Ruggini del grano e antiche carestie

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Ruggini del grano e antiche carestie
Capitolo I
Ruggini del grano e antiche carestie
Sappiamo che i nostri antenati preistorici, fino a circa 10.000
anni prima di Cristo, si nutrirono prevalentemente di animali
selvaggi, che riuscivano a catturare con la caccia o con la pesca,
e di alimenti vegetali, rappresentati per lo più da radici carnose
e da frutti o semi, raccolti da piante spontanee. Di qui anche il
loro frequente nomadismo, volto alla costante ricerca di luoghi
più ricchi di selvaggina o di frutti eduli. Intorno a quell’epoca,
essi compresero che le piante utili potevano essere riprodotte
e moltiplicate attraverso i semi o altre parti delle stesse piante (tuberi, bulbi, talee, ecc.). L’uomo, così, da cacciatore-raccoglitore di ciò che trovava in natura, divenne gradualmente
coltivatore di piante per uso alimentare (divenne agricoltore)
e, in questa sua evoluzione, scoprì ben presto il grande valore
dei cereali, di cui curò e sviluppò la coltivazione. Ciò avvenne, secondo studi archeobotanici, primariamente nei territori
compresi fra i fiumi Tigri ed Eufrate, ossia in Mesopotamia
(parte dell’attuale Iraq), per diffondersi poi, man mano, nelle
regioni circostanti.
I primi cereali coltivati erano alquanto diversi dai frumenti
che oggi vanno per la maggiore, quali il grano tenero (Triticum
aestivum) e il grano duro (Triticum durum). Si trattava per lo più
di frumenti primitivi, simili al farro piccolo (Triticum monococcum), affiancati più tardi dal farro medio (Triticum dicoccum) e
dal farro grande (Triticum spelta); con rese produttive molto basse, circa un decimo di quelle dei moderni frumenti. Tuttavia la
loro coltivazione permise di soddisfare le esigenze alimentari di
gruppi di persone sempre più numerosi e di conservare scorte,
sotto forma di semi, per i periodi meno favorevoli, dando così
origine ai primi concentramenti di tipo urbano.
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Ai primi frumenti si aggiunsero ben presto l’orzo, l’avena,
la segale e il miglio (mancava, ovviamente, il mais, originario
del continente americano e diffuso in Europa e nel bacino del
Mediterraneo a partire dal 1600). Con le farine ottenute da quei
cereali si preparavano per lo più vari tipi di impasti o di focacce,
che venivano poi cotti in recipienti primitivi o scaldati al fuoco
su pietre. A partire dal 3000 a.C. gli antichi Egizi iniziarono a
sperimentare e a selezionare nuovi frumenti, ne migliorarono la
coltivazione e, pur ignorando l’esistenza dei lieviti, scoprirono il
pane lievitato, in quanto usavano preparare l’impasto il giorno
precedente a quello della cottura. Questa scoperta, di cui vennero
ben presto a conoscenza anche i popoli vicini, contribuì in modo
determinante a privilegiare la coltivazione del frumento rispetto
agli altri cereali. In tal modo, però, coltivando in prevalenza una
sola specie, si finì con l’esporre i futuri raccolti al rischio di pesanti decimazioni dovute a gravi malattie che potevano colpire quella
particolare coltura e che, a quel tempo, erano del tutto sconosciute1. E, in effetti, così avvenne e si ebbero, come conseguenza,
terribili carestie, di cui si ha notizia già nella Bibbia, fin dal primo
libro, quello della Genesi:
«Ora Giacobbe seppe che in Egitto c’era il grano; perciò disse ai
figli: “[…] andate laggiù e compratene per noi, perché possiamo
conservarci in vita e non morire”. Allora i fratelli di Giuseppe
scesero in Egitto per acquistare il frumento […] Arrivarono dunque i figli d’Israele per acquistare il grano, in mezzo ad altri che
pure erano venuti, perché nel paese di Canaan c’era la carestia».
