alla casa uboldi una serata alla scoperta della nostra storia locale

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alla casa uboldi una serata alla scoperta della nostra storia locale
TALAMONA 23 aprile 2013 inaugurazione della primavera culturale
ALLA CASA UBOLDI UNA SERATA ALLA SCOPERTA
DELLA NOSTRA STORIA LOCALE, DELLA
MERAVIGLIA E DELL’INGEGNO
LA PRESENTAZIONE DEL PROGETTO “TALAMONA COME VUOI TOUR” E
L’INAUGURAZIONE DI UNA MOSTRA PER UNA SERATA INTERESSANTE E RICCA DI
CONTENUTI CHE NUTRONO LA MENTE, MA ANCHE IL CUORE
La primavera. La stagione del risveglio. Il risveglio della natura, della vita dopo un lungo
assopimento nei mesi invernali. Il risveglio delle coscienze di chi si scopre più ricco di energia e di
voglia di fare. E, perché no dunque, il risveglio della cultura, della voglia di andare alla scoperta di
cose che ancora non si conoscono oppure si conoscono poco. È con questo spirito che è nata
l’iniziativa della primavera culturale inaugurata questa sera alla casa Uboldi a partire dalle ore
20.30 con ben due eventi. Ad introdurre il tutto come sempre l’assessore alla cultura Simona Duca
che ha sottolineato come questa iniziativa sia nata in parte dalla volontà degli stessi talamonesi i
quali, in un sondaggio promosso mesi fa dalla biblioteca circa gli argomenti che si vorrebbe veder
trattati nel corso di serate ed eventi ha risposto: storia locale. Questo ci porta al primo evento di
questa sera, un evento perfettamente in linea con la volontà di risveglio e di scoperta evocato dalla
primavera, la presentazione di un progetto volto a riscoprire le nostre radici storico-culturali. Un
progetto intitolato TALAMONA COME VUOI TOUR che ha coinvolto i bambini della classe terza
A dell’istituto comprensivo talamonese coordinati dalla loro maestra Flavia e guidati dall’ormai
immancabile Lucica Bianchi, un progetto alla scoperta dei luoghi di Talamona che raccontano la
storia, la nostra storia locale, un progetto per capire che la storia non è una materia noiosa da
imparare solo sui libri, fatta di date ed eventi schematici, bensì un qualcosa di costantemente vivo
tutt’intorno a noi che dobbiamo solo imparare a guardarci intorno con maggiore curiosità e
consapevolezza. Un progetto che, a turno sono stati gli stessi bambini a presentare al numeroso
pubblico riunito questa sera, recitando, accompagnati da presentazioni di immagini, i testi che
riassumono i risultati delle loro appassionate ricerche.
Ca’ di Risch
Ha aperto le danze la piccola Paola con la presentazione della contrada Ca’di Risch (in italiano casa
dei ricci). La contrada Ca’ di Risch rappresentava una dimora rurale medioevale, in pietra; può
essere collocata tra il 1000 e il 1300 dopo Cristo. Al 1889 risale un documento che attesta la
compravendita di una parte di Ca’ di Risch per la somma di 600 lire dell’epoca. Il documento datato
27 ottobre 1889, ci è stato pervenuto da parte della signora Paniga Anna, residente a Talamona la
cui famiglia è stata una degli ultimi proprietari. In quella data,si legge nel documento, davanti al
notaio Cesare Besta, c’erano i componenti della famiglia Luzzi insieme al compratore, un certo
Giovanni Batista Luzzi fu Carlo. Conclusa la compravendita il notaio registrò l’atto a Morbegno il
primo novembre 1889. Colpisce molto la grafia, non è scritta a computer, ma con il pennino e non
ci sono macchie di inchiostro! Ca’ di Risch è stata ristrutturata e modificata nel 2000 quando la
famiglia Paniga l’ha venduta alla signora Licia Luzzi. Il primo pezzo di questa costruzione è
tuttavia ancora intatto e riporta particolari interessanti circa la sua costruzione. La pietra è ancora
quella originale; si possono vedere sulle porte e su alcune finestrelle gli architravi monolitici e i
piedritti in pietra. La presenza di contrade costruite interamente in pietra, con particolari tecniche di
lavorazione, fa supporre che a Talamona, o comunque nei paraggi, ci fossero dei maestri costruttori
che si trasmettevano di generazione in generazione i segreti per costruire muri in pietra. Nel 2000,
durante i lavori di ristrutturazione , sono state trovate le fondamenta e i muri di una costruzione
molto più antica di quella in superficie. Si può ipotizzare che siano i resti del vecchio castello
appartenente alla famiglia Ricci, da cui deriva appunto il nome della via. Il castello è andato
distrutto in un incendio prima dell’anno 1000. La gente del posto pensa che in uno scantinato del
castello ci sia ancora il tesoro del conte, mai trovato finora. La signora Licia, in un’intervista, ha
detto che ha provato a scavare in molti punti, ma che non ha mai trovato nulla.
