Interesse del minore - Azione Cattolica dei Ragazzi

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Interesse del minore - Azione Cattolica dei Ragazzi
Il primato giuridico e morale
del concetto di interesse del minore
di Michele Riondino
Pontificia Università Lateranense – Città del Vaticano
Università LUMSA – Roma
Introduzione
La tutela dei minori, e la promozione dei loro interessi, rappresenta una delle grandi
sfide che la società contemporanea rivolge non solo alla regolazione giuridica dei singoli Stati
ma, in particolar modo, a tutti gli interventi della sfera pubblica1. L’attenzione rivolta alla
tutela dei fanciulli è infatti presente, già da parecchi decenni, nella maggior parte degli
ordinamenti statali i quali si sono gradualmente impegnati a “costituire in discipline
epistemologicamente autonome sia il diritto di famiglia in generale che il diritto minorile in
particolare”2.
A tutti è noto come nel contesto occidentale in cui viviamo, seppur con apparenti segni
di benessere rispetto ad altre realtà sociali e culturali non distanti da noi, assistiamo
quotidianamente a gravi ed allarmanti contraddizioni sull’infanzia. Infatti nelle nostre città,
1
Cfr. J. GOLDSTEIN – A. FREUD – A. J. SOLNIT – S. GOLDSTEIN, In the Best Interests of the Child, New York,
1986, pp. 3-6.
2
Cfr. F. D’AGOSTINO, Una filosofia della famiglia, Milano, 2003, p. 211. Sul crescente impegno da parte della
Commissione Europea, in merito alla protezione dei diritti dei minori e degli adolescenti, rimando all’intervista
rilasciata dall’On. Franco Frattini pubblicata a cura del Centro Studi – Ricerche e Attività Internazionali del
Dipartimento per la Giustizia Minorile, La protezione dei diritti dei minori in Europa, in Nuove Esperienze di
Giustizia Minorile, 1 (2008), pp. 9-12. Tra le molteplici iniziative meritano una menzione particolare: la riunione
dei Ministri responsabili per l’Infanzia degli Stati membri dell’Unione Europea (celebrata a Parigi il 20
novembre del 2000 che ha approvato la costituzione di un Gruppo intergovernativo permanente denominato
L’Europe de l’Enfance), la riunione dei Ministri (Bruxelles, 9 novembre 2001) che ha promosso la creazione di
un Network Europeo di Osservatori Nazionali sull’Infanzia (costituito ufficialmente al Firenze il 24 gennaio
2003), fino ad approdare all’istituzione, nel 2007, di un Forum europeo che si celebra ogni anno a Bruxelles e
che vede riuniti studiosi, rappresentanti delle istituzioni e del non profit degli stati membri dell’UE. In merito
all’impegno delle Nazioni Unite si rinvia al World Summit for Children (New York 23-30 settembre 1990)
conclusosi con la Dichiarazione mondiale sulla sopravvivenza, la protezione e lo sviluppo dell’infanzia e la
Sessione speciale dell’ONU per l’Infanzia (New York 8-10 maggio 2002).
1
piccole o grandi che siano, esistono molti, anzi troppi, bambini abbandonati non tanto
all’interno di comunità o istituti assistenziali quanto nelle loro stesse famiglie; molti bambini
abusati non solo sul piano fisico ma spesso sul piano psicologico anche attraverso quella
terribile, e sempre crescente, forma di violenza che è costituita dalla trascuratezza3; molti
bambini manipolati non solo dalla famiglia ma anche da parte di istituzioni che impongono
loro false identità; molti bambini dimenticati e indifesi perché i loro diritti fondamentali sono
misconosciuti da agenzie educative che li emarginano, da servizi pubblici poco attivi e da
famiglie spesso affettivamente assenti o pedagogicamente insufficienti; molti bambini
invisibili: i nomadi la cui fanciullezza è scomparsa, bambini purtroppo tollerati ma quasi mai
veramente integrati; molti bambini a cui è stata negata l’infanzia perché troppo presto oberati
da responsabilità che pesano come un macigno sulla loro vulnerabile età; molti bambini
diversamente abili che nascono e crescono all’interno di famiglie spesso lasciate sole e che,
con estrema fatica, vivono il senso di appartenenza con nuclei familiari che condividono con
loro lo stesso percorso: età dei bambini, frequenza della stessa scuola, dello stesso quartiere,
della stessa comunità religiosa, delle stesse realtà ludiche e sociali.
Le solenni Dichiarazioni internazionali stipulate negli ultimi decenni hanno
gradualmente cercato di attenuare questi pericoli e queste allarmanti diversità riconoscendo ai
minori una particolare titolarità di diritti e di interessi, soprattutto in considerazione della loro
condizione di soggetti in formazione. Garantire, quindi, la protezione e la tutela effettiva dei
diritti e degli interessi di coloro che si affacciano alla vita costituisce, ora più che mai, una
priorità assoluta su cui nessuno può sentirsi esonerato. Nonostante ciò, è solo dalla fine degli
anni ottanta che si è sviluppata, nella maggior parte dei Paesi europei, una cultura fondata
sulla attenzione e sulla solidarietà (principi che sono alla base di una comune etica sociale)
verso la condizione dei minori e, in modo particolare, verso il loro armonico sviluppo4. Si è
così diffusa, seppure con estrema fatica, una più matura comprensione sul fatto che la tappa
3
Sulle recenti modifiche introdotte a seguito della Ratifica da parte dell’Italia alla Convenzione di Lanzarote del
2007 si consenta il rinvio a M. RIONDINO, La Convenzione di Lanzarote. Aspetti giuridici e canonici iin tema di
abuso sui minori, in Apollinaris, 2013, pp. 149-176.
4
Per ulteriori approfondimenti, valga il rinvio a M. RIONDINO, Famiglia e Minori. Temi giuridici e canonici,
Città del Vaticano, 2011, passim; ID., L’evoluzione del concetto di “interesse del minore” nella cultura giuridica
europea, in AA. VV., Civitas et Iustitia. La filiazione nella cultura giuridica europea. Atti del XIII Colloquio
Giuridico Internazionale, Città del Vaticano, 2010, pp. 389-411; C. McGLYNN, Families and the European
Union, Cambridge, 2006, pp. 42-77.
2
dell’infanzia coincida con un momento fondamentale nello sviluppo di ogni persona; che il
bambino, mi sia consentito sottolineare ogni bambino, costituisce e porta con sé, fin dalla
nascita, un valore unico ed irripetibile che deve essere rispettato e protetto e che non può, in
modo alcuno, essere considerato alla stregua di un adulto in miniatura, un soggetto cioè che
può essere utilizzato e plasmato a discrezione e secondo gli esclusivi interessi di noi adulti;
che i possibili e drammatici comportamenti devianti5, assunti nel corso del processo di
crescita e di maturazione, devono essere corretti e tollerati nel tentativo di recuperare e di
educare il soggetto in formazione senza così emarginarlo e, infine, che al minore devono
essere assicurati, in particolare in un contesto sempre più multiculturale come quello in cui
viviamo, spazi di autonomia e di libertà tali da far maturare in lui autentici valori di giustizia e
di solidarietà. Tali valori, infatti, oltre ad essere riconosciuti a ciascun individuo, possiedono
per i fanciulli un significato molto peculiare: contribuire alla formazione di una personalità
che si troverà a dover fare fronte alle numerose ed inaspettate sfide della vita.
Consideravo doveroso partire da tali premesse per ricordare che il dovere di
riconoscere un primato sui diritti di ogni bambino non derivi dal considerare il fanciullo come
un individuo costitutivamente debole, bensì dall’interpretare l’innocenza e la debolezza
(caratteristiche che sono proprie di un soggetto in formazione) come un dovere esplicito da
parte di ciascuno di essere in grado di impostare in modo adeguato -alle esigenze di un
minore- tutte le dinamiche e gli aiuti che coincidono con la preminente tutela dei suoi
interessi evitando, in tale modo, l’annullamento o il soffocamento dei legittimi interessi di cui
il bambino è portatore.
1) Portata giuridica del concetto di interesse del minore
Per meglio però comprendere la centralità e lo sviluppo del concetto in esame ritengo,
fin da ora, utile e doverosa una precisazione terminologica. Malgrado venga utilizzato il
5
In merito alla finalità educativo – riparativa a cui tende il processo penale minorile in Italia (disciplinato dal
d.p.r. 448/88) si consenta il rinvio a M. RIONDINO, The juvenile justice system in Italy (relazione presentata al
Congresso Internazionale “Developing tendencies of criminal law in Europe and in the USA” promosso dalla
facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Miskolc – Ungheria il 14 ottobre 2011), i cui atti sono in corso di
pubblicazione. Valga, altresì, il rinvio a ID., Per il minore autore di reato valutazioni ad hoc suddivise in quattro
fasi, in Famiglia e Minori – Guida al Diritto, 2010, pp. 74-78; ID., Giustizia riparativa e mediazione minorile, in
Apollinaris, 2009, pp. 447-466; ID., Justicia restaurativa y mediacion juvenil. La experiencia en Italia, in Nuove
Esperienze di Giustizia Minorile, 2009, pp. 27-40.
