n.4 -2002 - Istituto Nazionale Revisori Legali

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n.4 -2002 - Istituto Nazionale Revisori Legali
S
O
IL GIORNALE DEL REVISORE
DIRETTORE
DI REDAZIONE
Virgilio Baresi, Agostino Basso, Gianluigi
Bertolli, Modesto Bertolli, Andrea Boreatti,
Gaetano Carnessale, Giovanni Battista
De Muzio, Paolo Fontana, Giandomenico
Genta, Andrea Mastroianni, Santino
Mazzilli, Antonio Mirone, Massimo Pollini,
Ubaldo Procaccini, Giuseppe Sanfilippo,
Gaetano Scognamiglio, Michele Simone,
Mario Tonucci
COMITATO
SCIENTIFICO
Antonino Mirone, Mario Tonucci, Antonio
Preto, Ernesto Currili, Angelo Deiana,
Michele Del Castello, Alberto Cioni, Nicola
Tonveronachi
HANNO COLLABORATO A QUESTO NUMERO
Francesco Arcadio, Roberto Belotti,
Giacomo Bertocchini, Gianluigi Bertolli,
Giuseppe Castronovo, Michele Del Castello,
Serenella Di Donato, Michele Di Maio,
Agostino Galeone, Domenico Napolitano,
Achille Pellenghi, Ubaldo Procaccini
EDITORE
Istituto Nazionale Revisori Contabili
Via Zuretti, 39 - 20125 Milano
REDAZIONE
Via Zuretti, 39 - 20125 Milano
Tel. 02/67.38.311 r.a.
Fax 02/67.38.31.26 - 02/67.38.31.24
E-mail: [email protected]
3
LA RESPONSABILITÀ RICHIEDE ANCHE UMILTÀ
Modesto Bertolli
5
INTERESSI MORATORI PER RITARDATO PAGAMENTO
Agostino Galeone
PUBBLICITÀ
Istituto Nazionale Revisori Contabili
STAMPA
Arti Grafiche Amilcare Pizzi SpA
Via Amilcare Pizzi, 14
20092 Cinisello Balsamo (Mi)
R
I
O
Editoriale
10
COSTI DEDUCIBILI DA OPERAZIONI CON IMPRESE NON RESIDENTI
Roberto Belotti
16
NEL PROCESSO TRIBUTARIO LE PARTI SONO INDIVIDUATE DALLA LEGGE
Michele Del Castello
19
COMPATIBILITÀ TRA T.O.S.A.P. E CANONE CONCESSORIO
Michele Di Maio
22
REVOCA O ANNULLAMENTO DELL’ATTO IMPUGNATO: “PAGA IL RICORRENTE”
Francesco Arcadio
27
ONLUS: “GESTIONE DI UNA CASA DI RIPOSO PER ANZIANI”
Gianluigi Bertolli
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COSTITUZIONE IN GIUDIZIO: “IMPOSSIBILE L’UTILIZZO DELLE POSTE”
Domenico Napolitano
31
REVOCABILE L’AMMISSIONE DI CONCORDATO PREVENTIVO
Serenella Di Donato
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A NAPOLI UN CONVEGNO SUL FALSO IN BILANCIO
Ubaldo Procaccini
35
TRASMISSIONE TELEMATICA E FIRMA DIGITALE
Achille Pellenghi
37
LETTERE
a cura della redazione
40
FORTE INIZIATIVA A DIFESA DEL REVISORE CONTABILE
a cura della Segreteria generale
41
I QUESITI DEI LETTORI
a cura dell’I.N.R.C.
42
ACCERTAMENTI DELLE ENTRATE E IMPEGNI DI SPESA
Giacomo Bertocchini
43
RIELEGGIBILITÀ DEL REVISORE NEGLI ENTI LOCALI
Giuseppe Castronovo
45
SPECIALE
a cura del Centro Studi Enti Locali
ART DIRECTOR
Laura Arcari
IMPAGINAZIONE
Kappadue srl
A
IL GIORNALE
DEL REVISORE
EDITORIALE
Angelo Stradiotti
COMITATO
M
GR
RESPONSABILE
Enrico Sassoon
COORDINAMENTO
M
Registrazione Tribunale di Milano
n. 9 del 15 gennaio 2001
NUOVA SERIE ANNO XXVI - NUMERO 4
Spedizione in abb. post. 45% - Art. 2
Comma 20/B legge 662/96 - Milano
La redazione si riserva di modificare e
abbreviare i testi originali. Gli articoli
firmati rispecchiano il pensiero degli autori.
Studi, servizi e articoli de “Il Giornale del
Revisore” possono essere riprodotti
purché ne sia citata la fonte.
ISTRUZIONI PER GLI AUTORI
I lavori non devono superare le 11.600
battute. I lavori dovranno essere inviati
alla redazione di Milano: Via Zuretti, 39
preferibilmente per e-mail utilizzando
un formato Word per Windows (MS-DOS
o Macintosh) a questo indirizzo:
[email protected]
GARANZIA
DI RISERVATEZZA
Il trattamento dei dati personali che riguardano il
destinatario viene svolto nel rispetto di quanto
stabilito dalla legge 675/96 sulla tutela dei dati
personali. Il trattamento dei dati è effettuato al fine
di aggiornare il destinatario su iniziative e offerte
dell’editore. I dati non saranno comunicati o diffusi a
terzi e per essi il destinatario potrà richiedere, in
qualsiasi momento, la modifica o la cancellazione.
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
Lettere
Notizie associative
Il parere dell’esperto
Enti locali
Il revisore negli Enti locali
IL GIORNALE
DEL REVISORE
CONVENZIONI ASSICURATIVE 2002
R.C. AUTO E AUTO RISCHI DIVERSI
L’Istituto Nazionale Revisori Contabili e il gruppo SAI - compagnia Azzurra Assicurazioni
per il tramite di B&S Insurance Brokers & Services - hanno stipulato
una convenzione in esclusiva per tutti i Revisori Contabili
a condizioni vantaggiosissime ed appositamente scontate per i Revisori.
Possono aderire:
Revisori in attività e in pensione, coniugi,
figli, dipendenti/collaboratori dello studio
Per aderire:
(preventivi ed
emissione contratti)
Call Center dedicato
numero verde 800.996.690
dal lunedì al venerdì dalle 9.00 alle 19.00
R.C. PROFESSIONALE
Rimane in vigore anche per il 2002 l’accordo con i Lloyd’s
per la copertura dei rischi professionali a condizioni invariate
Rischi assicurati:
TUTTI i rischi professionali
Per aderire:
rivolgersi agli uffici B&S (in calce)
COPERTURE
INFORTUNI, SANITARIE, VITA
A condizioni estremamente favorevoli per tutti i Revisori in attività ed in pensione,
familiari, dipendenti e collaboratori
Rischi assicurati:
Morte, invalidità permanente, invalidità permanente
da malattia, invalidità temporanea, diaria da infortunio
e malattia, spese mediche, vita puro rischio
Assicuratori:
Chubb, Lloyd’s
Per aderire:
rivolgersi agli uffici B&S (in calce)
UFFICI DEL GRUPPO B&S IN ITALIA
MILANO
Via Turati, 38
20121
Tel. 02.65 55 754
Fax 02.65 99 941
e-mail:
[email protected]
PADOVA
P.zza De Gasperi, 12
35131
Tel. 049.87 50 990
Fax 049.87 50 974
e-mail:
[email protected]
UDINE
Via Maniago, 2
33100
Tel. 0432.47 04 57
Fax 0432.47 95 29
e-mail:
[email protected]
GENOVA
Via S. Luca,12/54
16124
Tel. 010.24 72 488
Fax 010.24 72 514
e-mail:
[email protected]
MARINA DI CARRARA
V.le da Verrazzano,13
54036
Tel. 0585.63 11 14
Fax 0585.63 41 21
e-mail:
[email protected]
ROMA
Via F. Mengotti, 45
00191
Tel. 06.32 97 654
Fax 06.32 97 769
e-mail:
[email protected]
UFFICIO CORRISPONDENTE: BROLO (Me) • 98061 Via Mazzini, 4 • Tel. 0941.56 25 27 • Fax 0941.56 25 28 • e-mail: [email protected]
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D
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A
L
E
La responsabilità
richiede anche umiltà
Il rientro dalle ferie rappresenta un po’ l’apertura dell’anno
solare accomunando in sé il distacco temporaneo dalla comune
attività e la quasi nostalgia ad un
rientro inconsciamente albergante nel nostro io come un desiderio inappagato.
Comporta qualche fatica staccarsi da un mondo diverso incapace di soddisfare le nostre abitudini nelle faccende quotidiane
delle quali portiamo a volte come un peso stressante che a pur
breve distanza di tempo ci manca, ci disorienta e guarda caso
non ci appaga.
Dimostrato quindi che l’uomo mai trova tutto ciò che vorrebbe, non certo per colpa del
mondo che lo circonda ma perché vittima di inquietudini molteplici e pressanti destinate a
portarlo all’ostinata ricerca di
qualche cosa che l’umana convivenza non offre.
È in questa illusione che trascorre i suoi giorni su questo pianeta convinto di essere in possesso di quella felicità alla quale
ogni essere umano agogna e che
lo aiuta a raggiungere l’apice della sua esistenza nella credenza
conforto dell’illusione di aver
raggiunto la meta agognata.
Ciò dovrebbe bastare a fare
capire quanto sia appagante la
reciproca umana comprensione,
il sapersi capire, tollerare, collaborare, amare il prossimo che ci
circonda esso stesso vittima di
un comune destino non certo
entusiasmante ma reso vivibile
dall’umana comprensione delle
reciproche debolezze.
È ciò che io auguro ai miei colleghi perché capiscano che nessun
privilegio differenzia l’uomo dal
suo simile per cui il senso di solidarietà è l’unico vero antidoto ad
un destino comune immodificabile ma sicuramente reso vivibile
dall’umana solidarietà.
E ai miei colleghi che come
me hanno l’onere di responsabilità direttive in organismi di categoria vorrei ricordare che la
nostra opera è tanto più al servizio di chi rappresentiamo quanto più sapremo essere umili nell’espletamento delle pesanti responsabilità che incombono sull’alto ruolo che ci è stato affidato, di cui dobbiamo essere degni
mettendoci al servizio della categoria rappresentata, di quanti la
3
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
Modesto Bertolli
Presidente
dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili
costituiscono, di tutti gli organismi con i quali esistono ruoli di
rappresentanza partecipativa.
Solo così dimostreremo di
aver capito fino in fondo che il
ruolo dei primi è la capacità di
valutare il pregevole stato di chi
sa essere ultimo.
I grandi del passato infatti insegnano. Seneca sosteneva:
“Nullius boni sine socio iucunda
possessio”. Cioè a dire: “Il possesso di nessun bene è dolce se non
è condiviso”.
Modesto Bertolli
IL GIORNALE
DEL REVISORE
DOMANDA DI ISCRIZIONE
Io sottoscritto................................................................................................................ nato a ............................................................
Cod. Fisc. .................................................................................... Partita IVA ....................................................................................
residente a ............................................................................................................................. CAP.....................................................
Via/Piazza .................................................................................................................................................... Civ. ..............................
Tel. ........./ ........................... Fax ........../ ...................................... E-mail .........................................................................................
con studio in.................................................. Via/Piazza............................................................................... Civ. .............................
I N V I A R E V I A FA X O S P E D I R E A L L A S E D E D I M I L A N O (Scrivere possibilmente in stampatello)
Tel. ........./ ........................... Fax ........../ ...................................... E-mail .........................................................................................
iscritto nel Registro dei Revisori Contabili di cui al D.Lgs. 27.01.1992, n° 88
dal ......................................... con D.M. .................................... (G.U. n° ........ del .................................)
chiedo
di essere iscritto all’Istituto Nazionale Revisori Contabili dichiarando di conoscere e accettare incondizionatamente le norme dello Statuto dell’Istituto. Conseguentemente
mi obbligo al pagamento sia della quota di iscrizione “una tantum” sia della quota annuale, e mi impegno di assolvere all’obbligo di detti pagamenti finché non cesserò di
appartenere all’Istituto per dimissioni volontarie o per altra causa statutariamente disciplinata.
Dichiaro infine che “l’attestato di iscrizione”, “il timbro nominativo” e la “Tessera Personale di riconoscimento” - che potranno essermi forniti - sono di proprietà
dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili e dovranno essere da me restituiti all’Istituto stesso a semplice richiesta, nel caso di cessazione della mia appartenenza all’Istituto ai sensi dell’art. 6 dello Statuto Sociale e ciò a partire dalla data di cessazione.
Data ........................................................
(firma autografa)
In ottemperanza alle prescrizioni della legge n. 675/1996, Vi autorizzo espressamente a inserire le informazioni contenute nel presente modulo nel database informatico, conservato presso la sede di Milano, degli
Iscritti all’associazione, che potranno chiederne la consultazione. Autorizzo l’utilizzo delle sole informazioni strettamente attinenti l’esercizio della professione, nel contesto di pubblicazioni e materiale divulgativo di
varia natura, finalizzati a promuovere l’attività dell’Istituto e a diffonderne la conoscenza tra i soggetti con i quali l’Istituto stesso intrattiene rapporti utili per il raggiungimento dei propri scopi statutari.
firma
QUOTE ASSOCIATIVE
- Quota iscrizione “una tantum”
RIMBORSI DAI SOCI PER SERVIZI (franco destinatario)
e 26,00 =
(solo all’atto dell’iscrizione) comprensiva
dell’attestato nominativo (1 copia)
e 130,00 =
- Quota associativa annuale
comprensiva della Tessera di Riconoscimento
- Timbro nominativo preinchiostrato con il logo dell’INRC
- Distintivo in oro 750
(diam. mm. 18)
- Distintivo in oro 750
(diam. mm. 12)
- Medaglione argentato
(diam. mm. 70)
- Medaglione in bronzo
(diam. mm. 70)
- Attestato nominativo
(mm. 420x295)
(diam. mm. 37) e
e
e
e
e
e
52,00 =
77,00 =
37,00 =
26,00 =
24,00 =
26,00 =
TESSERE DI RICONOSCIMENTO DELL’ISTITUTO
Le tessere di riconoscimento rilasciate agli associati verranno corredate dalla foto del titolare. Gli associati dovranno far pervenire alla Sede dell’Istituto due fotografie formato tessera a colori allegando fotocopia di un documento di identità personale, in corso di validità, munito di fotografia. Il numero e la data di scadenza
della tessera andranno sempre riportati nelle comunicazioni con l’Istituto.
RIEPILOGO VERSAMENTI QUOTE E RIMBORSI
❏ Quota associativa
❏ Rimborso spese timbro nominativo
❏ Quota iscrizione “una tantum”
❏ Rimborso spese distintivo
❏ Rimborso spese successivi attestati
❏ ...............................................
Versamento di e .............................. effettuato in data .............................. sul c/c n. 952140 della Banca Popolare di Crema (ABI 05228 - CAB 01660).
Si prega non utilizzare altre forme di pagamento.
4.2002
INTERESSI MORATORI
PER RITARDATO PAGAMENTO
l
a direttiva in oggetto evidenziata, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee
L 200/35 dell’8 agosto 2000, al
fine di tutelare direttamente le
imprese ed indirettamente i posti
di lavoro all’interno delle Comunità europee, ha sancito il principio dell’automatismo della corresponsione degli interessi di mora
allorché il prezzo riferito ad una
fornitura di beni o ad una prestazione di servizi sia pagato oltre il
relativo termine stabilito contrattualmente o per legge.
Tale direttiva, pur non essendo
state emanate dall’Italia, entro
l’8 agosto 2002, le disposizioni
legislative, regolamentari ed amministrative per conformarsi alla
stessa, avendo disciplinato dettagliatamente la materia, ha direttamente innovato l’ordinamento
giuridico italiano.
Le sue disposizioni immediatamente applicabili sono, quindi,
pienamente efficaci dal 9 agosto
2002. Il Governo italiano aveva
già approvato il 14 giugno 2002
uno schema di decreto legislativo finalizzato ad emanare una
disciplina nazionale attuativa dei
principi sanciti dalla direttiva europea, ma tale fonte di diritto
non è stata ancora pubblicata
sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica.
Dal 9 agosto 2002 sono
efficaci le disposizioni della
direttiva n. 2000/35/CE
del 29 giugno 2000 che
sancisce l’automatismo
degli interessi di mora
per ritardati pagamenti
di Agostino Galeone
Ambito oggettivo
La disciplina comunitaria in esame si applica soltanto ai contratti
aventi ad oggetto la fornitura di
beni o la prestazione di servizi verso la corresponsione di un prezzo.
Ne rimangono esclusi i contratti
relativi all’esecuzione di lavori
pubblici, per i quali si applicano
le specifiche disposizioni previste
dagli articoli 29 e 30 del Capitolato generale di appalto dei lavori pubblici approvato con Decreto del Ministro dei LL.PP.
19.04.2000 n. 145.
Nelle ipotesi di contratto “misto”, ossia il cui oggetto preveda
la fornitura non soltanto di beni
e/o di servizi ma anche i lavori
per la loro realizzazione o posa in
opera, occorre dapprima decidere la natura del contratto secondo le rispettive normative comunitarie e, quindi, a seconda se sia
5
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
predominante la fornitura dei
beni o dei servizi ovvero dei lavori, si può applicare la relativa
disciplina attinente agli interessi
moratori corrispondenti.
La disciplina di questa direttiva
si applica a tutti i contratti, prescindendo dalla tipologia della
sua natura – atto pubblico, scrittura privata, per adesione, ecc. –
e dalla sua forma – scritta o verbale – prescelte, purché abbiano
i predetti elementi oggettivi.
Con riferimento ai contratti da
stipularsi da una pubblica amministrazione in quanto parte
debitrice del prezzo, si suggerisce, al fine di poter applicare le
condizioni ed i termini più favorevoli per l’eventuale pagamento
di interessi moratori, di prevedere tali elementi accidentali
espressamente nel bando e nella
lettera di invito e nel capitolato
speciale, perché, altrimenti, non
si possono imporre unilateralmente nel conseguenziale contratto da perfezionarsi formalmente o informalmente.
Ove la scelta del contraente sia da
effettuarsi mediante una informale trattativa privata, è indispensabile che l’ordinazione della fornitura dei beni o della prestazione
dei servizi sia effettuata per iscritto, di modo che le condizioni ed
i termini più favorevoli rispetto a
LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
DOVREBBE
PREVEDERE
LE CONDIZIONI
PER L’EVENTUALE
PAGAMENTO
DI INTERESSI
MORATORI
NEL BANDO
E NEL CAPITOLATO
IL GIORNALE
DEL REVISORE
quelli legali siano riportati quanto meno nella stessa lettera di ordinazione unitamente alla previsione della loro accettazione, anche tacita, da parte del futuro creditore del prezzo quale condizione essenziale per il perfezionamento del contratto, soprattutto
se quest’ultimo si perfezionerà in
forma verbale o per adesione
espressa o implicita.
Ambito soggettivo
La disciplina dettata dalla direttiva 2000/35/CE si applica a tutti i contratti stipulati tra imprese
ovvero tra imprese e pubbliche
amministrazioni, le cui prestazioni siano costituite dalla forniIL CREDITORE
tura di beni o di servizi verso la
HA DIRITTO AGLI
corresponsione di un prezzo.
INTERESSI DI MORA L’impresa è definita qualsiasi soggetto esercente non soltanto una
TRASCORSO
attività economica organizzata ma
IL TERMINE
anche una libera professione, pure
se espletata da una sola persona.
DI PAGAMENTO
Per individuare quali siano le pubPATTUITO
bliche amministrazioni non si deve
SENZA ALCUNA
fare riferimento alla normativa italiana, quale ad esempio l’elencazioNECESSITÀ
ne prevista dall’art. 1, comma 2,
DI ATTI FORMALI
del D.L.vo 30.03.2001 n. 165
maggiormente utilizzata dal legislatore nazionale, bensì alle direttive
comunitarie sugli appalti pubblici
n. 92/50/CEE, n. 93/36/CEE, n.
93/37/CEE e n. 93/38/CEE,
espressamente citate nella direttiva.
