con
immutata fede: un tributo
d’amore e di religiosità verso
chi è stato
definito l’altro Cristo
imbolo
ed è uno
dei
santi
di pace
più celebrauniversale
ti ed amati
della
Cristianità. Una volta lì, i pellegrini rimangono incantati non
solo dalle superbe architetture
delle due basiliche, ma, anche, dai capolavori contenuti
all’interno, di indubbia rilevanza artistica. Vi si possono
ammirare opere di Giotto, Cimabue, Dono Doni, Simone
Martini, Andrea da Bologna,
Pietro Lorenzetti ed altri maestri, alcuni rimasti anonimi.
La Basilica Inferiore fu voluta da Gregorio IX, due anni
dopo la morte del Santo (4
ottobre 1926). Il Papa affidò la direzione dei lavori a
Frate Elia da Cortona, Ministro Generale dell’Ordine dei
Frati Minori (1232-39). Il 17
luglio 1228, subito dopo la
canonizzazione di Francesco,
il Santo Padre pose la prima
pietra della chiesa sepolcrale e
dell’annesso Sacro Convento.
Alla Basilica Inferiore, scavata
nella viva roccia e completata
S
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nel 1230, si accede da piazza
San Francesco. Al suo interno, soprattutto nelle cappelle
laterali, trovano alloggio alcune delle reliquie del Santo.
Sotto l’Altare Maggiore, il 12
dicembre del 1818 furono ritrovate le spoglie mortali di
san Francesco. L’attuale sistemazione della cripta venne
realizzata successivamente. La
tomba si presenta come semplice urna di pietra sgrossata
ed è internata nel pilastro
centrale che sostiene l’altare.
Una griglia di ferro la protegge ed è la stessa che vi era
in origine.
All’interno della Basilica Inferiore, dedicata a san Francesco, le quattro vele della
volta sopra l’Altare Maggiore,
sono state per secoli attribuite a Giotto; oggi è invece
dalle celle
diffusa l’opinione che l’autore
sia stato un suo seguace, non
meglio identificato. Fra i cicli
di affreschi più importanti ci
sono quelli di Simone Martini.
Ancora più ricca di tesori
d’arte è la Basilica Superiore,
ultimata nel 1236. Cimabue
affrescò nell’abside il ciclo
della «Storia di Maria» e nel
braccio di destra i «Fatti della
vita di san Pietro». Ma l’opera
che, normalmente, più colpisce i visitatori è il grande
ciclo dei 28 affreschi con i
quali Giotto narrò la vita di
san Francesco. La consacrazione degli altari delle due
chiese, ad opera di Innocenzo
IV, risale al 1253.
Per ciò che riguarda l’area
conventuale, c’è da dire che
le prime celle furono ricavate
nella viva roccia. Il nucleo
originario del convento viene
detto Palazzo papale o gregoriano, fu portato a termine
intorno al 1239.
Ma quale intimo significato
risiede in questo singolare
Santuario? Nulla di più di
ciò che frate Elia e Gregorio
IX avevano concepito nel progettarlo: un santuario ad imitazione del Santo Sepolcro di
Gesù Cristo a Gerusalemme,
che contenesse degnamente le
spoglie di san Francesco, altro Cristo.
La Basilica è stata riconosciuta dall’Unesco patrimonio
dell’umanità ed è sempre
stata considerata patria dello
spirito e simbolo di pace non
solo da tutto il mondo cristiano.
di Teobaldo Ricci
Logica dell’impossibile
Q
uello che, nell’ambito biblico, diversifica Gesù da
tutti i profeti e, nell’ambito di tutte le religioni, lo rende
diverso da ciascuna di esse, sta
nel fatto che ogni altra forma
di culto mette sempre al centro
qualcuno o qualcosa, mentre egli,
come valore primario di culto,
mette se stesso. Tutto il resto:
dottrina, riti e morale sono di
ordine riflesso, tanto che alla domanda rivolta da un Rabbi ebreo
a Benedetto XVI su che cosa
Gesù abbia aggiunto alla legge
mosaica, la risposta è stata che
Egli ha messo, come valore essenziale, se stesso! E come tale Gesù
vuole essere identificato. A questo fine domanda che cosa la
gente pensa di Lui, e quando
gli rispondono che è considerato
uno dei tanti profeti, si sente,
completamente, incompreso e
chiede agli intimi se hanno una
risposta diversa, conducendoli a
identificarlo come Figlio di Dio
della natura stessa del Padre, di
cui è Figlio e senza il quale Dio
non sarebbe Padre, qualifica essenziale alla stessa sua natura
divina. Ma a questa sconcertante affermazione che lo innalza
a livelli mai prima immaginati
dal pensiero umano ne segue, a
completamento della sua figura,
n quel tempo, Gesù disse: “Ti benedico,
o Padre, Signore del cielo e della terra,
perché hai tenuto nascoste queste cose
ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate
ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto
a te. Tutto mi è stato dato dal Padre mio;
nessuno conosce il Figlio se non il Padre,
e nessuno conosce il Padre se non il Figlio
e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare.
Venite a me, voi tutti, che siete affaticati
e oppressi, e io vi ristorerò. Prendete il
mio giogo sopra di voi e imparate da me,
che sono mite e umile di cuore, e troverete
ristoro per le vostre anime. Il mio giogo,
infatti, è dolce e il mio carico leggero” (Mt
11,25-30).
San Francesco ha veramente realizzato il Vangelo che la liturgia ci
fa proclamare nella sua festa: ha
ricevuto la rivelazione di Gesù con
il cuore semplice di un bambino,
prendendo alla lettera tutte le Sue
parole.