3
termine di interesse è d’obbligo rammentare che i beni inclusi come oggetto di protezione, nel
medesimo concetto, non sono riconducibili al significato solitamente attribuito alla categoria
dei meri interessi, cioè alle posizioni giuridiche soggettive di rango inferiore. Al contrario,
nella formulazione in esame, rientrano beni da proteggere che possiedono la categoria di
diritti soggettivi. Ne deriva, quindi, che dovrebbero essere denominati diritti dei minori, in
quanto il richiamo all’interesse del minore trova la sua origine nel considerare il fanciullo
come effettivo titolare di diritti universalmente riconosciuti quali la libertà, la salute,
l’istruzione e la formazione6. L’obbligo di garantire tali diritti deve essere perseguito anche
nel caso in cui si dovessero riscontrare situazioni di netta contrapposizione con gli interessi
degli adulti; ciò significa che agli adulti deve essere preclusa ogni azione atta a limitare lo
sviluppo di tali diritti inviolabili, purché il fanciullo abbia raggiunto quel grado minimo di
maturità necessario per la tutela autonoma dei suoi interessi.
Il diritto minorile, come è stato autorevolmente affermato, viene quindi a coincidere
con un “diritto dei diritti del minore”7 e cioè al vasto insieme di norme che raccolgono tutti
quei diritti che sono riconosciuti ad ogni cittadino e che assumono una particolare
caratteristica in rapporto alla peculiare situazione del suo destinatario (o titolare). Tale
peculiarità deriva dalla sua condizione di soggetto in formazione. Il diritto dei minori, quindi,
non si definisce più come un diritto che considera esclusivamente il comportamento che gli
adulti devono assumere verso i fanciulli, né tanto meno i doveri degli stessi fanciulli nei
confronti della comunità di appartenenza. Deve essere considerato come un diritto complesso,
fondato sui reali bisogni e sulle concrete esigenze di una personalità in evoluzione, avente per
oggetto l’identificazione degli strumenti (giuridici e sociali) necessari per rispondere alla
legittima aspirazione alla libertà. Tale aspirazione, nel caso del minore, necessita di mezzi
finalizzati ad assicurare appropriate condizioni di vita che consentano una graduale e
responsabile conquista verso la libertà.
Il concetto di interesse del minore risulta oggi il principio cardine su cui si fonda sia la
legislazione familiare e minorile sia la normativa sociale nella maggior parte dei paesi
6
Cfr. M. RIONDINO, Il minore di fronte alla giustizia, in Commentarium, 2006, pp. 154-155.
7
Cfr. M. DOGLIOTTI, Sul concetto di diritto minorile: autonomia, favor minoris, principi costituzionali, in Dir.
fam. pers., 1977, pp. 954 ss.
4
occidentali8. Il concetto in esame è espressamente sancito nella Convenzione delle Nazioni
Unite sui Diritti del fanciullo di New York del 1989 (ratificata e resa esecutiva in Italia
attraverso la L. 176/1991), nella Convenzione Europea sull’esercizio dei Diritti del fanciullo
di Strasburgo del 1996 (ratificata e resa esecutiva in Italia attraverso la L. 77/2003)9, nonché
nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea proclamata a Nizza nel 200010.
La Convenzione ONU sui diritti del bambino, di cui celebriamo il venticinquesimo
anniversario, risulta il trattato internazionale in materia di diritti umani che ha ottenuto il
maggior numero di ratifiche11 fatta eccezione (ad oggi) per gli Stati Uniti e la Somalia. Anche
la Santa Sede, pur formulando alcune riserve, in particolare sul ruolo che deve essere
garantito alla famiglia in tema di scelta educativa e religiosa, si annovera tra i primi soggetti
di diritto internazionale ad avere sostenuto e ratificato la Convenzione di New York in nome
proprio del superiore interesse del fanciullo, principio che trova nel secolare magistero della
Chiesa piena e responsabile accoglienza12.
8
Cfr. C. MCGLYNN, Families and the European Union, Cambridge, 2006, p. 42; E. M. MARTINEZ GALLEGO,
Matrimonio y Uniones de hecho, Salamanca, 2001, pp. 183-206; V. POCAR – P. RONFANI (a cura di), L’interesse
del minore nella legge e nella pratica. Esperienze nazionali a confronto, Milano, 1996, pp. 7-11; E. VERHELLEN,
Children’s Rights in Europe, in International Journal of Children’s Rights, 1993, pp. 357 ss.
9
Per approfondimenti cfr. M. R. SAULLE, Le dichiarazioni internazionali a tutela dei minori e la Convenzione
sui diritti del bambino, in G. BADIALI (a cura di), Raccolta di scritti in memoria di Agostino Curti Gialdino,
Napoli, 1991, pp. 258-259.
10
L’art. 24 della Carta proclamata a Nizza il 17 dicembre del 2000 (cfr. Gazzetta Ufficiale Comunità Europea
del 18/12/2000, pp. 1-22) così dispone: “I bambini hanno diritto alla protezione e alle cure necessarie per il
loro benessere. Essi possono esprimere liberamente la propria opinione; questa viene presa in considerazione
sulle questioni che li riguardano in funzione della loro età e della loro maturità. In tutti gli atti relativi ai
bambini, siano essi compiuti da autorità pubbliche o da istituzioni private, l’interesse superiore del bambino
deve essere considerato preminente. Ogni bambino ha il diritto di intrattenere regolarmente relazioni personali
e contatti diretti con i due genitori, salvo ciò sia contrario al suo interesse”.
11
Cfr. D. LAMBERTI DA SILVA, L’applicazione effettiva della Convenzione sui diritti dell’infanzia e
dell’adolescenza: il problema delle riserve, in L. CITARELLA – C. ZANGHÌ (a cura di), Il diritto d’ascolto del
minore, Roma, 2009, pp. 39-76; M. RIONDINO, L’interesse del minore come legittimazione e limite
dell’ordinamento in materia di educazione religiosa, in G. L. FALCHI – A. IACCARINO (a cura di), Legittimazione
e limiti degli ordinamenti giuridici. Atti del XIV Colloquio Giuridico Internazionale, Città del Vaticano, 2012,
pp. 623-633.
12
Sul magistero della Chiesa in tema di famiglia e di minori, cfr. M. RIONDINO, The family in the Magisterium of
Benedict XVI. Juridical Profile (relazione tenuta a Bucharest il 2 novembre 2011 in occasione dell’International
Congress: The Christian Family, a Blessing for the Church and for the Society) i cui atti sono in corso di
pubblicazione. Per la traduzione in lingua italiana, cfr. M. RIONDINO, La famiglia nel Magistero di Benedetto
XVI. Profili giuridici, in Commentarium, 2013, pp. 239-255.
5
Il ricordo, inevitabilmente, riporta la nostra memoria a quel lontano 20 novembre del
1989 quando, quasi a voler commemorare il bicentenario della Dichiarazione Universale dei
diritti dell’uomo e del cittadino, venne presentata all’approvazione dell’Assemblea Generale
delle Nazioni Unite la Magna Charta dei diritti del bambino: un corpus legislativo composto
da ben cinquantaquattro articoli che, ratificato dalla maggioranza assoluta dei Paesi, ha
modificato radicalmente il concetto giuridico sotteso alla figura del minore innovando, in
modo coraggioso e significativo, tutte quelle tutele già attribuite alla figura del bambino dagli
ordinamenti internazionali, il quale, in forza di questa nuova intesa tra i popoli, deve essere
considerato soggetto attivo di diritti e non più oggetto passivo che necessita di generiche cure
e tutele. In virtù di ciò che viene solennemente stabilito nella Convenzione, che ricordiamo
essere vincolante per gli Stati che l’hanno ratificata, ad ogni bambino deve essere garantito:
un livello di vita sufficiente per consentire il suo sviluppo fisico, mentale, spirituale, morale e
sociale (ex art. 27), il migliore stato di salute possibile nonché la possibilità di poter
beneficiare dei servizi medici e di riabilitazione (ex art. 24), la protezione contro ogni forma
di sfruttamento economico (ex art. 32), la possibilità di accedere ad una educazione e
formazione lavorativa in funzione delle capacità che gli sono proprie (ex art. 28). Accanto a
ciò la Convenzione stabilisce che il criterio del miglior interesse del minore, clausola da
adottare nel caso in cui si debbano prendere provvedimenti giurisdizionali e nella
predisposizione di percorsi di promozione e tutela da parte della Pubblica Amministrazione,
debba essere sempre considerato come prevalente
Come è noto, non spetta generalmente alle fonti normative definire i concetti; quelle di
rango internazionale hanno già svolto un importante ruolo, in quanto hanno favorito
l’impegno dei legislatori nazionali e della giurisprudenza -dei vari ambiti e livelli- che ha
cercato di considerare l’interesse del fanciullo come baricentro di tutta la normativa familiare
e minorile. Molti studiosi però sono concordi nell’affermare la concreta necessità di pervenire
ad una definizione esplicita dell’interesse del minore. Malgrado ciò, nessuna legislazione o
giurisprudenza è riuscita a fornire una definizione del concetto che abbia come fondamento
criteri oggettivi13. Ciò non dovrebbe sorprendere eccessivamente; l’interesse del minore, nelle
fonti giuridiche indicate, è una clausola di carattere generale che ex natura sua concede largo
spazio alla discrezionalità interpretativa. Può stupire, al contrario, la totale mancanza di criteri
13
Cfr. J. EEKELAAR, Child support: an evaluation, in Family Law, 1991, pp. 511 ss.