Contenuto del principio di
automatismo
In base al principio di automatismo
sancito dalla direttiva in esame:
a) il creditore diviene “ipso jure”
titolare del diritto di percepire dal
debitore gli interessi moratori con
il solo trascorrere del termine utile contrattuale o legale entro cui
avrebbe dovuto pagare il prezzo
pattuito, senza necessità che egli
IL GIORNALE
DEL REVISORE
rivolga al debitore alcun atto formale di sollecito o di diffida con
messa in mora per il pagamento
del prezzo; ma tale diritto sorge a
condizione che il creditore abbia
adempiuto esattamente agli obblighi contrattuali e di legge e che
il ritardo nel ricevere il pagamento dell’importo dovuto non sia da
imputare al debitore; il debitore
può tuttavia rinunciare espressamente o tacitamente a percepire
detti interessi;
b) gli interessi moratori cominciano a decorrere dal giorno successivo:
- al termine di pagamento previsto dal contratto (data di scadenza o fine del periodo); ovvero, in mancanza di un termine contrattuale,
- al termine previsto dalla direttiva, ossia trascorsi 30 giorni:
- dalla data in cui il debitore ha
ricevuto la fattura o una richiesta equivalente di pagamento;
- dalla data in cui il debitore ha
ricevuto le merci o la prestazione dei servizi, se la data di
ricevimento della fattura o
della richiesta equivalente di
pagamento sia incerta o anteriore alla data di ricevimento
delle merci o della prestazione dei servizi;
- dalla data in cui è stata accertata o verificata la conformità
delle merci o dei servizi al
contratto, secondo la procedura prevista dalla legge o dal
contratto, se il debitore ha ricevuto la fattura o la richiesta
equivalente di pagamento anteriormente o alla stessa data
di accettazione o di verifica;
c) il tasso legale degli interessi
moratori è predeterminato dalla
direttiva, ma con il contratto può
essere pattuito un tasso diverso;
6
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
d) al creditore è attribuito “ipso
jure” anche il diritto al “risarcimento ragionevole”, basato sui
principi della “trasparenza” e della “proporzionalità”, per tutte le
spese sopportate per recuperare il
prezzo contrattuale e gli interessi
di mora; e ciò purché il ritardo
non sia imputabile al debitore.
Si evidenzia che per non incorrere
nell’obbligo di dover pagare gli interessi moratori occorre che il creditore sia posto nelle condizioni di
riscuotere il proprio credito entro
il termine contrattuale o legale.
Si rende necessario, pertanto,
sussistendone tutti i presupposti
per il pagamento del prezzo entro il termine contrattuale o legale, che tutti gli atti e gli adempimenti prodromici relativi alla
liquidazione – cioè all’accertamento del creditore, alla ragione
ed all’ammontare del credito –
siano emanati dal competente
ufficio in tempo utile a ché anche l’ufficio di ragioneria possa
emettere il relativo mandato di
pagamento, dandone comunicazione al creditore, prima che scada il predetto termine.
Ai fini di cui sopra, sarebbe opportuno che pure le modalità di
pagamento, in una delle forme
previste dall’ordinamento giuridico, fossero predeterminate e
comunque pattuite al pari del
termine utile per il pagamento
del prezzo.
Sino a quando lo Stato italiano
non emanerà eventuali disposizioni che escludano tutte o alcune delle fattispecie di seguito indicate, la direttiva comunitaria si
deve applicare anche:
- ai debiti oggetto di procedure
concorsuali aperte a carico del
debitore;
- ai contratti conclusi prima
dell’8 agosto 2002;
IL CREDITORE DEVE POTER
- alle richieste di interessi di importo complessivo inferiore a
cinque euro.
A ciascuno degli Stati membri
della Comunità Europea è consentito:
- determinare, nel rispetto dei
principi di trasparenza e proporzionalità, un tetto massimo
del risarcimento per i costi sopportati per il recupero da parte
del creditore delle somme dovute, tetto da distinguere per
scaglioni di debito;
- ampliare il predetto termine legale alla cui scadenza sono dovuti gli interessi soltanto per alcune categorie di contratti individuate dal legislatore nazionale:
- fino a 60 giorni, purché la
normativa statale dichiari che
le parti non possano derogare contrattualmente a tale
termine più lungo;
- oltre il periodo legale di 30
giorni con determinazione
contrattuale delle parti, purché la normativa statale stabilisca, dichiarandolo inderogabile, un tasso legale di interesse “sensibilmente” superiore al tasso legale (questa facoltà, così esposta, è una interpretazione soggettiva del
sottoscritto).
Nella materia, la disciplina comunitaria in esame assume la rilevanza di normativa generale, la quale,
si ritiene, possa essere oggetto di
deroga da parte del legislatore nazionale con normative speciali
purché nel rispetto dei principi e
dei limiti dalla stessa dettati.
Da tale assunto consegue che le
normative speciali preesistenti,
quale quella per il pagamento
degli onorari degli ingegneri ed
architetti di cui al paragrafo 9
dell’allegato alla legge 3 marzo
OTTENERE ENTRO 90 GIORNI
DALLA DATA DELL’EVENTUALE
RICORSO UN TITOLO
ESECUTIVO PER OTTENERE LA
LIQUIDAZIONE DEL CREDITO
1949 n. 143, seppure risultassero quanto al termine e/o al tasso
d’interessi legali più favorevoli
per i creditori, devono intendersi tacitamente abrogate dalla direttiva 2000/35/CE perché, essendo entrata in vigore successivamente, ha disciplinato “ex novo” l’intera materia, e ciò a norma dell’art. 15 delle Disposizioni sulla legge in generale.
Rimedi contro le condizioni
gravemente inique
Ciascuno degli Stati membri
può disporre che l’eventuale accordo tra le parti sulla determinazione della data di pagamento
o sugli effetti conseguenti al ritardato pagamento, non conforme alle disposizioni di cui al
comma 1, lettere b), c) e d), e al
comma 2 della direttiva, sia dichiarato nullo di diritto e non
produttivo del risarcimento del
danno, se, tenuto conto di tutte
le circostanze attinenti alla fattispecie ivi compresa la corretta
prassi commerciale e la natura
del prodotto, risulti “gravemente
iniquo” per il creditore.
In tal caso si applicheranno di
diritto i termini legali, salvo che
al giudice nazionale non sia data
la possibilità di riportare il contratto ad equità.
Ai fini della determinazione dell’iniquità occorre anche valutare
eventuali motivi oggettivi giustificativi del fatto che il debitore
abbia ignorato le predette pre-
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
scrittive disposizioni comunitarie. Ogni Stato membro deve assicurare, nell’interesse dei creditori e dei concorrenti, l’esistenza
di mezzi giuridici efficaci ed idonei che impediscano il continuo
ricorso alle predette condizioni
gravemente inique.
Riserva di proprietà
Limitatamente ai contratti aventi
quale oggetto la fornitura di beni,
ciascuno degli Stati membri prevede una apposita normativa che
riconosca e garantisca al venditore
di conservare il diritto di proprietà dei beni finché il prezzo non sia
stato pagato nella sua interezza, e
ciò allorché tra le parti sia stata
pattuita, prima della consegna dei
beni, una clausola di riserva della
proprietà.
Tale disciplina deve essere conforme alle norme nazionali in
materia che siano applicabili secondo il diritto internazionale
privato.
Termine per ottenere un titolo
esecutivo
Qualora non siano oggetto di
contestazione l’esistenza del debito ed il suo ammontare o gli
aspetti procedurali, l’ordinamento giuridico di ogni Stato membro deve assicurare al creditore
di ottenere entro 90 giorni di calendario, decorrenti dalla data di
presentazione del ricorso o di
proposizione della domanda alla
autorità giurisdizionale o ad altra
autorità competente, al netto dei
periodi necessari per le notificazioni ed i ritardi imputabili al
creditore, un titolo esecutivo –
una sentenza, un decreto ingiuntivo, ecc. – per ottenere il soddisfacimento del suo credito, qualunque ne sia l’importo.
Agostino Galeone
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Inserzione pubblicitaria
Inserzione pubblicitaria
COSTI DEDUCIBILI DA
OPERAZIONI CON IMPRESE
NON RESIDENTI
c
on l’individuazione dei paesi a
bassa fiscalità (c.d. paradisi fiscali) avvenuta attraverso il decreto
del Ministero Economia e Finanze del 23.01.2002 si completa il quadro delle norme antielusive che era stato per la prima
volta introdotto nel nostro ordinamento dalla L. 413/91 art. 11
comma 12.
Come noto, lo scopo della norma è quello di escludere o limitare, sottoponendoli a particolari
condizioni, la deduzione dei
componenti negativi del reddito
d’impresa derivanti da operazioni (in un primo tempo solo infragruppo) con aziende localizzate in paesi a bassa fiscalità, al
fine di evitare appunto artificiose riduzioni di reddito imponibile non accompagnate dall’effettività della spesa.
Mentre nella formulazione originaria la detrazione delle spese e
degli altri componenti negativi si
riferiva a soggetti, non appartenenti all’Unione Europea, che
erano controllanti o controllati
dall’impresa residente, dopo una
complessa evoluzione normativa, si è pervenuti all’attuale criterio secondo cui la spesabilità di
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Con l’individuazione dei
paesi a bassa fiscalità si
completa il quadro delle
norme antielusive
introdotto dalla Legge
413/91 art. 11 comma 12
di Roberto Belotti
un onere è subordinata alla condizione che il fornitore estero
svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva (vedi
tabella 1).
È bene subito notare che la limitazione riguarda soltanto i soggetti che agiscono nell’esercizio
d’impresa e non si riferisce ai lavoratori autonomi.
L’originaria individuazione
degli Stati o territori non UE
aventi un regime fiscale
privilegiato nel D.M. 24.04.1992
La L. 413 del 1991 introduceva
per la prima volta nel nostro ordinamento tributario l’indetraibilità di spese ed oneri fatturati
da società fiscalmente domiciliate in paradisi fiscali; in quest’ottica venivano aggiunti al-
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
l’art. 76 del TUIR i nuovi comma 7-bis e 7-ter. Nella versione
attuale, che si rinviene dopo le
modifiche da ultimo apportate
con la L. 448/2001, la deducibilità delle menzionate spese si
riferisce ad operazioni intercorse tra residenti e imprese non
residenti. Siccome la nozione
d’impresa è più ampia di quella
di società in quanto può contemplare altri soggetti tra cui
enti commerciali e ditte individuali, è evidente che l’ampliamento del raggio d’azione della
norma consente di ricomprendere fornitori esteri che prima
ne erano di fatto esclusi.
Oltre a questa modesta differenziazione tuttavia, la deducibilità
delle forniture da parte di imprese appartenenti a territori a bassa
fiscalità era subordinata al rapporto di controllo così come individuato nell’art. 2359 c.c. in
base al quale sono considerate
controllate:
1. le società in cui un’altra società dispone della maggioranza
dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria;
2. le società in cui un’altra società dispone di voti sufficienti
per esercitare un’influenza
dominante nell’assemblea ordinaria;
3. le società che sono sotto influenza dominante di un’altra
società in virtù di particolari
vincoli contrattuali con essa.
Nel comma 7-bis veniva inoltre
considerato privilegiato il regime
dello Stato o del territorio estero
che esclude da imposte sul reddito o che sottopone i redditi conseguiti dalle società fornitrici ad
un’imposizione in misura inferiore alla metà di quella applicata in Italia.
Il rapporto di controllo, nell’accezione prevista dall’art. 2359
c.c., consentiva all’impresa residente di fornire la prova che il
soggetto estero svolgesse effettivamente e prevalentemente
un’attività commerciale effettiva
in quanto (ad esempio) il particolare vincolo contrattuale o l’influenza dominante dava la possibilità di avere senza alcun margine di dubbio le informazioni essenziali della controllata (così anche in R. Rizzardi in “Il punto fiscale” n. 2 - maggio 2000, Pirola
editore, pag. 191). Fermo restando il potere dell’Amministrazione di verificare l’effettiva esecuzione dell’operazione, la prova
non doveva essere fornita qualora
il contribuente avesse chiesto il
parere preventivo dell’Amministrazione e l’avesse ottenuto realizzandolo nei termini proposti
(artt. 21 e 11 comma 13
L. 413/1991). È da notare che
con la stessa legge del 1991 veniva per la prima volta istituito, nel
contesto dell’ordinamento tributario, l’interpello dell’Amministrazione tributaria da parte del
contribuente e cioè la possibilità
di consultare preventivamente il
fisco su un caso concreto.
In sostanza, quindi, per conseguire la deducibilità delle spese
predette, o veniva dimostrato
l’effettivo svolgimento di un’attività commerciale della controllante estera, oppure la richiesta
di parere preventivo inoltrato
presso il Ministero aveva avuto
esito positivo.
In attuazione all’originario comma 7-bis dell’art. 76, veniva
emanato il D.M. 24 aprile 1992,
nel quale si distingueva fra:
a. Paesi o territori aventi comunque un regime fiscale
privilegiato (art. 1);
b. Paesi sospetti salvo che per alcuni tipi di società (art. 2);
c. Paesi considerati paradisi fiscali limitatamente ad alcuni
soggetti o attività espressamente individuate.
In realtà, la condizione posta
dalla legge del rapporto di controllo o collegamento col fornitore estero era facilmente bypassabile dall’impresa residente,
perché sarebbe bastata l’interposizione fittizia di un terzo
soggetto o il controllo indiretto
tramite fiduciaria per far cadere
(almeno apparentemente) il castello della presunzione. In effetti non si ha notizia di parti-
colari istanze di interpello volte
a consentire la deducibilità dei
componenti negativi fatturati
da imprese domiciliate nei c.d.
paradisi fiscali, né tantomeno
sembra che questa norma sia
stata fonte di un numero frequente di accertamenti.
La formulazione della norma
con le modifiche apportate
dalla L. 342/2000
Con l’art. 1 comma 1 lett. b)
della L. 342/2000 vengono
considerati indeducibili le spese e gli altri componenti negativi di operazioni fra imprese
residenti ed imprese domiciliate nei c.d. paradisi fiscali evitando definitivamente il riferimento a soggetti controllanti o
controllati. Quindi, già da
questo momento, si spezza la
catena alla quale era originariamente agganciata la deducibilità o meno del costo, visto che
l’inciso non è più indirizzato a
fornitori controllati o controllanti ma piuttosto semplicemente a fornitori non residenti
appartenenti a territori con regime fiscale privilegiato.
Questi regimi o territori che
avrebbero dovuto essere indivi-
Tabella 1: CONDIZIONI PREVISTE DALLA LEGGE
SULLA INDEDUCIBILITÀ DI COSTI SOSTENUTI CON IMPRESE ESTERE
Entrata in vigore
4 febbraio 2002
Soggetti residenti
Imprese
Paesi non UE interessati
Black list di cui al decreto 23 gennaio 2002
Condizioni per l’applicabilità
Rapporti con imprese estere da cui derivano componenti
negativi di reddito
Condizioni per l’inapplicabilità
A seguito di richiesta dell’amministrazione finanziaria
inoltro nel termine di 90 giorni di alcuni elementi di prova
Prova contraria
1. l’impresa estera svolge prevalentemente un’attività
commerciale effettiva;
2. l’operazione risponde a un effettivo interesse
economico e ha avuto concreta esecuzione
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Tabella 2: ELENCO DEI PARADISI FISCALI
DI CUI AL D.M. 23.1.2002 (G.U. 4 FEBBRAIO 2002 N. 29)
Stati e territori considerati
paradisi fiscali per presunzione
assoluta
Stati e territori considerati
paradisi fiscali con la sola
esclusione di alcune attività
espressamente individuate
Stati e territori considerati
paradisi fiscali limitatamente ai
soggetti e all’attività
per ciascuno di essi indicato
Clausola residuale
Alderney (Isole del Canale), Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Barbados,
Barbuda, Belize, Bermuda, Brunei, Cipro, Filippine, Gibilterra, Gibuti (ex Afar e Issas),
Grenada, Guatemala, Guernsey (Isole del Canale), Herm (Isole del Canale), Hong Kong,
Isola di Man, Isole Cayman, Isole Cook, Isole Marshall, Isole Turks e Caicos, Isole Vergini
britanniche, Isole Vergini statunitensi, Jersey (Isole del Canale), Kiribati (ex Isole Gilbert),
Libano, Liberia, Liechtenstein, Macao, Maldive, Malesia, Montserrat, Nauru, Niue, Nuova
Caledonia, Oman, Polinesia francese, Saint Kitts e Nevis, Salomone, Samoa, Saint Lucia,
Saint Vincent e Grenadine, Sant’Elena, Sark (Isole del Canale), Seychelles, Singapore,
Tonga, Tuvalu (ex Isole Ellice), Vanuatu.
1) Bahrein, con esclusione delle società che svolgono attività di esplorazione, estrazione e
raffinazione nel settore petrolifero; 2) Emirati Arabi Uniti, con esclusione delle società
operanti nei settori petrolifero e petrolchimico assoggettate a imposta; 3) Kuwait, con
esclusione delle società con partecipazione straniera superiore al 47% se soggette a
imposizione con le aliquote previste dall’Amiri Decree n. 3 del 1955 o superiore al 45% se
soggette a imposizione con le aliquote previste dalla locale legge n. 23 del 1961, sempre
che tali società non usufruiscano dei regimi agevolati previsti dalle locali leggi n. 12 del 1998
e n. 8 del 2001; 4) Monaco, con esclusione delle società che realizzano almeno il 25% del
fatturato fuori dal Principato.
1) Angola, con riferimento alle società petrolifere che hanno ottenuto l’esenzione dall’Oil
lncome Tax, alle società che godono di esenzioni o riduzioni d’imposta in settori fondamentali
dell’economia angolana e per gli investimenti previsti dal Foreign Investment Code;
2) Antigua, con riferimento alle international business companies, esercenti le loro attività
al di fuori del territorio di Antigua, quali quelle di cui all’lnternational Business Corporation
Act, n. 28 del 1982 e successive modifiche e integrazioni, nonché con riferimento alle società
che producono prodotti autorizzati, quali quelli di cui alla locale legge n. 18 del 1975, e
successive modifiche e integrazioni; 3) Corea del Sud, con riferimento alle società che
godono delle agevolazioni previste dalla tax Incentives Limitation Law; 4) Costa Rica, con
riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti estere, nonché con riferimento alle
società esercenti attività ad alta tecnologia; 5) Dominica, con riferimento alle international
companies esercenti l’attività all’estero; 6) Ecuador, con riferimento alle società operanti
nelle Free Trade Zones che beneficiano dell’esenzione dalle imposte sui redditi;
7) Giamaica, con riferimento alle società di produzione per l’esportazione che usufruiscono
dei benefici fiscali dell’Export Industry Encourage Act e alle società localizzate nei territori
individuati dal Jamaica Export Free Zone Act; 8) Kenia, con riferimento alle società
insediate nelle Export Processing Zones; 9) Malta, con riferimento alle società i cui proventi
affluiscono da fonti estere, quali quelle di cui al Malta Financial Services Centre Act, alle
società di cui al Malta Merchant Shipping Act e alle società di cui al Malta Freeport Act;
10) Mauritius, con riferimento alle società “certificate” che si occupano di servizi all’export,
espansione industriale, gestione turistica, costruzioni industriali e cliniche e che sono
soggette a Corporate Tax in misura ridotta, alle Off-shore Companies e alle International
Companies; 11) Panama, con riferimento alle società i cui proventi affluiscono da fonti
estere, secondo la legislazione di Panama, alle società situate nella Colon Free Zone e alle
società operanti nelle Export Processing Zone; 12) Portorico, con riferimento alle società
esercenti attività bancarie e alle società previste dal Puerto Rico Taxi Incentives Act del 1988
o dal Puerto Rico Tourist Development Act del 1993; 13) Svizzera, con riferimento alle
società non soggette alle imposte cantonali e municipali, quali le società holding, ausiliarie e
“di domicilio”; 14) Uruguay, con riferimento alle società esercenti attività bancarie e alle
holding che esercitano esclusivamente attività off-shore.
Le disposizioni menzionate si applicano altresì ai soggetti e alle attività insediati negli Stati di
cui sopra che usufruiscono di regimi fiscali agevolati sostanzialmente analoghi a quelli ivi
indicati, in virtù di accordi o provvedimenti dell’ Amministrazione finanziaria dei medesimi Stati.
duati con decreto da pubblicare in G.U. in ragione, non già
di un’imposizione inferiore alla
metà di quella applicabile in
Italia come nel testo previgente
IL GIORNALE
DEL REVISORE
dalla L. 413/91, ma piuttosto
in funzione alternativamente:
• del livello di tassazione sensibilmente inferiore a quello applicabile in Italia,
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
• della mancanza di un adeguato
scambio di informazioni,
non sono stati immediatamente
individuati.
Nella L. 342, tuttavia, ci si limitava a precisare che la deduzione delle spese e dei componenti
negativi era subordinata al fatto
che l’impresa residente fornisse
la prova che il fornitore estero
svolgesse principalmente un’attività industriale o commerciale
effettiva nel paese in cui aveva
sede. Eliminato l’inciso del controllo o del collegamento come
anzidetto, era chiaro che questa
prova era impossibile da fornire
perché mentre si potevano dare
le informazioni su una controllata, altrettanto non si poteva
dire lo stesso di un fornitore
con il quale non c’era alcun rapporto societario.