Ascoltando il passo evangelico, sentì
rivolte a sé quelle parole, che diventarono la regola della sua vita. Ed
anche a quelli che lo seguirono egli
non voleva dare altra regola se non
le parole del Vangelo, perché per
lui tutto era contenuto nel rapporto
con Gesù, nel suo Amore.
Le stimmate che ricevette verso la
fine della sua vita sono proprio il
segno di questo intensissimo rapporto che lo identificava con Cristo.
Francesco fu sempre piccolo, volle
rimanere piccolo davanti a Dio e
non accettò neppure il sacerdozio
per rimanere un semplice fratello, il
più piccolo di tutti, per amore del
Signore.
Per lui si sono realizzate in pieno
le parole di Gesù: “Il mio giogo è dolce
e il mio carico leggero”. Quanta gioia
nell’anima di Francesco, povero di
tutto e ricco di tutto, che accoglieva tutte le creature con cuore di
fratello, che nell’Amore del Signore
sentiva dolci anche le pene!
Nazzareno Capodicasa
un’altra più imbarazzante della
prima, tutto il rovescio di essa,
e tale da suscitare incredulità
e proteste dagli stessi intimi
coi quali sta parlando. Questo
accade quando, appena riconosciuto come Figlio di Dio,
si dice incamminato verso un
tremendo fallimento con umiliazioni di ogni genere e morte
sulla croce. E questo non basta
ancora. Chi vuole seguirlo deve
accogliere questo totale sradicamento dal modo comune di
concepire l’esistenza umana:
“Poi, a tutti, diceva: ‘Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso,
prenda ogni giorno la sua croce e mi segua. Chi vuole salvare la propria vita,
la perderà, ma chi perderà la propria
vita per causa mia, la salverà’” (Lc
9,23-24). Questo l’inconcepibile
gioco col quale egli si presenta.
E, con la serie dei paradossi
non ancora conclusa, accadrà
poi che, nonostante queste in
apparenza inaccetatibli proposte,
sarà creduto e seguito, e quanto
più creduto e seguito tanto più
si rivelerà capace di dare successo all’umana esistenza come,
per fare un esempio, si vede
in Francesco di Assisi, concreta
dimostrazione come perdere la
propria vita per causa sua (di
Cristo) sarà un trovarla al di là
di ogni previsione.
E, infine, anche chi non accetta
Gesù come Figlio di Dio è,
non si sa come, impedito di
tacciarlo come irragionevole o
megalomane, anzi, quasi costretto a riconoscerlo meritevole di
sommo rispetto. Ultimo paradosso, questo, della serie sopra
elencata.
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/ Ottobre 2010
A tavola
La caprese
di Bruno Del Frate
Un allevamento di più di duemila anni
Mozzarella
di bufala
campana
A denominazione d’origine protetta
La caprese è un piatto tipico della tradizione mediterranea e costituisce una delle più gustose preparazioni che si possono ottenere
con la mozzarella di bufala campana. È facile da preparare: per
una persona, si taglia una mozzarella in tante fette spesse un
centimetro
circa, che
dall’isola
si dispongono, poi, in
di capri
un piatto
piano, altercon sapore
nandole con
altrettante fette di pomodoro dello stesso spessore. Infine, si condisce il tutto con olio extra vergine
d’oliva, foglie di basilico, pepe e
sale. Il basilico si può sostituire
con l’origano. A ben vedere, si
tratta di un pasto che, per i suoi
valori nutrizionali, può essere
considerato completo.
La caprese, prende il suo nome
dall’isola di Capri, dove è stata
inventata, ed è particolarmente
apprezzata durante la stagione
estiva.
(bdf)
L’
allevamento delle bufale in Campania e
zone limitrofe ha origine, molto probabilmente,
nel sesto secolo ad opera dei
Longobardi. C’è chi sostiene,
invece, che furono i Normanni, molti secoli dopo (XI
sec.), a trasferire alcune mandrie dalla Sicilia, dove erano
state portate dagli arabi, e
chi, infine, azzarda che fu,
addirittura, Annibale, nella
sua discesa nella nostra penisola, ad introdurre questa
specie animale, appartenente
alla famiglia dei bovidi, il cui
progenitore è il bufalo indiano (bos bubalus di Linneo).
Comunque sia, le fertili terre
campane e del basso Lazio
dispongono di un habitat
ideale per il tipo di allevamento in questione, vuoi anche per il fenomeno dell’impaludamento, iniziato attorno
al decimo secolo, che si è
protratto, espandendosi, fino
ai giorni nostri. La rilevanza
economica di un tale allevamento è incentrata tutta nella produzione del latte da cui
si ricava la famosa mozzarella
di bufala campana, prodotto
riconosciuto dalla Comunità Europea con il marchio
DOP (Denominazione d’Origine Protetta), limitatamente
ad alcuni territori della Campania, della Puglia e del basso Lazio. Un riconoscimento
più che meritato, se si pensa
che stiamo parlando di un
prodotto caseario inimitabile,
richiesto in tutto il mondo
per le sue caratteristiche organolettiche e nutrizionali
straordinarie.
Il termine mozzarella, derivato dal verbo mozzare col
significato di ridurre in pezzi, in uso da diversi secoli,
tanto che lo troviamo citato in uno dei sei volumi di
un’opera dedicata alla cucina
del cuoco di ben due Papi
(Paolo III e Pio V), Bartolomeo Scappi, pubblicati nel
1570. Mozza, da cui deriva,
in forma diminutiva, mozzarella è, invece, un termine che viene già utilizzato
dall’umanista e commerciante
fiorentino Giovanni di Paolo
Rucellai, in un documento
che risale al 1481. Il medico
e umanista senese Pietro Andrea Mattioli (1500-1578), su
una monumentale opera di
medicina e di erboristeria da
lui realizzata, dal lunghissimo
titolo, generalmente citata
con il nome di Commentarii, scrive: “...quello latte di
bufala di cui si fanno quelle
palle legate con giunchi che
si chiamano mozze e a Roma
provature...”.
