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Per quanto riguarda il personale infermieristico, gli
studi hanno riguardato soprattutto le donne, segnalando
nelle turniste, oltre ai già citati disturbi e patologie, anche
maggiori irregolarità e disturbi mestruali e interferenze
sulla gravidanza. In questi ultimi anni alcuni studi epidemiologici hanno segnalato anche un aumentato rischio di
tumore alla mammella tra le infermiere (3 studi positivi su
4, nell’ambito di 9 studi totali, di cui 6 positivi), per cui recentemente la IARC ha classificato il “lavoro a turni che
causa alterazione dei ritmi circadiani” come “probabilmente cancerogeno per l’uomo” (Classe 2A) in base a: a)
limitata evidenza nell’uomo, b) sufficiente evidenza negli
esperimenti animali relativi alla modificazione/inversione
del ciclo luce/buio; c) plausibilità dei meccanismi fisio-patologici (Streif et al. 2007). Questi ultimi si riferiscono in
particolare alla perturbazione della fisiologica secrezione
di melatonina, conseguente all’esposizione notturna alla
luce e all’inversione del ritmo sonno/veglia, alla alterata regolazione dei geni “temporali” coinvolti nella promozione
dei tumori, e alla persistente deprivazione di sonno, che deprime le risposte immunologiche e sconvolge l’assetto ormonale. Un notevole limite degli studi epidemiologici
umani deriva soprattutto da una valutazione molto approssimativa dell’esposizione al lavoro a turni e notturno, basata essenzialmente su ricostruzioni a posteriori del lavoro
notturno svolto, o su limitate informazioni soggettive circa
l’“essere stato o meno coinvolto nel lavoro a turni ruotanti
comprendenti la notte” (Costa et al. 2010).
Riscontri effettuati in alcuni ospedali italiani
Disagi e disturbi segnalati dai lavoratori ospedalieri
In uno studio su un campione di 386 infermieri, 37.8%
uomini e 62.1% donne, di età compresa tra 21 a 60 anni,
aventi un’anzianità lavorativa tra 6 mesi e 38 anni presso
alcuni ospedali veneti (Costa et al. 1994b), pur dichiarandosi in generale soddisfatti del lavoro svolto, sia le donne
che gli uomini hanno dato in generale un giudizio meno favorevole sia nei riguardi del turno del mattino, in riferimento al carico di lavoro mentale, alla pressione del tempo
e al risveglio precoce, sia nei riguardi del turno di notte per
quanto riguarda il livello di sollecitazione fisica e di stress,
principalmente connesso alla necessità di mantenersi svegli e attenti e alla perturbazione dei normali ritmi biologici.
D’altro canto, i vantaggi riferiti al lavoro a turni sono
prevalentemente connessi con una maggior disponibilità
di tempo libero durante il giorno, che viene speso sia per
attività personali (hobby, sport, incontri sociali, altri lavori) sia per far fronte agli impegni domestici (soprattutto
per le donne). È interessante rilevare come vi sia una certa
percentuale di infermieri che ritiene vantaggioso il lavoro
a turni in quanto consente loro di svolgere meglio il proprio lavoro avendo una maggiore autonomia organizzativa, decisionale e operativa.
D’altro canto il lavoro a turni, nonostante la segnalata
maggior disponibilità di tempo libero, non facilita una
completa fruizione del tempo in termini sociali in quanto
gli orari sociali dei turnisti spesso non coincidono con
quelli della popolazione normale. Ciò ha un’importante
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influenza sui ruoli familiari e sociali delle persone. Infatti,
emergono delle notevoli differenze tra donne e uomini nel
bilancio globale tra vantaggi e svantaggi, avendo le donne
una valutazione più negativa rispetto agli uomini.
Il problema “sonno” è ovviamente il principale: i turnisti sono costretti a variare sensibilmente gli orari e la durata del sonno nel corso dei diversi turni. Nel turno del
Mattino debbono anticipare l’ora del risveglio riducendo
conseguentemente la durata del sonno, dato che non modificano sensibilmente l’ora di coricamento, nel turno di
Pomeriggio invece possono prolungare a piacimento il periodo di sonno svegliandosi molto più tardi. Dopo il turno
di Notte la maggior parte dei turnisti va a letto nelle 2-3
ore immediatamente successive e si alza attorno alle 1313.30 per pranzare con i familiari, dormendo mediamente
5 ore. Una minoranza (circa un terzo) compensa tale riduzione con un pisolino pomeridiano.
In relazione all’anzianità di lavoro sono emerse alcune
differenze significative tra le donne turniste, ove le lavoratrici più anziane hanno lamentato meno interferenze, verosimilmente in relazione a minori carichi familiari (figli
più autonomi) rispetto alle più giovani.