Al comma 7-ter dell’art. 76 veniva aggiunto che la deduzione
delle spese e degli altri componenti negativi era comunque
subordinata alla separata indicazione nella dichiarazione dei
redditi dei relativi ammontari
dedotti.
Il ripristino della condizione
originaria apportato dalla
legge finanziaria per il 2002
Accortosi dell’impossibilità da
parte dell’impresa residente di
dimostrare che il fornitore estero, con il quale non c’era alcun
tipo di controllo o collegamento,
svolgesse una reale attività commerciale, il legislatore ha ripristinato la condizione originaria
prevista nella L. 413/1991 e cioè
che la deduzione dei costi era
possibile anche quando si era in
grado di dimostrare che l’operazione posta in essere rispondesse
a un effettivo interesse economico e che la stessa aveva avuto
concreta esecuzione (cfr.: Assonime, circolare 28.11.2001 n.
52 par. 5).
Il quadro attuale
La travagliata evoluzione normativa porta all’attuale formulazione dell’art. 76 commi 7-bis e 7ter del TUIR secondo la quale in
sostanza (vedi tabella 3):
a) le spese e i componenti negativi da fornitori residenti in
paradisi fiscali non appartenenti alla UE non sono in linea di principio deducibili;
b) la detraibilità delle spese è comunque subordinata alla separata indicazione in dichiarazione dei redditi;
c) la deduzione è ammessa
quando l’impresa residente
fornisce alternativamente la
prova che il fornitore svolge
un’attività effettiva oppure
che l’operazione risponde a
un reale interesse economico
ed ha avuto concreta esecuzione;
d) prima di procedere all’emissione dell’avviso di accertamento l’Amministrazione
concede al contribuente 90
giorni di tempo per fornire la
prova sull’effettività dell’operazione;
e) è possibile conoscere l’avviso
dell’Amministrazione in merito alla natura e al relativo
trattamento tributario dell’operazione che si intende porre in essere, previo interpello
ex art. 21 L. 413/1991.
Volendo fare un esempio, se
l’impresa residente “Manifattura
srl” dovesse acquistare una partita di materie prime dalla società
“Omega srl”, domiciliata in un
paradiso fiscale, la prima potrebbe temporaneamente ammettere
in deduzione nella propria di-
Tabella 3:
LA DEDUZIONE DELLE SPESE NEI RAPPORTI CON I PARADISI FISCALI
Soggetti destinatari
Aziende residenti titolari di redditi di impresa (Spa, Srl, Snc, Sas, cooperative,
imprese individuali, enti commerciali). No lavoratori autonomi.
Fornitori non UE localizzati
in paradisi fiscali
Imprese estere con domicilio fiscale nei paesi o territori indicati nel d.m.
23.1.2002; non è determinante il rapporto di controllo o collegamento.
Tipologia di spesa
Spese per l’acquisto di beni e servizi nonché ogni altro componente negativo; è
dubbio se si possano dedurre gli ammortamenti su beni strumentali importati dai
c.d. paradisi fiscali.
Indeducibile
Strumentali importati dai c.d. paradisi fiscali.
Come fornire la
prova contraria
La deduzione delle spese e degli altri componenti negativi è subordinata al fatto
che il fornitore estero svolga prevalentemente un’attività commerciale effettiva.
In alternativa la detrazione degli oneri si può altresì ottenere fornendo la prova che
le operazioni poste in essere rispondono a un effettivo interesse economico e che
le stesse hanno avuto concreta esecuzione.
Interpello
È possibile conoscere l’avviso dell’Amministrazione in merito alla natura e al
relativo trattamento tributario dell’operazione che si intende porre in essere.
Indicazioni in Unico
La detrazione delle spese è subordinata alla separata indicazione nella
dichiarazione dei redditi.
Rapporti con la normativa
CFC (art. 127-bis TUIR)
Il regime di indeducibilità non si applica per le operazioni intercorse con soggetti
non residenti controllati soggetti al regime dell’art. 127-bis TUIR (reddito della
CFC tassato per trasparenza in capo all’azienda residente).
chiarazione la spesa sostenuta,
con l’accortezza di annotarne separatamente l’ammontare. In un
secondo tempo, l’Amministrazione chiederebbe al contribuente residente di dimostrare che
“Omega srl” svolge effettivamente e prevalentemente quell’attività commerciale oppure
che quella particolare operazione
d’importazione sia funzionale al
ciclo produttivo dell’impresa acquirente e che, tramite contabili
bancarie, documenti doganali o
simili, abbia avuto concreta esecuzione.
L’impresa italiana ha 90 giorni di
tempo per fornire queste prove
ma, come innanzi precisato, è
estremamente difficile dimostrare al fisco italiano che il soggetto
non residente svolge o meno
un’effettiva attività commerciale
se non si è controllanti o controllati, perché questo lo si può
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
desumere soltanto da visure della Camera di commercio locale o
da altri organismi equipollenti.
Fra le cause che possono consentire di dimostrare l’effettiva attività industriale e commerciale, la
circolare 18/E del 18 febbraio
2002, nel trattare la disciplina
CFC dell’art. 127-bis TUIR, ha
ritenuto opportuno evidenziare i
seguenti elementi:
• atto costitutivo o statuto dal
quale si possano ricavare notizie utili circa l’attività svolta
nello Stato o territorio incluso
nella black list;
• relazione descrittiva della struttura organizzativa dedicata allo
svolgimento dell’attività principale o della stabile organizzazione localizzata in uno Stato o
territorio inclusi nella black
list, con adeguata documentazione di supporto (normativa e
delibere disciplinanti gli organi
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Tabella 4: L’ENTRATA IN VIGORE A STEP
Esercizi
Norma di riferimento
24.11.2001 - 31.12.2001
Vecchio art. 76 TUIR e black list del 24.04.1992
01.01.2002 - 03.02.2002
Nuovo art. 76 TUIR e black list del 24.04.1992
Dal 04.02.2002
Nuovo art. 76 TUIR e black list del 23.01.2002
sociali e la loro attività, contratti di lavoro, descrizione delle
mansioni svolte dei dipendenti
di qualifica più elevata, autorizzazioni delle autorità locali, disponibilità di locali ad uso civile
o industriale, utenze, etc.).
La tipologia di spese ed oneri per
i quali la legge non ammette la deduzione è senz’altro riferibile all’acquisto di beni tra cui materie
prime, semilavorati, prodotti finiti, etc. e anche sicuramente servizi
(nel comma 7-bis si parla di “altri
componenti negativi”) tra cui si
può indicare in maniera esemplificativa ma non esaustiva le prestazioni, le consulenze, le lavorazioni ed altre attività di servizio.
Non è chiaro se la norma possa essere applicabile anche agli ammortamenti di beni strumentali
importati dai c.d. paradisi fiscali
(cfr.: Luca Gaiani in “Informatore
Pirola” n. 9/2002 pag. 80).
Qualora l’amministrazione non
ritenga idonee le prove addotte
dall’importatore, rettificherà la
sua dichiarazione considerando
indeducibile la spesa originariamente dedotta e dandone specifica motivazione nell’avviso di
accertamento.
La black list
dal 23 gennaio 2002
Lo schema è sostanzialmente lo
stesso del d.m. 24 aprile 1992 (vedi tabella 2); fra i paradisi fiscali
considerati tali per presunzione
assoluta vengono aggiunti il Brunei, Cipro, le Filippine, Gibilterra, il Libano, Singapore ed altri
territori minori. Per quello che riguarda gli Stati considerati paradisi fiscali con la sola esclusione di
alcune attività espressamente considerate viene aggiunto il Kuwait
(vengono escluse le società con
partecipazione straniera superiore
al 47 o al 45%) e Monaco (vengono escluse le sole società che
producono il 25% almeno del fatturato fuori dal Principato).
Infine tra le disposizioni dell’art.
3 è importante evidenziare che
viene inclusa anche la Svizzera ma
solo con riferimento alle società
non soggette alle imposte cantonali e municipali quali le holding
ausiliarie e di “domicilio”.
Entrata in vigore
L’entata in vigore del provvedimento è fonte di altrettante incertezze, come già evidenziato da autorevole dottrina (cfr.: Siegfried
Mayr in “Corriere tributario” n.
27/2002 pag. 2428; Vincenzo
Evangelista in “La settimana fiscale” n. 9 pag. 25; circolare Assonime 18 luglio 2002 n. 52) in quanto è possibile distinguere fra tre
momenti diversi (vedi tabella 4):
a) sino al 31 dicembre 2001 secondo l’Assonime i paradisi fiscali erano quelli individuati
nella vecchia black list di cui al
d.m. 24 aprile 1992 nel contesto del regime di indeducibilità del vecchio art. 76 TUIR;
b) dal 1° gennaio al 3 febbraio
2002 rivive la vecchia black
list del d.m. 24 aprile 1992
ma collegata al nuovo comma
7-bis art. 76 TUIR;
c) dal 4 febbraio in poi, spiega la
sua efficacia il d.m. 23 gennaio 2002.
Roberto Belotti
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14
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
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NEL PROCESSO TRIBUTARIO
LE PARTI SONO INDIVIDUATE
DALLA LEGGE
u
na recente Sentenza della
Corte di Cassazione conferma
quanto detto nel n. 1 della nostra rivista.
Le impugnazioni avverso gli atti
emessi dai Centri Operativi vanno presentate direttamente ai
predetti Uffici.
Nel primo numero di quest’anno, su queste colonne, commentammo il provvedimento emanato dal Direttore dell’Agenzia
delle Entrate con il quale si sopprimevano tutti i Centri di Servizio e, contemporaneamente, si
istituivano due nuovi Uffici: i
Centri Operativi di Venezia e di
Pescara.
I nostri dubbi sulla costituzionalità di un provvedimento direttoriale che abolisce una Legge
dello Stato erano forti ma i dubbi circa le sue conseguenze furono ben maggiori.
In buona sostanza ponemmo
un problema di competenza
territoriale nel contenzioso nel
caso si dovesse impugnare un
atto emesso da uno dei due centri operativi. In particolare il
contribuente che volesse contestare un provvedimento –
omesso o negato – da uno dei
due nuovi Uffici deve farlo
presso quel medesimo Centro
IL GIORNALE
DEL REVISORE
La norma individua
con chiarezza sia l’Ufficio
cui notificare il ricorso
sia la Commissione
Tributaria Provinciale
ove costituirsi
di Michele Del Castello
Operativo oppure presso l’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate
competente sulla residenza del
contribuente medesimo?
La differenza è fondamentale
perché nel primo caso la costituzione in giudizio deve avvenire presso la Commissione Tributaria Provinciale dove ha sede
il Centro Operativo (Venezia o
Pescara); invece nel caso che il
ricorso deve essere notificato
presso l’Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate la costituzione in giudizio deve avvenire
presso la Commissione Tributaria Provinciale ove risiede il
contribuente.
Le nostre perplessità nascevano
dal fatto che l’articolo 10 del Decreto Legislativo n. 546/92 individua la “parte nel processo tributario nell’ufficio del Ministero
16
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
delle finanze…” e continua dicendo “... se l’ufficio è un centro
di servizio, l’ufficio del Ministero delle finanze al quale spettano
le attribuzioni sul rapporto controverso”.
L’articolo 4 individua la competenza territoriale delle Commissioni Tributarie in questa maniera “nei confronti degli uffici delle entrate o del territorio del Ministero delle finanze … che hanno sede nella loro circoscrizione;
se la controversia è proposta nei
confronti di un centro di servizio, è competente la Commissione Tributaria Provinciale nella
cui circoscrizione ha sede l’ufficio al quale spettano le attribuzioni sul rapporto controverso”.
La formulazione letterale della
Legge è chiara ed è perfettamente speculare sia nella individuazione dell’Ufficio a cui va notificato il ricorso – quello che ha
emesso l’atto che si vuole impugnare – sia della Commissione
Tributaria Provinciale ove ci si
deve costituire – quella nella cui
circoscrizione territoriale ha sede
l’Ufficio che emette l’atto impugnato. L’unica eccezione prevista
dalla norma è relativa ai Centri
di Servizio che sono stati abrogati a decorrere dal 31/12/2001 e,
L’ISTITUZIONE DI DUE SOLI
pertanto, tale eccezione risulta
inefficace da tale data.
Ebbene la nostra interpretazione
trova ora conforto in una recentissima pronuncia della Sezione
tributaria della Corte di Cassazione – Sentenza n° 11570 depositata il 2 agosto 2002. L’oggetto del contendere era questo:
è ammissibile un appello presso
la Commissione Tributaria Regionale firmato e prodotto direttamente dal Ministero delle Finanze invece che dall’Ufficio locale del Ministero delle Finanze?
La Suprema Corte ritiene l’appello inammissibile poiché “... è
la formulazione letterale della
legge che indica come parti nel
procedimento dinanzi alle Commissioni Tributarie i singoli Uffici fiscali, e che non appare superabile, o suscettibile di interpretazioni estensive, che consentano
di considerare possibile parte di
questi giudizi anche il Ministero
delle Finanze in prima persona”.
In buona sostanza la individuazione delle parti processuali è
estremamente rigorosa e bisogna
attenersi scrupolosamente al tenore letterale della Legge.
Ritornando alla fattispecie dei
Centri Operativi la conseguenza
è evidente: o si modificano gli
articoli 4 e 10 del Decreto Legislativo n° 546/92 introducendo
per i Centri Operativi un’eccezione simile a quella preesistente
per i Centri di Servizio oppure i
ricorsi avverso gli atti emessi dai
Centri dovranno essere notificati
ai predetti Uffici e la costituzione in giudizio dovrà avvenire, a
prescindere dalla residenza del
contribuente, presso le Commissioni Tributarie Provinciali di
Venezia e di Pescara rispettivamente competenti territorialmente.
CENTRI OPERATIVI A VENEZIA
E PESCARA IMPONE CHE
LE IMPUGNAZIONI AVVERSO
GLI ATTI EMESSI DA DETTI
CENTRI VADANO PRESENTATE
DIRETTAMENTE AI PREDETTI
UFFICI, CON EVIDENTI SVANTAGGI
PER IL CONTRIBUENTE
È opportuno ricordare che l’articolo 5 del Decreto Legislativo
n° 546/92 dispone che la competenza delle Commissioni Tributarie è inderogabile ed è rilevabile d’ufficio, pertanto è assolutamente sconsigliabile di
tentare la carta della interpretazione estensiva della Legge e,
quindi, rivolgersi alla Commissione Tributaria della propria
città poiché quand’anche l’altra parte processuale, l’ufficio
locale prima, la Commissione
Tributaria Provinciale e quella
Regionale in seguito, non sollevasse l’eccezione della competenza territoriale, tale eccezione verrebbe, automaticamente e d’ufficio, sollevata dalla Corte di Cassazione vanificando così il buon diritto del
contribuente.
Gli svantaggi per il contribuente
e per il suo difensore sono evidenti così come è altrettanto evidente l’eccessivo carico a cui verranno sottoposte le Commissioni Tributarie Provinciali di Venezia e di Pescara nonché quelle
Regionali del Veneto e dell’Abruzzo dovendo decidere su di
una serie di problematiche provenienti da tutta la Penisola.
RISULTA EVIDENTE
L’ECCESSIVO
CARICO CUI
VERRANNO
SOTTOPOSTE
LE COMMISSIONI
TRIBUTARIE
PROVINCIALI
DI VENEZIA E DI
PESCARA NONCHÉ
QUELLE REGIONALI
DEL VENETO
E DELL’ABRUZZO
Noi, nel nostro piccolo, possiamo soltanto dire di aver segnalato in tempo la problematica.
Michele Del Castello
COMPETENZE DEI CENTRI OPERATIVI
VENEZIA
➤ Analisi del funzionamento delle procedure di controllo automatizzato delle dichiarazioni ai sensi dell’art. 36-bis del Decreto
del presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600;
➤ Controllo preventivo degli esiti della liquidazione
PESCARA
➤ Controllo delle richieste di rimborso in conto fiscale
per le imposte dirette e l’imposta sul valore aggiunto;
➤ Controllo dei crediti di imposta previsti da leggi speciali;
automatizzata;
➤ Controlli di qualità su comunicazioni di irregolarità,
➤ Controllo delle comunicazioni provenienti da Stati esteri
ruoli e rimborsi che derivano dalla liquidazione
automatizzata;
riguardanti i redditi percepiti all’estero da contribuenti
residenti in Italia;
➤ Controllo delle dichiarazioni presentate a seguito di
➤ Gestioni dei rimborsi a non residenti in materia di crediti
ravvedimento operoso;
➤ Iscrizione a ruolo, nei casi di urgenza o indifferibilità, dei
tributi derivanti dalle dichiarazioni e irrogazione delle relative
sanzioni.
d’imposta sui dividenti e di imposta sul valore aggiunto;
➤ Gestione delle competenze già demandate all’Ufficio
del Registro concessioni governative di Roma e
successivamente trasferite all’Ufficio di Roma 2;
➤ Gestione delle comunicazioni relative alle spese di
ristrutturazione edilizia;
➤ Acquisizione dei dati dei questionari degli studi di settore;
➤ Rimborsi ai Comuni dell’imposta comunale sugli immobili
relativa all’anno 1993;
➤ Sgravi e rimborsi derivanti dal contenzioso sulle
dichiarazioni relative agli anni di imposta 1992 e precedenti;
➤ Ricezione della documentazione cartacea relativa alle
predette attività.
17
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Revisori Contabili”
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dell’Istituto in corso di validità
18
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
COMPATIBILITÀ TRA T.O.S.A.P.
E CANONE CONCESSORIO
l
a vetusta Tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche,
più comunemente nota come
T.O.S.A.P., disciplinata dal
D.Lgs. 15 novembre 1993 n. 507
e per cui era stata disposta l’abolizione a far data dal 1° gennaio
1998, continua ad essere applicata grazie al quattordicesimo comma dell’art. 31 della Legge 23 dicembre 1998 n. 448 che, a sua
volta, ha abrogato la lettera a) del
secondo comma dell’art. 51 del
D.Lgs. 15 dicembre 1997 n. 446
che aveva previsto l’abrogazione
della T.O.S.A.P. e la contestuale
sostituzione della stessa, ai sensi
del successivo art. 63, con un canone per l’occupazione di spazi ed
aree pubbliche, applicabile anche
alle aree mercatali, determinato
nell’atto di concessione di utilizzo
del suolo pubblico e quantificato
in base a tariffe tabellari.
I continui ripensamenti del legislatore e le abrogazioni incrociate, evitando un fattivo svecchiamento dei principi della fiscalità degli enti locali, costringono alcuni operatori economici, fra cui i concessionari di spazi e/o banchi nei pubblici mercati ortofrutticoli, all’iniquo contemporaneo pagamento della
T.O.S.A.P. e del canone concessorio di cui alla Legge 25 marzo
1959 n. 125.
Alcuni operatori
economici sono costretti
da vecchie norme
al contemporaneo
pagamento della T.O.S.A.P.
e del canone concessorio
di Michele Di Maio
Nel previgente regime fiscale, in
cui la Tassa per l’occupazione di
spazi ed aree pubbliche era disciplinata dagli articoli 192 e seguenti del Testo Unico per la Finanza Locale approvato con Regio Decreto n. 1175 del 1931, la
compatibilità dei due balzelli era
stata più volte affermata da numerose risoluzioni ministeriali1
sulla scorta della netta distinzione rilevabile tra il canone di concessione, visto come un diritto
corrisposto a fronte di un servizio reso dall’ente gestore del
mercato, e la T.O.S.A.P., quale
adempimento di un obbligo tributario connesso alla semplice
occupazione.
Con l’introduzione della nuova
normativa, prevista dal Capo II
del D.Lgs. n. 507 del 15 novembre 1993, non si è posto rimedio
a tale situazione. Ed, infatti, il
combinato disposto del primo e
19
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
del quinto comma dell’art. 38 di
quest’ultimo Decreto Legislativo2, nell’escludere dal pagamento della T.O.S.A.P. le sole aree
appartenenti al patrimonio disponibile dei Comuni e delle Province, di fatto hanno continuato
a consentire la contemporanea
applicazione dei due gravami in
quanto, ai sensi degli articoli 822
ed 824 del Codice Civile, le aree
destinate a mercato comunale
hanno regime giuridico di beni
demaniali.
Tale conclusione, seppur non
espressamente indicata nel dettato normativo, venne chiaramente indicata nella Circolare Ministeriale esplicativa del D.Lgs. n.
507 del 15/11/933, la quale, nel
ribadire che il presupposto della
specifica imposizione risiede
“nella sottrazione delle aree e degli spazi all’uso indiscriminato
della collettività per il vantaggio
specifico dei singoli”, contemporaneamente prevede che sono
“escluse dall’area impositiva le
utilizzazioni particolari di fabbricati o di porzioni di fabbricati
appartenenti ai Comuni o alle
Province, fatta eccezione di quelli costituiti su aree di mercato
preventivamente sottratte all’uso
pubblico che integrano, strutturalmente e funzionalmente, il
concetto di area mercatale”.