6
mirati a circoscrivere tale discrezionalità, eccezion fatta per il Regno Unito con il Children
Act del 1989, nel cui preambolo si statuisce che “quando una corte decide in merito a
qualsivoglia questione concernente la cura e l’educazione di un minore o l’attribuzione di
redditi che ne derivano, dovrà considerare il benessere del minore quale criterio preminente
di valutazione”14.
Nella cultura giuridica europea si è quindi assistito, pur con le naturali differenze che
rispondono alle peculiarità dei singoli stati, ad una nuova sensibilità verso la tutela giuridica
dei minori ed in particolar modo dei loro preminenti interessi; tale principio è divenuto fulcro
della regolazione giuridica sull’infanzia identificando, tale concetto, come principio ispiratore
dei rapporti tra la sfera pubblica e quella privata in ambito familiare15.
L’evoluzione ed i repentini cambiamenti in atto all’interno della famiglia, nella cultura
occidentale, sono un dato acquisito; l’attenzione degli studiosi, specialmente a partire dagli
anni settanta, si è concentrata nell’elaborare una concezione sempre più personalistica
dell’istituto matrimoniale e familiare16. Simile prospettiva si è identificata, col passare del
tempo, nella maggiore attenzione riposta sugli interessi dei singoli componenti del nucleo
familiare17. Tale concezione intende coniugare la dimensione istituzionale con la solidità delle
14
ID., L’interesse del minore nella legislazione sulla famiglia in materia di rapporti personali in Inghilterra e
Galles, in V. POCAR – P. RONFANI (a cura di), L’interesse del minore, pp. 135-165. Il Children Act del 1989 si
impegna concretamente a fornire una risposta circa il problema dell’indeterminatezza insita nel criterio in esame,
predisponendo una sorta di “lista di controllo” in cui sono elencati e commentati gli elementi a cui le Corti
devono riferirsi nel prendere decisioni in merito al fanciullo. Tali elementi sono: i desideri e le legittime
aspirazioni manifestate dal minore (anche in considerazione della sua età e maturità); i bisogni fisici, emozionali
e le sue esigenze educative; l’età, il sesso, l’ambiente in cui vive; i disagi oppure i pericoli che ha dovuto
affrontare o in cui potrebbe essere coinvolto, e infine la capacità dei genitori, o di qualsiasi persona che abbia
relazioni con il bambino, di soddisfare le sue legittime pretese e necessità, sempre in considerazione al suo
preminente ed esclusivo interesse.
15
Cfr. F. D’AGOSTINO, Credere nella famiglia, Cinisello Balsamo, 2010, 43-57; P. BRUKNER, L’era della quasi
- famiglia, in Il Sole 24 Ore, 14/12/2008, p. 29; L. CITARELLA, L’impegno internazionale di tutela dei diritti dei
minori, in F. MILANESE (a cura di), Bambini, diritti e torti, Udine, 2005, pp. 179-182; J. FORTIN, Children’s
Rights and the Developing Law, London, 2002, pp. 31 ss.; V. POCAR, La tutela del minore tra diritto e politiche
sociali, in AA. VV., La tutela del minore, pp. 13-22.
16
Cfr. T. AULETTA, Il diritto di famiglia, Torino, 2008, pp. 1-11; E. SCABINI, Mutamenti familiari e nuovi assetti
intergenerazionali, in R. BALDUZZI – I. SANNA (a cura di), Ancora Famiglia?, Roma, 2007, pp. 77-104; G.
GIACOBBE, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, Torino, 2006, pp. 43-44; G. FERRANDO, Manuale di
diritto di famiglia, Roma-Bari, 2005, pp. 3-20; V. POCAR – P. RONFANI, La famiglia e il diritto, Roma-Bari,
2003, pp. 31-48; A. BAINHAM Family Rights in Next Millennium, in Current Legal Problems, 2000, pp. 471 ss.;
R. O’BRIEN, Domestic partnership: recognition and responsability, in San Diego Law Review, 1995, pp. 163 ss.
7
relazioni simmetriche (tra coniugi) e asimmetriche (tra genitori e figli) proprie della famiglia
tutelando, con varie misure, che i legami giuridici intrafamiliari siano fondati su relazioni
personali e personalizzanti. A nessuno sfugge che questa concezione abbia comportato delle
conseguenze complesse e inquietanti rispetto alla stabilità del matrimonio, soprattutto, in
merito al mantenimento del vincolo coniugale18. Tuttavia, rispetto alla tutela dell’interesse del
minore, la concezione personalistica della famiglia risulta oggi un progresso indispensabile, di
cui debbono essere maggiormente apprezzati i vantaggi rispetto ai rischi. La famiglia infatti è
l’ambito all’interno del quale si determina il primo e più importante processo di
socializzazione del minore ed è proprio dalle relazioni, più o meno solide, tra i vari membri
che dipende lo sviluppo della sua personalità19.
La prospettiva personalistica sulla famiglia ha provocato, inoltre, l’integrazione e la
revisione dei consueti principi regolatori in merito alla tutela dei minori. Il principio
tradizionale, in ambito giuridico, è stato soprattutto quello della rappresentanza legale del
minore affidata al genitore, considerato come unico interprete e depositario delle necessità e
delle volontà dei figli, in forza della ormai secolare idea della coincidenza tra i suoi interessi e
quelli del fanciullo. L’evoluzione personalistica ha fatto emergere altresì l’esigenza di
affiancare, alla tradizionale rappresentanza legale, la garanzia della giusta autonomia del
minore.
17
Cf. G. DALLA TORRE, Matrimonio e famiglia, Roma, 2006, pp. 55 ss.; G. CAMPANATO, Il minore nei rapporti
familiari, in G. CAMPANATO – V. ROSSI – S. ROSSI, La tutela giuridica del minore, Padova, 2005, pp. 56-65.; L.
MENGONI, La famiglia nell’ordinamento giuridico italiano, in AA. VV., La famiglia crocevia della tensione tra
“pubblico” e “privato”, Milano, 1980, pp. 286 ss.; G. VISMARA, Il diritto di famiglia in Italia dalle riforme ai
codici, Milano, 1978, pp. 1-3; C. CARDIA, Il diritto di famiglia in Italia, Roma, 1975, pp. 13 ss.
18
Dopo un lungo e laborioso iter parlamentare -iniziato in sede di Commissione Giustizia della Camera il 5
maggio del 1966- con l’unificazione delle proposte di legge Fortuna e Baslini in un unico testo concordato,
proseguito con l’approvazione di quest’ultimo da parte della stessa Camera nella seduta del 28 novembre del
1969 e con le modificazioni apportate dal Senato al testo originale a seguito di un ampio dibattito che si è
concluso nella seduta del 9 ottobre del 1970, la legge n. 898 del 1 dicembre del 1970, recante la Disciplina dei
casi di scioglimento del matrimonio, viene definitivamente approvata dalla Camera dei Deputati nella seduta del
24 novembre del 1970. Per maggiori approfondimenti, cfr. V. DE MARTINO – E. PROTETTÌ – M. TADDEUCCI – M.
TONDO, Scioglimento del matrimonio. Commento teorico-pratico alla L. 898/1970, Roma, 1971, pp. 3-161. In
seguito alla modifica dell’art. 149 cod. civ., che ammetteva solo la morte di uno dei coniugi come causa di
scioglimento del vincolo matrimoniale, la L. 898/79 ha introdotto nell’ordinamento italiano l’istituto del divorzio
o scioglimento inter vivos del rapporto matrimoniale, fattispecie già presente in altre realtà europee; cfr. G.
BRUNELLI, Divorzio e nullità di matrimonio negli Stati d’Europa, Milano, 1959.
19
Cfr. C. M. MARTINI, Famiglia e politica, in Aggiornamenti sociali, 2001, pp. 250-263.
