Amare l`uguale. Filosofia dell`amore omosessuale
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Amare l`uguale. Filosofia dell`amore omosessuale
Amare l’uguale. La filosofia e l’amore omosessuale. Abstract* * Seminario condotto dal Prof. Mauro Trentadue presso il Centro di ricerca, formazione e consulenza filosofica di Milano il 27/10/2013. Questa trascrizione è dovuta a Marco Gaetani e conserva il preciso andamento del discorso parlato, ben lontano dal testo scritto. Il presente incontro nasce dall’esigenza di andare oltre gli orridi chiacchiericci che ingorgano la cronaca, i vaniloqui che risuonano su facebook e i luoghi comuni vittoriani che ancora tappezzano le menti di certi politici italiani. La filosofia, da millenni, ha posto l’amore (e la questione dell’amore per l’uguale) al centro delle proprie interrogazioni; per questo motivo, porsi in ascolto delle voci dei filosofi, mai come in questo caso, significa orizzontarsi meglio anche nella nostra quotidianità, saper meglio respingere il qualunquismo pervasivo che disturba le nostre condotte esistenziali. Per iniziare a sfatare i luoghi comuni ci serviremo, all’inizio del nostro percorso, del pensiero di Theodor Adorno. Theodor Adorno Adorno inizia a smantellare alcuni luoghi comuni, il più stabile è quello secondo il quale l’Illuminismo abbia portato solo vantaggi. Il nostro pensatore scrive, insieme a Max Horkheimer, che non bisogna considerare l’approccio illuministico universalmente positivo. Adorno scrive i Minima Moralia, in cui continua a dare corpo alla sua posizione irriverente nei confronti dell’Illuminismo, inteso come baluardo della filosofia occidentale. Adorno, nel contestare l’Illuminismo, discute il tema dell’intolleranza. Voltaire ha generato un’idea di tolleranza dietro cui tutta la società europea si è formata. Voltaire ha preso posizione a favore del concetto di tolleranza, intesa come apertura mentale e politica (dunque pubblica) nei confronti della relatività degli approcci del pensiero. Adorno ci invita a prestare attenzione ad un doppio fondo nascosto nel concetto di tolleranza. Se io tollero il diverso, spiega Adorno, lo faccio a partire da un presupposto, che è quello dell’esistenza di un modello. Adorno dice che l’idea di tolleranza è universalmente accettata, ma il problema è che in questa grande conquista non si dice ciò che è sottaciuto, cioè l’affermazione della presenza di un modello unico in base a cui tolleriamo il diverso. È uno snodo epistemologico e dal contenuto etico: noi non possiamo affermare di essere felici in una società in cui ci limitiamo a tollerare chi è diverso, perché noi dovremmo essere felici di non avere dei modelli in base ai quali giudicare chi è uguale e chi diverso. La società verso cui Adorno vorrebbe mirare è quella in cui non si possa dire che devo tollerare chi è diverso, perché il concetto stesso di diversità sarebbe abolito in quanto allusivo ad un modello univoco. Lettura da Minima Moralia: <<l’argomento corrente della tolleranza, per cui tutti gli uomini, tutte le razze sarebbero uguali, è un boomerang, in quanto si presta alla facile confutazione dei sensi; e anche la dimostrazione antropologica più rigorosa che gli ebrei non sono una razza […] L’utopia più astratta sarebbe troppo facilmente conciliabile con le tendenze più mefistofeliche della società. Che tutti gli uomini si somigliassero, è proprio ciò che vorrebbe. […] Una politica cui questo [ovvero la vera libertà nel rispetto delle differenze] stesse veramente a cuore, non dovrebbe propagare – neppure come idea – l’astratta uguaglianza degli uomini. Dovrebbe, invece, richiamare l’attenzione sulla cattiva uguaglianza di oggi, sull’identità degli interessi dell’industria cinematografica e dell’industria bellica, e concepire uno stato di cose migliore come quello in cui si potrà essere diversi senza paura. Quando si attesta al negro che è perfettamente identico al bianco, mentre di fatto non lo è, gli si fa, in segreto, ancora una volta torto. Lo si umilia amichevolmente confrontandolo a un criterio rispetto al quale, sotto la pressione del sistema, si rivelerà necessariamente inferiore: e mostrarsi alla sua altezza sarebbe un merito assai dubbio>>. [pp. 114-115] Per totalitarismo si intende, dunque, l’univocità del modello. Adorno usa parole di una rilevanza cruciale: l’obiettivo sarebbe quello di una società di diversi senza paura. Non dobbiamo, peraltro, pensare che il nostro attuale modello conformistico di famiglia sia davvero l’esito dell’applicazione di una sorta di universale etico cui l’uomo si sarebbe sempre conformato. I comportamenti eticamente raccomandabili sono molto variati nell’arco dei secoli. Così anche lo stesso concetto di amore secondo natura ha mutato forma e