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www.ildirittoamministrativo.it Rivista giuridica Registrata presso il Tribunale di Catania ISSN 2039-6937 OSSERVATORIO SULLA GIURISPRUDENZA IN MATERIA DI DIRITTO DELLA NAVIGAZIONE AGGIORNATO AL 31 NOVEMBRE 2011* A cura di Luca SALAMONE (www.lucasalamone.it) (*) Con la presente si coglie l’occasione per far giungere, a tutti i lettori dell’osservatorio di diritto della navigazione, i più sinceri e fervidi auguri di ogni bene per le imminenti festività natalizie. Corte di Cassazione, Sezione III, n. 27683, del 16 luglio 2010 (In tema di aree marine e protette e necessità di loro perimetrazione). La fattispecie decisa con la sentenza in rassegna riguarda un caso di illecita attività di pesca subacquea in zona di mare ricadente entro un’area marina protetta. In particolare, a seguito di accertamento effettuato dagli organi di polizia giudiziaria all’uopo preposti (personale militare della Guardia Costiera), il ricorrente veniva denunciato per violazione della legge 6 dicembre 1991, n. 394, art. 19, comma 3 e art. 30, per avere illecitamente effettuato attività di pesca subacquea all’interno dell’area marina protetta denominata “Parco sommerso di Baia”, istituita con D.I. n. 303 del 2002. Il giudice di primo grado, riconosciute circostanze attenuanti generiche, condannava il responsabile alla pena (interamente condonata) di Euro 200,00 di ammenda. Il Tribunale osservava, a fondamento della decisione, che la zona di mare nella quale il responsabile era stato sorpreso ad esercitare la pesca subacquea era chiaramente indicata, nelle mappe di navigazione, come zona “A” di riserva integrale; essa inoltre era ben delimitata da boe e cartelli nautici segnalanti il divieto assoluto di navigazione e di ogni altra attività idonea a compromettere l’integrità geofisica dei luoghi, ivi compresi “la cattura, la raccolta e il danneggiamento delle specie animali e vegetali”. All’uopo il giudice di primo grado argomentava altresì che l’imputato, essendo un pescatore subacqueo, doveva comunque essere a conoscenza del divieto e che, in ogni caso, un’eventuale ignoranza sarebbe inescusabile perché dipendente da negligenza. Avverso la sentenza di condanna l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, denunciando violazione di legge e la manifesta illogicità della motivazione anche in punto di mancato riconoscimento degli estremi dell’errore scusabile. Il ricorrente assumeva che la prova della consapevolezza di trovarsi in area protetta non poteva desumersi dalla stessa attività svolta (come erroneamente ritenuto dal Tribunale), poiché, anche se per ipotesi, fosse stato un pescatore esperto, il divieto di pesca in quell'area specifica non poteva considerarsi notorio, non potendosi pretendere che egli dovesse conoscere con chiarezza la dislocazione e soprattutto i limiti spaziali di estensione del Parco sommerso di Baia. In particolare, la difesa metteva in rilievo come, a seguito dell’istruttoria dibattimentale, era stata accertata soltanto l’installazione di alcune boe di segnalazione, ma tale segnaletica, ad avviso della difesa, avrebbe dovuto ritenersi del tutto insufficiente alla delimitazione di un’area protetta, sicché il giudice di primo grado illegittimamente avrebbe rigettato l'istanza difensiva di inoltro di specifica richiesta alla Capitaneria di Porto competente, affinché specificasse a quale distanza erano collocate le boe rispetto alla spiaggia dalla quale l’imputato si era presumibilmente introdotto in acqua. Con la pronuncia in rassegna il giudice di legittimità ha rigettato il ricorso, perché infondato. Dall’esame effettuato dai giudici di piazza Cavour, la zona in oggetto, come chiarito dal militare della Guardia Costiera escusso in dibattimento, era indicata nelle carte nautiche come zona di riserva integrale ritualmente segnalata da boe e da cartelli apposti anche sulla terraferma. Essa, inoltre, era raggiungibile solo dal mare. Alla luce di quanto appurato, il giudice di legittimità ha rilevato