La leggenda della Luisella
Ha proseguito poi la piccola Giulia con la leggenda della Luisella che a questa contrada è legata. A
Talamona, circa 1000 anni fa, dove nasce il torrente Malasca, c’era un castello abitato dalla famiglia
Ricci; era una famiglia ricchissima con una figlia di nome Luisella che passava le giornate a
pettinarsi e ripettinarsi. I conti Ricci andavano sempre a messa a Delebio, ma un giorno erano in
ritardo perché la loro figlia continuava a pettinarsi e ripettinarsi. Il prete di Delebio iniziò la messa
senza di loro. Quando il conte arrivò, ammazzò il prete perché non lo aveva aspettato. Per punizione
celeste, di notte scoppiò un incendio nel castello e morirono tutti i membri della famiglia. Vennero
ritrovati tutti i corpi, tranne però quello di Luisella, la figlia dei conti Ricci. Si dice ancora adesso
che, nelle notti tempestose, si vede lo spirito di Luisella danzare sui sassi del torrente Malasca.
Bisogna dire che in realtà esistono diverse versioni di questa leggenda. In una le sorelle erano due e
sono morte perché la casa era crollata loro addosso come punizione divina per essere rimaste a casa
a ballare anziché andare a messa. In altre versioni le sorelle sono addirittura tre. Questo è il bello
della cultura tramandata oralmente: ognuno dice la sua.
La Torre
La serata è proseguita con la piccola Elisa che ha parlato della Torre che da il nome alla via di
Talamona lungo la quale essa sorge. La Torre è un edificio medioevale, unica traccia rimasta di un
castello esistente probabilmente già prima dell’anno 1000. La Torre ha una struttura molto
semplice, con il tetto obliquo. Al piano terreno si trovano alcune stanze con il soffitto a botte,
mentre su un lato c’è una bella finestra trilitica. Sull’edificio accanto, di fronte al lavatoio, si può
vedere un esempio di bottega sulla via e un affresco con la Madonna incoronata dalla Trinità del
1700. Gli attuali proprietari della Torre sono i componenti della famiglia Cerri. Nell’anno 1029 una
coppia di coniugi chiamati Redaldo e Cesaria, detta anche Imilda, nobili e molto ricchi, vendettero
al vescovo di Milano, Ariberto Intimiano, il castello, le vigne, i boschi, i castagneti, il mulino e
anche una cappella che era certamente quella di Santa Maria, per 30 lire in denari d’argento. Questo
documento, scritto in latino su pergamena, è stato trovato nel monastero di san Dionigi di Milano e
oggi è custodito nell’archivio di Stato di Milano. Secondo questo atto di vendita, a quei tempi
Talamona si chiamava “Talamina”. L’affresco che si trova sulla casa adiacente la Torre, di fronte al
lavatoio, raffigura la Madonna incoronata dalla Trinità. Appartiene al 17° - 18° secolo. Al centro
c’è Maria che viene incoronata da Dio Padre, che si trova sulla destra e ha una mano sul mondo, e
da Gesù con la croce in mano. Sopra di loro si vede lo Spirito Santo con le sembianze di una
colomba. Non si sa chi è stato l’autore di questo affresco anche perché fino al 19° secolo i pittori
non erano soliti firmare le loro opere. Questi affreschi venivano commissionati dai proprietari a
pittori di passaggio e queste immagini sacre rappresentavano la risposta dei Talamonesi alla riforma
protestante che impediva la rappresentazione delle immagini sacre. Come ci mostrano le foto
all’interno della Torre, inciso su una parete si può vedere un cavallo, mentre in un’altra stanza c’è
ancora una vecchia culla con intorno un fiocco di stoffa e un tavolo ribaltato. Sempre all’interno il
soffitto di una stanza è ornato con bellissime decorazioni floreali così come il pavimento che appare
tuttavia molto rovinato. Al pian terreno si trovano alcune stanze con il soffitto a botte e alcune
finestre trilitiche. All’ultimo piano della Torre si possono vedere chiaramente le feritoie, finestre
larghe all’interno e strette all’esterno. Purtroppo non si può più entrare nella Torre perché l’interno
è pericolante, solo due stanze sono ancora abitate dai proprietari.
