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UNIVERSITA‟ DEGLI STUDI DI TORINO FACOLTA‟ DI SCIENZE MATEMATICHE FISICHE NATURALI TESI DI LAUREA MAGISTRALE IN Biologia dell’Ambiente Classe di Laurea LM-6 Il call center: fattori di rischio in un ambiente di lavoro della società post-industriale. Esperienza di monitoraggio di agenti biologici aerodispersi in un caso studio piemontese Candidata : Moretti Laura Relatore: Prof. Giorgio Gilli coRelatore: Dott.ssa Maura Fenoglietto Anno Accademico 2011 – 2012 Ringraziamenti Il primo pensiero va, ovviamente, ai miei genitori, senza i quali non sarei mai potuta giungere a questo punto, non solo per il sostegno economico, che sicuramente è stato fondamentale, ma per quell’aiuto, a volte tacito a volte esplicito, indispensabile per superare i numerosi ostacoli incontrati nel cammino della vita e in tutti quei momenti di stress, ansia e nervosismo che ne fanno parte. Ringrazio il Prof. Giorgio Gilli per il tempo concesso, il dott. Marco Fontana per aver accolto la mia richiesta di stage e per la grande disponibilità e cortesia dimostratemi e la dott.sa Maura Fenoglietto per il supporto tecnico e morale offertomi in questi mesi e per avermi trasmesso la passione per la materia della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Grazie a tutti i miei amici per essermi stati vicini in tutti questi anni e per aver condiviso tanti bei momenti. Infine voglio ringraziare le mie compagne di studio per aver condiviso paure, esami e lezioni ma anche tante risate e per l’amicizia dimostratami: sono state per me più vere amiche che semplici compagne di studio. I INDICE 1.INTRODUZIONE 1.1 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO: LA NORMATIVA EUROPEA 1.1.1 Excursus storico 1.1.2 La Direttiva quadro 89/391 1.1.3 Le Strategie comunitarie per la salute e le sicurezza sul lavoro del 2002 e 2007 1.2 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO: LA NORMATIVA ITALIANA 1.2.1 Excursus storico 1.2.2 Il decreto legislativo 626/94 1.2.3 Il decreto legislativo 81/08 1.3 AMBIENTI CONFINATI ED INQUINAMENTO INDOOR 1.3.1 Sick Building Syndrome 1.3.2 Il call center: storia e mercato 1 7 7 10 12 25 33 36 2. SCOPO DEL LAVORO 40 3. PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO NEI CALL CENTER 3.1 RISCHIO BIOLOGICO: APPROFONDIMENTO 3.1.1 La normativa italiana: il D. Lgs 81/08 3.1.2 Gruppi principali e caratteristiche degli agenti biologici 3.1.3 Vie di ingresso degli agenti biologici nell‟organismo 3.1.4 Principali effetti da inquinamento indoor 3.2 RISCHIO FISICO: APPROFONDIMENTO 3.2.1 La normativa italiana: il D. Lgs 81/08 3.2.2 Il microclima:le novità introdotte dal D. Lgs 81/08 3.2.3 La termoregolazione umana 3.2.4 Classificazione degli ambienti termici 3.2.5 Pericoli correlati ad un microclima inadeguato 3.3 LETTERATURA CORRELATA 3.4 VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN AMBIENTI INDOOR 3.4.1 RISCHIO BIOLOGICO 3.4.1.1 Il terreno di coltura 3.4.1.2 Il monitoraggio ambientale e le tecniche di campionamento 3.4.1.3 Indici di riferimento e parametri ricercati 3.4.2 RISCHIO FISICO 3.4.2.1 Indici microclimatici 3.4.2.2 Parametri fisici e fisiologici: strumenti e metodi di misura 42 50 51 55 63 64 67 68 70 72 78 79 81 86 86 88 89 97 102 102 113 4. MATERIALI E METODI 4.1 L’OGGETTO DELL’INDAGINE: IL CALL CENTER 4.2 CRITERI DI INTERVENTO 4.3 AGENTI BIOLOGICI MONITORATI 4.4 METODI DI PRELIEVO E ANALISI 4.5 INDICI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI 115 115 117 118 119 125 5. RISULTATI 5.1 POSTAZIONI MONITORATE E RISULTATI OTTENUTI 127 127 6. DISCUSSIONE 133 7. CONCLUSIONI 138 8. BIBLIOGRAFIA 140 1 1 3 5 II Introduzione 1.INTRODUZIONE 1.1 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO: LA NORMATIVA EUROPEA 1.1.1 EXCURSUS STORICO La tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro ha oggi in tutti gli Stati europei una centralità che è stata positivamente influenzata, nel corso degli anni, dall'affermarsi di una legislazione comunitaria specifica, di carattere generale e tecnico, la quale ha avuto un ruolo di promozione e di impulso nei confronti dei sistemi nazionali. A ciò va aggiunto un grado di maggiore maturazione in tutti gli Stati grazie al recepimento delle direttive comunitarie capaci di portare ad un sistema giuridico sostanzialmente omogeneo. L‟ Unione Europea è nata, infatti, con l'obiettivo di instaurare un mercato comune e di superare le differenze giuridiche che potessero contrastarlo. La competenza europea in merito al tema salute e sicurezza sul lavoro è definita dal trattato che istituisce la Comunità stessa (Trattati di Roma del 1957); l‟articolo 136 afferma, infatti, che “la Comunità e gli Stati Membri…hanno come obiettivi la promozione dell’occupazione, il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro”e per farlo l‟art. 137 prevede che la Comunità sostenga e completi l‟azione degli Stati membri per il “miglioramento, in particolare, dell’ambiente di lavoro, per proteggere la sicurezza e la salute dei lavoratori”. L'intento finale risulta quindi la promozione di un'azione comune volta ad ''assicurare il progresso economico e sociale e il miglioramento delle condizioni di vita e di occupazione'' nonché di ''instaurare condizioni di sicurezza che allontanino i pericoli per la vita e la salute delle popolazioni''. La politica sociale, in Europa, inizia negli anni '70 dall' idea che la crescita economica, avviata con il mercato unico, non potesse prescindere dal progresso umano e sociale degli individui che vivono e che operano all'interno della Comunità stessa. Tale consapevolezza è oggetto di determinazione dei capi di Stato e di governo al vertice di Parigi dell'ottobre 1972 e dà luogo all'adozione, nel gennaio 1974, del Primo programma di azione sociale comprendente iniziative nei settori della legislazione del lavoro, della parità di condizioni, dell'igiene e sicurezza del lavoro, con il fine di migliorare le condizioni di vita e di lavoro. Il programma in oggetto prevede la partecipazione delle parti sociali alle decisioni economiche e sociali della Comunità nonché quella dei lavoratori alla vita delle imprese. Inoltre, nel mese di giugno dello stesso anno, si provvede alla creazione di un Comitato 1 Introduzione consultivo per la sicurezza, l'igiene e la tutela della salute sul luogo di lavoro, che avrà sede in Lussemburgo e avrà il compito di aiutare la Commissione nella creazione di direttive e regolamenti in materia di sicurezza. Arrivati agli anni '80 la ''dimensione sociale'' in ambito europeo acquista maggiore importanza: le più importanti aree industriali danno per prime il segnale di una trasformazione che non dipende solo da progressi tecnologico-produttivi, ma da cambiamenti di tipo organizzativo. Conseguentemente, per garantire in ambito comunitario condizioni minime di tutela e di diritti tali da evitare che livelli di garanzia più bassi in singoli Paesi possano costituire un ostacolo, non solo all'integrazione, ma anche alla corretta competitività delle imprese europee (il cosiddetto fenomeno di ''dumping sociale''), la Comunità Europea nel 1987 adotta l'Atto unico europeo con cui riforma i Trattati di Roma del '57 ed inserisce a pieno titolo nella filosofia della Comunità i problemi del lavoro e della sua tutela. Le più significative modifiche in tal senso sono state apportate agli articoli 100 e 118 che dispongono che: le proposte della Commissione in materia di sanità, sicurezza e protezione dell'ambiente e dei consumatori si basino su un ''livello di protezione adeguata'' e siano deliberate dal Consiglio a ''maggioranza qualificata'', superando il precedente empasse dell'unanimità; gli Stati membri della Comunità si impegnano a promuovere “il miglioramento dell'ambiente di lavoro per tutelare la sicurezza e la salute dei lavoratori…”, fissando come obiettivo dei singoli Paesi l'armonizzazione, in una prospettiva di progresso, delle condizioni esistenti in tale campo; il Consiglio si impegna ad adottare le prescrizioni minime in materia di salute e sicurezza sul lavoro attraverso Direttive, applicabili nei vari Paesi membri progressivamente e tenendo conto delle condizioni e delle normative tecniche esistenti, rafforzando così la propria capacità di intervento con misure obbligatorie e non più orientative come con le Raccomandazioni. Dunque in base a tale principio gli Stati membri devono aumentare il proprio livello di protezione se esso risulta essere più basso delle prescrizioni minime delineate dalle direttive e al contempo tale principio non impedisce agli Stati membri di mantenere o introdurre misure più restrittive per la tutela della sicurezza sul lavoro. Prima di tale atto, la Comunità aveva emanato la prima Direttiva Quadro in materia di prevenzione per migliorare la protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti dall'esposizione ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro , cui erano seguite 2 Introduzione direttive particolari per specifici rischi (piombo, amianto, rumore, ecc.). Ma è solo in virtù del rafforzamento del proprio impegno attuato con l'Atto Unico europeo che, alla fine degli anni '80, l'Unione Europea emana un provvedimento generale in cui, per la prima volta, formula l'unitarietà strategica delle attività di prevenzione, igiene e sicurezza del lavoro fondata sul principio della massima sicurezza ragionevolmente praticabile: la Direttiva Quadro 89/391. 1.1.2 LA DIRETTIVA QUADRO 89/391 Le disposizioni contenute nella Direttiva Quadro 89/391 affrontano l'ambito sicurezza definendo un sistema che permetta la prevenzione e la protezione dai rischi sui luoghi di lavoro derivanti da condizioni e azioni definite pericolose. Tutti i soggetti operanti all'interno del mondo del lavoro, sia pubblico che privato, devono quindi impegnarsi per la creazione di una strategia progettuale di intervento, programmata e pianificata, che determini una riformulazione ergonomica delle attività e dei processi lavorativi, quindi, migliori livelli di protezione devono essere forniti attraverso l'informazione e la formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti circa i rischi per la sicurezza e salute e, attraverso l'adozione di tutte le misure occorrenti per il graduale abbattimento dei rischi stessi. La Direttiva, infatti, oltre ad indicare i principi generali di salute e sicurezza ed individuare i destinatari degli obblighi, propone una strategia d'azione che consenta a questi ultimi di mutare i propri atteggiamenti e passare da un ruolo passivo, in cui la prevenzione dei rischi è vissuta come problema, ad un ruolo in cui essi stessi sono soggetti attivi per la valutazione dei rischi e per l'individuazione delle misure di sicurezza atte a garantire l'integrità psico-fisica dei lavoratori. La direttiva abbandona il criterio della “massima sicurezza ragionevolmente praticabile” per assumere quello della “massima sicurezza tecnologicamente possibile”. A fondamento del sistema vi è la necessità di adattare il lavoro all'uomo, e non viceversa, ciò è possibile prevenendo il rischio e assumendo comportamenti e processi lavorativi sicuri. Diventa quindi la prevenzione l'elemento fondamentale attorno al quale l'organizzazione del lavoro deve operare una profonda trasformazione culturale che dia importanza alla sicurezza. 3 Introduzione Quattro sono le caratteristiche principali della direttiva quadro: essa si caratterizza per una visione generale dell‟ambiente di lavoro che non include solamente rischi di tipo fisico ma anche stress e benessere legato all‟organizzazione del lavoro; in secondo luogo la normativa europea raramente impone standard generali specifici; in genere lo strumento della direttiva definisce gli obiettivi generali e lascia decidere agli Stati membri con quali mezzi raggiungerli, attribuendo un ruolo importante ai contratti collettivi nel far sì che la formulazione degli standard su salute e sicurezza tenga conto di tutte le specifiche condizioni; la terza caratteristica della direttiva consiste nella sua strategia: l‟approccio è di tipo preventivo grazie al processo innovativo di valutazione del rischio; infine la quarta ed ultima caratteristica consiste nell‟insistenza della normativa su una partecipazione intensiva dei lavoratori nell‟implementazione e nel rafforzamento della norma attraverso il ruolo dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza. La Direttiva Quadro 89/391 rappresenta perciò il punto di svolta e di riferimento del nuovo sistema di prevenzione, avente carattere obbligatorio per gli Stati membri dell'Unione, da cui discendono ulteriori direttive particolari con disposizioni più rigorose e/o specifiche per alcuni settori lavorativi. Tuttavia, una valutazione della Commissione Europea sulle prime sei direttive emanate in tema di salute e sicurezza sul lavoro ha messo in evidenza che se da un lato esse hanno contribuito al miglioramento delle condizioni di lavoro, della prevenzione, e anche della competitività e dell‟occupazione, dall‟altro, nel processo di recepimento, alcuni Stati membri hanno dimostrato lacune, ritardi, fraintendimenti che hanno reso necessario l‟avviamento di procedure di violazione nei confronti di tali Paesi. Dalla valutazione emergono alcune difficoltà generali che consistono nella mancanza di una partecipazione attiva da parte dei lavoratori ai processi operativi, nell‟assenza di disposizioni restrittive precise circa la sorveglianza della salute, nell‟assenza di criteri comuni di valutazione degli ispettorati nazionali del lavoro, nella mancata coerenza di alcune disposizioni soprattutto relativamente all‟informazione, consultazione, partecipazione dei lavoratori, nell‟assenza di un sistema statistico armonizzato a livello europeo in materia. Dunque, sebbene le normative europee si applichino in ugual misura a tutti gli Stati membri e godano di supremazia sulla legislazione nazionale, esse devono tener conto dei diversi contesti nazionali. La scarsa implementazione e applicazione delle norme europee è 4 Introduzione diventata una preoccupazione importante della politica comunitaria in campo di salute e sicurezza sul lavoro. Le iniziative promosse dall‟Unione Europea tendono alla costruzione progressiva di una nuova cultura della sicurezza come naturale conseguenza dello sviluppo di un nuovo assetto produttivo dell‟impresa, centrato sull‟ottimizzazione dei processi produttivi da conseguire attraverso l‟attenzione al tema della qualità del lavoro, del benessere del lavoratore e al tema dell‟impatto ambientale. È in questo contesto che la Commissione ha deciso di adottare una strategia comunitaria per la salute e la sicurezza sul lavoro, al fine di agevolare l‟applicazione della normativa già in vigore e dare nuovi impulsi. 1.1.3 LE STRATEGIE COMUNITARIE PER LA SALUTE E LA SICUREZZA SUL LAVORO DEL 2002 E 2007 La Comunicazione della Commissione europea del 2002 “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società: una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006” propone di allargare il tema della salute e sicurezza sul lavoro al più ampio concetto di benessere sul lavoro, prendendo in considerazione l‟insorgenza di nuove tipologie di rischi e i cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, e di favorire il consolidamento di una cultura di prevenzione dei rischi i cui principi attuativi passino dalla combinazione di strumenti quali il ruolo dell‟istruzione e della formazione, l‟anticipazione dei rischi e la sensibilizzazione dei datori di lavoro sulla tematica della sicurezza. Al fine di soddisfare questi aspetti la strategia comunitaria propone di seguire tre direttrici: adeguare il quadro giuridico e istituzionale, incoraggiare la spinta al progresso (mediante il dialogo sociale, la diffusione delle buone prassi, una maggiore responsabilità sociale delle imprese, incentivi economici, la promozione di partenariati tra i soggetti che si occupano della gestione della sicurezza) e, infine, integrare la tematica della salute e della sicurezza sul lavoro nelle altre politiche comunitarie. La relazione sulla valutazione della strategia comunitaria relativa alla salute e sicurezza sul lavoro 2002-2006 ha evidenziato un progresso effettivo in tutti gli Stati membri ma evidenzia le criticità ancora in essere (ingente costo economico degli infortuni; concentrazione degli infortuni in alcuni settori quali l‟agricoltura, i trasporti e le costruzioni; categorie di lavoratori sovraesposte ai rischi; aumento di malattie, quali 5 Introduzione i disturbi muscolo-scheletrici e problemi psicosociali) e mette in luce alcuni altri temi strettamente legati alla salute e alla sicurezza che assumono un‟importanza crescente: invecchiamento della popolazione attiva, aumento del lavoro indipendente, fenomeno del subappalto, diffusione Pmi, crescita dei flussi migratori. La Commissione dopo la Decisione 1672 del 24 ottobre 2006 del Parlamento Europeo e del Consiglio che istituisce un programma comunitario per l‟occupazione e la solidarietà sociale (Progress), in cui dedica una specifica sezione al miglioramento delle condizioni di lavoro (art. 6, sezione 3), ha elaborato un‟ulteriore Comunicazione nel 2007 “Migliorare la qualità e la produttività sul luogo di lavoro: strategia comunitaria 2007-2012 per la salute e la sicurezza sul lavoro”. La strategia si pone l‟obiettivo di ridurre di almeno un quarto gli infortuni in Europa attraverso un insieme di azioni attivate a livello comunitario e nazionale. Otto sono i punti cardine della Comunicazione: garantire l‟applicazione e l‟implementazione della normativa comunitaria attraverso il suo rafforzamento negli ambiti più rischio e per le categorie di lavoratori più vulnerabili; sostenere le Pmi nell‟applicazione della normativa in vigore attraverso buone prassi, formazione, semplificazione degli strumenti, incentivi economici, etc; adattare e semplificare il contesto giuridico all‟evoluzione del mondo del lavoro; incentivare lo sviluppo di strategie nazionali con la consultazione e partecipazione attiva delle parti sociali; favorire nuovi approcci alla sicurezza sul lavoro, sia nei lavoratori che nei datori di lavoro, mediante la formazione in tutti i livelli del ciclo di istruzione e in tutti i settori; studiare nuovi metodi per identificare e valutare potenziali nuovi rischi attraverso la ricerca; monitorare i progressi e i risultati raggiunti; adeguare gli standard di salute e sicurezza sul lavoro ai livelli internazionali. La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rappresentano oggi uno degli aspetti più rilevanti ed avanzati della politica sociale dell'Unione Europea, quali componenti integranti della gestione della qualità del lavoro ed elementi determinanti per l‟accrescimento della competitività economica. 6 Introduzione La valorizzazione di questi temi da parte dell'azione comunitaria tocca, da una parte, l'aspetto normativo, dall‟altra, si traduce nelle numerose attività d'informazione, orientamento e promozione in favore di un ambiente di lavoro sicuro e sano portate avanti dalle istituzioni europee in collaborazione con l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA)1 e con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofund)2. 1.2 IGIENE E SICUREZZA SUL LUOGO DI LAVORO: LA NORMATIVA ITALIANA 1.2.1 EXCURSUS STORICO La questione sulla sicurezza sul lavoro fu posta in rilievo già nel Codice Civile del 1942 con l‟art. 2087 che citava “L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che,secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Nel 1948, con l‟entrata in vigore della Costituzione, si sottolineò non solo che “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro” (art. 1), ma anche che “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti.[…]”(art.32). Negli anni 1955 - 56 sono state promulgate le norme di riferimento che hanno permesso l'applicazione sistematica dei dettami stabiliti dagli articoli del codice civile ed il rispetto dei principi costituzionali. Si tratta del D.P.R. 547/55 “Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tutela della sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro”.L‟Italia si dotò di tale legge in un‟epoca in cui ancora non esistevano né una politica né una gestione dei diritti del lavoro a livello comunitario (la CEE fu creata, infatti,due anni più tardi nel marzo 1957 con il Trattato di Roma). 1L‟EU-OSHA - European Agency for Safety and Health at Work, è il principale punto di riferimento europeo per la sicurezza e la salute sul lavoro. Il ruolo centrale dell‟Agenzia è quello di contribuire al miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro nell'Unione europea, attraverso le proprie attività di sensibilizzazione (la campagna ambienti di lavoro sani e sicuri, che affronta un tema diverso ogni due anni) e giocando un ruolo chiave nella Strategia comunitaria sulla salute e la sicurezza sul lavoro. 2 L‟Eurofound - European Foundation for the Improvement of Living and Working Conditions- è un ente dell‟Unione Europea, istituito dal Consiglio Europeo (Council Regulation (EEC) No. 1365/75 of 26 May 1975), per contribuire alla pianificazione e al disegno di migliori condizioni di vita e di lavoro in Europa. 7 Introduzione L‟anno successivo venne emanato il D.P.R. 303/56 “Norme generali per l‟igiene del lavoro. Tutela della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro” e il D.P.R. 164/56 che regolamenta la prevenzione degli infortuni sul lavoro nelle costruzioni. Gli anni „70 sono caratterizzati da una maggiore consapevolezza sulla prevenzione degli infortuni e la protezione della salute dei lavoratori nel mondo del lavoro sia da parte del Sindacato sia da parte dei lavoratori. Con l'adozione dello Statuto dei lavoratori (Legge 300/70) e l'introduzione, nei contratti collettivi di lavoro, di alcuni standard internazionali vengono assunti come valori da tenere in considerazione i temi in materia di tutela della salute e sicurezza dei lavoratori. Quest‟ultima legge cita all‟art.9 ”I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l‟applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e di promuovere la ricerca, l‟elaborazione e l‟attuazione di tutte le misure idonee a tutelare la loro salute e la loro integrità fisica”. Con la riforma sanitaria nazionale del 1978 (Legge 833/78) sono nate in ambito regionale le Unità Socio - Sanitarie Locali (attualmente trasformate in Aziende A.S.L.) per la tutela della salute di tutti i cittadini del territorio ed in particolare per la tutela dell‟incolumità dei lavoratori dipendenti. Con questa riforma sono state trasferite alle Regioni alcune competenze dello Stato, in particolare la vigilanza dell‟applicazione delle norme di sicurezza nelle imprese e la definizione di buone norme tecniche di lavoro. Dagli anni „80 la Comunità Europea intraprende un‟autonoma attività legislativa proponendo agli stati membri delle direttive da recepire nei singoli ordinamenti nazionali al fine di regolamentare in maniera univoca una materia tanto complessa come quella riguardante la salute e la sicurezza negli ambienti di lavoro. Fondamentale risulta quindi la direttiva quadro n.391 del 1989 (denominata Direttiva generale) che introduce una nuova visione del sistema di prevenzione: l‟informazione e la formazione mirata alla sicurezza come elementi principali nella prevenzione a cui il datore di lavoro deve provvedere. Negli anni ‟90 una vera sferzata è stata apportata dal D.Lgs.19 settembre 1994 n. 626 che ha maggiormente concentrato l‟attenzione sul tema, fino a creare le basi di una “cultura della sicurezza”. Recentemente il D.Lgs.9 aprile 2008 n. 81 ha completato e avocato a sé tutti gli aggiornamenti regolamentati in questi anni, essendo in forma di Testo Unico. 8 Introduzione Si riportano di seguito le principali norme operanti in Italia nel corso degli anni: D.P.R. 27 aprile 1955 n.547 Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro. Tutela della sicurezza dei lavoratori nel luogo di lavoro (G.U. del 12/07/55 n.158, s.o.). D.P.R. 19 marzo 1956 n.303 Norme generali per l‟igiene del lavoro. Tutela della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro (G.U. del 30/04/56 n.105, s.o.). L. 19 novembre 1984 n.862 Ratifica ed esecuzione delle convenzioni dell‟Organizzazione Internazionale del lavoro (OIL) n.148; 149, 150, 151 e 152. Tutela della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro. D.Lgs.15 agosto 1991 n.277 Attuazione delle Direttive 80/1107/CEE, 82/605/CEE, 83/477/CEE e 88/642/CEE in materia di protezione dei lavoratori contro i rischi derivanti da esposizioni ad agenti chimici, fisici e biologici durante il lavoro, a norma dell‟art.7 della legge 30 luglio 1990 n.212. (G.U. del 27/08/91 n.200, s.o.). D.Lgs.19 settembre 1994 n.626 e successive modifiche del 1996, 1999, 2000 Attuazione delle direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE, riguardanti il miglioramento della sicurezza della salute dei lavoratori nel luogo di lavoro. (G.U. del 12/11/94 n.265, s.o.). D.Lgs.19 dicembre 1994 n.758 Modifica alla disciplina sanzionatoria in materia di lavoro. Vigilanza sul lavoro. (G.U. del 26/01/95 n.21, s.o.). D.Lgs.14 agosto 1996 n.493 Attuazione della Direttiva 92/58/CEE concernente le prescrizioni minime per la segnaletica di sicurezza e salute sul luogo di lavoro. Decreto Ministeriale 16 gennaio 1997 Individuazione dei contenuti minimi della formazione dei lavoratori, dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e dei datori di lavoro che possono svolgere direttamente i compiti propri del Responsabile del Servizio di prevenzione e protezione. (G.U. del 03/02/97 n.27). D.M.17 gennaio 1997 Elenco di norme armonizzate concernente l‟attuazione della Direttiva 89/686/CEE relativa ai dispositivi di protezione individuale.(Il decreto integra quanto già disposto dal D.Lgs.626/94 e dalla normative previgente in materia di DPI). (G.U. del 06/02/97 n.30). D.M.4 maggio 1999 n.86 Approvazione del codice di buona pratica agricola. Pratiche agricole. D.Lgs.4 agosto 1999 n.345 Attuazione della Direttiva 94/33/CE, relativa alla protezione dei giovani sul lavoro. (G.U. del 08/10/99 n.237). 9 Introduzione D.Lgs.4 agosto 1999 n.359 Attuazione della Direttiva 95/63/CE che modifica la direttiva 89/655/ CEE relativa ai requisiti minimi di sicurezza e salute per l‟uso di attrezzature di lavoro da parte dei lavoratori. Stabilisce le norme per il corretto impiego delle attrezzature da lavoro, introducendo modifiche al Titolo III del D.Lgs.626/94. (G.U. del 19/10/99 n.246). D.Lgs.8 giugno 2001 n. 231 Disciplina della responsabilità amministrativa delle persone giuridiche, delle società (…)(G.U. del 19/06/01 n.140). Decreto Legislativo 9 aprile 2008, n. 81 - Testo Unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro e modifica del 2009. 1.2.2 IL DECRETO LEGISLATIVO 626/94 Il DPR 547/55 ha governato magistralmente la materia infortunistica italiana per circa quarant‟anni quale punto di riferimento per tutti i settori e per tutti gli operatori. La situazione lavorativa, il progresso tecnico e scientifico, l‟istruzione e la qualificazione dei lavoratori, la situazione politica ed economica italiana e internazionale però hanno subito un profondo cambiamento nei decenni di sua applicazione, tanto da rendere difficile il paragone e la sua stessa applicabilità, pur con le modifiche successivamente apportate. Il sistema legislativo ha così avvertito l‟esigenza di un provvedimento di legge in materia di sicurezza più adeguato alle mutate necessità. Il decreto 626/94 ha apportato una vera rivoluzione in tema di sicurezza, anche perché ha affrontato questioni e mutamenti in linea con le leggi comunitarie internazionali in cui il nostro ordinamento era carente. Si parla di carattere innovativo del decreto perché esso sembra segnare il passaggio da una logica di riparo dei danni provocati alla logica della prevenzione e “partecipazione” sembra essere la parola chiave. Il decreto, recependo la Direttiva Quadro europea sulla salute e sicurezza e diverse altre direttive europee, contribuisce al superamento di una prevenzione di tipo oggettivo in cui il legislatore forniva indicazioni puntuali sui parametri da rispettare, e afferma un sistema di tutele incentrato sul tema della prevenzione intesa, nell‟art.2, come “il complesso delle disposizioni o misure affrontate o previste in tutte le fasi dell’attività lavorativa per evitare o diminuire i rischi professionali nel rispetto della salute della popolazione e dell’integrità dell’ambiente esterno”. Da un lato il decreto elenca, nell‟art. 3, le misure generali per la protezione dei lavoratori da attuare in tutti i settori lavorativi in cui vi sia anche un solo lavoratore subordinato; dall‟altro definisce un sistema di gestione della sicurezza con l‟individuazione di tutti gli 10 Introduzione attori che intervengono a vario titolo nel processi lavorativi. Tali soggetti vengono dunque individuati, responsabilizzati e chiamati a svolgere un ruolo attivo. Essi sono: Il datore di lavoro (Art. 4) come soggetto pienamente responsabile della sicurezza e della tutela della salute dei lavoratori. Per la prima volta il decreto fornisce la definizione di datore di lavoro differenziandola in base alla natura privata o pubblica dell‟attività ed esplicita il legame tra responsabilità e i poteri decisionali e di spesa. Il datore di lavoro è dunque colui che ha il compito di programmare e disporre le risorse economiche, umane ed organizzative, necessarie per applicare le misure di sicurezza in vigore. Tra i suoi obblighi figurano: la valutazione e l‟aggiornamento di tutti i rischi; l‟elaborazione del documento di valutazione dei rischi, la designazione del responsabile del Servizio di prevenzione e protezione, l‟organizzazione di una riunione periodica di prevenzione e protezione dei rischi. I dirigenti e i preposti, in base ad eventuali specifiche deleghe in materia (Art. 4); gli attori del Servizio di Prevenzione e Protezione (SPP), ovvero “l’insieme di persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzato all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali nell’azienda”. Il Responsabile e gli addetti del Servizio prevenzione e protezione (RSPP e addetti SPP), nella veste di collaboratori tecnici del datore di lavoro per la tutela della salute e sicurezza in azienda. Il medico competente (Art. 17), nei casi in cui in azienda vi siano lavorazioni che comportano rischi per la salute dei lavoratori e per le quali è obbligatoria la sorveglianza sanitaria. I Rappresentanti dei Lavoratori per la Sicurezza (RLS), introdotti nell‟art. 18, ai quali vengono riconosciuti una serie di diritti (di essere consultati, di essere informati, ad una formazione adeguata e specifica, ad esercitare un controllo costante sul rispetto delle misure di prevenzione) e doveri di effettiva partecipazione e di attenersi alle informazioni e formazione ricevute in materia. I progettisti, i fabbricanti, i fornitori e gli installatori (Art.6), soggetti esterni ma in relazione con l‟organizzazione del lavoro, che devono garantire il rispetto delle norme di sicurezza e igiene del lavoro. Le imprese appaltatrici o i lavoratori autonomi cui vengono affidati i lavori, per ciò che concerne la cooperazione e il coordinamento con il datore di lavoro committente sulle misure adottate. 11 Introduzione Il decreto ha introdotto ,inoltre, delle trasformazioni in merito a: obbligo di elaborare un Documento di Valutazione dei rischi (DVR) contenente la “valutazione dei rischi” che possono derivare dai processi lavorativi aziendali e dall‟ambiente di lavoro; individuazione delle misure di prevenzione necessarie e i metodi di attuazione delle misure stesse; predisposizione di un programma di informazione e formazione dei lavoratori, atto a realizzare una maggiore consapevolezza nell‟affrontare la prevenzione dei rischi in azienda. Lo scopo del decreto era ,dunque, un intervento attivo, responsabile ed integrato di tutti i soggetti interessati dalla ed alla sicurezza, che coinvolgeva i lavoratori e/o i loro rappresentanti, dalla individuazione del rischio fino alla scelta delle soluzioni per prevenirli e/o ridurli. 1.2.3 IL DECRETO LEGISLATIVO 81/08 Il Decreto Legislativo n. 81 del 9 aprile 2008 o Testo Unico sulla Sicurezza sul Lavoro riunisce, modifica ed armonizza la precedente normativa in materia di sicurezza e salute nei luoghi di lavoro, abrogando tutte le precedenti leggi emanate dal 1955 in poi. Successivamente il D.Lgs 106/09 ha apportato delle disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. 81/08. Il Testo Unico si presenta con un impianto normativo estremamente complesso e articolato, composto da 306 articoli suddivisi in 13 titoli e 51 allegati tecnici. Più precisamente: titolo I Disposizioni generali titolo II Luoghi di lavoro titolo III Uso delle attrezzature di lavoro e dei DPI titolo IV Cantieri temporanei o mobili titolo V Segnaletica di sicurezza titolo VI Movimentazione manuale dei carichi titolo VII Videoterminali titolo VIII Agenti fisici (rumore, vibrazioni…) titolo IX Sostanze pericolose (agenti chimici,cancerogeni…) titolo X Agenti biologici 12 Introduzione titolo XI Atmosfere esplosive titolo XII Disposizioni penali titolo XIII Disposizioni finali Tra le novità introdotte dal D.Lgs. 81/08, un ruolo di primo piano assume la definizione, mutuata dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità, del concetto di “salute” intesa quale “stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malattia o d’infermità” (art. 2, comma 1, lettera o) che rappresenta la premessa per la garanzia di una tutela dei lavoratori anche attraverso un‟adeguata valutazione del rischio “stress lavoro correlato”. Figura 1. Organigramma della sicurezza secondo il D. Lgs 81/08 In merito ai soggetti responsabili della sicurezza vi sono alcune novità riguardanti le loro funzioni e obblighi: PER IL DATORE DI LAVORO ovvero “il soggetto che ha la responsabilità dell’organizzazione in cui il lavoratore presta la propria attività in quanto esercita i poteri decisionali e di spesa”(art. 2). La valutazione dei rischi allarga il campo: il datore di lavoro, per metterla a punto, dovrà considerare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori. In particolare, dovrà tener conto dello stress da lavoro e dei rischi legati alle differenze di genere, all‟età e alla provenienza da altri Paesi (articolo 28). Il Testo Unico introduce nuove modalità per svolgere la valutazione dei rischi, che variano in base al numero dei lavoratori. Le aziende che occupano fino a 50 dipendenti e che non presentano particolari profili di rischio potranno seguire una procedura standardizzata, che deve essere stabilita da un decreto interministeriale. 13 Introduzione Nell‟attesa: per le aziende fino a 10 dipendenti, è sufficiente l‟autocertificazione, alle aziende fino a 50 dipendenti si applicano le regole ordinarie (articolo 29). Tutte le sanzioni sono inasprite. Rischiano la sospensione dell‟attività le imprese che commettono gravi e reiterate violazioni delle norme sulla sicurezza (articoli 14 e 55). Sono nulli i contratti di appalto, subappalto e somministrazione che non indichino espressamente i costi relativi alla sicurezza (articolo 26). Gli articoli 17 e 18 elencano i principali obblighi del datore di lavoro tra cui: valutazione di tutti i rischi e conseguente elaborazione del documento (non delegabile); designare il responsabile del servizio di prevenzione e protezione dai rischi (non delegabile); nominare il medico competente; designare preventivamente i lavoratori incaricati dell‟attuazione delle misure di prevenzione incendi e lotta antincendio, di evacuazione dei luoghi di lavoro in caso di pericolo grave e immediato, di salvataggio, di primo soccorso e, comunque, di gestione delle emergenza; fornire ai lavoratori i necessari e idonei dispositivi di protezione individuale; richiedere l‟osservanza da parte dei singoli lavoratori delle norme vigenti; adottare le misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza; informare il più presto possibile i lavoratori esposti a rischi gravi; adempiere agli obblighi di informazione, formazione e addestramento; consegnare tempestivamente al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, su richiesta di questi, copia del DVR e del DUVRI; elaborare il DUVRI, e, su richiesta di questi e per l‟espletamento della sua funzione, consegnarne tempestivamente copia ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; comunicare all‟INAIL, o all‟ISPEMA, in relazione alle rispettive competenze dati relativi agli infortuni sul lavoro che comportino un‟assenza dl lavoro di almeno un giorno, e a fini previdenziali di almeno 3 giorni; consultare il rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; adottare le misure necessarie ai fini della prevenzione incendi e dell‟evacuazione dei luoghi di lavoro; 14 Introduzione nell‟ambito dello svolgimento di attività in regime di appalto e di subappalto, munire i lavoratori di apposita tessera di riconoscimento, corredata di fotografia, contenente le generalità del lavoratore e l‟indicazione del datore di lavoro; aggiornare le misura di prevenzione; comunicare annualmente all‟INAIL i nominativi dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza; redigere un registro sugli obblighi di manutenzione delle attrezzature di lavoro (art. 71); accompagnare le attrezzature portate fuori sede con un registro sull‟ultimo controllo effettuato (art. 72); effettuare una valutazione specifica del rischio elettrico (art. 80). PER IL MEDICO COMPETENTE ovvero “medico in possesso di uno dei titoli e dei requisiti formativi e professionali che collabora, secondo quanto previsto all’articolo 29, comma 1, con il datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi ed é nominato dallo stesso per effettuare la sorveglianza sanitaria e per tutti gli altri compiti di cui al presente decreto”. Viene scelto dal datore di lavoro e può essere un dipendente o collaboratore di una struttura esterna pubblica o privata, convenzionata con l‟imprenditore; un libero professionista o un dipendente del datore di lavoro (art. 39). Obblighi e funzioni: Collabora con il datore di lavoro e con il servizio di prevenzione e protezione (SPP) alla valutazione dei rischi, per la parte di competenza (art 29). Programma ed effettua la Sorveglianza Sanitaria (articolo 41) attraverso protocolli sanitari definiti in funzione dei rischi specifici e tenendo in considerazione gli indirizzi scientifici piu' avanzati. Istituisce, aggiorna e custodisce, sotto la propria responsabilità, una cartella sanitaria e di rischio per ogni lavoratore sottoposto a sorveglianza sanitaria; Tale cartella è conservata con salvaguardia del segreto professionale e, salvo il tempo strettamente necessario per l‟esecuzione della sorveglianza sanitaria e la trascrizione dei relativi risultati, presso il luogo di custodia concordato al momento della nomina del medico competente. 