KABUL magazine - Bruno Latour

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KABUL magazine - Bruno Latour
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DIGITAL LIBRARY, 13 luglio 2016
Bruno Latour, King of Networks (1999)
Una lecture di Graham Harman su Bruno Latour tenuta nel 1999. Il ‘Sokal affair’ tra
Postmodernismo, antirealismo e filosofia come ‘infra-fisica’.
AUTORE: Graham Harman
INTRODUZIONE: Caterina Molteni
TRADUTTORE: Marco Negri
Bruno Latour, King of Networks (1999) è l'ultima lecture di Graham Harman prima
dell'inizio ufficiale della riflessione sulla Object-Oriented Philosophy. Solo cinque mesi dopo il suo
discorso alla DePaul University, il filosofo americano presenterà per la prima volta l'inizio della sua
riflessione, proprio di fronte al suo maestro Bruno Latour. In questo testo è percepibile l'entusiasmo
intellettuale di Harman nei confronti del sociologo francese, presentato al pubblico attraverso una
lettura guidata di We Have Never Been Modern, il breve testo che mostra i punti fondamentali
della riflessione di Latour con particolare interesse ai risvolti possibili per una nuova ontologia.
Graham Harman ci porta all'interno del clima accademico della fine degli anni '90, in cui la
riflessione sul postmoderno raggiunge note caricaturali con il celebre ‘caso Sokal’, in cui l’omonimo
fisico statunitense, attraverso un articolo parodico, sbeffeggiava quello che era diventato più un
modello letterario di scrittura scientifica che una reale produzione di ricerche interdisciplinari.
Mosso dalla forte critica di Alan Sokal nei confronti della contemporanea filosofia francese –
l'apice è raggiunto con la pubblicazione di Fashionable Nonsense: Postmodern Intellectuals'
Abuse of Science (1999) –, Graham Harman prende le difese di Latour, presentandolo come un
vero rivoluzionario del pensiero in grado di proporre una reale alternativa all'antirealismo e
all'olismo, riflettendo sulla filosofia come infra-fisica, e soprattutto riproponendo il concetto, che
diventerà chiave per la OOO, di ‘quasi-object’.
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La mia lettura dei libri di Latour iniziò nel febbraio del 1998, su consiglio di un mio
conoscente svizzero, Felix Stalder, a quel tempo un dottorando all’università di Toronto.
C’eravamo incontrati a Toronto il mese precedente quando avevo tenuto lì due lezioni sulla
relazione tra Heidegger e McLuhan. L’anno seguente qualcuno mi chiese di tenere un
discorso su Latour alla DePaul University, e finalmente ciò si concretizzò il 16 Aprile 1999.
Quel giorno il professore Bill Martin era presente e mi raccomandò che inviassi una copia
della lezione a Latour stesso. Così feci, e da allora è iniziata una corrispondenza gratificante
con Latour, durata negli anni a seguire.
Nella primavera del 1996, la rivista Social Text pubblicò l’infame articolo bufala
di Alan Sokal, «Transgressing the Boundaries: Toward a Transformative
Hermeneutics of Quantum Gravity»1 («Violare i confini: verso un’ermeneutica
trasformativa della gravità quantica», N. d. T.). Presentandosi come una critica
post-moderna delle scienze naturali, l’articolo è in realtà un ingegnoso cavallo di
Troia, mirato a deridere le posizioni che apparentemente difende. Qualunque
altra cosa si possa dire dell’articolo di Sokal, esso è, come lavoro di parodia, quasi
un capolavoro. In verità, bisogna considerarlo come il migliore scherzo
intellettuale del decennio, persino da coloro tra noi che ritrovano molti dei loro
autori più amati tra le sue vittime. Come si ricorderà, l’articolo causò
immediatamente un grande scalpore, con intere denunce che apparvero sulle
pagine del New York Times, di The Nation e di altri giornali di massa. Trovandomi
in quella primavera nella città accademica di Iowa City, fui colpito piacevolmente
dalle notizie e subito organizzai con un gruppo di cari amici degli incontri in una
taverna poco illuminata, dove ci godemmo un giro di bevute celebrative.2 A parte
la nostra apprensione circa l’auto-compiacimento pomposo di Sokal e i suoi
maldestri sermoni filosofici, egli era, nei nostri cuori, l’uomo del momento.
Tuttavia, questo stato di cose non durò a lungo. La brillante qualità da gioco da
poker dell’articolo sul Social Text presto si tramutò nella crociata pubblica
moralizzatrice di Sokal contro il relativismo, una non diversa, per molti versi, da
1
2
L’articolo di Sokal fu pubblicato in Social Text, 46/47 (Spring/Summer 1996), pp.217-252.
Il supposto incontro era un’invenzione, evocata durante la mia lecture solo per retorici fini di
intrattenimento.
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quelle che si trovano nelle facili colonne di giornale di George Will e Arianna
Huffington. Eravamo anche sottoposti allo spettacolo stancante di Sokal che
cercava di vendere le sue credenziali di sinistra contro quelle da rive gauche dei
postmodernisti, come un tedioso dibattito appena esploso tra figure pubbliche
(«Sono più radicale di quanto non lo sia tu»; «No, sono io il vero radicale e ho
insegnato in Centro America per dimostrarlo»). Ma, ciò che è peggio, la parodia
di Sokal serviva poi come base per una libresca insipida inchiesta della filosofia
francese, scritta insieme al fisico belga Jean Bricmont, dallo zotico titolo
Fashionable Nonsense3 («Cosa senza senso di moda», N. d. T.). Tra i suoi principali
obiettivi ci sono Lacan, Kristeva, Irigaray, Baudrillard, Deleuze/Guattari, Virilio,
Lyotard e Derrida. Questi nomi sono di certo familiari a chi studia oggi, ma tra i
capri-espiatori di Sokal c’era un altro nome che mi era meno familiare allora, ed è
ancora presumibilmente sconosciuto alla maggior parte di voi: Bruno Latour.
La mia lezione di oggi va presa non solo come un’indagine panoramica di base
del lavoro di Latour, ma come una panoramica entusiastica. Per numerose ragioni,
a me sembra che egli non sia così facilmente catalogabile assieme alle altre figure
della lista dei postmoderni, assumendo che quelle figure meritino o no di essere
in quella lista. Molto più giovane dei colleghi presi in considerazione, a me
sembra che Latour rappresenti una nuova fase della filosofia francese, che per
molti versi è l’opposto rispetto a quella più familiare. Sebbene questo non
significhi automaticamente che Latour riesca a battere i suoi colleghi più anziani,
non significa che lui e tutti loro possano essere fatti cadere con una singola
spada, come Sokal cerca pigramente di fare. Al contrario di quanto asserisce
Sokal, Latour non abbraccia la teoria anti-realista e olistica della realtà che si
trova spesso nel pensiero francese recente, ma egli critica severamente queste
posizioni fin dall’inizio. In modo ancor più rilevante, egli non propone che la
scienza sia socialmente costituita da relazioni di potere o da strategie linguistiche
metaforiche. Invece, l’universo di Latour è popolato da un’infinità di attori, umani
e non-umani. Il potere politico agisce su di noi ed anche la retorica del testo
agisce su di noi, ma allo stesso modo lo fanno i muri di cemento, gli iceberg, i
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Alan Sokal e Jean Bricmont, Fashionable Nonsense: Postmodern Intellectuals’ Abuse of Science (New York:
Picador, 1999).