aspetto ad ogni angolo della storia. Per convincercene iniziamo ad ascoltare la testimonianza di Plutarco Plutarco Ha scritto Amatorius, tradotto in italiano Sull’amore. È un dialogo dedicato all’amore, collocato dai medievali – per indecisione – nei Moralia, testi morali. Si racconta di un simposio nel quale i convitati, secondo il modello platonico, dibattono attorno alle questioni d’amore. Il tema principale è il seguente: un giovane e avvenente ragazzo è insidiato sessualmente da una vedova di una certa età. Allo stesso tempo egli è corteggiato da altri individui di sesso maschile. Nel dialogo ci sono convitati che sostengono la convenienza dello sposare la vedova e altri che esaltano la possibilità dell’amore omosessuale. Plutarco è un autore greco del secondo secolo d.C., quando la Grecia si è ormai romanizzata. L’autore dell’Amatorius è eterosessuale ma non condanna né contesta l’amare l’uguale. Così, ancora nel secondo secolo d.C., il libero esercizio della propria sessualità non è ancora stato surgelato nell’ondata formalistica del Cristianesimo. Ma ascoltiamo ora le parole di Plutarco che, nell’Amatorius, scrive: <<Non si capisce perché colui che ama la bellezza della specie umana non dovrebbe essere sensibile alle qualità di entrambi i sessi, e fare differenze tra gli amori maschili e femminili, come fra gli abiti portati dai due sessi>>. [p. 95]. Come si vede, dunque, Plutarco considera entrambi gli amori su un piano di uguale dignità. I greci erano equilibrati nell’indicare le possibilità degli amori umani. Gli adolescenti erano i più corteggiati dagli uomini adulti. Il rapporto omosessuale, diversamente da come accadrà mondo romano, come vedremo tra poco, è visto con favore anche dalla polis, per la possibilità del ragazzo di apprendere dall’adulto ciò che lo aiuterà a diventare cittadino. Allo spuntare dei peli, però, la passione degli adulti verso i ragazzi, iniziava ad affievolirsi. Per questa ragione gli adolescenti, per procrastinare il più possibile questo momento, ricorrevano, per togliersi i peli, anche allo strigile, uno strumento simile ad un ferro di cavallo che si può ammirare in molti musei greci. Plutarco, però, cita l’esempio di Euripide, che amava il bell’Agatone anche con la comparsa della barba, dicendo che “nelle persone belle, è bello anche l’autunno”. È notevole come Plutarco, convinto sostenitore dell’amore eterosessuale, abbia trovato lo spazio in un dialogo per parole del genere. Catullo Catullo è noto soprattutto per l’amore per la sua amata Lesbia. Come ricorda però Eva Cantarella in Dammi mille baci, il celebre poeta amò tanti ragazzi. La grande studiosa ci ricorda come i Romani fossero educati, sin dall’infanzia, a prevalere sull’altro, ad essere i dominatori del mondo. Questo è molto importante per capire la sessualità di tipo predatorio che li riguarda e con la quale si identificano. Con assoluta normalità, quindi, il pater familias, aveva molti passatempi, come ad esempio avere rapporti sessuali con i suoi schiavi. Anche nel momento in cui gli schiavi fossero – ad esempio diventati liberi, era loro dovere morale soddisfare le pretese sessuali dell’ex padrone. Il padrone romano viveva il sesso come attestazione del suo grande potere, indipendentemente dal fatto di farlo con una donna o con un uomo. Diamo ora uno sguardo al Carme 56 di Catullo: <<Un caso curioso, o Catone, e divertente, degno delle tue orecchie e delle tue risate! Ridi, o Catone, se porti amicizia a Catullo: è un caso curioso e divertente anche troppo. Ho sorpreso poc’anzi un ragazzino mentre penetrava Una ragazza; e io col consenso di Dona, in carovana, con la mia rigida lama l’ho trafitto da dietro>>. Friedrich Nietzsche Nietzsche è stato un grande grecista. Egli, di fronte all’omosessualità, nonha assunto alcuna posizione di preconcetta opposizione, come invece fa il suo maestro Schopenhauer. Quest’ultimo dice che quando l’uomo si accoppia con la donna, lo fa per mantenere l’idea platonica, dunque l’archetipo della specie. L’accoppiamento è visto come un modo per perpetuare la Volontà. Quindi, per il filosofo di Danzica, l’amore e l’atto sessuale non sono altro che squallidi mezzucci manovrati dalla universale e irrazionale Volontà. Secondo Schopenhauer, poi, l’amore omosessuale, non essendo finalizzato alla procreazione, non è altro che un éscamotage della Volontà per far accoppiare tra loro gli inadatti alla perpetuazione della specie, i difettosi rispetto all’archetipo che la Volontà vorrebbe eternare. Nietzsche, che pure molto apprezzava il pensatore de Il mondo come volontà e rappresentazione, non lo segue più su questo punto. Egli scrive: <<La civiltà greca del periodo classico è una civiltà di uomini. Per ciò che concerne le donne, Pericle nel discorso