che: 1. qualora l’imputato non avesse percepito la segnalazione, o non ne avesse compreso il significato, sarebbe ugualmente responsabile perché l’ignoranza sarebbe derivata da sua colpa. Invero, ad avviso della suprema Corte, “colui il quale esercita la pesca sportiva subacquea, anche come principiante, ha il dovere di informarsi sulle norme che regolano tale attività e sulle zone in cui la stessa può essere esercitata liberamente e senza divieti”; 2. inoltre, secondo la giurisprudenza costante richiamata dalla suprema Corte (cfr. Cass., sez. III, 6 agosto 2007, n. 32021), “in tema di tutela delle aree protette, dette aree sono sottratte alla necessità di perimetrazione tabellare in quanto istituite e delimitate con appositi provvedimenti, completi di tutte le indicazioni tecniche e topografiche necessarie per l’individuazione, la cui conoscenza è assicurata dalla loro pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale. Dal momento di tale pubblicazione sorge la presunzione di conoscenza dell’estensione dell’area protetta da parte di tutti i consociati e costituisce onere di chi si introduce nella zona di prendere cognizione degli esatti confini dell’area, onde evitare comportamenti di rilevanza penale. Ne consegue che non può considerasi scusabile, a norma dell'art. 5 cod. pen. (come interpretato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 364/1988), l’ignoranza colpevole circa l’esatta perimetrazione dell’area protetta, stante l’irrilevanza del difetto di perimetrazione tabellare e tenuto conto della mancata ottemperanza del dovere di informazione e di conoscenza incombente ad ogni soggetto che intraprende una attività normativamente regolata in vista della osservanza dei precetti penali”. Ma ciò che desta particolare interesse nella pronuncia in rassegna è il passaggio in cui la Corte ha sottolineato l’irrilevanza, nel caso in esame, della disciplina che, con riferimento al divieto di navigazione, prescrive la necessità di individuazione, con mezzi e strumenti di segnalazione, delle aree protette. Ad avviso della suprema Corte di Cassazione, infatti, le aree marine protette sono sottratte alla necessità di perimetrazione tabellare, giacché per le stesse non è rilevante la previsione della L. n. 394 del 1991, art. 2, comma 9 bis (introdotto dalla L. 8 luglio 2003, n. 172, art. 4, comma 1, recante “Disposizioni per il riordino e il rilancio della nautica da diporto e del turismo nautico”), secondo la quale “i limiti geografici delle aree protette marine entro i quali è vietata la navigazione senza la prescritta autorizzazione sono definiti secondo le indicazioni dell’Istituto idrografico della Marina Militare ed individuati sul territorio con mezzi e strumenti di segnalazione conformi alla normativa emanata dall’Association Internazional de Signalisation Marittime - International Association of Manne Aids to Navigation and Lighthouse Authorities (AISM - IALA)". In buona sostanza, il giudice di legittimità mette – correttamente – in rilievo come la vicenda in esame ”non riguarda la nautica da diporto, sicché l’anzidetta normativa non può svolgere alcuna influenza sulla configurabilità della contravvenzione contestata”, bensì la diversa attività di pesca subacquea. Tribunale amministrativo regionale – Salerno, 27 settembre 2011, n. 1582 (In tema di compatibilità comunitaria della proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2015 e di efficacia self executing dei precetti comunitari). Con la sentenza in rassegna il Tribunale amministrativo regionale torna ad occuparsi della compatibilità comunitaria della proroga ex lege delle concessioni demaniali marittime al 31 dicembre 2015 in rapporto all’efficacia (limitata) self executing dei precetti europei. Il giudice amministrativo ha rilevato come la disposizione di cui all’art. 1, comma 18 del decreto legge n. 194/2009 – che prevede la proroga transitoria delle concessioni demaniali marittime ancora in essere sino al 31 dicembre 2015 – non può essere legittimamente disapplicata