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campi di tabacco e i serpenti velenosi. Prima di ogni distinzione tra animato e
inanimato, tra ‘naturalmente reale’ e ‘socialmente prodotto’, il mondo è un duello
di entità genuinamente discrete. In tal modo, la filosofia è trasformata in modo
sottile in ciò che Latour chiama una ‘teoria della rete degli attori’, un termine che
discuteremo ancora a breve. Frattanto, una parola finale sulla questione
periferica della burla di Social Text ci condurrà direttamente a una riflessione sulla
diffusissima cattiva interpretazione del lavoro di Latour nel nostro Paese (i.e.
negli Stati Uniti). Bisogna ammettere che l’articolo di Sokal fa tutto ciò che una
buona parodia dovrebbe fare. Mantiene uno sguardo severo per dozzine di
pagine piuttosto che inerpicarsi sul terreno delle facili risate. Evita sciocche
esagerazioni di ciò che mima e si limita a riprodurre vere manie stilistiche del
pensiero post-moderno; si astiene da ovvie battute finali e gioca completamente
la sua parte. Per questa mera ragione è riuscito a passare inosservato ai cani da
guardia di Social Text. Ma cosa, esattamente, l’articolo riesce a prendere in giro?
Perché io e i miei amici eravamo così desiderosi di salutarlo con whisky e
champagne?
Suggerirei che l’articolo di Sokal ha primariamente le seguenti virtù. Prima di
tutto, esso straccia il protocollo servile del discorso accademico, che sembra aver
raggiunto il suo culmine ironico nel contesto virtualmente liberante del post-
modernismo. Per esempio, lo stile dell’articolo di Sokal è, esso stesso, quasi
illeggibile grazie all’inclusione di 109 note a piè di pagina, la maggior parte delle
quali senza alcun senso. Una parodia senza note a piè di pagina sarebbe mai stata
accettata? Si giudichi da soli. Un altro aspetto umoristico della bufala, il breve
articolo di 33 pagine di Sokal riuscì in qualche modo a essere accettabile per
l’editore, a dispetto di una insopportabile bibliografia di 12 pagine. I criteri più
elementari di leggibilità e di stile chiaro sarebbero stati sufficienti a guadagnargli
un’immediata lettera di rifiuto. Inoltre, una lusinga rampante e un fare da
leccapiedi sono presenti in ogni paragrafo, mentre un gergo accademico
compiaciuto come ‘problematizzare’ e ‘relativizzare’ viene disseminato nelle
pagine della parodia con troppa facilità. Peggio di tutto, non una sola parola dura
è proferita contro una delle stelle del post-modernismo francese o americano.
Questo tipo di ossequiosità, che spesso si maschera come modestia o
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gratitudine, ha davvero l’effetto di rendere quelle alte posizioni accademiche
quasi intoccabili, dunque cementando l’esistenza continua di gruppi chiusi che
renderebbero orgogliosa una coreografica squadra di scuola secondaria. Invece
dell’atmosfera da Selvaggio Occidente che i pensieri originali necessitano al fine
di prosperare, l’articolo di Sokal si limita a replicare le manovre ciniche della
scacchiera sociale, come quando il redattore di Social Text Stanley Aronowitz
viene citato nell’epigrafe dell’articolo.
Tutto ciò è altamente divertente, e merita appieno il brindisi celebrativo che
gli abbiamo dedicato. Ma Sokal è stranamente convinto che ciò che vi è di
umoristico è il contenuto della sua parodia. Questo diventa più chiaro nel libro da
lui scritto con Bricmont, la cui tesi centrale è approssimativamente la seguente:
«I filosofi francesi pensano che non vi sia mondo esterno, ma ciò è senza senso.
La filosofia francese non è altro che un nonsense alla moda» (coloro i quali
pensano che stia facendo una caricatura dell’argomento di Sokal hanno solo
bisogno di guardare all’immagine della torre Eiffel sulla copertina). In breve, egli
attacca la filosofia francese non per il gergo datato e gli intrighi carrieristici
rampanti a cui ha dato luogo negli Stati Uniti: invece, egli vuole attaccare il suo
antirealismo. Ma vi sono due problemi con questa polemica. In primo luogo,
l’antirealismo è una posizione filosofica con difensori rispettabili già nell’antica
Grecia. Sebbene anch’io sia diventato sempre più contrario a questo aspetto della
filosofia contemporanea, essa difficilmente può essere catalogata come un
‘nonsenso’. Gli obiettivi di Sokal sono autori intelligenti che non dovrebbero
essere trattati come un’armata di pagliacci. In secondo luogo, e in modo ancora
più importante per noi oggi, Bruno Latour non è semplicemente un antirealista, e
ciò dovrebbe essere chiaro persino a partire da alcuni dei passaggi citati dallo
stesso Sokal. Questa breve discussione dell’incidente legato a Social Text va
inteso come un importante monito preliminare. Qualsiasi cosa uno possa udire
oggi o in futuro, non dovrebbe mai credere a qualcuno che gli dicesse che Latour
sostiene che ‘tutta la realtà è socialmente costruita’. Se questa visione vada poi
ascritta interamente o parzialmente agli altri pensatori francesi sulla lista di Sokal
è cosa che lascio a voi decidere. Ma non v’è possibilità che possa essere applicata
a Latour. Questa constatazione non richiede neppure qualche approccio
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obliquamente sottile ai suoi lavori, perché è affermata in modo così ovvio che può
essere messa in discussione solo da una lettura pigra e pregiudiziale dei suoi libri.
L’intento di ciò che segue ha due aspetti. Primo, voglio offrire un’introduzione
al lavoro di Latour per la maggior parte di questo uditorio pomeridiano che non è
ancora familiare con lui; tuttavia faccio ciò più come un tifoso che come un
esperto. In secondo luogo, voglio suggerire che vi è una traccia di futuro circa gli
scritti di Latour, e che questo nuovo modello di realtà dovrebbe essere
veementemente abbracciato da ognuno alla disperata ricerca di nuovi trends nel
pensiero continentale contemporaneo. In modo coerente, il tono di ciò che segue
sarà per metà un intervento per un libro e per metà un urlo ribelle. Seguendo la
presentazione e la sezione delle domande, sei invitato ad unirti a me per un altro
giro di brindisi alla taverna poco illuminata all’angolo di Racine e Montana.4
***
Bruno
Latour
è
professore
di
Sociologia
al
centro
di
Sociologia
dell’Innovazione della Ecole de Mines a Parigi. Quando gli si chiede di descrivere
l’elusiva disciplina sulla quale lavora egli spesso si riferisce ad essa come ‘studi
scientifici’, come distinti sia dalla storia della scienza o dalla filosofia della
scienza. Giovane alunno di Michel Serres, Latour è una stella ascendente nel
firmamento della sociologia e degli studi sull’informazione e ha iniziato a ricevere
una seria attenzione anche dai filosofi americani (la maggior parte di questi legati
alla tradizione analitica). Sulla base di alcune osservazioni fugaci e sulla sua
apparenza generale, giudicherei che egli non ha ancora cinquant’anni. Ad ogni
modo egli sta appena iniziando a entrare nel suo migliore periodo intellettuale ed
è dunque sicuramente una forza con la quale fare i conti nel secolo che si sta
aprendo. Davvero, data la sua pozione strategica tra pensiero analitico e
continentale, tra natura e tecnologia, scienza e linguaggio, mi fa piacere predire
che potrebbe essere la figura filosofica dominante il nostro panorama attorno al
4
Il riferimento è a Gallegher’s Grill e Tavern, le consuete dopo-lecture sale riunioni di facoltà e degli
studenti della DePaul proprio in quei giorni.
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2010.5 E tuttavia è solo di recente che il suo nome ha cominciato ad arrivare nelle
nostre vicinanze. È tale discrepanza che mi ha indotto a comporre la lezione di
oggi.