8
Le scienze umane, in particolare la psicologia, hanno arricchito la comprensione della
condizione del fanciullo come soggetto in evoluzione-formazione, quindi bisognoso di aiuto e
di tutela, fino al suo inserimento autonomo nella società20. Il contributo principale di tali
discipline consiste nello svelare che le varie esigenze del minore, in ciascuna delle sue fasi
evolutive,
non
possono
essere
lasciate
all’improvvisazione
ma
richiedono
una
programmazione saggia ed una puntuale verifica. In tal senso, nella nozione di interesse del
minore è implicita la necessaria progettualità (da parte del legislatore) insita nel concetto
stesso: l’attività giurisdizionale si fonda quindi in un progetto ancorato nell’impegno concreto
di favorire lo sviluppo del minore in vista di un suo maturo e responsabile inserimento nella
comunità sociale.
I diritti e gli interessi, di cui il fanciullo è legittimo titolare, non vengono più intesi
come subordinati esclusivamente ai diritti ed agli interessi della sua famiglia di origine, bensì
in rapporto a ciò che il minore necessita in quel determinato momento. Questa è la
conseguenza concreta del graduale processo che ha condotto a non considerare più il fanciullo
come un soggetto debole e immaturo, ma come un vero cittadino portatore di concreti diritti
soggettivi. Tale sguardo innovativo obbliga a favorire, in dottrina e in giurisprudenza, ogni
sostegno finalizzato ad una crescita del minore fornendogli, in tal modo, tutti gli strumenti
necessari per divenire maturo protagonista della sua storia e del suo futuro21.
2) La normativa internazionale in materia minorile
Nella legislazione internazionale del secolo scorso si apprezza l’evoluzione testé
indicata; prima di essa, la posizione del minore era stata da sempre collocata in una zona
d’ombra, sia per ciò che concerne la sua personalità, sia in riferimento alla sua tutela. Non
sono trascorsi molti anni da quando, in senso giuridico, il fanciullo era considerato
fondamentalmente alla stregua dei malati e degli inabili, cioè non in grado di agire in modo
autonomo. Tale interpretazione dipendeva dall’idea di totale subordinazione del minore nei
20
Cfr. G. DE LEO – P. PATRIZI, La formazione psicosociale per gli operatori della giustizia, Milano, 1995, pp.
69-79; J. GOLDSTEIN – A. FREUD – A. J. SOLNIT, Beyond the best interests of the child, New York, 1979, pp. 928.
21
Cfr. A. C. MORO, La Convenzione ONU quindici anni dopo, in F. MILANESE (a cura di), Bambini, diritti, p.
51; J. DEWAR, Law and the Family, London, 1992, pp. 469-474; J. EEKELAAR, Parental Responsability: state of
nature or nature of state?, in Journal of Social Welfare and Family Law, 1991, pp. 37 ss.
9
confronti dei genitori22. La concezione nuova che soggiace alla normativa internazionale
rende ragione del lungo cammino compiuto volto a promuovere, garantire e tutelare, il minore
come vero cittadino23.
Nell’ambito dell’ordinamento internazionale la tutela dei minori e dei loro interessi fu
affrontata, per la prima volta, nel periodo immediatamente successivo all’industrializzazione.
Ciò si spiega in quanto il concetto in sé di interesse del minore era strettamente correlato allo
sfruttamento dei fanciulli nel mondo del lavoro24. Agli inizi del secolo scorso, in seno alla
Conferenza Internazionale di Diritto Privato svoltasi all’Aja nel 1902 emerse, con forza,
l’urgenza di favorire una nuova sensibilità verso il minore lavoratore.
Ulteriore traguardo in materia minorile si raggiunse ad opera dell’Organizzazione
Internazionale del Lavoro (OIL) che nel 1919, anno della sua fondazione, si impegnò a
promuovere lo sviluppo minorile in materia internazionale con particolare attenzione
all’accesso del minore al mondo del lavoro25, nonché alla sua tutela sociale e previdenziale.
Alla Convenzione del 1919 sono susseguiti numerosi atti normativi che hanno rappresentato
un sistema strutturato di tutela dei minori lavoratori26. Il primo tentativo di elaborare uno
22
Cfr. J. MILES, Mind the Gap: Child Protection, Statutory Interpretation and the Human Rights Acts, in
Cambridge Law Journal, 2001, pp. 499 ss.; M. FERNANDEZ SANZ, La politica infantil en Espana, Madrid, 1991,
pp. 5 ss.; P. BOUCHAD, La protection de l’enfant en Europe, in Annuaire Europeen, 1990, pp. 21 ss; J.
GOLDSTEIN – A. FREUD – A. J. SOLNIT, Before the best interests of the child, New York, 1979, pp. 111-129.
23
Cfr. A. C. MORO, Manuale di diritto, pp. 11-14: P. DAVID, Sui motivi per cui i diritti dei bambini rimangono
una sfida, in V. BELLOTTI – R. RUGGIERO (a cura di), Vent’anni di infanzia, Milano, 2008, pp. 89-93.
24
Cfr. M. R. SAULLE, I diritti del minore nell’ordinamento internazionale, in M. R. SAULLE (a cura di), La
Convenzione dei diritti del minore e l’ordinamento italiano, Napoli, 1994, pp. 11-15.
25
Cfr. T. TREU, Il minore nel diritto del lavoro, in Dir. fam. pers., 1982, pp. 292 ss.
26
Per approfondimenti cfr. L. SINISCALCHI, Le Convenzioni dell’OIL e la legge italiana sulla tutela del lavoro
dei minori, in M. R. SAULLE (a cura di), La Convenzione dei, pp. 87-115. Nella sua analisi l’A. evidenzia che le
Convenzioni dell’OIL si possano dividere principalmente in tre gruppi. Il primo gruppo comprende tutte quelle
Convenzioni destinate a determinare le diverse età di avviamento al lavoro dei fanciulli; la prima è la
Convenzione 5/1919 (che innalzava l’età minima di accesso al lavoro industriale dai quattordici ai quindici anni),
per approdare successivamente ad altri documenti normativi volti a disciplinare altre categorie di impiego come,
per esempio, l’età minima di avvio dei fanciulli al lavoro agricolo, a quello forestale, a quello marittimo fino a
quello sotterraneo nelle miniere. Solo agli inizi degli anni settanta l’OIL adottò la Convenzione 138/1973 in cui “
gli Stati membri si impegnavano a perseguire una politica nazionale che tendesse ad assicurare l’abolizione
effettiva del lavoro dei fanciulli e ad elevare progressivamente l’età minima di ammissione all’impiego o al
lavoro che permetta agli adolescenti di raggiungere il più completo sviluppo fisico e mentale” (art.1). Il secondo
gruppo di Convenzioni comprende per lo più limiti presenti nella “ratio” e negli scopi richiesti dalla tutela dei
minori che si avviano al lavoro; vengono fissate altresì le diverse tipologie di lavoro industriale alle quali
10
statuto organico dei diritti dei minori risale al 1924 quando la Società delle Nazioni,
fortemente incoraggiata da movimenti nati prevalentemente nella realtà e nella cultura
giuridica anglosassone, approvò la Dichiarazione dei Diritti del fanciullo di Ginevra che, per
la prima volta, sanciva alcuni diritti fondamentali da garantire al minore in vista di una sua
armonica crescita27. Trattandosi di una Dichiarazione Internazionale, alla quale si conferisce,
come è noto, valore meramente programmatico, i diritti ivi sanciti risultavano privi di
qualsiasi effetto giuridico obbligatorio nei confronti degli Stati.
Proprio per i precedenti normativi di ambito internazionale ora ricordati, risulta
paradossale e sconcertante che nella Dichiarazione Universale dei diritti dell’Uomo del 1948,
con cui le Nazioni Unite raccoglievano la dolorosa e drammatica eredità della seconda guerra
mondiale, non sia stato riservato uno spazio autonomo e proprio alla figura del minore,
concepito unicamente in relazione alla famiglia di origine. Si deve ricordare che simile
impostazione, già all’epoca della Dichiarazione, era in declino in quanto ancorata all’arcaica
logica del loro essere figli.
Forse per tale segno di involuzione, in seguito, si accentuò la necessità di elaborare un
trattato internazionale e organico che prevedesse una puntuale elencazione dei diritti del
minore, colmando così le lacune presenti nella Dichiarazione di Ginevra del 1924. Fu proprio
l’ONU che elaborò una nuova Dichiarazione dei diritti del fanciullo (anch’essa dotata di
valore meramente programmatico e priva di efficacia giuridica vincolante), approvata
all’unanimità dall’Assemblea delle Nazioni Unite riunita a New York il 20 novembre del
195928. I principi riconosciuti nella Dichiarazione in analisi, pur non essendo esigibili nei
possono accedere i fanciulli nonché le limitazioni al lavoro notturno (cfr. le Convenzioni 79/1946 e 90/1948).