ravvisandone l’incompatibilità con i precetti della Direttiva 2006/123/CE, perchè questi non sono integralmente dotati di efficaci self executing. Ad avviso del giudice amministrativo, infatti, tale efficacia, in particolare, può predicarsi unicamente: per il divieto di rinnovo automatico delle concessioni; e per la regola che impone l’affidamento su base concorrenziale che, tuttavia, va necessariamente integrata con una disciplina di dettaglio sugli effettivi contenuti del rapporto concessorio rimessa alla legislazione nazionale. In tale contesto, la proroga disposta dall’articolo 18 non contrasta con la disposizione europea unitariamente intesa, in quanto reca una disciplina (di proroga) temporalmente limitata (non oltre il 31 dicembre 2015) e finalizzata a consentire, da parte del legislatore nazionale, l’emanazione di una organica disciplina della materia, completa in tutti gli aspetti (procedurali e contenutistici) ritenuti necessari dal legislatore comunitario ma da quest’ultimo non fissati in toto in maniera sufficientemente specifica, sì da essere immediatamente applicabili. Ad avviso del giudice amministrativo di primo grado, la concreta determinazione di tali elementi, oltre a completare in termini organici la disciplina della materia, costituisce senza dubbio presupposto essenziale per l’indizione di una procedura selettiva, dovendo questa svolgersi su di un oggetto definito nelle sue componenti costitutive. Di talché, la rilevanza essenziale del profilo della durata dell’autorizzazione, assunta dall’articolo 12 della suddetta Direttiva UE in funzione del perseguimento dell’obiettivo di realizzazione del principio di libera concorrenza nella contestuale tutela del profilo imprenditoriale del privato, giustifica la proroga delle concessioni in corso sino alla adozione della regolamentazione nazionale. Quest’ultima è, infatti, necessaria alla esistenza di una disciplina normativa della materia immediatamente applicabile, organica ed efficace in quanto completa di tutti gli aspetti della regolazione (procedurali e sostanziali) ritenuti necessari dalla suddetta Direttiva UE in funzione degli scopi perseguiti. A sostegno del suddetto – per il vero minoritario – orientamento del giudice amministrativo, lo stesso evidenzia come, d’altra parte, nella fattispecie disciplinata dall’art. 1, comma 18 del decreto legge n. 194/2009, non vi è assegnazione di nuove autorizzazioni senza procedura ad evidenza pubblica, ma mero allungamento del termine di durata di autorizzazioni esistenti ed in corso, in attesa di una necessaria (attesa in proposito la insufficienza della norma europea) disciplina nazionale che regolamenti anche gli aspetti contenutistici e di durata delle concessioni demaniali marittime. Corte di Cassazione, sezione V (penale) 6 ottobre 2011 n. 36352 (In tema di patteggiamento per omissione di soccorso e sospensione della patente di guida). Con la sentenza in rassegna la suprema Corte di Cassazione ha statuito che la disciplina di favore del rito ex art. 444 c.p.p. non si estende alla sanzione amministrativa accessoria, quale sospensione della patente, che viene applicata nella sua interezza. Nella fattispecie in esame, un automobilista, imputato per il reato di omissione di soccorso ex artt. 593 c.p. e 189 comma 4 e 7 c.d.s., patteggiava la pena; tuttavia lo sconto fino ad un terzo, previsto nei casi di applicazione di pena su richiesta delle parti, non veniva disposto per la sospensione della patente di guida, che dunque era fissata dal Tribunale per un anno e mesi sei. Avverso tale pronuncia, l’imputato proponeva ricorso per Cassazione, deducendo la violazione degli artt. 218 comma 2, 222 comma 2 bis c.d.s. nonché il vizio di motivazione, lamentando che il giudice di primo grado avrebbe ordinato l’applicazione della sanzione amministrativa della sospensione della patente di guida, senza considerare i criteri adottati per fissarla, né la diminuente del rito speciale scelto dalle parti. Ad avviso del giudice di legittimità, il motivo articolato