Palazzo Valenti
È stato poi il turno di Alessia e Anita con la presentazione di Palazzo Valenti. Casa Valenti è un
palazzo del 16° secolo, cioè del 1500. È appartenuto alla nobile famiglia Spini fino al 1837, quando
gli ultimi eredi, Giulio e Margherita, non ancora maggiorenni, lo cedettero a Giovanni Battista
Valenti. Nel 1999, grazie ad un accurato lavoro di restauro, si è potuto stabilire con certezza che gli
affreschi color del rame della facciata davanti rappresentano scene tratte dall’Orlando Furioso di
Ludovico Ariosto. Casa Valenti è un edificio a due piani; sulla facciata davanti si trovano appunto
gli affreschi cavallereschi dell’Orlando, mentre la facciata dietro è caratterizzata da un lungo
ballatoio in legno. Nel 1° riquadro della facciata si vede Ferraù, con in mano un lungo bastone, che
cerca l’elmo di Argalia nel ruscello; dall’acqua emerge proprio Argalia, ucciso da Ferraù, che
afferra il bastone. Al centro del 2° riquadro c’è una figura femminile con un’armatura: è
Bradamante che trattiene per le briglie un cavallo; sullo sfondo, in alto a destra, si nota il castello di
Atlante; da esso esce un cavallo alato, l’ippogrifo, montato da una persona. Nel 3° riquadro è
rappresentato un duello. I due sfidanti sono a piedi e incrociano le spade difendendosi con uno
scudo: sono Rinaldo e Sacripante, innamorati entrambi di Angelica. Sulla sinistra, al di là di una
pianta, si vede proprio Angelica che ne approfitta per scappare. La scena del 4° riquadro
rappresenta un duello fra due guerrieri a cavallo. A destra si vede Bradamante che con una lunga
spada trafigge Sacripante, colpito al petto e piegato all’indietro. Sullo sfondo potrebbero essere
rappresentati la chiesa di San Giorgio e il castello. Il 5° riquadro è un affresco molto deteriorato e
quindi poco leggibile; è rappresentato un duello fra due guerrieri a piedi, Ferraù e Orlando. Sullo
sfondo è disegnato, in piccolo, un cavallo cavalcato da Angelica in braccio al mago Atlante. Anche
il 6° riquadro è molto rovinato; si riconosce comunque Angelica che fugge da un cavaliere
appiedato. Lo sfondo della scena è un bosco. Il giardino è molto grande e tutto recintato da alte
mura; si trovano terrazzamenti, statue e vasi di pietra. Su un arco che va in cantina è incisa la data
1575. In un angolo, sotto il portico, si può ammirare una lunetta ad olio del pittore Giovanni
Gavazzeni, del 1905, che rappresenta Mario Valenti come angelo, morto a soli 15 anni. Le stanze
della servitù si trovavano al secondo piano, mentre i padroni di casa alloggiavano al primo piano. I
pavimenti delle stanze sono in pietra blu/nera. In una stanza si trova un grande camino con lo
stemma di famiglia; c’è pure un’armatura originale e una collezione di armi di vario tipo.