NUMEROSE
RISOLUZIONI
MINISTERIALI
HANNO PIÙ VOLTE
AFFERMATO LA
COMPATIBILITÀ
DEI DUE
“BALZELLI”
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Dall’analisi della spiegazione fornita dal Ministero, peraltro vincolante nei confronti dei soli uffici pubblici, emerge chiaramente la palese
contraddizione che sta alla base
dell’applicazione della T.O.S.A.P. al
caso in esame e la fragilità dell’interpretazione tendente a superare
questa contraddizione. Ed, infatti,
appare del tutto evidente che le
aree mercatali non possono assolutamente essere ricompresse tra
quelle aree per cui esiste la possibilità di un “uso indiscriminato della
collettività” in quanto un Comune, nel momento stesso che attrezza un’area al fine di destinarla ad
SECONDO
uso mercatale e per l’utilizzo di
UNA SENTENZA
porzioni di tale area pretende dai
concessionari un canone, di fatto
DEL TRIBUNALE
ed in prima persona sottrae a queDI LUCCA
st’area la possibilità di essere utilizzata in ogni e qualsiasi altro modo
LA T.O.S.A.P. È
dalla collettività e, pertanto, a voler
APPLICABILE SOLO
applicare alla lettera il presupposto
SE LE AREE
dell’imposta, si avrebbe l’assurdo
giuridico che, in capo allo stesso
PUBBLICHE
Comune, vengono a cumularsi
OCCUPATE SONO
contemporaneamente la posizione
EFFETTIVAMENTE
di soggetto attivo e soggetto passivo della tassa4.
DESTINATE
Contro questa Circolare insorse la
ED ADIBITE ALL’USO FEDAGRO (Federazione Nazionale degli Operatori all’Ingrosso
PUBBLICO
Agro - Orto - Floro - Ittico AliGENERALIZZATO
mentari) che, con un articolato ricorso, investì della questione il
T.A.R. del Lazio affermando, tra
l’altro, che la stessa ledeva gli interessi degli operatori dei mercati all’ingrosso i quali, nella veste di titolari di concessioni comunali per
l’uso di porzioni di fabbricati posti all’interno dei mercati e costituenti posteggi fissi, sono già soggetti ad oneri tariffari diversi. L’eccezione, al pari di tutte le altre
contestualmente sollevate, venne
respinta dal collegio giudicante5.
Trascorsi poco più di due anni dal
D.Lgs. n. 507/93 si tentò di porre
rimedio al problema della contemIL GIORNALE
DEL REVISORE
poranea presenza di più oneri scaturenti dal medesimo presupposto
e, con il sessantacinquesimo comma dell’art. 3 della Legge n. 549
del 28 dicembre 1995, si diede facoltà ai Comuni ed alle Province
che riscuotevano canoni di concessione non ricognitori di deliberare
una riduzione della T.O.S.A.P. fino ad un dieci per cento della stessa. La norma, prevedendo una
semplice facoltà per gli Enti Locali, era destinata a restare lettera
morta, mentre la circolare esplicativa della stessa6 ha, se non altro, il
merito di aver chiarito il concetto
di canone non ricognitorio attraverso l’esplicito richiamo ai commi settimo ed ottavo dell’art. 27
del Nuovo Codice della strada, approvato con D.Lgs. n. 285 del 30
aprile 19927, e la contrapposizione
con il concetto di canone ricognitorio. Ed, infatti, questa circolare
attribuisce ai canoni non ricognitori “la funzione di corrispettivo, di
vera e propria controprestazione per
l’uso particolare del suolo pubblico”
mentre ritiene che i canoni ricognitori rappresentino “esclusivamente la somma dovuta a titolo di
riconoscimento del diritto di proprietà dell’Ente locale sul bene oggetto
della concessione”.
Un secondo tentativo venne fatto
con il già citato D.Lgs. 446/1997,
il cui art. 63 prevede che i Comuni e le Province, con autonomo regolamento, possano assoggettare
l’occupazione, sia permanente che
temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti
appartenenti al proprio demanio o
patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati
anche attrezzate, al pagamento di
un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel
medesimo atto di concessione in
base a tariffa, sostitutivo della
T.O.S.A.P.. Quest’ultima norma,
pur superando le remore previste
20
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
dal combinato disposto del primo
e del quinto comma dell’art. 38
del D.Lgs. n. 507/1993 che prevedevano la possibilità di escludere
dal pagamento della T.O.S.A.P. le
sole aree appartenenti al patrimonio disponibile dei Comuni e delle Province, ha anch’essa il limite
di non prevedere un obbligo di
esclusione dalla doppia imposizione ma, più semplicemente, concede agli enti impositori la facoltà di
eliminare, in via autonoma, tale
vessazione.
A diverse e più eque conclusioni
va orientandosi la giurisprudenza.
Ed, infatti, in una relativamente
recente sentenza riguardante l’art.
192 del Testo Unico per la Finanza Locale, che però enuncia presupposti d’imposta analoghi a
quelli della normativa in vigore,
la Cassazione8 limita l’applicabilità della T.O.S.A.P. ai soli mercati
che si tengono “su suoli naturalmente e normalmente inclusi nel
complesso della viabilità municipale, e destinati dall’ente territoriale,
mediante provvedimento di tipo
autorizzatorio, allo svolgimento di
attività di vendita al pubblico”
escludendo, pertanto, “quelli ubicati in edifici appositamente realizzati o comunque utilizzati dal Comune per ospitare dette attività” in
quanto “la tassa in questione, sostanzialmente definibile come imposta, trova base giustificativa nel
venir meno, per la collettività e per
l’ente che la rappresenta, della disponibilità di porzioni altrimenti
inglobate nel sistema viario e, quindi, ove contemplata per i pubblici
mercati, va circoscritta a quelli che
siano collocati su strade o superfici
similari, restituibili alla loro originaria funzione con semplice rimozione dei banchi di vendita e delle
attrezzature accessorie”.
In definitiva questa sentenza stabilisce il fondamentale principio
per cui se un Comune “opta per
l’inserimento di un mercato in apposito fabbricato, il singolo rivenditore non occupa un tratto di strada
od una porzione di bene ad esso
equiparabile, e nemmeno uno spazio soprastante o sottostante ad una
strada; l’eventuale iniziale destinazione al pubblico transito dell’area
edificata è stata infatti irreversibilmente rimossa per effetto di detta
scelta, con la conseguenza che l’oggetto dell’occupazione è costituito da
locali in edificio pubblico” e, pertanto, nei casi di corresponsione
di canoni non ricognitori da parte
dei concessionari è incontrovertibilmente esclusa “la concorrente
applicazione del tributo in discorso,
in considerazione della non riconducibilità del bene investito da dette attività fra quelli per i quali il tributo stesso è stabilito”.
Anche i Giudici di merito si sono
più volte espressi in modo analogo. È il caso del Tribunale di Lucca che, più volte investito dell’argomento, ha sempre mantenuto
una linea costante affermando che
“nel caso in cui il Comune abbia occupato stabilmente degli spazi pubblici (nella specie aree di mercato)
con fabbricati dati in concessione a
privati dietro pagamento di un canone, non è possibile chiedere agli
stessi il pagamento della tassa per
l’occupazione di suolo pubblico” 9
escludendo la debenza della
T.O.S.A.P. quando “il Comune ha
sottratto il suolo all’uso pubblico,
mediante la erezione su di esso di
manufatti che ha in seguito concesso
in godimento esclusivo a privati a
destinazione commerciale, previa
corresponsione di un canone soggetto a periodiche revisioni” 10.
Alle stesse conclusioni sono giunti anche alcuni Giudici tributari11
che ravvisano quale “presupposto
indefettibile per operare legittimamente la tassazione delle aree occupate” l’onere, a carico del Comune impositore, di fornire la “prova
che l’area mercatale in oggetto, sulla quale insiste l’occupazione, appartenga al demanio od al patrimonio indisponibile dello stesso ente locale” in quanto “la dichiarazione soggettiva dell’ente pubblico,
diretta ad attribuire al bene vincolo di demanialità od indisponibilità, non può essere sostituita dalla
sola oggettiva destinazione del bene
alla funzione pubblica”. Sulla scorta di tali presupposti il collegio
giudicante ha ritenuto, altresì,
che quando si è in presenza di un
mercato comunale svolto all’interno di un’area recintata, il Comune impositore deve fornire
l’ulteriore prova che l’area recintata è normalmente soggetta ad uso
pubblico “talché possa percepirsi
nella compressione dell’uso pubblico
la ratio della T.O.S.A.P., che vuole
esserne il corrispettivo” e, di conseguenza, ha dichiarato inapplicabile tale imposta nei casi in cui “il
concessionario non occupa un tratto
di strada od una porzione di bene
ad essa equiparabile, e nemmeno
uno spazio soprastante o sottostante
una strada”.
Di analoga portata è un’ulteriore
sentenza degli stessi giudici tributari12 in base alla quale “il presupposto indefettibile per l’applicabilità della T.O.S.A.P. ex art. 38 1°
comma del D.Lgs 507/93 è che le
aree pubbliche occupate debbano
essere effettivamente e concretamente destinate ed adibite all’uso
pubblico generalizzato” e, per
converso, “in un’area attrezzata a
mercato pubblico soggetta a regime
del demanio pubblico e giammai
costituente bene demaniale ai termini dell’art. 824 C.C., che è quindi sottratta a qualsiasi utilizzazione
fuorché quella dello svolgimento dell’attività mercatale …… tale indefettibile requisito non ricorre”.
Quest’ultima sentenza ha altresì
affrontato il problema della compatibilità della T.O.S.A.P. con il
21
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
canone non ricognitorio alla luce
della previsione normativa di cui
all’art. 63 del D.Lgs. 446/1997
che, come detto, concede ai Comuni la possibilità di determinare
agevolazioni, fino alla completa
esenzione dal pagamento della
T.O.S.A.P., per le superfici e gli
spazi gravati da canoni concessori
non ricognitori. Il Collegio giudicante ha ritenuto che questa norma “conferma tale compatibilità
ma, chiaramente, non intacca affatto il richiamato principio”, “che resta necessario ed indefettibile”, secondo cui, per la legittimità dell’applicazione della T.O.S.A.P., le
aree pubbliche occupate devono
essere effettivamente e concretamente destinate ed adibite all’uso
pubblico generalizzato.
Michele Di Maio
Bibliografia
1. Risoluzioni Ministeriali n° 2428 del 30/06/1977, n° 3307 del
02/04/1980, n° 714 del 29/11/1989, n° 86 del06/02/1990 e n° 566 del
03/08/1990.
2. Art. 38 D.Lgs. 507/93 - Oggetto della tassa (comma primo) - Sono soggette alla tassa le occupazioni di qualsiasi natura, effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile
dei Comuni e delle Province. …… (omissis) ……
(comma quinto) - Sono escluse dalla tassa le occupazioni di aree appartenenti al patrimonio disponibile dei predetti enti o al demanio statale.
…… (omissis) ……
3. Circolare Ministeriale n° 13 del 25/03/1994.
4. Art. 39 D. Lgs. 507/93 – La tassa è dovuta al Comune o alla Provincia
dal titolare dell’atto di concessione o di autorizzazione o, in mancanza,
dall’occupante di fatto, anche abusivo, in proporzione alla superficie effettivamente sottratta all’uso pubblico nell’ambito del rispettivo territorio.
5. Tribunale Amministrativo del Lazio – Sezione seconda – Sentenza n°
1827 del 19 novembre 1997.
6. Circolare Ministeriale n° 43 del 20/02/1996.
7. Art. 27 D.Lgs. 285/1992 (Formalità per il rilascio delle autorizzazioni
e concessioni) ...... omissis ......
(comma settimo) La somma dovuta per l’uso o l’occupazione delle strade
e delle loro pertinenze può essere stabilita dall’ente proprietario della strada in annualità ovvero in unica soluzione.
(comma ottavo) Nel determinare la misura della somma si ha riguardo alle soggezioni che derivano alla strada o autostrada, quando la concessione
costituisce l’oggetto principale dell’impresa, al valore economico risultante dal provvedimento di autorizzazione o concessione e al vantaggio che
l’utente ne ricava ...... omissis ......
8. Corte di Cassazione – Sezione prima – Sentenza n° 253 del 14 gennaio 1998.
9. Tribunale di Lucca – Sentenza del 24 marzo 1992.
10. Tribunale di Lucca – Sentenza del 27 gennaio 1998.
11. Commissione Tributaria Provinciale di Napoli – Sezione quarantunesima – Sentenza n° 237 del 2 giugno 1999.
12. Commissione Tributaria Provinciale di Napoli – Sezione quarantunesima – Sentenza n° 281 del 2 giugno 1999.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
REVOCA O ANNULLAMENTO
DELL’ATTO IMPUGNATO:
«PAGA IL RICORRENTE»
IL 3° COMMA
DELL’ART. 46
r
DEL D.LGS. 546/92
APPARE
IN CONTRASTO
CON L’ART. 3
DELLA
COSTITUZIONE, IN
QUANTO GENERA
UNA DISPARITÀ DI
TRATTAMENTO TRA
IL CONTRIBUENTE
E LA PUBBLICA
AMMINISTRAZIONE
IL GIORNALE
DEL REVISORE
ecentemente è stato portato a
dibattito costituzionale il caso in
cui l’atto impugnato viene annullato o revocato, come da comunicazione dell’Ufficio Tributario e che la Commissione Tributaria competente deve dichiarare la cessazione della materia
del contendere, con effetto estintivo, che opera automaticamente. Il Giudice tributario non può
pronunziarsi, però, in ordine alla
richiesta di condanna alle spese
di causa, perché vi osta il 3°
comma dell’art. 46 del Decreto
Legislativo 31 dicembre 1992 n.
546, secondo il quale le spese del
giudizio estinto a norma del 1°
comma restano a carico della
parte che le ha anticipate, salvo
diversa disposizione di legge.
È stata ritenuta, rilevante nel giudizio tributario, la soluzione della
questione di legittimità costituzionale della norma, sollevata dalla parte sotto diversi profili, in
quanto il Collegio Giudicante solo a seguito della eliminazione
della norma ostativa potrà riprendere il suo potere-dovere, proprio
di ogni Organo Giurisdizionale,
di decidere nulle le spese di causa.
Va anche osservato che nel nuovo
processo tributario è prevista una
Nel caso di revoca o
annullamento dell’atto
impugnato, le spese di
causa restano, a norma
di legge, a carico della
parte che le ha anticipate
di Francesco Arcadio
differenziazione tra le posizioni
delle parti, che non trova giustificazione logica e/o razionale. Infatti, mentre l’Ufficio ha la facoltà di avvalersi dei principi della
autotutela, con la conseguenza di
poter impedire la prosecuzione
del giudizio, senza incorrere nella
eventuale condanna alle spese di
giudizio, analoga facoltà non è riconosciuta al contribuente che a
seguito di un errore o di un mutamento giurisprudenziale non
può esercitare un potere analogo
alla autotutela, ma può solo avvalersi della rinunzia agli atti del
giudizio, con la conseguenza del
rimborso delle spese di causa all’altra parte. Già sotto questo profilo, è stato fatto rilevare una disparità di trattamento, che annulla di fatto la parità processuale tra
22
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
le parti, che costituisce uno dei
cardini fondamentali del nostro
ordinamento giuridico e processuale e che, nel contempo, viola
l’art. 3 della Costituzione, senza
una giustificazione logica o razionale.
Ma la violazione dell’art. 3 della
Costituzione si può ricavare anche considerando che, mentre
dinanzi a tutte le altre giurisdizioni (cioè quella Civile, Amministrativa, Contabile), nel caso
in cui la Pubblica Amministrazione eserciti la cosiddetta “autotutela”, l’Organo Giudicante deve dichiarare cessata la materia
del contendere e condannare,
eventualmente, la Pubblica Amministrazione alle spese di causa,
per la cosiddetta soccombenza
virtuale, nel nuovo processo tributario la Pubblica Amministrazione può esercitare la cosiddetta
“autotutela” e conseguire la cessazione della materia del contendere, senza poter essere condannata, eventualmente, alle spese
di soccombenza virtuale.
Si verifica, così, una disparità di
trattamento, che trova origine e
fondamento nell’art. 46 del Decreto Legislativo n. 546/1992
sopra citato.
LA NORMA APPARE
Ma tale articolo, nel senso sopra
riportato, appare anche in contrasto con l’art. 24 della Costituzione, in quanto con esso viene ad essere menomato, limitato
e scoraggiato l’esercizio del diritto di difesa dei contribuenti-ricorrenti, diversi dalla Pubblica
Amministrazione, i quali, pur
avendo sostanzialmente ragione,
possono indursi a non ricorrere,
sapendo poi che la Pubblica
Amministrazione, riconoscendo
i propri errori, fa cessare il contenzioso, lasciando a carico dei
ricorrenti l’onere delle spese di
causa e quelle sostenute per le
competenze al professionista incaricato.
Appare evidente la irrazionalità,
oltre che l’ingiustizia, della scelta normativa, contenuta nell’art.
46 dianzi citato, per il quale la
parte contribuente, che sostanzialmente ha ragione ed ha esercitato il suo diritto di difesa, deve sopportare le spese per la sua
assistenza tecnica (peraltro obbligatoria per le controversie il
cui valore supera l’importo di 5
milioni di lire – art. 12, n. 5 del
D.Lgs. n. 546/1992), con la liberazione dell’altra parte e cioè
la Pubblica Amministrazione,
che per il suo errore l’ha costretta a proporre ricorso e ad avvalersi dell’assistenza tecnica.
Il Giudice delle leggi ha, però,
dichiarato la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale sollevata, con
Ordinanza n. 77 in data 18 marzo 1999, in relazione al contenuto dell’art. 46, comma 3° del
D.Lgs. n. 546/1992 e che all’asserita violazione del principio di
eguaglianza, la Corte Costituzionale ha rilevato che basta solo ribadire la disomogeneità, sia con
riguardo ai presupposti sia con
IN CONTRASTO ANCHE CON
L’ART. 24 DELLA COSTITUZIONE,
IN QUANTO CON ESSA VIENE
SCORAGGIATO L’ESERCIZIO
DEL DIRITTO DI DIFESA DEI
CONTRIBUENTI-RICORRENTI
riguardo agli effetti processuali e
sostanziali, fra la rinunzia al ricorso e la cessazione della materia del contendere, dando la palese inconfigurabilità della paventata disparità di trattamento,
risultante tra la comparazione
degli artt. 44 e 46 del Decreto
Legislativo n. 546/1992.
In particolare la Corte ha sottolineato come il legislatore, nell’opera affidata alla sua discrezionalità, di confermare negli
istituti del processo tributario i
criteri del rito civile, non abbia
travalicato il limite della razionalità. Nel contempo è stata affermata l’inidoneità del richiamo, quale parametro di riferimento, all’art. 97 della Costituzione, che riguarda le sole leggi
concernenti, in senso proprio,
l’ordinamento ed il funzionamento, sotto l’aspetto amministrativo, degli Uffici Giudiziari.
Però nel panorama della giurisprudenza tributaria, qualche
voce di dissenso si è già manifestata. Infatti la Commissione
Tributaria Provinciale di Campobasso, con sentenza n. 129
del 12 giugno 2001, ha ritenuto che la tardività di annullamento dell’avviso di accertamento, in sede di autotutela,
giustifica la condanna alle spese
di causa dell’Ente Locale (nel
caso di specie il Comune).
In tal modo il Giudice Tributario non applica la disposizione di
23
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
cui all’art. 46 del D.Lgs. n.
546/1992, laddove è previsto
che il giudizio si estingue, in tutto o in parte, nei casi di definizione prevista dalla legge e in
ogni altra ipotesi di cessazione
della materia del contendere, e
che il 3° comma dello stesso articolo stabilisce che le spese rimangono a carico della parte che
le ha anticipate. Dalla motivazione della sentenza n. 129/2001
si evince che l’annullamento
d’ufficio dell’avviso di accertamento, attraverso l’esercizio del
potere dell’autotutela, avvenuto
dopo che era trascorso molto
tempo dalla proposizione del ricorso, impedisce al giudice di
compensare le spese di giudizio,
“considerato il colpevole ritardo
dell’Ufficio”.
Però non può essere dichiarata
la cessazione della materia del
contendere se il Comune si limita ad annullare un atto emanato
per eliminare dei vizi e degli errori contenuti nell’atto stesso,
ma che non comportano la rinunzia alla pretesa tributaria sostanziale. Nella suddetta ipotesi,
la adozione del provvedimento
di annullamento si configura,
secondo il Giudice Tributario
molisano, come rinuncia agli atti del giudizio ai sensi dell’art.