Le donne, in generale, hanno denunciato maggiori problemi di salute rispetto agli uomini, lamentando livelli più
elevati di stanchezza, ansia, disturbi gastrointestinali e
stress, e conseguentemente meno soddisfazione e “risorse” psico-fisiche.
Alcune caratteristiche personologiche e comportamentali hanno evidenziato una certa influenza sul livello di tolleranza del lavoro a turni. Ad es., i soggetti più “mattutini”
hanno presentato, rispetto ai soggetti più “serotini”, orari
più anticipati di coricamento e di risveglio nei giorni di riposo e meno disturbi del sonno e affaticamento nel turno
del mattino. D’altro canto i soggetti più “labili” nel vincere
la sonnolenza hanno lamentato maggiori disturbi del sonno
e stanchezza nei turni di mattino e di notte rispetto ai tipi
più “vigorosi”. Anche i soggetti con livelli più elevati d’ansia e di nevroticismo hanno manifestato maggiori indici di
disturbo (gastrointestinali, psichici, del sonno, fatica) e di
stress rispetto ai soggetti emotivamente più stabili.
Vi è inoltre da segnalare una differenza significativa
tra turnisti e giornalieri, e in particolare tra le donne, per
quanto riguarda la sensazione di avere meno “risorse”
psico-fisiche (intese come bilancio tra livello di soddisfazione e livello di stress) disponibili per far fronte alle situazioni di vita e di lavoro. Anche per quanto concerne
l’assenteismo per malattia si è riscontrato un suo progressivo, significativo incremento con l’anzianità di servizio
tra le donne turniste.
Non sono emerse differenze significative tra le turniste
e le giornaliere per quanto riguarda la regolarità o meno del
ciclo mestruale, pur se il 13.3% ha segnalato modificazioni
delle caratteristiche del ciclo mestruale dopo l’inizio del lavoro a turni, mentre si sono rilevate delle differenze significative per quanto riguarda la sindrome premestruale, ove
le turniste hanno lamentato maggiori problemi.
Il 13.0% delle lavoratrici turniste ed il 5.3% di quelle
giornaliere hanno riferito di aver avuto problemi di sterilità o difficoltà a concepire un figlio. Tra le prime, il
45.8% ha escluso che il lavoro a turni potesse essere causa
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di questi problemi mentre il 16.7% lo ha ritenuto responsabile assieme ad altre cause lavorative e il 4.2% la sola
causa determinante.
Condizioni lavorative e interferenze casa/lavoro nei
lavoratori ospedalieri turnisti
Un progressivo aumento dell’età si osserva anche nel
personale infermieristico, dovuto sia al progressivo invecchiamento della popolazione generale, sia allo slittamento
dell’età pensionabile e anche alla difficoltà di reclutamento
di giovani infermieri. Ciò indica la necessità di sostenere la
capacità di lavoro in tali operatori mediante il miglioramento delle condizioni di lavoro (e dei turni in particolare)
e il mantenimento di buone condizioni di salute.
Per valutare ciò abbiamo utilizzato il Work Ability Index (Tuomi et al. 1998) in 867 lavoratori della sanità (337
uomini, 530 donne), di età compresa tra 23 e 65 anni e anzianità di lavoro tra 0.5 e 48 anni (media 12.3). Essi erano
medici (20.7%), infermieri professionali (52.5%), biologi
(8.2%), operatori socio-sanitari (8.5%) e amministrativi
(10.2%) (Costa et al. 2005a,b).
In generale l’indice WAI è risultato “eccellente” nel
27.0%, “buono” nel 49.7%, “mediocre” nel 20.1% e “scadente” nel 3.2%. Le donne hanno presentato un indice leggermente inferiore rispetto agli uomini di pari età e con un
andamento progressivamente decrescente con l’avanzare
dell’età. Confrontando tale indice tra le diverse categorie
si è rilevato che le infermiere e le assistenti socio-sanitarie
presentavano indici significativamente più bassi rispetto
alle loro coetanee biologhe, medici e amministrative. Inoltre le donne turniste (medici, biologhe e infermiere) presentavano un più pronunciato decremento dell’indice con
l’avanzare dell’età rispetto alle loro colleghe giornaliere e,
ancor più, rispetto ai loro colleghi maschi.