La leggenda di San Giorgio
A seguire la piccola Angelica ha raccontato la leggenda di san Giorgio e il drago. C’era una volta,
in Libia, un paese di nome Selem dove, in uno stagno, viveva un drago che uccideva le persone del
luogo. Gli abitanti, per calmarlo, gli davano due pecore al giorno. Quando le pecore cominciarono a
scarseggiare, gli abitanti di Selem decisero di offrire una pecora e un fanciullo estratto a sorte. Un
brutto giorno fu estratta la principessa Silene, ma il re si oppose e per la salvezza della figlia offrì
tutte le sue ricchezze. Il popolo però non accettò, allora la principessa si incamminò verso lo stagno.
Durante il percorso Silene incontrò un cavaliere di nome Giorgio che si fece spiegare l’accaduto. Il
cavaliere tranquillizzò la principessa e le disse di lanciare la sua cintura intorno al collo del drago
quando sarebbe stata davanti a lui. Silene obbedì e Giorgio afferrò il drago per la cintura e lo tirò
fino a Selem; poi disse agli abitanti che se fossero diventati cristiani lui avrebbe ucciso il drago, e
così fu.
La chiesa di San Giorgio
Questa leggenda è stata l’introduzione al luogo storico successivo, la chiesa di san Giorgio
raccontata da Diego e Melissa. La chiesa di San Giorgio risale al 1300. Il campanile è a vela ed è
alto più di 30 metri. Nel 1567, circa 200 anni dopo la sua costruzione, il campanile venne rialzato.
All’esterno della chiesa si trova un ossario contenente i resti degli antichi abitanti che fino al 1800
circa venivano seppelliti all’interno della chiesa. Sul portone d’ingresso si trova un rosone con 8
raggi che rappresentano l’infinito, infatti se si scrive il numero 8 non c’è mai fine. La famiglia
Massizi fu la prima a prendersi cura della chiesa e lo fece fino al 1630. Pietro Massizi era
conosciuto infatti come il frate di San Giorgio. Gli Zuccalli sostituirono i Massizi nella custodia
della chiesa e ne detengono la custodia tuttora. L’interno della chiesa è ad un’unica navata con ai
lati 2 cappelle. I pittori che nel 1570 hanno affrescato la chiesa sono stati Francesco de Guaita e
Abbondio Baruta. La cappella di destra è più recente, mentre quella a sinistra è dedicata a San
Lorenzo e venne costruita nel 1579. Accanto alla cappella, sulla sinistra, c’è un’iscrizione latina
dove si dice che sono state donate da un benefattore 500 monete d’oro per custodire la chiesa e fare
messa. Appena entrati, sulla sinistra, c’è un affresco del 1570 raffigurante l’Ultima Cena. Sulla
destra invece si trova l’ affresco di Sant’Antonio abate. Nell’altare maggiore è posta un’ancona
lignea che raffigura la Madonna con il Bambino in braccio; a destra è rappresentato Sant’Alberto
vescovo, mentre a sinistra San Giorgio con il drago ai suoi piedi. Il quadro è stato eseguito nel 1601
da Carlo Buzzi. In conclusione della descrizione della chiesa i bambini si sono concentrati sui
particolari dell’affresco dell’ultima cena. Al tempo di Gesù, prima di sedersi a tavola, bisognava
lavarsi i piedi perché le strade erano polverose e le persone calzavano sandali aperti. La cena
ebraica si svolgeva seguendo un rito che prevedeva 3 fasi: il QIDUSH o rito di santificazione, che
serviva da introduzione alla festa, poi la cena vera e propria ed infine la BINKAT HA-MAZON, il
rito della preghiera di ringraziamento, quando il pane viene spezzato e si consuma il terzo calice di
vino.
La leggenda delle ossa di San Giorgio
Alla chiesa di san Giorgio sono legate due leggende locali. La prima, quella delle ossa di san
Giorgio è stata raccontata dal piccolo Fabio. Le nonne raccontavano spesso una storia successa
tanto, tanto tempo fa. Alla sera le ragazze di San Giorgio si ritrovavano sul sagrato della chiesa per
ballare e fare festa. Le persone anziane del posto le sgridavano perché dicevano che bisognava far
silenzio e rispettare i morti dell’ossario. Una sera arrivarono dei giovanotti molto belli e le ragazze
li invitarono a ballare con loro. Ad un certo punto però la musica si fermò e dall’alto si udì
provenire una voce che diceva alle ragazze di ballare piano perché i morti avevano poca forza. A
mezzanotte infatti i ragazzi si trasformarono in un mucchietto di ossa e le ragazze scapparono
terrorizzate. Da allora nessuno ha mai più danzato o fatto festa vicino all’ossario di San Giorgio.