15 Introduzione Consegna al Datore di Lavoro, alla cessazione dell'incarico, la documentazione sanitaria in suo possesso, nel rispetto delle disposizioni di cui al decreto legislativo del 30 giugno 2003, n. 196, e con salvaguardia del segreto professionale. Consegna al Lavoratore, alla cessazione del rapporto di lavoro, la documentazione sanitaria in suo possesso e gli fornisce le informazioni riguardo la necessità di conservazione. Fornisce informazioni ai lavoratori sul significato della sorveglianza sanitaria cui sono sottoposti. Informa ogni lavoratore interessato dei risultati della sorveglianza sanitaria di cui all'articolo 41 e, a richiesta dello stesso, gli rilascia copia della documentazione sanitaria. Comunica per iscritto, in occasione delle riunioni di cui all'articolo 35, al datore di lavoro, al responsabile del servizio di prevenzione protezione dai rischi, ai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza, i risultati anonimi collettivi della sorveglianza sanitaria effettuata. Visita gli ambienti di lavoro almeno una volta all'anno o a cadenza diversa che stabilisce in base alla valutazione dei rischi; l‟indicazione di una periodicità diversa dall'annuale deve essere comunicata al datore di lavoro ai fini della sua annotazione nel documento di valutazione dei rischi. Partecipa alla programmazione del controllo dell'esposizione dei lavoratori i cui risultati gli sono forniti con tempestività ai fini della valutazione del rischio e della sorveglianza sanitaria. PER L’RSPP che “è un professionista che ha esperienza sulla Sicurezza del lavoro ed è designato dal datore di lavoro per gestire e coordinare le attività del Servizio di prevenzione e protezione che è l' insieme delle persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzati all’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori” (art. 2). La figura del Rspp e degli addetti non subisce sostanziali modifiche rispetto al 626/94. Gli obblighi dell‟RSPP vengono indicati nell‟articolo 33: individuazione dei fattori di rischio, alla valutazione dei rischi e all‟individuazione delle misure per la sicurezza e la salubrità degli ambienti di lavoro, nel rispetto della normativa vigente sulla base della specifica conoscenza dell‟organizzazione aziendale; 16 Introduzione elaborare, per quanto di competenza, le misure preventive e protettive di cui all‟articolo 28,comma 2, e i sistemi di controllo di tali misure; elaborare le procedure di sicurezza per le varie attività aziendali; proporre i programmi di informazione e formazione dei lavoratori; partecipare alle consultazioni in materia di tutela della salute e sicurezza sul lavoro, nonché alla riunione periodica di cui all‟articolo 35; fornire ai lavoratori le informazioni di cui all‟articolo 36. PER IL LAVORATORE ovvero la “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un'arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”(art. 2): L‟ampliamento del campo di applicazione estende le norme sulla sicurezza a tutti i lavoratori, anche autonomi e parasubordinati che, a prescindere dal tipo di contratto e dalla retribuzione, svolgono la propria prestazione all‟interno dell‟impresa. Sono esclusi i lavoratori domestici e familiari ( articoli 2 e 3). Devono esporre la tessera di riconoscimento solo i lavoratori di aziende che svolgono attività in regime di appalto o subappalto e i lavoratori autonomi che prestano la propria attività in azienda. Se viola questo obbligo, il lavoratore è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 50 a 300 euro (articolo 20). Il lavoratore deve partecipare ai programmi di formazione organizzati dal datore di lavoro, altrimenti rischia la sanzione penale dell‟arresto fino a un mese dell‟ammenda da 200 a 600 euro (articolo 20). Viene introdotta la figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza anche a livello territoriale e di sito produttivo (articolo 47). 17 Introduzione L‟art 20 elenca gli obblighi per i lavoratori: Ogni lavoratore deve prendersi cura della propria salute e sicurezza e di quella delle altre persone presenti sul luogo di lavoro, su cui ricadono gli effetti delle sue azioni o omissioni, conformemente alla sua formazione, alle istruzioni e ai mezzi forniti dal datore di lavoro. I lavoratori devono in particolare: “a) contribuire, insieme al datore di lavoro, ai dirigenti e ai preposti, all’adempimento degli obblighi previsti a tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro; b) osservare le disposizioni e le istruzioni impartite dal datore di lavoro, dai dirigenti e dai preposti, ai fini della protezione collettiva ed individuale; c) utilizzare correttamente le attrezzature di lavoro, le sostanze e i preparati pericolosi, i mezzi di trasporto, nonché i dispositivi di sicurezza; d) utilizzare in modo appropriato i dispositivi di protezione messi a loro disposizione; e) segnalare immediatamente al datore di lavoro, al dirigente o al preposto le deficienze dei mezzi e dei dispositivi, nonché qualsiasi eventuale condizione di pericolo di cui vengano a conoscenza, adoperandosi direttamente, in caso di urgenza, nell’ambito delle proprie competenze e possibilità e fatto salvo l’obbligo di cui alla lettera f) per eliminare o ridurre le situazioni di pericolo grave e incombente, dandone notizia al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza; f) non rimuovere o modificare senza autorizzazione i dispositivi di sicurezza o di segnalazione o di controllo; g) non compiere di propria iniziativa operazioni o manovre che non sono di loro competenza ovvero che possono compromettere la sicurezza propria o di altri lavoratori; h) partecipare ai programmi di formazione e di addestramento organizzati dal datore di lavoro; i) sottoporsi ai controlli sanitari previsti dal presente decreto legislativo o comunque disposti dal medico competente.” PER IL PREPOSTO cioè” persona che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende alla attività lavorativa e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione da parte dei lavoratori ed esercitando un funzionale potere di iniziativa” (art. 2) 18 Introduzione Una delle maggiori novità introdotte dal D.Lgs. 81/08 è quella di avere espletata la figura del preposto (accorpata finora dalla normativa alle figure di dirigenti e datori di lavoro) all‟interno dell‟organizzazione della sicurezza. Il decreto attribuisce compiti precisi al preposto (art. 19): “a) sovrintendere e vigilare sulla osservanza da parte dei singoli lavoratori dei loro obblighi di legge, nonché delle disposizioni aziendali in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di uso dei mezzi di protezione collettivi e dei dispositivi di protezione individuale messi a loro disposizione e, in caso di persistenza della inosservanza, informare i loro superiori diretti; b) verificare affinché soltanto i lavoratori che hanno ricevuto adeguate istruzioni accedano alle zone che li espongono ad un rischio grave e specifico; c) richiedere l’osservanza delle misure per il controllo delle situazioni di rischio in caso di emergenza e dare istruzioni affinché i lavoratori, in caso di pericolo grave, immediato e inevitabile, abbandonino il posto di lavoro o la zona pericolosa; d) informare il più presto possibile i lavoratori esposti al rischio di un pericolo grave e immediato circa il rischio stesso e le disposizioni prese o da prendere in materia di protezione; e) astenersi, salvo eccezioni debitamente motivate, dal richiedere ai lavoratori di riprendere la loro attività in una situazione di lavoro in cui persiste un pericolo grave ed immediato; f) segnalare tempestivamente al datore di lavoro o al dirigente sia le deficienze dei mezzi e delle attrezzature di lavoro e dei dispositivi di protezione individuale, sia ogni altra condizione di pericolo che si verifichi durante il lavoro, delle quali venga a conoscenza sulla base della formazione ricevuta; g) frequentare appositi corsi di formazione secondo quanto previsto dall’articolo 37.” La figura del preposto così definita diventa fondamentale nell‟organizzazione della sicurezza in quanto il preposto ha il compito di svolgere una vigilanza attiva nei confronti dei lavoratori. La definizione specifica del preposto e l‟attribuzione di competenze specifiche va di pari con l‟introduzione di sanzioni specifiche (art. 56). Per quanto riguarda la formazione, il D.Lgs. 81/08 ha introdotto un‟importante novità ovvero l‟obbligo di formazione ed aggiornamento dei preposti (art. 37). 19 Introduzione PER IL RAPPRESENTANTE DEI LAVORATORI PER LA SICUREZZA definito nell‟art. 2 come “persona eletta o designata per rappresentare i lavoratori per quanto concerne gli aspetti della salute e della sicurezza durante il lavoro”. Il nuovo decreto, nell‟ottica di promuovere un sistema della prevenzione aziendale più efficace, ha cercato di potenziare la figura del Rappresentante dei Lavoratori per la sicurezza. Le principali novità introdotte riguardano la figura del RLS di sito produttivo (art. 49) in aggiunta alle più “tradizionali” figure dell‟RLS aziendale (art. 47) e territoriale(art. 48), anch‟esse potenziate. L‟obiettivo da realizzare è la presenza in ogni realtà aziendale della figura del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, consentendo alle aziende che occupano fino a 15 dipendenti, nel caso in cui i lavoratori non siano in grado di eleggere un proprio rappresentante interno, di avvalersi del RLS eletto a livello territoriale o di comparto (art.47, comma 3), e prevedendo che nelle realtà produttive più complesse e articolate, l‟RLS di sito svolga un necessario ruolo di coordinamento degli altri RLS aziendali presenti nel sito produttivo. Altra novità riguarda l‟elezione dei RLS, che “avviene di norma in un’unica giornata su tutto il territorio nazionale… sentite le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative dei datori di lavoro e dei lavoratori”, al fine di sensibilizzare maggiormente i lavoratori sulla necessità di eleggere i propri rappresentanti (art. 47, comma 6). Obbligo per il datore di lavoro di consegnare al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, che ne faccia richiesta, copie del documento di valutazione dei rischi e del registro infortuni, ma anche del documento unico di valutazione dei rischi da interferenza nonché dei dati relativi ai costi della sicurezza (art. 50). Questo al fine di rendere il rappresentante dei lavoratori in grado di svolgere il proprio ruolo con maggiore consapevolezza, grazie alla conoscenza dei principali documenti aziendali in materia di sicurezza. Alla luce dei nuovi compiti che gli vengono assegnati, dovrà essere oggetto di adeguati momenti di formazione e di informazione (art.37). 20 Introduzione Altre novità riguardano: IL DOCUMENTO DI VALUTAZIONE DEI RISCHI ossia la “valutazione globale e documentata di tutti i rischi per la salute e sicurezza dei lavoratori presenti nell’ambito dell’organizzazione in cui essi prestano la propria attività, finalizzata ad individuare le adeguate misure di prevenzione e di protezione e ad elaborare il programma delle misure atte a garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di salute e sicurezza” (art 2, comma q). In caso di contratto di appalto/opera/somministrazione, una valutazione dei rischi attraverso la promozione della cooperazione e del coordinamento con l‟impresa appaltatrice, attraverso la redazione di un Documento Unico di Valutazione dei Rischi Interferenti (D.U.V.R.I.) (art. 26, comma 3). Secondo l‟art. 28, comma 1,l‟oggetto della valutazione deve riguardare “anche nella scelta delle attrezzature di lavoro e delle sostanze o dei preparati chimici impiegati, nonché nella sistemazione dei luoghi di lavoro, deve riguardare tutti i rischi per la sicurezza e la salute dei lavoratori, ivi compresi quelli riguardanti gruppi di lavoratori esposti a rischi particolari, tra cui anche quelli collegati allo stress lavoro-correlato, secondo i contenuti dell’accordo europeo dell’8 ottobre 2004, e quelli riguardanti le lavoratrici in stato di gravidanza, secondo quanto previsto dal decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151, nonché quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri Paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro”. Nel documento di valutazione dei rischi devono essere individuate “le mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione e addestramento” (art. 28, comma 2, lett. f). Mentre il D.Lgs. 626/94 prevedeva una rielaborazione della valutazione dei rischi (art. 4 c. 7) “in occasione di modifiche del processo produttivo significative ai fini della sicurezza e della salute dei lavoratori”, il D.Lgs. 81/08 (art. 29 comma 3) amplia i casi che richiedono una rielaborazione della valutazione, stabilendo che la stessa deve essere ripetuta “in occasione di modifiche del processo produttivo o dell’organizzazione del lavoro significative ai fini della salute e della sicurezza dei lavoratori, o in relazione al grado di evoluzione della tecnica, della prevenzione e della protezione o a seguito di infortuni significativi o quando i risultati della sorveglianza sanitaria ne evidenzino la necessità”. 21 Introduzione Secondo l‟art 28, comma 2, il DVR, redatto a conclusione della valutazione, deve avere data certa e contenere: “a) una relazione sulla valutazione di tutti i rischi per la sicurezza e la salute durante l’attività lavorativa, nella quale siano specificati i criteri adottati per la valutazione stessa; b) l’indicazione delle misure di prevenzione e di protezione attuate e dei dispositivi di protezione individuali adottati, a seguito della valutazione; c) il programma delle misure ritenute opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza; d) l’individuazione delle procedure per l’attuazione delle misure da realizzare, nonché dei ruoli dell’organizzazione aziendale che vi debbono provvedere, a cui devono essere assegnati unicamente soggetti in possesso di adeguate competenze e poteri; e) l’indicazione del nominativo del responsabile del servizio di prevenzione e protezione, del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza o di quello territoriale e del medico competente che ha partecipato alla valutazione del rischio; f) l’individuazione delle mansioni che eventualmente espongono i lavoratori a rischi specifici che richiedono una riconosciuta capacità professionale, specifica esperienza, adeguata formazione ed addestramento”. L‟art. 29, indicante le modalità di effettuazione della valutazione dei rischi, enuncia che il datore di lavoro deve effettuare la valutazione ed elaborazione del DVR in collaborazione con il responsabile del servizio di prevenzione e protezione e il medico competente, previa consultazione del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza. Il DVR ed il DUVRI devono essere custoditi presso l‟unità produttiva alla quale si riferisce la valutazione dei rischi. LA FORMAZIONE intesa come “processo educativo attraverso il quale trasferire ai lavoratori ed agli altri soggetti del sistema di prevenzione e protezione aziendale conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze per lo svolgimento in sicurezza dei rispettivi compiti in azienda e alla identificazione, alla riduzione e alla gestione dei rischi” (art. 2). Le parole e i concetti chiave di questa definizione sono: “I lavoratori e gli altri soggetti del sistema aziendale di prevenzione”; non soltanto i lavoratori saranno destinatari della formazione ma tutti gli attori del sistema aziendale ai fini del miglioramento della prevenzione. Si potenzia il concetto di 22 Introduzione educazione continua, esteso a tutte le figure (escluso il datore di lavoro che non svolge direttamente i compiti del servizio di prevenzione e protezione) che partecipano alla gestione della salute e sicurezza aziendale, ivi compresi i dirigenti ed i preposti, figure per le quali non vigeva alcun obbligo formativo nel D.Lgs. 626/94. L‟estensione di tale obbligo di aggiornamento permette un approccio alla formazione in tema di salute e sicurezza inteso, non come un obbligo da assolvere una tantum, ma piuttosto come un percorso continuo in cui sono coinvolti tutti gli attori della sicurezza non solo i lavoratori, ma anche di coloro che svolgono funzioni di gestione, decisone e controllo. Si legge nell‟art. 37dell‟ 81/08: “formazione dei lavoratori e dei loro rappresentanti “Il datore di lavoro assicura che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente ed adeguata in materia di salute e sicurezza, anche rispetto alle conoscenze linguistiche, con particolare riferimento a: a) concetti di rischio, danno, prevenzione, protezione, organizzazione della prevenzione aziendale, diritti e doveri dei vari soggetti aziendali, organi di vigilanza, controllo, assistenza; b) rischi riferiti alle mansioni e ai possibili danni e alle conseguenti misure e procedure di prevenzione e protezione caratteristici del settore o comparto di appartenenza dell'azienda”. Nell’art 22 del 626/94: “Formazione dei lavoratori” “Il datore di lavoro, i dirigenti e i preposti, nell'ambito delle rispettive attribuzioni e competenze, assicurano che ciascun lavoratore, ivi compresi i lavoratori di cui all'art. 1, comma 3, ricevano una formazione sufficiente ed adeguata in materia di sicurezza e di salute, con particolare riferimento al proprio posto di lavoro e alle proprie mansioni”. “Conoscenze e procedure utili alla acquisizione di competenze”; quindi la formazione mira non solo al trasferimento di conoscenze (necessarie a comprendere un fenomeno, un oggetto, una situazione) o di abilità (acquisizione di procedimenti, metodi, strumenti per una applicazione pratica), ma anche all‟apprendimento di comportamenti che attengono alla sfera del sapere essere e che coniugano doti, valori e attitudini personali con le necessità espresse dall‟organizzazione e dalle persone. Gli aggettivi utilizzati dal legislatore al riguardo della formazione dei lavoratori (adeguata, sufficiente, comprensibile, specifica) indicano che la progettazione della stessa va realizzata perseguendo obbiettivi di efficacia ed 23 Introduzione efficienza, mirando all‟effettivo trasferimento di competenze. Per tale motivo i percorsi formativi vanno progettati sulla base delle reali esigenze formative dei destinatari, tenendo conto delle risultanze della valutazione del rischio, delle competenze pregresse, del contesto all‟interno del quale essi operano, della attività lavorativa specifica, della provenienza dei destinatari della formazione, delle attese normative. Un altro aspetto importante è la presenza nello stesso elenco delle definizioni relative a “informazione” e ad “addestramento” che evidenziano la necessità di tener conto delle specifiche caratteristiche e , quindi, delle differenze tra ognuna di queste attività. Anche l‟addestramento del lavoratore deve essere ispirato a criteri di effettività: esso, pertanto deve essere ripetuto, fino a quando non ne venga accertata la completa padronanza da parte del lavoratore, in modo da consentire una correzione in itinere e un miglioramento di quanto appreso. Infine l‟innovativa riportata nell‟art.37 comma 13, prevede che il contenuto della formazione debba essere facilmente comprensibile per i lavoratori. Se questa riguarda lavoratori immigrati occorre previamente verificare la comprensione e la conoscenza della lingua utilizzata. L‟efficacia ed efficienza della formazione vanno quindi valutate sui risultati da essa prodotti, esistendo un vero e proprio obbligo di risultato sul datore di lavoro che ha un dovere di verifica e di controllo sul grado dell‟apprendimento. L’APPARATO SANZIONATORIO ha subito un inasprimento notevole, introducendo ad esempio l‟arresto, non convertibile in pena pecuniaria, se è dimostrabile che una violazione abbia causato un infortunio o se il datore di lavoro abbia già subito una condanna per violazione delle norme sulla sicurezza. Si parla inoltre di responsabilità amministrativa delle persone giuridiche (D.Lgs.231/01) e di reati di omicidio colposo e di lesioni colpose gravissime (punite con la reclusione dal Codice Penale), commessi in violazione delle norme antinfortunistiche (D.Lgs.123/2007). Il successivo D.Lgs.106/09 ha addirittura introdotto la sospensione dell‟attività tra le sanzioni a più forte impatto deterrente in caso ad esempio di gravi e reiterate violazioni in materia di sicurezza. Esiste inoltre un rapporto di causalità nella successione delle cariche in organigramma. Il Datore di Lavoro delegante, secondo l‟art. 16 del D.Lgs. 81/0, deve vigilare sull‟operato del delegato, il quale è tenuto a relazionare con il delegante attraverso periodici report. (dal 24 Introduzione Congresso “Dalla prevenzione penale alla gestione aziendale” Torino Lingotto 19/11/2010). Il legislatore ha espresso con tale legge la volontà di incentivare la cultura della sicurezza, prevedendo ad esempio di inserire nei programmi scolatici e universitari la materia della salute e sicurezza sul lavoro e incentivando i datori di lavoro mediante concessione di un credito di imposta nella misura massima del 50% delle spese sostenute per la partecipazione dei lavoratori a programmi sulla sicurezza e salute sul lavoro (entro un limite di spesa pari a 25 mil.di euro annui). Alla luce di quanto fin qui esposto è evidente che il concetto di sicurezza sul lavoro si è evoluto nel tempo, contemporaneamente alla “trasformazione” dell‟ambiente di lavoro stesso. Molti “ambienti confinati” sono oggi veri e propri “ambienti di lavoro” e, come tali, devono sottostare alle specifiche normative citate. 1.3 AMBIENTI CONFINATI ED INQUINAMENTO INDOOR Fin dai primordi della civiltà è apparso evidente che affinché un edificio, in particolare una abitazione, potesse essere definita “sana”, era necessario che possedesse determinati requisiti costruttivi, come ad es. finestre che forniscono una buona ventilazione, assenza di umidità, scarichi efficienti delle stufe e dei camini, ecc. Tali requisiti nel corso del tempo sono stati raccolti in manuali e disposizioni normative che hanno rappresentato i precursori dei moderni Regolamenti di Igiene Edilizia. I criteri costruttivi degli edifici sono evoluti lentamente nel corso dei secoli, ma l‟avvento della tecnologia moderna ed i nuovi assetti urbanistici che si sono imposti nel XX secolo, con la nascita delle moderne città occidentali a sviluppo verticale e con la diffusione di grattacieli ed edifici sigillati a tecnologia complessa, hanno profondamente innovato la struttura degli ambienti interni sia di tipo residenziale che di tipo commerciale. Malgrado questa evoluzione dell‟ambiente costruito, che è andata di pari passo con lo sviluppo industriale, l‟urbanizzazione, la terziarizzazione economica e con lo sviluppo delle metropoli, ancora a metà del secolo scorso vi era una netta differenza tra la qualità igienica degli ambienti industriali, per loro natura caratterizzati dalla presenza di inquinanti legati ai processi produttivi, e la qualità degli ambienti di tipo civile e commerciale, considerati in genere igienicamente sani ed anzi tradizionalmente utilizzati dal medico di fabbrica come gli “ambienti puliti” in cui trasferire i lavoratori che non potevano più essere esposti alle polveri ed agli inquinanti presenti nei reparti produttivi della fabbrica. 25 Introduzione Una data simbolica di svolta per la qualità dell‟aria indoor nelle società occidentali è rappresentata dalla guerra del Kippur del 1967, che ha dato ufficialmente inizio ad una nuova consapevolezza del problema. Per effetto della guerra, il prezzo del petrolio ebbe una impennata su tutti i mercati e causò la prima crisi energetica dell‟era contemporanea. Come risposta alla crisi ed al brusco aumento dei costi, vennero limitati tutti i consumi energetici e, tra questi, anche i consumi per riscaldamento e trattamento dell‟aria degli edifici, che da soli rendono conto di oltre un terzo di tutti i consumi energetici nelle società occidentali. Il risultato fu che nelle metropoli americane ed europee la qualità dell‟aria degli edifici peggiorò drasticamente e nacque e si diffuse la cosiddetta “sindrome dell‟edificio malato” (sick building syndrome), nella quale la maggioranza degli occupanti dell‟edificio lamentava sintomi irritativi aspecifici e forte disagio sensoriale che, in molte occasioni, portava alla necessità di evacuare l‟edificio. Nel corso degli anni ‟70 e ‟80 ci si rese conto che lo scadimento della qualità dell‟aria indoor era il risultato non solo della carenza di ventilazione interna, ma anche di complesse modificazioni che erano intervenute nel modo di costruire e gestire gli edifici: edifici sigillati, ove la ventilazione forzata sostituisce completamente quella naturale, uso di materiali interni sintetici (mobili e moquettes) che emettono sostanze chimiche, uso di coibenti e isolanti, uso esteso di impianti di climatizzazione, penetrazione di inquinanti dai garage sottostanti, diffusione negli uffici di attrezzature informatiche e stampanti, diffusione di agenti biologici con i sistemi di termoventilazione e/o ventilazione forzata. Contemporaneamente nelle società occidentali era in corso una massiccia trasformazione economica e produttiva, con modificazione della struttura della forza-lavoro e della occupazione, che ormai per il 70-80% era rappresentata da addetti al terziario e sempre meno da addetti all‟industria. Così negli uffici e negli edifici commerciali, un tempo ritenute isole felici per la qualità dell‟aria, sempre più spesso si diagnosticavano malattie quali congiuntiviti e sindromi irritative delle vie aeree, asma allergica, febbre da umidificatori e polmoniti. Inoltre analizzando l‟aria indoor di uffici e abitazioni si trovavano svariati inquinanti quali CO, NOx, formaldeide, composti organici volatili, benzene, radon, amianto, allergeni ecc. nonché il fumo di sigaretta prodotto dagli occupanti. In sostanza in quegli anni fece la sua comparsa il termine di “inquinamento indoor” degli edifici ad uso civile e residenziale, per indicare un fenomeno complesso e di importanza per la salute pubblica pari o superiore a quello tradizionalmente riconosciuto all‟inquinamento dell‟aria outdoor. 26 Introduzione Tra il 1971 ed il 1984 il NIOSH ha censito nei soli USA 446 studi relativi a lavoratori d‟ufficio che avevano lamentato disturbi o patologie riferibili al loro ambiente di Lavoro (Maroni, 2004). L‟emergere di queste evidenze e le connesse discussioni sui costi sociali ed economici della patologia attribuibile all‟ “inquinamento indoor” hanno promosso estese ricerche sul rischio per la salute, prese di posizione delle agenzie nazionali ed internazionali e la nascita di un vero e proprio settore scientifico multidisciplinare, con associazioni internazionali dedicate, riviste scientifiche e convegni internazionali con migliaia di partecipanti. Un contributo significativo a questo sviluppo scientifico è stato fornito dalla Organizzazione Mondiale della Sanità che tra il 1979 ed il 1990 ha organizzato diversi gruppi di lavoro e pubblicato una serie di report sul rischio per la salute causato dalla esposizione indoor a vari inquinanti, anticipando la successiva monografia della IARC sul radon e richiamando, inoltre, l‟attenzione sui prodotti della combustione, sugli agenti biologici e sui composti organici rilasciati da mobili e moquettes negli ambienti interni. La US-EPA nello stesso periodo ha prodotto una voluminosa relazione per il Congresso degli USA sui problemi dell‟aria indoor, ha costituito un ufficio ad essi dedicato, ed ha prodotto un articolato piano di intervento. Un contributo di notevole valore culturale è venuto dalla fondazione della International Academy of Indoor Air Sciences (IAIAS) e della International Society of Indoor Air Quality and Climate (ISIAQ). A partire dal 1978 ad oggi la IAIAS e l‟ISIAQ hanno organizzato ogni tre anni rispettivamente i convegni internazionali INDOOR AIR ed i convegni Healthy Buildings ed hanno censito e raccolto i risultati della ricerca internazionale in questo settore, producendo voluminosi atti ad ogni edizione. Una notevole produzione culturale e scientifica è stata promossa anche dalla Commissione Europea attraverso la Azione Concertata “Indoor Air Quality and Its Impact on Man” che a partire dagli anni ‟80 ha finora prodotto 23 monografie specifiche su svariati temi relativi all‟inquinamento indoor. Inoltre è stato fondato uno specifico giornale scientifico “Indoor Air”, destinato a raccogliere le pubblicazioni in questo settore (Maroni ,2004). Analogamente uno sforzo importante è stato compiuto a livello internazionale e nazionale per portare queste nuove conoscenze ad architetti e ingegneri, cioè ai tecnici implicati nella progettazione e gestione degli edifici, il cui apporto alla prevenzione ed al mantenimento della qualità dell‟aria indoor è essenziale. La US-EPA sul finire degli anni ‟80 ha prodotto la guida “Building Air Quality: A Guide for Building Owners and Facility Managers” e nel 1998 “Building Air Quality Action Plan”, una guida che riassume le strategie di gestione della qualità dell‟aria nei grandi edifici. Pubblicazioni specifiche sono state 27 Introduzione successivamente prodotte anche dalla NATO, dalle Task Force dell‟ISIAQ, dalla FiSIAQ ed in Italia da Maroni et al. con il volume “Habitat Costruito, Inquinamento e Salute”, edito da Franco Angeli nel 1991, e da Baglioni e Piardi con il volume “Costruzioni e Salute”, edito da Franco Angeli nel 1994. La non corretta scelta dei materiali di costruzione può, infatti, peggiorare le condizioni abitative, in quanto gli stessi possono agire secondo tre modalità: - rilasciando direttamente sostanze inquinanti o pericolose (composti organici volatili, radon, polveri, fibre); - adsorbendo e successivamente rilasciando sostanze presenti nell‟aria e provenienti da altre fonti; - favorendo l‟accumulo di sporco e la crescita di microrganismi. E‟ pertanto importante valutare del materiale, oltre la costituzione chimica propria e delle sostanze con cui viene in contatto, anche le sue caratteristiche fisiche e meccaniche, le sue proprietà, le condizioni di uso e il suo comportamento in presenza di agenti chimici e fisici. La crescita di colonie di microrganismi dipende dal tipo di prodotto (naturale o sintetico), dalla percentuale di umidità contenuta, dalla qualità della superficie (porosità), dalle condizioni d‟uso (attività svolte, presenza di altri prodotti), dalle condizioni microclimatiche. La presenza di polveri e fibre nell‟aria interna è normalmente legata al grado di usura dei prodotti come pavimentazioni, tappezzerie, intonaci, pitturazioni o alla possibilità che materiali fibrosi (come alcuni tipi di isolanti) entrino in contatto con l‟aria interna. Diverse sono le condizioni all‟interno tra edifici vecchi ed edifici nuovi: nei primi, i fattori di rischio sono relativi al degrado dei materiali (polveri e fibre) e alla presenza di umidità; nei nuovi, i problemi nascono dall‟utilizzo di prodotti di finitura che non hanno ancora completato l‟emissione di sostanze chimiche inquinanti (vernici, pitture, ecc.) o da una eccessiva sigillatura o isolamento termico inadeguato. Particolare attenzione deve essere rivolta ai sistemi di climatizzazione che, se da una parte possono favorire un miglioramento del microclima, dall‟altra errate progettazioni e installazioni, scarsa igiene e inappropriata manutenzione possono contribuire a trasformare i climatizzatori in sorgenti di diffusione di contaminanti. Gli impianti per la climatizzazione sono destinati a svolgere le funzioni di controllo delle condizioni termiche e di umidità dell‟aria, di ricambio controllato dell‟aria e di cattura per filtrazione di polveri e altre particelle trasportate. La semplicità delle soluzioni tecniche deve essere compatibile con una gestione controllata e duratura. 28 Introduzione I microrganismi che possono proliferare in vari punti degli impianti di condizionamento possono essere causa di alterazioni respiratorie o casi isolati di legionellosi e di alveoliti allergiche estrinseche da actinomiceti termofili. Anche l‟informazione della popolazione è un aspetto determinante per lo sviluppo di una politica di sanità pubblica e prevenzione per l‟inquinamento indoor. Il riconoscimento che i comportamenti delle persone sono talvolta fattori essenziali del problema (ad es. il fumo in ambienti chiusi, l‟introduzione di sorgenti per bricolage o per altre attività hobbistiche, il modo di eseguire le pulizie negli ambienti interni, ecc.) e che, in particolare per gli ambienti residenziali, tutta la popolazione è il diretto gestore del proprio ambiente, spiega come sia impossibile ottenere risultati di prevenzione importanti in assenza di un‟informazione specifica della popolazione. Il complesso delle conoscenze disponibili nel mondo nei primi anni ‟90 è stato sintetizzato nel trattato monografico di circa 2000 pagine “Indoor Air Quality - A comprehensive reference book”, a cui hanno contribuito tutte le principali istituzioni internazionali e molti esperti di diverse aree disciplinari. Pur vecchio di quasi 10 anni ormai, questo volume rappresenta tuttora il testo più completo esistente sull‟aria indoor, che si distingue dalle altre pubblicazioni per la sistematicità della trattazione e per la qualità dei contributi specifici. Nel corso degli anni ‟90 e all‟inizio di questo secolo, il tema dell‟inquinamento degli ambienti indoor ha raggiunto la sua maturazione ed è approdato nel nostro Paese, sia a livello scientifico che a livello normativo ed istituzionale. A livello della comunità scientifica, Maroni organizzò a Roma nel 1988 un Convegno sull‟Inquinamento Indoor in collaborazione con il Comitato Ambiente del CNR e nel 1989 il Convegno Inquindoor in collaborazione con il Comune e la Provincia di Milano. Da questi convegni derivò il primo tentativo di interesse istituzionale ad opera del Ministro Giorgio Ruffolo, primo titolare del neonato Ministero dell‟Ambiente, che nel 1990 diede vita ad una Commissione di Studio sul fenomeno dell‟inquinamento indoor nel nostro paese. Nello stesso tempo, nel Convegno di Stresa della SIMLII del 1990 e nel Simposio Qualità dell‟Aria Interna e Salute tenutosi a Perugia nel 1991, vennero esposti i primi risultati delle ricerche tenutesi in Italia sulla qualità dell‟aria dei lavoratori degli uffici. In seguito, anche per effetto del Convegno Internazionale Healthy Buildings organizzato a Milano nel 1995 , il Ministro della Sanità istituì nel 1998 una specifica Commissione di Studio che ha prodotto un Piano di Prevenzione per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati. Tale piano ha poi generato le “Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati” che, dopo essere state discusse nella 29 Introduzione Conferenza Stato-Regioni, sono state pubblicate sulla G.U. n. 276 del 27.11.2001. Il Piano elaborato dalla Commissione è un documento importante perché affronta in modo sistematico il tema dell‟inquinamento dell‟aria indoor enunciando i principi a base della politica di piano (Tabella 1), gli obbiettivi e le strategie di intervento (Tabella 2) e l‟insieme delle proposte che sarebbe necessario affrontare (Tabella 3). Inoltre, per la prima volta nel nostro paese, viene fornito un quadro complessivo dell‟impatto sanitario ed economico delle principali malattie associate all‟inquinamento indoor che indica chiaramente come la prevenzione, oltre che un dovere etico, è anche una opportunità di risparmio di risorse per il Servizio Sanitario Nazionale. Anche il D.Lgs. 626/94 ha in qualche modo risentito degli sviluppi delle conoscenze e nell‟art. 33 ha proceduto ad un aggiornamento del vecchio art. 9 del DPR 303 del 1956, anche se le prescrizioni in esso enunciate restano a nostro parere a livello ancora troppo generico e sarebbero passibili di maggiore dettaglio per risultare più incisive (Tabella 4). L‟importanza e l‟urgenza per ogni Paese di dotarsi di un Piano nazionale di prevenzione per gli effetti sulla salute degli ambienti indoor è stata sottolineata dall‟Organizzazione Mondiale della Sanità all‟interno del “Piano di prevenzione per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati” del 1999 dove si legge che “Gli sforzi fino ad ora compiuti mostrano come il raggiungimento di un ambiente indoor sostenibile rappresenti allo stato attuale, una sfida per le organizzazioni internazionali e per i governi. Occorre che ciascuna comunità nazionale contribuisca alla risoluzione di questa sfida nei limiti delle proprie conoscenze e nel contempo sia disponibile a far tesoro dell’esperienza altrui. Per queste ragioni è sempre più necessario promuovere la cooperazione internazionale nel campo della IAQ” . Tabella 1. Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Principi a base della politica di piano 1. Diritto per tutti, in particolare anziani, bambini e allergici, alla salute definita in accordo con l‟OMS, uno stato di completo benessere psicofisico e non solamente come “assenza di malattia”. 2. “Sostenibilità” degli edifici, dal punto di vista della progettazione, costruzione, ristrutturazione, e gestione, per gli aspetti che riguardano l‟ambiente e l‟energia. 3. Prevenzione scientificamente giustificata, cioè fondata su solide conoscenze scientifiche e sulla priorità della tutela degli interessi della sanità pubblica rispetto a quelli economici, dell‟industria, del commercio e della produzione. 4. Partecipazione dei cittadini alla gestione delle politiche di intervento preventivo e rispetto delle regole di sussidiarietà negli interventi tra Stato ed Enti Locali e tra Enti Locali e cittadini. 30 Introduzione Tabella 2. Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Obiettivi OBIETTIVI 1. Promuovere iniziative nell‟ambito della prevenzione e della promozione della salute per le patologie correlate all‟ambiente indoor: patologie cardio-respiratorie, oncologiche, asma, allergie, gli incidenti domestici, etc., e, allo stesso tempo personalizzare gli interventi di prevenzione, partendo dai bisogni locali. 2. Migliorare il contesto ambientale, in particolare quello relativo agli ambienti confinati di vita e di lavoro. 3. Rafforzare la tutela dei soggetti deboli (infanzia, donne in gravidanza, anziani, malati, classi svantaggiate). OBIETTIVI SPECIFICI 1. Conoscenza delle condizioni abitative e degli stili di vita della popolazione e promozione di stili di vita sani. 2. Ambienti di lavoro che garantiscano benessere e produttività. 3. Ambienti di vita sani e sicuri; riduzione dell‟inquinamento domestico (specie l‟esposizione al fumo passivo). 4. Incentivazione e, per taluni spetti, obbligo alla costruzione e ristrutturazione di edifici e di ambienti igienicamente sani, compatibili con l‟ambiente ed efficienti nell‟uso dell‟energia. 5. Prevenzione dei costi sanitari e sociali legati all‟inquinamento indoor. 