Forse dovrei iniziare con qualche parola circa l’orientamento generale di
Latour. Latour è uno scrittore coinvolgente, visibilmente ostile a figure
postmoderne di primo piano come Baudrillard e Lyotard, sebbene sembri avere
più simpatia per un pensatore quale Deleuze. È pieno di giustificato sdegno per le
monotone visioni di Heidegger sulla tecnologia e il ritiro dell’Essere, e mostra
forse persino maggiore impazienza con i lavori di Habermas. Ma sebbene capace
di brillanti affondi polemici, la personalità di Latour come autore è notoriamente
paziente ed erudita. Non è un incendiario contro i poteri in carica, ma qualcuno
che crede fermamente nel ruolo delle istituzioni accademiche e nei programmi di
ricerca collettivi, e nelle sue lezioni all’università Northwestern, la scorsa
primavera, ha dato l’impressione di essere una persona amichevole e trattabile.6
A parte alcuni auto-riferimenti occasionali ai tratti della sua personalità gallica, i
suoi lavori scritti e le sue presentazioni pubbliche hanno più del sentimento
informale americano che non dei pesanti e saccenti discorsi che uno è abituato a
sentire dalle stelle intellettuali dell’Europa. Meglio di tutto, egli è sicuramente il
più arguto filosofo che lavori oggi in ogni tradizione. Un’infinità di giochi e
caustiche analogie sono disseminate nei suoi lavori, molti reminiscenti dello
spirito umoristico di Deleuze.
Autore di numerosi articoli, nel comparto degli studi scientifici, Latour è
probabilmente meglio conosciuto per i suoi cinque libri, tutti disponibili in
inglese. Il 1979 vide la pubblicazione insieme all’autore Steve Woolgar di
Laboratory of Life («Laboratorio di Vita», N. d. T.) con un sottotitolo (The Social
Construction of Scientific Facts, «La costruzione sociale dei fatti scientifici», N. d.
T.) che può essere responsabile di molti fraintendimenti del suo lavoro in
America. Nel 1984, giunse la versione francese del libro che apparve quattro anni
5
Questa previsione era ovviamente davvero troppo ottimista.
6
Latour tenne conferenze alla Northwestern University a Evanston, nella periferia di Chicago nel maggio
1998. Non parlai con lui in quella occassione, nonostante la strana coincidenza di volare sullo stesso aereo da
Chicago a Parigi pochi giorni dopo. Lui stava semplicemente tornando a casa; io stavo andando lì come
turista per festeggiare il mio trentesimo compleanno.
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dopo in inglese, The Pasteurization of France («La Pastorizzazione della Francia»,
N. d. T.), un tentativo di sostituire l’interpretazione ‘geniale’ di Pasteur con una
analisi di tutti i vari oggetti e di tutte le forze che si mobilitarono così da rendere
possibile per le teorie e i vaccini di Pasteur di guadagnarsi l’accettazione; la
seconda parte di questo libro, Irreductions («Irriduzioni», N. d. T.), offre uno
stupefacente resoconto sistematico della posizione generale di Latour. Il suo
lavoro di svolta, Science in Action, fu pubblicato nel 1987; è questo particolare
volume che negli Stati Uniti è ritenuto il suo magnus opus, almeno fino ad ora,
sebbene io voglia manifestarmi in disaccordo con tale valutazione. Il manifesto di
140 pagine, We Have Never Been Modern («Non siamo mai stati moderni», N. d.
T.), uscito nel 1991, è il sommario più conciso del suo pensiero finora disponibile,
ed è il libro che raccomanderei, a chi si trova in questa sala, come un buon punto
di partenza. Il quinto libro di Latour, il colorato e anticonformistico Aramis, è
un’esplorazione letteraria della cancellazione del poco conosciuto sistema
Aramis. Una sostituzione completamente computerizzata per la metropolitana di
Parigi, consistente di macchine individuali identificabili che si muoverebbero
indipendentemente da ogni punto della città a ogni altro senza cambio. Questo
lavoro rivaleggia con le osservazioni sul fuoco di Francis Bacon, con la definizione
di Aristotele di buona fortuna e con il frammento di Leibniz ‘Drôle de Philosophie’
come il più divertente testo filosofico che mai abbia visto.
Oggi mi focalizzerò quasi esclusivamente su We Have Never Been Modern, il
quale non solo è convenientemente un lavoro breve, ma anche uno che è
probabilmente più utile per inquadrare le intuizioni specificamente filosofiche di
Latour. Bisogna ammettere dall’inizio che il risultato è una panoramica di Latour
in qualche modo inusuale. Molti di coloro i quali lo sostengono non condividono il
mio forte interesse per l’ontologia, ma sono ricercatori empirici che fanno uso dei
suoi metodi per descrivere specifici artefatti tecnologici. Per esempio, miei
colleghi in Canada e Inghilterra hanno usato il lavoro di Latour per esplorare le
ramificazioni della corrente elettrica. In principio, tale lavoro è applicabile a ogni
cosa che esiste, poiché persino i fiori, i sassi e le comete dovrebbero essere
considerate come attori. Si potrebbe sostenere che Latour è persino più
interessante come lettore di particolari oggetti che come teorico di oggetti in
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generale, data la sua famosa mobilitazione dei microbi di Pasteur e degli attori
basati sul silicone di Aramis. Sia come sia, è l’ontologia che mi interessa qui.
Coloro i quali vogliono farsi un’idea dei lavori più investigativamente concreti di
Latour sono pregati di consultare gli altri lavori citati sopra.
La domanda di apertura di We Have Never Been Modern concerne lo status di ciò
che Latour chiama realtà ‘ibrida’. Il mondo contemporaneo, egli osserva, è pieno
di tali ibridi. Un articolo di giornale sulla riduzione della fascia di ozono ha a che
fare da un lato con la realtà scientifica di questa crisi: il buco è misurabile e
apparentemente reale. Lo è? Gli amministratori delegati di alcune delle maggiori
società chimiche, sotto la pressione dei governi, stanno correndo ai ripari per
mettersi in regola con le nuove disposizioni contro i cloro-fluoro carboni. Ma
improvvisamente un bastone viene messo fra le ruote: i meteorologi e i
climatologi propongono che il cosiddetto riscaldamento globale è in realtà il
risultato di normali fluttuazioni planetarie, svincolate dall’attività umana. D’un
tratto la fascia di ozono sembra meno di un fatto obiettivamente fisico che il
luogo di una contesa di potere/conoscenza tra gruppi d’interesse in
competizione. È il riscaldamento globale qualcosa di reale o qualcosa di
meramente narrato? Questa è senza dubbio una domanda frivola poiché
profonde decisioni politiche dipendono dalla sua risposta. Come scrive Latour:
«Lo stesso articolo mischia reazioni chimiche e reazioni politiche. Un unico filo
lega le scienze più esoteriche e le più sordide politiche… il cielo più distante e
qualche fabbrica nei sobborghi di Lione, niente di ciò è commensurabile, e
tuttavia vi è, preso nella stessa storia».7 Come al solito, Latour offre tanti esempi
aggiuntivi quanti ne può, tanto nel nome del divertimento quanto della chiarezza.
Per esempio: «A pagina dodici [del giornale di oggi], il Papa, i vescovi francesi,
Monsanto, le Tube di Falloppio, e i fondamentalisti del Texas si raccolgono in una
strana [rete] attorno a un singolo contraccettivo».8 In nessun punto di questi
accoppiamenti è possibile indicare un termine che sia puramente naturale, poiché
il nostro accesso alle cose in sé non è mai diretto, la strada per ogni pezzo di
7
Bruno Latour, We Have Never Been Modern, p. 1. Transl. by Catherine Porter (Cambridge, MA: Harvard
University Press, 1993).
8
Ibid., p. 2.
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conoscenza è spesso il locus di una competizione retorica o di uno sforzo
retorico. Sulla base della stessa evidenza non v’è ragione in alcuna delle
connessioni che sarebbero semplicemente costruite o puramente politiche: al di
là di tutta la retorica o moriremo di cancro alla pelle o non moriremo. Questo non
ha nulla a che vedere con i tropi letterari o con la costruzione o la morte del
soggetto attraverso le macchinazioni del potere. Da un lato, vi sono Sokal e i suoi
cugini che insistono sulla realtà del reale e la natura secondaria degli effetti
sociali. Dall’altro lato, vi sono quelli alla moda più intelligenti di tutta l’obiettività,
che adottano una posizione instancabilmente critica per proteggersi dall’essere
ingannati da una nozione naïve di fatti bruti. Si dovrebbe notare che Latour
condanna entrambi questi gruppi per essere egualmente fuorviati.