Infine le Convenzioni del terzo gruppo si caratterizzano per un impegno, richiesto agli stati, in merito alla tutela
preventiva dei minori da avviare al lavoro stabilendo le modalità cliniche per valutare la loro attitudine psicofisica ( cfr. le Convenzioni 77/1946 e 124/1965).
27
Nella Dichiarazione di Ginevra del 1924 il fanciullo viene considerato come destinatario di particolari
attenzioni in quanto soggetto che necessita di tutela; tra i diritti fondamentali da riconoscere e garantire al minore
si può annoverare l’impegno da parte degli Stati di favorire una normale ed adeguata crescita psico-fisica, di
ottenere adeguati aiuti e sostegni in caso di necessità o disadattamento, di ottenere una educazione di base che
contribuisca alla sua cultura generale sviluppando tutte quelle facoltà atte ad assumere un senso di responsabilità
e di maturità, ad essere protetto da ogni forma di discriminazione razziale, etnica o religiosa, nonché il diritto a
condurre un regolare processo di socializzazione con i coetanei. Per approfondimenti rimando a M. R. SAULLE, I
diritti del minore, pp. 24-25.
28
La Dichiarazione del 1959 è suddivisa in dieci principi fondamentali; 1) l’ enunciazione sulla non
discriminazione - nell’accezione più ampia del termine - dei minori; 2) il diritto a ricevere una adeguata tutela
11
singoli ordinamenti, rendono concreti alcuni valori insiti nei vari sistemi giuridici e mettono
in evidenza un diffuso riconoscimento dei diritti e degli interessi del minore. Nell’art. 7,
inoltre, si richiama esplicitamente il ruolo familiare affermando che “l’interesse superiore del
fanciullo deve essere la guida di coloro che hanno la responsabilità della sua crescita ed
educazione: questa responsabilità ricade in primo luogo sulla famiglia”.
L’evoluzione fin qui delineata e la lunga strada percorsa, dalla normativa in analisi, ha
contribuito a “preparare il terreno” per la stipulazione di accordi internazionali aventi
efficacia vincolante per gli Stati come la Convenzione delle Nazioni Unite sui Diritti del
fanciullo di New York del 1989 che raccoglie, in forma unitaria, i diritti civili, politici,
economici, sociali e culturali che si devono riconoscere ad un soggetto in formazione29. Il
principio generale, canone interpretativo di tutti gli istituti giuridici a tutela di un fanciullo,
viene quindi a coincidere con l’interesse supremo del fanciullo, di cui l’art. 3 fa esplicito
richiamo:
“In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza sia delle istituzioni pubbliche
o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi
legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.
per consentire lo sviluppo fisico, intellettuale, morale, spirituale e sociale in condizioni di libertà e di dignità; 3)
il diritto al nome ed alla nazionalità; 4) il diritto alla sicurezza sociale, alle cure mediche adeguate,
all’alimentazione, alla salute…; 5) ricevere il trattamento, l’educazione e le cure speciali in caso di minorazione
fisica; 6) il diritto a svilupparsi e crescere sotto le cure e le responsabilità dei suoi genitori in un clima di affetto e
serenità; 7) il diritto a ricevere una educazione (elementare) che dovrà essere gratuita ed obbligatoria
consentendogli di sviluppare le sue coti e la sua personalità; 8) il diritto alla protezione ed al soccorso in via
prioritaria; 9) il diritto a ricevere protezione contro ogni forma di negligenza, crudeltà o sfruttamento in
particolare nell’ambito lavorativo; 10) il diritto ad essere protetto contro pratiche discriminatorie per motivi
razziali, religiosi ed essere educato secondo uno spirito di comprensione, di tolleranza, di pace e di fratellanza
universale.
29
La proposta di adottare una specifica Convenzione, che avesse per oggetto i diritti dei minori, fu introdotta dal
governo polacco durante la trentacinquesima sessione della Commissione diritti umani delle Nazioni Unite che si
celebrò in Polonia nel 1978. In questo contesto socio-politico la Commissione istituì un working-group
(composto da esperti in materia familiare e minorile degli stati rappresentanti) per la stesura di una Convenzione
sui diritti dei bambini. Il primo incontro si svolse nell’Anno Internazionale del Bambino (1979); il gruppo di
esperti dei quarantatre Stati si riunì annualmente con modalità stabilite autonomamente fino al 1988, anno in cui
venne ultimata la stesura della Convenzione ONU sui Diritti del Fanciullo. Per approfondimenti sul lungo
processo che ha visto impegnati gli Stati per un decennio, cfr. N. CANTWELL, The origins, development and
significance of the United Nations Convention on the Rights of the Child, in S. DETRICK (a cura di), The United
Nations Conventions on the Rights of the Child, London, 1992, pp. 19-30; A. C. VAN GYSEL, L’interet de
l’enfant, principe generale de droit, in Revue ganerale de droit belge, 1988, pp. 186 ss; J. EEKELAAR, The
emergence of Children’s Rights, in Oxford Journal of Legal Studies, 1986, pp. 161 ss.
12
Appare evidente, dalla chiara formulazione dell’art. 3, che il criterio del preminente
interesse risulti indirizzato a regolare in particolare tutte quelle situazioni giuridiche in cui gli
interessi del fanciullo siano in opposizione con gli interessi di altri soggetti a lui contrapposti;
conseguenza immediata risulta quindi il riconoscimento al minore di uno status autonomo ed
indipendente rispetto a quello degli adulti nonché di un impegno, da parte degli Stati, di
assumere l’obbligo di far rispettare a tutti i diritti sanciti.
Per la prima volta si pone l’accento sulla necessità di favorire lo sviluppo armonico
della personalità del minore dotato di legittime aspirazioni, potenzialità e caratteristiche che
dovranno essere rispettate dagli adulti e dalla comunità sociale30. In questa prospettiva emerge
un palese richiamo affinché ogni adulto si impegni a contribuire non solo alla armonica
crescita del minore ma, in particolare, alla sua realizzazione personale limitandone ansie,
paure e incertezze in modo da rendere meno difficile un suo maturo e responsabile
inserimento nella società31. Fiducia, sicurezza e disponibilità vengono ad essere prerogative
fondamentali da garantire a ogni bambino, prerogative che lo aiuteranno a una solida
costruzione del suo destino non solo come uomo, bensì come responsabile cittadino in grado
di rispondere alle molteplici sfide che si troverà a dover fronteggiare.
Ulteriore menzione, circa il supremo interesse del minore, viene fatta all’art. 9 della
Convenzione ONU dove si afferma il diritto del fanciullo di intrattenere regolarmente
relazioni con entrambi i genitori, purché ciò non sia contrario ai suoi preminenti interessi; si
prevede altresì che gli Stati parti vigilino affinché il bambino non sia separato dai suoi
genitori contro la loro volontà a meno che, sempre nel rispetto delle leggi procedurali,
l’allontanamento risulti necessario nel suo preminente interesse. Ciò significa che la
30
Cfr. V. BUONOMO, A vent’anni dalla Convenzione sui diritti del fanciullo, in Asprenas, 2010, pp. 49-69; M.
FREEMAN, Why it remains important to take Children’s Rights seriously, in The International Journal of
Children’s Rights, 2007, pp. 5-23; L. FADIGA (a cura di), Una nuova cultura dell’infanzia e dell’adolescenza.
Scritti di Alfredo Carlo Moro, Milano, 2006, pp. 129-142; P. STANZIONE, Personalità, capacità e situazioni
giuridiche del minore, in Dir. fam. pers., 1999, pp. 260 ss.
31
L’attenzione e lo sviluppo della personalità del minore emerge come priorità nella Convenzione ONU del 1989
(cfr. art. 29, lett. a). Per approfondimenti cfr. A. BOWERS ANDREWS, Assicurare adeguate condizioni di vita per
lo sviluppo, in V. BELOTTI – R. RUGGIERO (a cura di), Vent’anni, pp. 173-186; J. QVORTRUP, I bambini e
l’infanzia nella struttura sociale, in H. HENGST – H. ZEIHER (a cura di), Per una Sociologia dell’Infanzia,
Milano, 2004, pp. 25-44; M. FREEMAN, The future of Children’s Rights, in Children and Society, 2000, pp. 277293.
13
possibilità di intrattenere regolarmente rapporti e relazioni con entrambi i genitori non dovrà
limitare, in alcun modo, il suo naturale e graduale sviluppo psico-fisico.