La mozzarella, infatti, è un
formaggio fresco a pasta filata molle, che deperisce im-
scadenza. Certo, per apprezzarne tutta la bontà, sarebbe meglio mangiarla poche
ore dopo la lavorazione. Se è
vero che il freddo la mantiene, è vero pure che un po’
ne altera il gusto, tant’è che
gli esperti consigliano di metterla una mezz’ora fuori dal
frigo prima di servirla e, anche, di stemperarla in
acqua tiepida (30/35
gradi centigradi). Aler gustarla
tro suggerimento utile: bisogna osservare
bene la mozzarella
mangiarla fresca
quando si toglie dalla
confezione. Il colore
deve essere bianco
mediatamente se non rimane
lucente, porcellanato (simile
immersa nell’acqua di goveralla porcellana), come si usa
no (acqua di filatura, sale e
dire. La crosta, all’esterno,
siero acido diluito), per quenon deve risultare né viscisto veniva avvolta in un inda né scagliata, deve essere
carto fatto di giunchi e foglie
sottile, meno di un millimedi mirto o castagno e messa
tro di spessore, e distaccata
in anfore di terracotta. Un
dalla massa restante che, a
espediente che, non permetsua volta, deve presentarsi
tendo al liquido di uscire,
rotonda, priva di schiacciaassicurava un mantenimento
menti e avere una struttura
di due o tre giorni. Oggi,
a foglie sottili concentriche,
mantenuta a basse temperatuche tendono gradualmente a
re, si vende, soprattutto, conscomparire tanto più si va
fezionata in vaschette di plaverso l’interno. Al taglio, poi,
stica o cartoni con anima di
la mozzarella, deve presentarpvc o buste di plastica persi compatta e rilasciare gocce
fettamente sigillati, con tanto
di siero, segno inconfondibile
di numero di lotto e data di
di freschezza.
P
...
meglio
La qualità del latte e il ciclo produttivo, regolato in tutte le sue fasi, sono alla base del riconoscimento europeo DOP
Dal latte al formaggio a pasta molle apprezzato in tutto il mondo
C
on alcune brevi note, sicuramente non
esaustive, vorremmo mettere in evidenza
la complessità della lavorazione di un
formaggio come la mozzarella di bufala
campana che, almeno in apparenza, sembrerebbe semplice da produrre. In realtà
non è così, ma andiamo con ordine, partendo dalla materia prima.
Il latte intero di bufala (con un minimo di
grasso consentito del 7%), proveniente da animali iscritti nell’apposita anagrafe, deve essere
consegnato al caseificio, in contenitori adatti,
non oltre le sedici ore dalla mungitura e, subito
dopo, deve essere filtrato per eliminare ogni impurità e riscaldato ad una temperatura variante
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tra i 33°C e i 36°C. A questo punto, si passa
alla coagulazione del latte, che si deve ottenere utilizzando soltanto fermenti lattici
naturali, derivati da lavorazioni precedenti effettuate nella stessa
zona di produzione. Subito
dopo, si effettua la rottura della cagliata e inizia la
maturazione, sotto siero, che
si completa entro 5 ore circa. Al termine di
quest’ultima operazione, la cagliata, posta in
recipienti adatti che contengono acqua a 95°C,
viene ridotta a strisce, filata e, infine, mozzata,
convenientemente, in tanti pezzi delle dimensioni previste. Subito dopo, le mozzarelle vengono
poste in acqua fredda per alcuni minuti e, poi,
immerse nella salamoia o liquido di governo
prima di essere confezionate, come accennato in
precedenza. Se si producono mozzarelle affumicate, per mantenere il DOP, bisogna impiegare,
esclusivamente, procedimenti tradizionali di tipo
naturale e si deve aggiungere sulla confezione la
scritta “affumicata”. In questo senso, anche la
forma ha la sua importanza. Infatti, nel disciplinare comunitario sono ammesse, oltre alla classica forma tondeggiante, soltanto quelle tipiche
della zona di produzione tra cui la tradizionale
treccia composta manualmente, tanto bella da
vedere e buona da mangiare.
(BDF)
13/09/10 16:04
22
/ Ottobre 2010
L’angolo di Mitì
“Se getti via il pan secco
fai piangere Gesù”
Agrodolce
di Erasmo
Tempi duri
per i poveri
nonnetti
Un argomento scomodo, quello della cosiddetta terza età. In un’era,
come la nostra, dove l’essere umano riscuote considerazione finché è
homo oeconomicus: vali qualcosa,
finché produci.
Nonni e nonne, preziosi finché
autosufficienti. Come babysitter
e tuttofare. Ma alle prime difficoltà diventano improvvisamente
un peso. Che lo si ammetta o no,
esiste una sorta di rimozione collettiva rispetto alla vecchiaia.
Fra mille giustificazioni sociali e
personali, il Paese che nel mondo
è stato considerato, da sempre, emblema della famiglia patriarcale,
del legame di continuità e di reciproca assistenza di generazione in
generazione, ancora non si decide
a fare i conti, seriamente, con questa difficile, enorme realtà. Che
non può essere affrontata e risolta alla voce “badanti”. O, ancor
peggio, in quella di cronicari dai
nomi più o meno poetici, ma che
in realtà nascondono vergognose e
squallide situazioni di sfruttamento e violenza fisica e morale.