Pieno di ibridi, il mondo è un nodo Gordiano. L’affermazione paradossale di
Latour circa la modernità è come segue. Da un lato, la modernità produce
accoppiamenti mostruosi di vari oggetti, congiunzioni così bizzarre nel nostro
tempo da far sì che la parola “surreale” sia divenuta parte del nostro linguaggio
quotidiano. Un giorno non così lontano abbiamo trovato l’editore Hustler Larry
Flint e il reverendo Jerry Falwell legati con la Costituzione degli Stati Uniti e con
alcuni cartoni pornografici. Oggi, a Praga e Budapest entra una macchina che
contiene anche un paio di bombardieri segreti dal Missouri, più alcuni monasteri
ortodossi, più la CNN, più il fantasma dell’impero Ottomano.9 Mescolando gli
oggetti in sempre più nuove e strane combinazioni, la modernità crea unioni
mostruose tra i più remoti oggetti sotto il sole. Ma il secondo aspetto della
modernità, del tutto opposto al primo, è la sua instancabile posizione critica. La
modernità non solo crea ibridi, ma assume anche il compito intellettuale di
purificarli, mettendo tra parentesi tutti i dogmi e le proprietà occulte per arrivare
a una teoria della natura in sé, o dando un’occhiata scettica verso tutte le
affermazioni scientifiche così da vederle come effetti di superficie di convenzioni
umane politiche o linguistiche.
In questo modo si taglia il nodo Gordiano. Sia che difendiamo la natura come
chiave della realtà sia che sosteniamo che la convenzione sociale è alla radice di
9
Il riferimento è al bombardamento NATO della Serbia durante la crisi del Kosovo del 1999, ancora in corso
al tempo di questa lecture.
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tutto. Ancora meglio, le strategie possono essere modellate in modo tale da
permetterci di passare avanti e indietro tra queste due posizioni tutte le volte che
ne abbiamo voglia. I liberali americani non hanno problemi a passare
dall’affermazione che l’omosessualità è genetica e che il crimine è ambientale,
mentre i conservatori commettono un’eguale ipocrisia nel dire che la povertà è
sempre esistita e sempre esisterà persino mentre chiedono il numero adeguato di
ingegneri sociali per monitorare parole oscene su Internet. In entrambi i casi noi
passiamo avanti e indietro tra due teorie esplicative mutualmente esclusive,
dichiarando che ogni oggetto e ogni evento è o naturalmente occorrente o
socialmente prodotto. Davvero noi oscilliamo tra l’uno e l’altro polo a crescente
velocità.
Ma Latour descrive il suo scopo filosofico come nientemeno che la rilegatura
del nodo Gordiano. Il mondo è in ogni caso una rete di opinioni, istituzioni
politiche, sostanze chimiche, laghi e testi scritti. Il tentativo di privilegiare uno di
questi, per pensare gli altri come inesistenti sarebbe ripetere il tentato lavoro di
pulitura della modernità. Per ragioni di convenienza, Latour descrive tre tipi di
pulitura. La prima di queste la chiama ‘naturalizzazione’. Qui, da un punto di vista
connesso da vicino a quello del senso comune e apertamente difeso da Sokal,
sarebbero gli oggetti fisici che dovremmo prendere come primari, con i fattori
sociali considerati nulla di più che complicazioni additive che sorgono dopo i fatti.
Ciò che è veramente reale secondo questo punto di vista è l’obiettiva esistenza o
non-esistenza del buco dell’ozono, che solo risulta oscurato da tutti gli sforzi di
potere ‘irrazionali’ che lo coprono. Ma come afferma Latour «diventa impossibile
capire i peptidi senza connetterli con una comunità scientifica, interessi, pratiche
– tutti impedimenti che hanno poca somiglianza con regole di metodo, teorie e
neuroni».10
Il secondo metodo di pulitura o purificazione che potrebbe essere chiamato
‘socializzazione’ può essere rappresentato da Pierre Bourdieu. Qui, verità
scientifica [sarebbe equivalente] a meri interessi politici ed efficienza tecnica a
mere manovre strumentali.11 E tuttavia non possiamo parlare delle fluttuazioni del
10
We Have Never Been Modern, p. 4.
11
Ibid.
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potere sociale senza parlare anche delle sue relazioni con gli oggetti: «L’EDF e la
Renault assumono punti di vista completamente diversi a seconda che investano
in cellule di combustibile o in motori di combustione interna; l’America prima
dell’elettricità e dopo l’elettricità sono due luoghi differenti…».12 In breve, il
tentativo di ridurre tutti gli oggetti a marionette politiche fallisce velocemente
come il realismo naïve.
La terza forma di purificazione che Latour identifica come ‘decostruzione’ può
essere all’incirca esemplificata da Derrida. Se non stiamo parlando di cose
esternamente obiettive o giochi di potere umani «allora stiamo solo parlando di
discorso, rappresentazione, linguaggio, testo, retorica».13 Latour rigetta questa
purificazione tanto quanto le altre: «Quando [Donald] MacKenzie esamina
l’evoluzione dei sistemi di guida interni [nei missili], egli sta parlando di
arrangiamenti
che
possono
ucciderci
tutti…
Quando
io
descrivo
l’addomesticamento dei microbi a opera di Pasteur, sto mobilitando la società del
diciannovesimo secolo, non solo la semiotica dei testi di un grande uomo; quando
descrivo l’invenzione-scoperta dei peptidi del cervello, sto davvero parlando solo
dei peptidi stessi, non semplicemente della loro rappresentazione nel laboratorio
del professor Guillemin».14 In breve, la scienza non ha a che fare né con la realtà,
né con il potere o la retorica, ma con tutte queste nel momento in cui esse
appartengono a una rete di attori animati e inanimati. Come conclude Latour:
«La retorica, le strategie testuali, la scrittura, la messa in scena, la semiotica –
tutto ciò è davvero all’opera, ma in una nuova forma che ha un impatto
simultaneo sulla natura delle cose e sul contesto sociale, mentre non è riducibile
all’uno o all’altro».15 Sebbene non mutualmente riducibili, ognuna di queste zone
è in qualche misura traducibile nelle altre (si veda Michel Serres), uno stato di cose
descritto nella seconda parte del libro su Pasteur come ‘l’irriduzione’ delle
scienze.
12
Ibid.
13
Ibid., p. 5.
14
Ibid.
15
Ibid.
12
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Dovrebbe essere chiaro da ora che Latour non sta dicendo che ‘la realtà è
socialmente costruita’ poiché questo è solo uno dei tre tentativi di purificazione
che egli giudica come parziali. Dunque, Richard Rorty interpreta del tutto male
Latour quando afferma ciò che segue: «Possiamo dire, con Focault, che sia i
diritti umani sia l’omosessualità sono recenti costruzioni umane, ma solo se
diciamo, con Bruno Latour, che anche i quarks lo sono».16 Ovviamente, Rorty
offre una lettura di Latour che è pesantemente venata della sua crociata
pragmatista contro la natura in sé. Ma Rorty fa questo solo in modo tale che la
prassi linguistica possa diventare la sola realtà genuina nel cosmo, mentre Latour
mette al suo posto tanto l’azione umana quanto la natura. Sorpreso dalla strana
persistenza di questa lettura, mi presi la libertà, l’8 Novembre 1998, di scrivere a
Rorty in persona per manifestargli le mie obiezioni. In parte questa lettera era
così: «Caro Professor Rorty… Certamente Latour critica la visione del mondo
secondo la quale certi tipi di idee o entità sarebbero definite come naturali, altre
come [solo] fabbricazioni umane. Ma nel passaggio sopra, lei sembra implicare
che egli faccia ciò definendo ogni cosa come una costruzione. In realtà a me
sembra che questa è [precisamente] la visione che Latour critica….».17 In qualche
modo con mia sorpresa, Rorty rispose una settimana dopo come segue: «Caro
Professor Harman: Grazie per la sua lettera. Lei ha ragione che avrei dovuto
lasciar fuori [Bruno Latour] in quella frase. La sua visione è molto più complicata.