(Genesi, 42, 1-5)
1. Oggi sappiamo bene che effettuare la monocoltura, ossia la coltivazione di un singolo cereale su ampie superfici e ripetutamente per parecchi anni, espone la stessa
coltura al pericolo di gravi attacchi da parte di patogeni o di parassiti animali che ad
essa sempre più si adattano e vi trovano un substrato particolarmente abbondante e
favorevole. Questo pericolo può essere evitato adottando la rotazione colturale, ossia
scegliendo di coltivare, nei vari anni, specie diverse su un dato terreno.
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Questo avveniva intorno al 1700 a.C.. Notizie di successive e frequenti carestie compaiono poi in molti altri scritti antichi. Fra
le cause che, a quei tempi, determinavano scarsi raccolti di frumento, sono certamente da annoverare anche i lunghi periodi di
siccità e le invasioni di cavallette; ma non v’è dubbio che più
frequentemente un ruolo determinante lo giocavano alcune fitopatie e, in particolare, quelle note sotto il nome di ruggini, le quali, in annate con condizioni climatiche ad esse favorevoli, erano
in grado di determinare il deperimento e la mancata produzione
delle coltivazioni di cereali, e in particolare di frumento, essendo
specie particolarmente sensibile, in aree anche molto vaste.
Queste malattie vengono ripetutamente citate, tra quelle particolarmente dannose per le piante coltivate, già da Teofrasto (discepolo di Aristotele, vissuto fra il 371 e il 287 a.C.) nelle sue due
opere, Storia delle piante e Cause delle piante, che sono considerate
i più importanti trattati di Botanica dell’antichità. Egli le cita già
con la stessa denominazione di ruggini che usiamo ancora oggi,
dovuta all’aspetto rugginoso che acquistano le foglie dei cereali colpiti da queste malattie. Teofrasto, inoltre, osserva che esse
si manifestano più frequentemente e più gravemente nei campi
situati in zone basse e umide (in effetti sappiamo oggi che sono
favorite dal clima caldo-umido); non ha però idea di quali possano essere le cause e certamente non pensa che possa trattarsi di
una malattia infettiva non per gli uomini, ovviamente, ma per le
piante: nel senso che può propagarsi da una pianta all’altra.
Le ruggini del grano tornano poi ad essere frequentemente
citate come avversità particolarmente temute (maxima segetum
pestis) da vari autori latini, quali Catone, Varrone, Virgilio e
Columella. Ne tratta in particolare anche Plinio il Vecchio (2379 d.C.) il quale, nella sua Naturalis Historia, fa pure riferimento
ai Robigalia, ossia alle celebrazioni liturgiche della Roma pagana
che si tenevano appositamente in aprile per placare la dea Robigo.
Questa non era altro che la personificazione della ruggine del grano, secondo l’uso, vigente a quei tempi, di elevare agli altari non
solo gli spiriti propizi (Marte, Minerva, Bacco, ecc.), ma anche
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quelli malvagi. Il vocabolo latino robigo significa infatti ruggine.
Dei Robigalia tratta anche Ovidio nel quarto libro dei Fasti, dove
egli descrive la cerimonia: questa consisteva sostanzialmente in
una processione di persone, tutte vestite di bianco, le quali portavano in dono animali da sacrificare alla dea in un bosco, sito fuori
Roma e ad essa dedicato.
Gravi carestie si verificarono ripetutamente anche nei secoli
seguenti. Limitandoci all’area di Milano, se ne possono ricordare
almeno due, rimaste famose. Quella del 536 d.C. che indusse il
vescovo Dazio a fare richiesta a Cassiodoro, prefetto del pretorio,
affinché disponesse l’invio a Milano di derrate dai pubblici granai
di Pavia e di Tortona per poter sfamare i poveri della città.
E poi quella del 1628-29, che determinò l’assalto ai forni e
gravi disordini, ben descritti dal Manzoni nei Promessi Sposi.