Nella parte più difficile e precaria della vita, quella in cui ci si
vorrebbe sentire più aggrappati
alle proprie radici, succede spesso
il contrario. Per motivi di lavoro o
per non aver noie o per altre ragioni, tutti hanno altro da fare e quasi nessuno può sacrificarsi, se non
economicamente e, ovviamente, al
risparmio. Per vedere famiglie al
completo spesso bisogna attendere
occasioni come matrimoni o funerali. E intanto i vecchi sono sempre
più soli.
Nell’era di Internet avanza la solitudine umana, le occasioni di
conoscersi sono tali solo in apparenza. E, simile a quella degli anziani, si aggiunge la solitudine dei
giovani, che non hanno il lavoro
e non possono contare sull’affetto
e sulla presenza della famiglia. La
prima e la terza età cominciano
a presentare qualche somiglianza.
Nel disagio sociale e nell’isolamento, nella naturale brutalità con
cui la compagnia esiste finché c’è
convenienza. Quando le persone
non fanno più comodo o, peggio,
hanno bisogno, si buttano via. Proprio come si fa con la spazzatura
nel Terzo Millennio: affidata a
contenitori ad hoc. Ma pur sempre
buttata.
000Frate_Ottobre2010.indd 22
A
studiare oggi la quotidiana
vita domestica delle nostre
nonne c’è da vergognarsi: siamo realmente una civiltà
sprecona e consumistica. Allora
non esisteva il minimo spreco;
qualunque cosa, prima di venire
buttata via, veniva riadattata, accomodata, aggiustata, rattoppata
e restaurata decine di volte.
Le scarpe andavano e venivano
dal calzolaio per almeno tre anni
per essere risuolate, ricucite, rafforzate, rappezzati i buchi sulla
suola con dischi di cuoio, cambiati i tacchi o fasciati con barrette di ferro. Oggi, se le nostre
scarpe si rompono, si gettan via,
anche perché è diventato quasi
impossibile rintracciare dei bravi
artigiani in grado di aggiustarle
senza dirci: “Guardi, dovrei risuolarle, rifare i tacchi, togliere le
ammaccature. Come costo non
miracolosamente. Ma guai a fare
i fichisecchi, rammendi troppo
spessi e duri: “I fichisecchi sono
una crudeltà inventata dalle mogli e dalle figlie per azzoppare
i poveri galantuomini della loro
famiglia!”, ripeteva il Babbo delle
nostre nonne quando, dopo una
giornata di lavoro, si sfilava un
paio di pedalini non aggiustati
a modo.
Ma era, soprattutto, in cucina
che l’arte economica aveva il
sopravvento. Se qualcosa andava male, le nonne conoscevano
mille trucchi per tentare di resuscitarlo: nel burro un po’ irrancidito infilavano una carota
cruda per tre, quattro ore; ma
se era decisamente rancido lo
rimpastavano con latte fresco risciacquandolo poi bene in acqua
fredda. Se rancido era l’olio, vi
univano trenta grammi di magnesia calcinata per
ogni litro; lasciavano
on si buttava via
riposare per due giorni e poi filtravano,
niente tutto
mentre al vino inacio quasi veniva recuperato dito, ma non ancora
aceto puro, aggiungene vale la pena: ne compri un
vano un po’ di succo di limone,
paio nuove”.
molto aglio e un bel pugno di
Lo stesso discorso valeva per il
origano, tramutandolo in un’ottivestiario: una delle prime cose
ma marinata per la carne.
che veniva insegnata, a casa e
Sprecare il cibo era sacrilegio
a scuola, alle nostre nonne, era
degno di punizione divina: “Se
la sublime arte del rammendo.
getti via il pan secco fai piangere
Per questo, una delle regole fonGesù, e quando morirai andrai
damentali della buona massaia
all’Inferno ove sarai costretta a
d’allora era “Chi l’ago non ci
raccogliere le briciole con le cimette, la borsa ci rimette”. Tutte
glia!”, era la frase minacciosa che
le donne di casa trascorrevano le
le sagge Mamme e Nonne di
serate a rammendare, soprattutto
allora ripetevano a figli e nipoti.
le calze, le cui voragini in punta
Perciò le donne diventavano, sin
o sui calcagni, infilate sull’uovo
dall’infanzia, maestre di riciclago palla di legno, scomparivano
gio culinario degli avanzi, seguen-
N
,
.
,
do l’accorto motto del “nulla si
spreca, nulla si distrugge, tutto
si ricrea”.
Avanzavano bistecche o arrosti?
Le nonne li sminuzzavano e li
tramutavano in polpette da infilare nei timballi di pasta al forno
o in polpettoni da mangiar freddi. Avanzava del bollito? Lo tagliavano in quadratini e lo riproponevano a tavola sotto forma
d’insalata con fagioli e cipolle
crude affettate; oppure in umido
con funghi o scalogno, o ancora tritato in frittata con erbette.
Le nonne che vivevano in riva
al mare riciclavano persino gli
avanzi e le teste dei pesci freschi,
buttandoli in pentola con poca
acqua, pomodori, aglio, sale e
aromi; fatti bollire, venivano passati due volte al setaccio e serviti
come brodetto bollente versato
su fette di pane raffermo.