6. Tutela del consumatore e incentivo alla produzione ed al consumo di materiali/prodotti sani. 31 Introduzione Tabella 3.Linee Guida per la Tutela e la Promozione della Salute negli Ambienti Confinati - Azioni proposte a livello normativo e tecnico Definizione dei requisiti funzionali degli ambienti e standard/valori guida di qualità dell’aria: Prevenzione ambientale nelle scuole Prevenzione ambientale nelle abitazioni Linee di azione specifiche per sorgenti o inquinanti: Fumo passivo (ETS) Radon Materiali per edilizia (compresi isolanti) e arredo Prodotti chimici di largo consumo Gas di combustione (in particolare Monossido di carbonio) Agenti biologici (in particolare Allergeni) Progettazione, costruzione e gestione degli edifici Definizione di principi e standard che integrino gli strumenti normativi vigenti (Regolamento edilizio, Regolamento d‟igiene, Norme tecniche) finalizzandoli allo stato igienico-sanitario degli impianti aeraulici ed al controllo della qualità dell‟aria. Linee-guida dettagliate per la progettazione edilizia e per le soluzioni di ventilazione (portate di aria esterna minime, griglie di ventilazione e misura del numero di ricambi d‟aria nelle residenza) Strumenti di valutazione per la scelta dei materiali (ecolabel) Regole per commissione e vendita degli edifici Regole per la manutenzione degli edifici; istituzione obbligatoria del libretto di manutenzione Regole per la progettazione gestione e manutenzione dei sistemi di ventilazione e climatizzazione, volte a garantire la qualità per il consumatore Accreditamento e certificazione dei servizi di manutenzione agli edifici Accreditamento e certificazione dei consulenti e dei servizi per la qualità dell‟aria Azioni previste a livello formativo Formazione dei professionisti che operano nel settore edilizio, tecnologico-impiantistico e nei servizi di prevenzione Inserimento di qualità dell‟aria e prevenzione nei curricula delle scuole superiori e delle università Addestramento e corsi di formazione specifici per personale sanitario e tecnico del SSN Azioni previste a livello informativo e di educazione sanitaria Produzione di materiale informativo scientificamente qualificato Campagne informative per: popolazione generale, medici, ingegneri - architetti - impiantisti, proprietari immobiliari, fornitori di servizi agli edifici, presidi delle scuole, tecnici degli enti locali, gestori di mezzi di trasporto - stazioni - aeroporti Azioni previste a livello di ricerca Valutazione dell‟esposizione della popolazione (indagine sulle condizioni abitative e di vita, esposizione ambientale e personale agli inquinanti, distribuzione dell‟esposizione, fattori determinanti, rapporto sorgenti/esposizione, biomarkers, tecniche di valutazione dell‟esposizione, ecc.) Valutazione degli effetti sulla salute e del rischio per la popolazione (studi epidemiologici, in particolare sul rischio radon per i non fumatori e sugli effetti sinergici tra radon e fumo passivo, meccanismi d‟azione, tecniche diagnostiche, allergie, asma, effetti respiratori, tumori, effetti sensoriali, SBS, ecc) Metodi di misura e di studio delle sorgenti e degli inquinanti (standardizzazione delle tecniche di misura, misura emissioni, sorgenti, complesse caratterizzazione POM, allergeni, agenti biologici, ecc.) Tecniche per il miglioramento della qualità dell‟aria interna e per la conseguente riduzione del rischio per la salute (tecniche di controllo delle sorgenti e di riduzione delle concentrazioni in aria, filtrazione dell‟aria, sistemi di ventilazione, sensori e demandventilation, ecc) 32 Introduzione Tabella 4.Decreto Legislativo n. 626/94 Articolo 33 - Adeguamento di Norme 6. L‟articolo 9 del DPR 19/3/56, n° 303, (Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi) è sostituito dal seguente: Aerazione dei luoghi di lavoro chiusi 1. Nei luoghi di lavoro chiusi, è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente 2. Se viene utilizzato un impianto di aerazione, esso deve essere sempre mantenuto funzionante. Ogni eventuale guasto deve essere segnalato da un sistema di controllo, quando ciò è necessario per salvaguardare la salute dei lavoratori. 3. Se sono utilizzati impianti di condizionamento dell‟aria o di ventilazione meccanica, essi devono funzionare in modo che i lavoratori non siano esposti a correnti d‟aria fastidiosa. 4. Qualsiasi sedimento o sporcizia che potrebbe comportare un pericolo immediato per la salute dei lavoratori dovuto all‟inquinamento dell‟aria respirata deve essere eliminato rapidamente. 1.3.1 SICK BUILDING SYNDROME Sick building syndrome è un termine coniato nel 1987 dall‟OMS per la crescente importanza assunta dall‟inquinamento negli ambienti interni. Uno studio dell‟università dell‟Aquila (2004) sull‟inquinamento indoor spiega che la diagnosi di SBS si basa essenzialmente sul rilievo epidemiologico di sintomi associati e concorrenti (2 o più sintomi concomitanti) che interessano una fetta consistente di soggetti (ad es., 20-50%) occupanti per lavoro uno stesso ecosistema del tipo edificio sigillato, in cui qualità dell‟aria, ambiente termico e luminoso sono controllati artificialmente in varia misura. È ammesso da tutti gli autori che una percentuale “fisiologicamente bassa” di soggetti sintomatici sia sempre presente anche negli edifici “sani” (healthy buildings). I sintomi più frequenti sono costituiti da irritazioni cutanee, oculari e di altre mucose, da turbe del sistema nervoso (senso di fatica, cefalea, letargia) e da sensazioni varie, come un mal spiegato senso di oppressione toracica. I sintomi sono di solito lievi, si presentano con frequenza almeno settimanale, migliorano con l‟allontanamento dal luogo di lavoro. Numerose indagini hanno evidenziato che questa sindrome è più frequente negli uffici situati in edifici di tipo moderno con aria condizionata, a paragone di quelli collocati in costruzioni tradizionali con ventilazione naturale. La patogenesi dei disturbi non è chiara, anche se nella maggior parte dei casi sono da escludere fenomeni di tipo allergico. La presenza all‟interno degli edifici di alcune sostanze specifiche può essere la principale causa di malattie caratterizzate da un quadro clinico ben definito, per questo chiamate malattie associate agli edifici “Buiding-Related Illness”(BRI). Gli agenti comunemente implicati possono essere di natura chimica, fisica o biologica (fumo di tabacco, polvere, formaldeide, radon, amianto, microrganismi, allergeni etc.). 33 Introduzione Molte cause legate ai problemi di salute indotti dagli edifici, risiedono soprattutto nell‟inquinamento biologico dell‟aria (acari, forfora di animali, funghi, muffe, batteri). Non esiste alcuna definizione uniforme della sindrome e manca un accordo internazionale per far la diagnosi conseguente. Manca altresì la definizione di agente causale, anche se alcune voci sono più ricorrenti quali: errori di gestione della ventilazione forzata e/o della climatizzazione, ricambi d‟aria insufficienti, affollamento di ambienti condivisi, lavoro prolungato con videoterminali, presenza di microinquinanti a livelli fino a decine di volte inferiori al valore TWA, presenza di un livello educativo sanitario e socio-economico piuttosto “basso” tra i soggetti interessati. Quest‟ultimo aspetto ha indirizzato vari autori a considerare le SBS nell‟ambito dei disturbi a carattere psicosomatico e del disagio psico-sociale. In ogni caso, a livello preventivo la sindrome riveste grande importanza perché: a) può comportare una “perdita” aziendale (loss) anche notevole per ridotta produttività, assenteismo e possibile contenzioso per indennizzo; b) il problema della qualità dell‟aria indoor e del microclima degli spazi confinati è sempre più visto come rilevante per una società in cui gli individui spendono più del 90% del proprio tempo in ambienti chiusi, tra casa, lavoro, supermercati, palestra e locali di divertimento. La profilassi medica della sindrome è tuttavia non praticabile secondo i canoni consolidati della sorveglianza sanitaria, in quanto trattasi di un work-related problem piuttosto che di una work-related disease. Sul piano medico legale, non risulta ipotizzabile alcuna fattispecie di tipo infortunistico, se non altro per la dirimente non identificabilità, nei casi che giungono ad osservazione, di una qualsiasi “causa violenta” nelle sue note attribuzioni di ordine cronologico (concentrazione nel tempo), qualitativo, quantitativo e modale. Ma anche in merito alla definizione di malattia professionale una rigorosa applicazione della criteriologia medico legale nella verifica di causalità non consente di suffragare l‟ammissione di un‟effettiva correlazione causa-effetto. Risultano infatti labili sia la consistenza dell‟associazione tra agenti e sintomi (mancano autorevoli studi concordanti), sia la forza (manca una qualsiasi stima di un rischio relativo e di un gradiente dose-effetto), sia la specificità (è indefinibile a quale specifica esposizione corrisponda una specifica malattia o almeno una sindrome), sia la coerenza (nessuna plausibilità biologica emerge dall‟analisi della patogenesi). 34 Introduzione Lo stesso criterio della temporalità (ogni causa deve precedere il suo effetto) è messo in discussione proprio in virtù della mancata dimostrazione di uno/più chiaro/i agente/i causale/i. Un utile riferimento in materia di inquinamento indoor è l‟Accordo Stato Regioni recante “linee guida” per la tutela e la promozione della salute negli ambienti confinati (G.U. 27.11,2001, n.275, s.o. n.252) elaborate dal Ministero della Salute dove viene ribadita l‟importanza di “un programma nazionale di ricerca su tematiche, quali la valutazione dell’esposizione e del rischio per la popolazione o l’approfondimento di metodi di misura e di studio delle sorgenti e degli inquinanti negli ambienti confinati”. E‟ opportuno che i risparmi energetici conseguiti con l‟isolamento dell‟involucro (L.373/76, L.10/91) vengano affiancati da adeguate misure correttive o preventive che mirino ad ottimizzare il rapporto edificio/ambiente. Durante la fase di progettazione è opportuno considerare con attenzione la configurazione e l‟articolazione interna dell‟edificio in relazione alla qualità dell‟aria interna, ad esempio: limitando l‟ingresso di inquinanti, attraverso spazi-filtro tra l‟esterno e i locali abitati; circoscrivendo le attività inquinanti in luoghi dedicati; favorendo la circolazione d‟aria negli ambienti ed evitando il ristagno di umidità, mediante affacci multipli, presenza di cavedi e dimensionando adeguatamente gli ambienti. All‟atto della progettazione si deve prevedere l‟impiego di materiali con bassa emissività di sostanze inquinanti, la presenza di aperture finestrate e volumi che consentano una buona ventilazione, l‟isolamento del terreno sottostante, etc.. Occorre limitare l‟impiego di materiali pericolosi o insalubri scegliendo materiali igienicamente idonei. A tal fine è necessaria la definizione di procedure tecniche standard di saggio delle emissioni, classificazione dei materiali per le proprietà igieniche e ambientali, etichettatura e marchi di qualità dei prodotti per l‟orientamento dei professionisti del settore e dei consumatori, tenendo conto anche di quanto previsto dalla Direttiva 89/106/CEE, concernente i materiali da costruzione. Per gli impianti di ventilazione/condizionamento occorre garantire una adeguata progettazione, installazione e collaudo, con particolare attenzione al posizionamento delle bocchette di aspirazione, nel rispetto di tutti gli standard UNI, ISO, CEN e ASHRAE sulle condizioni di progetto, i carichi termici, portate di aria esterna, emissioni di contaminanti ecc.. 35 Introduzione 1.3.2 IL CALL-CENTER: STORIA E MERCATO L‟Health and Safety Executive (HSE) definisce il Call-center come “un ambiente di lavoro in cui l‟attività principale è svolta attraverso il telefono e l‟uso contemporaneo di attrezzature munite di videoterminali. Il termine call-center include parti di aziende dedicate a questa attività quali ad esempio help-line o aziende interamente dedicate a questa attività”. L‟operatore risulta “un impiegato la cui mansione comporta che dedichi una significativa parte del suo tempo nel rispondere alle chiamate via telefono e nel contempo utilizzi attrezzature munite di videoterminali”. Un Call-Center è, dunque, un ufficio o un centro preposto alla gestione delle chiamate telefoniche (call) in entrata e in uscita da un‟organizzazione. È possibile individuare quattro fasi nella storia del Call-Center che corrispondono alla sua graduale evoluzione in Contact Center, inteso come ufficio, o centro, preposto alla gestione dell‟insieme dei canali di contatto con l‟esterno, quali il telefono, il fax, la posta elettronica, gli sms, il Web. 1. Negli anni Sessanta il Call-Center si identifica con l‟Ufficio Reclami (Claim Office). Esso nacque nel 1967 presso la Ford per rispondere ai reclami dei clienti per i difetti di fabbricazione delle autovetture. Ford e AT&T idearono il numero 800 (il numero verde) con cui i clienti potevano contattare gratuitamente la Ford e chiedere le informazioni opportune. La tecnologia utilizzata era il telefono. 2. Negli anni Settanta e Ottanta il Call-Center consolida il suo ruolo di Ufficio Reclami ma inizia ad assistere i clienti durante l‟intero ciclo di vita del prodotto o del servizio con l‟obiettivo di mantenere e migliorare il rapporto con il cliente e ridurre il tasso di abbandono. In particolare in questa fase iniziano ad essere costruiti archivi e data base per raccogliere e catalogare le informazioni provenienti dai clienti in termini di tipologia di richiesta e soluzione proposta. Inizia cioè a svilupparsi un‟attenzione crescente verso il marketing. La tecnologia prevalente è ancora il telefono ma con la nuova soluzione ACD (Automatic Call Distribution): un sistema che permette di creare file di attesa dando priorità diversa alle telefonate. In Italia il numero verde nasce nel 1987. 3. Negli anni Novanta il Call-Center si trasforma in Contact Center. Il dialogo con il cliente viene veicolato da differenti canali di comunicazione (telefono, fax, mail, sms, Web); inoltre, l‟operatore inizia a disporre di un archivio che serve a soddisfare le richieste del cliente, archivio che viene ampliato e arricchito con le informazioni che si ricavano da ogni contatto con il cliente. La tecnologia prevalente è la CTI (Computer Telephony Integration), che consente di integrare le prestazioni del telefono con quelle del computer. 36 Introduzione Si consolidano le funzioni di marketing anche se l‟obiettivo prevalente del Contact Center è sempre quello di assistere il cliente e ridurre il tasso di abbandono. 4. Dalla fine degli anni Novanta a tutt‟oggi muta l‟obiettivo strategico del Contact Center: da mero centro di assistenza in centro che, oltre all‟assistenza, diventa responsabile delle attività di vendita e negoziazione con il cliente. Il Contact Center diventa pertanto uno degli attori principali delle strategie di marketing dell‟impresa. Causa ed effetto di questa metamorfosi è l‟esplosione delle nuove tecnologie di informazione e comunicazione che integrano sempre più le tecnologie di telefonia (ACD, CTI, IVR, ecc.) con quelle Web (chat, email, voice-on-IP, ecc.). La tecnologia attuale consente infatti la gestione unificata e trasparente di tutte le modalità di contatto del cliente con il Contact Center e la distribuzione delle chiamate in ingresso verso singoli o gruppi di operatori secondo strategie diverse. Di norma, i servizi offerti dai Contact Center vengono distinti in due classi principali: - servizi inbound (in entrata): si tratta di servizi erogati a fronte di richieste in entrata quali: informazioni su prodotti e servizi dell‟organizzazione, assistenza tecnica (help desk), consulenza, assistenza post-vendita, gestione reclami; - servizi outbound (in uscita): si tratta di servizi erogati in uscita dall‟organizzazione per raggiungere i propri clienti o l‟intera classe dei potenziali clienti quali: vendita diretta per telefono, indagini sul grado di soddisfazione del cliente, campagne pubblicitarie, recupero crediti, ecc. I call-center (CC) rappresentano un settore lavorativo in crescente espansione: secondo i rapporti e le stime il numero di operatori è passato da 700 nel 1993 a circa 250 000 nel 2007, impiegati presso 1400 aziende presenti in Italia (Datamonitor 1998, Customer Management Multimedia Competence 2006). 37 Introduzione Tabella 5.Crescita del numero di operatori nei call-center (Datamonitor e CMMC) Il fatturato è passato da 3,5 miliardi nel 2002 a 4,3 nel 2004. In Italia sono nati inizialmente in aree caratterizzate da una forte economia nel settore industriale. Più del 60% sono localizzati nel nord Italia, 26% nel centro e solo il 10% al sud; più della metà sono situati in aree metropolitane.(Altieri, 2002). A partire dalla fine degli anni '90, in concomitanza con la crescita del numero di CC, sono state realizzate ricerche allo scopo di indagare quali elementi peculiari di questo ambiente di lavoro potessero avere un maggior impatto sulla salute dei lavoratori. I layout sono concepiti con postazioni riparate e protette per contrastare le interferenze ambientali, con il conseguente isolamento sociale degli operatori. Pertanto l'organizzazione del lavoro ha un impianto di tipo tayloristico ed il ruolo, dei lavoratori è paragonabile a quello degli operai (i c.d. "operai del terziario avanzato"). A partire già dagli anni ottanta una serie di accordi sindacali e interventi legislativi hanno progressivamente intaccato le “rigidità” del rapporto di lavoro subordinato facendo affermare l‟uso di forme di lavoro precarie, definitivamente recepite in termini di legge prima nel “pacchetto Treu” e successivamente nella legge 30. La profonda trasformazione che ha investito il mercato del lavoro italiano ha prodotto anche la totale flessibilità del tempo di lavoro (nella dimensione del tipo di orario come in quella della durata). Il call center è stato uno dei luoghi di lavoro dove è stato più massiccio ricorso al lavoro precario e alla flessibilità degli orari. In alternativa al contratto di lavoro a tempo pieno e indeterminato sono utilizzate quasi tutte le tipologie di lavoro precario, quasi sempre abbinate al lavoro part-time: i contratti a termine; il lavoro interinale/somministrato; i contratti di formazione lavoro / inserimento; i tirocini formativi; l‟apprendistato, i piani di inserimento professionale; le collaborazione 38 Introduzione coordinate e continuative con e senza partita iva; il lavoro a progetto; le prestazioni d'opera occasionale; il lavoro a domicilio; il telelavoro, etc.. Una ultima notazione riguarda un importante aspetto ossia la prevalente caratteristica di temporaneità e variabilità del lavoro che induce evidentemente una maggiore possibilità di cambiamenti del posto di lavoro e diversificazioni delle condizioni di rischio nel corso della vita lavorativa che possono porre in difficoltà il Medico del Lavoro allorché egli debba conoscere e valutare l'effettiva condizione di rischio integrato e cumulativo della persona. In definitiva, occorre attentamente valutare i problemi di tracciabilità e/o memoria del rischio, soprattutto per patologie di carattere cronico degenerativo (oggí assolutamente prevalenti) dal momento poi che maggiore precarietà può significare anche maggiore vulnerabilità e minore tutela, con possibile effetto di mascheramento o minore apprezzamento di problemi di igiene e sicurezza. La gestione dei CC può essere interna all'azienda (strutture "in-house") o affidata a società esterne specializzate (outsorcing), soluzione quest'ultima in crescendo anche in Italia dove, secondo Datamonitor, si passerà dalle 6.200 postazioni in outsourcing del 2000 alle 11.000 del 2005. Indipendentemente dalla gestione in-house o in outsourcing, il team del CC è complesso intreccio di figure professionali. Accanto al Direttore Generale Call Center (o Operation Manager o Responsabile Operativo), che ha la responsabilità operativa, commerciale ed amministrativa del CC e alle altre figure manageriali con le varie responsabilità operative specifiche nei settori della produzione, vendite, qualità, strategie, sistemi informativi e formazione, troviamo una serie di altre figure professionali più direttamente coinvolte nella gestione delle chiamate i cui ruoli, possono essere così definiti: • Supervisore: persegue l'ottimizzazione delle risorse assegnategli, nella gestione operativa quotidiana dell‟attività, nel raggiungimento delle performance e dei risultati attesi. Ha la responsabilità gerarchica dei Team Leader e‟ responsabile dell'inserimento delle nuove risorse, del loro addestramento operativo, della loro motivazione e della loro valutazione. Può lavorare su turni. • Team Leader: ha funzioni di coordinamento di gruppi di Operatori, che controlla e supporta intervenendo nella gestione dei picchi e nelle chìamate complicate o delicate. Lavora su turni. • Operatore Call Center: addetto che svolge attività di front-office di tipo inbound e/o outbound (gestione di chiamate in entrata e/o in uscita). Lavora ,turni part-time o full-time con diversi tipi di contratti: tempo indeterminato tempo determinato, interinale, formazione lavoro, stagista. 39 Scopo del lavoro 2. SCOPO DEL LAVORO La salute e la sicurezza sul luogo di lavoro rappresentano oggi uno degli aspetti più rilevanti ed avanzati della politica sociale dell'Unione Europea, quali componenti integranti della gestione della qualità del lavoro ed elementi determinanti per l‟accrescimento della competitività economica. La valorizzazione di questi temi da parte dell'azione comunitaria tocca, da una parte, l'aspetto normativo, dall‟altra, si traduce nelle numerose attività d'informazione, orientamento e promozione in favore di un ambiente di lavoro sicuro e sano portate avanti dalle istituzioni europee in collaborazione con l'Agenzia europea per la sicurezza e la salute sul lavoro (EU-OSHA) e con la Fondazione europea per il miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro (Eurofund). Le norme di sicurezza sui luoghi di lavoro e gli adempimenti che ne derivano costituiscono, in tal senso, l‟occasione per diffondere all‟interno dell‟azienda la cultura della sicurezza sul lavoro e per sollecitare il coinvolgimento e la convinta partecipazione di ogni persona, struttura e parte aziendale in un processo continuo di crescita collettiva. Il presente lavoro si pone come obiettivo quello di descrivere i potenziali fattori di rischio presenti all‟interno dei call-center, analizzare nello specifico il rischio microbiologico a cui sono esposti i lavoratori con conseguente rischio per la salute (intendendo come stato di salute il benessere psico-fisico dell‟individuo) e valutare le condizioni dell‟organizzazione e dell‟ambiente di lavoro. I call-center rappresentano una delle forme di occupazione con sviluppo più rapido. In Europa, 1,3% (più di 2 milioni di persone) del totale della forza lavoro è stata impiegata nei call-center nel 2002. In Italia il fenomeno è partito in leggero ritardo ma i call-center rappresentano un settore lavorativo in crescente espansione: secondo i rapporti Datamonitor e le stime del Customer Management Multimedia Competence il numero di operatori è passato da 700 nel 1993 a circa 250 000 nel 2007, impiegati presso 1400 aziende presenti in Italia. Nella prima parte del lavoro si sono analizzate le normative specifiche nel campo della tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, mettendo in luce come l'argomento sia non solo un interesse specifico di un particolare settore della società, ma la coinvolga tutta, tanto che l'evoluzione nel tempo della legge da una parte individua e perfeziona degli strumenti applicativi efficaci, quali la valutazione dei rischi e la formazione, dall'altra accoglie dei concetti generici avvicinandosi ai principi fondamentali della nostra Costituzione. 40 Scopo del lavoro Nella seconda parte del lavoro, usando come riferimento la letteratura e gli studi disponibili, vengono analizzati i principali fattori di rischio a cui i lavoratori dei call-center sono esposti sia fisicamente che psicologicamente in un concetto di stress correlato al lavoro; l‟attenzione è stata focalizzata in particolare sul rischio microbiologico di cui viene fatta un‟esperienza di monitoraggio in un call-center piemontese scelto come caso studio. Viene anche trattato a livello descrittivo il microclima in quanto un ruolo significativo nell‟influenzare la presenza e la concentrazione di agenti biologici, è rivestito dagli impianti di climatizzazione, che meritano una particolare attenzione sia in fase di progettazione che di manutenzione. Gli impianti di climatizzazione, infatti, svolgono funzioni di controllo sulla temperatura e sull‟umidità dell‟aria, assicurano il ricambio d‟aria, la filtrazione delle polveri e delle altre particelle aerotrasportate. In questo lavoro, dunque, è stato affrontato dal punto di vista igienico-sanitario il problema della qualità dell‟aria in ambienti confinati forniti di impianti di condizionamento, con l‟obiettivo di svolgere un‟indagine microbiologica per la verifica dell‟eventuale presenza di microrganismi rinvenibili nell‟aria indoor. Con questo obiettivo, a seguito di un sopralluogo conoscitivo all‟interno dei locali del caso studio, si è proceduti con un‟indagine quantitativa microbiologica sull‟aria indoor per valutare i livelli generali di contaminazione microbica (attraverso l‟utilizzo di un campionatore attivo ad impatto ortogonale) e quindi di ottenere una stima del grado di salubrità ambientale. Si sono ricercati 5 parametri di cui la carica batterica totale psicrofila (indicatore della contaminazione batterica ambientale), la carica batterica totale mesofila (indicatore della contaminazione di origine umana e animale), la carica fungina totale e due patogeni: P. aeruginosa e S. aureus. I risultati delle analisi sono stati valutati secondo tre indici di contaminazione microbiologica dell‟aria che evidenziano, in ambienti di lavoro confinati, le dinamiche di contaminazione dell‟aria e sono correlati ad un giudizio sulla qualità dell‟aria. Essi sono l‟IA (Indice di amplificazione), l‟IGCM (Indice Globale di Contaminazione Microbica ) e l‟ICM ( Indice di Contaminazione da batteri mesofili). 41 Fattori di rischio 3. PRINCIPALI FATTORI DI RISCHIO NEI CALL CENTER STRESS LAVORATIVO Ci sono alcune caratteristiche del lavoro nei call-center che sono potenzialmente fattori di stress ma sono difficilmente modificabili: La comunicazione telefonica esclude la relazione faccia a faccia con le persone: ne consegue la difficoltà a cogliere e controllare quei messaggi non verbali che esprimono le reazioni degli interlocutori. Interazione di breve durata con estranei: è molto improbabile che ci sia un contatto ripetuto tale da permettere una qualche relazione. Relazione con grande varietà di persone e di problemi. Difficile prevedere con precisione la natura delle richieste. Scarsa opportunità di verificare l‟esito di un contatto col cliente attraverso un successivo contatto che, se c‟è, riguarderà quasi certamente un altro operatore . Ci sono altre caratteristiche per le quali si possono ipotizzare linee di intervento (Cattaneo,2007): 1. Carichi di lavoro :Richieste non realistiche al management del call-center portano facilmente a richieste non realistiche per gli operatori del call-center. Quando le richieste eccedono la potenzialità è necessario apportare le necessarie variazioni a richieste e/o risorse. In ogni caso sono indispensabili momenti di recupero psicofisico (pause). Possibili linee di intervento: Gli obiettivi sono decisi attraverso la consultazione e l‟accordo con i lavoratori attraverso RLS, rappresentanti sindacali, apposita commissione. In ogni momento il numero di operatori attivi deve essere adeguato ai carichi di lavoro. Pause: l‟intensità di lavoro nel call-center è tale per cui regolari interruzioni dell‟uso del telefono sono essenziali per proteggere la salute degli operatori. In linea generale, poiché l‟obiettivo è quello di prevenire lo squilibrio tra risorse psicofisiche e richieste che determina lo stress, la letteratura scientifica concorda sulla necessità di pause brevi e frequenti. Per questo è necessario, nel caso in cui l‟organizzazione del lavoro sia caratterizzata da elevata intensità di telefonate, che il sistema telefonico preveda pause tra una telefonata e l‟altra. Inoltre gli impiegati del call-center sia part-time che fulltime devono avere ogni ora una pausa durante la quale non adoperano il telefono e sono lontani dalle postazioni di lavoro. In sede 42 Fattori di rischio di valutazione dei rischi e individuazione delle misure di prevenzione, dovrà essere definita la durata delle interruzioni in funzione dei ritmi lavorativi. Resta ferma ovviamente l‟interruzione di almeno quindici minuti ogni centoventi minuti (art.175 D.Lgs 81/08). 2. Controllo sul lavoro/autonomia: La scarsissima possibilità di controllo che gli impiegati dei call-center hanno sul lavoro (autonomia sia nelle modalità che nei tempi) è stata identificata come un fattore decisivo di stress lavorativo. I lavori con alta domanda e basso controllo il più delle volte sono molto stressanti. Possibili linee di intervento: Ridurre al minimo schemi rigidi per la conversazione col cliente assicurando un addestramento che permetta all‟operatore di gestire la telefonata utilizzando le proprie capacità e conoscenze. Coinvolgere attivamente gli operatori nella pianificazione del lavoro, definizione dei tempi per telefonata, programmazione dell‟addestramento. 3. Contenuti della mansione: Monotonia e ripetitività sono significativamente correlati alla depressione lavoro-correlata e ai bassi livelli di soddisfazione lavorativa. Possibili linee di intervento: Alternare quando possibile il lavoro al telefono con attività diverse nell‟ambito del turno lavorativo. Ruotare il personale su postazioni che si caratterizzano per richieste di tipo diverso (variano i problemi che si devono affrontare). 4. Addestramento: Se la formazione degli operatori e l‟esperienza sono insufficienti, il rischio di stress è molto marcato: per questo deve essere messo in atto un addestramento in grado di permettere agli operatori di gestire ogni telefonata con la massima competenza; un addestramento adeguato e appropriato deve essere messo in atto anche quando vengono introdotte nuove attrezzature o sistemi prima che vengano richiesti nuovi livelli di produttività. Nella maggior parte dei casi sono indispensabili aggiornamenti regolari per mantenere e consolidare la formazione. Un adeguato addestramento è peraltro elemento fondamentale per poter fare ruotare, laddove possibile, gli operatori su compiti diversi evitando gli effetti negativi di monotonia e ripetitività. Le necessità formative saranno verificate in sede di riunione periodica come da art. 35 e D.Lgs.81/08 e comunque attraverso confronto con i rappresentanti dei lavoratori. 5. Controllo sulle telefonate: Può essere di tipo quantitativo (quante telefonate sono state accettate, la lunghezza della telefonate, quanto tempo passa per un operatore tra una telefonata e l‟altra) o di tipo qualitativo, al fine di rilevare la qualità delle telefonate in 43 Fattori di rischio genere attraverso l‟ascolto delle telefonate stesse (con l‟obiettivo di verificare il grado di soddisfazione del cliente). Il rischio della pratica del controllo delle telefonate è legato allo stress che può essere causato da un controllo eccessivo o inadeguato, o dalla scelta della persona che può essere sottoposta a un controllo troppo ripetitivo o anche dal momento in cui viene svolto. Dirigenti e preposti devono essere consapevoli della inutilità di controlli troppo pesanti, incrociati, a sorpresa ecc. che tengono sotto pressione i lavoratori senza ottenere un reale miglioramento delle prestazioni. Possibili linee di intervento: Le politiche di controllo vengono messe a punto con la consultazione degli operatori: gli operatori del call-center sono coinvolti nelle modalità con cui viene effettuato il monitoraggio, modalità che sono quindi chiare a tutti e condivise. Si da garanzia che il controllo è utilizzato solo a fini statistici e con l‟obiettivo di un miglioramento della attività e non dovrà in alcun caso penalizzare o discriminare i lavoratori: in particolare non dovrà configurarsi come un controllo a distanza dei lavoratori né come un sistema di comparazione delle performance di gestione (chi prende più chiamate o in minor tempo). 6. Valutazione delle prestazioni: Valutazioni obbiettive, coerenti e ben condotte delle prestazioni sono certamente utili a creare un miglior clima di lavoro. Valutazioni efficaci di prestazioni sono: Basate sui dati che sono stati elaborati e condivisi con gli operatori di call center. Documentate, coerenti, corrette, costruttive, relative sia alla quantità che alla qualità. Condotte da persone addestrate all‟utilizzo oggettivo, appropriato e corretto della valutazione e del suo feed-back. 7. Flessibilità: Purché sia assicurata la operatività di un numero sufficiente di personale in funzione del numero e del tipo di telefonate e della necessità di permettere adeguate pause, è necessario ridurre il più possibile la rigidità in merito a orari, pause, turni: ciò naturalmente con la condivisione dei lavoratori e delle loro rappresentanze con l‟obiettivo di tenere in considerazione le loro diverse esigenze. 8. Turni: Occorre che tra un turno di lavoro e l‟altro ci sia un tempo adeguato per impedire un eccesso di affaticamento negli devono passare meno di 12 ore. I turni devono essere assegnati in modo non coercitivo e in modo tale da assicurare che ogni impiegato abbia 2 giorni di pausa ogni settimana. Quando ci sono tanti turni brevi (es. 3-4 ore) occorre studiare bene l‟organizzazione dei giorni di pausa attraverso una consultazione con 44 Fattori di rischio gli operatori. Tutti i turni devono prevedere delle pause. Quelli superiori alle 5 ore, devono prevedere le pause pranzo. Per quanto riguarda la sequenza dei turni: Più rapida la rotazione (ciclo continuo es. mattino, pomeriggio, notte) più rapidamente si riesce a compensare con il riposo. Se il medesimo turno è protratto per parecchi giorni, vengono alterati i ritmi biologici e si ha un debito di sonno e affaticamento più lento da recuperare. Il senso della turnazione più fisiologico è quello orario (mattina, pomeriggio, notte) rispetto a quello antiorario (notte, pomeriggio, mattina). Più turni notturni consecutivi rendono difficoltoso un completo recupero di sonno: sono preferibili turni notturni con rotazione rapida seguiti dal giorno di riposo. 9. Telefonate aggressive/moleste: Telefonate aggressive o moleste sono causa di stress. L‟impatto frequenza, dalla dipende dalla possibilità di gravità, un dalla supporto all‟operatore “vittima”. Possibili linee di intervento: Affrontare le cause di telefonate aggressive (es. lunghi tempi di attesa, informazioni scritte poco precise o sbagliate, mancanza di in caso di addestramento o supporto). Sviluppare procedure chiare telefonate aggressive. Prevedere un supporto dopo una telefonata aggressiva. Prevedere un periodo di pausa dopo una telefonata aggressiva. Monitorare le telefonate moleste assicurando gli operatori coinvolti sulla messa in atto di azioni di tutela da parte dei responsabili aziendali. 10. Hot-desk: Condizione in cui gli operatori non hanno una postazione di lavoro esclusiva ma utilizzano la postazione disponibile. La non disponibilità di spazio personalizzato dove tenere materiale di lavoro o personale e possibili problemi ergonomici e di igiene possono essere fonte di stress. Per questo è una condizione che andrebbe limitata il più possibile. Quando ciò non è possibile occorre però un organizzazione che dia all‟operatore il tempo di “personalizzare” il più possibile la postazione di lavoro. 45 Fattori di rischio RUMORE 1. Rumore ambientale: Diversamente dal contesto industriale, il rumore di fondo nel call-center ha una dominante componente vocale. L‟accumularsi di una molteplicità di conversazioni contemporanee, se non controllato, è in grado di disturbare la necessaria concentrazione rendendo più difficoltoso l‟ascolto in cuffia, e come tale è un sicuro fattore di stress. Costringe poi ad alzare la voce contribuendo all‟affaticamento vocale (in un evidente circolo vizioso) e/o ad alzare il volume delle cuffie causando affaticamento uditivo. Linee di intervento: Garantire che il call-center sia costruito con materiali fonoassorbenti. Garantire che macchine come fotocopiatrici, fax siano separate dall‟ambiente di lavoro del call-center. Provvedere a un adeguata compartimentazione del rumore (pannelli divisori, adeguata distanza fra operatori). Prevedere che riunioni o incontri si svolgano fuori dal call-center. Dare preferenza a cuffie dotate di microfono del tipo a cancellazione del rumore, in grado di migliorare il segnale trasmesso e minimizzare il rumore di fondo anche nel ritorno locale in cuffia (parte del suono ascoltato dall‟operatore è infatti costituito da quanto captato dal proprio microfono). Prevedere la possibilità, in base alla tipologia di chiamate gestite e all‟ambiente circostante, di adoperare cuffie bilaterali (binaurali) a favore di un maggiore isolamento acustico. Addestramento a un corretto posizionamento dei microfoni. C‟è una posizione ottimale del microfono davanti alla bocca dell‟operatore per evitare un eccesso di impegno vocale per chi sta al telefono. Una posizione scorretta può costringere l‟operatore ad alzare la voce per essere sentito dal cliente. Ciò determina un affaticamento vocale e un aumento del rumore di fondo. Ogni operatore del call-center deve essere addestrato sul corretto posizionamento del microfono. 2. Rumore in cuffia: Non vi sono rischi specifici di danni uditivi sugli operatori che impiegano dispositivi di ricezione. Ci sono peraltro numerose indagini che mettono in evidenza livelli di esposizione a rumore significativi, spesso superiori agli 80dB (A). Linee di intervento: Procedere alla valutazione del rischio rumore. 46 Fattori di rischio Ridurre il più possibile il rumore di fondo separando le postazioni e aumentando l‟assorbimento acustico delle pareti e del soffitto. Informare/formare gli operatori sul corretto uso dei dispositivi di ricezione: una regolazione troppo alta dell‟amplificazione della voce dell‟interlocutore determina una esposizione maggiore a rumore: d‟altra parte anche i volumi d‟ascolto eccessivamente bassi sono causa di stress provocato dallo sforzo per compensare un‟insufficiente intellegibilità. 3. Shock acustico: Incidenti da shock acustico sono causati da un abnorme stimolazione riflessa del sistema neurovegetativo. Il fenomeno è dovuto a un improvvisa scarica rumorosa all‟interno della cuffia che si associa a una condizione di iperattività nervosa. Il rischio è accresciuto se più incidenti occorrono in un periodo di tempo breve. Va anche sottolineato che il rischio è ulteriormente accresciuto se l‟operatore è già stressato. A seconda della gravità delle conseguenze dello shock acustico si provvederà o ad assegnare una mansione diversa o a interrompere momentaneamente il lavoro. Possibili linee di intervento: Provvedere a che tutti gli operatori e il management siano addestrati a riconoscere i sintomi dello shock acustico e sappiano quali sono le cose da fare nel caso di un tale evento. Provvedere a che in tutte le postazioni di lavoro sia possibile il controllo manuale del volume in ascolto (se non presente nell‟apparato telefonico, che sia associato alla cuffia stessa). Utilizzare per la prevenzione dello shock acustico cuffie con dispositivi in grado di contrastare scariche o comunque suoni elevati all‟interno della cuffia. USO PROLUNGATO DELLA VOCE La principale attività degli operatori di call-center è quella di parlare oltre che ascoltare. È chiaro che dover parlare eccessivamente rende possibile problemi di affaticamento vocale. Data la variabilità degli ambienti è difficile dire quale sia l‟entità dello sforzo vocale in grado di provocare danni. I call-center dove le telefonate (in-bound o out-boud) sono costanti sono un rischio per la voce maggiore di quelli dove le telefonate sono meno frequenti e dove vengono svolti anche compiti amministrativi. Scritti lunghi o scritti senza pausa costituiscono un rischio maggiore rispetto agli scritti brevi che richiedono pause. Altro fattore di sollecitazione è il grado di ripetitività di quello che si dice e i livelli di stress (es. rispondere a clienti aggressivi) 47 Fattori di rischio Possibili linee di intervento: Prevedere regolari interruzioni nell‟uso della voce ogni ora. Definire un obiettivo ragionevole di telefonate per non determinare un utilizzo eccessivo della voce . Prevedere un sistema telefonico che includa pause tra una telefonata e l‟altra. Gli scritti prestampati includono pause all‟interno delle telefonate. Preregistrare un‟introduzione con presentazione e altre informazioni più frequentemente richieste come orario di apertura, indirizzo di posta elettronica, numero di fax. Il rumore di fondo deve essere tale da non rendere necessario alzare il livello della voce. IMPEGNO VISIVO L‟affaticamento visivo è uno dei principali rischi che viene associato al lavoro al computer e questo riguarda anche i lavoratori di call-center che normalmente utilizzano il computer in modo intensivo. I sintomi comprendono senso di tensione agli occhi, visione confusa, pesantezza agli occhi ,cefalea. Possibili linee di intervento: Adeguare luminosità e contrasto dello schermo. Assicurarsi che lo schermo non abbia riflessi attraverso il controllo delle condizioni di luminosità ambientale. La disposizione dello schermo dovrebbe permettere agli operatori di guardare lontano o mettere a fuoco un oggetto distante: il rischio infatti si può ridurre attraverso esercizi dei muscoli che muovono gli occhi e questo è possibile allontanando di tanto in tanto lo sguardo dal computer e guardando l‟infinito o cercando di mettere a fuoco un oggetto il più lontano possibile. POSTURA, MOVIMENTI RIPETITIVI E SPAZI I lavoratori di call-center possono essere esposti a rischi di disturbi dell‟apparato muscolo scheletrico dovuti a una postura scorretta, statica, caratterizzata da movimenti ripetitivi. Possibili linee di intervento Utilizzare attrezzature e arredi completamente adattabili (sedie, scrivanie, monitor). Fornire poggiapiedi se ciò è indicato per una sistemazione ergonomica. Consultare gli operatori nella sistemazione della postazione di lavoro. 