File - AIA Barletta

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Con quale coraggio?
Riflessioni quaresimali per arbitri di calcio
Dal Vangelo di Luca, capitolo 19, 12-27
Vicino a Gerusalemme, Gesù disse una parabola. “Un uomo di nobile famiglia partì
per un paese lontano, per ricevere il titolo di re e poi ritornare. Chiamati dieci dei
suoi servi, consegnò loro dieci monete d’oro, dicendo: “Fatele fruttare fino al mio
ritorno”. Dopo aver ricevuto il titolo di re, egli ritornò e fece chiamare quei servi a
cui aveva consegnato il denaro, per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato. Si
presentò il primo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne ha fruttate dieci”. Gli
disse: “Bene, servo buono! Poiché ti sei mostrato fedele nel poco, ricevi il potere
sopra dieci città”. Poi si presentò il secondo e disse: “Signore, la tua moneta d’oro ne
ha fruttate cinque”. Anche a questo disse: “Tu pure sarai a capo di cinque città”.
Venne poi anche un altro e disse: “Signore, ecco la tua moneta d’oro, che ho tenuto
nascosta in un fazzoletto; avevo paura di te, che sei un uomo severo: prendi quello
che non hai messo in deposito e mieti quello che non hai seminato”. Gli rispose:
“Dalle tue stesse parole ti giudico, servo malvagio! Sapevi che sono un uomo severo,
che prendo quello che non ho messo in deposito e mieto quello che non ho
seminato: perché allora non hai consegnato il mio denaro a una banca? Al mio
ritorno l’avrei riscosso con gli interessi”. Disse poi ai presenti: “Toglietegli la moneta
d’oro e datela a colui che ne ha dieci”. Gli risposero: “Signore, ne ha già dieci!”. “Io vi
dico: A chi ha, sarà dato; invece a chi non ha, sarà tolto anche quello che ha.”
Racconto inedito di Pietro Moreschi
Lo capì mentre il suo corpo era in discesa libera.
Tra la sommità del faro da cui si era tuffato e l’acqua che lo stava aspettando.
Uscì immediatamente, si asciugò in fretta, spinse l’asciugamano nello zaino senza
piegarlo.
Percorse i 3 Km del braccio correndo.
Si infilò in macchina ed andò da lei.
Parcheggiò in doppia fila, suonò alla porta e si infilò in casa senza chiedere il
permesso.
“Vivevo senza mettermi in gioco.”
Gli occhi di lei erano sgranati, le sopracciglia inarcate verso l’alto.
Fin dalle prime partite, un arbitro si trova a prendere decisioni in contesti difficili. I
genitori attaccati al recinto di gioco, i dirigenti spesso nervosi e i calciatori tanto
giovani quanto aggressivi fanno subito capire all’arbitro – spesso ancora adolescente
– che dovrà tirar fuori tutto il coraggio che ha in corpo per prendere le decisioni
giuste.
Proprio il contesto spesso difficile in cui un arbitro è chiamato a decidere su
un’azione di una partita può essere un buon modo per allenarsi a prendere decisioni
su se stesso. Mi sembra, infatti, che molti miei coetanei – ed anche molti adolescenti
– trovino sempre più fatica a prendere decisioni che implicano un cambio di
orizzonte (quale facoltà scegliere dopo le scuole superiori? Quale lavoro dopo
l’Università?) così come quelle che ipotecano il futuro in modo definitivo (come la
scelta di sposarsi). La conseguenza è quella di ritrovarsi in un continuo peregrinare
tra facoltà e lavori differenti, in un susseguirsi caotico di esperienze inutili, senza la
volontà di decidersi veramente, di impegnarsi seriamente.
Similmente, molti si ritrovano impantanati in complicate situazioni affettive a causa
dell’incapacità di loro stessi o di altri di prendere una decisione.
Dalla sua attività un arbitro può capire che è necessario avere il coraggio di decidere,
perché il pericolo è quello di non vivere la propria vita, di lasciar scegliere gli altri o il
fato. Non ci si può far prendere la paura di sbagliare e può anche essere normale
pensare di aver sbagliato subito dopo aver preso una decisione. Quando si arbitra si
possono avere dei dubbi su una valutazione, anche quando si è fatto bene.
L’importante è saperla gestire, non farsi condizionare, non finire “in palla” e poi
sbagliare tutto. Ugualmente è nella vita: i timori vanno gestiti senza essere da essi
determinati.
Il brano di vangelo è uno dei più noti, è un invito ad investire i propri talenti, le
proprie capacità. I servi che vengono premiati hanno avuto il coraggio di scegliere un
investimento. Per essere felici è necessario buttarsi, rischiare. E’ come quando si fa
un tuffo. Prima si prende la misura della rincorsa e si controlla che sotto non ci siano
gli scogli. Poi si prendi la decisione, cioè ci si butta. Una volta staccato dalla roccia, e
sospeso in aria, non si può fare altro che cadere in acqua anche se è gelida o se sotto
c’è una pietra: in ogni caso ormai si è in gioco. Se però si sono prese bene le misure,
cioè si conosce bene la situazione, si sono valutati i consigli di persone di cui
abbiamo fiducia, non si ha niente da temere.
Amare significa sempre rischiare, affidarsi ad un’altra persona. Chi non ha il coraggio
di rischiare non riesce a prendere decisioni su se stesso, non riesce ad amare. Ecco
perché a chi ha sarà dato: chi ha il coraggio di prendere decisioni audaci, sarà
ripagato.
Come vedremo nelle prossime settimane, Gesù ci salva, cancella i nostri peccati, ci
apre le porte del Paradiso non semplicemente perché muore in croce, ma perché
decide di obbedire al Padre fino alla fine, fino alla sua crudelissima Passione. In
ultima analisi, dunque, è la sua decisione di essere obbediente che ci procura la
felicità.
Vi è però un altro punto importante: se i servi investono con disinvoltura è perché
sentono che il padrone ha fiducia di loro. Così, banalmente, un arbitro può avere
fiducia nelle sue capacità e non andare eccessivamente in ansia prima della partita,
sapendo che è stato scelto dal suo OT per questo. Ugualmente il cristiano può
trovare conforto nel fatto che nessuna situazione, anche quella che sembra più
difficile, va oltre le nostre forze. Nessuna scelta è più grande di noi.