E il pane avanzato veniva grattato e chiuso in vasetti di vetro assieme a foglie d’alloro; altrimenti
diventava la base del pancotto:
acqua salata bollente, tre cucchiai
d’olio, due spicchi d’aglio, pan
secco ridotto a tocchetti, una
presa d’origano e due cucchiai di
formaggio grattugiato. Creavano
il mitico brus: avanzi di grana,
tomma, asiago, gruviera o caciotta, croste comprese, venivano
tagliati a pezzetti e messi in un
vaso ermetico, coperti di cognac
o grappa. Ogni settimana il composto veniva mescolato con cura
e dopo trenta giorni si otteneva
una fantastica crema antifreddo
e ammazzamicrobi, forte e appetitosa, che veniva mangiata d’inverno spalmata su bollenti fette
di pane abbrustolito sul runfò o
nel camino.
Sicuri sul lavoro?
Ma quando mai!
Lusso e... lussi
“Robe come la 626 (la legge sulla sicurezza sul lavoro) sono un lusso che non
possiamo permetterci”. Forse pensava di
parlare tra amici il Ministro dell’Economia Tremonti. Era, infatti, sul palco della
Berghem Fest, il Festival della Lega che si
tiene nella bergamasca. O, magari, non
ha calibrato bene le parole (cosa rara per
lui), visto che all’indomani, il suo portavoce ha “interpretato” il suo pensiero.
Che dire? A parte il fatto che il Decreto
Legislativo 626/94 non c’e’ più, abrogato e sostituito dal Decreto Legislativo
81/2008, noto come Testo Unico per la
Sicurezza sul Lavoro, la “provocazione”
del Ministro stride con una realtà dei fatti
che parla di un aumento dei morti sul lavoro: più di mille lo scorso anno.
D’altronde, Tremonti sembra coerente con
le sue affermazioni. Tra i tagli effettuati
alla spesa pubblica
ci sono anche parte
dei fondi destinati
all’azione di prevenzione per la salute e
la sicurezza del lavoro. L’Istituto Superiore per la Prevenzione
e la Sicurezza del
Lavoro è stato inserito dalla manovra
finanziaria nell’elenL’unico lusso
co delle strutture da
è questa
chiudere, perché considerato dal Govercasta politica
no un “ente inutile”.
spendacciona
Erasmo è invece
e sprecona
convinto che l’unico
lusso che non ci dovremmo permettere sia questa casta politica spendacciona e sprecona, malandrina
ed incapace, arrogante e senza vergogna!
Erasmo
Piccolo mondo
Gli spilli di Erasmo
Badanti, barboni ed evasori
C’è chi prova, di tanto in tanto, a calcolare con approssimazione
la cifra enorme che i furbastri sottrarrebbero alle casse dello
Stato non dichiarando il dovuto. Nei soli primi cinque mesi
dell’anno in corso, la Guardia di Finanza ha fatto emergere ben
22 miliardi di euro di redditi non dichiarati. L’Agenzia delle
Entrate ha annunciato che inizierà la lotta all’evasione iniziando
da colf e badanti che lavorano in nero. Dopo aver scovato barche e Ferrari nascoste al fisco da costoro, passeranno ai redditi
dei barboni!
Caos politico
Il Presidente della Repubblica ha lanciato l’allarme sull’emergere
di “fenomeni di corruzione e di trame inquinanti, anche ad
opera di squallide consorterie”. “Un Paese senza classe dirigente…che sappia offrire alla nazione una visione degli obiettivi
condivisi e condivisibili”. Così Edoardo Patriarca, segretario del
Comitato Scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei
cattolici italiani. Ha detto bene Andreotti tempo fa: “Anche noi
mangiavamo, ma almeno a tavola sapevamo starci...”.
Nessuno mi può giudicare…
Se mi prosciogli o mi assolvi, sei un magistrato corretto che mi
hai reso giustizia. In caso contrario, non c’è che l’imbarazzo della
scelta degli epiteti, tra “toga rossa, komunista, eversore, psichica-
mente instabile e antropologicamente diverso dal resto della razza
umana, cancro da estirpare dal corpo della democrazia” e via dileggiando. E’ divenuto ormai un costante ritornello di molti dei
nostri politici. Ma è colpa dei giudici se costoro non sono capaci
di fare un passo senza infrangere almeno una decina di leggi?
Chiusi e diffidenti
Ridere? Si rischia di apparire matti. Tendere la mano significa
rischiare di impegnarsi, fare conoscere le proprie idee e i propri
sogni si rischia di essere respinti. Piangere poi, beh, il minimo
che si possa dire è che si è deboli. Non si spera più per non
rischiare delusioni. Sempre più chiusi in sé, gli italiani, non si
fidano più di nessuno. Si cammina a testa bassa, ognuno è
proiettato verso il proprio “particulare”, come già notava ai suoi
tempi Francesco Guicciardini.
“Grave, ma non seria”
Per dirla con Ennio Flaiano: “Altri Paesi hanno una loro verità.
Noi ne abbiamo infinite versioni”. Oppure: “La situazione politica in Italia è grave, ma non seria”. In effetti, la scarsa fiducia
nelle istituzioni, la trasgressione mitizzata e persino eretta a
sistema, l’egoismo pervasivo, sono pecche della convivenza civile
italiana. Che si sono andate aggravando, col rischio di soffocare
e, comunque, di sovrastare le numerose e vitali forze sane dell’associazionismo, del volontariato e delle famiglie.