funebre dice tutto con le parole: esse sono le migliori quando fra gli uomini si parla di loro il meno possibile. I rapporti erotici degli uomini coi giovani erano, in grado non accessibile alla nostra comprensione, il necessario e unico presupposto di ogni educazione virile (pressappoco come per lungo tempo da noi ogni superiore educazione delle donne si ebbe solo attraverso il fidanzamento e il matrimonio): tutto l’idealismo della forza della natura greca si riversò su quei rapporti e probabilmente i giovani non sono mai più stati trattati così attentamente, amorevolmente, con un così assoluto riguardo al loro bene (virtus) come nel sesto e quinto secolo – secondo il bel detto di Holderlin “poiché amando il mortale, dona il meglio” >>. Meleagro di Gadara Nella Grecia antica si assiste, nel campo amoroso, alla realizzazione di una società in cui si possa essere uguali e senza paura. Ve ne è testimonianza nei poeti erotici nell’Antologia Palatina. I poeti di epoca classica vengono inseriti - in epoca più tarda in Antologie sul tipo di quella palatina sulla base del piacere personale del compilatore. Così ci arrivano, fra le altre, le parole d’amore di Meleagro di Gadara, che raccontano dell’amore del poeta per lo splendido Timario. Meleagro, dunque, racconta, senza pudori, l’emozione di amare l’uguale. <<E’ il tuo bacio un vischio, di fuoco gli occhi, Timario: se guardi bruci, e come tocchi, leghi>>. [Antologia Palatina, p. 27] Aristippo di Cirene Outsider per eccellenza, il più eccentrico nella cerchia dei primi uditori di Socrate, Aristippo di Cirene splende nel firmamento dei filosofi antichi anche per i suoi costumi sessuali apertamente provocatori. A proprio agio anche tra le etére, Aristippo è affrescato in una immagine che ci permette di apprezzare tutto il suo spessore, specialmente a confronto con Platone. Le fonti attestano che Platone e Aristippo fossero nello stesso momento da Dionigi, tiranno di Sicilia. Plutarco racconta così quel momento: <<Aristippo, giunto da Dionigi, tiranno di Sicilia, eccelleva nell’arte del bere e nella danza, avvolto in una veste di porpora. Platone – quando gli fu portata la veste – declamò i versi di Euripide: “Mai potrei indossare veste di donna/io che per natura sono maschio e di stirpe virile”. Al che Aristippo, presa la veste e ridendo di gusto, proclamò i seguenti versi dello stesso poeta: “Anche durante i riti di Dioniso/la mente – quella sapiente – non sarà certo corrotta”>>.1 Teognide Veniamo ora ad un poeta lirico greco passato alla storia come cantore dell’amore omosessuale. Teognide ha scritto un libro per il suo amato Cirno: è, però, un amore infelice. Teognide si lamenta con Cirno del fatto che vorrebbe averlo tutto per sé. Per Teognide questa condotta quasi ossessiva nei confronti del suo amato è oggetto di poesia. Per l’autore amare l’uguale, anche in questo caso, non genera alcun problema. Egli scrive: <<Ah ragazzo, ascoltami. Hai vinto il mio cuore. Vorrei che tu ti convincessi, e che io ti piacessi>>. [Libro di Cirno, vv.1235-36] <<Ah ragazzo, ti cerco, t’inseguo e tu scappi, Fino a quando? Finisse questo sdegno! Tu scappi col cuore tuo pazzo e superbo, con la maligna anima del nibbio. Fermati, dammi pace. Non li godrai a lungo I doni della Dea cinta di viole>>. [vv. 1299-1304] In questi versi Teognide vuole dire a Cirno che invecchierà pure lui, e che quindi è il caso di stare in una coppia fissa. Per un maggiore approfondimento, si veda M. Trentadue, Introduzione al pensiero di Aristippo, NovaLogos editore, Aprilia, 2013. 1 <<La voglia d’un ragazzo finché si aspira alla meta E’ amara e dolce, seducente e dolente, e se si conclude è dolce: se no, per chi la persegue, è dolorosa come nessuna cosa, Cirno>>. [vv. 1353-56] Il contesto in cui vive Teognide ci fornisce lo spunto per descrivere brevemente la condizione femminile in Grecia; la donna condivide la polis greca con il marito, ma non invade lo spazio pubblico. Non delibera sulla sfera politica ma ne è informata e ne è in qualche modo partecipe. L’uomo, viceversa, non si cura delle cose che succedono in casa; in questo ambito la donna è autonoma, spesso risoluta e si pone col marito su un piano di relativa uguaglianza. Questa bipartizione della sfera della vita activa, secondo la quale ciò che è politico spetta al maschio, mentre ciò che è domestico alla donna, è anche il presupposto di tante commedie di Aristofane, peraltro illuminanti sulla condizione della donna nella Grecia d’età classica. L’espediente comico frequentemente utilizzato da Aristofane si struttura proprio su questo presupposto; dunque – ad esempio – il commediografo fa andare le donne al Palamento, a decidere sulla cosa pubblica con maggiore efficacia di quanto facciano gli uomini.