Quello che volevo dire è che i quarks sono non più e non meno costruzioni sociali
dei diritti umani e che questo mostra che la distinzione tra reale e socialmente
costruito può in modo sicuro essere omessa. Sinceramente, Richard Rorty, 16
Novembre 1998».18
Ma mentre Rorty ‘omette in tutta sicurezza’ questa distinzione per mezzo di
una semplice dichiarazione che ogni cosa è sociale, Latour vedrebbe questo
passaggio semplicemente come un altro movimento moderno di purificazione.
Contro Rorty che privilegia le convenzioni linguistiche umane, ciò che è primario
16
Richard Rorty, Truth and Progress: Philosophical Papers, Volume 3, p. 8. (Cambridge, UK: Cambridge
University Press, 1998).
17
Grahm Harman, lettera a Richard Rorty dell’8 Novembre 1998.
18
Richard Rorty, comunicazione personale, 16 Novembre 1998. (Nonostante i gentili saluti di Rorty, io non
ero già un professore ma ancora un dottorando).
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è una rete sciamante di attori, agenti, oggetti, ognuno di loro capace di tradurre e
dislocare le forze degli altri. Alla fine, l’accesso ai miei propri pensieri privati è
ogni bit mediato come accesso alla realtà interiore di un sasso o di una foglia. La
realtà è in parte obiettiva in parte prospettica. È in parte reale, in parte di
carattere narrativo, e in parte l’effetto di dislocazioni politiche. Lasciate in una
situazione completamente ambigua, le zone della realtà hanno un destino non
diverso da quello dei popoli senza stato: «Le reti minuscole che abbiamo
disvelato sono fatte a pezzi come i Curdi dagli Iraniani, dagli Iracheni e dai
Turchi; una volta che arriva la notte, essi passano i confini per sposarsi, e
sognano una patria comune che dovrebbe essere intagliata fuori dei tre Paesi che
li hanno divisi».19
La posizione critica moderna, egli crede, prospera su una separazione
artificiale tra natura e cultura, generalmente con lo scopo di ridurre l’una all’altra:
Poiché [essi credono] nella totale separazione di umani e non umani e poiché
al contempo [essi] cancellano questa separazione… i moderni [sono]
invincibili. Se tu li critichi dicendo che la Natura è un mondo costruito da
mani umane, essi ti mostreranno che ciò è trascendente, che la scienza è un
mero intermediario che permette l’accesso alla Natura, e che essi tengono le
loro mani fuori. Se tu gli dici che siamo liberi e che il nostro destino è nelle
nostre mani, essi ti diranno che la Società è trascendente e che le sue leggi ci
superano di gran lunga. Se gli obietti che essi sono duplici, ti mostreranno
che loro non confondono mai le leggi di Natura con l’imperscrutabile libertà
umana. Se tu gli credi e dirigi la tua attenzione da qualche altra parte, essi si
prenderanno vantaggio di ciò per trasferire migliaia di oggetti dalla Natura
nel corpo sociale, procurando a questo corpo la solidità delle cose naturali.
Ogni cosa accade nel mezzo, ogni cosa accade per mezzo di una mediazione,
di una traduzione e di reti, ma questo spazio [per i moderni] non esiste, non
ha luogo.
20
19
Latour, We Have Never Been Modern, pp. 6-7.
20
Ibid., p. 37.
14
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E tuttavia la supposta purificazione dei moderni non è mai accaduta. Alla faccia
degli sforzi critici della modernità, essa ha continuato a produrre ibridi e reti
persino su una scala sempre maggiore di prima, fondendo le foreste pluviali e le
compagnie aeree e le legislazioni congressuali esattamente allo stesso modo in
cui una tribù del Sud-Pacifico sembra pazzescamente mescolare la preghiera
degli avi con le cause degli uragani. Dunque il titolo: We Have Never Been Modern
(«Non siamo mai stati moderni», N. d. T.). In tutti questi tempi ci sono stati solo
reti, ibridi e mostri. Non v’è mai stata davvero nessuna pausa critica radicale con
la supposta naïveté della tribù che interpretava gli oggetti naturali come segnali e
presagi per gli affari umani, e che ugualmente vedeva le canzoni umane e gli
incantesimi magici come forze potenziali della natura. Ciò che Latour critica è
l’idea della modernità in ogni campo come una pausa critica radicale con tutto ciò
che veniva prima; dal suo punto di vista, ciò che è davvero accaduto in tutti questi
casi è meramente la redistribuzione di attori lungo una rete, e tali reti sono
esistite da tempo immemorabile.
Ciò che troviamo sempre e dovunque sono semplicemente reti di attori.21
L’attore non è del tutto un oggetto e non è del tutto un soggetto; o piuttosto può
comportarsi come entrambi, a seconda di come lo vediamo. Seguendo Serres,
Latour fa uso del termine ‘quasi-oggetto’22 per riferirsi allo stato precario delle
entità. Da un lato, esse sono contestualizzate con gli oggetti con i quali sono
fuse; dall’altro lato, esse si sono ritirate entro le loro nature interiori profonde e
non sono mai pienamente misurate dalle reti nelle quali sono inglobate in ogni
dato momento. Pappagalli e scaffali di ghiaccio non sono pienamente naturali
poiché essi sono entrambi assorbiti e trasformati da varie reti di turismo, film
sulla natura, e sfruttamento ecologico. Essi non solo appaiono in modo differente
a noi grazie a tutti questi fattori, ma la loro vera realtà cambia a causa di tali
fattori. I pappagalli ingrassano rubando cibo per gatti dai villaggi caraibici o
vengono estinti da bulldozer e piogge acide. Ma allo stesso modo Internet non è
qualcosa di meramente costruito. Dopo tutto, il potenziale riformatore umano
non può semplicemente imporre a esso innovazioni arbitrarie, ma deve prendere
21
[in inglese networks of actors: si riferisce alla teoria actor-network, N. d. T.].
22
Ibid., p. 51.
15
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in considerazione la sua realtà o resistenza. Spesso Internet ‘salta’ con tanta
imprevedibilità quanta quella dell’arrivo di una grandinata. Il fatto che è
costituito da plastica e silicone è irrilevante. Una volta creato, Internet
semplicemente esiste, proprio come un fiocco di neve o una giungla. Questi
oggetti non sono semplicemente oggetti reali nel senso naïve del termine, ma
quasi oggetti.
Qui ci facciamo un’idea della tesi ontologica tacita di Latour: ogni entità è
asservita a un sistema di significato culturale/funzionale o prospettico e ha una
innegabile realtà a cui la vita umana è tenuta in ostaggio. In un poco conosciuto
ma affascinante saggio su Whitehead,23 Latour disconosce ogni teoria
dell’essenza a favore di una ontologia-a rete fortemente olistica del Whitehead di
Process and Reality («Processo e realtà», N. d. T.). Ma poiché egli è costretto a
riconoscere che alcuni aspetti di ogni attore sono causa sui, e dunque esclusi dalla
rete, egli si muove verso una critica dell’olismo estremo al di là dei mezzi di
Whitehead e della sua sanguigna crociata contro le sostanze tradizionali. Entro
certi limiti, l’ampiamente discreditato ‘essenzialismo’ deve essere reintrodotto
per permettere che un’adeguata teoria delle reti emerga. Altrove ho sostenuto
che questo è il risultato implicito della famosa analisi degli arnesi di Heidegger,
ma We Have Never Been Modern si occupa di ciò in qualche modo più
esplicitamente. A dispetto di tutto il suo entusiasmo per un’era di reti e attori in
filosofia, Latour non sembra nervoso o teso a spingere per l’alba di tale era. Egli
sembra nella posizione di potersi in qualche modo rilassare, in larga parte perché
non è primariamente attraverso i suoi propri sforzi che un mondo di ibridi
intellettuali emergerà. Lui e i suoi amici non hanno bisogno di lavorare come cani
o impegnarsi in sezioni di studio notturne al fine di rendere questo sogno una
realtà. Piuttosto egli crede che sia la storia stessa a lavorare per forzare la
filosofia a pagare un tributo agli ibridi, ai quasi-oggetti e alle reti. Con una
torsione rinfrescante, la data centrale che Latour sceglie per questo processo
non è il 1968, ma il 1989. La morte delle grandi ideologie, il collasso del conflitto
tra le due superpotenze in forme di vendetta regionali, e l’innegabile riemergere
23
Bruno Latour, Les objects ont-ills une historie? Rencontre de Pasteur et de Whitehead dans un bain d’acide lacticque,
In Isabelle Stengers (ed.), L’effet Whitehead (Paris: Flammarion, 1994).