dalla difesa è destituito di fondamento, in quanto, come già esaminato in precedenza dalla stessa suprema Corte (cfr. Cass. 3 luglio 2009, n. 41810), “la diminuzione fino ad un terzo della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida, prevista dall'art. 222, comma secondo bis, d.lgs. 30 aprile 1992, n. 285, deve ritenersi limitata ai casi di sentenza emessa ai sensi dell'art. 444 c.p.p. per i reati di omicidio colposo e lesioni personali colpose commessi in violazione delle norme sulla disciplina della circolazione stradale”. Inoltre, l’art. 222, comma 2 bis, introdotto con la legge n. 120/2010 estende l’applicazione della diminuente del rito speciale anche alla sanzione amministrativa della sospensione della patente, ma solo per i casi indicati nell’articolo 222 c.d.s., e non anche, come nella fattispecie in oggetto, per ipotesi relative al reato di omissione di soccorso. Corte di Giustizia UE 16 ottobre 2011 (In tema di cancellazione del volo e risarcimento del danno morale). La Corte di Giustizia Europea, con la sentenza 13 ottobre 2011 (procedimento C83/10) – resa nell’ambito di una controversia pendente tra sette passeggeri e l’Air France SA, avente ad oggetto il risarcimento dei danni che essi affermano di aver subito a causa dei ritardi prolungati e dei disagi causati dai problemi tecnici emersi sul velivolo della citata compagnia aerea durante il volo che collegava Parigi (Francia) a Vigo (Spagna) – ha stabilito un importante principio in materia di risarcimento del danno nel caso di volo cancellato (nel caso di specie sette passeggeri della Air France avevano richiesto il risarcimento dei danni subiti a causa dei ritardi prolungati e dei disagi causati dai problemi tecnici emersi sul velivolo della citata compagnia aerea durante il volo che collegava Parigi a Vigo in Spagna. In particolare, alcuni minuti dopo il decollo dell’aereo all’ora prevista, il pilota aveva deciso di rientrare al punto di partenza a causa di un guasto tecnico. Ai passeggeri del volo in questione sono state proposte alternative di imbarco per l’indomani, senza che tuttavia l’Air France offrisse una sistemazione in albergo o qualsivoglia assistenza durante l’attesa del nuovo imbarco). In particolare, con la sentenza in rassegna, infatti, la Corte di giustizia UE è stata chiamata a pronunciarsi sull’interpretazione degli artt. 2, lett. l), e 12 del Regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 11 febbraio 2004, n. 261, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91. Con la pronuncia in esame la Corte europea ha dichiarato che: 1) la nozione di “cancellazione del volo”, come definita dall’art. 2, lett. l), del regolamento (CE) del Parlamento europeo e del Consiglio 11 febbraio 2004, n. 261, che istituisce regole comuni in materia di compensazione ed assistenza ai passeggeri in caso di negato imbarco, di cancellazione del volo o di ritardo prolungato e che abroga il regolamento (CEE) n. 295/91, deve essere interpretata nel senso che, in una situazione come quella in discussione nella causa principale, essa “non si riferisce esclusivamente all’ipotesi in cui l’aereo in questione non sia affatto partito, bensì comprende anche il caso in cui tale aereo è partito, ma, per una qualsivoglia ragione, è stato poi costretto a rientrare all’aeroporto di partenza, e i passeggeri di detto aereo sono stati trasferiti su altri voli”; 2) la nozione di “risarcimento supplementare”, di cui all’art. 12 del regolamento n. 261/2004, deve essere interpretata nel senso che “consente al giudice nazionale, alle condizioni previste dalla convenzione per l’unificazione di alcune norme relative al trasporto aereo o dal diritto nazionale, di concedere il risarcimento del danno, incluso quello di natura morale, occasionato dall’inadempimento del contratto di trasporto aereo”. Per contro, il giudice nazionale non può utilizzare la nozione di “risarcimento supplementare” quale fondamento giuridico per condannare il vettore aereo a rimborsare ai passeggeri, il cui volo ha subito un ritardo oppure è stato cancellato, le spese che gli stessi hanno dovuto sostenere a causa dell’inadempimento da parte del citato vettore degli obblighi di sostegno e assistenza di cui agli artt. 8 e 9 di tale regolamento. 