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/ Ottobre 2010
Ricorrenze&Ritratti: Gianni Rodari
Il Lunario
Lo scrittore che accende
la fantasia dei bambini
D
oppie onoranze, quest’anno, per Gianni Rodari. Il 2010 coincide
con il novantesimo della nascita e con il trentesimo della scomparsa. Nacque il 23 ottobre 1920 a Omegna, sul Lago d’Orta,
figlio di un fornaio di nome Giuseppe e di Maddalena Aricocchi. Le
convinzioni anticlericali del padre non impedirono alla madre di iscrivere il piccolo, all’epoca decenne, nel Seminario cattolico di San Pietro
Martire di Seveso quando, rimasta vedova, dovette provvedere alla sua
educazione. Maturato nel corso degli studi un diverso orientamento, che
lo portò nel 1933 a preferire le Scuole Magistrali, fino al 1937 restò
legato all’Azione Cattolica, con l’incarico di presidente della Sezione
giovanile di Gavirate. Le sue prime prove come narratore apparvero
sul settimanale cattolico «L’azione giovanile» e «Luce», dove pubblicò
racconti ed impressioni. Monsignor Carlo Sonzini, sacerdote e giornalista
perseguitato dal Fascismo, fondatore del settimanale cattolico «Luce», fu
per Rodari l’ispiratore di nuovi orientamenti ideologici. Attratto dalle
teorie sociali e dalla visione del mondo di Karl Marx (ma senza scostarsi dalla solidarietà cristiana), aderì alla Resistenza optando per scelte
politiche precise, come quella di iscriversi al Partito Comunista Italiano.
Fiero del proprio impegno in campo sociale, nel dopoguerra si dedicò
al giornalismo, dapprima come direttore di «Ordine nuovo» e poi come
cronista e inviato speciale de «L’Unità». Quando nel 1958 entrò nella
Redazione di «Paese Sera», appagò una personale aspirazione: scrivere per
l’infanzia e dedicarsi, contemporaneamente, a un giornalismo politico
fuori dalle logiche di partito. Con le edizioni Einaudi ottenne buoni
esiti negli anni immediatamente successivi, e un prestigioso riscontro
lo conseguì nel 1970, aggiudicandosi il Premio Internazionale Andersen
per la letteratura dell’infanzia. Aveva 60 anni quando il 14 aprile 1980,
morì dopo un intervento chirurgico. Ciò che resta della sua opera è
radicato nei ricordi di molti genitori e pedagogisti che ben conoscono
il valore educativo di Filastrocche in cielo e in terra, di Favole al telefono, di
Grammatica della fantasia. Solo per citare i titoli più noti.
Chi scoprì… cosa
Il Barometro - 1643
L
a scoperta fu il risultato
di una sperimentazione
compiuta nella prima
metà del Seicento, destinata a
chiarire le ragioni per cui l’acqua
convogliata nelle pompe aspiranti
non raggiungeva le altezze desiderate. Dopo una serie di prove di
laboratorio, Evangelista Torricelli
mise a punto uno strumento
costituito da un tubo lungo circa
un metro, all’interno del quale
versò del mercurio. Rovesciando
il tubo ed immergendone l’imboccatura in un vasca con altro
mercurio, constatò come il vuoto
creato nell’ampolla e la spinta
esercitata dal basso dall’elemento chimico determinassero
una stabilizzazione del livello,
consentendo la misurazione della
pressione su una scala graduata.
“Tubo di Torricelli” o “tubo da
vuoto di Torricelli” fu il nome
assegnato all’ingegnoso strumento. Il suo impiego fu di grande
utilità per dedurre l’altitudine di
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un luogo geografico rispetto al
livello del mare; o per azzardare
una previsione delle condizioni
atmosferiche. Su principî ben
diversi si basano i successivi
perfezionamenti. Il barometro
metallico aneoroide, formato
da una capsula, in condizioni
di vuoto assoluto, portò alle
rilevazioni sul valore relativo
della pressione. Più preciso è il
barometro a sifone, che permette
il confronto fra due rami di
diversa lunghezza di un tubo di
vetro ad “U”. Per non parlare
dei recenti barometri a cella di
carico, dove un microprocessore
decodifica i segnali e li elabora
per una misurazione puntuale
della pressione atmosferica. Le
diverse soluzioni e i materiali
utilizzati hanno condizionato
l’adozione di un’unità di misura
convenzionale per lo strumento.
A lungo calcolata in millimetri
di mercurio (mmHg), poi in
Millibar (mb), oggi la pressione
si misura secondo la scala
introdotta dall’ettoPascal (hPa),
mutuato dal nome del celebre
matematico e pensatore francese
Blaise Pascal, che studiò ed
integrò il lavoro scientifico di
Evangelista Torricelli.
Modi di dire
Rendere pan per focaccia
U
n tempo esisteva il pane
pregiato, che necessitava
di una lievitazione lenta
e di una cottura controllata. Ed
esisteva la focaccia, preparata con
cereali poveri e cotta direttamente
sulla brace. La differenza fra
i due alimenti era sostanziale:
morbido e gustoso il primo,
perché impastato con farina di
frumento; coriaceo, stopposo, ma
meno deperibile il secondo, e
quindi adatto alle esigenze di
in bocca alla moglie di Zeppa la
risentita affermazione Madonna,
voi m’avete renduto pan per focaccia,
nel Canto XXXIII dell’Inferno,
Dante non ne mitiga il senso
cambiando… alimenti: I’ son Frate
Alberigo; / i’ son quel da le frutta del
mal orto, / che qui riprendo dattero
per figo./ Ma, non va trascurata
una diversa origine di questo
diffuso modo di dire. I viandanti
e pellegrini che in cammino si
nutrivano di focacce, talvolta
insaporendole con spezie
o intingendole nelle
zuppe di legumi alla
espressione si lega alle
mensa di generosi conantichissime usanze tadini, erano invitati in
cambio dell’ospitalità
della cottura del pane
a raccontare del loro
viaggio, riferendo di luoghi lontani.