Certamente le carestie erano spesso la conseguenza di un contemporaneo manifestarsi di situazioni ed avvenimenti sfavorevoli,
quali, ad esempio, le difficoltà create all’arrivo di rifornimenti da
parte delle frequenti guerre locali o, peggio, le razzie di derrate
e la distruzioni dei raccolti provocate dalle invasioni di popoli
barbari. Tuttavia la causa scatenante, in molti casi, era proprio
costituita da improvvise e devastanti epidemie di ruggini del grano o dei cereali in genere, che finivano col decimare i raccolti e
compromettere la ricostituzione delle scorte nei granai.
Le ruggini del grano erano quindi ben conosciute, fin dall’antichità, nelle loro manifestazioni e nei danni che potevano provocare; ma, quanto alle cause, si brancolava nel buio assoluto, nonostante fiorissero le ipotesi più strane (fulmini, nebbie, influssi
astrali malefici, castighi voluti da una qualche divinità ostile come
la dea Robigo, ecc.). Fu solo nella seconda metà del 1600 che
alcuni studiosi particolarmente attenti, traendo anche vantaggio
dalla scoperta del microscopio ottico (avvenuta qualche decennio
prima, soprattutto per merito di Hook), cominciarono a rendersi
conto che diverse malattie delle piante, comprese le ruggini, risultavano associate alla presenza di funghi microscopici (micromiceti) su gli organi malati. Tuttavia opinione prevalente era che
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quei funghi non fossero la causa, bensì il prodotto della malattia,
la quale era ritenuta avere sempre un’origine interna all’organismo (teoria umorale), in analogia alle convinzioni allora imperanti nella medicina umana e in quella veterinaria; convinzioni che
derivavano dalla teoria della generazione spontanea, propugnata da
Aristotele e mantenutasi nel tempo fino ad allora.
Un primo grande contributo alla conoscenza delle cause delle ruggini del grano venne da due studiosi italiani, Felice Fontana
(1731-1803) e Giovanni Targioni Tozzetti (1712-1783), i quali
pubblicarono nello stesso anno, il 1767, all’insaputa l’uno dell’altro, le rispettive opere, che contengono ben chiara l’affermazione
dell’origine parassitaria delle suddette fitopatie. Le opere in questione, tra l’altro, manifestano già nel titolo l’importanza e l’attenzione che a quel tempo si attribuivano alle malattie delle piante e,
in particolare a quelle del grano, come frequenti cause di carestie.
Infatti Fontana, nato in provincia di Trento e divenuto professore
di Filosofia naturale a Pisa, nell’anno citato (1767), pubblica un
libro intitolato Osservazioni sopra la ruggine del grano; e Targioni
Tozzetti, nato a Firenze, dove svolge la sua opera d’insegnante e
di medico-naturalista alla corte del Granduca di Toscana, in quel
medesimo anno (1767), pubblica la sua opera più famosa, avente
per titolo Alimurgia, ossia del modo di rendere meno gravi le carestie.
Queste due pubblicazioni, che contengono indicazioni convincenti sull’origine parassitaria delle ruggini del grano, costituiscono una pietra miliare nel lungo percorso scientifico che portò
circa cent’anni dopo, in campo internazionale, al definitivo abbandono della teoria della generazione spontanea e alla scoperta
della natura infettiva di molte malattie, non solo delle piante, ma
anche degli animali e dell’uomo.
