2017 - L`ottavo centenario della nascita di San Bonaventura. Un

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2017 - L`ottavo centenario della nascita di San Bonaventura. Un
2017 - L’ottavo centenario della nascita di San Bonaventura.
Un maestro per il XXI secolo
Nel 2017 si celebra l’800° anniversario della nascita di San Bonaventura e - come per altre
celebrazioni simili – ciò diviene occasione di riflessioni, incontri e pubblicazioni sul pensiero del
Dottore serafico.
Dal 12 al 15 luglio l’Istituto Francescano presso la St. Bonaventure University di New York
organizza il Convegno internazionale “Frater, Magister, Minister et Episcopus” The Works and
Worlds of Saint Bonaventure”, dedicato all’eredità intellettuale e al significato attuale del pensiero
bonaventuriano. Nel novembre 2017, a Roma, si terrà un Convegno sull’attualità teologica di San
Bonaventura, organizzato dalla Pontificia Università Gregoriana con la Pontificia Università
Antonianum, il Centro Studi Bonaventuriani e la Cattedra Marco Arosio dell’Ateneo Pontificio
Regina Apostolorum.
Il centenario è un invito per tutti a confrontarsi con uno dei più grandi maestri di vita spirituale, un
credente che ha vissuto la propria fede come frate minore, uomo di governo, teologo e santo. In
particolare per i francescani e le francescane di oggi, laici e consacrati, per gli studiosi di filosofia e
teologia e per quanti si occupano di storia medievale, l’incontro più approfondito con Bonaventura
potrà essere fonte di nuova luce nella ammirata contemplazione delle opere di Dio, riflesse nella
creazione e dell’amore rivelato nel Figlio Gesù Cristo, nella sua vita e nella sua parola.
Tra le molte prospettive con cui può essere studiata la grande eredità bonaventuriana, accenniamo
solo ad alcuni aspetti che sembrano rispondere in modo più diretto alla sete di verità e alla ricerca di
armonia del nostro tempo.
Percorrendo, con Bonaventura, l’itinerario verso la sapienza cristiana, si delinea un percorso
spirituale in diversi gradi descritti con immagini offerte dalle opere della creazione: non soltanto
non si trova opposizione tra aspetti razionali e di fede, ma è possibile vedere la profonda unità di
ragione e fede. Messe da parte le rappresentazioni che vorrebbero presentare Bonaventura come un
arido scolastico oppure come un mistico che arriva quasi a rinnegare la ragione, nella sua figura è
possibile incontrare invece un francescano e un santo che ha vissuto per primo quanto dice, e
comunica ancora, a chi vuole ascoltare, la gioia del pellegrinaggio alla sequela dell’unico Maestro e
Signore, Gesù Cristo. La vita di fede conduce all’armonia dello spirito, il pensiero dei maestri
medievali è orientato verso Dio e l’uomo si sente sempre pellegrino, è in cammino e non ha paura
di affrontare difficoltà e ostacoli pur di procedere verso la sua meta. E’ come se la fede cristiana,
che interessa ogni aspetto della vita conferendo un senso di unità e una speranza, divenisse luce che
attrae verso l’alto, e immagini di luce sono comuni anche a poeti, come Dante Alighieri, a filosofi e
a teologi. Per esempio, esiste una affinità profonda tra il percorso dell’anima descritto
nell’Itinerarium mentis in Deum (1259) di Bonaventura e il cammino della Divina Commedia. Una
stessa intuizione, la contemplazione gioiosa della bellezza e dell’ordine universale del creato –
nell’armonia della varietà e nell’unità profonda – è comune a molti pensatori medievali, nei quali
vive ancora il retaggio dello spirito di Sant’Agostino. L’idea di ordinamento perfetto, che è costante
filigrana di opere come l’Itinerarium, le Collationes in Hexaëmeron, la Divina Commedia, potrebbe
suonare per noi come qualcosa di freddo ed estrinseco, richiamarci a gerarchie e classificazioni che
ingabbiano la realtà. Ma questo ordine è da leggere piuttosto come armonia, un insieme di suoni in
cui tutto coopera ad ottenere un bel suono e ha una finalità precisa. L’armonia cosmica esisteva già
in origine, alla creazione del mondo visibile e invisibile, e ci sarà nuovamente alla fine dei tempi,
nella ricapitolazione di tutte le cose in Cristo. Per Bonaventura, come per i medievali, è sapiente chi
si rende sempre più consapevole di essere all’interno di un piano universale e, anzi, cerca con tutte
le forze segni e simboli adatti a divenirgli guida nel cammino. L’ordine non proviene dall’uomo,
non è una rete gettata sul mondo per conquistarlo e gestirlo, ritroviamo piuttosto un sempre