48 Fattori di rischio Provvedere ad addestramento e aggiornamenti su come sistemare correttamente arredi e attrezzature in funzione delle singole esigenze. Permettere che ci sia il tempo, prima di iniziare il turno, per sistemare ogni postazione di lavoro in funzione delle singole necessità. Allestire postazioni di lavoro in cui è possibile che gli operatori mentre parlano possono alternare la posizione seduta a quella eretta. Quando possibile assegnare agli impiegati compiti diversi (es. amministrativi). Programmare pause regolari. Per ridurre il rischio di danni da sollecitazioni ripetitive: Ricorrere a uso di tastiere apposite che aiutano a mantenere una posizione dei polsi naturale. Permettere frequenti e brevi interruzioni (per permettere ai lavoratori di alzarsi, stirarsi, aggiustarsi la posizione). Assegnare lavori che permettano di interrompere l‟uso del telefono e della tastiera. Criteri per definire adeguati gli spazi di lavoro: Giudizio dei lavoratori sulla possibilità di svolgere senza impedimenti il proprio lavoro. Spazi di passaggio adeguati per uscire e muoversi agevolmente. Spazio vitale non inferiore a 7/8 mq per persona come da norma (Norma UNI 10339) 49 Fattori di rischio 3.1 RISCHIO BIOLOGICO: APPROFONDIMENTO Molti problemi di salute conseguono soprattutto dall‟inquinamento biologico (acari, forfora, funghi, muffe, batteri, compresa la legionella), le cui principali fonti di inquinamento negli ambienti chiusi sono gli occupanti (uomini ed animali), la polvere, le strutture ed i servizi degli edifici che possono divenire terreni di cultura ideali per diversi microrganismi quando si creano condizioni favorevoli di temperatura ed umidità. La presenza d‟inquinanti microbiologici all‟interno degli ambienti chiusi rappresenta una fonte potenziale di trasmissione di alcune malattie infettive a carattere epidemico. Le risposte dell‟uomo all‟inalazione di bioareosol (miscele complesse di tipi di particelle diverse: batteri, spore di funghi, pollini, polvere ecc) contenente microrganismi variano da effetti innocui a gravi malattie e dipendono dall‟agente specifico e dalla sensibilità individuale. Infatti, la possibilità di un microrganismo potenzialmente infettante di provocare una malattia dipende da fattori legati al microrganismo stesso quali: patogenicità, virulenza, dose inalata, modalità di immissione nell‟aria, capacità e tempo di sopravvivenza nell‟aria in relazione a umidità, temperatura, luce, presenza di substrato organico, e fattori legati all‟ospite, come la suscettibilità individuale. I più suscettibili sono i soggetti più fragili della popolazione: bambini, anziani, immunodepressi, malati cronici, fumatori, etc. nei quali si realizzano più facilmente quelle condizioni che portano all‟insorgenza del processo patologico. I contaminanti biologici possono essere controllati attraverso adeguata igiene e manutenzione sia dell‟edificio, sia dei materiali impiegati sia dei sistemi di ventilazione/condizionamento, osservando alcune regole generali, quali: mantenere accuratamente pulite tutte le superfici, in particolare quelle che vengono in contatto con i cibi; usare maggiore cura nelle operazioni di pulizia e ridurre il più possibile i livelli di polvere nelle abitazioni, in presenza di animali, di bambini piccoli e di soggetti allergici; ventilare adeguatamente gli ambienti e mantenere un livello di umidità relativa inferiore al 60%; assicurare una regolare manutenzione e pulizia di umidificatori, vaporizzatori e componenti degli impianti di climatizzazione, compresa la pulizia e sostituzione regolare dei filtri; 50 Fattori di rischio utilizzare, ove necessario, sistemi di ventilazione/condizionamento, dotati di filtri speciali; cercare di eliminare fenomeni di condensa che spesso sono causa dell‟umidità; eliminare le macchie di muffa con tinture speciali antimuffa a base di acqua. 3.1.1 LA NORMATIVA ITALIANA: IL D.LGS 81/08 Il concetto di rischio biologico e la necessità di valutare lo stesso vengono introdotti per la prima volta in Italia dal Titolo VIII del D. Lgs 626/94, emanato in attuazione di direttive europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro3. Il Testo Unico 81/08 (TITOLO X) rappresenta l‟aggiornamento del precedente decreto confermando i diversi problemi legati alla difficoltà di identificare correttamente il rischio. La normativa ha posto, quindi, le basi per un‟ adeguata azione di tutela della salute nei luoghi di lavoro e, per quanto riguarda la “protezione da agenti biologici”, ha chiarito tutte le attività lavorative (Allegato XLIV) nelle quali vi è rischio biologico ossia un rischio professionale cui possono andare incontro alcune categorie particolarmente esposte e che, in via continuativa, sono addette a quelle attività per le quali si può ipotizzare un rischio di esposizione ad agenti biologici. Nell‟articolo 2 vengono definiti i concetti di: RISCHIO: “probabilità di raggiungimento del livello potenziale di danno nelle condizioni di impiego o di esposizione ad un determinato fattore o agente oppure alla loro combinazione”. PERICOLO: “proprietà o qualità intrinseca di un determinato fattore avente il potenziale di causare danni “. Si distinguono un pericolo per la sicurezza (condizioni che possono determinare incidenti con danni all‟individuo) e un pericolo per la salute (cioè circostanze o agenti che possono colpire la salute dell‟operatore o della sua prole, sia nell‟immediato che nel futuro). L'articolo 267 riporta la definizione di agente biologico come "qualsiasi microrganismo anche se geneticamente modificato, coltura cellulare ed endoparassita umano che potrebbe provocare infezioni, allergie, o intossicazioni". 3 direttive 89/391/CEE, 89/654/CEE, 89/655/CEE, 89/656/CEE, 90/269/CEE, 90/270/CEE, 90/394/CEE e 90/679/CEE. 51 Fattori di rischio Più precisamente, gli organismi viventi o le sostanze di origine biologica alle quali si può essere esposti durante l'attività lavorativa e che presentano un potenziale rischio per la salute umana, possono essere classificati nei seguenti gruppi: agenti biologici: microrganismi (batteri, virus, miceti) e parassiti (protozoi ed elminti); colture di cellule animali, per i possibili agenti infettanti che le cellule in coltura possono ospitare (importanti soprattutto le cellule umane e dei primati); liquidi biologici (sangue) ed altri campioni clinici potenzialmente infetti (feci, espettorato, biopsie, campioni autoptici); tessuti provenienti da animali, sia da esperimento che da allevamento animali, sia da laboratorio che da allevamento, per possibili allergie (peli, piume) e/o aggressioni (morsi, graffi); allergeni, cioè sostanze che provocano manifestazioni allergiche in soggetti sensibilizzati (polvere, pollini, miceti); tossine di batteri, animali e piante. Secondo l’Art. 268 gli agenti biologici vengono classificati in quattro gruppi a seconda del rischio di infezione e quindi della loro pericolosità: Gruppo 1: un agente che presenta poche probabilità di causare malattie in soggetti umani (Saccharomyces cerevisiae, Streptococcus thermophylus, Lactobacillus casei Streptococcus casei). Gruppo 2: un agente che può causare malattie in soggetti umani e costituire un rischio per i lavoratori; é poco probabile che si propaga nella comunità; sono di norma disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche (es. B. pertussis, C. albicans, C. tetani, L. pneumophila, Salomonelle non tifoidi Salomonelle tifoidi, P. aeruginosa, S. aureus, , Neisserie Neisserie, V. cholerae). Gruppo 3: un agente che può causare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori; l‟agente può propagarsi nella comunità, ma di norma sono disponibili efficaci misure profilattiche o terapeutiche. Gruppo 4: può provocare malattie gravi in soggetti umani e costituisce un serio rischio per i lavoratori e può presentare un elevato rischio di propagazione nella comunità; non sono disponibili, di norma, efficaci misure profilattiche o terapeutiche (es. Virus Ebola, Virus Lassa, Virus della febbre emorragica di Crimea/Congo). 52 Fattori di rischio Il legislatore, per classificare gli agenti biologici, ha dunque definito alcune caratteristiche dei microrganismi, quali: - INFETTIVITA‟: capacità di un germe di penetrare nell‟organismo umano superandone le difese aspecifiche (cute, mucose, reazione febbrile) e specifiche (sistema immunitario). - PATOGENICITA‟: effettiva capacità di indurre uno stato di malattia a seguito di un episodio di infezione. - TRASMISSIBILITA‟: proprietà per cui un microrganismo può essere trasmesso da un soggetto infetto ad uno suscettibile. - NEUTRALIZZABILITA‟: disponibilità di efficaci misure profilattiche per prevenire la malattia o terapeutiche per la sua cura. Nell‟Allegato XLVI (elenco degli agenti biologici classificati) è riportata un‟ampia lista degli agenti biologici finora catalogati, suddivisi in batteri e organismi simili, virus, funghi e parassiti, per ciascuno dei quali è riportato il gruppo di pericolosità e vengono segnalati la disponibilità di eventuali vaccini (V), la possibilità di effetti allergici (A) o tossici (T), la necessità di conservare per almeno 10 anni dalla cessazione dell‟esposizione il registro degli esposti (D); tale allegato include sia specie il cui significato nell‟ambito lavorativo appare ormai consolidato, sia specie generalmente estranee alla realtà dei normali ambienti di lavoro. Inoltre, la classificazione include, ad oggi, gli agenti biologici "naturali" ma non quelli modificati attraverso le tecniche di ingegneria genetica (per i quali si fa riferimento al D. Lgs. 206/01) e non fornisce indicazioni sulla pericolosità delle colture cellulari (sebbene inserite tra i cosiddetti "agenti biologici"). l capi II-III sanciscono l‟obbligo da parte del datore di lavoro di: • Effettuare la valutazione del rischio (art. 271). • Adempiere ad un sistema di notifiche ed autorizzazioni (art. 269-270). • Applicare procedure di buona prassi microbiologica (art. 272). • Applicare norme igieniche (art.273). • Applicare misure del contenimento del rischio per processi industriali, laboratori, stabulari, strutture sanitarie e veterinarie ( art.274-276). • Applicare misure di emergenza (art. 277). • Fornire l‟informazione e formazione ai lavoratori (art. 278). • Sottoporre a sorveglianza sanitaria i lavoratori esposti (artt. 279-281). 53 Fattori di rischio La valutazione del rischio deve essere effettuata rispettando l‟art. 271: “1. Il datore di lavoro, nella valutazione del rischio di cui all’articolo 17, comma 1, tiene conto di tutte le informazioni disponibili relative alle caratteristiche dell’agente biologico e delle modalità lavorative, ed in particolare: a) della classificazione degli agenti biologici che presentano o possono presentare un pericolo per la salute umana quale risultante dall’allegato XLVI o, in assenza, di quella effettuata dal datore di lavoro stesso sulla base delle conoscenze disponibili e seguendo i criteri di cui all’articolo 268,commi 1 e 2; b) dell’informazione sulle malattie che possono essere contratte; c) dei potenziali effetti allergici e tossici; d) della conoscenza di una patologia della quale é affetto un lavoratore, che é da porre in correlazione diretta all’attività lavorativa svolta; e) delle eventuali ulteriori situazioni rese note dall’autorità sanitaria competente che possono influire sul rischio; f) del sinergismo dei diversi gruppi di agenti biologici utilizzati. 2. Il datore di lavoro applica i principi di buona prassi microbiologica, ed adotta, in relazione ai rischi accertati, le misure protettive e preventive di cui al presente titolo, adattandole alle particolarità delle situazioni lavorative. 3. Il datore di lavoro effettua nuovamente la valutazione di cui al comma 1 in occasione di modifiche dell’attività lavorativa significative ai fini della sicurezza e della salute sul lavoro e, in ogni caso, trascorsi tre anni dall’ultima valutazione effettuata. 4. Nelle attività, quali quelle riportate a titolo esemplificativo nell’allegato XLIV, che, pur non comportando la deliberata intenzione di operare con agenti biologici, possono implicare il rischio di esposizioni dei lavoratori agli stessi, il datore di lavoro può prescindere dall’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 273, 274, commi 1 e 2, 275, comma 3, e 279, qualora i risultati della valutazione dimostrano che l’attuazione di tali misure non é necessaria”. 54 Fattori di rischio 3.1.2 GRUPPI PRINCIPALI E CARATTERISTICHE DEGLI AGENTI BIOLOGICI Gli agenti biologici e le loro principali indicazioni di pericolosità sono trattati nel D.Lgs. 81/08, suddivisi in virus, batteri, funghi e parassiti, per i quali, sono stati previsti quattro gruppi di pericolosità “crescente” (1, 2, 3, 4). Virus I virus sono agenti biologici particolari perché, rispetto a tutti gli altri, non sono formati da cellule, ma “solamente” da involucri esterni al cui interno si trova il materiale genetico, rappresentato dal DNA (virus a DNA), ma anche dall‟RNA (virus a RNA). Questa “struttura minima” dei virus non garantisce loro autonomia funzionale rispetto agli altri gruppi di viventi ed è per questo che i virus sono comunemente definiti “parassiti obbligati della cellula”. Al di fuori dell‟organismo ospite, infatti, questi agenti si trovano in uno stato quiescente, inattivo e non sono in grado di riprodursi da soli; possono farlo solo penetrando all‟interno di una cellula per sfruttare il materiale e il metabolismo della stessa. Lo scopo principale di questa “violazione di proprietà” è quello di produrre nuove particelle virali, che escono dalla cellula (che può morire oppure no) e sono pronte per infettare nuove cellule, diffondendo così l‟infezione. Esistono moltissimi tipi di virus in grado di contagiare ogni tipo di cellula: animale, vegetale ed anche batterica e i loro cicli vitali sono molto diversi, ma riconducibili a due categorie principali che nei batteriofagi (virus che infettano i batteri) sono il ciclo litico e il ciclo lisogeno. Il primo è simile a quello appena descritto, mentre il ciclo lisogeno è, almeno all‟inizio, un ciclo “silente” in cui il virus integra il suo materiale genetico con quello della cellula ospite, la quale non lo riconosce e lo replica come se fosse proprio per diversi cicli cellulari, costituendo così una “popolazione “di cellule portatrici di materiale genetico virale. Dopo un certo periodo di tempo, anche molto lungo, questo materiale genetico silente si può riattivare innescando un ciclo più simile a quello litico, con la comparsa dei sintomi tipici dell‟infezione. Il virus dell‟HIV, responsabile dell‟AIDS, è un virus a RNA (appartenente ai retrovirus), che ha un ciclo simile a quello appena descritto. E‟ importante distinguere tra virus nudi e virus rivestiti; i primi hanno un unico rivestimento esterno (capside), costituito principalmente da proteine e sono, generalmente, più resistenti all‟azione degli agenti disinfettanti. 55 Fattori di rischio I virus rivestiti sono invece provvisti di un ulteriore rivestimento (pericapside o envelope), oltre il capside, che rende tuttavia tali agenti meno resistenti ai disinfettanti. Questo involucro esterno è ricco infatti di grassi, sostanze più facilmente disattivabili da trattamenti di disinfezione (es. virus HIV, HCV, HBV). Le infezioni virali, anche per il particolare metabolismo dei virus e per la grande capacità di variare facilmente il loro materiale genetico (mutazioni), sono più difficili da combattere rispetto a quelle di origine batterica ed i farmaci antivirali sono mediamente meno efficienti, rispetto ad es. agli antibiotici. Migliori armi, quando disponibili e di provata efficacia e sicurezza, risultano essere i vaccini. Diversi agenti possono arrecare danni anche gravi all‟embrione e al feto, se le relative infezioni vengono contratte in gravidanza, soprattutto nelle prime settimane di gestazione (effetti teratogeni). Tra questi agenti biologici vi sono ad esempio protozoi (es. Toxoplasma gondii causa della toxoplasmosi) e virus (es. il virus della rosolia, del morbillo e il Cytomegalovirus). Alcuni virus sono, inoltre, in grado di provocare il cancro o aumentarne la probabilità d‟insorgenza (effetti cancerogeni). Con il termine cancro si intende un gruppo eterogeneo di patologie accumunate dall‟anomala capacità di alcune cellule di non rispettare le regole della divisione cellulare, dando così origine a popolazioni cellulari che si sviluppano come, dove e quando non dovrebbero. Queste cellule riescono talvolta ad invadere tessuti diversi da quelli di origine (tumori maligni), attraverso le metastasi. I virus che possono avere effetti cancerogeni (virus oncogeni) sono quelli che, integrando il loro materiale genetico nel genoma dell‟ospite, riescono a modificarlo, originando eventualmente mutazioni che possono condurre al cancro. Ne sono esempi i virus HBV e HCV (cancro del fegato), HIV (sarcoma di Kaposi), i virus HTLV tipi 1 e 2 (patologie leucemiche), il virus del papilloma (alcune forme di cancro uterino) ed altri. E‟ evidente che la presenza di questi “rischi aggiuntivi” teratogeni, mutageni e cancerogeni, va attentamente considerata in fase di ricognizione dei rischi professionali. Batteri I batteri sono microrganismi costituiti da una cellula di tipo procariotico. Il regno dei batteri (regno Monera) è quello che comprende, tra tutti i viventi, il maggior numero di specie, che sono diffuse in tutti gli ambienti anche in condizioni estreme (batteri estremofili); ad es. ad altissime o basse temperature. Molte specie non Figura Genere Legionella Figura 2. 2. Genere Legionella 56 Fattori di rischio sono pericolose per l‟uomo mentre altre vivono nel nostro organismo arrecando benefici o sono utilizzate dall‟uomo, tra l‟altro, per produzioni alimentari, farmaceutiche, diagnostiche e a scopi di ricerca. E' possibile effettuare una generica distinzione dei numerosi gruppi di batteri, differenziandoli in base alla forma dell‟unica cellula che li costituisce: i cocchi sono tondeggianti; i bacilli hanno una forma più o meno allungata; le spirochete formano una sorta di “spirale” mentre i vibrioni appaiono a forma di “virgola”. I batteri riproducendosi possono raggrupparsi in colonie che, nel caso dei cocchi (ma anche negli altri gruppi), assumono delle disposizioni geometriche caratteristiche come i diplococchi (disposti a coppie), gli streptococchi (a catenella), gli stafilococchi (a grappolo) ecc. Nel gruppo dei cocchi si trovano diversi importanti patogeni come Streptococcus pneumoniae (responsabile di varie affezioni respiratorie), Neisseria meningitidis (meningite meningococcica), Staphylococcus aureus (responsabile di diverse infezioni). Tra i bacilli si trovano altri patogeni quali Mycobacterium tubercolosis (tubercolosi), Bacillus antraci (carbonchio), Clostridium tetani (tetano), Clostridium botulinum (botulismo), Legionella pneumophila (Legionellosi), enterobatteri come i generi Shigella (comprende varie specie causa di dissenterie), Salmonella (tifo, paratifo ed altre infezioni gastrointestinali). Nell‟ambito delle spirochete si annoverano Leptospira interrogans (agente causale della leptospirosi), Treponema pallidum (sifilide) o Borrelia burgdorferi (agente causale della Malattia di Lyme, veicolata da zecche); infine tra i vibrioni vi è Vibrio cholerae, causa del colera. La cellula batterica è avvolta, come tutte le cellule, da una membrana cellulare, ma possiede anche una protezione, nota come parete cellulare. La colorazione di Gram permette, in relazione alla diversa struttura chimica della parete nei diversi batteri, di distinguere due grandi gruppi: i batteri Gram-positivi (es. gli stafilococchi, gli streptococchi, le listerie) e i batteri Gram-negativi (Escherichia coli, salmonelle, vibrioni ecc.). L‟importanza di questa “grande” distinzione è motivata dal fatto che i due gruppi possiedono proprietà diverse in rapporto all‟azione patogena nei confronti dell‟ospite, alla resistenza o sensibilità a trattamenti farmacologici (gli antibiotici sono i principali), agli agenti disinfettanti e così via. I batteri possono arrecare danni molto diversi all‟individuo nel quale riescono ad insediarsi, causando infezioni e/o intossicazioni; in particolare moltissime specie sono produttrici di tossine, sostanze velenose per l‟organismo. Sono note due classi principali di tossine: le esotossine e le endotossine. Le esotossine sono proteine elaborate 57 Fattori di rischio principalmente dai batteri Gram-positivi ed hanno la peculiarità di poter agire anche a notevoli distanze nell‟organismo, rispetto al sito di ingresso nello stesso. Le esotossine sono, normalmente, più pericolose delle endotossine, ma più sensibili di queste a trattamenti disattivanti, come la disinfezione o l‟uso di alte temperature. Le endotossine sono parti della cellula del batterio, ad es. porzioni della membrana plasmatica, come il Lipopolisaccaride S (LPS) ed hanno in genere effetti aspecifici e meno importanti nell‟ospite, rispetto alle esotossine (malessere generale, febbre, infiammazioni, disturbi gastrointestinali ecc.), anche se sono assai più resistenti delle esotossine ai trattamenti disattivanti. Alcuni gruppi di batteri (tra cui quelli del genere Clostridium, come C. tetani e C. botulinum e del genere Bacillus come B. anthracis) sono in grado, in caso di carenza di nutrienti e in condizioni ambientali insoddisfacenti, di “trasformarsi” in una forma inerte (una sorta di “letargo”), denominata spora batterica. Le spore, quando le condizioni ambientali e nutrizionali tornano più favorevoli, riescono a “germinare” e a riportare il batterio alla normale vita attiva. Le spore sono estremamente resistenti agli usuali trattamenti di pulizia e di disinfezione; per essere disattivate si rendono necessari procedimenti molto “spinti”, tra cui la sterilizzazione raggiunta attraverso l‟impiego di elevatissime temperature (121°C in autoclave per almeno 20 minuti), anche utilizzando sostanze chimiche (ossido di etilene) o radiazioni. In alcune condizioni si possono costituire delle comunità di batteri (che comprendono anche altri microrganismi come alghe, protozoi, virus) denominate “biofilm”, ovvero una sorta di “società microbica” i cui componenti si avvantaggiano vicendevolmente da questo particolare stato sociale. Una delle proprietà dei biofilm è, infatti, quella di conferire alle specie componenti una maggiore resistenza a trattamenti antibiotici, disinfettanti ecc., più elevata di quella delle singole specie prese singolarmente. Il biofilm si forma, in particolare, su superfici solide bagnate o umide per lunghi periodi ed in presenza di sostanze organiche che fungono da nutrimento per i diversi microrganismi. I biofilm si formano ad esempio all‟interno di impianti idrici, unità di trattamento dell‟aria (U.T.A), impianti di climatizzazione ecc. Il batterio Legionella pneumophila, che può essere presente in alcuni ambiti lavorativ si avvantaggia della presenza del biofilm, per trarne nutrimento e protezione dai trattamenti di disinfezione delle acque. 58 Fattori di rischio Funghi Esistono circa 100.000 specie diverse di funghi (incluse le muffe e i lieviti) che svolgono un ruolo importante nell'ecosistema ossia quello di decomporre e riciclare la materia organica. Inizialmente le muffe sono talmente piccole da essere visibili solo al microscopio; da una cellula di origine così piccola (ifa), per successiva divisione, si ottiene a poco a poco un feltro colorato (micelio) che caratterizza Figura Figura 3. Aspergillus 3. Genere Genere Aspergillus l‟aspetto più noto di una muffa. Durante la crescita vengono prodotte particelle di forma sferica e di piccole dimensioni, ovvero le spore, che principalmente si disperdono nell‟aria e costituiscono la parte finale del ciclo riproduttivo delle muffe. Generalmente provengono dall‟esterno, per cui si nota una sostanziale dipendenza stagionale, maggiore durante l‟estate e l‟autunno. Le condizioni di sviluppo delle muffe sono determinate dall‟umidità dell‟ambiente e dalla temperatura. La temperatura ottimale per la crescita è tra i 18-32°C e l‟umidità relativa deve essere almeno del 60%. L'ambiente indoor, anche se scrupolosamente pulito, offre innumerevoli occasioni e substrati di crescita. La combinazione tra fenomeni di condensa, la presenza di sostanze organiche morte (necessario nutrimento), e l'instaurarsi delle opportune condizioni microclimatiche, favorisce la crescita di colonie. Presenza di umidità o fenomeni di condensa possono verificarsi per cattive tecniche costruttive anche all'interno dei muri o su alcune superfici interne. Negli ambienti indoor si sviluppano su pareti e pavimenti umidi, su carte da parati, nel materasso, nei divani e tappezzerie, nei sistemi di condizionamento d‟aria, negli umidificatori, cioè in tutti quegli ambienti dove si crea un alto tasso di umidità. Alcune specie, come Cladiosporium, crescono perfino nei refrigeratori (in particolare intorno alle guarnizioni dello sportello), altre come Aspergillus sono tolleranti a temperature che sfiorano i 70°C; molte specie crescono sul terriccio e sulle foglie di piante ornamentali. Le spore fungine hanno dimensioni medie intorno a 10 micron e possono perciò raggiungere grandi distanze con le correnti aeree. Alcune specie come l’Alternaria, Cladiosporium, Rhizopus hanno cadenza stagionale, mentre Aspergillus e Penicillum sono presenti durante tutto l‟anno. I funghi possono agire come agenti infettanti, come allergeni e sono inoltre noti per la produzione di sostanze tossiche. I funghi, infatti, liberano le micotossine, sostanze che provocano irritazione ad occhi, naso, faringe, e sono causa frequente di cefalea, astenia, 59 Fattori di rischio tosse secca, prurito, asma e altre acute difficoltà nella respirazione; inoltre producono sostanze volatili responsabili di allergie e anche del caratteristico odore di muffa. I problemi di salute causati dalla muffa possono presentarsi immediatamente o entro alcuni giorni rispetto all‟esposizione (effetti acuti), oppure determinare effetti a lunga durata e che potrebbero non verificarsi immediatamente (effetti cronici). I primi sono associati ad una esposizione all‟interno degli edifici ed includono irritazione di naso, occhi e gola, emicrania, difficoltà di concentrazione e rientrano nella classe dei sintomi tipici della sindrome dell‟edificio malato (in genere si risolvono quando il soggetto si allontana dal luogo di esposizione). Gli effetti cronici invece sono associati a malattie respiratorie allergiche che includono rinite allergica, asma e polmonite da ipersensibilità. Queste patologie possono determinare un pessimo stato di salute del soggetto anche dopo l‟allontanamento dal luogo di esposizione. Le caratteristiche più influenti di tali microrganismi sono (INAIL,2010) : 1) Habitat I microrganismi si possono definire ubiquitari, poiché possono vivere e moltiplicarsi in quasi tutti gli ambienti, naturali e antropici; gran parte delle specie si trova nelle comuni condizioni ambientali, ma alcune di esse riescono ad adattarsi a condizioni come temperature molto alte o molto basse, elevata umidità o salinità, ambienti sporchi e degradati ecc. 2) Riproduzione I microrganismi si riproducono quasi sempre rapidamente ed, in particolare, in situazioni igieniche carenti, come ambienti ricchi di residui organici (rifiuti, terra, polveri, alimenti ecc.); in presenza di elevate temperature associate ad alti tassi di umidità e in condizioni di scarsa aerazione. 3) Dimensioni Gli agenti biologici hanno dimensioni che variano da alcuni nanometri (nm) a molti micron (μm); i virus sono i più “minuti” avendo dimensioni valutabili in nanometri (in genere tra 1 e 100 μm) mentre i batteri sono più grandi, avendo dimensioni comprese tra alcuni micron a poche decine di micron. Materiali biologici potenzialmente pericolosi come i pollini delle piante superiori, microrganismi come i protozoi e le forme riproduttive dei funghi (spore) sono più grandi: mediamente tra pochi e alcune centinaia di micron. Nel processo di valutazione del rischio da agenti biologici è importante considerare quali sono le dimensioni degli agenti biologici di interesse, in particolare per capire quali sono le modalità con cui più facilmente possono venire a contatto con l‟uomo e in che modo ci si 60 Fattori di rischio può difendere, predisponendo, ad esempio, sistemi di prevenzione e protezione collettivi ed individuali, quali ad esempio, cappe filtranti o Dispositivi di Protezione Individuale (DPI). 4) Metabolismo e stati “quiescenti” Nella maggior parte dei casi gli agenti biologici sono attivi e vitali, possedendo tutte o quasi le proprietà tipiche dei viventi, quali la mobilità, la capacità di riprodursi, di cibarsi ecc. Gli agenti biologici possono nutrirsi di sostanze chimiche molto diverse e gran parte dei microrganismi per vivere hanno bisogno di ossigeno (aerobi); tuttavia alcuni possono vivere anche senza (anaerobi facoltativi) o esclusivamente in assenza di questo gas (anaerobi obbligati). Tuttavia, in alcune condizioni, gli stessi microrganismi si possono trovare in stati quiescenti o inerti, in genere estremamente resistenti, come le spore prodotte da alcuni batteri, i virus prima di infettare le cellule, le cisti dei protozoi ecc; queste condizioni devono essere considerate con attenzione poiché tali agenti possono, in modi diversi, riacquisire caratteristiche normali e potenzialità dannose. 5) Carica microbica Si definisce come la misura o la stima di quanti agenti biologici si trovano in un determinato “campione”, come una superficie di lavoro, un‟attrezzatura, un volume di aria, una matrice biologica e non (es. acqua, terreno, liquidi biologici). Rappresenta il numero di microrganismi che formano colonie visibili su un idoneo terreno e dopo opportuna incubazione; il risultato si esprime in UFC (Unità Formanti Colonie) su m3 per l‟aria, su cm2 per le superfici, su litro per l‟acqua. Questo importante parametro può essere misurato sperimentalmente attraverso metodologie e strumentazioni specifiche o ricavabile da dati di letteratura. La carica microbica permette di conoscere, anche se non sempre in maniera esatta, l‟entità della contaminazione del campione studiato. Come principio generale, maggiore è la carica microbica, più alta è la possibilità che agenti nocivi possano penetrare in un individuo, arrecando eventuali danni. I più comuni metodi di prevenzione impiegati per la gestione dei rischi biologici come pulizia/disinfezione, disinfestazione, sterilizzazione, hanno come obiettivo principale la diminuzione della carica microbica. 6) Infettività L‟infettività è la capacità di uno specifico agente biologico di penetrare e moltiplicarsi in un organismo. Attraverso l‟infezione, l‟agente riesce ad entrare e a riprodursi nell‟ospite, anche se l‟infezione stessa non necessariamente evolverà verso una malattia infettiva conclamata ( es. la condizione di portatore sano), che si manifesterà come tale solo in presenza di manifestazioni cliniche tipiche. Sono disponibili per alcuni agenti biologici delle “dosi infettanti”, ovvero misure della capacità più o meno spiccata di uno specifico agente di provocare un evento infettivo, 61 Fattori di rischio ovvero la “quantità” di microrganismi sufficiente ad “innescare” l‟infezione. Le dosi infettanti si possono determinare sperimentalmente inoculando l‟agente oggetto di studio, in animali da laboratorio e contando quante cavie svilupperanno l‟infezione;più precisamente la dose infettante è definita come la “dose” di microrganismi in grado di infettare il 50% degli animali inoculati (DI 50). Esiste anche una “dose minima infettante” (DI0), ovvero il numero minimo di agenti biologici che possono scatenare l‟evento infettivo, anche se occorre tener conto che per molti microrganismi può essere sufficiente una singola “unità infettante” (es. un virus o una cellula batterica), per poter provocare l‟infezione. 7) Patogenicità La patogenicità è definibile come la potenzialità che gli agenti biologici hanno di cagionare danni alla salute, quali infezioni e intossicazioni; tale proprietà è legata alla capacità di provocare malattie a seguito di infezione ed è legata essenzialmente all‟efficacia delle “armi” di cui dispongono gli agenti contro il nostro l‟organismo (es. produzione di tossine da parte di alcuni batteri e funghi, capacità di riprodursi velocemente, di superare i sistemi di difesa dell‟organismo). La virulenza stima il grado di patogenicità, ovvero la diversa gravità dello stesso tipo di danno indotto dallo stesso agente; ad es. nell‟ambito della stessa specie batterica esistono ceppi più virulenti e ceppi meno virulenti. La virulenza è anche definita come l‟insieme di patogenicità e infettività. 8) Trasmissibilità Stima la possibilità che l‟agente biologico ha di essere trasmesso da un soggetto infetto a soggetti sani; la trasmissione può essere diretta, come avviene ad es. tramite i contatti sessuali e il sangue o indiretta, attraverso materiali inanimati, noti come veicoli (aria, acqua, materiali biologici, terra, polveri, cibo, rifiuti, superfici e oggetti) o attraverso altri organismi, come artropodi (che comprendono insetti, acari ecc.), roditori, uccelli. 9) Neutralizzabilità E‟ la maggiore o minore disponibilità, per un dato agente, di misure preventive e terapeutiche come i disinfettanti, i vaccini, la somministrazione di immunoglobuline, i farmaci ed altre. 62 Fattori di rischio 3.1.3 VIE DI INGRESSO DEGLI AGENTI BIOLOGICI NELL‟ORGANISMO Gli agenti microbiologici presenti nell‟aria, sono aerotrasportati sotto forma di bioaerosol, legati a polvere, particelle liquide o altri contaminanti naturalmente presenti (emulsioni oleose, polvere di legno, ecc.), con conseguente rischio, per i lavoratori, di esposizione per via inalatoria, per contatto con superfici e oggetti contaminati o per ingestione. Contatto diretto con la cute e le mucose: in questi casi l‟ingresso dei patogeni si attua attraverso il contatto con i tessuti epiteliali esterni (pelle) o interni (mucose). Questi tessuti, in particolare la pelle, costituiscono barriere più o meno impermeabili alla penetrazione degli agenti biologici, ma spesso presentano piccole lesioni che possono costituire delle vie d‟ingresso. Il contagio può avvenire attraverso un soggetto infetto (es. infezioni da batteri stafilococchi, da funghi, scabbia causata da acari ecc.), oppure tramite contatto con materiali contaminati (effetti personali, superfici, strumenti e attrezzature). Via ematica o parenterale: si verifica mediante punture, ferite e lesioni in generale, eventi considerabili talvolta come infortuni. La trasmissione attraverso il sangue è spesso molto più efficace di altre vie per gli agenti “invasori” e può essere quindi più pericolosa delle altre, poiché i microrganismi riescono, in questo modo, a superare molte delle barriere difensive opposte dell‟organismo. Molte patologie infettive sono comprese in questo gruppo, tra cui diverse forme di epatite virale: (epatite B e C), AIDS, tetano ecc. Tramite la via respiratoria o inalatoria: i patogeni riescono ad entrare attraverso l‟apparato respiratorio e, anche in funzione delle loro diverse caratteristiche e della capacità di risposta dell‟organismo, possono rimanere nelle prime vie respiratorie oppure giungere ai bronchi e ai polmoni. Attraverso questa via si può avere anche l‟inalazione di aerosol, o meglio bioaerosol, costituito da piccolissime goccioline che possono contenere agenti biologici, spesso “attaccati” a granelli di polvere, con cui “volano” e riescono a disperdersi nell‟ambiente. Tali bioaerosol sono spesso miscele complesse in cui coesistono molte specie diverse e loro residui/prodotti, per cui può essere difficile capirne il reale impatto sulla salute del lavoratore e definirne dei valori limite. Gli agenti biologici possono distribuirsi nell‟ambiente ed arrivare all‟organismo anche mediante schizzi, getti di acqua o di altri liquidi contaminati, anche in minime quantità, che possono sprigionarsi in seguito, ad es. all‟apertura di contenitori (centrifughe, autoclavi, tombini, condotte) o da organismi 63 Fattori di rischio infetti (trasmissione uomo-uomo o animali-uomo), anche attraverso colpi di tosse, starnuti ecc. Via orale: l‟ingresso degli agenti si verifica comunemente mediante ingestione di alimenti o liquidi contaminati; un tipico es. è rappresentato dal vasto gruppo delle intossicazioni alimentari (o tossinfezioni). L‟ingestione può essere volontaria o anche involontaria attraverso goccioline, fumo, mani o oggetti sporchi portati alla bocca e così via. Rientrano in questa importante classificazione le infezioni a trasmissione oro-fecale, in cui i patogeni vengono eliminati attraverso le feci (dall‟intestino dell‟uomo o di altri animali) e riescono a giungere ed entrare nell‟apparato digerente. Tra le innumerevoli patologie si possono citare quelle causate da batteri del genere Salmonella, la leptospirosi di origine batterica e veicolata da roditori, l‟epatite virale di tipo A. Puntura, morsi e graffi di animali: esistono alcuni agenti biologici trasmessi da punture o morsi di animali, tra cui virus (virus della rabbia trasmessa dal morso di cani e volpi, virus della febbre gialla trasmesso dalla puntura di zanzare), batteri (ad es. borrelie trasmesse dal morso di zecca), protozoi (leishmanie trasmesse dalla puntura di flebotomi o pappataci, e i plasmodi della malaria dalla puntura di alcune zanzare). In alcuni casi (soprattutto per quanto riguarda gli artropodi) si parla di “vettori”, quando l‟agente patogeno compie parte del suo ciclo biologico all‟interno di animali (es. la stessa malaria), in altri casi si parla di “serbatoi”, quando il microrganismo staziona all‟interno dell‟animale per un periodo più o meno lungo ed infine rappresentano dei “veicoli” (lo sono anche oggetti inanimati) quando si limitano a trasportare passivamente i microrganismi verso altri soggetti, infettandoli (es. una mosca che depositandosi su materiali sporchi, trasmette “malattie”). 