La leggenda del buco dell’anima dannata
La seconda leggenda, quella del buco dell’anima dannata, è stata invece raccontata dal piccolo
Simone a fine serata. C’era una volta un signore, che tutti chiamavano conte, molto ricco e molto
avaro, che abitava presso il castello di san Giorgio. Il conte faceva lavorare la gente nei suoi poderi
e teneva per sé la metà del raccolto. Un giorno sentì i contadini dire che volevano costruire una
chiesa. Per paura di perdere del denaro, decise di scappare: all’una di notte mise tutti i suoi soldi in
un baule e scappò. Lungo la strada inciampò e cadde in un buco con il suo prezioso carico. Gridò
per tutta la notte. Al mattino tutti gli abitanti di San Giorgio andarono a vedere che cosa fosse
successo e fecero un patto col conte: se lui gli avesse dato un po’ dei suoi soldi per la chiesa lo
avrebbero tirato su. Il conte non accettò e così sprofondò nella voragine. Si dice che ancora adesso,
nelle notti di luna piena, lo spirito del conte risalga dal buco per contare i suoi soldi.
La chiesa di San Girolamo
Prima di ascoltare questa leggenda la scaletta della serata prevedeva la descrizione della chiesa di
san Girolamo ad opera di Alice e Giovanni. La chiesa di San Girolamo si trova nella contrada di
Serterio Superiore e appartiene al 15° secolo. La forma della chiesa è semplice, a capanna, e il
campanile è a vela, cioè la campana si suona tirando una fune. Nel 1912 sono stati effettuati dei
restauri, che sono durati due anni, durante i quali è stato sistemato il pavimento e il tetto; il soffitto
della chiesa è stato interamente rifatto in legno. Nel 2009 ci si è occupati del drenaggio e delle
tubature che ormai non funzionavano più. Durante gli scavi si è scoperto un locale sotterraneo e
alcuni reperti archeologici. La chiesa di san Girolamo è stata dichiarata monumento nazionale. La
facciata esterna della chiesa è decorata con affreschi del 1577 dei pittori Francesco de Guaita e
Abbondio Baruta. Il portone d’ingresso è stato rifatto nel 1912; sopra di esso si trova un rosone con
8 raggi che rappresentano l’infinito. Le finestre laterali sono trilobate. A sinistra del portone si
staglia l’affresco più grande che rappresenta il gigante san Cristoforo che trasporta sulle sue spalle
Gesù che ha il mondo in mano. A destra c’è invece l’immagine di San Girolamo. Ai lati del portone
ci sono anche altri due affreschi , un po’ rovinati, che rappresentano San Michele e il vescovo
Mitria. Durante i restauri del 2009 sono state scoperte, accanto al rosone, le immagini di Adamo ed
Eva, cancellate non si sa bene il perché, negli anni passati. L’interno della chiesa è in stile romanico
- pisano, a una sola navata, con tre cappelle laterali. Sopra la porta d’ingresso è posta un’iscrizione
latina che riporta l’anno della consacrazione della chiesa, il 1464. Sulle pareti laterali si vedono i
quadri della Via Crucis che deve il suo nome al frate Rinaldo da Monte Crucis che intorno al 1298
si recò a Gerusalemme in pellegrinaggio, ripercorrendo le tappe del calvario di Gesù. A destra si
può ammirare il dipinto dell’Ultima Cena. Tutti gli affreschi sono opera dei pittori Francesco de
Guaita e Abbondio Baruta. Sull’arco trionfale si vede la figura di Dio Padre con dei putti in festa.