rinnovato invito della sapienza (anche personificata) a seguirla, ad iscriversi alla sua impegnativa
scuola. L’itinerario dell’uomo, sia quello proposto con linguaggio filosofico-teologico da
Bonaventura, sia quello descritto da Dante o da Agostino, appare a noi carico di simboli da
decifrare. Ma il mistero dell’incarnazione è la luce unica e rifratta in mille raggi che è all’origine del
disegno divino e che ne sarà l’ultimo compimento: nell’opera creativa c’è un abbassamento del Dio
che si dona e si lascia dire in molti modi, nella parola rivelata ascoltiamo poi, in lingue povere,
risuonare la verità indicibile, nell’uomo stesso ogni componente (memoria, intelletto, volontà)
rimanda al mistero trinitario e invoca il Salvatore. Non si rifiuta mai nulla del reale esistente - in
quanto potrebbe venir accusato di essere troppo terreno, umile, povero - ma, al contrario, si
contempla ogni cosa con sguardo riconciliatore, poiché Gesù Cristo ha assunto tutta la natura e tutto
per noi può essere segno del suo mistero. E, come nell’Itinerarium, siamo invitati anche noi a
percorrere un cammino reale, è un invito alla conversione e a quell’operazione che Bonaventura
chiama anche “rettificazione”, raddrizzare il nostro volere, rivolgere l’anima verso Dio con
speranza e gratitudine, decidersi per il cambiamento della vita. In effetti, spesso, non si considera
che le grandi opere filosofico-teologiche del medioevo non sono state scritte semplicemente come
manuali scolastici ma hanno un intento che noi chiameremmo “pastorale”, vogliono essere
un’esortazione ardente a rivedere la propria esistenza alla luce del Vangelo. Il cammino va dunque
raddrizzato, indirizzato al suo vero fine, ma la forza che fa muovere, che permette di andare avanti,
è la forza del desiderio. Anche se, con Bonaventura, ripercorriamo l’intero mondo creato e
contempliamo i principali misteri della fede, il suo intento non è però quello di descrivere la realtà o
di farne una “Summa” per possedere con la mente il tutto, ma è – al contrario – quello di guidare
l’intelligenza al suo vero Bene, sua unica gioia e realizzazione: l’accoglienza piena del Signore
Gesù, Verbo della vita. Il metodo usato è molto interessante e – per certi aspetti – attualissimo;
infatti non si tratta di superare una tappa lasciandosela alle spalle per procedere oltre, in quanto in
ogni passo fatto anche ciò che sta prima è salvato e vive. C’è qualcosa di “organico”, di simile allo
stile dei viventi, in questa capacità di recuperare ogni aspetto, da quello fisico dei sensi a quello
della ragione e dell’immaginazione, alla logica e alla metafisica. Il desiderio, orientato a Dio,
diventa affectus, affetto o amore, perché è chiaro, per Bonaventura, che solo con l’amore si può
rispondere all’amore di Dio rivelato in Gesù. Ecco perché ogni scienza è ricondotta alla teologia,
come egli vuole mostrare nella sua opera sintetica De reductione artium ad theologiam (1257). Il
vero sapiente, quindi, è un fedele che decide di indirizzare bene la forza dei desideri orientandosi
con una volontà ferma e con la sincera invocazione a Dio, che lo chiama. La dimensione
comunitaria, ecclesiale, anche quando non è richiamata esplicitamente, rimane sullo sfondo a
ricordare che – ancora come nell’Itinerarium – si tratta di un esodo, cioè di un cammino di
liberazione fatto con altri. L’importanza data al desiderio richiama subito la spiritualità di Francesco
d’Assisi, che – nella Regola bollata, al capitolo 10, nel contesto della ammonizione e correzione dei
frati – invita a fare attenzione che ciò che sopra ogni cosa devono desiderare di avere lo Spirito del
Signore e la sua santa operazione. Per Francesco il cammino di conversione evangelica nasce dal
desiderio. Nella spiritualità francescana resta forte l’orientamento a seguire il proprio desiderio
buono, la voce della volontà va dunque ascoltata ed assecondata. Piuttosto che la paura – spesso si
ha paura della forza dei desideri nella vita spirituale – prevale la fiducia, perché è chiaro che il Bene
maggiore attrae di più, con maggior forza ed è in grado di correggere e di guidare, di ispirare e di
accompagnare nel cammino. Questo è uno degli aspetti in cui possiamo meglio vedere la parentela
spirituale del francescanesimo con il pensiero di Sant’Agostino; per il grande dottore della Chiesa
l’amore è forza che muove, il cuore che ama non sa star fermo.