3.1.4 PRINCIPALI EFFETTI DA INQUINAMENTO INDOOR I principali potenziali effetti sulla salute umana causati dall‟esposizione ad agenti biologici in ambienti indoor sono: Malattie associate agli edifici o Building-Related Illness (B.R.I.): patologie dal quadro clinico ben definito e per le quali può essere identificato uno specifico agente causale (legionellosi, alveolite allergica ecc..). Sindrome dell‟edificio malato o Sick-Building Syndrome (S.B.S.) sviluppatasi a partire dagli anni ‟70. Questa sindrome, ad eziologia non definita, raggruppa un insieme di sintomi aspecifici, quali: irritazione degli occhi, secchezza delle vie 64 Fattori di rischio respiratorie, cefalea, sonnolenza, eritemi e pruriti cutanei. In queste manifestazioni l‟inquinamento microbiologico potrebbe giocare un ruolo determinante. Azione infettiva. Generalmente la contaminazione microbica è legata alla scarsa idoneità delle condizioni igienico-edilizie, al sovraffollamento, alla insufficiente areazione dei locali e alla scarsa manutenzione dei sistemi di climatizzazione. L‟inquinamento microbiologico all‟interno degli ambienti chiusi può essere considerato una fonte di trasmissione di malattie infettive a carattere epidemiologico: influenza, varicella ecc.. L‟azione infettiva è svolta da batteri, protozoi, virus, muffe e lieviti (ad es. Legionella pneumophila, Aspergillus fumigatus ecc.). L‟infezione è l‟insieme dei meccanismi con cui i microrganismi riescono a superare le diverse difese di cui l‟organismo dispone, potendo così penetrare e moltiplicarsi all‟interno dello stesso organismo, con varie modalità. L‟infezione può evolvere in una malattia infettiva conclamata, cioè in una patologia con una sintomatologia clinica tipica, di diversa gravità. L‟individuo colpito può tuttavia riuscire a fronteggiare più o meno prontamente l‟attacco dei patogeni, eliminando la presenza degli agenti “invasori” oppure essere in grado di trasmettere l‟infezione, pur non essendo malato. Si parla in questo caso, di stato di portatore, che può essere sano (individuo che potrebbe anche non ammalarsi mai) o anche portatore cronico (può trasmettere l‟infezione per molto tempo o anche per sempre); vi è poi la condizione di portatore convalescente, ovvero di colui che sta guarendo, ma che ancora può potenzialmente trasmettere un determinato agente patogeno. La possibilità di contrarre un‟infezione da parte di un soggetto sano, dipende da tre grandi gruppi di fattori quali: 1) proprietà degli agenti biologici, discusse prima, quali carica microbica, infettività, patogenicità, trasmissibilità ed altre; 2) caratteristiche del soggetto, nel nostro caso del lavoratore, che presenta una suscettibilità individuale diversa da ogni altro individuo, la quale dipende da differenti stili di vita, condizioni immunitarie, predisposizioni genetiche, malattie pregresse o in atto, trattamenti terapeutici in corso, stato di gravidanza ecc.; 3) caratteristiche degli ambienti (di vita e di lavoro) che influenzano, aumentando o diminuendo, l‟incontro e la penetrazione nel soggetto degli agenti biologici pericolosi, la loro moltiplicazione, l‟instaurarsi di un‟eventuale infezione o di altri danni. 65 Fattori di rischio Tra le caratteristiche ambientali più importanti vi sono fattori di natura fisica, tra cui le condizioni climatiche e microclimatiche (temperatura, umidità, aerazione), ma anche la presenza di residui organici, rifiuti, polveri, terreno, che possono costituire potenziali fonti alimentari e riproduttive per gli agenti biologici. Le malattie, anche quelle di natura infettiva, si possono distinguere grossolanamente in acute e croniche. Le malattie infettive acute manifestano i loro sintomi (periodo di incubazione) poco dopo l‟ingresso del patogeno nell‟ospite (ore, giorni, settimane) ed evolvono rapidamente con esiti di varia gravità, che vanno dalla guarigione completa fino alla morte (raffreddore, influenza, epatiti virali fulminanti, meningiti, infezioni gastrointestinali e molte altre). Le infezioni croniche si manifestano molto più tardivamente (mesi, anni) con eventi sintomatici in genere progressivi a decorso cronico e/o che possono anche condurre alla morte (es. infezioni da virus come epatite B e C, HIV, tubercolosi). Azione allergizzante: in questo caso i soggetti esposti manifestano riniti, sinusiti, asma, alveoliti o febbri, descritte come Organic Dust Toxic Syndrome (ODTS). Le allergie, nel loro complesso, sono il risultato di una risposta esagerata del sistema immunitario di alcuni individui nei confronti di agenti di varia natura, detti allergeni, che risultano invece innocui per la maggior parte della popolazione. Le patologie allergiche associate ad attività lavorative presentano una sintomatologia che riguarda essenzialmente le vie respiratorie, le mucose oculari e la cute (ad es. rinite allergica o raffreddore da fieno, asma, congiuntivite, eczema, orticaria); in alcuni casi, si possono avere addirittura reazioni assai pericolose come lo shock anafilattico, che può rivelarsi letale. Di solito il sistema immunitario ha funzioni di difesa contro microrganismi che invadono il corpo. Quando un soggetto allergico viene a contatto con un allergene, il sistema immunitario riconosce tale allergene come un “invasore” e reagisce attraverso la produzione di grandi quantità di anticorpi, chiamati immunoglobuline (IgE); ciascuna IgE è specifica per una particolare sostanza. Esiste un certo grado di familiarità nella propensione di un individuo a diventare allergico, anche se questa familiarità non è stata provata in relazione al tipo di allergene. Quando l‟allergene incontra la sua IgE specifica, si attacca all‟anticorpo attivando il rilascio di potenti sostanze chimiche, come ad es. l‟istamina, che agiscono sui tessuti di varie parti del corpo, causando i sintomi caratteristici delle allergie. Tra questi i più comuni sono: starnutazione, rinite, tosse, irritazione delle mucose oculari e nasali, congiuntivite; alcuni individui possono sviluppare asma con tosse, sibilo, respiro corto dovuto alla restrizione delle vie 66 Fattori di rischio aeree nei polmoni, all‟eccesso di muco e all‟infiammazione che, nel frattempo, si è sviluppata. La pericolosità delle azioni infettive e allergizzanti non è legata solo alla presenza dell‟agente patogeno, ma anche all‟entità dell‟inquinamento ambientale e alla maggiore o minore sensibilizzazione degli esposti. L‟effetto potenzialmente nocivo è riferibile ad una risposta anomala del sistema immunitario di soggetti sensibilizzati nei confronti di sostanze allergizzanti (acari, muffe…). Inoltre, alcuni contaminanti indoor possono svolgere un ruolo favorente il processo di sensibilizzazione in soggetti predisposti, mentre altri possono scatenare nuovi attacchi in soggetti che già soffrono di allergie. Azione tossica, svolta da metaboliti quali endotossine (la cui principale azione e collegata all‟induzione di febbre e alla necrosi tissutale), micotossine (effetto citotossico) e 1-3 s-D-glucani (costituenti delle spore fungine che possono dar luogo a risposte infiammatorie e immunologiche). 3.2 RISCHIO FISICO: APPROFONDIMENTO La misura dei fattori fisici dell'aria (temperatura, velocità dell'aria, umidità relativa), tenuto conto dei fattori individuali (dispendio energetico, tipo di vestiario) e della stagione in esame, permette una valutazione delle condizioni microclimatiche e di esprimere una valutazione di benessere termico o meno, a confronto con accreditati indici di benessere termico o di insoddisfazione. Effetti come quello della temperatura, della umidità relativa, delle caratteristiche illuminotecniche e di pressione sonora, influenzando la percezione degli occupanti, concorrono a definire la salubrità e la sicurezza dell‟ambiente. Linee di intervento: Evitare che il posto di lavoro sia soggetto a corrente diretta. Verificare periodicamente gli impianti di condizionamento con particolare attenzione alla pulizia dei filtri. Mantenere, all'interno dei locali, una temperatura vicina alla temperatura esterna, con particolare riferimento alla regolazione dell'aria condizionata in estate. Posizionare le fotocopiatrici e le stampanti in luoghi aerati poiché queste attrezzature producono polveri che possono essere assunte dall'individuo con possibilità di insorgenza di patologia. Far rispettare il divieto di fumare nei locali che non dispongono di un'adeguata ventilazione e ricambio d'aria. 67 Fattori di rischio Provvedere ad un‟adeguata manutenzione degli impianti di climatizzazione. Corretto ricambio d‟aria. 3.2.1 LA NORMATIVA ITALIANA: IL D.LGS 81/08 ll Titolo VIII del D.Lgs. n. 81/2008 ha raccolto le disposizioni dedicate alla protezione dei lavoratori dagli agenti fisici. Il Titolo risulta suddiviso in sei Capi; il primo detta le disposizioni di carattere generale, comuni a tutti gli agenti di rischio fisici, riguardo ai principali obblighi di tutela e di sicurezza, i successivi quattro sono dedicati a specifici agenti di rischio (rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici, radiazioni ottiche artificiali) e l‟ultimo è dedicato alle sanzioni. Oggetto di questa parte del TU sicurezza sono, oltre agli agenti normati dalle direttive europee inerenti alle vibrazioni, al rumore, ai campi elettromagnetici e alle radiazioni ottiche artificiali, anche gli ultrasuoni, gli infrasuoni, il microclima e le atmosfere iperbariche, un importante valore aggiunto rispetto al passato in quanto, per la prima volta in Italia, si presenta una serie di norme organiche in materia di protezione dei lavoratori dai rischi di esposizione ad agenti fisici. Capo I: Disposizioni generali Art. 180 Definizione e campo di applicazione Ai fini del presente Decreto Legislativo per agenti fisici s'intendono il rumore, gli ultrasuoni, gli infrasuoni, le vibrazioni meccaniche, i campi elettromagnetici, le radiazioni ottiche di origine artificiale, il microclima e le atmosfere iperbariche, che possono comportare rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori. Per rumore, vibrazioni, campi elettromagnetici e radiazioni ottiche artificiali si applicano i capi specifici (II - III - IV - V). Le radiazioni ionizzanti sono disciplinate unicamente dal D.Lgs. 230/95 e successive modifiche. Art. 181 Valutazione dei rischi Il datore di lavoro valuta tutti i rischi da agenti fisici in modo da identificare e adottare le opportune misure di prevenzione e protezione con particolare riferimento alle norme di buona tecnica ed alle buone prassi. Valutazione ogni quattro anni effettuata da personale qualificato nell'ambito del Servizio di Prevenzione e Protezione. L'aggiornamento della valutazione viene 68 Fattori di rischio effettuato in caso di mutamenti o quando richiesto dai risultati della sorveglianza sanitaria. Gli esiti della valutazione e le misure necessarie sono riportati nel Documento di Valutazione del Rischio (DVR). Se non è necessaria una valutazione dettagliata è possibile includere nel DVR una "giustificazione" del datore di lavoro. Art. 182 Disposizioni miranti ad eliminare o ridurre i rischi Tenuto conto del progresso tecnico e della disponibilità di misure per controllare il rischio alla fonte, i rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici sono eliminati alla fonte o ridotti al minimo. La riduzione dei rischi derivanti dall'esposizione agli agenti fisici si basa sui principi generali di prevenzione contenuti nel presente decreto. In nessun caso i lavoratori devono essere esposti a valori superiori ai valori limite di esposizione definiti nei capi II, III, IV e V. Allorchè, nonostante i provvedimenti presi dal datore di lavoro in applicazione del presente capo i valori limite risultino superati, il datore di lavoro adotta misure immediate per riportare l'esposizione al di sotto dei valori limite di esposizione, individua le cause del superamento dei valori limite di esposizione e adegua di conseguenza le misure di protezione e prevenzione per evitare un nuovo superamento. Art. 183 Lavoratori particolarmente sensibili Il datore di lavoro adotta le misure di cui all'art. 182 alle esigenze dei lavoratori appartenenti a gruppi particolarmente sensibili al rischio incluse le donne in stato di gravidanza ed i minori. Art. 184 Informazione e Formazione dei Lavoratori Il datore di lavoro provvede affinchè i lavoratori e gli RLS siano informati sugli esiti della valutazione dei rischi. In particolare su: Significato sui valori limite di esposizione dei valori di azione. Esiti della valutazione e misure adottate. 69 Fattori di rischio Sorveglianza sanitaria e modalità per segnalare eventuali effetti negativi dell'esposizione. Procedure per ridurre al minimo i rischi e uso corretto dei DPI. Art. 185 Sorveglianza sanitaria La sorveglianza sanitaria deve essere effettuata nei casi previsti dai capi specifici, sulla base dei risultati della valutazione del rischio. In caso di alterazione dello stato di di salute, il medico competente informa il lavoratore e, nel rispetto del segreto professionale il datore di lavoro. Il datore di lavoro procede alla revisione della valutazione dei rischi e delle misure predisposte. Il medico competente riporta nella cartella sanitaria e di rischio i dati della sorveglianza sanitaria e i valori di esposizione individuali, ove previsti (art.186). 3.2.2 IL MICROCLIMA: NOVITA‟ INTRODOTTE DAL D. LGS 81/2008 Nel testo del precedente decreto legislativo n. 626/1994 gli unici riferimenti agli aspetti microclimatici si trovavano nel Titolo II, «Luoghi di lavoro», nel quale era richiamata l‟attenzione del datore di lavoro sulla necessità di garantire valori di temperatura, di umidità e di velocità dell‟aria adeguati all‟organismo umano in relazione all‟attività svolta e di adottare, all‟occorrenza, misure tecniche di prevenzione e di protezione dei lavoratori. Nel caso di luoghi di lavoro chiusi era prevista la possibilità di installare impianti di ventilazione, a meno di una loro corretta manutenzione, mentre per i luoghi di lavoro aperti era richiesta una generica protezione contro gli agenti atmosferici. Sebbene, ai sensi dell‟art. 4 il datore di lavoro era obbligato a valutare tutti i rischi, in realtà poche valutazioni affrontavano con la giusta attenzione il rischio microclima. Le azioni di prevenzione erano praticamente affidate al comune buonsenso ovvero al comportamento del ”buon padre di famiglia” di cui al codice civile. Il decreto legislativo n. 81/2008 ha elevato l‟attenzione sul rischio microclima svincolandolo dal solo concetto di salubrità del luogo di lavoro e prevedendo, per i casi estremi, la necessità di valutare gli effetti sulla salute. Nel testo del nuovo TU sono rimasti gli obblighi nel Titolo II, «Luoghi di lavoro», D.Lgs. n. 626/1994, anche se gli approfondimenti sono indicati nell‟Allegato IV. L‟unica novità in questa sezione è che l‟ex comma 6, art. 9, «Areazione dei luoghi di lavoro chiusi» è intitolato, al punto 1.9, «Microclima » ma le indicazioni restano le stesse. 70 Fattori di rischio La vera novità è rappresentata dall‟inserimento del Titolo VIII in cui, all‟art. 180, nell‟elenco degli agenti fisici, è contemplato anche il microclima e, quindi, anche per esso il successivo art. 181 ha richiesto esplicitamente la valutazione del rischio, senza però rimandare a un Capo specifico come avviene per gli altri rischi fisici. Questa mancanza, in realtà, è una conseguenza dell‟assenza di precise direttive europee e, quindi, di leggi nazionali alle quali fare riferimento per i criteri di valutazione e, soprattutto, per i valori limite di esposizione da rispettare. Come richiesto dallo stesso art. 181, il datore di lavoro deve fare particolare riferimento a norme di buona tecnica e a buone prassi. Per il microclima esistono documenti collaudati in quanto le principali norme tecniche (ISO, EN, UNI) per la valutazione sono riconosciute a livello mondiale da oltre trenta anni. Da circa due anni sono disponibili, inoltre, le linee guida «Microclima, aerazione e illuminazione nei luoghi di lavoro», prodotte dal Coordinamento tecnico per la sicurezza nei luoghi di lavoro delle Regioni e delle Province autonome e da Ispesl, per le quali a breve è prevista una ulteriore revisione e una validazione come previsto dal D.Lgs. n. 81/2008. Questo comporta che, in assenza di un Capo specifico di riferimento, il datore di lavoro avrà sicuramente ottemperato all‟obbligo dell‟art. 181 se avrà fatto riferimento ai documenti previsti dall‟art. 2, lettere u), v) e z). Al di là dell‟obbligo, il datore di lavoro ha convenienza a effettuare questa valutazione. In ambienti moderati, i metodi di valutazione proposti dalla normativa tecnica permettono di evidenziare con chiarezza la presenza di discomfort e, quindi, di dirimere eventuali conflitti. Normalmente la soluzione ai problemi è rappresentata da misure tecniche. In ambienti vincolati, comprendendo in essi anche gli ambienti all‟aperto dove poco si può fare per correggere le condizioni termoigrometriche, i metodi di valutazione proposti dalla normativa tecnica, basati sulla misura di parametri fisiologici indicativi dello stato di stress, forniscono il tempo in cui sono raggiunti i valori limite oltre i quali si verificano danni e, quindi, indicazioni sul tempo massimo di esposizione (DLE). 71 Fattori di rischio 3.2.3 LA TERMOREGOLAZIONE UMANA Il microclima viene definito come l‟insieme dei fattori (temperatura, umidità, velocità dell‟aria, calore radiante…) che regolano le condizioni climatiche di un ambiente chiuso o semi-chiuso come ad esempio un ambiente di lavoro. Considerando che la maggior parte della popolazione urbana trascorre il 75-80 % del tempo all‟interno di edifici chiusi, è facilmente intuibile come il monitoraggio dei parametri microclimatici ed il controllo dell‟aerazione siano elementi principali che concorrono al mantenimento di una buona qualità dell‟aria indoor e contribuiscono al buono stato di salute del lavoratore. Inoltre i fattori ambientali e microclimatici (in particolare temperatura, velocità dell‟aria e umidità) influenzano la qualità microbiologica dell‟aria di un ambiente di lavoro in quanto possono determinare o contribuire a sostenere le condizioni ottimali per lo sviluppo e la proliferazione dei microorganismi. Il valore di umidità relativa può essere indicativo ad esempio di condizioni favorenti lo sviluppo di condensa del vapore d‟acqua sulle pareti e quindi del rischio di formazione di colonie batteriche e/o fungine. È importante dunque, durante una campagna di monitoraggio, affiancare alle misure microbiologiche misure microclimatiche. Il corpo umano, per le sue caratteristiche termiche, può essere paragonato ad una macchina termica alimentata da combustibili sotto forma di alimenti che vengono trasformati parte in lavoro (10-20%) e in massima parte in calorie (80-90%). Essendo, poi, costretto a mantenere costante la sua temperatura interna, cioè quella degli organi più importanti (sistema nervoso centrale, cuore, polmoni, ecc.), deve essere in grado di dissipare nell‟ambiente il calore metabolico che viene prodotto in eccesso, specie quando si incrementa il lavoro meccanico muscolare o si riduce la cessione di calore se in ambienti caldo umidi. La quantità di calore prodotto da un individuo a completo riposo è di circa 1,2 Kcal/min, corrispondente a circa 70 Kcal/ora ed a 1700 Kcal/giorno (metabolismo di base), corrispondente cioè al consumo energetico di base per la normale attività degli organi viscerali (60%) e dei muscoli (20%). Nel corso di qualsiasi attività fisica si ha un aumento delle produzione di calore proporzionale al tipo di attività svolta, si parla così di lavoro moderato quando è richiesto un dispendio energetico non superiore a 2,5 Kcal/min, lavoro medio compreso tra 2,5 Kcal/min e 5 Kcal/m, lavoro pesante se superiore a 5 Kcal/min. 72 Fattori di rischio La termodispersione è il metodo attraverso cui l‟eccessivo calore prodotto viene smaltito (quasi esclusivamente per via cutanea) attraverso vari meccanismi fisiologici: Conduzione-Convenzione Il corpo cede calore a tutto ciò cui è strettamente a contatto: vestiti, aria che ci circonda; quest‟ultima a sua volta riscaldandosi va verso l‟alto richiamando altra aria più fresca che a sua volta viene riscaldata e così via. È evidente che se la temperatura dell‟aria è elevata questo meccanismo si annulla, potendo così diventare negativo e indurre un riscaldamento nella cute (superando i 30-32 °C di T ambientale). Con questo meccanismo il corpo cede dal 25 al 30% del calore. Irraggiamento Il corpo umano è in grado di emanare calore mediante onde elettromagnetiche trasferendo così energia termica verso corpi più freddi (pareti, mobili, etc). Con questo meccanismo si riesce ad eliminare il 45-50% di tutto il calore prodotto. Anche questo meccanismo risente però dello stato termico degli oggetti circostanti: in presenza di forti fonti di calore (caldaie, forni di fonderie, etc), l‟irraggiamento può diventare negativo, cioè il corpo può surriscaldarsi per l‟elevato calore proveniente da queste fonti. Evaporazione Consiste nel passaggio dell‟acqua dallo stato liquido a quello gassoso (1 gr. d‟acqua evaporato a 30 °C sottrae al corpo 0,58 Kcal.) L‟evaporazione interviene quando la temperatura ambiente raggiunge i 35 °C, quando cioè viene a cessare la termodispersione con le modalità della conduzione-convezione e dell‟irraggiamento. È un meccanismo che avviene attraverso queste tre modalità fisiologiche: - Espirazione: si verifica durante la normale respirazione quando l‟aria inspirata è di temperatura inferiore a quella corporea, mentre l‟aria espirata abbandona i polmoni con una temperatura di 33-34 °C ed una saturazione in vapore d‟acqua al 100%. - Perspiratio Insensibilis (in riposo ed a temperatura bassa): consiste nella evaporazione costante ed autonoma dalla pelle e dalle mucose che si svolge indipendentemente dalla funzione delle ghiandole sudoripare. Questo meccanismo comporta una scarsa ma persistente evaporazione dalla superficie cutanea: essa fa perdere in media nel corso di un‟ora 25 gr di acqua, con una sottrazione di 14,5 Kcal/ora. - Sudorazione (nel lavoro muscolare e a temperatura elevata): con la sudorazione invece si può avere facilmente la perdita di 1 litro di sudore per ora. Essa entra in gioco nel 73 Fattori di rischio momento in cui la produzione calorica (lavoro fisico in ambiente caldo), supera la perdita delle precedenti modalità di termodispersione. Quanto più l‟aria è satura di umidità tanto minore è l‟evaporazione; tanto più elevata è la velocità dell‟aria tanto più essa è favorita. L‟evaporazione interviene nella misura del 20-30% della quota globale di calore che l‟organismo può disperdere. Figura 4 .Le trasformazioni energetiche nell‟organismo La situazione termica di un organismo può essere quindi razionalmente analizzata: - Considerandolo come sistema termico interessato da flussi di energia entrante ed uscente attraverso la sua superficie e da generazione di energia al suo interno; quando l‟effetto complessivo di tali flussi non abbia modo di esser nullo si osserverà un aumento del contenuto termico del sistema od una diminuzione, corrispondenti ad un aumento o diminuzione rispettivamente della sua temperatura media; - Mediante la sua equazione di bilancio energetico, che viene convenzionalmente riferita all‟unità di tempo (ed è quindi espressa in termini di potenza) e di superficie corporea; assumendo come positive le potenze termiche entranti, si scrive in forma generale e sintetica: 74 Fattori di rischio M + W + C + R + K + CRES + ERES + E = S Dove: M è la Potenza prodotta dai processi metabolici, in misura ridotta trasferita all‟esterno per lo svolgimento di un lavoro ed in maggior parte presente in forma di calore che si rende disponibile all‟interno del corpo. S è la potenza termica eventualmente accumulata nell‟organismo (o perduta da questo) quando i flussi energetici che lo interessano non si compensino reciprocamente ed abbia quindi luogo un aumento (o rispettivamente una diminuzione) della sua temperatura; gli altri termini si riferiscono alle potenze scambiate mediante i seguenti meccanismi: W: cessione o assorbimento di energia meccanica; C: convezione con l‟aria ambiente; R: irraggiamento nei confronti dei corpi che costituiscono l‟ambiente; K: conduzione rispetto ai corpi solidi con cui l‟organismo si trova a contatto; CRES : variazione di temperatura dell‟aria respirata; ERES: variazione di umidità dell‟aria respirata; E: evaporazione a livello della cute, che coinvolge i fenomeni di sudorazione e di traspirazione insensibile. Nella maggior parte delle situazioni, sia in ambienti industriali che in ambienti civili i termini M, W, C, R, E sono preponderanti rispetto ai restanti. L‟equazione di bilancio energetico in tali casi si potrà scrivere nella forma semplificata: M + W+ C + R + E = S Le grandezze fondamentali che determinano la situazione termica dell‟organismo nel suo complesso sono: - Grandezze ambientali ( umidità relativa, velocità dell‟aria, temperatura dell‟aria..) - Grandezze personali (dispendio energetico metabolico, temperatura cutanea media, frazione di area cutanea bagnata da sudore, resistenza termica del vestiario…). L‟organismo tende a permanere in condizioni di equilibrio ( S=0) omeoterme, cioè a far si che: 75 Fattori di rischio - La potenza ceduta attraverso la sua superficie eguagli la potenza assorbita dall‟ambiente sommata a quella termica generata dai processi metabolici; - La temperatura del nucleo si mantenga costante intorno ai valori ottimali (indicativamente compresi nell‟intervallo 36,7 ± 0,2 °C). A questo fine l‟organismo attiva differenti efficaci meccanismi di tipo fisiologico e di tipo comportamentale e può riuscire a conseguire questo obiettivo in condizioni ambientali anche estremamente diversificate e severe. I meccanismi di compenso sono sotto il diretto controllo di zone ipotalamiche, che permettono di aumentare la quota di calore che viene ceduta (vasodilatazione cutanea, riduzione del vestiario, riduzione dell‟attività fisica, etc.) o di ridurla (vasocostrizione cutanea, aumento del vestiario, aumento dell‟attività fisica). Figura 5.Il meccanismo di Termoregolazione umana Quando l‟equilibrio termico viene mantenuto con un minimo sforzo da parte dei sistemi di termoregolazione, le corrispondenti condizioni microclimatiche possono essere definite di benessere termico e l‟individuo non avverte né freddo né caldo, ma esprime soddisfazione per la propria situazione termica (Linee Guida,2006). Con il termine di discomfort termico o disagio si intendono quelle condizioni microclimatiche che danno luogo alla sensazione di caldo o di freddo (che già richiedono un impegno dei meccanismi di termoregolazione). Si parla di stress termico o scompenso quando l‟organismo non riesce più a mantenere costante la T interna potendo sfociare verso uno stato di vera e propria malattia (colpo di calore, esaurimento, congelamento, assideramento). 76 Fattori di rischio Un ambiente di lavoro confortevole deve avere una temperatura tale da consentire ai lavoratori di compiere la propria attività senza alcun pericolo per la propria salute. Il corpo umano ha una temperatura interna costante di circa 37 gradi °C, condizione necessaria a garantire il regolare svolgimento di tutti i processi biochimici all‟interno dell‟organismo e quindi la vita stessa. Variazioni della temperatura oltre i normali limiti determinano sofferenze delle principali funzioni fisiologiche con ripercussioni più o meno gravi sulle capacità lavorative e, in condizioni estreme, manifestazioni patologiche. Non esistono al momento attuale delle norme precise che prevedano dei valori standard delle variabili microclimatiche salvo che per alcune lavorazioni particolari; viene sempre prospettata la necessità generica di assicurare ai lavoratori un certo benessere termico anche in funzione del lavoro svolto. Dal punto di vista igienistico vengono considerate delle fasce di benessere termico nell‟ambito delle quali l‟organismo ha minori necessità di correzioni, differenti a seconda delle stagioni: - 20-25 °C per la T dell‟aria; - 50-60 % per l‟umidità relativa; - 0,05-0,2 m/s per la ventilazione. In generale si considerano adeguati per l‟uomo valori di temperatura in inverno intorno ai 20°C ed in estate dagli 8 ai 3°C in meno della temperatura esterna, in funzione di un tempo di permanenza nel locale più o meno lungo; per quanto riguarda l‟umidità relativa si cerca di mantenerla tra il 40-60% al fine di evitare l‟essiccamento delle vie respiratorie o la condensa sulle superfici fredde (finestre) dei locali. Negli ambienti dove il riscaldamento è fornito da radiatori o apparecchi simili si verifica una progressiva diminuzione dell‟umidità relativa; è pertanto importante provvedere all‟installazione di umidificatori idonei che riequilibrino il contenuto dell‟umidità dell‟aria (ad esempio le vaschette colme d‟acqua poste sui radiatori, la presenza delle piante, i vaporizzatori ad elettricità). Nei luoghi di lavoro chiusi è necessario far sì che tenendo conto dei metodi di lavoro e degli sforzi fisici ai quali sono sottoposti i lavoratori, essi dispongano di aria salubre in quantità sufficiente. L‟aria dei locali chiusi di lavoro deve essere, perciò, convenientemente e frequentemente rinnovata. 77 Fattori di rischio 3.2.4 CLASSIFICAZIONE DEGLI AMBIENTI TERMICI Convenzionalmente gli ambienti termici vengono distinti in: 1. AMBIENTI MODERATI 2. AMBIENTI CALDI 3. AMBIENTI FREDDI La suddetta distinzione è fondamentalmente concettuale e finalizzata alla utilizzazione delle modalità di analisi e di valutazione appropriate al tipo di situazione in quanto a questi tre tipi di ambienti vengono applicati metodi di analisi e criteri di valutazione distinti (Linee Guida,2006). 1. Gli ambienti moderati impongono un moderato grado d‟intervento al sistema di termoregolazione corporea e risulta facilmente realizzata la condizione di omeotermia (mantenimento costante della T interna) del soggetto. In concreto tali ambienti sono caratterizzati da: condizioni ambientali piuttosto omogenee e con ridotta variabilità nel tempo; assenza di scambi termici localizzati fra soggetto ed ambiente che abbiano effetti rilevanti sul bilancio termico complessivo; attività fisica modesta e sostanzialmente analoga per i diversi soggetti; uniformità del vestiario indossato dai diversi operatori. 2. Gli ambienti caldi sono caratterizzati da un notevole intervento del sistema di termoregolazione umano al fine di diminuire l‟accumulo di calore nel corpo. L‟azione termoregolatrice si esplica primariamente sul piano fisiologico mediante i meccanismi di vasodilatazione dei vasi sanguigni cutanei (con aumento della temperatura della cute) e di sudorazione. Le caratteristiche degli ambienti caldi sono: valori elevati di temperatura operativa in relazione alle caratteristiche dell‟attività svolta e del vestiario indossato dagli operatori, eventualmente accompagnati da alti valori di umidità relativa dell‟aria e richiedenti un considerevole intervento del meccanismo di scambio termico per sudorazione al fine di conservare l‟omeotermia; variabilità della temperatura e dell‟umidità da postazione a postazione di lavoro; 78 Fattori di rischio disuniformità del livello di impegno fisico richiesto e del vestiario indossato dagli operatori. 3. Gli ambienti freddi sono caratterizzati da condizioni che richiedono un sensibile intervento del sistema di termoregolazione umano per limitare la potenziale eccessiva diminuzione della temperatura caratteristica dei diversi distretti ed in particolare del nucleo corporeo. L‟azione termoregolatrice si traduce sul piano fisiologico nella vasocostrizione dei capillari cutanei, che comporta una diminuzione della temperatura della cute e nell‟incremento della produzione di calore per via metabolica (di cui i brividi e l‟orripilazione ne sono segni evidenti). Tale azione, nel caso di ambienti freddi, non può superare limiti relativamente ristretti per cui in tali ambienti risulta di fondamentale importanza l‟azione termoregolatrice volontaria dell‟individuo che si esplica nella esecuzione di movimenti non strettamente necessari, nella adozione di un vestiario maggiormente isolante, nell‟allontanamento dall‟ambiente freddo. In concreto e con specifico riferimento alle attività lavorative, gli ambienti freddi presentano i seguenti aspetti fondamentali: valori di temperatura bassi (indicativamente compresi fra 0 e 10°C per ambienti moderatamente freddi e inferiori a 0°C per ambienti freddi severi); contenuta variabilità spaziale e temporale delle condizioni; attività fisica e tipologia del vestiario indossato abbastanza uniformi. 3.2.5 PERICOLI CORRELATI AD UN MICROCLIMA INADEGUATO Le malattie correlate con la non buona ventilazione degli edifici possono essere suddivise in due gruppi, in base a considerazioni di ordine epidemiologico, eziopatogenetico, clinico, diagnostico e prognostico. Al primo gruppo appartiene la cosiddetta Sindrome dell‟Edificio Malsano o Sick Building Syndrome, caratterizzata da una sintomatologia di modesta entità, aspecifica e polimorfa (cefalea, sonnolenza, bruciore degli occhi, senso di irritazione della gola, tosse, irritazione cutanea, etc), strettamente correlata con la permanenza nell‟edificio: si manifesta durante il lavoro in un particolare ambiente, e si risolve o si attenua rapidamente con l‟allontanamento dallo stesso. 79 Fattori di rischio Molti dei parametri microclimatici sono correlati con la SBS: temperatura dell’aria interna: esiste una relazione statisticamente rilevante tra l‟elevazione della temperatura oltre i 22°C e la comparsa di sintomi di SBS; umidità relativa: in inverno non deve essere inferiore al 30%. Intorno al 20% aumentano le patologie dovute alla secchezza dell‟aria. In estate l‟umidità relativa deve essere mantenuta tra il 50% e il 70%. I procedimenti di umidificazione dell‟aria sono alla base di un grande numero di problemi e meritano una particolare attenzione; ventilazione: ratei di ventilazione insufficienti acuiscono i problemi di inquinamento interno, particolare attenzione va posta alla quantità di aria di ricircolo ed ai trattamenti che subisce; velocità dell’aria: è un altro parametro importante per la definizione del benessere, molte persone si lamentano per l‟aria stagnante, altre, che lavorano in prossimità di bocche d‟aerazione, hanno ugualmente sensazioni di disagio; illuminazione artificiale: è questo un altro vasto campo di indagine. Lo stress visuale può giocare un certo ruolo in funzione della distribuzione dei punti luminosi, di un insufficiente contrasto, di una eccessiva intensità luminosa; rumore: il rumore sia di provenienza interna che esterna ha influenza sul benessere, sulla sfera emotiva e sulla concentrazione; vibrazioni: la vicinanza a fonti di vibrazioni come il traffico pesante su gomma o rotaia, causa disturbi agli occhi ed irritabilità; ioni: la mancanza di ioni negativi è responsabile di malessere ambientale ed è determinata dalla presenza di fonti inquinanti. E‟ importante ricordare la soggettività delle sensazioni legate al benessere o al malessere ambientale, a parità di condizioni e di attività fisica esercitata dalle persone. Tra i diversi ambiti (acustico, illuminotecnico, termico, purezza dell‟aria) che influenzano il microclima indoor per il controllo ambientale (tabella 2), va trattato in modo più approfondito l‟aspetto relativo alla qualità dell‟aria (purezza), in quanto più inerente all‟aspetto edilizio. Al secondo gruppo appartengono malattie con un quadro clinico ben definito, che non si risolvono rapidamente abbandonando il luogo di lavoro, la cui patogenesi (modalità di insorgenza) è di tipo allergico o tossico-infettivo, talora caratterizzate da notevole gravità. Appartengono a questo gruppo malattie quali l‟asma bronchiale, le alveoliti allergiche estrinseche, la febbre da umidificatori, le infezioni da Legionella Pneumophila (malattia dei Legionari e febbre di Pontiac) da Rickettsie (febbre Q), da virus e da funghi. 80 Fattori di rischio I principali inquinanti che si possono rinvenire negli edifici sono di natura chimica (composti organici volatili, formaldeide, monossido di carbonio, ossidi di azoto, anidride carbonica, ozono, etc.), fisica (fibre di asbesto, fibre di vetro, polveri, radon, etc.) e biologica (virus, batteri, actinomiceti, spore fungine, acari, alghe, amebe, peli e forfora umani, frammenti di insetti). I sistemi di condizionamento dell‟aria, gli umidificatori e le superfici umide costituiscono un ambiente favorevole per lo sviluppo e la diffusione di microrganismi: l‟umidità e le temperature elevate facilitano la crescita di muffe e funghi. Negli ambienti confinati non industriali la carica microbica dell‟aria è influenzata da diversi fattori: − numero ed attività delle persone e flora microbica delle loro vie respiratorie e della loro cute; − tipo e cubatura dei locali; − tipo di pavimentazione ed eventuale rivestimento; − procedure di pulizia meccanica; − sistemi di ventilazione, riscaldamento e/o condizionamento; − stagione. 