16
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di una realtà obiettivamente fisica nelle rovine ambientali dell’Est Europa e di
Valdez, tutto indica il 1989 come un anno di svolta. Varie tecnologie ‘cibernetiche’
non faranno altro che incrementare la proliferazione di tali ibridi. Eventualmente,
ogni cosa raggiunge il punto dove se è impossibile ignorare il costruttivismo dei
quark, è egualmente impossibile ignorare la naturalezza dei tunnel della
metropolitana e delle gigantesche reti elettriche (quest’ultima constatazione è
quella che viene di solito a mancare). Come scrive Latour:
Quando la sola cosa da discutere erano alcune pompe a vuoto, esse potevano
ancora essere ricondotte sotto due classi, quella delle leggi naturali e quella
delle rappresentazioni politiche; ma quando ci troviamo invasi da embrioni
congelati, sistemi intelligenti, macchine digitali, robot equipaggiati di
sensori, granoturco ibrido, banche dati, droghe psicotropiche, balene
equipaggiate con sistemi di radar acustici, sintetizzatori di geni, analizzatori
di ascolto, e così via, quando i nostri giornali quotidiani mostrano tutti questi
mostri pagina dopo pagina, e quando nessuna di queste chimere può essere
inserita nella classe degli oggetti o nella classe dei soggetti e neppure nel
mezzo, allora bisogna fare qualcosa… Come possiamo classificare la storia
del buco dell’ozono o il riscaldamento globale o la deforestazione? Dove
dobbiamo collocare questi ibridi? Sono umani? Sono umani perché sono
frutto del nostro lavoro. Sono naturali? Sono naturali perché non sono frutto
delle nostre attività. Sono locali o globali? Entrambi.24
Vorrei citare ancora una critica di Latour ai purificatori, poiché è molto chiara e
fornisce un eccellente senso della sua spesso sardonica arguzia:
Gli scienziati sociali si sono permessi a lungo di denunciare il sistema di
credenze della gente ordinaria. Essi chiamano questo sistema di credenze
‘naturalizzazione’. La gente ordinaria immagina che il potere delle merci,
l’oggettività dei soldi, le attrazioni della moda, la bellezza dell’arte dipendano
da
alcune
proprietà
obiettive
intrinseche
alla
natura
delle
cose.
Fortunatamente gli scienziati sociali conoscono meglio e mostrano che la
24
Latour, We Have Never Been Modern, pp. 49-50.
17
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freccia va in realtà nell’altra direzione, dalla società agli oggetti. Gli dei, i
soldi, la moda e l’arte offrono solo la superficie della proiezione dei nostri
bisogni e interessi sociali… Diventare uno scienziato sociale significa capire
che le proprietà interiori degli oggetti non contano, che essi sono meri
ricettacoli di categorie umane.25
Ma la denuncia opposta può occorrere altrettanto facilmente:
La gente comune, i meri attori sociali, i cittadini medi credono che siano liberi
e che possano modificare i loro desideri, le loro motivazioni e le loro strategie
razionali a loro piacere… Ma fortunatamente gli scienziati sociali stanno di
guardia e denunciano e smascherano e ridicolizzano questa credenza naïve
nella libertà del soggetto umano e della società. Questa volta essi usano gli
inoppugnabili risultati delle scienze per mostrare che [esse] determinano,
informano e plasmano le soffici e vulnerabili volontà dei poveri umani… Tutte
le scienze (naturali e sociali) sono ora mobilizzate per trasformare gli umani
in così tanti fantocci manipolati da forze oggettive – che solo agli scienziati
naturali o sociali accade di conoscere.26
Latour crede che in questo modo i moderni stiano sempre vedendo doppio. Il
loro solito rifugio è di separare il mondo in segmenti ‘soft’ e ‘hard’, «la lista ‘soft’
comprendente tutte quelle cose che agli scienziati sociali accade di disprezzare –
la religione, il consumo, la cultura popolare, la politica – mentre la lista ‘hard’ è
fatta di tutte le scienze alle quali essi credono in modo naïve al contempo –
l’economia, la genetica, la biologia, la linguistica, le scienze del cervello».27 Uno si
mette comodo con questo dualismo e si sente poco in colpa nel passare avanti e
indietro tra di loro in gradi piuttosto arbitrari. Ma le due cose non si intersecano
mai e non si fertilizzano mai reciprocamente. Secondo Latour è la scuola di
Edimburgo degli studi scientifici (che ha inizio negli anni ’70 con i lavori di Barnes,
Shapin e Bloor) che inizia tale incrocio:
25
Ibid., pp. 51-52.
26
Ibid., pp. 52-53.
27
Ibid., pp. 53-54.
18
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Essi usavano il repertorio critico che era riservato alle parti ‘soft’ della natura
per demistificare le parti ‘hard’, le scienze stesse! In breve, volevano fare per
la scienza quello che Durkheim aveva fatto per la religione, o Bourdieu per la
moda e il gusto; ma essi pensavano in modo innocente che le scienze sociali
sarebbero rimaste immutate, ingoiando la scienza così facilmente come la
religione o le arti… [In questo modo] i temerari di Edimburgo deprivarono i
dualisti – e davvero essi stessi, come presto capirono – di metà delle loro
risorse. La società [adesso] doveva produrre ogni cosa arbitrariamente,
incluso l’ordine cosmico, la biologia, la chimica e le leggi della fisica! La non
plausibilità di questa affermazione era così sfacciata per la parte ‘hard’ della
natura che presto capimmo quanto fosse poco plausibile per la parte ‘soft’
allo stesso modo. Gli oggetti non sono i ricettacoli senza forma delle
categorie sociali – né le categorie ‘hard’ né le categorie ‘soft’. La società non
è mai né così forte né così debole; gli oggetti non sono mai né così forti né
così deboli. La doppia posizione degli oggetti e della società andava
completamente ripensata.28
Molto di questo ripensamento si trova più efficacemente negli studi di Latour
di singoli casi che da qualsiasi altra parte. Dato il suo grande rispetto per la
ricerca empirica, è difficile capire pienamente i suoi metodi senza seguirlo al
lavoro su problemi concreti. Ma, nel tempo limitato che mi rimane oggi,
preferisco concentrarmi sui contributi potenziali di Latour a una ontologia degli
oggetti che (come implica il suo lavoro) è la migliore strategia per trasformare la
filosofia di oggi in una maniera che renda giustizia a tutti gli artefatti ibridi che
ora sciamano vicino a noi. Il modo migliore di fare ciò è riassumere brevemente le
sue obiezioni a molte teorie contemporanee rivali, e poi immaginare a cosa una
filosofia futura, guidata dalla stella di Latour, potrebbe assomigliare.
Quando Boyle e Hobbes duellarono sul funzionamento di una pompa ad aria da
essere interpretata in termini di natura o convenzione, la famosa distinzione
moderna tra oggetto e soggetto iniziò a manifestarsi. In Kant, la distinzione
diventa una piena separazione dalla quale tutte le più recenti purificazioni si sono
28
Ibid., pp. 54-55.