Al centro si staglia la crocifissione: ai piedi della croce troviamo Maddalena, Maria, San Giovanni e
san Girolamo. Sulla sinistra del presbiterio è raffigurata la Madonna con Gesù Bambino tra San
Rocco e San Sebastiano, mentre a destra è stata affrescata la morte del papa Damaso I. Sulle leserne
si possono vedere momenti della vita di san Girolamo. Sul soffitto a ogiva si trovano Matteo,
Marco, Giovanni e Luca dai cui racconti sono state tratte le immagini degli affreschi. San Girolamo
è stato il primo traduttore della Bibbia dal greco e dall’ebraico in latino. Fu il segretario del papa
Damaso I e per la sua attività di traduttore e per i suoi studi legati all’antichità viene considerato il
santo protettore dei traduttori e patrono degli archeologi. La sua ricorrenza cade il 30 settembre.
Viene spesso raffigurato con il leone, a cui tolse la spina dal piede, e con un teschio, simbolo di
penitenza, o una pietra con cui era solito picchiarsi al petto.
Pund la stiza
Alla chiesa di san Girolamo è legato un curioso rituale chiamato pund la stiza che è stato illustrato
da Giulia. Tanto tempo fa, il giorno di Pasqua, gli abitanti di Talamona si ritrovavano sul sagrato
della chiesa di san Girolamo per la messa. Prima di entrare in chiesa facevano il giro del piazzale
per abbandonare tutti i rancori, cioè la stizza, accumulati durante l’anno. Subito dopo i fedeli
entravano in chiesa ed assistevano alla messa pasquale. Sull’uscio, al termine della cerimonia, si
ripeteva sempre uno scambio di battute tra la gente di “ladent” e la gente di “lafò”. I primi dicevano
che la rabbia l’avevano accumulata e lasciata lì intorno alla chiesa per le persone che abitavano al
di là del torrente Roncaiola; gli altri rispondevano che avevano fatto bene, ma che potevano tenersi
tutti i rancori dato che il posto apparteneva a loro, i talamonesi che abitavano al di qua della
Roncaiola, dove sorgeva anche la chiesa, e aggiungevano che essi invece erano puri di spirito e non
ne avevano certo bisogno.
Introduzione alla seconda parte
Un progetto senza dubbio a dir poco interessante che i bambini (già di per sé in un certo modo icone
della primavera) hanno presentato con passione ed emozione e che è stato positivamente
commentato anche dal loro dirigente scolastico, Enrico Pelucchi, e dall’assessore all’istruzione
nonché ex apprezzatissima maestra, Ernestina Cerri. Un progetto che si trova anche su internet in un
sito curatissimo LA MITICA TERZA A al quale si può accedere digitando su GOOGLE il nome
dell’iniziativa e dal quale io stessa ho attinto i brani “storici” di questo articolo.
A seguire l’inaugurazione di una doppia mostra curata e allestita anch’essa da Lucica Bianchi, una
mostra che espone i libri più vetusti rari e preziosi tra quelli scovati negli archivi della biblioteca (o
frutto di donazioni temporanee di privati talamonesi) e al tempo stesso materiale che permette di
conoscere ed apprezzare la genialità sconfinata e universale del grande Leonardo Da Vinci, un
personaggio che, come ha detto Lucica Bianchi introducendo il suo lavoro, “più lo si studia più ci si
accorge che non si è mai finito di scoprirlo, che sono sempre più le cose che di lui rimangono ignote
rispetto a quelle che si riesce ad apprendere e capire”. Una mostra che tutti i presenti hanno potuto
apprezzare personalmente scendendo al piano terra della casa Uboldi per l’inaugurazione, potendo
così ammirare da vicino un grande tesoro di conoscenza. Libri rari e per la maggior parte ormai
introvabili perché fuori catalogo da tempo, più qualcuno rieditato più volte perché classico
intramontabile. Trattati di scienze, di storia, dizionari, una grammatica italiana, romanzi di disparati
generi e testi teatrali. In più una sala interamente dedicata a Leonardo da Vinci raccontato attraverso
pannelli esplicativi, libri, facsimili dei suoi quaderni di appunti e un cd rom dove si può giocare col
famoso CODICE ATLANTICO e coi macchinari in esso illustrati, materiale questo fornito
interamente dalla signora Lucica Bianchi. Una doppia mostra che si potrà ammirare dal 23 al 30
aprile negli orari di apertura della biblioteca, degnamente inaugurata nel corso di una serata
interessante ed oltremodo istruttiva.
Antonella Alemanni