pellegrini e viandanti. Nel linQuesto scambio di “cose” - da
guaggio comune rendere pan per
focaccia significa rispondere ad un
una parte il racconto e dall’altra
torto subito impiegando modalità
una nuova focaccia in controparuguali o più raffinate (nello
tita - spiegherebbe la derivazione
specifico associate alla qualità del
dell’espressione. In questo caso,
pane) rispetto a quelle messe in
è il vicendevole baratto fra le
atto dal nostro avversario, che
persone a giustificarne l’uso sul
sono vili e da paragonare alla
piano linguistico: a fronte di
focaccia. I riferimenti letterari
qualcosa di immateriale e di
approssimativo come un resoconto
più accreditati si incontrano in
di viaggio (focaccia), si offre un
Boccaccio e in Dante. Se nel
prodotto concreto, gradevole ed
Decamerone Boccaccio ricorre
essenziale (pane).
alla precisa analogia, mettendo
L’
di Giuseppe Muscardini
Feste&Sagre
Il ritorno
dei frutti
dimenticati
C
astagne, noci, melagrani,
nespole e mele cotogne, le
abbiamo gustate in molte
occasioni e destano in noi solo una
voglia stagionale di riassaporare ciò
che porta l’autunno. Ma altri ci
paiono del tutto nuovi, mai sentiti.
O “dimenticati”, per l’appunto.
Senza il ricorso ad un’enciclopedia
con immagini a colori, le azzeruole,
le avellane, i corbezzoli, le corniole,
le mele da rosa, le pere volpine,
resteranno per noi frutti del tutto
ignoti. Sabato 16 e domenica 17
ottobre, a Casola Valsenio, potremo
identificarli dentro le ceste di vimini,
esposti su bancarelle dislocate nelle
vie del centro storico per la tradizionale Festa dei Frutti dimenticati.
Sarà il momento di gloria per
quei prodotti che i nostri nonni, in
campagna o sulle alture, portavano
in tavola subito dopo averli raccolti.
Frutti che spesso diventavano un
apprezzato regalo di Natale, offerto
con semplicità a bambini gioiosi. Il
recupero delle usanze antiche e la
riproposta di sapori diversi, danno
significato alla festa. Il programma
delle iniziative organizzate dalla
Pro Loco prevede anche un premio,
con cerimonia ufficiale, per chi avrà
preparato la miglior confettura.
I ristoranti del luogo serviranno
deliziose minestre, pietanze e dessert
cucinati o insaporiti con i prodotti
di un tempo, valorizzando così il
patrimonio culturale ed alimentare
della Valle del Senio.
Comune romagnolo di 2.800 abitanti
posto ai confini con la Toscana, Casola Valsenio si raggiunge agevolmente
dall’A14, uscita a Imola o Faenza;
proseguire per la Strada Provinciale
306 Casolana-Riolese. Si potrà
alloggiare nel centralissimo e prestigioso
Hotel Ristorante dell’Antica Corona,
Via Roma, 38 - 48010 Casola
Valsenio (RA), tel. 0546 73847; in
ambiente più appartato, a 4 chilometri si trova l’Azienda Agrituristica Ca’
Nova, Via Breta, 29 - 48010 Casola
Valsenio, tel. 0546 75177.
Informazioni: Ufficio Turistico
di Casola Valsenio, Via Roma,
50 - 48010 Casola Valsenio
(RA), tel. 0546 73033.
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/ Ottobre 2010
Nei campi
Continua la raccolta del mais. Si concima
il terreno con fertilizzanti complessi. Si prepara il terreno per la semina della bietola.
In alcune zone, si semina il grano, l’orzo,
l’avena e la segale. Si seminano i prati da
foraggio. Si prepara il terreno per mais e
soia.
Negli orti
Si preparano le aiuole per la semina pri-
maverile di ravanelli, lattughe, insalate e
piselli. Si seminano, per la raccolta autunnale, radicchi, spinaci, rape, piselli, agli,
cicorie, cavoli, lattughe, indivie e cipolle.
Si raccolgono sedani e cardi. Si controllano
patate e cipolle per eliminare quelle guaste
e gli eventuali getti. Si raccolgono le castagne. Si seminano menta, cerfoglio, origano
e timo. Si raccolgono mele e pere tardive. I
peschi vanno trattati contro bolla e cancro.
Nei terrazzi e giardini
Si piantano i rosai. Si tolgono le fioriture ai crisantemi lasciandone solo alcune. Si invasano le
piante che vanno protette durante l’inverno.
In cantina
Il mosto non dovrà fermentare a una temperatura più bassa di 18°C (ideale) e più alta di 25°C.
La cantina deve essere priva di cattivi odori e
immersa in una tranquillità assoluta.
Si travasa a luna calante.
Bene a sapersi
L’ipertensione arteriosa
Colpisce il 30% della popolazione italiana
L’
Tra i fornelli
Ingredienti per quattro persone:
4 fette di pane cotto a legna,
250 gr di fontina, 1 bicchiere di
birra chiara, 50 gr di burro, 2
cucchiaini di senape, paprica e
sale q.b.
Tagliare la fontina a fette
sottili e metterla in un tegame a fondere, a fuoco
lento, con la birra. Mescolare continuamente, finché
non si sarà ottenuto un
composto ben cremoso.
Incorporarvi, fuori dai fornelli, il sale, la paprica e
la senape. In una padella,
rosolare le fette di pane
con il burro; appena pronte, metterle in una pirofila
e versarvi sopra il composto. Gratinare al forno per
qualche minuto.