19
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sprigionate. Criticando senza colpa la nozione di ‘rivoluzione Copernicana’ di
Kant, Latour lancia un’altra granata distintiva:
La formulazione Kantiana è ancora visibile oggi ogni volta che la mente
umana è accreditata della capacità di imporre arbitrariamente forme sulla
materia amorfa ma reale. Per essere sicuri, il Re Sole attorno al quale
orbitano gli oggetti in favore di molti altri pretendenti – la Società,
l’episteme, le strutture mentali, le categorie culturali, l’intersoggettività, il
linguaggio; ma queste rivoluzioni di palazzo, non altereranno il punto focale,
che ho chiamato, per questa ragione, Soggetto/Società.29
Diventa il segno della sofisticazione filosofica accumulare disprezzo per ogni
cosa che si trova al di là dei confini dell’accessibilità umana. Eventualmente, solo i
materialisti reazionari sono desiderosi di difendere la nozione di cose in sé
discrete. Il marchio di un vero pensatore è di rimanere confinato alla sfera umana,
di vedere la realtà come olisticamente interrelata. Questo è vero di Heidegger, è
vero del postmodernismo, è vero sotto molti aspetti persino di Bergson, e accade
ora per molti filosofi analitici nella forma del dopo-Quine.
Ma vorrei argomentare che questi sono precisamente i due dogmi principali
della filosofia contemporanea: (a) l’antirealismo e (b) l’olismo. Essi rappresentano
forse le due grandi dimensioni della filosofia del Ventesimo secolo, col suo
modello di realtà in predominanza linguistico. Ma hanno ancora loro abbastanza
succo da sostenerci per altri cento anni? Per come la vedo io, la risposta tacita di
Latour è ‘No’. In primo luogo è necessario prendere ancora in considerazione gli
oggetti reali come Whitehead aveva pensato con il suo impudente revival della
metafisica pre-Kantiana. Come menzionato prima, non è vero che io ho un più
intimo accesso al linguaggio, o alla coscienza o alle condizioni degli atti linguistici
che non a un mucchio di sassi. In entrambi i casi c’è molto che si sottrae alla mia
comprensione; in entrambi i casi c’è molto che resiste i miei sforzi di manipolare il
mondo. Il fatto empirico che mi capita di conoscere i miei pensieri segreti
piuttosto che il centro di un’anguria non tagliata non consiste in un valido
29
Ibid., pp. 56-57.
20
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privilegio ontologico per il mio pensiero o il linguaggio. È giunto il tempo di
fermare tutte le eleganti preoccupazioni circa l’inacessibilità del referente e
unirsi a Latour nell’abbracciare una teoria dove le proposizioni e le psicosi
interagiscano con i giacimenti di petrolio e i delfini. Ovviamente si potrebbe dire
di più su questo tema, e prometto di dire di più il mese prossimo alla conferenza
di ‘Fine secolo’.30
Per quanto concerne l’olismo, era un gesto di valore fintanto che il dogma
regnante era quello del positivismo, delle superate filosofie delle sostanze, o dei
realismi dogmatici. Ma la nozione di intero che precede le parti tende anche a suo
modo a diventare un dogma, specialmente quando esso è rinforzato dai modelli di
realtà centrati sul linguaggio che hanno dominato la seconda parte di questo
secolo sia nel pensiero analitico sia nel pensiero continentale. L’olismo è stato
un’idea liberante una volta, ma ora non più. È certamente vero che gli oggetti si
determinano l’uno con l’altro, rispondendosi reciprocamente, frantumandosi
l’uno con l’altro, e tirandosi reciprocamente in matrimoni, club, reti e altre unioni.
Ma è egualmente vero che essi non per questo si vaporizzano in una totalità
sistematica. I chiodi e i bulloni in un tavolo contribuiscono a fare del tavolo
un’entità totale unificata, ma non smettono per questa ragione di essere chiodi e
bulloni. Piuttosto, la loro continua partecipazione al tavolo è rinegoziata in ogni
momento, e può facilmente essere interrotta grazie all’azione di lavoratori o
vandali o semplicemente da cedimenti interni strutturali che causano il collasso di
bulloni e chiodi. Le intuizioni dell’olismo non dovrebbero essere abusate al fine di
diffamare la vera indipendenza delle entità che orbitano liberamente attraverso il
cosmo, e neppure dissolte in un singolo sistema-mondo come vorrebbe
Heidegger, ma accomodate in relazioni ibride mostruose, anche se ritenendo la
loro integrità, proprio come un globo oculare organico e un pugno metallico
mantengono la loro indipendenza nel corpo di un cyborg. Come ci ricorda Aramis,
le reti tra le cose non disintegrano le paratie che le definiscono come regioni
integrali e quasi inviolabili.
30
Il riferimento è alla successiva Annual DePaul graduate student philosophy conference, tenuta nel Maggio
1999 con il titolo ‘Philosophy at the Ends of Centuries’, dove parlai di Giordano Bruno.
21
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Forse, il modo migliore per aggiudicarsi questo punto, così come di provocare
altre discussioni più tardi questo pomeriggio, è semplicemente quello di citare
qualche altro interessante affondo di Latour. Con ogni fortuna, questo chiarirà
anche ulteriormente come il suo modello del mondo si differenzia da quello dei
contemporanei che abbiamo selezionato. Per cominciare c'è l'esempio di
Habermas che desidera abbandonare ogni nozione di un linguaggio che si
riferisce a un referente, in modo tale da sostituirlo con il mutuo accordo di una
comunità di discorso ideale.
Latour osserva:
Se alcuno ha mai scelto il nemico sbagliato, è sicuramente questo Kantismo
rimosso che cerca di ampliare l’abisso tra gli oggetti conosciuti dal soggetto
da un lato e la ragione comunicativa dall’altro…
La vecchia coscienza aveva almeno il merito di indirizzarsi all’oggetto e
dunque di ricordarsi dell’origine artificiale dei due… poli. Ma Habermas vuole
renderli incommensurabili, proprio nel momento in cui i quasi-oggetti si
stanno moltiplicando così tanto che appare impossibile trovare sia un
soggetto parlante liberamente sia un oggetto naturale reificato. Kant era già
incapace di farcela nel mezzo della rivoluzione industriale; come potrebbe
riuscirci Habermas dopo la sesta o settima rivoluzione? È un po’ troppo tardi
per realizzare il golpe della rivoluzione Copernicana e fare in modo che le
cose si risolvano attorno all’intersoggettività. Habermas e i suoi discepoli si
mantengono legati al progetto moderno solo astenendosi da ogni ricerca
empirica – non un singolo caso-studio nelle cinquecento pagine del suo
capolavoro.31
«E tuttavia,» dice Latour, «[Habermas] rimane onesto e rispettabile. Persino
nella [sua] caricatura del progetto moderno possiamo ancora riconoscere lo
splendore sbiadito dell’Illuminismo del diciannovesimo secolo…».32 Un caso
peggiore ai suoi occhi è posto da figure come Baudrillard e Lyotard, che egli
rimprovera nei termini seguenti: «Non ho trovato parole abbastanza brutte per
31
Latour, We Have Never Been Modern, p.60.
32
Ibid., p. 61.