Da quanto si è detto emerge che definire l’interesse del minore necessiti di una previa
e motivata analisi della situazione personale in cui il fanciullo si trova a vivere; risulta
implicito quindi che tale criterio deve potersi modellare in rapporto alle concrete realtà
storiche e sociali nonché ai mutamenti culturali ed ambientali che fanno da corollario nella
vita del fanciullo. Ancora una volta è opportuno ribadire come si debba giungere alla
formulazione circa il reale interesse del minore favorendo il contributo offerto dalle scienze
umane, superando così eventuali lacune che possano derivare da una lettura meramente
giuridica del concetto in esame.
In conclusione, si può affermare che la Convenzione del 1989 renda testimonianza non
solo di un esplicito impegno sociale a tutela dei minori, ma anche di un autonomo
riconoscimento giuridico finalizzato a stabilire il preminente interesse come criterio
prevalente e unico da rispettare32.
La Convenzione europea di Strasburgo del 1996 oltre che specificare alcuni principi
già contenuti nella Convenzione ONU del 1989 -come l’importanza della famiglia nella
promozione dei diritti e degli interessi dei fanciulli- richiama, nel Preambolo, il preminente
ruolo di riconoscere l’esclusività ai genitori nella tutela e nella promozione dei diritti e degli
interessi dei figli, invitando gli Stati a promuovere politiche atte a favorire la famiglia33. Si
riconosce altresì al minore la “possibilità di partecipare (in prima persona o attraverso terzi)
ai procedimenti che lo riguardano, quelli cioè in materia familiare e relativi all’esercizio
delle responsabilità genitoriali” (art. 1); il diritto quindi ad essere informato e ad esprimere la
32
Sulla nozione di interesse del minore sono state avanzate, nel corso degli anni, non poche critiche. In Francia
il giurista J. Carbonier definiva il concetto in esame come una “nozione magica”, analogamente a quanto
sostiene la sociologa francese I. Théry identificando l’interesse del minore ad una “pozione magica”; in Italia G.
Dosi accomuna la nozione ad una sorta di “passepartout discrezionale”. Per una approfondita analisi sulle
critiche formulate, cfr. P. RONFANI, L’interesse del minore: dato assiomatico o nozione magica?, in Sociologia
del diritto, 1997, pp. 27-54.
33
Cfr. L. FADIGA (a cura di), Una nuova cultura, pp. 143-148. In Italia l’urgenza di favorire politiche a tutela
della famiglia e dei minori ha trovato espressione in alcuni provvedimenti legislativi, tra cui la L. 285/1997 sulle
Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l’infanzia e l’adolescenza e la L. 451/1997
sull’Istituzione della Commissione parlamentare per l’Infanzia e dell’Osservatorio nazionale per l’infanzia.
14
propria opinione nei procedimenti davanti all’autorità giudiziaria (art. 3) è una delle conquiste
a tutela dell’infanzia di cui si è fatta eco la Convenzione di Strasburgo del 1996.
La Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea del 2000, dopo aver
solennemente enunciato, nel Preambolo, i principi su cui si fonda la nostra comunità, si
sviluppa in 54 articoli in cui emergono valori comuni quali la dignità, la libertà,
l’uguaglianza e la solidarietà che, lungo i secoli, hanno accompagnato la cultura occidentale.
Tali valori impegnano i popoli europei a creare tra loro un legame sempre più solido
nell’intenzione comune di contribuire all’edificazione “di un futuro di pace fondato nella
consapevolezza del suo patrimonio spirituale e morale”. L’art. 7 della Carta di Nizza si
impegna altresì a rispettare la vita privata e familiare garantendo, in tal modo, una tutela verso
ingiustificate ingerenze esterne concedendo alla famiglia maggiori spazi di autonomia nei
confronti dei pubblici poteri34.
Ma è l’art. 24 che sancisce i diritti fondamentali del bambino riconoscendo il suo
preminente interesse rispetto a quelli degli adulti. Oltre ad enunciare il diritto alla protezione
e alle cure, si garantisce al fanciullo il naturale diritto a perseguire il suo legittimo benessere:
concetto che non si limita solo alla salute fisica o psichica bensì all’obbligo di favorire e
tutelare un suo integrale e armonico sviluppo. Successivamente si riconosce al minore il
diritto a esprimere liberamente la propria opinione, la quale sarà presa in considerazione
tenendo presente dell’età e della maturità. Infine si ribadisce che qualsiasi atto compiuto da
autorità pubbliche o da istituzioni private dovrà tenere in considerazione il preminente
interesse del bambino come unico criterio35, modalità che dovrà essere adottata anche per
garantire il diritto di intrattenere relazioni con entrambi i genitori (nell’ipotesi in cui la
convivenza familiare venisse a cessare).
34
Cfr. G. FERRANDO, Manuale di diritto, pp. 218-219; C. MCGLYNN, Families and the European, pp. 174-175.
35
Cfr. P. F. LOLITO, Commento all’art. 24, in R. BIFULFO – M. CATALBIA – A. CELOTTO (a cura di), L’Europa
dei diritti. Commento alla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, Bologna, 2001, pp. 185 ss.
15
3) L’interesse del minore nella legge italiana sull’affidamento condiviso
L’affidamento dei figli, in seguito alla separazione dei coniugi, è disciplinato dagli
artt. 155-155 sexies c.c., nel testo introdotto dalla legge 8 febbraio 2006 n. 54, recante
Disposizioni in materia di separazione dei genitori e affidamento condiviso dei figli. Tale
provvedimento legislativo risulta l’approdo di un lungo ed atteso iter volto ad adeguare la
normativa italiana, sebbene solo parzialmente, alla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo
di New York del 1989, alla Convenzione Europea sull’esercizio dei diritti del fanciullo di
Strasburgo del 1996 e, ancor di più, alla Convenzione adottata dal Comitato dei ministri del
Consiglio d’Europa il 3 maggio del 2003 a Vilnius (Lituania), diretta a garantire la piena
titolarità del fanciullo a mantenere contatti con entrambi i genitori36. La Novella in esame
capovolge quindi il precedente regime codicistico italiano, in cui l’affidamento
monogenitoriale, esclusivo ed obbligatorio, rappresentava la regola generale37; in tale forma
viene recepito il principio fondamentale secondo cui il minore ha diritto di crescere e di essere
educato nell’ambito della propria famiglia (già sancito in Italia dalla L. 184/1983, novellato
successivamente dalla L. 149/2001). Esula dal tema oggetto del presente contributo lo studio
della L. 219/2012 recante disposizioni in materia di riconoscimento dei figli naturali (e del
successivo D.lgs. 154/2013), sebbene la ratio sottesa alle riforme adottate in vista di una
eliminazione di qualsivoglia discriminazione dei figli naturali sia da annoverarsi tra i più
recenti e meritevoli progressi in tema di interesse del minore.
36
Si consenta il rinvio a M. RIONDINO, La tutela degli interessi del cittadino fanciullo e i suoi diritti soggettivi,
in Famiglia e Minori – Guida al Diritto, 2010, pp. 89-90.
37
In tema di affidamento dei figli minori, precedente alla L. 54/2006, appare significativa una pronuncia della
Corte di Cassazione dove si affermava che il giudice della separazione e del divorzio “… deve attenersi al
criterio fondamentale – posto per la separazione dal legislatore della riforma del diritto di famiglia nell’art.
155, comma 1, c.c. (che ha esplicitamente codificato un principio costantemente adottato in precedenza dalla
giurisprudenza e dalla dottrina), e per il divorzio, dall’art. 6 della L. 898/1970 – rappresentato dall’esclusivo
interesse morale e materiale della prole, privilegiando quel genitore che appaia il più idoneo a ridurre al
massimo i danni derivanti dalla disgregazione del nucleo familiare e ad assicurare il migliore sviluppo possibile
della personalità del minore. In tale prospettiva consegue da un lato che la stessa regolamentazione del c.d.
diritto di visita del genitore non affidatario debba far conto del profilo per cui un tale diritto si configuri esso
stesso come uno strumento in forma affievolita o ridotta per l’esercizio del fondamentale diritto-dovere di
entrambi i genitori, di mantenere, istruire ed educare i figli, il quale trova riconoscimento costituzionale
nell’art. 30, comma 1, Cost., e viene posto dall’art. 147 c.c., tra gli effetti del matrimonio…” (Cass. 19/04/2002,
n. 5714, in Famiglia e Diritto, 2002, p. 6).
16
La nuova disciplina si caratterizza, anzitutto, per il fatto di non essersi limitata
esclusivamente a sancire il principio dell’affidamento condiviso; il testo riformato dell’art.