44 del D.Lgs. n. 546/1992 e che
comporta l’addebito delle spese
di lite a carico del rinunziante,
salvo diverso accordo tra le parti. L’effetto principale che ne deriva è l’estinzione del processo,
che può essere dichiarata dal
Presidente della Sezione con decreto o dalla Commissione con
sentenza.
E così vivit sub pectore vulnus (e
cioè rimane ancora aperta la
controversia interpretativa).
Francesco Arcadio
IL GIUDICE DELLE
LEGGI HA PERÒ
DICHIARATO LA
INFONDATEZZA
DELLA QUESTIONE
DI LEGITTIMITÀ PER
LA DISOMOGENEITÀ
FRA LA RINUNZIA
E LA CESSAZIONE
DELLA MATERIA
DEL CONTENDERE
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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ONLUS: «GESTIONE
DI UNA CASA DI RIPOSO
PER ANZIANI»
c
on l’avvento del D.Lgs.
4/12/1997 n. 460 che, oltre a
costituire il primo impianto normativo tendente a disciplinare il
mondo del no-profit, ha introdotto la figura delle Organizzazioni Non Lucrative di Utilità
Sociale (ONLUS), numerose sono le problematiche sorte in ordine alla esatta individuazione
delle attività che rappresentano i
requisiti necessari per poter beneficiare delle disposizioni agevolative previste dalla normativa
in commento.
Come noto, l’articolo 10 del citato Decreto prevede che per poter essere qualificati come ONLUS i soggetti giuridici classificati tra quelli non commerciali,
oltre a prevedere nei propri statuti particolari clausole, debbono rispettare tre requisiti fondamentali:
- perseguire esclusivamente finalità di solidarietà sociale;
- svolgere statutariamente un’attività nel settore della assistenza
sociale e socio-sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione,
sport dilettantistico, promozione della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili;
tra tali attività, quelle che sono
Per poter essere qualificati
come ONLUS
e beneficiare delle
agevolazioni previste
dalla attuale normativa
è necessaria la esatta
individuazione
dei requisiti necessari
di Gianluigi Bertolli
rivolte alla persona, devono essere rese nei confronti di soggetti svantaggiati in ragione di
condizioni fisiche, psichiche,
economiche, sociali o familiari
oppure nei confronti di componenti di collettività estere, limitatamente agli aiuti umanitari.
Una volta soddisfatti i requisiti
fondamentali, si rendono applicabili tutta una serie di agevolazioni ai fini delle imposte dirette
ed indirette che, secondo lo spirito della norma, tendono a non
gravare tali enti di oneri amministrativi e fiscali.
In fase di prima interpretazione
ed applicazione delle nuove disposizioni, numerosi sono stati
27
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
gli equivoci che hanno portato i
taluni soggetti a qualificarsi come ONLUS, mentre in realtà
erano carenti dei necessari requisiti, con immaginabili dolorose
conseguenze sotto il profilo sanzionatorio.
In particolare, nel campo dell’esercizio dell’attività di casa di riposo per persone anziane, ancora oggi si manifestano perplessità
e dubbi interpretativi in ordine
alla sussistenza dei requisiti necessari per poter essere annoverata tra quelle ammesse a godere
dei benefici previsti dalla normativa in esame.
Nel tentativo di fornire un contributo utile a dissipare tali incertezze, è opportuno ripercorrere brevemente le disposizioni
contenute nel citato D.Lgs. 460
nonché le interpretazioni ministeriali che si sono succedute dalla sua entrata in vigore.
Come sopra accennato, l’esclusivo perseguimento di finalità sociali costituisce condizione essenziale affinché un soggetto
possa essere qualificato ONLUS
e, per espressa previsione normativa, tali finalità si intendono
perseguite quando le cessioni di
beni e le prestazioni di servizi –
LA CONDIZIONE
ESSENZIALE
AFFINCHÉ UN
SOGGETTO POSSA
ESSERE
QUALIFICATO
ONLUS È
L’ESCLUSIVO
PERSEGUIMENTO
DI FINALITÀ
SOCIALI
IL GIORNALE
DEL REVISORE
relative alle attività statutariamente svolte nei settori dell’assistenza sanitaria, dell’istruzione,
della formazione, dello sport dilettantistico, della promozione
della cultura e dell’arte e della tutela dei diritti civili sono dirette
ad arrecare benefici a:
- persone svantaggiate in ragione
di condizioni fisiche, psichiche,
economiche, sociali o familiari;
- componenti collettività estere,
limitatamente agli aiuti umanitari.
A prescindere poi dalle citate
condizioni, si considerano comunque inerenti a finalità di solidarietà sociale le attività statutarie istituzionali svolte nei settori della assistenza sociale e sociosanitaria, della beneficenza, della
tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico di cui alla L.
1.6.1939, n. 1089, ivi comprese
le biblioteche e i beni di cui al
D.P.R. 30.9.1963, n. 1409, della tutela e valorizzazione della
natura e dell’ambiente con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di raccolta e riciclaggio dei rifiuti urbani, speciali e
pericolosi, della ricerca scientifica di particolare interesse sociale
svolta direttamente da fondazioni, in ambiti e secondo modalità
da definire con apposito regolamento governativo, nonché le
attività di promozione della cultura e dell’arte per le quali sono
riconosciuti apporti economici
da parte dell’Amministrazione
centrale dello Stato.
In altri termini, quindi, i settori
di attività elencati nel già citato
art. 10 del Decreto in commento
vengono distinti, ai fini dell’individuazione delle finalità di solidarietà sociale, in due categorie:
- settori per i quali le finalità di
IL GIORNALE
DEL REVISORE
LA FIGURA DELLE ONLUS
È STATA INTRODOTTA DAL
D.LGS. N. 460 DEL 4 DICEMBRE
97, CHE HA DEFINITO LE
CLAUSOLE STATUTARIE E
I REQUISITI FONDAMENTALI
CHE TALI ORGANIZZAZIONI
DEVONO AVERE
solidarietà sono correlate alle
condizioni dei destinatari;
- settori per i quali le finalità di
solidarietà sociale si considerano immanenti per espressa previsione normativa.
Analizziamo ora in dettaglio le
due fattispecie.
Al punto A) appartengono i seguenti settori:
- assistenza sanitaria;
- istruzione;
- formazione;
- sport dilettantistico;
- promozione della cultura e dell’arte;
- tutela dei diritti civili.
All’interno di tali settori la finalità solidaristica si considera perseguita solo qualora l’attività ad
essi relativa sia diretta a procurare vantaggi a soggetti che versano
in condizioni di particolare bisogno o disagio. La nozione di persone svantaggiate è stata fornita,
seppure in via esemplificativa,
dalla Circolare ministeriale
26.6.1998, n. 168/E che così
precisa:
“La valutazione della condizione
di “svantaggio” costituisce un giudizio complessivo inteso a individuare categorie di soggetti in condizioni di obiettivo disagio, connesso a situazioni psico-fisiche particolarmente invalidanti, a situa-
28
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
zioni di devianza, di degrado o
grave disagio economico-familiare
o di emarginazione sociale. Situazioni di svantaggio possono, pertanto, riscontrarsi ad esempio nei
seguenti casi:
- disabili fisici e psichici affetti da
malattie comportanti menomazioni non temporanee;
- tossico-dipendenti;
- alcolisti;
- indigenti;
- anziani non autosufficienti in
condizioni di disagio economico;
- minori abbandonati, orfani o in
situazioni di disadattamento o
devianza;
- profughi;
- immigrati non abbienti”.
Al punto B) appartengono i seguenti settori:
- attività di assistenza sociale e
socio-sanitaria;
- beneficenza;
- tutela, promozione e valorizzazione delle cose di interesse artistico e storico di cui alla L.
1.6.1939, n. 1089, ivi comprese le biblioteche e i beni di cui
al D.P.R. 30.9.1963, n. 1409;
- tutela e valorizzazione dell’ambiente, con esclusione dell’attività, esercitata abitualmente, di
raccolta e riciclaggio dei rifiuti
urbani, speciali e pericolosi di
cui all’articolo 7 del D.Lgs.
5.2.1997, n. 22;
- attività di promozione della
cultura e dell’arte, per le quali
sono riconosciuti apporti economici da parte dell’Amministrazione centrale dello Stato;
- ricerca scientifica di particolare
interesse sociale svolta direttamente da fondazioni ovvero da
esse affidata ad università, enti
di ricerca e altre fondazioni che
la svolgono direttamente, in
ambiti e secondo modalità da
definire con apposito regolamento governativo emanato ai
sensi dell’articolo 17 della L.
23.8.1988, n. 400.
Per alcune delle suddette attività,
quali l’assistenza sociale, sociosanitaria e la beneficenza, il fine
solidaristico è considerato immanente in quanto la condizione di svantaggio dei destinatari è
presupposto essenziale dell’attività stessa e non vi è necessità di
ulteriori precisazioni normative.
Per talune altre, quali la tutela e
la valorizzazione del patrimonio
storico e artistico ovvero della
natura e dell’ambiente nonché
della ricerca scientifica, il fine solidaristica si intende perseguito
indirettamente a beneficio non
di singole persone ma della collettività diffusa1.
Tornando all’argomento che ci
occupa relativo alla attività delle
case di riposo per anziani – alla
luce delle considerazioni sopra
esposte e delle interpretazioni
ministeriali richiamate – potrebbe apparire scontato che, trattandosi di attività inquadrabile
tra quelle di assistenza sociale o
socio-sanitaria per la quale la finalità di solidarietà sociale si
considera immanente per espressa previsione normativa, rientri
tra quelle gestibili da parte di
una ONLUS (con le conseguenti agevolazioni fiscali ed amministrative) senza l’ulteriore necessità di verificare la condizione dei
soggetti destinatari della prestazione fornita. A tale proposito è
però intervenuta la Risoluzione
ministeriale 11.12.2000, n.
189/E la quale, richiamando
l’articolo 38 della Costituzione2,
delimita il concetto di assistenza
sociale e socio-sanitaria alle attività finalizzate ad assicurare
un’esistenza dignitosa a coloro
che, inabili al lavoro, versano in
condizioni di bisogno.
Appare quindi evidente che la
qualifica di soggetto “anziano”
non appare di per sé sufficiente a
ricondurre lo stesso tra i soggetti
che versano in condizione di bisogno, destinatari di assistenza
sociale e, per estensione, di assistenza socio-sanitaria3.
Da ciò discende che l’attività di
casa di riposo per anziani potrà
essere svolta da ONLUS, usufruendo del regime di agevolazione previsto per tali enti, solo
qualora si facciano carico di situazioni personali effettivamente
marginali e disagiate anche sotto
l’aspetto economico tale per cui
gli assistiti siano chiamati a corrispondere rette poco più che
simboliche, eventualmente integrate da contributi di enti pubblici4.
La citata risoluzione riporta una
importante precisazione laddove
specifica che, in ogni caso, le
ONLUS (senza peraltro usufruire delle agevolazioni previste dalla normativa ad esse specificamente riferita bensì applicando
il normale regime previsto per gli
enti non commerciali – n.d.r.)
possono svolgere la loro attività
in regime di convenzione con le
Amministrazioni pubbliche, in
tal caso essendo riconosciuta l’irrilevanza fiscale dei contributi
erogati all’ente – ex articolo 108,
comma 2 bis, del TUIR – sia per
quelli a fondo perduto che per
quelli aventi natura corrispettiva.
Volendo trarre delle conclusioni
da quanto si è andati esponendo,
appare evidente che l’attività
svolta dalla stragrande maggioranza delle case di riposo per anziani oggi presenti sul mercato
non può certo essere annoverata
tra quelle tipiche delle ONLUS
29
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
che, come abbiamo visto, debbono operare con il primario
obiettivo di fornire supporto e
sostegno a categorie di soggetti
certamente non abbienti e, soprattutto, in situazioni di acclarata indigenza.
Avere chiari questi concetti appare di assoluta importanza per
operare corrette scelte gestionali
e ciò al fine di non ritrovarsi con
amare sorprese in caso di verifica
da parte dell’Authority preposta
al settore o dell’Amministrazione finanziaria.
Gianluigi Bertolli
Bibliografia
1. Vedi Circolare ministeriale 26.6.1998,
n. 168/E.
2. Articolo 38 – “Ogni cittadino inabile al
lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per
vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale.”
3. Vedi Risoluzione ministeriale
11.12.2000, n. 189/E.
4. Tale concetto è stato ripreso nella successiva Risoluzione del 21.5.2001, n. 75.
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IL GIORNALE
DEL REVISORE
COSTITUZIONE
IN GIUDIZIO: «IMPOSSIBILE
L’UTILIZZO DELLE POSTE»
l
a costituzione in giudizio nel
processo tributario si è arricchita
di una importante precisazione:
la non utilizzabilità del servizio
postale.
È una questione di forma o di
sostanza?
La regola, ricorda la sentenza
n. 8829/01, è la consegna eseguita personalmente e, in assenza di una espressa previsione
normativa, non è consentito, per
il deposito degli atti, utilizzare il
servizio postale, configurandosi
tale modalità come eccezione alla regola. La deroga prevista per
il ricorso per Cassazione, oltre a
confermare la regola, sarebbe
giustificata dalla:
- unicità della Corte;
- ubicazione della Corte;
- connessa opportunità di sollevare la parte depositante dall’onere di recarsi a Roma.
Considerazioni, queste, pregnanti di lodevole partecipazione alla tribolata vita del cittadino
che meriterebbero di assurgere a
principio canonico cui regole e
procedure dovrebbero ispirarsi.
Sempre.
Se ne deduce, quindi, che gli
aspetti che non consentirebbero
la deroga della costituzione in
giudizio a mezzo servizio postale
IL GIORNALE
DEL REVISORE
Nella costituzione in
giudizio, la regola
prescrive che la consegna
sia eseguita
personalmente: deciso
ancoraggio al passato
nell’era della telematica
di Domenico Napolitano
sarebbero essenzialmente:
- le Commissioni tributarie sono
più di una;
- esse hanno sede in diverse altre
città e non solo a Roma;
- la parte depositante, per recarsi
alla segreteria della Commissione Tributaria competente (non
importa quale sia la sua ubicazione), non sopporterebbe oneri
meritevoli di attenzione.
È noto, però, che i rapporti giuridici del cittadino-contribuente,
oggigiorno, tendono a travalicare, in maniera crescente, diffusa
e generalizzata, i confini comunali, provinciali, della Regione,
forse anche dello Stato di residenza. Doverli curare di persona,
talvolta, potrebbe essere ben ardua impresa. Altro che recarsi a
Roma!
30
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
Si pensi, per rimanere in materia
di tributi, all’I.C.I. della casa al
mare o in montagna, dell’abitazione del paese natio dal quale si
è lontani per motivi di lavoro.
Condizioni, queste, tutt’altro
che rare nel nostro paese e che
rappresentano altrettante fonti
di possibili liti tributarie. È facile immaginare, quindi, lo scenario: un popolo in cammino, da
Nord a Sud e viceversa, da Est ad
Ovest e viceversa, anche al di là
del mare, da e per le isole, dall’estero, con tanto di fascicolo sotto-braccio, da depositare presso
la segreteria della C.T. competente per territorio. Mentre l’Ente impositore, necessariamente,
rimane in casa.
Magari si trattasse di arrivare a
Roma! Per il milanese che ha la
casa in Sardegna o il siciliano che
ce l’ha in Trentino, depositare il
ricorso potrebbe significare giorni di viaggio, con pernottamenti
e soste varie, cercando di conciliare termini di scadenza, orari
propri e orari di segreteria.
È pur vero che è possibile delegare, ma è altrettanto vero che i
conseguenti oneri potrebbero
indurre a desistere dal ricorrere;
maggiormente quando gli importi in discussione sono relati-
vamente modesti. Il più delle
volte, delegare significa dare
mandato ad un professionista,
quand’anche, in ragione del valore della lite, il contribuente
possa essere esonerato dall’obbligo di farsi assistere.
Nell’era della telematica, della
generalizzata diffusione della firma digitale, definire anacronistica la precisazione della sentenza,
forse, non renderebbe il giusto
merito ai suoi estensori. Mentre,
infatti, tutto evolve verso il virtuale, deposito o consegna o presentazione o trasmissione che
sia, dai bilanci delle società alle
dichiarazioni fiscali, dalla registrazione dei contratti ai ricorsi
alla G.C.C.E. (Cfr C.G. C.E. –
T.P.I. – istruzioni del 14.03.
2002), è difficile ipotizzare un rigido ritorno al formalismo più
severo. La massima della Cassazione, invece, ben potrebbe essere interpretata come monito al
legislatore affinché provveda a
dettare nuove regole, in linea con
i tempi e maggiormente rispondenti alle esigenze del cittadino.
Nel frattempo, si assiste ai consueti disorientamenti; e dottrina e
giurisprudenza fanno la loro parte. Commissioni Tributarie che,
in precedenza alla sentenza della
Cassazione non avevano censurato come inammissibile l’utilizzo
del servizio postale, adesso hanno
adeguato il loro orientamento a
tale precisazione; altre, di avviso
diverso, hanno sollevato l’eccezione di illegittimità costituzionale
della norma (artt. 22 e 23, D.Lgs.
31.12.1992, n. 546 - C., T.P. di
Novara, ord. 16.10.01).
A ben vedere, quando gli importi in discussione sono modesti, il
disagio connesso al deposito del
ricorso potrebbe far propendere
per l’acquiescenza alla pretesa
tributaria, con palese compressione del diritto di difesa.
Un diritto, costituzionalmente
garantito, il cui esercizio dovrebbe essere facilitato e agevolato e non ostacolato o reso
maggiormente oneroso o, peggio ancora, negato, nonostante
le ragioni del ricorrente o la sua
volontà di difendersi siano
giunte, comunque, a conoscenza del giudice.
Domenico Napolitano
REVOCABILE L’AMMISSIONE
DI CONCORDATO PREVENTIVO
i
l decreto del Tribunale relativo
all’ammissione di una Società alla
procedura di concordato preventivo nella forma di cui all’art. 160,
2° comma, n. 1 L. F., è revocabile.
È quanto stabilito in una recente
sentenza del Tribunale Fallimentare di Monza il quale così si è
espresso a proposito del ricorso
avanzato da una Azienda metalmeccanica. Il decreto di ammissione al concordato preventivo seguito dalla successiva revoca ha
Una recente sentenza del
Tribunale Fallimentare
di Monza ha consentito
il raggiungimento della
miglior tutela per il ceto
creditorio
di Serenella Di Donato
consentito il raggiungimento della migliore tutela per il ceto credi-
31
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
torio il quale da un lato è stato
salvaguardato con l’interruzione
dei termini prescritti per l’eventuale esperimento delle azioni revocatorie ex art. 67 L.F., e dall’altro con la restituzione della piena
dignità di creditori dell’imprenditore non insolvente a coloro che
erano divenuti creditori dell’imprenditore non insolvente e quindi assoggettati al sacrificio.
I fatti: in data 23/7/01 a seguito
di istanza di fallimento presentata
IL GIORNALE
DEL REVISORE
da un fornitore e del rispetto della successiva richiesta congiunta
di concessione di ampio termine
per il perfezionamento di un concordato stragiudiziale (motivato
dal Tribunale con riferimento al
pregiudizio che sarebbe derivato
alla massa dei creditori, nel caso
di fallimento, dal superamento
del termine per la revoca ex art.
67 L.F. di ingenti pagamenti effettuati tra il luglio e l’ottobre
2000), presenta domanda di ammissione a concordato preventivo
nelle forme di cui all’art. 160, 2°
comma, n. 1 L.F.;
con decreto del 27/7/2001 il Tribunale ammette la Società alla
procedura di concordato preventivo;
in data 17/10/2001 prima della
formale apertura dell’adunanza
dei creditori, la Controllante
dell’Azienda in oggetto comunicava di aver acquistato pro soluto la totalità dei crediti vantati
dal ceto bancario nei confronti
della controllata, di aver provveduto al pagamento integrale di
tutti i creditori commerciali e di
aver quindi concesso alla controllata una dilazione di mesi diciotto per l’intero ammontare
dei crediti acquistati e dei crediti
di rivalsa, con disponibilità a rinegoziare alla scadenza del termine le modalità di rimborso;
contestualmente venivano prodotte le dichiarazioni con cui le
Società del Gruppo industriale
di appartenenza dell’Azienda,
pure creditrici della stessa, avevano concesso una dilazione di
cinque anni per tutti i crediti;
veniva altresì prodotta la dichiarazione di concessione di dilazione di mesi 18 da parte di un creditore governativo estero: indi il
Giudice delegato differiva l’adunanza dei creditori per verificare
IL GIORNALE
DEL REVISORE
con l’ausilio del Commissario
Giudiziale, la documentazione
prodotta e valutare l’incidenza
delle dichiarazioni sulla situazione finanziaria della Società in
concordato preventivo.