3.3 LETTERATURA CORRELATA Con la crescita del numero di call-center sono state realizzate ricerche allo scopo di indagare quali elementi peculiari di questo ambiente di lavoro potessero avere un maggior impatto sulla salute dei lavoratori. Confronto con altre categorie di lavoratori Lo studio più completo in letteratura è del “Health and Safety Laboratory” dell‟ Università di Sheffield, datato 2003 e dal titolo “Psychosocial risk factor in Call-Center: an evaluation of work designe and well-being” (Sprigg et al, 2003). E‟ uno studio condotto su 1141 lavoratori di 22 call-center: il campione è costituito per il 74% da donne e ha un età media di 34 anni. Lo stress lavorativo viene indagato attraverso la misurazione di tre parametri, il benessere lavorativo, la soddisfazione lavorativa, la tensione mentale. Il benessere lavorocorrelato è stato misurato attraverso due scale (ansia lavoro-correlata, depressione lavorocorrelata) e gli indici relativi ai lavoratori di call-center sono stati confrontati con quelli di altre nove categorie di lavoratori: impiegati, tecnici della manutenzione, operai dell‟industria manifatturiera, operai di altri settori, managers, personale domestico, professionisti, sorveglianti, personale tecnico. Gli operatori di call-center presentano i livelli più elevati di ansia lavoro-correlata con eccezione dei “managers”, mentre hanno i 81 Fattori di rischio livelli più elevati in assoluto di depressione lavoro-correlata. Lo stesso confronto è stato fatto per l‟indicatore “soddisfazione lavorativa” che viene distinta in “estrinseca” (aspetti “esterni” del lavoro come ambiente e condizioni di lavoro, clima di relazione, prospettive di carriera) ed “intrinseca” (aspetti psicologici del lavoro come autonomia, crescita di capacità, sensazione di valorizzazione e apprezzamento). Dai dati emerge che l‟operatore di call-center ha soddisfazione lavorativa più bassa di tutte le altre categorie salvo gli operai dell‟industria manifatturiera mentre la soddisfazione lavorativa “intrinseca” è la più bassa in assoluto. Per quanto riguarda la tensione mentale è stata misurata con due metodi GHC (Likent) e GHC (Caseness): con entrambi i metodi la tensione mentale per i lavoratori di call-center è nettamente più elevata rispetto alle altre categorie di lavoratori. Il lavoro inglese cerca poi di chiarire quali sono le cause dell‟elevato stress lavoro-correlato che caratterizza il lavoro nei call-center. Il confronto con le altre categorie di lavoratori mette in evidenza che la discrezionalità sui tempi e sulle modalità di lavoro è bassissima: anche il più ripetitivo dei lavori manuali non specializzati implica livelli di discrezionalità più alti. Quindi la costrittività del lavoro è un aspetto che viene sottolineato come fattore di rischio per lo stress lavoro-correlato con alcune altre caratteristiche che sono connesse: monotonia, ripetitività e utilizzo di schemi predefiniti. Altri fattori di rischio individuati: metodi di controllo (elettronico o diretto), pesantezza del lavoro (intensità, ritmi), chiarezza di ruolo e conflitto di ruolo, valorizzazione delle risorse e delle capacità, adeguatezza della formazione. Uno studio successivo (Norman et al, 2004) in cui gli operatori di Call-Center sono stati confrontati con addetti ai videoterminali, ha rilevato maggiori carenze di tipo ergonomico, minor supporto da parte del supervisore e limitate opportunità di gestire il lavoro per questa categoria di lavoratori. Inoltre, rispetto al gruppo di controllo, una proporzione più elevata di addetti dei Call-Center riferiva problemi di salute (mal di testa, dolori a collo e spalla) e un maggior ricorso all‟uso di farmaci. Infine, operatori di Call-Center sottoposti a esami clinici e seguiti nel tempo hanno riportato una maggiore incidenza di problemi a carico della regione collo-spalla rispetto al gruppo di controllo (Toomingas et al,2003). Lavoro nei Call-Center e problemi fisici Alcuni studi hanno esaminato questa relazione, e fra questi un‟indagine condotta su un campione di 1183 lavoratori impiegati presso 16 Call-Center svedesi (Norman, 2005). Dal confronto tra Call-Center interni all‟azienda (“in house”) e esterni (“outsourcing”) sono emerse differenze nello stato di salute a carico soprattutto dell‟apparato muscolo scheletrico a sfavore di questi ultimi. Il fattore discriminante sembra essere il maggior 82 Fattori di rischio numero di chiamate dei lavoratori dei Call-Center in “outsourcing”. Fattori quali elevate richieste di tipo psicologico, scarso controllo e supporto da parte del supervisore e dei colleghi sono risultati associati a problemi della zona collo-spalla e braccio-mano (D‟Errico, 2010). Altre indagini rilevano che la compresenza di aspetti organizzativi (elevato numero di telefonate, poche pause), microclima e fattori ergonomici sfavorevoli sono determinanti nella genesi dei disturbi della zona collo-spalla e polso-mano (Rocha et al, 2005; Ferreira et al, 2002). Anche l‟interazione tra aspetti organizzativi (carico di lavoro, monitoraggio delle prestazioni) e fattori psicosociali (supporto da parte del supervisore) sembra avere un ruolo importante nel determinare problemi di tipo muscolo scheletrico (Halford et al, 2003). Un‟indagine della Call-Center Association (CCA) inglese del novembre 2003 “Sickness Absence Management in Call- center” prende in considerazione l‟incidenza delle assenze per malattia nei lavoratori di Call-center e le principali cause di queste malattie. Sono state coinvolte 69 aziende di varie dimensioni. Le prima causa di assenza è l‟influenza, la seconda disturbi gastrici (gastriti, ulcera), la terza sintomi psichici da stress (depressione prima fra tutti), la quarta cefalea, la quinta disturbi muscolo scheletrici. Uno studio condotto su 222 operatori, utilizzando sia questionari che dati provenienti dalla sorveglianza sanitaria, evidenzia come le condizioni microclimatiche (68%) e la rumorosità ambientale (51%) siano i parametri giudicati più sfavorevolmente. I disturbi dell‟apparato oculo-visivo rappresentano quelli più frequentemente riferiti dai lavoratori addetti all‟utilizzo di videoterminale. La qualità della voce appare risentire in particolare del microclima e della qualità dell‟aria indoor ma anche la postura appare assumere un ruolo non indifferente nella produzione della voce in quanto interferisce con la respirazione (D‟Alcamo, 2011). Per quanto riguarda le condizioni ergonomiche della postazione di lavoro lo studio R.O.C.C. (DoRS, Regione Piemonte, 2007), svolto su 755 lavoratori di Call-Center di Torino e cintura, segnala che il 33% dei rispondenti non ha la possibilità di appoggiare i polsi durante l‟uso della tastiera e circa un quarto dei lavoratori non può appoggiare gli avambracci durante l‟utilizzo del mouse o della tastiera. Inoltre la maggior parte di loro (88%) riferisce la presenza di riflessi sullo schermo del videoterminale e il 40% ritiene che l‟illuminazione del posto di lavoro non sia adeguata. Gli operatori lamentano situazioni di inadeguatezza rispetto al livello sonoro del locale in cui lavorano: il 79% ritiene infatti che il rumore del locale sia troppo elevato; per quanto 83 Fattori di rischio concerne il microclima, la temperatura è ritenuta non adeguata dal 58% dei lavoratori, mentre il 77% reputa inadeguato il ricambio d‟aria. Infine il 58% dei lavoratori riferisce che l‟illuminazione del locale non è appropriata. Lavoro nei Call-Center e benessere psicologico Oltre ai problemi di salute descritti, la letteratura mette in evidenza un altro esito di salute importante per questa categoria di lavoratori, ovvero l‟insorgere di disturbi legati a stress psicologico quali ansia, insonnia e depressione. L‟organizzazione del lavoro e l‟ambiente psicosociale sembrano essere i fattori che più influiscono sulla percezione di disagio da parte del lavoratore. In particolare un basso livello di controllo sul proprio lavoro, l‟imposizione di obiettivi di rendimento (numero e durata delle chiamate), la presenza di sistemi di monitoraggio delle prestazioni e la scarsità di pause sono descritte come le principali cause di tensione per i lavoratori (Holman, 2002; Taylor et al, 2003). Uno studio dell‟Università del Massachussets (Centro Ricerche sul Lavoro) del 2002 dal titolo “Stress in The Call-Center” prende in considerazione essenzialmente la questione stress in un campione di 784 lavoratori di 12 call-center diversi. Viene chiesto ai lavoratori di classificare la loro condizione soggettiva di stress lavorativo in una scala da 1 a 10: circa 1/3 dei lavoratori risponde 10 per una media generale che è 7,9. I disturbi prevalenti che sono riferiti allo stress lavorativo sono stanchezza (55%), irritabilità (48%) difficoltà del sonno (47%), cefalea (44%). Il carico di lavoro eccessivo, l‟assolvimento di compiti ripetitivi e l‟interazione problematica con il cliente sono gli elementi che più incidono sull‟esaurimento emotivo e sulle assenze dal lavoro secondo lo studio realizzato presso alcuni Call-center australiani (Deery et al, 2002). Un‟indagine della Call-Center Association (CCA) inglese del novembre 2003 “Sickness Absence Management in Call- Center” prende in considerazione l‟incidenza delle assenze per malattia nei lavoratori di call-center e le principali cause di queste malattie. Sono state coinvolte 69 aziende di varie dimensioni. Le assenze, espresse come percentuale dei giorni lavorativi sono risultate essere il 6,4%, più alta del dato medio nazionale che è il 4% dei giorni lavorativi. Le prima causa di assenza è l‟influenza, la seconda disturbi gastrici (gastriti, ulcera), la terza sintomi psichici da stress (depressione prima fra tutti), la quarta cefalea, la quinta disturbi muscolo scheletrici. Un lavoro italiano del 2003 pubblicato sul G.IT.MED.LA.ERG col titolo “Forme di disagio psicologico a genesi occupazionale: esperienza presso il call-center di un azienda 84 Fattori di rischio di rilevanza nazionale”, riporta i dati emersi dalla sorveglianza sanitaria svolta su 214 lavoratori. La presenza di disturbi psichiatrici è riscontrata nel 44,5% dei lavoratori ma il 64,4% esprime un esplicito disagio psicologico. Le cause che più incidono sono legate ai difficili rapporti con il cliente, all‟intensità del lavoro e alla presenza di sistemi di sorveglianza e controllo delle prestazioni di lavoro da parte del management aziendale (Papalia et al, 2003; Chirico et al, 2004). Nel corso del 2004-2005 un‟indagine del Servizio di Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro (SPSAL) della ASL Città di Milano ha interessato 695 lavoratori di 10 call-center diversi, ai quali è stato somministrato un questionario specificamente rivolto alla valutazione dello stress lavoro-correlato. Lo stress è stato indagato con la ricerca di disturbi della sfera psichica, disturbi del sonno, disturbi da somatizzazione: ne emerge che la stragrande maggioranza di lavoratori lamenta almeno un disturbo (94,4%) mentre il 67,8% riferisce almeno un disturbo spesso e continuamente e il 35% almeno un disturbo continuamente. I disturbi più significativi sono la stanchezza, il nervosismo, la cefalea, i disturbi del sonno. Anche una recente indagine realizzata a Milano (Cattaneo et al, 2006) ha indicato la costrittività, la mancanza di autonomia, la monotonia/ripetitività, la scarsa valorizzazione delle capacità individuali, il basso livello di controllo del lavoro e la rumorosità dell‟ambiente lavorativo fra i fattori che più incidono nella genesi dei disturbi da stress. Nonostante alcuni fattori di rischio siano noti, è necessario acquisire ulteriori conoscenze su quali componenti, peculiari di questo settore, possano avere un impatto negativo sulla salute dei lavoratori. Il problema è importante se si considera l‟alta prevalenza di disturbi osservati tra lavoratori dei CC e la rapida crescita dell‟intero settore. 85 Fattori di rischio: valutazione 3.4 VALUTAZIONE DEL RISCHIO IN AMBIENTI INDOOR Tra i vari fattori di rischio descritti nel paragrafo precedente in questa parte del lavoro si è scelto di approfondire la valutazione del rischio biologico, in quanto oggetto dell‟indagine in campo, e del rischio fisico poiché strettamente correlato al precedente. 3.4.1 RISCHIO BIOLOGICO La valutazione del rischio nel caso degli agenti biologici è rappresentata da un processo piuttosto complesso che si compone di alcuni passaggi fondamentali: - identificazione del pericolo; - identificazione e quantificazione dei soggetti esposti; - misura dell‟entità dell‟esposizione; - misura della gravità dell‟eventuale danno; - stima dell‟entità del rischio; - definizione di rischio accettabile o meno. Il rischio biologico presenta però, a differenza di altre tipologie di rischio, delle criticità per cui molte metodologie consolidate nell‟ambito dell‟igiene industriale per la valutazione dell‟esposizione ad agenti chimici o fisici ad esempio, non sono trasferibili ai microrganismi, per motivi legati alla natura stessa degli agenti biologici. Le principali cause sono: - l‟ubiquitarietà, l‟estrema variabilità e la pericolosità degli agenti; - la suscettibilità individuale e le condizioni ambientali mutevoli e variegate; - la mancanza di limiti di esposizione utilizzabili come valori soglia: per molti microrganismi infatti, non esiste o non è conosciuta una soglia di infettività (ossia una dose sotto la quale il contagio non produce infezione ovvero comparsa di malattia). In questi casi si utilizza l‟assunto conservativo secondo il quale è sufficiente anche solo un microrganismo a provocare l‟infezione (dose minima infettante. Quando a tale condizione si associa anche un‟elevata patogenicità, trasmissibilità e limitata neutralizzabilità, l‟unico intervento preventivo efficace risulta l‟eliminazione dell‟esposizione, in maniera simile a quanto richiesto dalla lavorazione con sostanze cancerogene. - la capacità di riproduzione (anche un piccolo numero di microrganismi può moltiplicarsi in breve tempo e diventare un considerevole problema); 86 Fattori di rischio: valutazione - dati epidemiologici insufficienti portano ad una incapacità di definire, tranne che in pochissimi casi, delle precise relazioni tra entità dell‟esposizione del soggetto all‟agente e risposta dell‟organismo; - in molti casi vi sono difficoltà a stimare quanti e quali agenti biologici pericolosi sono presenti in un ambiente di lavoro o anche in un determinato locale, area, superficie, attrezzatura, matrice biologica ecc. Tale incapacità di “fotografare” esattamente la realtà è dovuta, tra l‟altro, alla sofisticata coesistenza delle diverse specie microbiche, alla notevole versatilità e capacità di cambiamento insita in tutti gli organismi viventi, alla complessità dei siti e delle matrici da analizzare e alla necessità di ricorrere a metodi di campionamento microbiologico diversi e spesso non confrontabili, per tentare di stimare la reale composizione di un sito da campionare. La mancanza di questa conoscenza non permette pertanto né di definire delle dosi sul modello dei TLV-TWA per le sostanze chimiche per discriminare tra condizioni di presenza o assenza di rischio né di conoscere qual è la frequenza di danno atteso nei soggetti esposti in funzione dell‟entità di esposizione. Sono stati proposti dall‟ACGIH (American Conference of Industrial Hygienists) dei TLV per alcune sostanze di natura biologica, come polveri di legno (le polveri di legno delle piante superiori o angiosperme sono cancerogene), polveri di cereali che possono essere allergeniche ed anche per amido, cellulosa, composti organici volatili o VOC (es. ammoniaca, anidride carbonica, idrogeno solforato ecc.), prodotti da alcune specie e indicatori, in alcuni casi, della presenza e attività di microrganismi. Tenuto conto delle difficoltà di effettuare misure dirette di esposizione, ai fini della valutazione del rischio, si ricorre a misure di esposizione indiretta basate sui monitoraggi ambientali, che hanno lo scopo di valutare la salubrità degli ambienti di lavoro. Occorre localizzare nel ciclo produttivo i punti o le fasi in cui può determinarsi l‟esposizione ad agenti biologici, adottare tutte le misure di prevenzione e protezione collettiva e quelle procedure di buona pratica proporzionate alla pericolosità attribuita "a priori" agli agenti biologici presunti sulla base di conoscenze scientifiche o evidenze epidemiologiche. Il monitoraggio ambientale viene condotto in modo diverso a seconda che siano indagate attività che fanno uso deliberato di agenti biologici ( laboratori di ricerca, industrie farmaceutiche) o attività caratterizzate da un‟esposizione potenziale o occasionale. Il monitoraggio può essere eseguito analizzando substrati diversi, quali l‟aria, le superfici di lavoro o l‟acqua presente negli impianti di climatizzazione o idrici, e differenziarsi in base al tipo di metodica, di campionatore, o di terreni utilizzati. La scelta del tipo di campionamento e delle matrici da analizzare richiede un attento studio 87 Fattori di rischio: valutazione preliminare dei tipi di microrganismi presuntivamente coinvolti e delle possibili vie di diffusione, in funzione delle attività lavorative svolte e delle procedure a rischio. 3.4.1.1 IL TERRENO DI COLTURA Il monitoraggio biologico si confronta con un mondo estremamente eterogeneo di microrganismi (diametro non superiore al mm) quali protozoi,alghe, lieviti e batteri. Per poterne valutare la presenza occorre avere un substrato di crescita trasparente che li renda visibili e conteggiabili ad occhio nudo e resistente alla degradazione (dovuta a variazioni di temperatura o all‟attacco di batteri). A questo proposito è stato introdotto l‟AGAR, una matrice di consistenza simile a quella gelatinosa ma più resistente alla degradazione. Questo carboidrato complesso, estratto dalle alghe rosse, fonde a 100°C e risolidifica quando la temperatura scende a circa 44°C , producendo un gel duro e trasparente. L‟AGAR risulta, quindi, ottimale come TERRENO DI COLTURA in quanto non si ha rischio di liquefazione ne di attacco da batteri. All‟interno del terreno devono essere presenti tutti i nutrienti necessari per la crescita dei microrganismi (sintesi di materiale cellulare, produzione di energia…) nelle quantità appropriate per le necessità specifiche degli organismi presenti. La maggior parte dei fattori di crescita appartengono ad amminoacidi (richiesti come costituenti delle proteine), purine e pirimidine (costituenti degli acidi nucleici) e vitamine. Lo scopo principale nella preparazione di un terreno di coltura è ottenere una miscela bilanciata dei nutrienti richiesti partendo da una base minerale ( nutrienti in forma inorganica) a cui possono essere aggiunti una sorgente di carbonio, di energia, di azoto e qualsiasi altro fattore di crescita richiesto purché nelle concentrazioni ottimali (molti nutrienti infatti diventano inibitori o tossici se presenti in quantità troppo elevate). Sono presenti diversi tipi di terreni: - Selettivi: adatti alla crescita di uno specifico microrganismo e quindi selettivi per lo stesso, inibendo gli altri (es. cetrimmide). - Liquidi di arricchimento: tendono a selezionare i microrganismi che hanno velocità di crescita maggiore tra tutti quelli inoculati e che sono capaci di crescere nelle condizioni fornite. - Differenziali: utilizzati per permettere la discriminazione di batteri diversi, appartenenti allo stesso gruppo (es. GRAM -). 88 Fattori di rischio: valutazione Dopo la fase di preparazione, tutti i terreni vanno sterilizzati, addizionati di ciò che serve e poi piastrati sotto cappa cioè versati in appositi “contenitori” (PIASTRE PETRI di diverse dimensioni a seconda delle esigenze) e lasciati solidificare; infine riposti in frigo in attesa dell‟utilizzo. La sterilizzazione è un trattamento che libera il materiale trattato da tutti gli organismi viventi impedendone, cioè,la riproduzione; il processo deve essere tale da non lasciare più di un sopravvivente per 106 litri. Esistono diverse modalità di sterilizzazione: - Si utilizza il calore secco per materiali in vetro e solidi e stabili al calore. - Per le soluzioni acquose si impiega invece il calore umido (vapore). - Sterilizzazione chimica:gli agenti chimici sono tanto tossici quanto volatili per essere rapidamente eliminati dopo il trattamento (es. Ossido di etilene). - Per filtrazione ( materiali plastici che fondono a temperature uguali o superiori a 100°C). I terreni hanno una scadenza oltre la quale non possono più essere utilizzati. 3.4.1.2 IL MONITORAGGIO AMBIENTALE E LE TECNICHE DI CAMPIONAMENTO L‟interesse per la misura della contaminazione microbica dell‟aria si è particolarmente sviluppato negli ultimi venti anni (INAIL,2010). Questo interesse nasce dalla consapevolezza che i microrganismi aerodiffusi abbiano, alla stessa stregua degli inquinanti chimici classicamente misurati, potenziali effetti nocivi sulla salute degli individui. Tutte le tipologie di microrganismi possono essere presenti nell‟aria e sulle superfici: batteri, funghi e protozoi, cosi come alcuni virus capaci di resistere in un mezzo esterno. Tramite l‟aria si diffondono, inoltre, particelle di origine microbica (tossine, frammenti di cellule, allergeni, composti organici volatili) e vegetale (polline). Prima di effettuare un campionamento microbiologico in un ambiente di lavoro e necessario svolgere un sopralluogo per valutare se il tipo di attività lavorativa svolta comporta l‟uso deliberato di microrganismi o una potenziale esposizione agli agenti biologici ed individuare le fasi lavorative a rischio. Il sopralluogo è utile anche per raccogliere informazioni essenziali per poter stilare un protocollo di campionamento dettagliato, in cui vengono elencati i biocontaminanti da campionare, le tecniche analitiche da utilizzare, la durata del campionamento, il numero e la localizzazione dei siti dove effettuare il monitoraggio. È necessario, inoltre, acquisire, tramite letteratura scientifica, 89 Fattori di rischio: valutazione eventuali informazioni circa l‟esposizione ad agenti biologici nel settore lavorativo in esame. Nel caso di attività lavorative che comportino un uso deliberato di agenti biologici, si procederà al monitoraggio di tali agenti, che consentirà anche la verifica dell‟adozione di corrette procedure operative da parte dei lavoratori e di idonee misure di contenimento ambientale per evitare la diffusione degli agenti biologici. Per le attività nelle quali invece, la presenza di microrganismi, eventualmente anche patogeni, non sia evitabile anche se non c‟e uso deliberato, è utile l‟applicazione di indici di contaminazione (per esempio enterobatteri e salmonelle come indici di contaminazione fecale negli impianti di trattamento delle acque reflue), che consentono di valutare la salubrità dell‟ambiente di lavoro anche senza ricercare lo specifico patogeno eventualmente presente. Per quegli ambienti di lavoro, come quelli indoor (uffici, scuole etc.) per i quali la presenza di agenti potenzialmente patogeni può essere considerata accidentale, la valutazione della carica microbica totale (funghi e batteri) è usualmente sufficiente. Per attività lavorative nelle quali il rischio connesso alla presenza di agenti biologici e di natura allergica oltre che infettiva, è molto utile affiancare ai campionamenti degli agenti biologici anche la ricerca di allergeni di origine microbica. Il monitoraggio microbiologico ambientale viene eseguito effettuando controlli dell‟aria, delle superfici di lavoro ecc... In tutti i tipi di campionamento, le cellule microbiche sospese nell‟aria o presenti sulle superfici vengono prelevate e fatte moltiplicare su idonei terreni di coltura, in modo da poterle poi quantificare ed eventualmente identificare. I metodi di monitoraggio che prevedono la conta batterica su terreno solido e liquido sono in grado di rilevare solo la frazione microbica vitale metabolicamente attiva e, di conseguenza, in grado di riprodursi e di formare colonie visibili. È necessario, a tal proposito, ricordare che la dispersione dei microrganismi nell‟aria e le stesse tecniche di campionamento, possono determinare una condizione di stress per i microrganismi stessi, compromettendone la vitalità e la capacità di riprodursi su un terreno di coltura e comportando una possibile sottostima del rischio biologico. 90 Fattori di rischio: valutazione Monitoraggio di aria Il monitoraggio degli agenti biologici aerodispersi (bioaerosol) può essere di tipo quantitativo e/o qualitativo. Nel primo caso è effettuata una stima della quantità totale di microrganismi presenti in volumi noti d‟aria; nel secondo caso, o viene effettuata una ricerca mirata di specifici agenti utilizzando terreni selettivi specifici, o si procede a posteriori all‟identificazione morfologica e/o molecolare delle colonie isolate, ricavandone un‟informazione qualitativa. In entrambi tipi di monitoraggio, i microrganismi presenti in volumi rappresentativi d‟aria sono raccolti su idonei terreni di coltura ed incubati alle opportune condizioni (tempi e temperatura) di sviluppo allo scopo di consentire la crescita di colonie visibili ad occhio nudo. Il numero delle colonie cresciute sui terreni di coltura ( Unità Formanti Colonie, UFC) è per convenzione, rapportato al volume di 1 m3 d‟aria o di un m2 di superficie. Nelle attività ad esposizione potenziale, indicazioni indirette riguardo alla qualità dell‟aria si ottengono mediante l‟applicazione di indici di contaminazione, senza ricercare specifici patogeni eventualmente presenti; si effettuano normalmente, pertanto, monitoraggi quantitativi. Le tipologie di campionamento che caratterizzano un monitoraggio ambientale quantitativo in un ambiente indoor sono essenzialmente rappresentate da: 1. Stime quantitative degli organismi aerodispersi, che permettono di valutare il rischio da inalazione, di verificare l‟efficienza degli impianti di condizionamento e dei dispositivi di filtrazione e di eventuali misure di contenimento adottate. 2. Stime della contaminazione di superficie, che permettono di valutare il livello igienico ambientale e l‟efficacia delle procedure e degli interventi di pulizia e/o decontaminazione di piani di lavoro, attrezzature, apparecchiature, porte e pareti, superfici interne , armadi ecc.. I metodi di campionamento del bioaerosol tipici distinguono in :attivo e passivo. Nel campionamento passivo si espongono nell‟ambiente in esame, per opportuni intervalli di tempo, piastre contenenti idoneo terreno di coltura: su di esse si raccolgono per sedimentazione i microrganismi veicolati da particelle solide o liquide sospese nell‟aria. Dopo opportuna incubazione delle piastre, si procede alla conta del numero di colonie cresciute. L‟efficienza di raccolta dipende dalle caratteristiche aerodinamiche delle particelle e dal grado di ventilazione dell‟ambiente. Il metodo maggiormente utilizzato a livello igienistico e l‟Indice Microbico Aria (IMA), il quale esprime il grado di inquinamento microbiologico dell‟aria come numero di unità formanti colonia (UFC) che 91 Fattori di rischio: valutazione si contano in una piastra Petri di 9 cm di diametro, contenente agar nutriente, lasciata aperta nell‟ambiente per un‟ora, ad un metro da terra e ad un metro da ogni ostacolo fisico rilevante. Il metodo può essere ulteriormente standardizzato: il rischio di contaminazione ambientale indotto dalla presenza di un operatore può essere ridotto utilizzando uno stativo a cannocchiale che, mediante un programma elettronico, apre e chiude la piastra automaticamente per tempi predefiniti. L‟utilizzo di piastre di sedimentazione, rispetto al campionamento volumetrico dell‟aria, presenta il vantaggio di essere più semplice ed economico. Esso è particolarmente vantaggioso per il monitoraggio dell‟ inquinamento microbiologico in una camera operatoria, in una camera asettica o in una azienda alimentare, in quanto permette di avere una stima diretta del numero di microrganismi che si depositano sugli oggetti o sugli alimenti presenti in questi luoghi. I campionatori volumetrici, invece, misurando il numero totale di microrganismi vitali presenti nell‟aria, forniscono solo un indice indiretto della probabile contaminazione di oggetti o prodotti. Le piastre a sedimentazione, infine, possono essere più facilmente posizionate in vicinanza delle zone di possibile inquinamento. II metodo passivo presenta tuttavia diversi svantaggi: non è quantitativo, non permette di correlare il numero di microrganismi a un volume noto di aria ed ha una bassissima sensibilità. È dimostrato, infatti, che esso rileva una carica ambientale notevolmente minore rispetto a quella misurabile con il campionamento attivo effettuato con il SAS. L‟efficienza di questo metodo viene influenzata da fattori non sempre riproducibili e controllabili, quali: distribuzione non uniforme dei microrganismi nell‟aria, dimensione dei microrganismi e di conseguenza diversa velocità di sedimentazione delle particelle vitali, temperatura dell‟ambiente, ridotti volumi di aria campionati. A differenza del campionamento passivo, il campionamento attivo consente di raccogliere i microrganismi presenti in un volume noto d‟aria. Esistono in commercio diversi modelli di campionatori attivi, basati su vari principi di funzionamento (campionatori per impatto, per filtrazione, per gorgogliamento). I campionatori attivi aspirano volumi predeterminati di aria, convogliandoli su un terreno di coltura liquido o solido. I microrganismi presenti nell‟aria aderiscono al terreno e, dopo un adeguato periodo di incubazione, danno origine a colonie visibili a occhio nudo, che si possono numerare e, dopo isolamento, identificare. Il livello di contaminazione microbica si esprime come Unita Formanti Colonie (UFC) per m3 di aria. 92 Fattori di rischio: valutazione Questo metodo di campionamento ha il vantaggio di permettere l‟aspirazione di grandi volumi di aria confinata, minimizzando le differenze di distribuzione dei batteri dovute alle correnti, alla temperatura e alle dimensioni degli aggregati aerodispersi. Dal punto di vista strutturale, i campionatori attivi possono essere dotati di una pompa aspirante a vuoto integrata all‟apparecchio o esterna. Tra i campionatori muniti di pompa esterna, il più usato e il campionatore multistadio Andersen (campionatore per impatto). In questo tipo di strumentazione, l‟aria aspirata viene fatta passare attraverso una serie di filtri con pori di dimensioni decrescenti in modo che le particelle sospese vengano trattenute, in funzione del loro diametro, sulle superfici di una serie di piastre con terreno nutritivo. Tale tipo di campionatore è tuttavia ingombrante e utilizza, per ogni ciclo di aspirazione dell‟aria, fino a 6 piastre. Inoltre, le informazioni che si possono ottenere con il differenziamento dimensionale dei microrganismi non sempre sono utili per il monitoraggio dell‟inquinamento aereo. Esistono inoltre campionatori monostadio con pompa esterna conformi alle direttive della norma ISO14698-1 (BioStage). I campionatori monostadio con pompa integrata sono più maneggevoli rispetto ai campionatori multistadio e permettono di rilevare la carica microbica aerodispersa con una approssimazione del 70-80%. Gli strumenti disponibili utilizzano fondamentalmente due criteri di intercettazione delle particelle microbiche: l‟impatto tangenziale o l‟impatto ortogonale dell‟aria sul terreno agarizzato. Il campionatore monostadio di Reuter (Reuter Centrifugal Sampler - RCS), utilizzato in particolare nelle industrie alimentari, lattiero-casearie o farmaceutiche, e un campionatore d'aria a impatto tangenziale. Il campionatore RCS, a seconda dei vari modelli, aspira al minuto 100, 50 o 40 litri di aria, convogliandola su una striscia di speciale substrato agarizzato. Si tratta di una strumentazione caratterizzata da un‟elevata efficienza, anche se la striscia agarizzata tende velocemente a saturarsi, dando luogo alla sovrapposizione ed inibizione delle colonie, elementi che rendono meno facile l‟identificazione delle colture pure. Nei campionatori monostadio ad impatto ortogonale, come ad esempio il Surface Air System (SAS), il Microflow (figura)etc., l‟aria aspirata viene inviata sulla superficie di uno specifico terreno di coltura agarizzato, scelto dall‟operatore a seconda del tipo di microrganismo da identificare. 93 Fattori di rischio: valutazione Di conseguenza è possibile effettuare un campionamento microbico mirato, riferito alle caratteristiche dell‟ambiente da monitorare. Gli apparecchi hanno la possibilità di variare i volumi di aspirazione dell‟aria in funzione dei livelli di inquinamento microbico presenti. Per evitare la disidratazione dei terreni nutritivi, la durata dei prelievi è breve; inoltre, in presenza di alte cariche microbiche, è possibile la sottostima del rischio biologico per fenomeni di aggregazione microbica sulla piastra. Per il campionamento in clean room possono essere utilizzati campionatoti ad impatto (MAS 100 Merks) che non provocano alcuna turbolenza negli ambienti a flusso laminare. Il controllo dell‟ inquinamento microbiologico negli ambienti di lavoro può essere condotto mediante filtrazione. Il campionamento mediante filtrazione è un metodo utilizzato ampiamente per gli aerosol di origine chimica, ed è stato adattato al monitoraggio microbiologico. Queste metodologie si basano sull‟uso di un mezzo filtrante montato su un portafiltro o inserito all‟interno di una cassetta, e collegato ad un sistema in grado di aspirare volumi predeterminati di aria. Esistono 3 categorie principali di filtri: filtri in fibra, membrane di estere di cellulosa o di altro polimero sintetico, filtri in policarbonato. I filtri in fibra (ad esempio i filtri in fibra di vetro) sono costituiti da una matrice porosa che intercetta le particelle e vengono principalmente usati per analisi gravimetriche della polvere e degli allergeni. Le membrane possono essere costituite da esteri di cellulosa, PVC, PTFE o da gelatina. I filtri di estere di cellulosa o di policarbonato sono contenuti all‟ interno di cassette sterili di plastica e trattengono i microrganismi ambientali grazie alla loro struttura porosa. Il principio del metodo e l‟intercettazione sulla superficie del filtro delle particelle di diametro inferiore al diametro dei pori del filtro (variabile da 0,01 a 10 μm). Per esempio un filtro di porosità 5 μm campiona le particelle di 0,3 μm con una efficacia superiore al 95%. Le membrane di gelatina, anch‟esse contenute in cassette sterili (Via-cell), possono essere dissolte in un liquido e formano un campione che può essere eventualmente diluito, 94 Fattori di rischio: valutazione omogeneizzato e inoculato su terreni di coltura agarizzati. L‟analisi dell‟inquinamento microbiologico si conclude, anche in questo caso, con il conteggio e l‟eventuale identificazione delle specie microbiche sviluppatesi. Utilizzando una tecnica alternativa, le membrane di gelatina e di acetato di cellulosa possono essere deposte direttamente sulla superficie del terreno agarizzato e successivamente le colonie sviluppatesi possono essere contate. I campionatori per filtrazione hanno una notevole efficienza di raccolta dei microrganismi aerodiffusi e permettono di analizzare con accuratezza ambienti caratterizzati da inquinamento microbico elevato (dissolvendo le membrane di gelatina e diluendo la soluzione) o molto basso (allestendo colture di arricchimento). La tecnica della dissoluzione della gelatina offre inoltre la possibilità di rompere gli aggregati cellulari durante l‟omogeneizzazione del campione e permette di effettuare più determinazioni con un unico prelievo di aria. Tra gli aspetti negativi bisogna ricordare che si tratta di un metodo che richiede un‟apparecchiatura voluminosa e poco maneggevole. Le membrane tendono, inoltre, a seccarsi facilmente, interferendo sulla vitalità delle cellule campionate. Le membrane di gelatina hanno ulteriori limiti, in quanto possono essere utilizzate solo con una temperatura ambientale inferiore a 30°C e con una umidità massima pari all‟85%. Nei campionatori Impingers su liquido (campionatori per gorgogliamento) i volumi di aria aspirati sono fatti gorgogliare in un opportuno mezzo liquido, in cui si raccoglie il particolato aerodisperso. La sospensione cosi ottenuta, dopo omogeneizzazione e diluizione, viene seminata direttamente su terreno solido. L‟utilizzo di un liquido di raccolta favorisce la dispersione degli eventuali aggregati microbici sospesi nell‟aria, migliora la coltivabilità dei microrganismi stessi, consente la diluizione del campione in caso di elevata contaminazione. Tuttavia l‟utilizzo sul campo dello strumento risulta poco pratico e la facile evaporazione delle soluzioni utilizzate come mezzo di raccolta limita sensibilmente la durata dei prelievi di aria. Monitoraggio di superfici Per la valutazione della contaminazione delle superfici, causata dalla deposizione del bioaerosol sospeso nell‟aria e dal contatto con l‟uomo o materiali contaminati, si possono utilizzare diverse tecniche: applicazione di piastre Petri di tipo a contatto, tamponi o spugne sterili e slides. Le piastre a contatto consentono di determinare il valore di UFC riferito all‟area di contatto della piastra con la superficie interessata ( solitamente da 10 a 100 cm2) dal prelievo. È consigliabile effettuare i campionamenti in triplo sulla medesima superficie in esame, campionando in tre punti vicini significativi per la valutazione dei 95 Fattori di rischio: valutazione livelli medi di contaminazione. Il tempo di contatto e la pressione da esercitare dovranno essere identiche per ogni campionamento. Il risultato si esprime in UFC/ cm2. Il campionamento delle superfici può essere eseguito anche mediante l‟utilizzo di un applicatore temporizzato a peso standardizzato, per assicurare maggiore omogeneità di pressione della piastra sulla superficie stessa e pertanto migliore riproducibilità e comparabilità del dato. Oggetto di valutazione possono essere pareti e superfici sia di piani che di apparecchiature e utensili di lavoro. In particolari situazioni, ad esempio nel caso in cui le superfici da monitorare siano bagnate, irregolari o non facilmente accessibili, può essere necessario l‟utilizzo di tamponi o di membrane di nitrocellulosa, anziché di piastre. Nel caso dei tamponi, questi andranno strofinati sulla superficie da analizzare (da 10 a 100 cm2), roteando l‟impugnatura tra pollice e indice, in modo tale da consentire il contatto dell‟intera superficie del tampone. Al termine del campionamento si deve riporre il tampone nella provetta contenente il terreno di trasporto, porlo in un contenitore refrigerato per il trasporto verso il laboratorio (che dovrebbe avvenire entro 6 ore) e procedere alla fase di inoculo. L‟inoculo stesso si effettua strisciando con accuratezza tutta la superficie di contatto del tampone sul terreno di coltura, scelto in funzione del tipo di determinazione che si intendono condurre. In linea generale, pero, l‟utilizzo dei tamponi deve essere limitato, perché difficilmente standardizzabile e confrontabile con i risultati ottenuti con le piastre a contatto. Se si utilizzano le spugne, queste andranno poi risospese in un liquido che verrà successivamente analizzato, dopo trattamento in omogeneizzatore per estrarre i microrganismi. Acqua Tale tipologia di monitoraggio è particolarmente indicata per la ricerca di legionella negli ambienti di vita e di lavoro e può riguardare ad esempio acqua calda o fredda della rete idrica, depositi in serbatoi o altri punti di raccolta dell‟acqua, sbocco di rubinetti, acqua di condensa, acqua di sifoni, vasche di raccolta delle UTA. Il campionamento e l‟analisi microbiologica dell‟acqua andrebbero eseguiti secondo i protocolli riportati nelle “ Linee guida per la prevenzione e il controllo della legionellosi” (G.U. n.103 del 2000). Allergeni indoor nella polvere Il protocollo di campionamento ed analisi di allergeni indoor negli ambienti confinati, messo a punto dalla Consulenza Tecnica Accertamento Rischi e Prevenzione dell‟INAIL 96 Fattori di rischio: valutazione in collaborazione con il laboratorio di Immunologia dell‟Istituto Superiore di Sanità, prevede la raccolta della polvere sedimentata dalle postazioni di lavoro più significative (scrivanie, pavimenti, tendaggi, poltrone, archivi ecc..) e l‟analisi immunoenzimatica mediante anticorpi monoclonali. In ciascun ambiente, insieme ai prelievi di polvere, è sempre necessario eseguire dei rilievi microclimatici con particolare attenzione ai parametri che maggiormente ne possono influenzare la diffusione e la dispersione (temperatura, umidità relativa, velocità dell‟aria). Al fine di accertare eventuali correlazioni tra la concentrazione degli allergeni e i fattori ambientali, i campionamenti devono essere sempre corredati da una scheda tecnica, riportante le caratteristiche del sito esaminato ( sistema di condizionamento/riscaldamento dell‟aria, tipo di finestre, arredamento, tendaggi, presenza di piante ecc..); inoltre, a ciascun impiegato può essere sottoposto un questionario individuale nel quale segnalare eventuali malattie allergiche, disturbi oculari, cutanei e delle vie aeree, disagio dovuto al microclima e la eventuale presenza di animali domestici in casa. 3.4.1.3 INDICI DI RIFERIMENTO E PARAMETRI RICERCATI Per la qualità dell’aria Il D.Lgs. 81/2008 non fornisce valori di carica batterica o micetica a cui rapportarsi per valutare la qualità dell‟aria degli ambienti di lavoro. A livello di contaminazione microbiologica, la differenziazione tra ambiente salubre e insalubre non è cosi immediata e semplice. L‟American Conference of Govermental Industrial Hygienists (ACGIH) non ritiene proponibili valori limite-soglia per i contaminanti biologici. Ciò in conseguenza di diversi fattori, tra i quali l‟indisponibilità di relazioni dose-risposta, di procedure standard di monitoraggio, la complessa composizione biologica del bioaerosol, la variabilità della risposta individuale all‟esposizione. Allo stato attuale, per poter pervenire ad un giudizio indicativo sulla qualità microbiologica dell‟aria, è possibile soltanto confrontare i valori ottenuti da un monitoraggio ambientale con parametri consigliati. Riguardo il campionamento attivo, nel 1993 la Commissione delle Comunità Europee (European Collaborative Action) ha proposto, per gli ambienti indoor non industriali, fasce orientative di contaminazione dell‟aria (intervalli di concentrazioni totali di UFC), il cui superamento, però, non implica automaticamente l‟instaurarsi di condizioni di pericolo o insalubrità (tabelle 6 e 7). 