Anche quando Bonaventura vuole presentare in breve l’importanza centrale della sacra
Scrittura, nel Breviloquium (1257), indica il punto chiave, il frutto della sua ricerca, proprio come
“desiderio”. I desideri dei santi tendono all’amore della Trinità, a gustare infine il compimento di
ogni realtà vera e buona. E’ come una premessa, essenziale per il cammino seguente: si comincia
con il desiderare e intendere il fine della S. Scrittura, cioè l’unione gioiosa a Dio nella vita che non
ha fine, e poi viene l’esplorazione delle diverse dimensioni della Scrittura, nella sua ampiezza,
lunghezza, altezza e profondità. Tutta la teologia di Bonaventura è stata letta come maturazione e
sviluppo del desiderio e dell’amore verso Dio, e la teologia sarà tanto migliore quanto più vicina
alla sacra Scrittura. Quando, nella sua opera Gloria. Una estetica teologica, Hans Urs von Balthasar
si sofferma sul pensiero di Bonaventura, osserva che egli, considerando il cammino dell’anima
verso Dio in testi come le Collationes in Hexaëmeron (1273), non si rivolge tanto a quanti iniziano
il cammino della fede e neanche a quanti sono ormai nei gradi più alti dell’esperienza mistica, ma
parla a chi vive in una “zona intermedia” nella quale – oltre la fede – sono già attivi i sensi
spirituali, e chiama questa condizione “contemplazione sapienziale”.
L’oggetto della contemplazione sapienziale è il Logos, il Cristo mediatore che si manifesta
come Verbo increato, incarnato e ispirato. Il cristocentrismo bonaventuriano si declina in vari modi
nelle diverse discipline rivelandosi come sintesi ermeneutica definitiva e insuperabile. Le
applicazioni del principio cristologico si servono anche di procedimenti filosofici e di sillogismi
secondo la metodologia scolastica, come pure di citazioni bibliche di supporto che a noi possono a
volte suonare forzate o non conformi all’esegesi moderna. Volendo però superare questi ostacoli ed
entrare nei testi si scoprono moltissime immagini, sia originali sia in continuità con le opere dei
Padri antichi, le quali esprimono una sovrabbondanza non intimidita dalla struttura. Queste
espressioni non appartengono al passato di una scrittura “di scuola” o d’occasione, anzi possono
essere considerate come testi spirituali nei quali il linguaggio della ragione e quello della fede sono
in armonia completa. In questo senso non stanno alle nostre spalle ma ci stanno di fronte, come un
modello ed un invito per il futuro. Oggi, per certi versi, si assiste alla rinascita della tensione verso
un’esperienza personale dell’amore di Dio, offerta a tutti in Gesù per azione dello Spirito
santificatore. Anche per questo motivo la dottrina di Bonaventura è in realtà molto vicina e può
diventare una risposta e una via praticabile per la vita cristiana, trasfigurata ed arricchita di bellezza
e grazia. Una immagine ricorre tra le moltissime scelte dal Dottore serafico per esemplificare il suo
pensiero, quella di un giardino in cui ogni sentiero conduce all’albero della croce gloriosa, ogni
elemento: fiore, albero, fonte, pietra… è simbolo che rimanda a Dio, e noi ci sentiamo nuovamente
invitati ad entrare nel giardino e a percorrere con meraviglia e gioia questi sentieri di pace.
Chiara Alba Mastrorilli