AVVISO AI LETTORI
In seguito al forte aumento
delle spese di spedizione, ci
vediamo costretti a chiedere
un contributo per l’invio di
ciascun pacco di libri pari
ad euro 4,00. Il servizio sarà
effettuato da un Corriere,
quindi, per consentire la
consegna del pacco, cortesemente Le chiediamo di utilizzare il nome apposto sul
citofono o campanello della
Sua abitazione.
ipertensione arteriosa (pressione alta) è causata dalla
pressione sanguigna più alta
del normale, sia nei suoi valori
minimi che massimi. Circa il 30
per cento della popolazione italiana, secondo dati statistici recenti,
soffre di ipertensione. Colpisce soprattutto gli anziani: l’80 per cento
dei soggetti affetti dalla patologia
oltrepassa i 65 anni di età, mentre,
nel restante 20 per cento, soltanto
un 5 per cento ha meno di 30
anni. Per il 95 per cento dei soggetti ipertesi la causa è sconosciuta
(ipertensione primitiva, idiopatica
o essenziale). Nel restante 5 per
cento l’ipertensione è ritenuta secondaria a un’altra patologia. In
genere si tratta di insufficienza renale cronica, feocromocitoma o stenosi dell’arteria renale. Il tabacco,
la scarsa attività fisica, l’abuso di
alcolici, di sale da cucina e di gras-
si di origine animale, favoriscono
l’ipertensione arteriosa.
L’ipertensione arteriosa in generale non si manifesta con sintomi
riconoscibili chiaramente (patologia
asintomatica). Palpitazioni, mal di
testa, vertigini, nervosismo, stanchezza, ronzii alle orecchie, invece,
possono costituire un segnale di
allarme. In questi casi, bisogna farsi controllare la pressione da un
medico o da un farmacista, con
l’apposito sfigmomanometro. Per la
diagnosi e l’eventuale terapia, rivolgersi sempre al medico di famiglia. Le conseguenze più pericolose
dell’ipertensione sono l’infarto e
l’ictus. Le principali categorie di
farmaci per contrastare la pressione
bassa sono: i diuretici, i beta bloccanti, gli Ace inibitori, gli inibitori
dell’angiotensina, i calcio antagonisti, gli alfa-bloccanti, i vasodilatatori. Possono essere assunti solo sotto
stretto controllo medico.
La pressione è considerata normale
quando la minima è inferiore a
80 mmHg e la massima è inferiore a 120 mmHg. Quando i valori
sono superiori a questi parametri
in modo costante è bene rivolgersi
al medico di famiglia.
Validi aiuti per ridurre la pressione arteriosa, sono un’alimentazione
adeguata e la sana abitudine di
passeggiare, a passo svelto, per almeno una mezz’ora al giorno.
Prezzo: Euro 25,00
Richiedere a:
E.F.I. - via Marco Polo, 1bis
06125 - Perugia
Tel. 075.506.93.42 - Fax 075.505.15.33
E-mail: [email protected]
Il primo di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle
ore 6,07 e tramonta intorno
alle 17,52.
Il 15 di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle
ore 6,23 e tramonta intorno
alle 17,29.
Il 31 di ottobre sorge, mediamente in Italia, intorno alle
ore 6,40 e tramonta intorno
alle 17,06.
Il 31 ottobre torna l’ora solare.
L’anello delle tradizioni
Quando natura cura
Un santo al mese
Madonna
Balsamina ghiandolosa
(Impatiens glandulifera)
Parole chiave: impazienza, ansietà, nervosismo.
Il tipo impatiens è attivo, riesce in tutto
ciò che fa e, non avendo fiducia nell’operato altrui, preferisce agire per suo conto.
Questo atteggiamento egocentrico lo porta
ad affrontare qualsiasi problema e contrarietà con forza, vivacità e concentrazione.
è un perfezionista, intransigente con se
stesso e gli altri. Non tollera la semplicioneria, la prolissità, l’incompetenza, la lentezza. Spesso, si fa prendere da attacchi di
collera. I suoi rimproveri sono proverbiali,
ma fa presto anche a dimenticare i motivi
che lo hanno indotto all’ira.
San Francesco d’Assisi
Si ricorda il 4 ottobre.
Dopo aver condotto vita allegra e dissipata,
all’età di 24 anni, rinuncia ad ogni ricchezza.
Nella chiesetta di San Damiano, nell’autunno del 1205, aveva udito la voce di Gesù
che gli diceva: “Va’ e ripara la mia Chiesa, che è
tutta in rovina”. Costituisce, con un gruppo di
amici, il primo nucleo di quello che è destinato a diventare l’Ordine dei Frati Minori.
Il 14 settembre 1224, sul monte della Verna
riceve il dono delle stimmate. Il 3 ottobre
del 1226, muore all’età di 44 anni presso la
Porziuncola di S. Maria degli Angeli. Viene
canonizzato due anni dopo la sua morte. Nel
1939 Pio XII lo proclama Patrono d’Italia.
del
Lume
La festa si svolge a Ponticello, frazione di
Santa Flavia (PA), il lunedì successivo alla
prima domenica di ottobre. Il quadro della
Madonna del Lume, che è nella Chiesa
Madre, viene prelevato da una folla di fedeli, che lo depongono su una barella detta
“vara”, e portato in processione fino allo
scalo, dove viene accolto dai fuochi d’artificio. La domenica successiva si svolge la
processione in mare sino alla cappella della
SS. Maria del Lume. Per l’occasione tutte
le barche e i pescherecci della marineria di
Porticello partecipano al corteo. Il quadro
si dice sia stato ritrovato abbandonato in
mare, presso Capo Zafferano.
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Questo numero è andato in stampa il 14 settembre del 2010.
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