In un ulteriore studio su 1842 lavoratori ospedalieri
(81.8% donne, 61.7% infermiere, 33.1% di età superiore a
45 anni, 46.1% turnisti con notte) impiegati in sette ospedali lombardi, oltre a confermare un Indice di Capacità di
Lavoro (WAI) significativamente inferiore nelle donne rispetto agli uomini, con una maggiore frequenza di indici
di capacità di lavoro di “scadente” e “mediocre” (18.7%
vs. 8.8%), si è rilevata una interazione significativa tra lavoro a turni e stress lavorativo, valutato mediante l’indice
di “Squilibrio sforzo-ricompensa” (Siegrist e Peter, 1996),
soprattutto in termini di maggiori disturbi del sonno (OR
1.74, CI95% 1.18-2.56), digestivi e fatica cronica, nonché
una minore soddisfazione lavorativa (Conway et al. 2008).
Tali condizioni sicuramente influiscono sulla motivazione e sula performance lavorativa e costituiscono condizioni favorenti l’intenzione di abbandonare il lavoro,
come è stato rilevato nello studio europeo NEXT che ha
riguardato 40000 infermiere di 10 stati europei (Hasselhorn et al. 2003).
In tale ambito, l’analisi condotta su 3329 infermiere
italiane su tutto il territorio nazionale (Camerino et al.
2008a), ha evidenziato come nelle infermiere di età inferiore a 45 anni (78.4% del totale) l’indice di capacità di lavoro costituisca un significativo predittore dell’intenzione
di lasciare il lavoro (OR=4.03; 95%CI: 1.84-8.83) o addirittura la professione (OR: 6.67; 95%CI: 2.78-15.99), an-
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che se poi ciò non viene messo in atto data la difficoltà a
trovare altre occupazioni soddisfacenti. Al contrario un
più basso indice di capacità di lavoro è risultato predittivo
di un effettiva volontà di abbandonare il lavoro (OR: 7.14;
95%CI: 1.15-44.13), nelle infermiere più anziane.
Per quanto riguarda le turniste in particolare, un altro
approfondimento su 7516 infermerie di 7 paesi europei, ha
evidenziato nelle turniste con lavoro permanente di notte
un indice di capacità di lavoro, aggiustato per età, significativamente peggiore rispetto alle colleghe con altri orari
di lavoro, a turni e non, associato a maggiori disturbi del
sonno e a una minore soddisfazione lavorativa, nonostante
un salario più soddisfacente (Camerino et al. 2008b).
Inoltre, su di un campione di 664 infermiere italiane, di
età compresa tra 20 e 62 anni e con anzianità lavorativa da
1 a 40 anni, si è verificato come il lavoro a turni con notti e
quello diurno a orari irregolari comportino un significativo
incremento dei conflitti casa/lavoro, che a loro volta risultano significativamente associati a esaurimento emotivo,
disturbi del sonno e presentismo (Camerino et al. 2010).
È chiaro che il grado di soddisfazione nei riguardi degli
orari di lavoro può rappresentare un indice anche di buon
bilancio tra gli impegni lavorativi e quelli familiari e quindi
sostenere una buona capacità di lavoro negli anni. Nello studio prospettico che ha riguardato 3174 infermiere turniste
su tre turni (età media 35.7 anni, 13% superiore a 45 anni,
81% sposate, 64% con figli) di sei paesi Europei, sempre
nell’ambito del progetto NEXT, coloro che denunciavano
un maggior soddisfazione nei riguardi degli orari di lavoro
in relazione sia al proprio benessere psico-fisico che alla
vita privata, hanno presentato anche un miglior indice di capacità di lavoro ad un anno di distanza: avere minori conflitti casa/lavoro è risultato il fattori più importante, seguito
da minori disturbi del sonno (Camerino et al. 2009).
Organizzazione dei sistemi di orario in turni
È necessario tenere in considerazione che gli schemi di
turnazione sono molteplici e possono costituire un diverso
rischio per la salute e la sicurezza in relazione alle loro diverse caratteristiche, soprattutto per quanto riguarda il numero di notti lavorate, la direzione (oraria/antioraria) e la
velocità della rotazione tra i diversi turni, la collocazione
e durata dei periodi di riposo.
In questi ultimi anni si è assistito ad un progressivo
passaggio dai turni a rotazione lenta o semi-lenta (quindicinale o settimanale) a turni a rotazione rapida (ogni 2, 3
o 4 giorni) in relazione al riscontro di minori interferenze
sul ritmo sonno/veglia e sullo spostamento di fase dei
ritmi circadiani. Vi è peraltro da segnalare che, soprattutto
nel comparto sanitario, viene usato frequentemente il
turno a rotazione ultrarapida “pomeriggio-mattino-notte”
con i turni di mattino e di notte nello stesso giorno. Esso è
preferito da molti lavoratori, e soprattutto lavoratrici, per
il più lungo periodo di tempo libero tra i cicli, utile per far
fronte agli impegni familiari. Tuttavia vi è da rilevare che,
a causa del breve intervallo tra i turni (8 ore) e dei due
turni di lavoro nello stesso giorno, si viene a determinare
una consistente deprivazione di sonno e un significativo
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aumento della fatica, con conseguente maggiore probabilità di errore e di infortunio nel corso del lavoro, e maggiore usura pisco-fisica nel lungo periodo.