I preziosi contributi di Fontana e di Targioni Tozzetti, tuttavia,
non furono prontamente e universalmente apprezzati, tanto era
radicata, fra gli studiosi del tempo, la convinzione che le malattie
avessero sempre un’origine interna all’organismo. Ne è prova il
fatto che nel 1807, ossia quarant’anni dopo la pubblicazione dei
lavori dei due italiani precedentemente citati, Filippo Re, stimato
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professore delle università di Bologna e di Modena, pubblica un
Trattato teorico-pratico sulle malattie delle piante, nel quale distingue le fitopatie essenzialmente in due categorie:
• malattie steniche, ossia per eccesso di vigore;
• malattie asteniche, ossia per difetto di vigore;
Aggiunge poi che vi sono altre malattie che non rientrano nelle
categorie suddette e che egli indica come indeterminate, includendovi ruggini, carie e carboni. Pertanto, ancora nel 1807, Filippo
Re, come molti altri studiosi italiani e stranieri, non considera
l’esistenza di malattie parassitarie.
La diatriba fra sostenitori dell’origine “interna” e sostenitori
dell’origine parassitaria delle malattie delle piante ha finalmente termine nel 1858 con la pubblicazione del trattato del tedesco Kühn, intitolato Die Krankheiten der Kulturgewachsen, ihre
Ursachen und ihre Verhütung (ossia Le malattie delle piante coltivate, le loro cause e la relativa difesa), nel quale varie specie fungine vengono definitivamente considerate causa di specifiche malattie e, fra le malattie di origine parassitaria, vengono annoverate
anche le ruggini del grano.
Oggi, ovviamente, conosciamo bene le caratteristiche biologiche (sintomatologia, eziologia, epidemiologia) delle ruggini del
grano e conosciamo i mezzi e le tecniche per contrastarle; tanto
che ormai, nei paesi scientificamente ed economicamente evoluti,
le suddette fitopatie raramente sono causa di ingenti perdite di
raccolto, anche se vanno tenute sempre sotto controllo.
Oggi sappiamo che le ruggini del grano e di altri cereali sono
provocate da funghi del genere Puccinia, appartenente all’ordine
Uredinales. Si tratta di micromiceti che penetrano nei tessuti verdi
delle piante-ospiti (per lo più frumento, ma anche orzo, segale,
avena) attraverso gli stomi, vi si diffondono causando danni fisiologici di vario tipo e producono infine masse di spore (uredospore
e teleutospore) che erompono dall’epidermide delle foglie infette
e, trasportate dal vento, vanno ad infettare altre piante. Sono proprio queste masse di spore erompenti dalle lamine fogliari che,
con il loro colore variabile dal giallo al rosso-bruno e fino al nero,
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conferiscono l’aspetto rugginoso alle foglie infette; di qui il nome
di ruggini dato fin dall’antichità a queste malattie. L’infezione può
determinare, nei casi meno gravi, la produzione di cariossidi molto più piccole del normale o addirittura striminzite; mentre, nei
casi più gravi, determina la mancata formazione delle cariossidi
e rottura dei culmi. Il danno economico può quindi essere rilevante e può giungere alla perdita totale della produzione; anche
perché, quando il contenuto delle spighe è notevolmente ridotto
o qualitativamente scadente, non risulta conveniente procedere
alla mietitura.
Sono tre le più importanti ruggini del grano e vengono comunemente indicate con denominazioni che fanno riferimento
al colore delle rispettive spore; si distinguono quindi una ruggine
nera, una ruggine bruna e una ruggine gialla.
Delle tre, quella potenzialmente più dannosa, soprattutto nelle regioni a clima caldo, è certamente la ruggine nera, detta anche
ruggine lineare o ruggine dello stelo, causata da Puccinia graminis.
Questo fungo infatti, su varietà di frumento sensibili e in annate
ad esso favorevoli (primavere caldo-umide), può scatenare vere
e proprie epidemie con conseguente perdita di gran parte della
possibile produzione. È da ritenere che proprio questo fungo sia
stato la causa di ingenti perdite nel raccolto di cereali e delle conseguenti carestie verificatesi nell’antichità nell’area mediterranea.
La ruggine bruna, detta anche ruggine fogliare o ruggine puntiforme, causata da Puccinia recondita, è meno esigente in fatto di
temperatura e quindi la si ritrova frequentemente in molte zone
cerealicole italiane, anche nel centro-nord. I danni che arreca
sono però, solitamente, di entità non elevata.