Successivamente l’Azienda presentava ricorso per la revoca ex
art. 742 c. p. c. del decreto di
ammissione alla procedura di
concordato preventivo per sopravvenuta cessazione dello stato
di insolvenza e il Giudice delegato, risultando dagli accertamenti
compiuti dal Commissario Giudiziale che l’operazione aveva interessato la totalità dei crediti e
pertanto non vi era più alcun
credito esigibile prima della decorrenza dei 18 mesi, si riservava
di riferire al Collegio.
Il Tribunale Fallimentare pur in
mancanza di una specifica disposizione normativa, decideva di
revocare il decreto di ammissione dell’Azienda alla procedura di
concordato preventivo.
Il motivo di una tale decisione
può essere ricondotto principalmente alla considerazione che il
decreto di ammissione alla procedura di concordato preventivo
non ha valore di definitivo accertamento della sussistenza dello
stato di insolvenza il quale può
venire meno in pendenza del
giudizio di omologazione con
cessazione degli effetti e debitatori e dilatori a carico dei creditori di imprenditore insolvente.
Quanto alla forma del provvedimento che sancisce la revoca del
decreto di ammissione al concordato nel caso in cui la cessazione emerga prima o durante
l’adunanza dei creditori, non risulta debba essere necessariamente quella della sentenza che
omologa il concordato. Si rileva
inoltre la natura di istituto gene-
32
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
rale di diritto pubblico della revoca la quale mantiene la connotazione della generalità anche
nell’ambito più specifico del diritto processuale.
Ne discende logicamente che in
materia di concordato preventivo in assenza di una specifica disciplina della revoca, opera il
principio generale della revocabilità dei provvedimenti diversi
dalla sentenza che definisce il
provvedimento quindi è revocabile il decreto di ammissione.
La sentenza inoltre considera anche la circostanza in cui non si
condividesse l’enucleazione di
un principio generale di revocabilità dei provvedimenti in materia processuale e si ritenesse
quindi necessaria l’individuazione delle specifica previsione normativa a cui ancorare la revoca
del decreto di ammissione al
concordato preventivo. In tal caso si perverrebbe comunque alla
conclusione della sua revocabilità in virtù delle seguenti considerazioni:
la previsione di cui all’art. 742 c.
p. c. è applicabile ai procedimenti di volontaria giurisdizione
quale quello del concordato in
considerazione dell’assenza dei
caratteri tipici del giudizio contenzioso, parimenti risulterebbe
la revocabilità del decreto qualora si qualificasse atto funzionale
ad esigenze cautelari. Infine può
ragionevolmente affermarsi che
la previsione di cui all’art. 487 c.
p. c., secondo cui le ordinanze
possono essere revocate finché
non abbiano avuto esecuzione,
sarebbe applicabile nel caso in
cui il procedimento di concordato preventivo venisse qualificato
come procedimento esecutivo
speciale.
Serenella Di Donato
A NAPOLI UN CONVEGNO
SUL FALSO IN BILANCIO
l
a riforma della giustizia è uno
dei temi più caldi di questi ultimi
mesi su cui quasi quotidianamente più che confrontarsi si scontrano maggioranza e opposizione.
La delegazione napoletana dell’Istituto ha inteso inserirsi tecnicamente nella problematica, promuovendo due forum su provvedimenti molto delicati e strettamente connessi con le funzioni
professionali ricoperte dai revisori
contabili quali il Falso in Bilancio
e la Riforma della Bancarotta
Fraudolenta. Tratteremo in questa sede del primo convegno svoltosi il 18/3/2002, che ha affrontato le tematiche del “Falso in Bilancio” proprio mentre questo
provvedimento già licenziato dalla Commissione Giustizia della
Camera dei Deputati era all’esame della Commissione Giustizia
del Senato. Nel momento clou si
sono quindi confrontati docenti
universitari, rappresentanti dell’imprenditoria e delle professioni
e magistrati, con esponenti della
Commissione Giustizia del Senato dei due schieramenti.
La relazione introduttiva è stata
svolta dal Prof. Ermanno Bocchini, ordinario di diritto commerciale alla Università Federico II di
Napoli. Il Prof. Bocchini ha fatto
rilevare come il metro di valutazione, piuttosto morbido, utilizzato
dalla giurisprudenza costante nei
Organizzato a Napoli
dalla delegazione locale
dell’INRC un riuscito
convegno sul tema
di Ubaldo Procaccini
decenni precedenti per valutare il
Falso in Bilancio abbia subìto poi
una sterzata negli ultimi anni verso un regime sanzionatorio molto
rigido. Questa norma è divenuta
un’arma nelle mani delle Procure
della Repubblica per colpire indiscriminatamente qualsiasi trasferimento di denaro senza rispettare
una giusta proporzionalità fra il
reato commesso e la sanzione. In
questa ottica, per il docente universitario, la modifica apportata
dalla nuova normativa introduce
un principio di proporzionalità
prima inesistente ed è quindi positiva. Desta però perplessità la decisione di trasformare il reato di falsa comunicazione da delitto in
semplice contravvenzione.
Alla relazione del Prof. Bocchini
ha fatto seguito il dibattito in cui
sono intervenuti l’Ing. Giampiero
de la Feld, presidente della Federindustria Campania, cha ha dichiarato: “Errori e illegalità in un
bilancio, che è il biglietto da visita
di un’impresa, non possono essere
lasciati a valutazioni oscillanti. Su
questa materia abbiamo bisogno
33
Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
di norme certe, dall’interpretazione univoca”.
Il presidente della Confapi Campania Dario Scalella ha espresso
preoccupazione per alcune modifiche apportate in materia di reati
societari: “Separare per legge le
fattispecie di punibilità a seconda
che l’azienda sia quotata in Borsa
o meno, dice, è un errore che va al
più presto emendato perché rischia di creare eccessive differenziazioni fra le piccole e medie imprese e i colossi economici”. Per
Domenico Ciruzzi, consigliere
dell’Ordine degli Avvocati di Napoli, una riforma del Falso in Bilancio era indispensabile dopo l’uso troppo spesso strumentale che
si è fatto di questa tipologia di reato, ma l’abbassamento della soglia
di punibilità rischia di trasformarsi in una sorta di depenalizzazione
di questo reato. In questa posizione si è attestato anche il Presidente di Corte di cassazione dr. Domenico Mazzocca, mentre il Vice
Presidente dell’Ordine dei Dottori Commercialisti Domenico Posca ha rilevato che “la politica forse ha strumentalizzato una materia che aveva implicazioni squisitamente economiche”.
La parola è quindi passata ai parlamentari impegnati nella Commissione Giustizia del Senato.
Il senatore di An, Luigi Bobbio,
ha sostenuto: “Stiamo attuando
IL GIORNALE
DEL REVISORE
con enorme senso di responsabilità una difficile opera di riorganizzazione dell’intero sistema
normativo dei reati societari per
rispondere alle richieste che provenivano in primis dalla stessa
dottrina giurisprudenziale. Qualsiasi altra motivazione alla riforma del Falso in Bilancio addotta
dalle opposizioni è solamente
strumentale. Basti pensare che la
disciplina in materia risale al
1942. cioè a sessant’anni fa. Era
logico che ci impegnassimo, nel
pieno rispetto dei programmi
presentati dagli elettori come Casa delle Libertà, ad un adeguamento di una normativa del tutto
obsoleta e ormai non più rispondente alle esigenze della nostra
economia.
Con la nuova legge proseguiamo
strategicamente l’obiettivo di adeguare la nostra normativa a quella
della Comunità Europea per entrare a pieno titolo in Europa. Direi che è alquanto singolare che
chi ci accusa di non essere abbastanza europeisti, di fare una politica miope su questioni come la
mancata partecipazione al progetto dell’Airbus europeo o del mandato di cattura internazionale,
non senta poi l’esigenza di mettere mano al più presto a una modifica di una materia vitale per la
nostra economia come questa. La
verità è che da troppi anni il reato
di falso in bilancio è stato usato
come arma a scopo di lotta politica. Chi si oppone aprioristicamente a questa legge teme solo di
non poter usare più la vecchia
normativa per colpire gli avversari, per danneggiare questo o quel
soggetto scomodo. Questa legge,
slegata da considerazioni particolaristiche, ci proietta pienamente
in Europa modificando un settore
chiave di sviluppo della nostra
IL GIORNALE
DEL REVISORE
economia con ricadute a positive
a cascata proprio per i soggetti più
deboli che operano sul mercato,
cioè i piccoli risparmiatori. Le opposizioni ci hanno anche accusato
di eccessiva fretta, di voler smantellare il sistema sanzionatorio.
Tutto ciò e falso e grossolano. La
nuova legge, da una parte fa salve
le fattispecie della vecchia normativa, dall’altra ne individua di
nuove come quella presente nel
resto d’Europa dell’infedeltà patrimoniale, e contemporaneamente
restringere a soggetti precisi e ben
individuati le ipotesi punibilità.
Abbiamo del resto seguito criteri
di razionalizzazione della stessa
terminologia. Si pensi, ad esempio al termine “fraudolentemente”, una vera mannaia che ha generato tanti errori. Lo abbiamo
sostituito con le fattispecie, più
coerenti, del dolo intenzionale e
del dolo eventuale.
Siamo sicuri che il mondo dell’economia ne riceverà solo benefici.”
Ovviamente di contrario avviso,
il senatore Ds, Massimo Villone,
che ha affermato: “La nuova normativa sul Falso in Bilancio e, più
in generale, sull’intera disciplina
dei reati societari è, a mio modo
di vedere, una pessima legge di
cui francamente proprio nessuno
sentiva il bisogno.
Ritengo che soltanto con una
sfrenata fantasia si può tentare di
avvalorare la tesi che questa nuova legge sul Falso in Bilancio fosse indispensabile. Sono convinto
che il sistema economico nazionale non trarrà da essa alcun giovamento. Affermare poi che essa
serve ad adeguare la nostra normativa a quella europea appare risibile. Mi spiego: in tutta Europa
e nel resto del mondo ci si incammina nel senso di moltiplicare i
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
meccanismi di controllo del mercato, a garanzia di trasparenza,
non certamente di smantellarli.
Quali e quanti vantaggi possono
venire dall’introduzione di un regime di sostanziale incertezza sulla validità dei bilanci presentati
dalle aziende è ancora una questione che mi appare del tutto
oscura. A mio giudizio se non c’è
trasparenza non può esserci affatto un corretto e libero mercato.
La maggioranza vuole il varo della nuova normativa sul Falso in
Bilancio e sui reati societari per
salvare personaggi ben individuati e quindi per motivi che nulla
hanno a che fare con le motivazioni che vengono addotte.
Ritengo quindi grave che si travolga in modo così profondo una
materia fondamentale al solo scopo di creare condizioni favorevoli
per tutti coloro che intendono
operare attraverso comportamenti censurabili e sanzionabili e non
certo per chi aspira ad una economia di mercato sempre più aperta e sostanzialmente virtuosa”.
I lavori apertisi con un indirizzo
di saluto del Presidente dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili Modesto Bertolli, sono stati
conclusi dal Segretario generale
Virgilio Baresi che ha tratto le
conclusioni del dibattito.
Per Baresi “lo spirito della riforma
sui reati societari” è certamente
condivisibile. Il problema, secondo i revisori, è che una legge efficace cala in un contesto in cui
l’amministrazione della giustizia è
allo sfascio. Per carenze logistiche,
organizzative e di risorse umane i
tempi della legge sono troppo
lunghi e con il regime delle prescrizioni c’è davvero il rischio che,
alla fine, nessuno venga più punito per reati societari.
Ubaldo Procaccini
TRASMISSIONE TELEMATICA
E FIRMA DIGITALE
l
a legge 24 novembre 2000, n.
340 (legge di semplificazione
1999), prevede, fra le altre novità
riguardanti il Registro delle imprese, che dal 9 dicembre 2001, poi
prorogato al 9 dicembre 2002, gli
atti, le domande, le denunce relative alle società dovranno essere
obbligatoriamente presentate per
via informatica e telematica e non
potranno più, quindi, essere utilizzati i moduli cartacei.
Secondo il D.P.R. 28 dicembre
2000, n. 445, modificato dal decreto legislativo 23 gennaio 2002,
n. 10, per documento informatico si intende la rappresentazione
informatica di atti, fatti o dati giuridicamente rilevanti e, in quanto
sottoscritto con firma digitale e redatto in base alle disposizioni tecniche prefissate, soddisfa il requisito della forma scritta.
La firma digitale è l’equivalente
elettronico della firma apposta su
carta ed è associata al documento
informatico tramite un SW contenuto nel microprocessore di una
Smart Card. La sua funzione è
quella di attestare la paternità e
l’integrità di un documento.
Essa ha le caratteristiche di:
• riservatezza, in quanto il documento firmato deve essere compreso soltanto dal destinatario;
• integrità, in quanto il documento, dopo essere stato firmato,
Obbligatorio
dal 9 dicembre 2002
l’invio telematico degli
atti alle Camere di
Commercio con l’utilizzo
della firma digitale
di Achille Pellenghi
non può essere modificato da
nessuno;
• autenticazione, in quanto il documento firmato, deve poter essere attribuito soltanto al suo
mittente, cioè al titolare della
chiave pubblica, la cui identità è
certificata da una autorità di certificazione;
• non ripudio, in quanto chi ha
sottoscritto il documento non
può negare di averlo fatto.
La firma elettronica è generata da
un programma che cripta i documenti in un modo unico per
ogni utente, ed è basato su un sistema a coppia di chiavi indipendenti e asimmetriche, una pubblica e una privata; dalla conoscenza di una di queste chiavi
non è possibile ricavare l’altra.
Ogni chiave può essere usata sia
per criptare sia per decifrare un
messaggio, ma non per entrambe
le cose; infatti, se si cripta con la
chiave privata (posseduta dal tito-
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
lare), il messaggio è decifrato soltanto utilizzando la chiave pubblica (rilasciata dall’Autorità di certificazione) e viceversa.
Per il rilascio del dispositivo di firma digitale l’Ente Certificatore si
avvale degli Uffici di registrazione
(RAO), strutture ubicate nel territorio abilitate alla distribuzione
delle Smart Card, svolgenti, in sostanza, le attività di interfaccia tra
il Certificatore e l’utente titolare
della firma.
La Smart Card è l’apparato elettronico che conserva in luogo protetto la chiave privata e serve per
generare la firma digitale. È simile
ad una carta di credito, dotata di
un microprocessore, in cui vengono scritti dati significativi, e custodisce la chiave privata, rendendola
inaccessibile dall’esterno.
È protetta da un PIN (Personal
Identification Number) segreto dell’utente, rigorosamente numerico
e di lunghezza tra i 5 e gli 8 caratteri. Al fine di sottoscrivere un documento, il firmatario lo visualizza, inserisce la sua Smart Card in
un apposito lettore collegato con il
PC e digita il PIN segreto.
La firma viene creata all’interno
della Smart Card e il documento
firmato viene salvato su file.
Nel caso in cui debba essere sottoscritto da altro firmatario, il
medesimo visualizzerà il docu-
IL GIORNALE
DEL REVISORE
mento già firmato dal primo, inserirà la propria Smart Card e digiterà il proprio PIN segreto,
quindi il documento, con tutte
le firme, verrà salvato su file.
L’autentica della firma digitale, ai
sensi dell’articolo 24 del D.P.R. n.
445/2000, consiste “nell’attestazione, da parte del pubblico ufficiale, che la firma digitale è stata
apposta in sua presenza dal titolare, previo accertamento della sua
identità personale, della validità
della chiave utilizzata e del fatto
che il documento sottoscritto risponde alla volontà della parte e
non è in contrasto con l’ordinamento giuridico”.
La procedura di autentica consiste:
- firma del documento da parte
del sottoscrittore,
- verifica della chiave pubblica del
sottoscrittore effettuata dal pubblico ufficiale tramite il collegamento ai registri della Camera di
Commercio,
- apposizione dell’attestazione di
autenticità al documento,
- apposizione della firma sull’impronta calcolata sull’insieme costituito dal documento, dalla firma del sottoscrittore e dall’attestazione di autenticità.
L’apposizione della firma digitale
da parte del pubblico ufficiale integra e sostituisce ad ogni fine di
legge l’apposizione di sigilli, punzoni, timbri, contrassegni e marchi comunque previsti.
Data l’importanza dell’innovazione obbligatoria dal 9 dicembre l’Istituto Nazionale dei Revisori
Contabili offre ai Revisori associati ed ai loro collaboratori e
clienti il servizio di rilascio della
Smart Card, senza doversi muovere dalla propria sede ma semplicemente prenotandosi on line
sul sito: www.revisori.it/servizitelematici/firmadigitale/
Gli strumenti necessari per richiedere la firma digitale sono il possesso di PC, collegato ad Internet,
e un indirizzo di posta elettronica.
L’Istituto Nazionale Revisori
Contabili offre la fornitura del servizio di rilascio:
- di Smart Card, contenente la relativa Firma digitale, unitamente
al Codice Segreto, al Manuale
Operativo, al Certificato di autenticazione;
- dell’apposito Lettore (Seriale o
UBS)
- del CD-ROM per installazione
software di applicazione Dike.
I requisiti obbligatori che occorrono per ottenere il rilascio della firma digitale sono la maggiore età
ovvero avere compiuto 18 anni,
essere in possesso del Codice fiscale e di un documento d’identità
CORSI SUI SERVIZI TELEMATICI
Nell’ambito dell’approntamento delle procedure per l’utilizzo dei servizi telematici più avanzati – disponibili sul nostro sito www.revisori.it – l’Istituto organizza un incontro in data
29 ottobre p.v. ore 14,30 presso la sede in Milano, Via Zuretti n. 39
dove esperti del settore illustreranno l’utilizzo delle nuove procedure per l’invio degli atti alle Camere
di Commercio (bilanci, iscrizioni, modifiche, ecc.) nonché l’utilizzo del servizio Telemaco per l’accesso agli
atti delle Camere di Commercio (visure, certificati, protesti, ecc.).
Tenuto conto che l’invio telematico degli atti diverrà obbligatorio a partire dal prossimo mese di
dicembre, è assai importante predisporre per tempo sia gli strumenti tecnici (Hardware) che acquisire
le necessarie conoscenze delle procedure applicative (Software).
L’ISTITUTO è disponibile ad organizzare analoghi corsi anche presso altre province
purché in gruppi di almeno 30 unità.
Si invitano pertanto gli associati interessati all’iniziativa a far pervenire l’adesione a mezzo
e-mail a: [email protected] in tempo utile per la organizzazione dei corsi.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
valido. Occorre poi sottoscrivere il
contratto e la richiesta di registrazione, che è possibile compilare e
trasmettere on line con i “Moduli
di richiesta” indicati.
Il servizio fornito dall’Istituto
comprende l’attivazione, l’assistenza tecnica e la gestione nei vari adempimenti amministrativi da
compiere con l’utilizzo della firma
digitale. I costi per tale fornitura
sono indicati all’indirizzo telematico succitato.
L’offerta dei Servizi Telematici a
distanza, consente, presso la propria sede e con notevole risparmio
di tempo, di trasmettere, attraverso internet, tutte le pratiche d’iscrizione, di modifica e di cessazione riguardanti il Registro delle
imprese, di ottenere “on line” visure, certificati con valore legale,
protesti, bilanci, rispettando le
normative vigenti sulla certificazione in formato elettronico.
In considerazione che il centinaio
di sedi camerali italiane, ubicate
nelle province competenti per territorio, hanno, per tradizione, un
comportamento procedurale diversificato, l’Istituto Nazionale dei
Revisori Contabili ha ritenuto
non opportuno accollarsi l’onere
del deposito presso tutte le Camere di Commercio.
Al fine di fornire, tuttavia, un
servizio completo e capillare su
tutto il territorio, l’istituto ha stipulato un’apposita convenzione
con una agenzia leader in Italia
tra i Distributori Ufficiali dei
servizi informatici camerali e offrirà ai revisori contabili interessati un’adeguata consulenza e la
possibilità di depositare, tramite
personale altamente specializzato, tutte le pratiche relative alle
iscrizioni, modifiche e cancellazioni al Registro delle imprese.
Achille Pellenghi
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Pubblichiamo la risposta data ad un nostro associato dalla Direzione Centrale Rischi dell’I.N.A.I.L. e la successiva replica
del Presidente dell’Istituto Nazionale Revisori Contabili, rag. Modesto Bertolli.
Milano, 4 ottobre 2002
Roma, 28 marzo 2002
OGGETTO: Revisori Contabili
Riscontriamo la Vs. in data 28 marzo 2002, nella quale assumete - in risposta ad un
quesito di un nostro associato - che la legge 12/1979 (che disciplina l’attività di consulente del lavoro) non prevede tra le categorie abilitate a tale attività, i revisori contabili e quindi per essi tale attività sarebbe vietata.