97 Fattori di rischio: valutazione Tabella 6. Valori di carica batterica e valutazione della qualità dell‟aria (European Collaborative Action,1993) Categoria di inquinamento microbiologico (batterica) Case (UFC/ m3) Ambienti non industriali (UFC/ m3) Molto bassa Bassa Intermedia Alta Molto Alta < 1000 < 500 < 2500 < 10000 > 10000 < 50 < 100 < 500 < 2000 >2000 Tabella 7.Valori di carica micetica e valutazione della qualità dell‟aria (European Collaborative Action,1993) Categoria di inquinamento microbiologico (miceti) Case (UFC/ m3) Ambienti non industriali (UFC/ m3) Molto bassa Bassa Intermedia Alta Molto Alta < 50 < 200 < 1000 < 10000 > 10000 < 25 < 100 < 500 < 2000 >2000 Si raccomanda di giudicare la qualità dell‟aria di un ambiente confrontando tra loro le cariche microbiche rilevate all‟esterno e all‟interno di esso. Ovviamente, il rinvenimento di microrganismi patogeni e funghi produttori di tossine costituisce di per se un elemento di rischio, indipendentemente dalle concentrazioni osservate. In campo ospedaliero o farmaceutico, la necessità di monitorare il livello di contaminazione microbica dell‟aria e oramai riconosciuta ed in molti Paesi sono state approvate norme ufficiali relative a vari settori produttivi (British Standard, 1989; Federal Standard, 1988; ISO/IEC 17025:2005 etc). In Italia, Dacarro e collaboratori hanno proposto un altro tipo di approccio per la valutazione delle cariche batteriche e fungine ambientali da correlare ad un giudizio sulla qualità dell‟aria. Tale approccio si avvale dell‟utilizzo di particolari “indici di contaminazione microbiologica” (tabella 8). Poiché diverse sono le categorie microbiche che concorrono alla genesi dell‟ inquinamento microbiologico indoor, viene proposto l‟indice globale di contaminazione, IGCM per la misura complessiva dell‟ inquinamento microbico ambientale: IGCM = UFC batteri (37°C)/m3 + UFC batteri(20°C)/m3 + UFC miceti/m3 dove UFC batteriche sono le UFC di batteri per m3 d‟aria, rispettivamente a 37 e a 20 °C e le UFC micetiche sono le UFC fungine per m3 d‟aria, determinate a 20 °C. 98 Fattori di rischio: valutazione L‟indice di contaminazione da batteri mesofili (ICM) consente, invece, di valutare il contributo all‟inquinamento da parte dei batteri di origine umana e animale, tra i quali possono essere presenti specie potenzialmente patogene. Negli ambienti confinati tale indice riveste fondamentale importanza ai fini della valutazione dell‟efficienza dei ricambi d‟aria: ICM = (UFC batteri (37°C)/m3) / (UFC batteri (20°C)/m3). L‟indice di amplificazione IA permette di analizzare le differenze tra i livelli di contaminazione esterna ed interna, conseguenti alla attività lavorativa svolta. IA = IGCM(int) / IGCM(est) Valori di IGCM/m3 inferiori a 500 vengono associati, dagli Autori, alla categoria di contaminazione microbica “molto bassa”, mentre valori di IGCM/m3 superiori a 1000 sono collegati ad una significativa contaminazione microbica ambientale. Tabella 8. Categorie e classi di contaminazione microbiologica dell‟aria proposti da Dacarro e collaboratori (2000) Categoria (IGCM/m3) Molto bassa < 500 Bassa < 1000 Intermedia > 1000 A: IGCM <1000; ICM <3; IA <3 B: IGCM >1000; ICM >3; o IA >3 C: IGCM >1000; ICM >3; IA > 3 Alta > 5000 D: IGCM >5000; ICM <3; IA <3 E: IGCM >5000; ICM >3;o IA >3 F: IGCM >5000; ICM >3; IA > 3 Molto Alta > 10000 G: IGCM >10000; ICM <3; IA <3 H: IGCM >10000; ICM >3;o IA >3 I: IGCM >10000; ICM >3; IA > 3 Classe Se si effettua il monitoraggio con tecnica passiva si deve far riferimento alle quattro classi di contaminazione microbica dell‟aria, definite dall‟IMA (tabella 9): 99 Fattori di rischio: valutazione Tabella 9.Valori limite IMA (UFC/piastra) Tipologia di ambiente UFC/piastra Ambienti ad altissimo rischio Ultra clean room, isolamento protettivo, sale operatorie per protesi auricolare, alcune lavorazioni dell‟industria elettronica e farmaceutica Ambienti ad alto rischio Clean room, sale operatorie per chirurgie generali, rianimazione, dialisi, alcune lavorazioni dell‟industria elettronica e farmaceutica, laboratori di microbiologia. 5 25 Ambienti a medio rischio Ambulatori, laboratori, industrie alimentari, cucine, ristoranti. 50 Ambienti a basso rischio Corsie d‟ospedali, servizi, uffici. 75 Il metodo IMA prevede che, in assenza di normative ufficialmente approvate, l‟operatore individui quale classe di contaminazione microbica dell‟aria adottare come limite massimo per l‟ambiente da monitorare, in base al rischio di infezione che questo presenta. Per gli allergeni Sebbene non esistano dei veri e propri livelli soglia relativi alla dose minima di allergene in grado di indurre sensibilizzazione, sono stati proposti durante l‟International Workshop on Indoor Allergens and Asthma, per gli allergeni acaricidi dei valori teorici soglia per la sensibilizzazione e per l‟insorgenza di attacchi acuti di asma, rispettivamente 2μg e 10μg di allergene del gruppo 1 (Der p1 e Der f1), per grammo di polvere. Per Legionella Le legionelle possono essere responsabili di forme patologiche anche gravi (infezioni polmonari e non, e forme subcliniche). Esse si sono progressivamente imposte nel panorama sanitario nazionale e internazionale, al punto da indurre l‟istituzione di un sistema di sorveglianza specifico a livello europeo (EWGLI), di un Registro Nazionale della legionellosi, presso l‟ISS, e l‟emanazione di apposite linee guida sull‟ argomento, per il controllo del rischio di esposizione (GU n. 103 del 5 maggio 2000). La legionellosi è malattia soggetta ad obbligo di notifica (classe II). Legionella spp. e, in particolare, L. pneumophila sono incluse nelle liste degli agenti biologici di cui al D.Lgs. N. 81/2008, Allegato XLVI e successive modifiche e al datore di 100 Fattori di rischio: valutazione lavoro è fatto obbligo di procedere alla valutazione del rischio specifico, per le sue implicanze sulla salute umana. Si tratta di una specie microbica di comune rinvenimento sia negli habitat acquatici naturali (acque dolci) sia (in condizioni ambientali favorevoli) in habitat artificiali come le reti di distribuzione di acqua potabile, piscine, impianti di irrigazione, falde idriche, i sistemi di acqua calda sanitaria, i sistemi di climatizzazione, i circuiti di raffreddamento ad acqua, ecc. Un‟inadeguata progettazione, installazione e manutenzione degli impianti idrici e aeraulici (cioè, impianti di riscaldamento, ventilazione e condizionamento dell‟aria) degli edifici può trasformare tali impianti in serbatoi e sorgenti di disseminazione batterica importante, anche a distanza, attraverso fenomeni di turbolenza o aerosolizzazione di acqua, con conseguente sviluppo di bioaerosol contaminato. In campo occupazionale, ciò si traduce nel rischio di esposizione sia del personale tecnico deputato alla gestione e manutenzione di tali impianti, sia dei lavoratori presenti negli ambienti climatizzati. Nei casi in cui se ne sospetti la presenza, si deve procedere alla ricerca di legionella in campioni d‟acqua prelevati in punti rappresentativi dell‟impianto dell‟ edificio in esame. L‟indagine deve essere preceduta da un‟attenta valutazione delle condizioni dell‟ impianto stesso, congiuntamente alle figure professionali coinvolte nella sua gestione e manutenzione. È presente un elenco di linee guida nazionali e internazionali, di indicazioni e riferimenti per la ricerca di Legionella spp. in campioni acquosi, la prevenzione ed il controllo della legionellosi e dei rischi igienici correlati ai sistemi aeraulici. I parametri microbiologici I parametri generalmente ricercati sono i seguenti: - Carica batterica totale psicrofila: indicatore della contaminazione batterica ambientale con una temperatura di accrescimento ottimale intorno ai 25°C. - Carica batterica totale mesofila: indicatore della contaminazione di origine umana e animale, con una temperatura ottimale di accrescimento intorno ai 37°C, che include anche i patogeni convenzionali. - Carica fungina totale (muffe e lieviti): indicatore ambientale spesso correlato alla presenza di elevata umidità, ridotta ventilazione e scarsa qualità dell‟aria. - Pseudomonas aeruginosa: patogeno piuttosto ubiquitario con spiccate capacità invasive e di resistenza ad antibiotici. È un batterio tossigeno ed opportunista 101 Fattori di rischio: valutazione pericoloso per l‟uomo che determina patologie soprattutto in individui maggiormente suscettibili. Sono microrganismi aerobi con un optimum di crescita sui 30-37 °C. La scelta di valutare questo parametro è legata anche al fatto che, secondo alcune fonti bibliografiche, Pseudomonas potrebbe essere in grado di fornire a Legionella il substrato di accrescimento desiderato quando l‟ambiente non risulta già di per sé idoneo al suo sviluppo. Legionella può sopravvivere con una temperatura dell'acqua compresa tra i 5,7 e i 55 °C ma ha il massimo sviluppo ad una temperatura dell‟acqua compresa tra i 25 e i 42 °C e umidità superiore al 65%. Da evidenziare anche la loro capacità di sopravvivenza in ambienti acidi e alcalini, sopportando valori di pH compresi tra 5,5 e 8,1. Oltre a tali parametri, si può procedere alla rilevazione di specifiche categorie microbiche: gli stafilococchi come, i coliformi e gli enterococchi come indici di contaminazione fecale, o particolari tipologie batteriche quali Legionella pneumophila. 3.4.2 RISCHIO FISICO 3.4.2.1 INDICI MICROCLIMATICI I criteri di valutazione per ambienti moderati, gruppo all‟interno del quale si possono collocare i call-center, sono basati su: TEMPERATURA EFFETTIVA (ET) Questo indice, originariamente proposto nel 1923 come indice empirico di sensazione termica, combina in un valore unico l‟effetto della temperatura e dell‟umidità dell‟aria, tenendo conto, mediante una correzione, della velocità dell‟aria stessa. La temperatura effettiva di un ambiente reale viene determinata facendo riferimento ad un ambiente standard a pareti nere e temperatura uniforme, caratterizzato da aria calma e satura. In particolare, la temperatura effettiva dell‟ambiente reale è quella temperatura dell‟ambiente standard che mantenga invariata la sensazione termica per un generico soggetto che passi dall‟uno all‟altro ambiente. Poiché la sensazione termica è fortemente correlata a dispendio metabolico e resistenza termica del vestiario indossato, la determinazione di ET deve essere effettuata per specifici valori di questi due parametri. Attualmente si ritiene che l‟indice tenda a sovrastimare l‟effetto dell‟umidità dell‟aria negli ambienti confortevoli e freschi ed a sottostimarla negli ambienti caldi. Per tali motivi 102 Fattori di rischio: valutazione l‟indice ET è stato sostituito da parte della ASHRAE mediante quello denominato “nuova temperatura effettiva “ (ET*). Tabella 10. Metabolismo energetico corrispondente ad alcune attività Metabolismo Energetico (W/m2) (met) Disteso 46 0.8 Seduto, rilassato 58 1.0 In piedi, rilassato Attività sedentaria (ufficio, casa scuola, laboratorio) Attività in piedi (compere, laboratorio, industria leggera) Attività in piedi (commesso, lavori domestici, lavori a macchina) Attività moderata (lavoro pesante a macchina, lavoro in garage) 70 70 1.2 1.2 93 1.6 116 2.0 165 2.8 La resistenza termica dell'abbigliamento viene generalmente misurata in unità incoerenti "clo"(dall'abbreviazione del termine inglese clothing = vestito) ed in tal caso, la resistenza termica unitaria dell'abbigliamento viene indicata con Icl. La resistenza termica dell'abbigliamento dipende soprattutto dallo spessore e dalla porosità di ogni singolo strato che lo compone ed agisce ostacolando gli scambi termici per convezione, irraggiamento ed evaporazione. La resistenza termica dell'abbigliamento può essere consultata in opportune tabelle (esempio tab. 11) od in alternativa, quando si conosca esattamente da quali capi è composto l'abbigliamento, utilizzando i dati illustrati nella tabella 12, con la somma delle resistenze dei singoli capi (∑ I Cli) secondo la seguente formula: Icl = 0,82 ∑ I cli 103 Fattori di rischio: valutazione Tabella 11.Valori rappresentativi di resistenza termica di tenute di abbigliamento Abbigliamento Da lavoro Mutande, tuta da lavoro, calzini, scarpe. Mutande, camicia, pantaloni, calzini, scarpe. Mutande, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe. Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe. Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, giacca con imbottitura pesante, tuta, calzini, scarpe. Biancheria intima a maniche e gambe lunghe, maglione pesante, pantaloni pesanti, giacca termica con imbottitura pesante, calzini, scarpe. Giornaliero Slip, maglietta, pantaloncini, calzini leggeri, sandali. Slip, camicia a maniche corte, gonna, calze, sandali. Mutande, camicia, pantaloni leggeri, calzini, scarpe. Slip, sottoveste, calze, abito, scarpe. Slip, camicia, gonna, maglione a girocollo, calzettoni spessi al ginocchio, scarpe. Slip, camicia, pantaloni, giacca, calzini, scarpe. Biancheria intima a maniche e gambe lunghe, camicia, pantaloni, maglione, giacca,calzini, scarpe. Biancheria intima a maniche e gambe corte, camicia, pantaloni, gilet, giacca, cappotto,calzini, scarpe. Iclu (clo) 0.70 0.75 0.90 1.00 1.85 2.20 0.30 0.55 0.60 0.70 0.90 1.00 1.30 1.50 104 Fattori di rischio: valutazione Tabella 12.Valori rappresentativi di resistenza termica di singoli capi di abbigliamento Capo di abbigliamento Iclu (clo) Maglieria intima Slip Slip e reggiseno Maglia a maniche corte Maglia a maniche lunghe Sottoveste corta Sottoveste lunga 0.03 0.05 0.09 0.12 0.13 0.19 Calzini e calze Calzini leggeri Calze di nylon Calzini pesanti 0.02 0.03 0.04 Camicie Leggera, a maniche corte Leggera, a maniche lunghe Di flanella, a maniche lunghe 0.20 0.25 0.30 Pantaloni Corti Leggeri Normali 0.06 0.20 0.25 Gonne Gonna leggera (estiva) Gonna pesante (invernale) 0.15 0.25 Abiti Abito leggero, a maniche corte Abito invernale, a maniche lunghe 0.20 0.40 Maglioni Gilet Maglione leggero Maglione pesante 0.12 0.20 0.35 Giacche Giacca leggera (estiva) Giacca pesante (invernale) 0.25 0.40 Scarpe A suola sottile A suola spessa 0.02 0.04 105 Fattori di rischio: valutazione NUOVA TEMPERATURA EFFETTIVA (ET*) La nuova temperatura effettiva è un indice che è stato proposto nel 1971, in sostituzione della temperatura effettiva, che era un indice empirico. Il nuovo indice è invece basato su criteri razionali. Scopo dell'indice è fornire un indice di valutazione della temperatura percepita da un soggetto, che, oltre che della temperatura dell'aria, tenga conto del suo grado di umidità e della presenza di vento. La definizione si basa sul presupposto che la sensazione di benessere di un individuo sia basata su due parametri fisiologici: la temperatura della pelle e la frazione di area cutanea bagnata dal sudore. È definita come "la temperatura dell'aria e delle pareti nere di un ambiente virtuale uniforme, con aria calma e con umidità pari al 50%, nel quale un generico soggetto scambierebbe, mediante il complesso dei tre meccanismi di conduzione, convezione ed evaporazione, la stessa potenza termica scambiata attraverso i tre meccanismi nell‟ambiente reale". La Nuova Temperatura Effettiva ha tutte le caratteristiche di indice razionale, si differenzia in modo sostanziale dalla Temperatura Effettiva tradizionale in quanto non è determinata da una soggettiva uguaglianza di sensazione termica bensì da quella di grandezze direttamente correlate alla situazione termica oggettiva dell'organismo. TEMPERATURA OPERATIVA La Temperatura operativa è definita come la temperatura di un ambiente virtuale uniforme e con parti nere, nel quale un generico soggetto scambi, mediante il complesso dei due meccanismi di convezione ed irraggiamento, la stessa potenza termica scambiata, nell' ambiente disuniforme reale, mediante il complesso degli stessi meccanismi. In termini analitici tale definizione si traduce nell' espressione: to = (hr tr + hc ta) / (hr + hc) dove: hr e hc sono i coefficienti di scambio termico, radiante e convettivo rispettivamente. tr e ta sono la temperatura media radiante e la temperatura dell' aria rispettivamente. Per la determinazione della temperatura operativa è necessaria la valutazione dei due coefficienti di scambio che richiede a sua volta la determinazione del valore della temperatura cutanea media e della velocità dell' aria. Tuttavia in ambienti moderati la 106 Fattori di rischio: valutazione temperatura operativa può essere valutata in modo più semplice secondo le seguenti modalità: se la velocità dell' aria relativa al soggetto (Var) è modesta o se la differenza tra temperatura dell' aria e media radiante non è superiore a 4°C, si può assumere come temperatura operativa la media aritmetica delle due temperature; per maggiore precisione si può assumere: to = A ta + (1 - A) tr dove A è determinato in funzione della velocità dell' aria relativa al soggetto Var sulla base della tabella 13. Tabella 13.Valori del coefficiente per il calcolo della temperatura operativa Var (m/s) < 0,2 0,2 - 0,6 A 0,5 0,6 0,6 - 1 0,7 Dal punto di vista ambientale questo indice non è determinato dall' umidità relativa dell' aria ed è quindi mal correlato alla situazione termica dell' organismo quando lo scambio termico per sudorazione sia rilevante. Tuttavia, in ambienti moderati ed in condizioni non molto discoste da quelle di benessere termico, può essere utilizzato per specificare e valutare tali condizioni con riferimento a specifici valori di dispendio metabolico e resistenza termica del vestiario. INDICI DI FANGER: PMV E PPD La sensazione soggettiva di benessere non dipende da uno solo dei relativi fattori ambientali (temperatura, umidità, velocità dell‟aria, ecc.), bensì dalla loro combinazione. Per esprimere questo concetto, sono stati quindi studiati vari indici microclimatici che sono l‟espressione della correlazione tra parametri ambientali e sensazioni soggettive di benessere o disagio termico, ricavate da un gran numero di esperienze sperimentali in camere climatiche. Tra i numerosi indici proposti gli Indici di Fanger, attualmente, sono tra i più utilizzati per la determinazione di un ambiente accettabile per lavori sedentari; essi, oggetto della norma EN ISO 7730, consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente 107 Fattori di rischio: valutazione di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e del loro eventuale disagio termico. Se il complesso di fattori resistenza termica del vestiario, attività fisica svolta, parametri ambientali oggettivi è tale da soddisfare l‟equazione del benessere termico per una popolazione numerosa di soggetti, è ragionevole attendersi che mediamente i soggetti stessi esprimeranno una valutazione di piena accettazione nei confronti dell‟ambiente termico. In caso contrario, nascerà una insoddisfazione che potrà essere apprezzata qualitativamente, ad esempio, mediante una scala di sensazioni. Gli indici di Fanger sono il PMV ed il PPD. • PMV (predicted mean vote o voto medio previsto): esprime in un valore un giudizio sulle condizioni di benessere termico dell' ambiente correlando velocità dell' aria, temperatura a bulbo umido, temperatura a bulbo secco, temperatura media radiante, resistenza termica del vestiario, attività svolta. Il PMV risulta un indice particolarmente adatto alla valutazione di ambienti lavorativi a microclima moderato, quali abitazioni, scuole, uffici, laboratori di ricerca, ospedali, ecc. Le idee di base del PMV sono un dettagliato calcolo del bilancio termico corporeo in base alla temperatura cutanea media e alla perdita di calore per evaporazione necessarie a mantenere il detto bilancio (Metodo di FANGER). Mediante il confronto tra i valori fisiologici previsti e le risposte fornite da persone sottoposte ad indagine di laboratorio in condizioni di comfort termico, è possibile stabilire il grado di discomfort che i soggetti proverebbero in ambienti reali. Il PMV fornisce la previsione di un giudizio medio sull' ambiente termico riferito ad un ampio campione di persone mediante un valore numerico sulla scala di comfort ASHRAE a 7 livelli: Tabella 14.Scala di valutazione dell'ambiente termico Classificazione dei valori di PMV per lo studio delle condizioni termiche ambientali secondo la scala di valutazione psico-fisica a sette punti dell' ASHRAE Valori di PMV Sensazioni umane -3 -2 -1 0 + 1 Gelo Freddo Freddo leggero Neutralità (confort) Caldo leggero + 2 3 + Caldo Caldo torrido 108 Fattori di rischio: valutazione Naturalmente il PMV rappresenta la media dei voti di una popolazione esposta alle stesse condizioni di microclima, abbigliamento e dispendio energetico. Poiché le variabili individuali giocano un ruolo importante per quanto riguarda la sensazione di benessere e di disagio termico, attorno al valore del voto medio si ha, normalmente, una dispersione di valori. Assunto che i soggetti sicuramente insoddisfatti avrebbero espresso un valore sulla scala di sensazione termica di ± 2 o ± 3 è stata elaborata, sulla base di ricerche sperimentali su circa 1300 soggetti, una correlazione tra l'indice PMV e la percentuale predetta di insoddisfatti (Fig 4). Non tutti sono d'accordo su questo assunto di base in quanto, anche i soggetti che esprimono un voto di -1 o di + 1 indicano una situazione di disagio; tuttavia, va sottolineato che i voti inferiori a -1 o superiori a + 1 indicano sicuramente i gradi di disagio sicuramente più elevati. La norma UNI EN ISO 7730 raccomanda di utilizzare, in relazione ai limiti di applicabilità espressi dalla tabella 15, l‟indice PMV solo per valori compresi tra –2 e +2; infatti per valori al di fuori di questo intervallo la percentuale degli “insoddisfatti” supera il 75% e il discomfort è tale da non essere più rappresentativo e associabile ad un ambiente di tipo moderato. La normativa inoltre definisce per gli “ambienti termici accettabili per il comfort” tre classi di qualità crescente in cui l‟indice PMV sia compreso tra ±0.7 (CLASSE C), ±0.5 (CLASSE B), ±0.2 (CLASSE A); la normativa non chiarisce però quali debbano essere i prerequisiti tali per cui un ambiente di lavoro debba rientrare in una classe piuttosto che in un‟altra. • PPD (predicted percentage of disatisfied o percentuale prevista di insoddisfatti): individuato il valore medio della sensazione termica espressa dalla popolazione di soggetti nei confronti dell‟ambiente (PMV), Fanger ha correlato tale valore numerico al grado di insoddisfazione dei soggetti stessi individuando la percentuale di presumibili soggetti insoddisfatti associata ad ogni valore dell‟indice PMV compreso tra +3 e -3. Questi due indici, strettamente correlati tra loro, consentono di poter valutare le condizioni microclimatiche di un ambiente di lavoro in funzione del giudizio (caldo, freddo, confortevole) espresso dai soggetti in esame e del loro eventuale disagio termico. Viene definito “soggetto insoddisfatto” quello che, nell‟ambiente in esame si dichiarerebbe decisamente insoddisfatto, ossia voterebbe -3, -2 oppure +2, +3. La correlazione tra l‟indice PMV e PPD è stata elaborata sulla base di ricerche sperimentali 109 Fattori di rischio: valutazione che hanno coinvolto complessivamente circa 1300 soggetti indossanti abiti leggeri ed esposti per tre ore consecutive negli ambienti climatizzati in prova. Dall‟esame di tali ricerche è emerso che anche in corrispondenza del valore medio (PMV=0) esiste comunque una percentuale pari al 5% di soggetti insoddisfatti, ossia che voterebbero -3, -2, +2, +3; la percentuale di insoddisfatti cresce rapidamente man mano che il valore dell‟indice PMV si discosta da zero. La norma ISO 7730, tenendo conto che il mantenimento di un valore di PMV=0 in permanenza nei diversi punti di un ambiente è un livello difficilmente raggiungibile sul piano tecnico, propone come obiettivo concreto da raggiungere negli ambienti di lavoro per il benessere dei lavoratori il range: PMV=-0,5 e PMV=+0,5 Tale requisito, insieme al controllo dei fattori di disagio termico, dovrebbe consentire il raggiungimento di un valore PPD=10% e il contenimento della percentuale reale di insoddisfatti al di sotto del 20%. In conclusione un ambiente viene definito in condizioni di benessere termico per valori di PMV +/- 0,5 e PPD minore del 10%, mentre le condizioni microclimatiche sono accettabili se la percentuale degli insoddisfatti non supera il 20%. Figura 6.Correlazione tra PPD e PMV Dall'osservazione della figura 6 emerge che anche in corrispondenza di un PMV di 0 esiste un certo numero di soggetti insoddisfatti pari al 5% della popolazione e che la percentuale di insoddisfatti cresce rapidamente per 21 valori di PMV superiori a ± 0,5. Tutto ciò fa 110 Fattori di rischio: valutazione presupporre che in normali ambienti di lavoro ove operano soggetti di diverse età, con abbigliamento diverso e che svolgono attività che richiedono un diverso dispendio energetico si possa riscontrare una percentuale maggiore di insoddisfatti rispetto a quella teorica, ricavabile dal diagramma della figura 6. Nella realtà, è possibile trovare percentuali di insoddisfatti che possono arrivare a valori del 15-20%, anche in ambienti perfettamente condizionati. Quest'ultimo aspetto va tenuto presente in maniera particolare, in modo da evitare che lamentele da parte di pochi, rispetto alle condizioni microclimatiche ambientali, determinino interventi sull'impianto di condizionamento che possono aumentare il numero degli insoddisfatti. Le considerazioni sopra esposte unitamente a quelle di natura economica, hanno indirizzato l'Organizzazione Internazionale di Standardizzazione a ritenere accettabili valori di PMV compresi tra ± 0,5, corrispondenti ad un valore di PPD non superiore al 10%. Dal punto di vista pratico è possibile fissare delle condizioni standard, entro le quali bisogna restare, per assicurare il benessere termico per almeno 1'80% dei soggetti. Prendendo come esempio il lavoro d'ufficio con attività di tipo sedentario (1,2 met), abbigliamento tipico estivo (0,5 clo) ed invernale (1,2 clo), utilizzando, se la velocità dell'aria è inferiore a 0,4 m/s e la differenza tra temperatura radiante media e la temperatura dell'aria è inferiore a 4°C, la temperatura operativa, intesa come media aritmetica delle due temperature sopra citate, si possono stabilire le condizioni microclimatiche di benessere estivo ed invernale. La norma UNI EN ISO 7730 raccomanda che per l'estate la temperatura operativa deve essere compresa tra 23 c 26°C, la velocità dell'aria deve essere minore di 0,15 m/s e l'umidità relativa compresa tra il 40 e 60%; per l'inverno, la temperatura operativa deve essere compresa tra 20 e 24°C con velocità dell'aria inferiore a 0,15 m/s ed umidità relativa compresa tra il 40 e 60%. Tabella 15. Limiti di applicabilità degli indici PMV-PPD. 1 Dispendio energetico metabolico 0,8÷4 met 2 Resistenza termica del vestiario 0÷2 clo 3 Temperatura dell‟aria 10÷30 °C 4 Temperatura media radiante 10÷40 °C 5 Velocità dell‟aria 0,05÷1m/s 6 Pressione parziale di vapore 0 Pa÷2700 Pa d‟acqua 111 Fattori di rischio: valutazione FATTORI DI DISAGIO E INDICI DI VALUTAZIONE Il raggiungimento della condizione di “benessere termico globale”, situazione in cui i limiti degli indici di Fanger sono rispettati, rappresenta una condizione necessaria ma non sufficiente ai fini di una corretta valutazione per il comfort della persona. Esistono situazioni nelle quali pur in presenza di valori accettabili degli indici PMV e PPD, vengono denunciate dai presenti condizioni di discomfort. Si tratta di ambienti dove sono presenti fattori di disturbo legati alla presenza di disomogeneità nel riscaldamento o raffreddamento dell‟organismo. Questi elementi di disturbo vengono valutati come “fattori di disagio locale”. La norma UNI EN ISO 7730 introduce quattro indici rappresentativi di altrettanti “fattori di discomfort locale”, più precisamente: 1. Gradiente di comfort termico complessivo, da valutare mediante la determinazione in diversi punti dell' ambiente dei valori dell' indice PPD in condizioni per cui il PMV medio dell' ambiente stesso sia nullo o mantenendo costanti M ed Icl; 2. Fluttuazione del livello di comfort complessivo, da valutare mediante il massimo valore DF nella giornata dell' ampiezza delle fluttuazione del PMV in un intervallo di tempo di riferimento di 1ora; 3. Gradiente di temperatura dell' aria in senso verticale DTAV,da valutare mediante la differenza di temperatura tra la quota della testa e quella delle caviglie; 4. Asimmetria di irraggiamento rispetto alle superfici verticali, da valutare mediante l' asimmetria della temperatura piana di irraggiamento verticale DTRV alla quota convenzionale del centro del corpo; 5. Asimmetria di irraggiamento rispetto alle superfici orizzontali, da valutare mediante l' asimmetria della temperatura piana di irraggiamento orizzontale DTRO alla quota convenzionale del centro del corpo; 6. Temperatura del pavimento TFL; 7. Correnti d'aria, da valutare mediante la percentuale prevedibile di insoddisfatti PD a causa delle correnti d' aria dove Va e t ar sono velocità e temperatura dell'aria medie all' altezza del collo del soggetto; 8. Qualità dell' aria, da valutare mediante la effettiva portata di aria di rinnovo Qair in relazione al valore minimo Qmin ed al valore raccomandato QR=1,52 Qmin Nella tabella seguente è rappresentata una griglia di valutazione dei suddetti fattori: 112 Fattori di rischio: valutazione Tabella 16. Criterio di valutazione dei fattori di disagio particolari VARIABILE BENESSERE PPD (%) DF (%) DTAV (°C) DTRV (°C) DTAO (°C) TFL (°C) 5-6 < 0,15 0-3 0-8 0-4 17 - 26 PD (%) QAIR <5 > QR MODERATO DISAGIO 5 - 10 0,15 - 0,30 3-5 8 - 12 4-6 15 - 17 26 - 28 5 - 10 QR - QM DISAGIO > 10 > 0,30 >5 > 12 >6 < 15 > 28 > 10 < QM 3.4.2.2 PARAMETRI FISICI E FISIOLOGICI: STRUMENTI E METODI DI MISURA Per poter valutare le condizioni microclimatiche di un determinato ambiente ove vengono svolte attività lavorative è necessaria la conoscenza delle sei variabili sopra citate, delle quali quattro fisiche e, cioè, temperatura, velocità, umidità dell'aria e temperatura media radiante e di due variabili fisiologiche, rappresentate dal metabolismo energetico e dall'isolamento del vestiario. La temperatura dell'aria può essere misurata con termometri ad espansione, a resistenza e a termocoppia. In ogni caso la precauzione principale è quella di proteggere la parte sensibile del termometro dall'irraggiamento. Ciò può essere ottenuto sia schermando la parte sensibile mantenendo, però, una adeguata circolazione dell'aria attorno ad essa, che dotando la stessa di un elevato coefficiente di riflessione della radiazione termica. L'utilizzo di sonde di piccole dimensioni e di un flusso d'aria sufficientemente elevato attorno alla parte sensibile, che rendono irrilevante lo scambio termico per irraggiamento rispetto a quello per convenzione contribuiscono alla riduzione degli errori di misura. Il globotermometro nero viene utilizzato per la misura della temperatura media radiante. Esso consiste di una sfera di rame dipinta in nero opaco,che ha,quindi la capacità di assorbire tutte le radiazioni termiche,riflesse, invece dai normali termometri che hanno una superficie riflettente, con pareti i minimo spessore al cui centro è Figura 7. Sonda globotermometrica posto un sensore termometrico. Il globotermometro classico ha un diametro di 15 cm (l'utilizzo di globotermometri di diametro inferiore che risentono maggiormente dell'effetto della temperatura e velocità dell'aria da luogo a risultati meno accurati). Il tempo di risposta del globotermometro classico è di 20-30 113 Fattori di rischio: valutazione minuti e va tenuto presente che il suo utilizzo per determinare la temperatura media radiante ai fini di valutarne l'effetto sull'uomo da luogo a risultati approssimativi a causa della differenza di forma rispetto all'organismo umano. In particolare, le radiazioni provenienti dal soffitto e dal pavimento vengono sovrastimate dal globotermometro ed una sua configurazione ellissoidale, più vicina alla forma del corpo umano, ridurrebbe il margine d'errore. La velocità dell'aria può essere misurata con anemometri a paletta, utili però solo nel caso di presenza di correnti d'aria unidirezionali; più frequentemente viene misurata con l'anemometro a filo caldo che è caratterizzato da tempi di risposta molto brevi e che è in gradi di apprezzare le oscillazioni della velocità dell'aria sempre presenti negli ambienti di lavoro. Va segnalato che se la temperatura del filo caldo è troppo elevata, i moti di naturale Figura 8. Sonda anemometrica a filo caldo convezione dell'aria che si generano possono introdurre margini d'errore quando la velocità dell'aria ambiente è bassa. L'umidità dell'aria, che può essere espressa come umidità assoluta o relativa, viene misurata con lo psicrometro costituito da due termometri identici cui uno ha il bulbo ricoperto da una mussola di cotone mantenuta umida con acqua distillata. Entrambi i bulbi devono essere protetti contro l'irraggiamento e, preferibilmente, esposti ad una corrente d'aria per assicurare un veloce raggiungimento dell'equilibrio. I dati ricavati dallo psicrometro riportati su carta psicrometriche permettono il calcolo dell'umidità assoluta, relativa e della pressione parziale. 114 Materiali e metodi 4. MATERIALI E METODI Il lavoro è consistito in una prima parte dedicata alla valutazione e all‟approfondimento dei rischi correlati all‟attività lavorativa considerata, anche mediante ricerca bibliografica, a cui è seguita l‟attività di monitoraggio microbiologico in campo. L‟indagine ambientale è scaturita a seguito della richiesta del Servizio Prevenzione e Sicurezza negli Ambienti di Lavoro dell‟A.S.L competente per territorio ed è stata eseguita insieme ai tecnici della Struttura di Rischio Industriale ed Igiene Industriale dell‟ARPA Piemonte, in collaborazione con gli ispettori del servizio S.Pre.S.A.L dell‟ASL in questione. 4.1 L’OGGETTO DELL’INDAGINE: IL CALL CENTER Figura 9. Immagine di call center da repertorio Il call center preso in esame è un‟unità appartenente ad un gruppo che lavora come partner industriale per il BPO (Business Process Outsourcing) delle Customer Operations e conta 12 poli operativi, dislocati su tutto il territorio nazionale, con oltre 5.250 postazioni. La capillarità dei poli produttivi garantisce la gestione ottimale degli overflow e la Business Continuity nella produzione; tutti i centri sono infatti interconnessi attraverso una rete dedicata ed operano in costante collegamento grazie ad una cabina di regia (control room) che assicura il continuo monitoraggio delle attività. Il call center ha anche una presenza produttiva all'estero con 500 postazioni operative distribuite su 4 centri (3 in Romania e 1 in Bulgaria) per offrire servizi in offshoring ed ai clienti locali. Sul piano organizzativo, il modello analizzato è costituito da Market Unit (Telco, EnergyIndustry-Insurance e Financial Services) fortemente focalizzate sul cliente, volte a garantire il raggiungimento degli obiettivi commerciali, di redditività e dei livelli di servizio, in stretta collaborazione con le Operations BPO. 115 Materiali e metodi A supportare le Market Unit nell'offerta ai clienti, la Business Unit ICT offre soluzioni tecnologiche per l'automazione dei processi, delle attività di system integration e della delivery dei prodotti/servizi. Figura 10. Organizzazione interna del gruppo Il gruppo ha sviluppato e immesso sul mercato un modello unico di erogazione di servizi integrati, unendo al BPO una tecnologia innovativa e una consulenza di processo di successo. Infatti, l‟insieme delle società del gruppo, riesce a proporre al mercato un‟offerta completa che va dall‟infrastruttura tecnologica su cui poggiano le applicazioni, alla loro gestione ed integrazione, alla presa in carico di interi processi di business ed al business process transformation. In particolare, le componenti di questa offerta integrata sono: BUSINESS PROCESS OUTSOURCING SERVICES SYSTEM INTEGRATION BUSINESS SOLUTIONS OPERATIONAL EXCELLENCE & INNOVATION Per gestire in modo industriale i servizi ricevuti in gestione dai propri clienti, il gruppo si è progressivamente dotato della tecnologia e degli approcci più avanzati, distinguendosi per 116 Materiali e metodi la capacità di rendere metodo il patrimonio di questa continua ricerca del miglioramento operativo. Nella sede operativa presa in esame l‟attività svolta è di servizio call-center per varie società del settore bancario, telefonico, assicurativo e forniture di energia. Le postazioni di lavoro sono dislocate in ambienti di varia metratura all‟interno di un capannone industriale. Il numero di dipendenti è all'incirca sui 400 e l‟attività lavorativa si svolge su più turni (di 4 o 6 ore) dalle ore 06.00 alle ore 22.00 ad eccezione della sala adibita allo smistamento ed organizzazione di materiale cartaceo in cui i dipendenti terminano alle ore 17.00. 4.2 CRITERI DI INTERVENTO Schematicamente l'indagine ambientale si è articolata nelle seguenti fasi: Esame della documentazione acquisita dal servizio S.Pre.S.A.L. A.S.L Sopralluogo conoscitivo in azienda effettuato al fine di prendere visione dei locali, degli spazi e disposizione delle postazioni di lavoro e degli impianti di trattamento e ricambio dell‟aria Monitoraggio microbiologico dell‟aria Determinazioni analitiche in laboratorio ed elaborazione dei risultati. Relazione conclusiva dell‟intervento 117 Materiali e metodi 4.3 AGENTI BIOLOGICI MONITORATI In seguito all‟esito del sopralluogo conoscitivo si è effettuato un monitoraggio biologico in alcuni locali del fabbricato ritenuti potenzialmente più a rischio per la maggior densità di operatori e/o più sottoposti a “disconfort termico (vicinanza a griglie d'aspirazione o mandata d'aria...) . Il monitoraggio, rappresentativo delle normali condizioni operative, è stato condotto in singolo, su un turno di lavoro, a partire dalle ore 10:00. I parametri ricercati sono stati i seguenti: Carica batterica totale a 36°C (mesofila), indicatore della contaminazione di origine umana ed animale, infatti, la flora mesofila ha temperatura ottimale di accrescimento intorno ai 36°C ed include anche i patogeni convenzionali. Carica batterica a 20°C (psicrofila), indicatore della contaminazione batterica ambientale. Muffe e lieviti (carica fungina totale), indicatore ambientale spesso correlato alla presenza di elevata umidità e polverosità, ridotta ventilazione e scarsa qualità dell'aria. Alcune muffe possono essere responsabili di patologie infettive, nonché di reazioni di ipersensibilità, reazioni allergiche o intossicazioni. Pseudomonas aeruginosa: batterio ubiquitario, Gram negativo, resistente e refrattario a molti antibiotici, considerato un patogeno opportunista nell'uomo. Può crescere in un range di temperatura tra 4 e 42 °C. P. aeruginosa può virtualmente infettare tutti i distretti corporei; tuttavia si riconoscono diversi quadri nosologici principali: infezioni polmonari, cutanee, delle vie urinarie, dell‟orecchio e dell‟occhio. Staphylococcus aureus: è un batterio gram-positivo, resistente alla meticillina (MRSA), inizialmente relazionato alle infezioni contratte nelle strutture ospedaliere, ma attualmente lo si può contrarre ovunque. Lo Staphylococcus aureus è un microrganismo che provoca infezione in quasi tutti i distretti anatomici del nostro organismo, privilegiando i pazienti immunodepressi o particolarmente defedati come i soggetti anziani. L‟uomo è un serbatoio naturale per S. aureus dove dà luogo a colonizzazioni asintomatiche più frequentemente che ad infezioni. Le colonizzazioni possono essere transitorie o persistenti anche per anni. 118 Materiali e metodi 4. 