È necessario quindi predisporre schemi di turno più rispettosi dell’integrità psico-fisica dei soggetti interessati,
cui conseguono ovvii riflessi positivi anche sulla prestazione lavorativa. Le principali raccomandazioni, che vengono fatte a tale riguardo possono essere riassunte nel seguente decalogo: 1) Ridurre il più possibile il lavoro notturno e adottare schemi di rotazione rapida; 2) Preferire la
rotazione dei turni in senso orario o in “ritardo di fase”
(Mattino/Pomeriggio/Notte) rispetto a quelli in senso antirorario o in anticipo di fase (Pomeriggio/Mattino/Notte); 3)
Interporre almeno 11 ore di intervallo tra un turno e l’altro
(previsto tra l’altro dal D.Lgs. 66/2003); 4) Non iniziare
troppo presto il turno del mattino; 5) Regolare la durata del
turno in base alla gravosità fisica e mentale del compito; 6)
Programmare il giorno o i giorni di riposo preferibilmente
dopo il turno di Notte; 7) Inserire pause nel corso del turno,
per i pasti ed eventuali brevi pisolini; 8) Adottare cicli di
turnazione non troppo lunghi e rotazioni il più possibile regolari; 9) Prevedere il maggior numero possibile di giorni
festivi o fine-settimana liberi; 10) Consentire la maggiore
flessibilità possibile per quanto riguarda gli scambi di turno
o variazioni di orario. Tali indicazioni dovrebbero costituire la base dei criteri per la valutazione del rischio connesso all’organizzazione degli schemi di turnazione.
In infermiere turniste impegnate in un sistema di turnazione a rotazione rapida (Costa et al. 1994b, 1997) abbiamo potuto constatare come un sistema a rotazione in
senso orario che preveda al massimo 2 notti consecutive
non alteri in modo significativo i normali ritmi circadiani
dell’organismo (temperatura, cortisolo e melatonina in
particolare), né causi una significativa diminuzione della
performance. Si è inoltre constatato che anche un prolungamento del turno notturno a 10 ore può essere accettabile in termini di efficienza lavorativa, purché il carico di
lavoro sia ridotto e siano introdotte adeguate pause di riposo. Ciò ha trovato conferma in un più basso livello di
escrezione delle catecolamine nella seconda metà dei
turni di notte. Inoltre, l’inizio ritardato alle ore 07.00 del
turno mattutino ha consentito una maggiore durata del
sonno (in media 6h28’ rispetto a 5h33’ dei turni con inizio alle 06.00).
Il D.Lgs. 66/2003 prevede anche la sorveglianza sanitaria biennale per lavoratori turnisti, che deve ovviamente
orientarsi al rilevamento di segni precoci di intolleranza,
che occorre affrontare mediante interventi sia sull’organizzazione del lavoro e dei turni, sia sulla persona (strategie di coping, stile di vita, terapia, riabilitazione).
È necessario inoltre tenere in considerazione che gli
effetti sulla salute da parte del lavoro a turni e/o notturno
possono essere influenzati anche dalla coesistenza di altri
fattori di rischio professionali, la cui natura ed intensità è
estremamente variabile (ad es. carico di lavoro fisico e/o
mentale, responsabilità, autonomia operativa). Inoltre
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molte patologie pre-esistenti o concomitanti possono condizionare una maggiore vulnerabilità rispetto al lavoro a
turni o in orari irregolari.
È importante quindi che una opportuna informazione e
formazione vada rivolta sia ai responsabili dell’organizzazione degli orari, in modo che possano rendersi conto dei
possibili effetti sfavorevoli e delle più opportune contromisure organizzative, sia ai lavoratori, per quanto riguarda
le possibili interferenze sulla salute e le più opportune
strategie personali da mettere in atto per prevenire o attenuare gli effetti negativi.
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Richiesta estratti: Giovanni Costa - Dipartimento di Medicina del Lavoro “Clinica del Lavoro L. Devoto”, Università di Milano; Fondazione
IRCCS “Ca’ Granda, Ospedale Maggiore Policlinico”, Via San Barnaba 8, 20122 Milano, Italy - E-mail: [email protected]