La ruggine gialla o ruggine striata, infine, è causata da Puccinia
striiformis e si adatta molto bene anche ai climi freschi; di conseguenza è quella più temuta nelle aree cerealicole dell’Europa
centro-settentrionale, dove talvolta provoca danni consistenti.
Anche quando non erano tanto distruttive da provocare vere
e proprie carestie, le ruggini del grano costituivano comunque
una grave minaccia per le colture di frumento ed erano spesso
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in grado di condizionare le abitudini alimentari di vaste popolazioni. Si sa, ad esempio, che nel corso dei secoli XVII e XVIII,
mentre nelle aree settentrionali degli attuali Stati Uniti d’America, come New Hampshire, Massachusset, New York, si usava
mangiare pane fatto con farina di frumento, negli stati posti più a
sud, come Virginia, North Carolina, South Carolina, si mangiava
pane preparato prevalentemente con farina di mais in quanto, in
questi ultimi territori, il clima caldo-umido della stagione primaverile favoriva enormemente l’insorgere e il rapido dilagare di epidemie di ruggine del grano e la conseguente perdita del raccolto.
Si è detto che oggigiorno, almeno nei paesi scientificamente
ed economicamente progrediti, raramente le ruggini provocano
nelle colture di frumento quelle devastazioni che erano piuttosto
frequenti nei secoli passati. Questa migliorata situazione è dovuta
principalmente all’utilizzo di varietà resistenti all’attacco del fungo,
varietà che sono il risultato di continui studi di carattere fitopatologico e soprattutto genetico. A questo proposito è doveroso ricordare l’opera, pionieristica e di grande valore sul piano applicativo,
svolta dallo sperimentatore italiano Nazareno Strampelli, il quale
nella prima metà del secolo scorso, attraverso un lungo ed accurato
lavoro di miglioramento genetico, riuscì a costituire numerose nuove varietà di frumento, molto produttive e resistenti o altamente
tolleranti rispetto alle ruggini, dando così un prezioso contributo a
quella virtuosa campagna promozionale che nel periodo fascista divenne famosa sotto la denominazione di battaglia del grano e che determinò un deciso incremento della produzione granaria nazionale.
Ovviamente, le attività di ricerca e sperimentazione nel settore
del miglioramento genetico dei cereali proseguono tutt’oggi in
tutti i principali paesi produttori (Italia compresa). Ciò è reso necessario anche dal continuo mutare delle caratteristiche organolettiche e merceologiche richieste dalle industrie alimentari, ma
soprattutto dall’esigenza di contrastare, attraverso la costituzione
di nuove varietà più resistenti, nuovi attacchi, talvolta molto virulenti, che vengono continuamente portati alle colture cerealicole
dalle nuove razze dei patogeni che via via si selezionano in natura.
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Esempio recente è l’improvvisa comparsa, avvenuta nel 1999
in Uganda, di un nuovo ceppo di Puccinia graminis (identificato
appunto come razza Ug99) dotato di estrema virulenza e capace di superare le caratteristiche di resistenza alle ruggini di cui
sono dotate la gran parte delle varietà di frumento attualmente
coltivate nel mondo. Questa nuova variante di ruggine nera si
è rapidamente diffusa in vari paesi dell’Africa centro-orientale e
quindi, mediante le sue spore trasportate dal vento aldilà del Mar
Rosso, ha invaso anche vaste aree del vicino Oriente e dell’Asia
centro-meridionale producendo danni gravissimi. Il timore che
questo nuovo flagello possa aggredire anche le colture cerealicole
dell’Europa meridionale ha messo in allarme i principali centri
di ricerca europei che si occupano di cerealicoltura, comprese varie istituzioni scientifiche del nostro Paese, stimolando ulteriori
ricerche volte a costituire nuove varietà di frumento capaci di resistere ad eventuali attacchi da parte della razza di ruggine Ug99.
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