3) per volo si intende sostanzialmente un’operazione di trasporto aereo, costituendo “in un certo modo un’unità di tale trasporto, realizzata da un vettore aereo che fissa il suo itinerario”. Quest’ultimo costituisce un elemento fondamentale del volo, in quanto effettuato in conformità ad un programma previamente stabilito dal vettore. Ne consegue che, affinché un volo possa essere considerato come effettuato, non sia sufficiente che l’aereo sia partito conformemente all’itinerario previsto, ma sia necessario anche che esso raggiunga la sua destinazione, come previsto dall’itinerario. In particolare, quanto alla prima questione, la Corte ha affermato che “il motivo per il quale l’aereo è stato costretto a rientrare all’aeroporto di partenza, e non ha raggiunto dunque la sua destinazione, non incide sulla qualificazione della «cancellazione del volo» ai sensi della succitata definizione di cui all’art. 2, lett. l), del regolamento n. 261/2004. Infatti, detto motivo è rilevante soltanto al fine di stabilire, nell’ambito del risarcimento del danno sofferto dai passeggeri a causa della cancellazione del volo, se, eventualmente, tale cancellazione «è dovuta a circostanze eccezionali che non si sarebbero comunque potute evitare anche se fossero state adottate tutte le misure del caso», ai sensi dell’art. 5, n. 3, del regolamento n. 261/2004, ipotesi in cui non è dovuto alcun risarcimento”. Quanto alla seconda questione, “il risarcimento concesso ai passeggeri aerei sulla base dell’art. 12 del regolamento n. 261/2004 è destinato a completare l’applicazione delle misure previste dal citato regolamento, di modo che i passeggeri siano risarciti del danno complessivo subito a causa dell’inadempimento da parte del vettore aereo dei suoi obblighi contrattuali. Tale disposizione consente quindi al giudice nazionale di condannare il vettore aereo a risarcire il danno occasionato ai passeggeri dall’inadempimento del contratto di trasporto aereo sulla base di un fondamento giuridico diverso dal regolamento n. 261/2004, vale a dire, segnatamente, alle condizioni previste dalla convenzione di Montreal o dal diritto nazionale”. Infine, la Corte di giustizia UE non ha mancato di mettere in evidenza che durante l’attesa del successivo collegamento aereo, la compagnia deve offrire ai viaggiatori un’adeguata assistenza: sistemazione in albergo, possibilità di ottenere pasti e bevande e di effettuare chiamate telefoniche. In definitiva, ad avvio del giudice europeo nella ipotesi di cancellazione del volo il “risarcimento supplementare” consente ai passeggeri di ottenere un risarcimento del danno complessivo, sia morale che materiale, subito a causa dell’inadempimento dei vincoli contrattuali, configurandosi a carico del vettore una serie di obblighi di sostegno e di spesa. Nel caso in cui la compagnia aerea venga meno al suo dovere, i passeggeri danneggiati possono valere un diritto al risarcimento che non rientra in quello supplementare, ma che deriva dal regolamento. Corte di Cassazione, sezione III, 18 ottobre 2011 n. 21508 (In tema di danni da insidia e responsabilità da custodia ex art. 2051 c.c. anche per le strade statali). Con la sentenza in rassegna la Corte di Cassazione aggiunge un’ulteriore pronuncia all’opera esegetica rivolta a segnare la progressiva equiparazione tra privato e pubblica amministrazione in tema di responsabilità per i danni cagionati da cose in custodia. La fattispecie all’esame della suprema Corte, riguardava il danno subito da un motociclista che, percorrendo una strada statale, incorreva in un incidente a causa di fango, sterpaglie e sabbia, accumulatisi in conseguenza delle piogge cadute nei giorni precedente e non rimossi né segnalati dall’ente gestore, tenuto alla manutenzione della strada. A fronte delle difese