Per l’art. 1 della legge tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza ed assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal datore di lavoro (direttamente o a mezzo di propri dipendenti), possono essere assunti solo da
coloro che siano iscritti nell’albo dei consulenti del lavoro, nonché da coloro che siano iscritti negli albi degli avvocati, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali.
Orbene – sembra di poter desumere dalla Vs. risposta – che ciò che è consentito a
consulenti, avvocati, periti commerciali, ragionieri e dottori commercialisti, non sarebbe invece consentito ai revisori contabili.
Ma questo assunto sembra dimenticare alcuni importanti particolari, che ora occorre spiegare.
1) La legge sui consulenti del lavoro è anteriore a quella sui revisori contabili e dunque non poteva menzionarli.
La legge 12/1979, sulla disciplina dell’attività di consulente del lavoro, è di data anteriore al decreto legislativo istitutivo del Registro dei Revisori Contabili ed ecco
spiegato perché non prevedeva e non poteva prevedere la categoria del Revisore
Contabile tra quelle abilitate ad esercitare l’attività di consulente del lavoro.
D’altra parte, viste quali sono le categorie citate dalla legge sulla consulenza del lavoro (periti commerciali, ragionieri, avvocati, dottori commercialisti), non v’è ragione di ritenere che i revisori contabile, che di professionalità ne hanno almeno
quanto quella dei professionisti citati, non dovrebbero essere ammessi a svolgere attività di consulenza del lavoro.
2) I revisori contabili sono qualificati almeno quanto le altre categorie.
Non appare coerente e logico con il sistema, negare la possibilità ai revisori contabili di svolgere alcuni adempimenti, che possono invece essere svolti ad esempio dai
ragionieri e dai periti commerciali.
Come è noto, il sistema di accesso alla professione di revisore contabile è altamente
qualificante, attesi i rigidi requisiti posti dal Decreto Legislativo 27 gennaio 1992 n.
88, che impone il superamento di un esame per l’ammissione al Registro e per il
conseguimento dell’abilitazione a svolgere la professione di revisione contabile.
Il Registro dei Revisori Contabili è stato istituito presso il Ministero della Giustizia
con il D.Lgs. 27 gennaio 1992 n. 88.
Per l’art. 3, l’iscrizione al registro è condizionata al superamento di un esame, che il Ministero della Giustizia indìce annualmente ed al quale possono essere ammessi solo:
coloro che hanno svolto, presso un revisore contabile un tirocinio triennale, avente
ad oggetto il controllo di bilanci di esercizio e consolidati, ovvero i dipendenti dello Stato e degli enti pubblici che abbiano svolto un tirocinio della durata di tre anni presso un funzionario pubblico abilitato al controllo legale dei conti.
OGGETTO: Revisori Contabili.
In riferimento alla nota inoltrata tramite e-mail in data 14 marzo u.s., con la
quale si chiede di conoscere se i revisori
contabili, iscritti nell’apposito registro
istituito ai sensi del D.Lgs. n. 88 del 27
gennaio 2002, possano essere autorizzati alla tenuta dei documenti di lavoro, si
significa quanto segue.
Considerata la vigente formulazione
dell’art. 1, comma 1, della Legge n. 12
dell’11 gennaio 1979, tutti gli adempimenti in materia di lavoro, previdenza
e assistenza sociale dei lavoratori dipendenti, quando non sono curati dal
datore di lavoro, direttamente o a mezzo di propri dipendenti, possono essere assunti solo dai soggetti che siano
regolarmente iscritti all’albo dei consulenti del lavoro, nonché da coloro che
siano iscritti agli albi degli avvocati e
procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri e periti commerciali, i quali in tal caso sono tenuti a
darne comunicazione agli ispettorati
provinciali del lavoro territorialmente
competenti.
Atteso che una conferma in senso positivo non può risultare nemmeno dal testo del protocollo d’intesa stipulato in
data 29 gennaio 2002, i revisori contabili, non appartenendo ad una delle categorie sopra citate, non possono essere
autorizzati alla tenuta e alla regolarizzazione dei documenti aziendali in materia di lavoro.
IL DIRETTORE CENTRALE
dott. Ennio Di Luca
Spett.le
I.N.A.I.L. Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro
Direzione Centrale Rischi - Ufficio Tariffe
Piazzale Giulio Pastore 6 - 00144 Roma
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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L’esame previsto dall’art. 3 consiste in prove scritte e orali dirette all’accertamento
delle conoscenze teoriche del candidato e della sua capacità di applicarle praticamente, nelle materie che seguono: a) contabilità generale; b) contabilità analitica e
di gestione; c) disciplina dei bilanci di esercizio e consolidati; d) controllo della contabilità e dei bilanci; e) diritto civile e commerciale; f) diritto fallimentare; g) diritto tributario; h) diritto del lavoro e della previdenza sociale; i) sistemi di informazione e informatica; l) economia politica e aziendale e princìpi fondamentali di gestione finanziaria; m) matematica e statistica.
L’esame per l’iscrizione al Registro – visto l’elenco sopra descritto - verte su materie
in gran parte coincidenti con quelle che formano oggetto dell’esame per l’iscrizione
all’Albo dei dottori commercialisti.
3) Le competenze dei revisori contabili nel codice civile e nelle leggi speciali.
Dobbiamo anche ricordare che l’istituzione del Registro dei Revisori Contabili, che abilita i soggetti al controllo legale dei conti, ha inciso anche sulle norme del codice civile.
L’art. 2397 c.c. (come modificato dall’art. 21 proprio del D.Lgs. 27 gennaio 1992
n. 88) regola la composizione del collegio sindacale delle società per azioni e prevede che “i sindaci devono essere scelti tra gli iscritti nel Registro dei revisori contabili istituito presso il Ministero della Giustizia”.
Un’altra cosa deve essere messa in evidenza e ricordata in questa sede.
Oltre al codice civile, un numero crescente di leggi e provvedimenti dello Stato sta
riconoscendo al Revisore il suo giusto ruolo.
Anche i revisori contabili sono stati abilitati ad apporre il cosiddetto “visto pesante”
sulle dichiarazioni.
Anche i revisori contabili sono stati riconosciuti in possesso dei requisiti per essere
nominati giudici delle commissioni tributarie provinciali (cfr. art. 4 D.Lgs. n.
545/92).
Anche i revisori contabili sono stati ammessi a svolgere assistenza tecnica, come difensori, dinanzi alle Commissioni tributarie.
Al revisore contabile viene espressamente riconosciuto “sia l’elevato livello professionale e l’alta formazione morale, al quale viene richiesto il possesso di rigorosi requisiti individuati dal Decreto Legislativo 88/1992, sia l’importanza della funzione
connessa all’espletamento dell’attività di controllo sui bilanci e sui documenti contabili” (cfr. Risoluzione n. 38/E dell’Agenzia delle Entrate, 7 febbraio 2002).
Anche al revisore contabile è stato riconosciuto il diritto di essere iscritto negli Albi
dei Consulenti tecnici d’Ufficio dei Tribunali, in quanto dotato di particolare specializzazione tecnica (pressoché tutti i Tribunali d’Italia e Corti d’Appello, tra le altre, di Bologna, Trento, Brescia, Bari, Campobasso).
4) Conclusione.
La conclusione cui Codesto Istituto è pervenuto è dunque infondata, perché va contro l’orientamento generale – nazionale e comunitario – verso il riconoscimento del
revisore come soggetto dotato di specifiche competenze tecniche.
L’Istituto Nazionale Revisori Contabili chiede pertanto che l’orientamento finora
espresso sia rivisto a favore del pieno riconoscimento della competenza e delle qualificazioni del Revisore Contabile, essendo disposto per questa ragione ad adire le vie
giudiziarie, ossia a portare la questione anche all’attenzione della Corte Costituzionale, dato che è intollerabile che periti commerciali, ragionieri e dottori commercialisti possano fare ciò che invece sarebbe vietato proprio ai Revisori Contabili.
IL PRESIDENTE INRC
rag. Modesto Bertolli
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Anno XXVI - Numero 4 - Luglio/Agosto 2002
CONQUISTATA LA RAPPRESENTANZA TRIBUTARIA
Preg.mo Presidente Bertolli
Il ddl S.1396 ha terminato il suo iter
l’11 settembre 2002, oramai la rappresentanza tributaria ai Revisori Contabili è
un dato certo anche in virtù della unanime approvazione alla Camera e al Senato.
Una battaglia importante che sicuramente darà una svolta alla nostra professione.
Ti ringrazio per quello che quotidianamente assieme ai Tuoi validi collaboratori riesci a conquistare.
Cordiali e caldissimi Saluti.
Dr. Giovanni Maurizio Ceré
Con l’approvazione da parte del Senato
della proposta di legge che abilita il “Revisore Contabile” alla difesa del contribuente nanti le commissioni tributarie
si è raggiunto un traguardo importantissimo non tanto per il conseguimento di
una qualifica professionale che ci era dovuta, ma per aver superato una accanita
caparbia opposizione operata da parte
delle altre categorie interessate che si opponevano al nostro ingresso nell’“olimpo” della difesa tributaria, ritenuta riserva privilegiata delle professioni cosiddette legalmente riconosciute.
È stata una battaglia senza esclusione di
colpi che rende ancora più piacevole il
sofferto risultato. Ci auguriamo ardentemente finisca una volta per tutte il ricorso a diatribe antagoniste non solo perché
non hanno ragione di essere ma anche
perché, non ci stancheremo mai di ripeterlo, non sono le “qualifiche” che fanno
il professionista ma quest’ultimo attraverso la più scrupolosa preparazione.
Conseguentemente mentre tu “Revisore
Contabile” hai motivo di esserne orgoglioso, renditi anche conto che per partecipare alla difesa del conquistato e raggiungere mete future sempre più ambiziose, è necessario possedere sempre più
forza scaturente solo da una unione compatta, forte, prolifica e solidale.
Modesto Bertolli
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Durante la lettura quotidiana della Gazzetta Ufficiale, mi è balzato all’occhio il
decreto emesso in data 9 luglio 2002 dal
Direttore Generale della Giustizia Civile,
con il quale è stato riconosciuto il titolo
professionale valido per la iscrizione nel registro dei Revisori Contabili di un cittadino italiano residente all’estero che vi allego.
Francesco Arcadio
Ritenendolo utile per i lettori pubblichiamo il testo del decreto inviatoci:
Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana Serie generale – n. 171
Decreto 9 luglio 2002
Riconoscimento di titolo professionale
ai fini dell’accesso ed esercizio in Italia
della professione di revisore contabile.
Il Direttore Generale della giustizia civile
Visto il decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1999, n. 394, recante
norme di attuazione del testo unico delle
disposizioni concernenti la disciplina dell’immigrazione e norme sulla condizione
dello straniero, a norma dell’art. 1, comma 6, del decreto legislativo 25 luglio
1998, n. 286;
Visto l’art. 1, comma 2, del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286, su indicato, che prevede l’applicabilità del decreto
legislativo stesso anche ai cittadini degli
Stati membri dell’Unione europea in
quanto si tratti di norme più favorevoli;
Visto altresì il decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 115, di attuazione della direttiva n. 89/48/CEE del 21 dicembre
1988 – relativa a un sistema generale di riconoscimento di diplomi di istruzione superiore che sanzionano formazioni professionali di durata minima di tre anni;
Vista l’istanza del sig. Tedesco Gianpiero,
nato a Windsor (Canada) il 24 maggio
1965, cittadino italiano, diretta ad ottenere, ai sensi dell’art. 49 del decreto del
Presidente della Repubblica 31 agosto
1999, n. 394, in combinato disposto con
l’art. 12 del decreto legislativo 27 gennaio
1992, - n. 115, il riconoscimento del ti-
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tolo professionale di “Chartered Accountant” di cui è in possesso come attestato
dal certificato di iscrizione dal 26 settembre 1991 all’ “Istitute of Chartered Accountants” dell’Ontario ai fini dell’accesso ed esercizio in Italia della professione
di revisore contabile;
Considerato che il richiedente è insignito
del titolo accademico statunitense di “Bachelor of Commerce, Honour Business
Administration” dal 12 giugno 1988,
presso la “University of Windsor”;
Considerato che la formazione professionale statunitense risulta essere più ristretta in rapporto allo spettro di attività professionali che il revisore contabile italiano
è in diritto di esercitare;
Visto l’art. 6 del decreto legislativo n.
115/1992;
Viste le determinazioni della Conferenza
di servizi nelle sedute del 28 marzo 2002
e del 29 maggio 2002;
Sentito il parere del rappresentante di categoria nelle sedute sopra indicate;
Decreta
Art. 1
Al sig. Tedesco Gianpiero, nato a Windsor (Canada) il 24 maggio 1965, cittadino italiano, è riconosciuto il titolo professionale di cui in premessa quale titolo valido per l’iscrizione al registro dei revisori
contabili.
Art. 2
Detto riconoscimento è subordinato al
superamento di una prova attitudinale,
che consiste in un esame orale volto ad
accertare la conoscenza delle seguenti
materie:
1) diritto tributario;
2) diritto societario.
Roma, 9 luglio 2002
Il direttore generale Mele
CASSA PREVIDENZA REVISORI CONTABILI
Siamo costantemente pressati da richieste tendenti ad ottenere da parte di chi,
per le ragioni più disparate, non gode del servizio della cassa di previdenza.
Il notevole numero delle richieste ci ha indotti ad instaurare detto servizio anche perché rappresenta una importante tutela dei nostri iscritti privi di tale copertura.
Il problema ci ha posti di fronte alla necessità di offrire un servizio importante attraverso la creazione di un apposito organismo sotto diretto nostro controllo.
Ci rimanevano due scelte: creare una Cassa ad hoc oppure appoggiarci ad una
esistente sempre nel campo delle libere professioni il che risultava soluzione auspicabile, attesa la necessità di fornire l’importante servizio in tempi ragionevolmente brevi.
Di qui il contatto con la Cassa di previdenza ed assistenza di una categoria professionale che ci ha benevolmente accolti per cui si è provveduto alla creazione
di apposita commissione paritetica operativa costituita da sei elementi, tre per
ciascun organismo e ciò al fine di pervenire al perfezionamento dell’accordo in
tempi brevi.
A rappresentare il nostro Istituto sono stati designati i colleghi Baresi, Genta,
Mazzilli i quali hanno già partecipato ad una prima riunione collegiale tenutasi in
Roma il 05 settembre c.a. nella quale si sono create le basi di futuri programmi.
Ci rendiamo conto della importanza che l’iniziativa riveste, per cui faremo ogni
possibile sforzo per giungere al più presto alla sua attuazione.
Altro problema spinoso è rappresentato dalla consulenza del lavoro, ma non disperiamo di portarlo a ragionevole soluzione con la collaborazione dei colleghi
di quel settore nel rispetto dei reciproci diritti.
Come potete osservare la “marcia” continua augurandoci ardentemente di non
risvegliare ulteriori gelosie che a nostro avviso non trovano albergo tra persone
ragionevoli.
Settembre ’02
IL PRESIDENTE INRC
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Forte iniziativa per la tutela
del Revisore Contabile
a cura della Segreteria generale
Il Consiglio Nazionale del 24 settembre ha rappresentato l’espressione della
concretezza, dell’impegno professionale, delle proposte, segnando in modo
efficace l’intendimento comune di conseguire ulteriori obiettivi rivolti alla difesa del Revisore Contabile.
Se occorreva, nel susseguirsi dei lavori è
emersa la forte crescita di immagine e di
presenza dell’Istituto che ripropone mirate iniziative nell’area della formazione
professionale, dell’aggiornamento e della presenza convegnistica sul territorio
italiano.
Particolare approfondimento e discussione sono stati dedicati alla prevista unificazione dei Dottori e Ragionieri Commercialisti vista con favore se essi abbandoneranno l’intendimento di sottrarre la tenuta del Registro al Ministero della Giustizia, evitando pesanti turbolenze nell’area
professionale italiana e certamente una
forte distonia a livello europeo.
Non risponde infatti alla evoluzione dei
tempi ed alle norme degli altri Stati
Membri insistere per la conservazione e
l’appropriazione di nuovi spazi in esclusiva, di fronte alla conclamata realtà di richiedere sì garanzie, ma dove è il libero
mercato che premia il consumatore finale, il nostro cliente professionale.
Per non porci, quindi, professionalmente al di fuori del contesto europeo
ed in una posizione di particolare debolezza nei confronti delle altre Regioni di
Europa, con prevedibile ulteriore perdita di competitività professionale e ricadute negative sul bilancio personale dei
Revisori, il Consiglio Nazionale del
24.09.02 ha, all’unanimità, deliberato e
deciso di diffondere la sottostante decisione richiamando l’impegno e l’atten-
Virgilio Baresi
zione di tutti i Revisori iscritti e non all’Istituto sull’importanza del mantenimento dello “status quo” del Registro
dei Revisori presso il Ministero della
Giustizia, che ben ha svolto e svolge la
propria attività.
Il Segretario Generale
Virgilio Baresi
DELIBERA DEL CONSIGLIO NAZIONALE REVISORI CONTABILI
Il Consiglio Nazionale riunitosi a Milano il data 24 settembre 2002, preso atto che sulla stampa nazionale è apparso il progetto di riforma delle professioni economico-amministrative predisposto congiuntamente dai Consigli Nazionali dei Dottori e Ragionieri Commercialisti, con il quale si vorrebbe sottrarre la gestione del Registro dei Revisori Contabili al competente Ministero della Giustizia, per essere affidato all’istituendo Albo Unico dei Dottori Commercialisti e dei Ragionieri;
- che tale soluzione, al di là della incostituzionalità della stessa, finirebbe col creare Revisori di serie A e B, iscritti in
albi i primi e non iscritti i secondi, in contrasto con la legge istitutiva che caratterizza un’unica figura di revisore
contabile (DPR 27.1.92 n°88 in attuazione direttiva 84/253/CEE);
- che tutto cio’ non trova ha alcuna giustificazione in considerazione del fatto che il Ministero ha dimostrato di saper gestire con la necessaria imparzialità il Registro;
DELIBERA
di conferire mandato all’Ufficio di Presidenza affinché si adoperi nelle sedi competenti per la salvaguardia della indipendenza del Revisore Contabile anche in virtu’ della circostanza che dei circa 140mila Revisori Contabili oggi esistenti sul
territorio nazionale, oltre 90.000 di essi non risultano iscritti in alcun albo professionale pertanto privi di tutela.
All’Istituto Nazionale Revisori Contabili, unica Organizzazione rappresentativa della categoria da oltre 40 anni, va riconosciuto il diritto alla rappresentanza.
Al presente documento sarà data la massima divulgazione nelle sedi piu opportune.
Milano, 24 settembre ’02
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I quesiti
dei lettori
REVISORI E CONSULENTI
VISIBILITÀ AGLI ASSOCIATI SUL
DEL LAVORO
SITO WWW.REVISORI.IT
Siamo una società di capitali “Srl” la
cui partecipazione al capitale sociale
della stessa è interamente detenuto da
due persone fisiche entrambe iscritte all’albo dei Revisori Contabili. La società
de quo svolge attività rivolta nell’elaborazione dati contabili e vorrebbe sapere
se gli è possibilitato incrementare l’attività svolgendo anche consulenza ed elaborazione nel campo paghe e contributi.
Chiesta la relativa autorizzazione all’ispettorato del lavoro compartimentale lo stesso pone divieto adducendo al
fatto che necessita essere titolare
di iscrizione o all’albo dei consulenti
del lavoro o a quello dei dottori commercialisti o a quello dei ragionieri
commercialisti... insomma non è sufficiente il titolo di revisore contabile.
Esiste valida motivazione al rifiuto de
quo? È possibile avere per il caso in specie vostra diretta assistenza?
Carlo Gariboldi
RISPOSTA
La questione è controversa nel senso
che il revisore contabile è nato dopo la
legge regolante la attività di consulente
del lavoro per cui non poteva essere
menzionato nella legge stessa. La tesi
della sostenuta non abilitazione è sostanzialmente insostenibile.
Noi sosteniamo quindi, in attesa dell’intervento del legislatore da noi già
adito, di esercitare detta attivita professionale disposti ad affrontare eventuale
denuncia di abusivismo che non potra
mai essere condivisa in sede giurisdizionale. Vedi anche altre nostre risposte a
quesiti sia sul ns. sito www.revisori.it sia
sul ns. periodico del 2002.
Sono iscritto al Registro dei Revisori
Contabili tenuto presso il Ministero di
Grazia e Giustizia.
Vorrei sapere se l’iscrizione al Vs. Istituto dei Revisori mi dà la possibilità di
comparire in appositi elenchi dei revisori consultabili a livello nazionale.
Ringrazio anticipatamente per l’attenzione che verrà prestata alla presente.
Vincenzo Buccino
RISPOSTA
Il ns. sito www.revisori.it già informa su
quello che siamo e cosa diamo.