4 METODI DI PRELIEVO E ANALISI I metodi utilizzati per i parametri microbiologici sono i seguenti: Tabella 17.Parametri ricercati e codifica metodi utilizzati PARAMETRO METODO UFFICIALE DI METODO DI ANALISI RIFERIMENTO PER IL UFFICIALE DI RIFERIMENTO PRELIEVO Carica batterica totale UNI EN ISO a 36 °C e 22 °C UNI EN ISO 14698 – Muffe e Lieviti 1/2:2004 6222:2001 – U.RP.M820 ISS A016 C rev. 00-U.RP.M17 Pseudomonas aeruginosa UNI EN ISO UNI EN ISO 7899-2:2003 16266:2008 – U.RP.M816 ISS A 018C rev.00 – U.RP.M821 Staphylococcus aureus Metodologia di prelievo I campionamenti sono stati effettuati in postazioni fisse e la loro finalità è quella di consentire una valutazione della diffusione di microrganismi (inquinamento microbiologico) nell'ambiente di lavoro. I prelievi sono stati realizzati con l‟impiego della seguente strumentazione: SAS (Surface Air System) Super 180. volume aspirato: 100 litri di aria per ciascun parametro da determinare. Il prelievo consiste nel convogliare l‟aria ambiente su apposite piastre agarizzate di 24 cm 2 idonee per la crescita e lo sviluppo dei microrganismi ricercati. La piastra di terreno, privata di coperchio, viene alloggiata nello spazio apposito sul SAS, poi si avvita la testata forata in acciaio inox che consente all‟aria aspirata di impattare sul terreno. Al termine dell‟aspirazione (la durata della stessa sarà funzione del volume di aspirazione impostato sullo strumento) la testata forata viene svitata, la piastra di terreno ridotata del coperchio e posta in un contenitore refrigerato per il trasporto in laboratorio (la consegna deve avvenire nel più breve tempo possibile, in ogni caso entro le 24 ore dal campionamento. INAIL, 2010). Qui viene incubata (posta in termostato), per il tempo ed alla temperatura appropriata, per permettere ai microrganismi vivi e vitali “catturati” durante il campionamento di accrescersi. Durante il monitoraggio, tra un prelievo e l‟altro, la testata dello strumento deve essere disinfettata con soluzione a base di alcool isopropilico al 70%. 119 Materiali e metodi Metodologia di analisi Una volta arrivate in laboratorio, le piastre vanno incubate nei termostati capovolte, cioè con il coperchio verso il basso, per evitare perdite di umidità che possono danneggiare i microbi; quelle per la coltura di funghi, invece, vanno tenute con il coperchio verso l‟alto, per evitare disseminazione di spore durante la manipolazione e il trasporto (INAIL,2010). La temperatura ottimale di crescita differisce tra i diversi microrganismi, anche se molti di essi possono essere coltivati entro un ampio margine di temperatura. In laboratorio, per ottenere lo sviluppo di colonie visibili, quindi numerabili, l‟incubazione deve avvenire alla temperatura e per il tempo standard indicati per lo specifico parametro microbiologico da rilevare e il tipo di terreno utilizzato. Trascorso il periodo di incubazione opportuno, si procede alla lettura delle piastre, cioè all‟osservazione macroscopica delle stesse per il conteggio del numero di colonie cresciute. I livelli di concentrazione microbica cosi determinati rappresentano solo approssimazioni delle concentrazioni transitorie dei microrganismi presenti nell‟aria: le condizioni ambientali vigenti e lo stesso campionamento possono, infatti, stressare e/o danneggiare le cellule microbiche mantenendone la vitalità ma inficiandone la coltivabilità in laboratorio. Pertanto, come già sottolineato, possono essere conteggiati solo i microrganismi vitali e coltivabili, con conseguente possibile sottostima della concentrazione microbica reale. Metodologia di lettura dei singoli parametri CARICA BATTERICA A 36°C (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C) E A 22°C (72 ORE DI INCUBAZIONE A 22°C) Per la valutazione della carica batterica, si procederà alla conta delle sole colonie batteriche, escludendo le eventuali colonie fungine (muffe e lieviti) cresciute sul terreno. Nel corso della lettura, possono verificarsi condizioni particolari, per le quali la modalità di interpretazione/refertazione del dato proposte sono (INAIL,2010): la piastra, dopo opportuna incubazione, risulta ancora sterile (non si osserva crescita): in tal caso, reincubarla alla medesima temperatura per altre 24-48 ore ed osservare l‟eventuale sviluppo di colonie a crescita lenta. Nel caso in cui permanesse la condizione di sterilità, refertare il dato finale (UFC) come “assenza di crescita nel volume d‟aria/sulla superficie campionato/a”; le colonie cresciute sul terreno sono ben isolate tra loro e pertanto facilmente numerabili. In tal caso, si annota su apposito modulo il loro numero totale; 120 Materiali e metodi il numero delle colonie cresciute è tale da coprire la superficie del terreno in modo omogeneo. In tal caso, è sempre bene effettuare, se possibile, la conta di tutte le colonie, soprattutto se non è possibile ripetere il prelievo ambientale modificando opportunamente i parametri operativi del campionatore. Immaginando l‟area della piastra virtualmente suddivisa in quattro quadranti uguali, si procede al conteggio del numero di colonie presenti in un quadrante. Da tale valore, dopo opportuna correzione statistica del dato, si potrà ricavare il numero totale di colonie cresciute sulla piastra; le colonie cresciute sono, nella maggior parte dei casi, indistinguibili tra loro o perché sovrapposte o per interferenza reciproca oppure perché oscurate da una massiccia sovra-contaminazione fungina (il micelio aereo è cosi sviluppato da coprire le colonie batteriche sottostanti, rendendone difficoltoso o impreciso il conteggio). In tal caso, il dato viene refertato come “campione non leggibile” (UFC “non numerabili”), seguito da nota esplicativa; è possibile a volte osservare lo sviluppo di una patina, (cioè di un‟ampia area omogenea di crescita originatasi per confluenza delle colonie) che interessa tutta o gran parte della superficie del terreno. In tale situazione, il risultato finale (UFC) va refertato come “patina”. la presenza di condensa all‟interno delle piastre, sotto forma di goccioline di acqua visibili sulla superficie interna dei coperchi, è da imputare ad una non corretta preparazione e conservazione delle piastre stesse. La condensa, se non rimossa prima dell‟utilizzo delle piastre sul campo, può determinare, nel corso dell‟incubazione, la formazione di una area di crescita microbica, più o meno estesa ed omogenea, di aspetto simile a una “corona”, lungo il perimetro del terreno contenuto nella piastra. Non essendo possibile conoscere il numero delle colonie da cui essa ha avuto origine, potendosi verificare un effetto di trascinamento dei microrganismi esercitato dalla condensa stessa, essa non può essere considerata nel conteggio e, soprattutto se estesa, rende inutilizzabile il campione. 121 Materiali e metodi MUFFE E LIEVITI ( 72 ORE DI INCUBAZIONE A 22°C) Per la valutazione della carica fungina si procede, nello specifico, alla conta dei nuclei da cui hanno avuto origine le singole colonie fungine visibili (micelio aereo). Il riconoscimento delle specie fungine è complesso e richiede tempi lunghi infatti l'aspetto delle colonie varia a seconda del substrato, naturale o artificiale, sul quale si sviluppano e in relazione a Figura 11. Muffe e lieviti in piastra Agar diversi fattori. La lettura della piastra deve sempre essere effettuata su ambo i lati: si procede, cioè, alla conta delle colonie visibili sulla parte superiore del terreno (miceli aerei); poi si rovescia la piastra, ripetendo il conteggio sul retro. Ciò consente l‟inclusione nel conteggio di eventuali colonie fungine più piccole (a crescita lenta) o di lieviti oscurati dal micelio aereo dei miceti a crescita rapida. Per la refertazione dei conteggi, si applicano i medesimi criteri utilizzati per i conteggi batterici. L‟assenza di crescita va registrata solo dopo conferma del mancato sviluppo di colonie sulla piastra oltre i consueti 3-5 gg e fino ad un massimo di 3 settimane consecutive di incubazione (RAPPORTI ISTISAN 07/05). PSEUDOMONAS AERUGINOSA (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C) Si considerano appartenenti alla specie tutte le colonie che producono un colore blu/verde. Si esamina in un secondo momento la membrana sotto la luce UV e si considerano presunte Pseudomonas aeruginosa da sottoporre a conferma tutte le colonie fluorescenti, non producenti piocianina e tutte le colonie non fluorescenti di colore marrone rossastro. Per confermare le colonie sospette si procede nel Figura 12. Pseudomonas aeruginosa in piastra Agar seguente modo: isolamento su Agar nutritivo, incubazione della piastra a 38°C per 24 ore e prova della citocromossidasi: organismi ossidasi positivi sviluppano una colorazione blu violetto mentre organismi ossidasi negativi non sviluppano nessun tipo di colore. 122 Materiali e metodi è possibile effettuare anche un isolamento delle colonie sospette su Agar nutritivo incubando la piastra a 42°C per discriminare le specie in grado di crescere a questa temperatura, come la maggior parte di microrganismi ascrivibili a Pseudomonas aeruginosa. STAFILOCOCCHI (48 ORE DI INCUBAZIONE A 37°C) I microrganismi appartenenti al genere Staphylococcus coagulasi positivi producono sul substrato di isolamento colonie nere per effetto della riduzione del tellurio a tellurio metallico. Dopo 24 ore di sviluppo le colonie appaiono brillanti, lisce, convesse con margini netti e circondate in genere da un alone chiaro dovuto all'attività lecitinasica. Le specie appartenenti al genere Figura 13. S. aureus in piastra Agar Staphylococcus coagulasi negative sviluppano,invece, colonie nere con margini irregolari, non circondate da alone trasparente. Per verificare la presenza di stafilococchi patogeni e di St. aureus in particolare, è opportuno sottoporre a prove di conferma le colonie nere con alone. Le prove di conferma consistono nella verifica dell'enzima catalasi e dell'enzima coagulasi. Si isolano le colonie sospette su Agar nutritivo e si lasciano incubare a 37°C per 48 ore. Enzima catalasi: la prova differenzia i microrganismi appartenenti al genere Staphylococcus da quelli appartenenti al genere Streptococcus. Dopo aver stemperato su un vetrino portaoggetti una colonia cresciuta su Agar nutritivo, si ricopre con alcune gocce di acqua ossigenata al 3%. La presenza dell'enzima catalasi è rilevata dallo sviluppo immediato di bollicine di gas. I microrganismi del genere Staphylococcus sono catalasi positivi (Rapporti ISTISAN 07/05). Enzima coagulasi: la prova evidenzia l'attività coagulante esercitata dagli stafilococchi potenzialmente patogeni sul plasma. Tale attività è dovuta ad almeno due fattori: coagulasi libera (enzima 0) e coagulasi legata (antigene della parete cellulare). L'enzima è presente nella maggior parte dei biotipi appartenenti alla specie Staphylococcus aureus. La prova in provetta per la ricerca della coagulasi libera prevede il prelievo di una colonia cresciuta su Agar nutritivo, lo stemperamento di quest'ultima in BHI (Infuso Cuore Cervello) e l'incubazione a 37°C per 48 ore. Successivamente si dosa in una provetta sterile 0,5 mL di plasma EDTA (anticoagulante) e 0,5 mL della brodocoltura sviluppatasi in BHI, si miscela 123 Materiali e metodi delicatamente e si incuba a 37°C in bagno termostatato. Durante le prime 4 ore di incubazione si effettua la lettura ogni ora, inclinando la provetta da un lato senza agitarla. La presenza dell'enzima è rivelata da un coagulo ben gelificato. Se la prova risulta negativa, si incuba ancora la provetta e si ripete la lettura dopo altre 48 ore. Il test in provetta accerta sia la coagulasi libera che legata (Rapporti ISTISAN 07/05). Nel corso dell‟incubazione, possono verificarsi le seguenti eventualità: sovrapposizione di più colonie, in un punto del terreno, non diversificabili tra loro su base morfologica; inibizione della crescita da parte di un microrganismo nei confronti di un altro depositatosi sullo stesso punto della piastra; possibilità di mascheramento da parte di microrganismi che producono colonie grandi nei confronti di altri produttori di microcolonie; oscuramento di microrganismi a crescita lenta da parte di altri a crescita rapida; oscuramento di una colonia da parte di un‟altra. Per considerare la probabilità che più di un microrganismo o di una particella impatti sullo stesso punto della piastra, nel corso del campionamento, si deve procedere alla correzione statistica del dato ottenuto dal conteggio (numero di colonie/piastra). A tal fine sono disponibili apposite tabelle statistiche, fornite insieme ai Manuali d‟uso dei campionatori. La concentrazione totale dei microrganismi campionati viene, poi, calcolata dividendo per il volume d‟aria campionato (V, espresso in litri) il numero totale (N), statisticamente corretto, delle colonie cresciute, e moltiplicando il risultato per 1000 (1 m3 =1000L). Essa viene, infatti, espressa in termini di UFC per unita di volume d‟aria, in genere per m3: UFC/m3 = (N / V) * 1000 Nell‟espressione del dato analitico da parte del laboratorio l‟incertezza legata al risultato viene calcolata tenendo conto del “Protocollo validazione metodi di prova U.RP.K022” e delle Norme UNI EN ISO 8199:2008 e UNI ENV ISO 13843:2003. L‟incertezza del misurando viene espressa utilizzando l‟intervallo di confidenza calcolato con un fattore di copertura uguale a 2, corrispondente ad una probabilità di circa il 95%. I valori dell‟incertezza sono espressi con le stesse unità di misura del misurando. 124 Materiali e metodi 4.5 INDICI DI VALUTAZIONE DEI RISULTATI In assenza di limiti di legge la valutazione del rischio biologico in ambienti di vita e di lavoro viene effettuata utilizzando le classi di contaminazione scaturite dall‟elaborazione di specifici indici nati dall‟esperienza in campo ed attualmente adottati da tutti i principali enti che si occupano di ricerca e/o tutela (Università, Arpa, INAIL, ISPESL…). Questi indici consentono di valutare la contaminazione microbica nel suo complesso, considerando anche la variazione tra outdoor ed indoor. Ciò consente di capire se la fonte di contaminazione sia primariamente interna od esterna e, soprattutto in edifici sigillati, il buon funzionamento dell‟impianto di ventilazione e condizionamento. Gli indici utilizzati sono i seguenti: 1. IGCM “Indice Globale di Contaminazione Microbica” IGCM = (UFC/m3 CBT 37°C)+ (UFC/m3 CBT 20°C)+ (UFC/m3 muffe e lieviti) Fornisce un valore di contaminazione microbica totale normalizzata all‟unità di volume di aria e rappresenta un parametro importante per la valutazione della salubrità dell‟aria. Un batterio psicrofilo in grado di svilupparsi anche a 37°C può essere considerato potenzialmente pericoloso, analogamente un batterio mesofilo che può svilupparsi a 20°C ha la possibilità di colonizzare substrati presenti nell‟ambiente. 2. ICM “Indice di Contaminazione da Batteri Mesofili” ICM = (UFC/m3 CBT 37°C)/ (UFC/m3 CBT 20°C) Evidenzia la contaminazione prevalente da parte di batteri mesofili (valori >1) o psicrofili (valori <1). Ambienti outdoor considerati normali sono solitamente caratterizzati dalla seconda condizione, mentre in ambienti confinati, con scarsa ventilazione e sovraffollamento, ICM può superare anche di molto l‟unità a causa dell‟accumulo nell‟aria di microrganismi diffusi dagli occupanti. La situazione opposta si osserva nel caso di microrganismi di origine ambientale provenienti da substrati contaminati o da particolari attività lavorative. 125 Materiali e metodi 3. IA “Indice di Amplificazione” IA = IGCM interno/IGCM esterno Rappresenta uno strumento indispensabile per valutare la situazione effettiva della qualità dell‟aria rispetto ad un situazione di riferimento. Per ambienti confinati IA è dato dal rapporto tra il valore di IGCM misurato all‟interno e quello misurato all‟esterno dell‟ambiente in esame (considerato rappresentativo dell‟aria non affetta dalle sorgenti di inquinamento interno). Nel caso di ambienti all‟aperto il valore di IGCM di riferimento viene determinato in un punto sopra vento rispetto alle postazioni di prelievo prossime alle attività considerate ed individuate a rischio di esposizione ad agenti biologici (Manuale Unichim 203). In base al valore di IGCM si possono identificare classi di contaminazione che vanno da “molto bassa” a “molto alta”. A partire dalla classe di contaminazione “intermedia” si generano sottoclassi di gravità via via maggiore in base ai valori di ICM ed IA riscontrati (come riassunto nella tabella seguente). Tabella 18. : Classi di contaminazione biologica 126 Risultati 5. RISULTATI 5.1 POSTAZIONI MONITORATE E RISULTATI OTTENUTI Tabella 19. Identificazione dei punti di prelievo CAMPIONE 1 POSTAZIONE DI PRELIEVO Sala 1 (postazioni di lavoro vicine all'anemostato di immissione aria) 2 Sala 1 (in prossimità della griglia di ripresa aria) 3 Sala 1 (al centro della sala) 4 Sala 1 (in prossimità della griglia di mandata d'aria) 5 Sala 2 (al centro della sala) 6 Sala 2 (lato periferico della sala) 7 Sala 3 (in prossimità delle griglie d'ingresso aria) 8 Sala 3 (postazioni di lavoro cartacee) 9 Sala 3 (zona a minor densità di operatori) 10 Sala 2 (saletta secondaria vicina alle uscite di emergenza) 11 UTA ( presa d'aria esterna per le sala 2-3) 12 UTA ( presa d'aria esterna per la sala 1) 127 Risultati Figura 14. Punti di prelievo 1 e 2 Figura 15. Punti di prelievo 3 e 4 128 Risultati Figura 16. Punti di prelievo 8 e 9 Figura 17. Punti di prelievo 11 e 12 129 Risultati La tabella 20 presenta i risultati dei parametri ricercati per ciascun campione, mentre i valori di IGCM, ICM ed IA sono riportati nella tabella 21 . I risultati sono espressi in Unità Formanti Colonia al metro cubo (UFC/m3) e per ciascun valore numerico è riportata l‟incertezza di misura (valore posto tra parentesi) Tabella 20. Risultati dei parametri ricercati per ciascun punto di prelievo Muffe 160 0 0 0 0 Staphylococcus Lieviti 0 aureus. CBT 22°C 250(±100) Pseudomonas CBT 36°C 470 (±140) aeruginosa. CAMPIONE 1 (100-200) 2 680 ± 160 420±130 0 100 (50-190) 3 540±150 340±120 0 70 stimate 0 0 4 270±100 310±110 0 100 0 0 (50-190) 5 430±130 180 0 290±110 0 0 0 260±100 0 0 0 90 stimate 0 0 0 110 0 0 0 0 (110-290) 6 700±170 150 (90-250) 7 250±100 130 80-220 8 230±100 110 (60-200) 9 20 stimate 20 stimate (60-200) 0 180 (110-290) 10 40 stimate 20 stimate 0 80 stimate 0 0 11 250±100 200±90 0 950±190 0 0 12 90 stimate 180 0 840±180 0 0 (110-290) Per operare, in maniera corretta, il raffronto tra i dati riportati in tabella (in particolare per quanto concerne la carica batterica totale) occorre considerare che l‟andamento dei dati può sembrare a volte incongruente a conferma del fatto che tra i gruppi di microrganismi esiste una "concorrenza vitale” di tipo inibente. Le piastre di WPCA , terreno non selettivo 130 Risultati utilizzato per il conteggio della carica totale, permettono la crescita di muffe che, oltre ad ostacolare la lettura della piastra stessa, sono il fattore inibente la crescita della carica microbica totale. Tabella 21.Risultati degli indici elaborati per ciascun punto di prelievo CAMPIONE IGCM (UFC/m3) ICM IA 1 880 1.9 0.8 2 1200 1.6 1.1 3 950 1.6 0.8 4 680 0.9 0.6 5 900 2.4 0.6 6 1110 4.7 0.8 7 470 1.9 0.3 8 450 2.1 0.3 9 220 1 0.2 10 140 2 0.1 11 1400 1.2 / 12 1110 0.5 / Dall‟analisi dei risultati ottenuti, non si evidenzia in alcuna delle postazioni monitorate la presenza dei patogeni ricercati (P. aeruginosa e S. aureus) né di lieviti, come mostra la Tabella 20. La carica micetica interna risulta inferiore rispetto a quella dell‟aria esterna prelevata in prossimità del punto di captazione delle unità trattamento aria che servono i locali oggetto di indagine. L‟aria esterna, infatti, mostra una presenza di muffe rilevante pari a 950 UFC/m3 (campione 11) e 840 UFC/m3 (campione 12) mentre nei locali interni le muffe variano dalle 70 UFC/m3 del campione 3 alle 290 UFC/m3 del campione 5. Per quel che riguarda la carica batterica totale (22°C e 36°C) monitorata esternamente presso le UTA essa risulta variabile da 90 a 250 UFC/m3 (Tabella 20). La carica batterica mesofila interna risulta bassa per i campioni 9 e 10 (rispettivamente pari a 20 e 40 UFC/m3) mentre per tutte le altre postazioni è numericamente più rilevante variando dalle 230 UFC/m3 del campione 8 alle 700 UFC/m3 del campione 6. Stesso tipo di ragionamento vale per la carica batterica psicrofila il cui valore varia da un minimo rilevato pari a 20 UFC/m3 dei campioni 9 e 10 ad un massimo 420 UFC/m3 del campione 2. 131 Risultati In base all‟indice globale di contaminazione microbica (IGCM) si hanno, come mostra la Tabella 21, quattro postazioni ascrivibili alla classe di contaminazione MOLTO BASSA (campioni 7, 8, 9 e 10), quattro inserite nella classe di contaminazione BASSA (campioni 1, 3, 4, 5) e due postazioni di classe INTERMEDIA (campioni 2 e 6). È importante rilevare come tre delle postazioni che ricadono nella classe di contaminazione BASSA abbiano in realtà un valore di IGCM molto prossimo al limite inferiore della classe INTERMEDIA (1000 UFC/m3). In base agli indici elaborati si possono fare le seguenti considerazioni: i prelievi condotti in prossimità dei punti di immissione aria in ambiente interno mostrano una buona capacità filtrante del sistema di ventilazione (Tabella 21 punto 4,7). le altre postazioni oggetto di misura mostrano, invece, un aumento talvolta notevole della carica batterica; l‟impianto sembra quindi in grado di ridurre la contaminazione esterna in ingresso, soprattutto per quanto concerne la carica micetica, ma ha difficoltà a compensare l‟aumento della carica mesofila dovuto ad apporto primariamente umano. Questo fa pensare ad una problematica correlata al numero di ricambi d‟aria e/o alla portata e alla distribuzione della stessa negli ambienti di lavoro. Anche i valori di ICM suffragano la tesi esposta in quanto in ambienti confinati con scarsa ventilazione e sovraffollamento, ICM può superare anche di molto l‟unità a causa dell‟accumulo nell‟aria di microrganismi diffusi dagli occupanti. 132 Discussione 6. DISCUSSIONE Negli ambienti indoor adibiti ad ufficio come nel caso del call-center, un ruolo significativo nell‟influenzare la presenza e la concentrazione di agenti biologici, è rivestito dagli impianti di climatizzazione, che meritano una particolare attenzione sia in fase di progettazione che di manutenzione. Gli impianti di climatizzazione svolgono funzioni di controllo sulla temperatura e sull‟umidità dell‟aria, assicurano il ricambio d‟aria, la filtrazione delle polveri e delle altre particelle aerotrasportate. Tuttavia, se l‟impianto non è adeguatamente progettato o mantenuto, può diventare esso stesso una fonte di contaminanti. Una cattiva manutenzione degli impianti può favorire un accumulo di polveri e particelle organiche che possono essere messe in circolo attraverso la rete di distribuzione dell‟aria. I batteri dominano generalmente la popolazione microbica nelle bacinelle di acqua stagnante; molti funghi invece, che richiedono ossigeno gassoso, preferiscono depositarsi e riprodursi su filtri e condotte. Le griglie delle prese dell‟aria esterna possono essere contaminate da escrementi o penne di volatili che contengono funghi patogeni quali Aspergillus fumigatus (INAIL,2008). Per tali motivi, gli impianti devono essere sottoposti ad una periodica manutenzione preventiva e correttiva. I principali elementi e le relative attività di controllo sono (INAIL, 2008): UTA: le unità centrali di trattamento aria devono essere pulite e sanificate con cadenza programmata e variabile in base alla tipologia di impianto e alla posizione dello stesso. Un controllo specifico a cui devono essere sottoposte è la ricerca quali-quantitativa di Legionella. Filtri: devono essere ispezionati e cambiati regolarmente e comunque ogni volta si rilevi un‟evidente contaminazione o perdita di materiale filtrante. È fondamentale controllare la qualità dell‟aria rilevata a valle del filtro. Umidificatori d’aria: le parti a contatto con l‟acqua devono essere ispezionate, pulite e , se necessario, disinfettate, per evitare che la contaminazione raggiunga livelli critici. La carica totale microbica nell‟acqua delle sezioni di umidificazione non deve superare 1000 UFC/ml (METODO UNI EN/ISO 6222). La qualità dell‟acqua deve essere garantita mediante la pulizia ordinaria e, periodicamente, dalla sanificazione. 133 Discussione Batterie di scambio termico e accessori: devono essere periodicamente ispezionate per verificare eventuali contaminazioni, corrosioni o danneggiamenti. Bisogna evitare soprattutto che polvere o umidità penetrino nei componenti del sistema a valle. È necessario controllare le bacinelle di raccolta della condensa nelle quali possono proliferare batteri e funghi. Condotte d’aria: devono periodicamente essere controllate sia internamente che esternamente nei punti critici in corrispondenza dei diversi componenti e secondo specifici criteri (UNI ENV 12097). Le condutture flessibili devono essere sostituite, quando diventano deposito di contaminanti. Prese d’aria esterna e griglie di espulsione: devono essere controllate, pulite, sanificate e sostituite quando necessario. La periodicità dei controlli e degli interventi di sanificazione varia in funzione dell‟inquinamento esterno. Torri di raffreddamento: la pulizia e il drenaggio del sistema devono essere effettuati prima dell‟avvio del sistema e comunque almeno due volte all‟anno (solitamente alla fine e all‟inizio della stagione fredda). La manutenzione deve essere effettuata da personale dotato di maschere di protezione per le vie respiratorie. La presenza di microrganismi, anche se quantitativamente non imponente, può essere fonte di malesseri o patologie inoltre qualsiasi tipo di campionamento microbiologico porta con sé una sottostima della reale carica batterica in quanto consente di evidenziare solo i microrganismi vivi e vitali presenti in quel momento. I contaminanti atmosferici di origine biologica non sono solo microrganismi vivi (batteri, miceti e virus), ma anche morti, frammenti di cellule, endotossine, micotossine, allergeni, composti organici volatili, pollini. Vi possono essere, inoltre, batteri non coltivabili in quanto stressati naturalmente o dalle procedure di prelievo. La possibilità di identificare solo microrganismi vitali e l‟influenza delle varie condizioni ambientali sulla loro sopravvivenza, rendono dunque ulteriormente complessa la situazione. Dall‟esperienza e dai lavori disponibili in letteratura si giunge alla conclusione che il condizionamento dell‟aria può ridurre il livello di microrganismi aerei fermando la contaminazione dall‟esterno e diluendo così la contaminazione interna, sempre che non sia l‟impianto stesso fonte di contaminazione a causa di inefficienza e/o malfunzionamento. I sistemi di aria condizionata, infatti, possono essere potenziali sorgenti di proliferazione di microrganismi in caso di mancata manutenzione dell‟impianto e sostituzione puntuale ed accurata dei filtri. Per questa ragione in edifici sigillati, è sempre importante associare ad 134 Discussione un monitoraggio microbiologico una valutazione microclimatica che includa la misura di parametri fisici quali temperatura ed umidità e l‟elaborazione degli indici di Fanger per lo stato di comfort/disconfort termico. La difficoltà maggiore è quella di non avere una normativa scientifica che consenta di definire “sicure” concentrazioni di microrganismi al di sotto di un determinato valore. Il miglioramento della qualità dell‟aria risulta sicuramente una tra le strategie più funzionali ed efficaci per diminuire la contaminazione microbiologica e le possibili patologie ad essa correlate. I metodi utilizzati per l‟ottenimento di una buona IAQ sono essenzialmente tre: 1. riduzione delle sorgenti di inquinanti; 2. rimozione degli inquinanti alla fonte; 3. diluizione degli inquinanti mediante aria esterna (ventilazione). Riduzione delle sorgenti di inquinanti La prima azione da compiere è quella di limitare l‟immissione in ambiente degli inquinanti, evitando o limitando l‟uso di quei materiali e di quelle apparecchiature che emettono contaminanti ed effettuando quelle manutenzioni che riducono o eliminano i rischi di produzione di inquinanti da parte degli impianti. Il metodo, non è però di semplice attuazione, soprattutto per quanto riguarda i materiali da costruzione e per i materiali di arredo, per i quali non esistono ancora dati certi sul rilascio di contaminanti, visto che solo da pochi anni ed in pochi Paesi se ne effettuano misure. Per quanto riguarda le condotte degli impianti di ventilazione, solo da una decina di anni si è scoperto che esse sono sorgenti di contaminanti, essenzialmente microbiologici. Tradizionalmente si è sempre prestata attenzione all‟operazione di manutenzione delle UTA (unità di trattamento aria), ma, fino a qualche anno fa, non si è pensato alla pulizia delle condotte aerauliche, che purtroppo risultano generalmente molto sporche. La “sporcizia” presente nelle condotte deriva innanzi tutto dalla mancanza di protocolli di protezione da applicare durante la loro messa in opera; infatti le condotte andrebbero pulite man mano che si installano e sigillate durante le interruzioni della fase di montaggio, evitando così l‟accumulo di polvere e sporcizia. Inoltre, durante il funzionamento dell‟impianto i filtri, non essendo assoluti, lasciano passare piccolissime frazioni degli inquinanti solidi sospesi nell‟aria che, col passare del tempo, si ritrovano depositati sul fondo delle condotte e costituiscono un ottimo terreno di coltura per microrganismi, soprattutto in presenza di umidità. Il problema diventa ancora più grave se, come spesso avveniva fino a qualche anno fa, le condotte sono internamente coibentate con isolanti termoacustici, i quali, essendo generalmente costituiti da materiali porosi, trattengono 135 Discussione molto bene la polvere e la sporcizia in genere. Attualmente esistono dei metodi perfettamente collaudati di ispezione, monitoraggio e pulizia delle condotte, con i quali spesso si può drasticamente ridurre l‟inquinamento da impianto di ventilazione. Rimozione degli inquinanti alla fonte Il metodo è applicabile quando la produzione di inquinanti avviene in uno spazio limitato e ben definito. In questo caso si usano sistemi di estrazione dell‟aria localizzati in corrispondenza della fonte degli inquinanti. Un‟apprezzabile conseguenza dell‟utilizzo di sistemi di estrazione sta nel fatto che questi, oltre ad eliminare gli inquinanti direttamente alla fonte, favoriscono il ricambio dell‟aria nell‟ambiente interno. Gli estrattori, installati nei servizi igienici e nelle cucine, generano nell‟ambiente una depressione che favorisce l‟infiltrazione di aria esterna attraverso i serramenti o, più in generale, attraverso le aperture dell‟edificio.‟Ateneo Diluzione degli inquinanti Il meccanismo fisico con cui la ventilazione riduce la concentrazione di inquinanti è quello della diluizione nell‟ambiente. La ventilazione può essere NATURALE o FORZATA. Ventilazione Naturale La ventilazione naturale, che si ha nella maggior parte dei casi e certamente nella maggior parte degli ambienti residenziali, è dovuta alla differenza di pressione che si instaura tra interno ed esterno dell‟edificio, a causa del vento e delle differenze di temperatura, ed alla permeabilità all‟aria degli infissi. Il considerevole aumento del costo dell‟energia che si è avuto agli inizi degli anni ‟70 ha indotto a ridurre le portate di ventilazione. Negli edifici con meccanismo di ventilazione naturale si sono così realizzati infissi sempre più a tenuta, ottenendo una riduzione delle dispersioni e delle spese energetiche e un miglioramento dell‟isolamento acustico, ma anche una drastica diminuzione delle portate d‟aria di rinnovo e quindi un aumento della concentrazione degli inquinanti. L‟infisso a tenuta perfetta è pertanto causa di elevatissime concentrazioni di inquinanti per gli ambienti senza impianto di ventilazione, che diventano così sicuramente insalubri e nocivi per gli occupanti. Volendo adottare serramenti a tenuta senza introdurre un impianto di ventilazione, dovrebbero essere installate delle griglie di aereazione; tali dispositivi, molto usati in alcuni Paesi nordeuropei, sono ancora poco conosciuti in Italia. Le griglie di aereazione si possono classificare in passive ed attive: 136 Discussione Griglie passive quelle non dotate di ventilatori, in esse la portata d‟aria di ventilazione dipende dalla differenza di pressione esistente tra interno ed esterno e dalla perdita di carico offerta dalla griglia (ventilazione naturale); Griglie attive quelle dotate di ventilatori, con le quali la ventilazione è forzata. Ventilazione forzata Nel caso della ventilazione forzata, o meccanica, dei ventilatori spingono una portata d‟aria all‟interno dell‟ambiente tramite una rete di condotte. L‟impianto si dice semplicemente di ventilazione se l‟aria che viene fornita all‟ambiente non viene in alcun modo trattata; di termoventilazione se l‟aria viene riscaldata o raffreddata, a seconda della stagione; di condizionamento se l‟impianto è in grado di riscaldare e di umidificare l‟aria nella stagione invernale e di raffreddarla e deumidificarla in quella estiva. 137 Conclusioni 7. CONCLUSIONI Gli ambienti di lavoro confinati non industriali hanno una enorme diffusione nei Paesi industrializzati e presentano caratteristiche che li distinguono in modo assai netto dagli ambienti di lavoro tradizionali, industriali e artigianali. La loro collocazione urbanistica, il design, la struttura ed i materiali impiegati per la costruzione e gli arredi, la frequente presenza di ventilazione artificiale e di condizionamento dell‟aria, le attività lavorative degli occupanti e la stessa organizzazione degli spazi e dei compiti lavorativi, possono favorire la comparsa di fattori di rischio per la salute ed il benessere degli occupanti. I principali fattori di rischio si possono individuare in una ventilazione non adeguata, nella temperatura ed umidità dell‟aria eccessive o troppo basse, nello sviluppo o liberazione di inquinanti chimici, fisici e biologici, talvolta tra loro interagenti in modo sinergico. Le conoscenze maturate negli ultimi 30 anni, anche a seguito di un notevole interessamento sia del mondo accademico che di Enti istituzionali, consentono di identificare efficacemente le fonti di rischio, di stabilire spesso le concentrazioni potenzialmente pericolose dei diversi inquinanti, di adottare nella maggior parte dei casi rimedi efficaci. Tuttavia, l‟individuazione e la gestione dei numerosi fattori di rischio che possono essere presenti, presuppone una metodologia di approccio agli edifici “con problemi” ben definita, in cui svolge una funzione primaria un team di lavoro interdisciplinare di cui devono far parte tutti i professionisti (ingegneri, architetti, esperti in climatizzazione, medici tossicologi, igienisti industriali ecc.) in grado di individuare le cause delle affezioni lamentate e di realizzare tutti gli interventi necessari a risolvere i problemi connessi. Un team multidisciplinare dovrebbe comprendere progettisti (architetti, ingegneri, impiantisti, ...), addetti alla gestione degli edifici (ingegneri, impiantisti, managers), medici del lavoro e altre figure sanitarie esperte, igienisti industriali o, se disponibili, professionisti della qualità dell‟aria degli ambienti indoor. È fondamentale che le diverse figure professionali abbiano un coordinamento unitario di riconosciuta competenza, tale da consentire di interpretare in maniera univoca i risultati del lavoro dei singoli. Gli obiettivi prioritari sono quelli di adeguare le caratteristiche strutturali dell‟edificio (e specialmente il sistema di ventilazione) ai migliori canoni progettuali, di far precedere gli accertamenti più complessi da quelli più semplici e meno costosi, di migliorare l‟efficienza e l‟efficacia della manutenzione. L‟ASHRAE (American Society of Heating, Refrigerating and Air Condictioning Engineers) ha pubblicato i suoi “standard 62-1989: Ventilation for Acceptable Indoor Air Quality” che hanno lo scopo di fornire valori definibili limite che consentono di evitare 138 Conclusioni danni alla salute. Oltre a questo, per gli ambienti di lavoro vi sono limiti forniti da Enti internazionali quali ACGHI (American Conference of Governmental Industrail Hygienists), OSHA (Occupational Safety and Health Administration), NIOSH (National Institute for Occupational Safety and Health). Per la Sick Building Syndrome, come per altre forme compromettenti il buono stato di salute, è molto importante considerare la suscettibilità individuale, lo stress e le altre innumerevoli fonti di contaminazione presenti negli ambienti indoor (formaldeide, videoterminali ecc.) Il nostro caso studio è un tipico esempio di ambiente di lavoro confinato, di tipo non industriale, all‟interno del quale è importante considerare quanto fin qui esposto nella sua totalità. I fattori di rischio sono spesso correlati/correlabili e sinergici, come evidenziato dai risultati ottenuti. L‟indagine microbiologica volta alla verifica della qualità dell‟aria indoor negli ambienti di lavoro esaminati ha, infatti, evidenziato problematiche legate alla ventilazione. L‟impianto sembra in grado di ridurre la contaminazione esterna in ingresso, soprattutto per quanto concerne la carica micetica, ma ha difficoltà a compensare l‟aumento della carica mesofila dovuto ad apporto primariamente umano. Questo fa pensare ad una problematica correlata al numero di ricambi d‟aria e/o alla portata e alla distribuzione della stessa negli ambienti di lavoro. Nella prospettiva di sviluppi futuri sarebbe interessante procedere su due fronti: incrementare la variabilità spaziale incrementare la variabilità temporale A tale scopo sarebbe interessante monitorare il maggior numero possibile di ambienti di lavoro appartenenti al “comparto” considerato, effettuando analisi di parametri microbiologici e fisici ed utilizzando apposite check list per la valutazione dei principali fattori di rischio. Su un numero ristretto di soggetti giuridici sarebbe ulteriormente utile, ripetere il monitoraggio più volte nel corso della stessa giornata di campionamento e a cadenza stagionale per valutare rispettivamente la buona funzionalità dell‟impianto e la correlazione della carica microbica con la temperatura e l‟umidità sia interna che esterna. 139 Bibliografia 8. BIBLIOGRAFIA AUSTRALIAN SERVICES UNION, 2002. Good practice guide for occupational health and safety in callcenter. L‟ASHRAE standard 62-1989: Ventilation for Acceptable Indoor Air Quality. 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