dell’ente, rivolte ad evidenziare l’inapplicabilità dell’art. 2051 c.c. in considerazione della notevole estensione della strada e delle modalità indiscriminate di fruizione della stessa da parte dell’utenza, il supremo giudice di legittimità ha nuovamente chiarito, in particolare, che il fattore discriminante al fine di stabilire l’applicabilità dell’art. 2051 c.c. sia da ricercarsi nella possibilità o meno di esercitare un potere di controllo e di vigilanza sui beni demaniali da cui sia derivato il danno. Ad avviso del giudice di legittimità, la notevole estensione del bene, la sua collocazione fuori dalla perimetrazione urbana e la destinazione ad un uso generalizzato da parte dell’utenza sono certamente circostanze sintomatiche, di cui tenere conto nel complesso giudizio rivolto ad accertare se, nel caso concreto, sussista effettivamente la possibilità di esercitare un potere di controllo idoneo a fondare l’applicazione dell’art. 2051 c.c., ma non costituendo l’oggetto stesso del giudizio e, pertanto, non determinano alcuna automatica esclusione, insieme alle circostanze testé richiamate, infatti, dovranno considerarsi anche le caratteristiche, la posizione della strada e le sue dotazioni e, ancora, i sistemi di assistenza apprestati alla luce del progresso tecnologico. Non par dubbio che l’aspetto più interessante della pronuncia in rassegna, tuttavia, è da ricercarsi nel passaggio motivazionale in cui i giudici di legittimità individuano specificamente, tra le circostanza sintomatiche della possibilità per il gestore di effettuare un controllo concreto sul bene demaniale, la “natura e della tipologia delle cause determinanti il danno”. In buona sostanza, ad avviso del giudice di legittimità, non è possibile stabilire a priori – sulla base delle caratteristiche intrinseche, della posizione, delle modalità di fruizione, dei sistemi di assistenza apprestati e/o apprestabili, ecc. – quali siano le strade suscettibili di custodia ex art. 2051 c.c. e quali siano escluse, poiché l’esistenza del rapporto di custodia tra gestore e res andrà specificata anche tenendo conto del fattore causale che, nel caso concreto, ha prodotto il danno. Ad avviso della Corte, tale accertamento deve essere compiuto avuto riguardo alla luce della prevedibilità o meno, per il custode, della causa del danno. Di talché ne deriva che, in relazione al medesimo tratto di strada, sarà possibile affermare l’esistenza di un rapporto di custodia in relazione a alcune tipologie di insidia e negarlo con riferimento ad altre. In conclusione, occorre per il vero rilevare che la pronuncia in esame si discosta, almeno per certi aspetti, dalla precedente giurisprudenza consolidatasi sul tema. Proprio alla luce dei più recenti indirizzi giurisprudenziali, infatti, il concetto di custodia sotteso all’art. 2051 c.c., pur non identificandosi necessariamente in una situazione di proprietà o di possesso tecnicamente inteso, assume un’accezione squisitamente oggettiva, concentrata sul rapporto di fatto tra il soggetto e la res. Ne consegue che una discriminate fondata, come nella fattispecie in rassegna, sul riferimento alla “conoscenza o conoscibilità” dello specifico fattore causale di pericolo rischia rimettere in discussione la struttura logica su cui si regge la fattispecie speciale di responsabilità oggettiva definita dall’art. 2051 c.c., producendo uno sbilanciamento forse eccessivo tra gli interessi contrapposti in gioco. Corte di Cassazione, sezione II, 19 ottobre 2011 n. 21605 (In tema di contravvenzione rilevate con T-red e presenza dell’agente). La sentenza in rassegna tre origine a seguito di un ricorso presentato da un automobilista a seguito di una multa elevatagli per essere passati con il rosso al semaforo. In sede di ricorso al giudice di pace, quest’ultimo aveva accolto le ragioni del ricorrente; successivamente, in appello, era stata confermata la multa in quanto dal rilievo fotografico risultava in modo chiaro che l’auto era transitata con il rosso. Ad occuparsi della questione è