155, comma 1, non solo stabilisce che anche in caso di separazione personale dei coniugi il
figlio abbia il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi
ma, altresì, che il minore stesso abbia diritto di conservare rapporti significativi con gli
ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale38. Con la L. 54/2006 il Legislatore,
anche sulla scorta di orientamenti emersi in sede internazionale, ha inteso riconoscere e
attuare pienamente il diritto del minore ad un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi
i genitori39, prevedendo la loro partecipazione attiva nella vita del figlio anche
successivamente alla disgregazione del nucleo familiare abbandonando, in tale modo, la
tradizionale distinzione di ruoli tra genitore affidatario e genitore non affidatario40. Anche a
livello europeo, infatti, a decorrere dal 1 marzo 2005 si è dato luogo all’applicazione delle
disposizioni del regolamento CE del Consiglio n. 2201/2003, relativo alla competenza, al
riconoscimento e all’esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e di responsabilità
genitoriale. La caratteristica innovativa di tale regolamento risiede proprio nel passaggio
dall’istituto della potestà dei genitori a quello, nuovissimo, della responsabilità genitoriale,
privilegiando l’aspetto degli obblighi dei genitori nell’interesse esclusivo dei figli41.
38
Cfr. S. PATTI – L. ROSSI CARLEO, L’affidamento condiviso dei figli, Milano, 2006; T. AULETTA, I figli nella
crisi familiare, in Famiglia, 2007, pp. 39 ss.; G. GIACOBBE, L’affidamento condiviso dei figli nella separazione e
nel divorzio, in Dir. fam. pers., 2006, pp. 707 ss; B. DE FILIPPIS, L’affidamento condiviso dei figli nella
separazione e nel divorzio, Padova, 2006, pp. 61-97; L. NAPOLITANO, L’affidamento dei minori nei giudizi di
separazione e di divorzio, Torino, 2006; G. MORANI, L’affidamento della prole nelle crisi familiari: l’attuale
disciplina normativa, in Dir. fam. pers., 2009, pp. 358-370. In tema di diritti del minore ad intrattenere rapporti
con membri del ramo parentale diversi dai genitori ma, pur sempre, fondamentali per contribuire ad una crescita
armonica del fanciullo, cfr. C. M. BIANCA, Il diritto del minore all’amore dei nonni, in Riv. dir. civ., 2006, pp.
155-174.
39
Cfr. G. BALLARANI, La capacità autodeterminativa del minore nelle situazioni esistenziali, Milano, 2008, pp.
40-43.
40
Nel sistema previgente (Riforma del diritto di famiglia adottata con la legge n. 151/1975) la Novella
consentiva originariamente solo il cd. affidamento individuale al genitore che appariva più idoneo, secondo una
attenta valutazione del giudice, a ricoprire il ruolo di genitore affidatario. La normativa riformata dalla legge n.
74/87, in particolare all’art. 6, comma 2, contemplava la possibilità di disporre l’affidamento congiunto e quello
alternato, quali possibili variazioni rispetto all’affidamento monogenitoriale, in un quadro di condivisione delle
comuni responsabilità educative riguardo ai figli per i coniugi divorziati. La norma in esame, dettata per il
divorzio, era ritenuta applicabile anche nelle separazioni, non essendo possibile rinvenire tra le due disposizioni
alcuna differenza nella ratio, identificabile esclusivamente nel voler garantire ai figli la possibilità di non perdere
la vicinanza e di mantenere il rapporto educativo con entrambi i genitori; cfr. M. DOGLIOTTI, L’affidamento della
prole nella separazione e nel divorzio, in Giust. Civ., 1988, pp. 283 ss. Per ulteriori approfondimenti cfr. M.
SESTA, Manuale di diritto di famiglia, Padova, 2011, pp. 170-171.
41
Cf. P. STANZIONE – G. SCIANCALEPORE, Minori e diritti fondamentali, Milano, 2006, pp. 32-34.
17
Dalla normativa italiana risulta quindi significativo che ciascun provvedimento
relativo all’affidamento, in primo luogo a quello condiviso, è emanato con esclusivo
riferimento alla attuazione del diritto del figlio alla bigenitorialità, in quanto la legge non
prevede un corrispondente diritto in capo ai genitori; in tale ottica la L. 54/2006, in linea con i
principi sanciti dalla Convenzione ONU sui diritti del fanciullo di New York del 1989 (in
particolare all’art. 9), interviene con lo scopo di favorire un equilibrato e sereno rapporto con
entrambi i genitori anche in caso di dissoluzione dell’unità familiare42. Autorevole dottrina
riconosce a tale principio un profilo di singolare importanza: ai sensi dell’art. 4, comma 2,
della legge sull’affido condiviso, infatti, le disposizioni ivi contenute si applicano anche in
caso di scioglimento, di cessazione degli effetti civili e di nullità del matrimonio, nonché ai
procedimenti relativi ai figli di genitori non coniugati. Tale previsione, pur non trovando
collocazione all’interno del codice civile, colma una lacuna del sistema italiano che, in
precedenza, non contemplava norme per la regolamentazione della dissoluzione della
convivenza di genitori non coniugati, neppure con riguardo all’affidamento dei figli43.
L’art. 155, comma 2, entra nel merito della dinamica tra affido condiviso ed esclusivo
e precisa, in primo luogo, che per realizzare la finalità sottesa alla norma in questione, cioè il
mantenimento (da parte del minore) di un rapporto equilibrato e continuativo con entrambi i
genitori, il giudice che si trovi a pronunciare la sentenza di separazione dei coniugi adotti i
provvedimenti relativi ai figli con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di
essi. In tale modo si affronta l’aspetto centrale e peculiare della disciplina, elevando a rango di
regola giuridica che il giudice valuti prioritariamente la possibilità che i figli (di minore età)
siano affidati ad entrambi i genitori stabilendo, al contempo, i tempi e le modalità di cura e di
permanenza del bambino con questi ultimi. Il comma 2, stabilisce altresì che il giudice debba
prendere atto, prima della pronuncia, degli accordi intervenuti tra i genitori, purché non siano
contrari all’interesse dei figli. Condividere l’affidamento di un figlio significa che entrambi i
genitori si assumono la responsabilità, a prescindere dalla soluzione abitativa adottata,
ricercando ed elaborando una comune e condivisa linea educativa ed affettiva per i figli.
42
Valga il rinvio a M. RIONDINO, L’interesse supremo del fanciullo guida la tutela concreta, in Famiglia e
Minori – Guida al Diritto, 2009, pp. 91-94; E. CECCARELLI, Diritti dei minori, diritti delle famiglie e ruolo delle
istituzioni, in AA. VV., Ricostruire genitorialità, Milano, 2008, pp. 13-15.
43
Cfr. M. SESTA, Manuale di diritto di famiglia, pp. 172 ss.
18
La norma che attribuisce rilevanza e preminenza agli accordi dei genitori deve essere
letta in connessione con quella dell’art. 155 sexies, comma 2, secondo cui il giudice qualora
ne ravvisi l’opportunità, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei
provvedimenti di cui all’art. 155 c.c. per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti,
tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela
dell’interesse morale e materiale dei figli44. In tale modo si fa esplicito richiamo, dopo anni di
inspiegabile silenzio, alla possibilità di ricorrere alla mediazione familiare; come è noto tale
possibilità, normativamente prevista, è presente già da parecchi in molti paesi europei e
transfrontalieri45.
Come è stato evidenziato in precedenza, il Legislatore ha sancito che ogni
provvedimento deve essere assunto nell’esclusivo interesse morale e materiale dei figli
privilegiando il diritto del fanciullo alla bigenitorialità la quale, tuttavia, non esaurisce il
concetto di interesse del minore; tale concetto, universalmente riconosciuto, viene individuato
dalla norma nel favorire che il fanciullo possa crescere ed essere educato da entrambi i
genitori. Proprio per questo motivo si prevede, all’art. 155 bis che il giudice disponga
l’affidamento ad uno solo dei genitori quando ritenga, anche d’ufficio e con provvedimento
motivato, che l’affidamento all’altro coniuge sia contrario all’interesse del minore stesso46. In
merito al concetto di bigenitorialità risulta obbligatoria una, seppur breve, precisazione: sotto
il profilo del suo significato culturale e sociale, tale affermazione merita notevole
apprezzamento in quanto non solo risulta essere espressione di un principio di civiltà diffuso
44
Non solo nel diritto degli stati vi sono espressi richiami alla mediazione ed alla possibilità, da parte del
giudice, di ricorrere alla conciliazione tra le parti, ma anche nel diritto della chiesa; nell’ordinamento canonico,
infatti, si prevede espressamente che il giudice ecclesiastico, non esclusivamente all’inizio della lite, ma in
qualsiasi stato e grado del giudizio ed ogni qualvolta intraveda una minima possibilità di esito favorevole, esorti
le parti assistendole affinché si sforzino nel cercare un comune accordo, avvalendosi anche della mediazione di
persone autorevoli (can. 1446 CIC). Cfr. M. J. ARROBA CONDE, Diritto processuale canonico, Roma, 2012, .
586-588; si consenta, inoltre, il rinvio a M. RIONDINO, La “mediazione” come decisione condivisa, in
Apollinaris, 2011, pp. 607-631.