22
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definire questo movimento intellettuale – o meglio questa immobilità
intellettuale, attraverso la quale umani e non-umani sono lasciati andare alla
deriva. La chiamo ‘iper-incommensurabilità’. ‘Non devi aspettarti niente altro da
noi’, amano dire Baudrillard e Lyotard. Davvero no. Ma non è più in loro potere
finire la storia di quanto non lo sia essere naïve. Sono semplicemente bloccati
nell’impasse di tutte le avanguardie che non hanno più truppe dietro di sé».33
Rispetto alle versioni più semiotiche del post-modernismo, Latour ancora
spiana l’accusa che una divisione artificiale venga fatta tra soggetto, oggetto e
discorso:
Se queste [tre zone] sono tenute distinte e se tutte e tre sono separate dal
lavoro di ibridazione, l’immagine di mondo moderno che danno è davvero
terrificante: una natura e una tecnologia che sono assolutamente lisce; una
società fatta di falsa coscienza, simulacri e illusioni; un discorso consistente
solo in effetti di significato staccati da tutto; e questo intero mondo di
apparenze mantiene a galla altri elementi disconnessi di reti che possono
essere combinati senza direzione attraverso il collage da tutti i luoghi e da
tutti i tempi. Abbastanza, davvero, perché uno contempli il buttarsi giù da
una rupe. Questa è la causa della raccapricciante disperazione dei
postmoderni, una che ha sostituito l’angoscia dei loro predecessori, maestri
dell’assurdo. Tuttavia, i postmoderni non avrebbero mai raggiunto questo
grado di derisione e disfacimento se essi non avessero creduto – per dirla
tutta – di aver dimenticato l’Essere.34
E davvero potrebbe non esserci un momento più illuminante nel libro di Latour
che il suo irriverente attacco a Heidegger, il peggior nemico di quel crimine
moderno di tentare di ripulire gli ibridi segregando l’essere e gli esseri l’uno
dall’altro. Latour nota che inizialmente poteva sembrare che Heidegger fosse su
qualcosa, con la sua ‘differenza ontologica’ a garantire una zona sicura lontana da
tutti gli idealismi e da tutte le svolte linguistiche. Qui almeno c’era un grande
filosofo desideroso di trattare l’ibrido Zwischen (‘tra’) col rispetto che esso merita
33
Ibid.
34
Ibid., pp. 64-65.
23
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[come ho anche argomentato nella dissertazione che ho recentemente difeso
Tool-Being («Essere-Arnese», N. d. T.)]. «I quasi-oggetti non appartengono alla
Natura, o alla Società, o al soggetto; essi non appartengono neppure al
linguaggio. Decostruendo la metafisica [l’illegittimo processo di purificazione
della modernità], Martin Heidegger designa il punto centrale dove ogni cosa si
tiene insieme, lontana sia dagli oggetti sia dai soggetti».35
Fin qui tutto bene. Il problema sorge quando Heidegger tenta un suo proprio
movimento di purificazione con l’affermazione che l’essere in sé stesso non può
mai risiedere negli esseri ordinari. Qui, il lettore può già sentire l’approccio di una
furia finale alla Latour contro la filosofia del ventesimo secolo, e il suo non tardo
avvento. Latour abilmente usa una delle parabole di Heidegger contro di lui,
richiamando alla memoria la gente della città che si era sorpresa alla vista di
Eraclito che si riscaldava al forno di un panettiere. In risposta alla loro sorpresa
Eraclito aveva, in modo famoso, replicato: «Anche qui gli dei sono presenti». E
qui è dove Latour si sfila i guanti:
Ma Heidegger è coinvolto tanto quanto questi visitatori naïve, poiché lui e i
suoi epigoni non si aspettano di trovare l’Essere eccetto lungo i sentieri
interrotti della Foresta Nera. L’Essere non può risiedere negli esseri ordinari.
Da ogni parte, v’è il deserto. Gli dei non possono risiedere nella tecnologia –
quella pura cornice dell’essere, quel destino ineluttabile, quel supremo
pericolo. Essi neppure possono essere cercati nella scienza, poiché la scienza
non ha altra essenza se non la tecnologia. [Gli dei] sono assenti da politica,
sociologia, psicologia, antropologia, storia – che è la storia dell’Essere, e
conta le sue epoche in millenni. Gli dei non possono risiedere nell’economia –
quel puro calcolo sempre impantanato negli esseri e nella preoccupazione.
Non possono essere trovati neppure nella filosofia o nell’ontologia, le quali
entrambe hanno perso d’occhio il loro destino 2500 anni orsono. Dunque
Heidegger tratta il mondo moderno come i visitatori trattano Eraclito: con
disprezzo.36
35
Ibid., p. 65.
36
Ibid., pp. 65-66.
24
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E poi, in uno di quei passaggi che vorrei aver scritto io stesso:
E ancora – ‘anche qui gli dei sono presenti’: in uno stabilimento idroelettrico
sul Reno, in particelle subatomiche, nelle scarpe Adidas, così come nei vecchi
zoccoli di legno intagliati a mano, nel business agricolo, così come in
paesaggi logorati, nei calcoli dei negozianti tanto quanto nei versi strazianti
di Holderlin.37
Concludo, adesso, questa breve indagine sul lavoro di Bruno Latour, in modo
discutibile la voce più fresca della filosofia francese contemporanea. Come ho
cercato di condividere con voi oggi ci sono molte virtù positive e negative che
possono essere trovate persino nelle più brevi rassegne del suo lavoro. Da un
punto di vista negativo, egli rigetta la stretta familiare separazione tra soggetto e
oggetto, natura e cultura, essere ed esseri. Il movimento moderno di
purificazione rovina il carattere dei quasi-oggetti, che sono fatti a pezzi da una
tale rude manipolazione. Ogni forma di svolta linguistica, ogni approccio alla
filosofia centrato sull’umano deve essere rigettato, ma senza cadere indietro in
un realismo naïve del tipo di quelli capeggiati da Sokal e altri. Il mondo è una rete
di attori, e non c’è bisogno di segregare questi attori nelle classi dei naturali e dei
socialmente prodotti: il reale, dice Latour, è semplicemente ciò che resiste varie
prove di forza.
Da un punto di vista positivo, Latour indica un mondo nel quale gli oggetti si
accoppiano e si disaccoppiano rispetto alle loro forze, esistendo tuttavia con un
certo grado di genuina indipendenza. Le interazioni di nazioni, fiumi, armi,
scoperte scientifiche, geni e minerali di ferro dovrebbero essere studiate allo
stesso modo in cui analizziamo linee di gas o tubi di liquami. La nuova specie di
pensatore chiamato in causa è mezzo-filosofo e mezzo-ingegnere, e le elusive
unioni degli attori sono instancabilmente disassemblate per la nostra vista: la
filosofia come l’opposto dell’ingegneria. Invece di ritornare a una metafisica che
37
Ibid., p. 66.
25
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cerca di trascendere il potere contaminante delle entità, la filosofia diventa una
‘infra-fisica’.38
In questo modo, oltre l’inter-gioco di significanti e immagini, comincia a
riapparire un senso di innegabile realtà. E inoltre, il privilegiare ancora di moda il
sistema sulle parti discrete comincia a recedere: nelle reti di Latour, gli attori
mantengono proprietà indipendenti che possono resistere all’intero sistema o
perfino sovvertirlo. In questo modo egli offre un’alternativa all’anti-realismo e
un’alternativa all’olismo, che è abbastanza per considerarlo lo scrittore filosofico
più innovativo oggi al lavoro. Soprattutto, egli è qualcuno che permette il ritorno
degli oggetti concreti alla filosofia, dopo il loro lungo esilio decretato da coloro i
quali erano troppo intelligenti per parlare di carta, asini e marmo e dunque che si
permettevano di parlare solo delle alienate e fredde strutture cogito-linguistiche
che rendono tutti gli oggetti possibili.
A dire il vero, ciò non era interamente colpa di quelle persone intelligenti,
poiché le risorse intellettuali di una teoria degli oggetti rimangono ancora in
qualche modo primitive. Ciò che costituisce l’errore di tali persone, tuttavia, è la
loro arrogante assunzione che le cose sarebbero rimaste così per sempre. Come
menzionato in un’altra occasione, noi dovremmo tutti sperare di raggiungere i
nostri primi intellettuali in un mondo dove è ancora possibile dare una lezione
filosofica non solo sul ‘legno’, come una figura letteraria nei lavori di Joyce e
Mallarmé, ma lezioni sincere sul ‘legno stesso’: un’ontologia sistematica sull’acero,
la quercia e il cedro. Sogniamo di una conferenza nell’anno 2020, da tenersi forse
in questo medesimo edificio, che voglia apertamente essere alle prese con la
realtà di oggetti quali barche a vela, pompelmo, cera e platino. Perché anche qui
gli dei sono presenti.
38
Ibid. p. 128. 26
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