stata chiamata la suprema Corte, la quale, nell’occasione, ha statuito che, in tema di violazione dell’articolo 146, comma 3, c.d.s., ai sensi e per gli effetti di cui all’articolo 201 ter, (nuovo ex d.l. n. 151/2003, conv. nella legge n. 214/2003) “i documentatori fotografici delle infrazioni commesse alle intersezioni regolate da semaforo, ove omologati ed utilizzati nel rispetto delle prescrizioni riguardanti le modalità di installazione e di ripresa delle infrazioni, sono divenuti idonei a funzionare anche in modalità completamente automatica, senza la presenza degli agenti di polizia”. A seguito della sopra menzionata modifica legislativa i requisiti per l’omologazione degli apparecchi fotografici sono stati diramati nel 2005 dal ministero delle infrastrutture e dei trasporti con idoneo decreto dirigenziale. Da quanto sopra, consegue che i T-Red, se omologati e utilizzati nel rispetto delle prescrizioni, “sono perfettamente idonei al funzionamento anche senza la presenza fisica degli agenti”. Ne consegue che, per rilevare comportamenti contrario al c.d.s. attraverso la rilevazione fotografica e, quindi, elevare contravvenzioni agli automobilisti che passano con il semaforo rosso, non serve la presenza dell’agente, purché venga utilizzato uno degli strumenti omologati per l’uso automatico approvati dal ministero dopo la riforma della patente a punti (tra l’altro, sul punto si evidenzia che sulla legittimità degli strumenti in questioni si è espressa, nel 2008, con parere n. 46819 del 10 aprile, anche l’Avvocatura generale dello Stato, che ha confermato la liceità della installazione dei sistemi semaforici regolarmente omologati, anche senza presidio). Tribunale amministrativo regionale (Campania – Napoli), sezione I, 4 novembre 2011, n. 5127 (In tema di trasporto pubblico locale, actio negotiorum gestorum e giurisdizione). Con la pronuncia in rassegna il giudice amministrativo campano ha statuito che l’adempimento imposto dal Codice della strada (d.lgs. n. 285/1992), in ordine all’adeguamento ed alla messa in sicurezza dei passaggi a livello con semibarriere, rappresenta un’attività di manutenzione delle strade pubbliche in funzione della salvaguardia della loro funzionalità e, dunque, un servizio pubblico. Ad avviso del giudice amministrativo da ciò consegue che, qualora sorga una controversia inerente il predetto servizio ed, in particolare, avente ad oggetto (come accaduto nel caso di specie) il diritto di rivalsa delle spese sostenute per il servizio di transennamento del passaggio a livello di una data ferrovia, nonché per la sostituzione delle semibarriere ivi installate con le barriere complete, da parte della società che ne ha la gestione nei confronti dell’Amministrazione competente, essa rientra nella giurisdizione amministrativa. In ipotesi di questo tipo, il giudice amministrativo di primo grado, rileva che nell’ambito delle attività di carattere privatistico della P.A., a differenza di quanto accade per quelle a carattere pubblicistico riservate alla medesima, non sussiste il divieto generale, per i privati, di intraprendere in tali settori qualsiasi affare; ed infatti, si ritiene tendenzialmente ammissibile l’espletamento da parte di privati di attività di pertinenza dell’Amministrazione. Tuttavia, ad avviso dei collegio campano, perché sia configurabile il diritto del gestore di una simile attività al rimborso delle spese sostenute, così come l’obbligo della P.A. di adempiere alle obbligazioni assunte in suo nome, nonché quello di tenere indenne il privato di quelle assunte in nome proprio, è necessario che ricorrano tutti i presupposti previsti per l’esercizio dell’actio negotiorum gestorum. Sono, dunque, necessari: la mancanza di una prohibitio domini specificamente espressa dall'Amministrazione; l’utiliter coeptum, ossia il riconoscimento esplicito od implicito che la gestione dell’affare sia stata utilmente iniziata; ed, infine, l’absentia domini, ossia l’impossibilità, sia pure temporanea, del dominus di provvedere ai suoi affari.