45
La finalità della mediazione familiare, intesa come risorsa responsabilizzate, è quella di assicurare che il senso
di fallimento personale, le comuni attribuzioni di colpe nel declino coniugale e le profonde esperienze di
frustrazione (caratteristiche molto comuni in tutti i fallimenti coniugali) non privino i figli dalla loro principale
esigenza: crescere in un clima di sereno equilibrio familiare. Per approfondimenti valga il rinvio a M. RIONDINO,
Mediazione familiare e interculturalità in Europa. Profili di diritto comparato, in Dir. fam. pers., 2010, pp.
1845-1870.
46
Cfr. S. PATTI – M. G. CUBEDDU, Introduzione al diritto della famiglia in Europa, Milano, 2008, pp. 335-339.
19
in quasi tutti i paesi europei (Regno Unito, Francia, Spagna, Germania)47, ma soprattutto
perché orientato a valutare, in forma più idonea, il reale e concreto interesse del minore a
mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore e con i parenti materni
e paterni.
Nel caso in cui il giudice valuti negativamente la possibilità che i figli siano affidati ad
entrambi i genitori, dispone l’affidamento (in via esclusiva) ad uno dei genitori; tale
possibilità, tuttavia, non rappresenta un ritorno alla vecchia disciplina. La responsabilità
genitoriale, infatti, resta in capo ad entrambi i coniugi e nessuno dei due viene, di fatto,
escluso dalla vita del figlio. Affinché il giudice possa motivare un affidamento esclusivo,
devono essere portati alla sua analisi tutti gli elementi (certi e idonei) ad instaurare un
immediato collegamento tra l’instaurazione di un necessario rapporto con il genitore, al quale
non si concede l’affidamento del figlio, e un effettivo e motivato pregiudizio che ne possa
derivare al figlio stesso. Ovviamente, il pregiudizio non deve essere solo eventuale bensì certo
o, per lo meno, presuntivamente certo, in considerazione dello stile di vita del genitore al
quale ci si oppone, o della accertata incapacità di quest’ultimo alla dedizione materiale,
morale e affettiva che l’affidamento di un minore inevitabilmente comporta ed esige48.
Nell’economia della presente riflessione è sufficiente soffermarsi, in modo sintetico,
su alcune legislazioni analoghe di altri paesi europei quali, per esempio, la Francia e la
Germania.
In Francia, la legge n. 395 del 4 marzo 2002 ha introdotto un nuovo regime della
autorité parentale. Tale nozione è definita dal nuovo art. 371-1 del Code Civil come un
insieme di diritti e di doveri aventi per finalità l’interesse del minore. La medesima norma
stabilisce, inoltre, in linea di principio, che l’autorité parentale viene esercitata
congiuntamente da entrambi i genitori; ciascun genitore deve contribuire alla cura e
all’educazione dei figli. L’esercizio congiunto dell’autorità parentale è consacrata come
principio anche in seguito all’eventuale separazione o divorzio dei coniugi. Vengono quindi
sanciti alcuni principi generali quali l’esercizio congiunto della potestà e della responsabilità
47
Cfr. C. MCGLYNN, Families and the European Union, Cambridge, 2006, pp. 42-66.
48
Cfr. G. E. NAPOLI, L’interesse del minore a vivere con uno solo dei genitori nel quadro delle tendenze
normative verso la bigenitorialità, in Dir. fam. pers., 2009, pp. 479-497.
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dei genitori anche dopo lo scioglimento del matrimonio, la permanenza dei diritti e dei doveri
dei genitori stessi nonché il primato assoluto dell’interesse del minore, la cui valutazione è
soggetta al controllo del giudice. Nel caso di conflitto tra gli interessi dei genitori e quelli del
minore è previsto l’intervento delle organizzazioni che si occupano di mediazione familiare e,
in ultima analisi, del giudice.
In Germania, la Corte Costituzionale già in una storica sentenza del 3 novembre del
1982 aveva affermato che ogni essere umano, fin dal momento della nascita, era titolare di un
diritto irrinunciabile ad un rapporto vissuto e con entrambi i genitori; tale rapporto perdura,
quindi, per tutta la vita e non si interrompe in caso di separazione dei genitori. Fu proprio
sulla scia di questa sentenza che iniziò l’evoluzione dell’ordinamento tedesco in materia di
diritto di famiglia (in particolare in merito ai diritti e ai doveri tra genitori e figli), conclusasi
con la legge del 16 dicembre del 1997 e con la relativa riforma degli artt.1671 e 1672 del
BGB49.
La L. 54/2006 continua però a sollevare ancora oggi numerose perplessità applicative,
soprattutto per ciò che riguarda la realizzazione pratica del concetto di bigenitorialità e la
definizione di tempi di visita e mantenimento che, nella prassi, hanno il rischio, a volte reale
di avvicinarsi a quelli della legislazione in vigore prima della riforma adottata con la legge
italiana sull’affido condiviso.
In conclusione emerge come il tema delicato dell’affidamento condiviso confermi
l’esigenza e l’urgenza di una armonizzazione, a livello europeo, dei principali istituti del
diritto di famiglia. La crescente frequenza di matrimoni, di separazioni e di divorzi di persone
appartenenti a diversi stati, culture e tradizioni europee non sono una novità: in base alla legge
applicabile, nelle singole realtà, sarà o meno possibile l’affidamento condiviso o congiunto. In
Italia, per pervenire ad una soluzione adeguata, come pure ad una comune disciplina europea,
è necessario prendere piena consapevolezza, sia da parte dei diversi legislatore come da parte
di tutti i cittadini europei, del contenuto non autoritario della potestà dei genitori nei confronti
dei figli, potestà che deve essere intesa primariamente in senso funzionale, cioè come
strumento idoneo a favorire e realizzare gli interessi ed il bene dei minori in vista di un loro
49
Per la disamina dettagliata sulle due legislazioni cfr. S. PATTI – M. G. CUBEDDU, Introduzione al diritto della
famiglia, pp. 339-347.
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sviluppo olistico. Una matura e serena consapevolezza circa il significato della potestà
dovrebbe coadiuvare i genitori a svolgere il loro compito in assenza di conflitti ed il giudice a
risolvere, nel miglior modo possibile, i numerosi conflitti intrafamiliari che purtroppo
sorgeranno.
Conclusioni
Dalle fonti giuridiche (internazionali e nazionali) che sono state oggetto dell’analisi
condotta si evince un progressivo e reale interessamento, da parte dei legislatori, circa
l’interesse del minore e la tutela dei suoi legittimi diritti. Nel corso del XX secolo, come è
emerso, si sono susseguite molteplici normative finalizzate a conferire un ruolo centrale al
preminente interesse del fanciullo; notevoli passi avanti sono stati fatti per riconoscere al
minore sia i diritti civili, in rapporto alla famiglia, all’educazione, al rispetto dell’identità
personale, sia i diritti sociali, in relazione all’istruzione, al lavoro, alla protezione da ogni
sfruttamento nonché alla salute, nell’ottica di favorire un reale protagonismo di ogni singolo
minore.
L’impegno richiesto, a tutti coloro che entrano in contatto con un soggetto in
formazione, viene quindi a coincidere con un reale sforzo affinché si imponga una nuova e
più adeguata cultura dell’infanzia fondata non solo su una maggior attenzione ai bisogni e alle
reali necessità del fanciullo, ma su di uno specifico e mirato interessamento da parte degli enti
locali e dell’intera comunità sociale.
In conclusione emerge quindi che il dovere di riconoscere un primato agli interessi del
fanciullo non derivi, come ricordato in apertura di questa nostra riflessione, da una metafisica
dell’innocenza, considerando il minore come un soggetto costitutivamente debole, bensì
dall’interpretare tale debolezza come un esplicito dovere, da parte dell’intera società, di saper
impostare adeguate dinamiche relazionali che favoriscano il protagonismo dei fanciulli
evitando, così, il soffocamento dei loro legittimi interessi.
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L’invito rivolto da Papa Francesco50, in occasione della XVII Giornata dei bambini
vittime di abuso, di impegnarci con chiarezza affinché “ogni persona umana, specialmente i
bambini, sia sempre difesa e tutelata”, si trasformi da subito in concreto impegno per tutti
coloro i quali hanno responsabilità istituzionali e per coloro che operano a contatto con i
soggetti più vulnerabili al fine di favorire, senza alcuna eccezione, la reale attuazione
giuridica di ciò che le normative nazionali e sopranazionali. Solo accogliendo questa
impegnativa sfida si contribuirà all’edificazione di una autentica civiltà dell’amore di cui i
fanciulli saranno veri protagonisti. In caso contrario non sarà facile guardare negli occhi i
nostri bambini senza doverci rimproverare gravi ed imperdonabili offese arrecate loro.
50
FRANCESCO, Regina Coeli, in L’Osservatore Romano, 05/05/2012, p. 2.
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