Chiunque vede la differenza tra una coppia che
Transcript
Chiunque vede la differenza tra una coppia che
Appunti per intervento sulla petizione a favore delle famiglie di fatto CONSIGLIO COMUNALE DEL 27 MARZO 2015 FRANCESCO ONOFRI – PIATTAFORMA CIVICA La petizione del coordinamento “Nuove famiglie uguali diritti”, nella parte in cui riguarda le coppie eterosessuali “che, per scelta … non accedono al matrimonio, pur costituendo relazioni stabili e durature, basate sull’affetto reciproco di chi ne fa parte e sulla condivisione personale, sociale ed economica di ogni aspetto della vita” a mio parere ha un grado di meritevolezza minimo. Perché questi uomini e queste donne che convivono non vanno in Comune a sposarsi? Perché dovrebbe essere meritevole di tutela la loro “scelta di non accedere al matrimonio”, pur condividendone la sostanza giuridica e persino quella dei sentimenti, accompagnata però dalla sola rivendicazione dei diritti che dal matrimonio derivano e non dall’assunzione dei correlativi doveri? Chiunque vede la differenza tra una coppia che ha scelto di assumere precise responsabilità, e una coppia che pur potendo farlo non lo ha fatto. La molteplicità di realtà delle convivenze non può poi sminuire il significato proprio del modello di famiglia fondato sul matrimonio, come pensato dai padri costituenti e dal legislatore della riforma del codice civile del 1975. Le vocazioni di quel modello legale (l’unione di buone volontà; l’accoglienza, l’educazione e la formazione delle nuove generazioni; la tolleranza; lo spirito di sacrificio; l’assistenza reciproca; la stabilità; la fedeltà agli impegni presi) non sono certo esclusive. Anche gli individui o altre formazioni sociali o nuclei affettivi le possono avere, e spesso le possiedono in modo profondo. Tuttavia, è solo il modello della società naturale familiare che, davvero singolarmente, le possiede tutte. E non in base a costruzioni sociali o ideologiche, ma perché questo è il suo modo d’essere secondo natura, al punto che la famiglia e i suoi diritti sono semplicemente riconosciuti dalla Costituzione e non attribuiti o concessi. Nemmeno nel mondo omosessuale tra l’altro si afferma la totale equiparabilità “matrimoniale” tra coppie “etero” ed “omo”, come dimostrano le recenti prese di posizione di personalità omosessuali che hanno riconosciuto un valore a sé stante alla famiglia procreativa. Quale che sia la specificità delle unioni omosessuali, la disciplina che meglio si adegua ad essa non può essere modellata su una ben diversa realtà, quale è quella del matrimonio. Compito della politica è creare le condizioni migliori perché la società vada nella direzione della crescita “materiale e spirituale” (art. 4 della Costituzione). Apprestare la difesa del luogo che per definizione (in un giudizio ex ante, generale ed astratto, statistico, razionale, come dev’essere) è in grado di sviluppare meglio quelle vocazioni è un dovere ineludibile di qualunque buona politica. Che nell’istituzione matrimoniale, principale presidio della famiglia, ha dunque la sua principale alleata. I regolamenti comunali fanno differenze tra coppie uomo/donna che non hanno assunto impegni matrimoniali e coppie che li hanno assunti? Fanno bene a farne, perché chiunque capisce la differenza tra chi si impegna e chi – per mille motivi - non si vuole impegnare. I regolamenti comunali non riconoscono status giuridici a coppie omosessuali? E come potrebbero farlo senza una legge? Al contrario, è illogico che forme di convivenza non formalmente “impegnate”, oppure omosessuali, e perciò per definizione non procreative, oppure magari anche con composizioni numeriche variegate, siano equiparate al modello storicamente stabilizzato di un uomo e una donna che si uniscono, procreano, e danno vita a una piccola comunità proiettata verso il futuro accettando di sottostare ad impegni precisi anche verso la società. Consentire tale equiparazione significa un trascinamento della famiglia naturale, che preesiste all’ordinamento giuridico, nel novero generico e indistinto delle “formazioni sociali” non altrimenti protette, e comporta per la politica un evidente indebolimento della famiglia - la propria “buona alleata” - e quindi di una politica buona,. È evidente (come si legge nel bilancio del Comune) quanto la nostra città e il nostro paese abbiano bisogno di nuove generazioni, di sguardi coraggiosi verso il futuro, di slanci in avanti pieni di speranza: un’azione politica acquista maggior profondità se è sostenuta da una crescita demografica che la proietti verso il futuro, verso il senso profondo ed umano dell’uscire da se stessi con generosità, atteggiamento di cui le virtù del modello familiare matrimoniale sono il primo e più genuino esempio, che ci allontana il più possibile dalle visioni ristrette, ripiegate su si sé e di corto respiro di una società vecchia e che non vuole soggiacere ad impegni duraturi. Mi sfuggono le ragioni razionali e morali di un’ideologica furia iconoclasta, della volontà di destrutturare il matrimonio, quasi fosse una statua blasfema di un museo archeologico da demolire o sfregiare, non importa se preziosa e di straordinaria importanza sociale, oggi, da sempre e per sempre. È di un modello che stiamo parlando – com’è peraltro necessario quando si ragiona di norme giuridiche o di provvedimenti amministrativi generali - e non certo delle singole imperfette attuazioni di esso che la vita reale conosce. Ma proprio perché nella vita reale, spesso molto lontana dell’ideale, occorrono fatiche quotidiane talora molto pesanti per attuare quelle vocazioni così virtuose e meritorie, è giusto allora che l’ente pubblico mostri riconoscenza e sia vicino a chi le compie. Anche quello di cui discutiamo è un problema di “discriminazione”, non nel senso negativo del violare la pari dignità delle persone, ma nel senso originario positivo della parola, che deriva dal latino “discrimen”, a sua volta derivato dal verbo “discernere”. Ed è proprio il discernimento, il saper distinguere e mettere ordine ai problemi, ai bisogni e agli obiettivi, dando ad essi priorità in base alla loro consistenza e rilevanza, che porta a dire, in conformità al principio di uguaglianza sostanziale dettato dal secondo comma dall’art. 3 della Costituzione, che situazioni diverse devono essere oggetto di “discernimento” e quindi di un trattamento diverso. Non discernere od omologare situazioni differenti è quindi irragionevole ed insieme incostituzionale. Anche perché l’espressione di “famiglia di fatto” individua una molteplicità di realtà molto diverse tra loro. In coerenza con lo stesso principio di non omologazione e di uguaglianza sostanziale, anche la famiglia che si sforza di essere fedele al modello virtuoso è dunque portatrice di una sua importante “diversità”, perché persegue in modo simultaneo tutte le sue rilevanti vocazioni che altri invece, per scelta o per impossibilità fisica o di altro tipo, non sono in grado di attuare. Per questo la famiglia naturale ha meriti e bisogni speciali cui devono corrispondere premi ed interventi speciali, secondo l’antico precetto romano del “suum cuique tribuere”, del dare a ciascuno ciò che gli spetta e che si merita. Non si tratta di privilegi arbitrari, dunque, ma dell’applicazione di un basilare “iuris praeceptum”, di un principio fondante del nostro ordinamento. Non riconoscere i meriti della famiglia significa perciò discriminarla, omologare irrazionalmente la sua diversità e negare il suo valore peculiare, violando la Costituzione, la legge fondamentale, laica, civile del nostro paese. FO 2