Il sito è in fase di implemetazione ed
avrà struttura dinamica, dando così la
possibilita ai ns associati di rendere visibile la scheda contenente tutti i dati che
già abbiamo e che il collega, se lo desidera, completera con le informazioni
che ritiene di dover pubblicizzare, curriculum incluso.
Altre novità sono: la Cassa di previdenza del revisore, la procedura firma digitale e smart-card.
AUTENTICA COPIE VERBALI
Gradirei sapere se un revisore contabile
può autenticare copie di verbali assembleari da allegarsi ai modelli S2 ecc. da
presentare al Registro Imprese presso le
Camere di Commercio.
Francesco Pelosi
RISPOSTA
Sì, dal momento che il revisore contabile puo autenticare la firma della clientela sulle dichiarazioni fiscali.
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a cura dell’INRC
NOMINA A CONSULENTI
TECNICI DI TRIBUNALI
Sono il Dr. Giuseppe Balsamo di Castel san Giorgio (Sa) e sono in procinto
di iscrivermi al Vs. Istituto, e pongo il
seguente quesito:
1. posso presentare al Tribunale di residenza (Nocera Inferiore SA) domanda
di iscrizione nell’elenco dei CTU e dei
periti?
2. in caso affermativo, e dopo l’iscrizione al Vs. Istiuto, nel momento in cui
il Tribunale dovrà decidere l’accoglimento della mia istanza, sarà presente
anche un Vs. rappresentante?
Giuseppe Balsamo
RISPOSTA
L’iscrizione all’albo dei consulenti
tecnici del giudice (per il settore di
competenza) è un diritto del revisore contabile per cui il richiedente
deve inoltrare domanda al tribunale
della giurisdizione di residenza.
Sulla ammissione all’albo il tribunale decide autonomamente senza ingerenze esterne pr cui sia in caso positivo che negativo ne dà notizia direttamente all’interessato.
Per avere una risposta
nella rubrica “I quesiti dei lettori”
inviate le vostre domande a:
[email protected]
riportando sempre il numero
e la data di scadenza della tessera
di iscrizione all’Istituto.
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Accertamenti delle entrate
e impegni di spesa
LA CORRELAZIONE TRA L’ACCERTAMENTO DEL
Giacomo Bertocchini
Il concetto di copertura finanziaIl concetto di copertura finanziaCREDITO E GLI IMPEGNI DI SPESA COSTITUISCE IL
ria esige inoltre una radicale riria trova il suo fondamento giuristrutturazione e riorganizzazione
dico nella reale disponibilità delle
MEZZO PER ASSICURARE L’EQUILIBRIO GESTIONALE
dell’ente locale in termini funziorisorse atte a sostenere una deterDEGLI ENTI LOCALI
nali e non documentali; funziominata spesa per cui gli impegni
nalità che si acquisisce attraverso
di spesa sono subordinati all’acuna analisi scrupolosa delle funcertamento delle entrate nei mozioni attinenti una determinata attività
informatica con il servizio finanziario
di e nei termini stabiliti dalle disposizioin modo da costruire sistemi organici e
dell’ente, chiamato a dare inputs sulla
ni di legge, regolamenti, contratti o atti
coordinati.
disponibilità della quota assegnata (si
amministrativi.
L’attuale articolazione strutturale degli
tratta in genere di entrate tributarie e per
Gli elementi che caratterizzano l’accertaenti in settori, comparti, dipartimenti,
trasferimenti erariali). Il servizio finanmento sono: la definizione quantitativa
stagnanti fra di loro e spesso comunicanziario dovrà gestire tali risorse attraverso
del credito, il nominativo del creditore,
ti attraverso atti e documenti, non propiani contabili che sviluppino l’andala scadenza di riscossione.
duce gli effetti voluti in termini di effimento degli accertamenti e riscossioni,
La correlazione tra gli accertamenti, cocienza ed efficacia.
degli impegni e pagamenti. Lo stesso serme sopra definiti, e gli impegni di spesa
Il baricentro di un moderno organivizio, nel rispetto dell’equilibrio generale
è il nesso economico aziendalistico della
gramma amministrativo è un sistema indi bilancio, ha il compito di rimettere
copertura finanziaria, venendo meno la
formatico razionale e aperto con l’impietrimestralmente alla Giunta e all’unità
quale si generano ripetuti squilibri gego di risorse umane motivate nella prooperativa del controllo di gestione piani
stionali
fessionalità la cui crescita è legata a mirafinanziari, del resto rilevabili dalla contaII bilancio degli enti locali è caratterizzati corsi formativi. La stessa programmabilità evidenziando gli scostamenti tra gli
to da una massa di entrate che finanziazione, più volte richiamata dal legislatostati previsionali e gli accertamenti e tra
no un plafond di spese senza un distinre, è relegata alla sola relazione che acquesti e le riscossioni nonché tra gli stati
guo di destinazione fatta eccezione per le
compagna il bilancio senza avere un valiprevisionali e gli impegni di spesa e tra
entrate vincolate a specifici interventi e
do supporto costituito da indagini socio
questi e i pagamenti.
di quelle in conto capitale.
economiche territoriali, ambientali e tecL’unità operativa del controllo di gestioDa tale quadro emerge che il solo conniche. La definizione quantitativa e quane, avvalendosi di tali strumenti, è tenutrollo contabile di bilancio è insufficienlitativa degli obiettivi; l’analisi dei fattori
ta a verificare le cause di eventuali scostate a garantire la copertura finanziaria per
necessari al raggiungimento di questi al
menti anche in rapporto ai singoli obietcui devono essere valorizzati altri strufine di attribuire ai responsabili dei servitivi programmatici al fine di proporre
menti, quali i piani esecutivi di gestione
zi risorse adeguate per la gestione della
adeguati e tempestivi correttivi.
la cui utilizzazione spesso è limitata alla
combinazione produttiva, la scelta delle
Le spese di investimento sono, invece,
capienza degli stanziamenti assegnati
modalità gestionali sono elementi detersubordinate all’effettivo realizzo delle risenza una valutazione della disponibilità
minanti di programmazione.
sorse.
delle risorse destinate, e quali sono diverRicondurre la spesa pubblica nell’alveo
Per le opere finanziate con contributi
sificate nel senso che alcune sono proprie
naturale della copertura finanziaria, oltre
concessori si pone il problema di armodel servizio e quindi rientranti nella gea snellire l’attività amministrativa con la
nizzare il pagamento degli stati di avanstione a livello di accertamento e riscosconseguente riduzione della massa di rezamento dei lavori all’effettivo introito
sione da parte del responsabile del servisidui attivi e passivi che ne frenano la liche, generalmente, a norma di legge, avzio; altre improprie nel senso che la genearità e la trasparenza, arricchisce l’ecoviene in più anni per cui tale risorsa si
stione spetta ad altri servizi o settori se
nomicità e la produttività delle autonopresta maggiormente al finanziamento
pure attribuite pro quota. Per queste ulmie locali.
di lotti funzionali.
time si impone una intercomunicabilità
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Rieleggibilità del revisore
negli Enti Locali
DUE INCARICHI NEL MEDESIMO ENTE, ANCHE
Con il presente scritto intendiaNON CONSECUTIVI E A PRESCINDERE DALLA LORO
mo esprimere le ragioni che ci
inducono a dissentire dalla riDURATA, IMPEDISCONO AL REVISORE,
sposta data al quesito con il quaVITA NATURAL DURANTE, UNA TERZA RIELEZIONE
le veniva chiesto di “fare chiarezza nella interpretazione della
norma” di cui al 1° comma delcrea nel lettore più dubbi di quanti ne
l’art. 235 del Decreto Legislativo n.
risolve. Risultandoci inoltre che in alcu267/2000, disciplinante la durata in cani Comuni sono stati deliberati incaririca dei componenti del Collegio dei
chi per un terzo mandato, siamo stati
Revisori Contabili negli Enti Locali,
indotti alle riflessioni esposte nei paraentrambi pubblicati sul n. 3 – mag./giu.
grafi che seguono.
2002 della Rivista “Il Giornale del Revisore”, edito dall’Istituto Nazionale
Soluzione del problema
Revisori Contabili.
Il provvedimento che da ultimo ha afL’autore del quesito lamentava il fatto
frontato il tema della “durata dell’incariche, dopo aver ricoperto la carica di comco dei Revisori Contabili” è il Testo
ponente del Collegio dei Revisori ContaUnico sull’ordinamento degli Enti Locabili di un Comune per due mandati conli n. 267/2000, il quale, in proposito, cosecutivi (1992-1995, 1995-1998), nel
sì dispone al 1° comma dell’art. 235:
2002 si vedeva respingere la domanda
“L’Organo di revisione contabile dura in
per un terzo incarico con la seguente mocarica tre anni a decorrere dalla data di
tivazione: il richiedente aveva già ricoperesecutività della delibera o della data di
to tale incarico presso lo stesso Ente per
immediata eseguibilità nell’ipotesi di cui
due mandati. Lamentava, in particolare,
all’articolo 134, comma 3, e sono rielegche l’Amministrazione, a suo dire, non
gibili per una sola volta. Ove nei Collegi
aveva tenuto conto del fatto che il richiesi proceda a sostituzione di un singolo
dente non avesse ricoperto tale carica nel
componente la durata dell’incarico del
triennio immediatamente precedente la
nuovo revisore è limitata al tempo resiterza domanda. Da qui la richiesta di veduo sino alla scadenza del termine trienrificare la legittimità della motivazione
nale, calcolata a decorrere dalla nomina
della sua esclusione.
dell’intero Collegio. Si applicano le norL’estensore della risposta – dopo aver afme relative alla proroga degli Organi
fermato che “la nuova norma nel porre
Amministrativi di cui agli articoli 2, 3,
il divieto di superare i due mandati concomma 1 – 4, comma 1 – 5, comma 1 e
secutivamente non chiarisce se la so6 del Decreto Legge 16 maggio 1994, n.
spensione deve operare sine die oppure
293, convertito con modificazioni, dalla
trattarsi di sospensione temporanea ... –
legge 15/4/1994, n. 444.
prosegue affermando che – Su questo
Quattro sono i punti cardini stabiliti
punto la legge tace lasciando la questiodal legislatore:
ne alla libera interpretazione”.
- durata triennale dell’incarico;
Risposta, a dir vero, poco aderente al
- rieleggibilità per una sola volta;
quadro normativo di riferimento che
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Giuseppe Castronovo
- durata limitata al tempo che residua per completare il triennio
in caso di sostituzione del singolo componente1;
- prolungamento dell’incarico solamente in regime di prorogatio
per un massimo di 45 giorni2.
Poiché, per la parte che qui ci interessa, il
su citato 1° comma dell’art. 235, ad eccezione dei punti 3 e 4 di nuova introduzione, riporta fedelmente quanto già
stabilito dall’art. 57 della legge n.
142/1990, rimane ancor oggi valida la
nostra opinione espressa ancor prima
dell’emanazione del Nuovo Testo Unico
n. 267/2000; quella secondo cui:
“i Revisori che siano stati eletti per due
volte (consecutive e non) nello stesso
Comune non sono più rieleggibili in
quel Comune vita natural durante”;
“i Revisori dei Conti possono ricoprire
tale carica nello stesso Comune per un
periodo massimo di sei anni”3.
Va ricordato che il testo sopra riportato è
diverso da quello inizialmente predisposto dal Governo, il quale originariamente
aveva disposto che i Revisori fossero rieleggibili consecutivamente per una sola
volta. Una versione, quella originaria,
che, in analogia alla disciplina dettata dalla legge 81/93 per l’elezione del Sindaco,
avrebbe consentito al Revisore, dopo la
seconda (consecutiva e non) elezione nello stesso Comune, una terza, una quarta
... elezione, purché intervallate tra loro da
un periodo di almeno tre anni.
L’estensore della risposta usa purtroppo
– e qui sta il suo errore – l’avverbio
“consecutivamente” del quale non c’è
più traccia alcuna nella versione definitiva della norma; da qui la risposta non
aderente al testo definitivo e i conseguenti dubbi sorti nei lettori.
IL GIORNALE
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Il fatto che il testo finale, in seguito ai rilievi formulati dalle Commissioni Parlamentari e dal Consiglio di Stato4 sull’originario
testo governativo, sia stato riscritto in sintonia con l’articolo 57 della legge 142/90,
rafforza la tesi secondo cui: un revisore
può svolgere la sua funzione presso lo
stesso Comune per un periodo massimo
di sei anni, vita natural durante.
La nostra tesi è avvalorata, altresì, dal
fatto che l’art. 51 del medesimo Testo
Unico n. 267/2000 specifica, in materia
di elezione dei Sindaci e dei Presidenti
di Provincia, che il limite alla rielezione
per una sola volta opera esclusivamente
tre mandati consecutivi.
Ne consegue che lo stesso soggetto può
essere eletto alla carica di Sindaco presso lo stesso Comune per più di due volte, purché dopo due mandati consecutivi intercorra una soluzione di continuità prima della terza elezione.
Questo favore il legislatore l’ha concesso ai Sindaci e ai Presidenti di Provincia
e non ai componenti del Collegio dei
Revisori dei Conti! Ubi voluit dixit, ubi
voluit tacuit.
Ne consegue che due incarichi nel medesimo Ente, a prescindere dalla loro effettiva durata, impediscono al Revisore,
vita natural durante, una terza rielezione.
Breve rassegna delle motivazioni dottrinarie e giurisprudenziali a giustificazione del limite dei due mandati.
Passiamo in rassegna, infine, le motivazioni addotte da dottrina e giurisprudenza per giustificare il limite dei due
mandati.
Dottrina:
Il Lombardi, rispondendo ad un quesito analogo a quello in esame, dopo aver
affermato che “... il Revisore dei Conti
non può essere rieletto nello stesso Ente
per più di una volta ...” prosegue individuando la ratio di tale limitazione nella necessità di “... evitare la cosiddetta
perpetuatio e quindi la cristallizzazione
degli incarichi nell’ufficio dei Revisori,
per prevenire quella eccessiva “familia-
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rizzazione” con l’ambiente controllato
che può – nel tempo – addolcire il ruolo di verifica. È, infatti, logico che il
permanere per lungo tempo in tale delicato ruolo possa determinare l’affievolimento della qualità della terzietà dell’appporto professionale per l’innestarsi
di fattori condizionanti l’obiettività delle pronunce. La limitazione mira perciò
a favorire un ricambio delle persone in
modo da assicurare discontinuità ed elementi innovativi nella gestione dell’Ente Locale”5.
La ratio del limite dei due mandati è individuata dal Fontana “... Nell’obiettivo
di garantire un’effettiva indipendenza
ed una assoluta imparzialità del Revisore rispetto agli organi assembleari, esecutivi e direttivi dell’Ente. Condizione
che non sarebbe del tutto garantita qualora il rapporto tra il Revisore e l’Ente si
consolidasse divenendo tendenzialmente permanente”6.
Il Barberis, infine, afferma di “... Condividere la limitazione dei mandati, come
condizione di autonomia, di indipendenza e di imparzialità dell’organo di revisione rispetto agli organi politici titolari del
potere di nomina. In questo modo si garantisce una efficace azione dell’organo,
non disturbato dalla ricerca di un consenso, e quindi libero di svolgere il proprio compito nell’interesse pubblico oltre
che dell’Ente, operando al meglio e assicurando una effettiva posizione terza di
controllo. Con la limitazione dei mandati si evitano la cristallizzazione degli incarichi, l’affievolimento dell’impegno ed
eventuali situazioni di connubio”7.
Giurisprudenza:
Il giudice amministrativo afferma, da
parte sua, “... Che il Collegio dei Revisori dei Conti, per le funzioni che è
chiamato a svolgere (articolo 239), richiede una posizione di sostanziale indipendenza dalla maggioranza politica
che esprime gli organi di governo dell’Ente Locale. Le funzioni consultive e
di controllo sui bilanci, sui programmi
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e i progetti, di vigilanza sulla regolarità
contabile, finanziaria ed economica della gestione delle entrate e delle spese,
dell’attività contrattuale, dell’amministrazione dei beni, ecc., assolvono infatti a finalità di garanzia nell’interesse oggettivo e generale dell’equilibrio della
gestione economica dell’Ente Locale.
Nel solco di una tradizionale e stabilizzata linea di tendenza nell’organizzazione amministrativa, all’organo di controllo contabile devono essere assicurate
quell’autonomia e quella indipendenza
dall’amministrazione attiva necessarie
per consentire un giusto adempimento
della funzione di controllo ...”8.
In precedenza il Consiglio di Stato aveva
affermato che “... Proprio l’autonomia
decisionale, organizzativa, gestionale e finanziaria dell’Ente esige la presenza di
Revisori assolutamente imparziali e privi
di qualsiasi contiguità con l’Ente Locale,
quale contrappeso dell’abbandono del sistema dei controlli esterni e del potenziamento dei controlli interni ...”9.
Affermazioni abbastanza chiara, al punto
da rendere superfluo ogni commento.
Note
1 - 2) I punti 3 e 4, non presenti nella legge n.
142/1990, ora trovano, con l’art. 235 del T.U. n.
267/2000, idonea e specifica disciplina: il punto 3 in
analogia al 1° comma dell’art. 2401 del Codice Civile secondo dui “i nuovi nominati scadono insieme
con quelli in carica”; il punto 4 attraverso l’espresso
richiamo della legge n. 444/1994, relativa alla proroga degli Organi Amministrativi. Trattasi, comunque,
di due disposizioni letteralmente riprese dal 1° comma dell’art. 101 del Decreto Legislativo n. 77/1995.
3) G. Castronovo, Revisori dei Conti: quanti anni
nello stesso Comune?, in Nuova Rassegna, n. 8, 16
aprile 2000.
4 - 9) Così il Consiglio di Stato - Ad. gen., nel parere n. 87 dell’8 giugno 2000 reso in relazione allo
schema preparatorio del T.U. n. 267/2000.
5) G.V. Lombardi, l’elezione dei Revisori dei Conti,
in Guida agli Enti Locali, Il Sole 24 Ore, n. 29, pag.
60, ed. 2002.
6) Testo Unico degli Enti Locali – Commento al Decreto Legislativo n. 267/2000, Vol. 2°, pag. 409,
Giuffrè ed., Milano, ediz. 2000.
7) La Riforma degli Enti Locali, Vol. 2°, pag. 1060,
Utet ed., Torino, ed. 2002.
8) Così il T.A.R. Campania-Napoli, Sez. 1°, nella
sentenza n. 3997 del 6 settembre 2001.
9) Si rinvia il lettore alla nota n. 4.
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A CURA DEL
CENTRO STUDI ENTI LOCALI*
RUBRICA SPECIALISTICA
SUGLI ASPETTI
AMMINISTRATIVOCONTABILI, FISCALI E
LEGALI CHE ATTENGONO
AL RUOLO DI REVISORE
NEGLI ENTI LOCALI
*Centro Studi Enti Locali® S.r.l. Servizi informativi, formativi
e consulenziali agli Enti Locali
LE NOVITÀ IN MATERIA DI
PROGRAMMA PLURIENNALE
ED ELENCO ANNUALE DELLE
OPERE PUBBLICHE
INTRODOTTE DALLA RECENTE
LEGGE N. 166/02
di Annalisa Mancini
Com’è noto l’elenco annuale ed il programma triennale delle opere pubbliche di
cui all’art. 14 della Legge n. 109/94 (meglio conosciuta come “Legge Merloni”)
costituiscono due dei più significativi allegati al bilancio di previsione di un Ente
Locale. Anche per questa ragione, oltre
che per mettere in condizione i Revisori
contabili di questi enti di svolgere con
maggior cognizione di causa la loro attività di controllo anche su questi atti, riteniamo utile evidenziare le significative novità
apportate, anche in ordine a questo adempimento, dall’art. 7 della recentissima Legge n. 166 del 1° agosto 2002 “Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti”.
“Nelle more della revisione della Legge qua-
dro sui lavori pubblici, anche allo scopo di
adeguare la stessa alle modifiche al titolo V
della parte seconda della Costituzione,” all’articolo in questione della Legge Merloni sono state apportate tre modifiche, apparentemente marginali, ma che invece
sono destinate a produrre conseguenze
notevoli nell’attività amministrativa soprattutto dei Comuni più piccoli.
Esclusione dall’obbligo di inserimento
negli atti di programmazione delle
opere di importo unitario inferiore ai
100.000 Euro
È sicuramente la modifica che avrà
maggior rilevanza per un numero molto
elevato di Enti (ad esempio per tutti i
piccoli e piccolissimi Comuni).
Per tutte le stazioni appaltanti viene infatti stabilito che viene meno l’obbligo
di includere, sia nel programma pluriennale che nell’elenco annuale delle opere
pubbliche, tutti i lavori di importo unitario inferiore ai 100.0000 Euro (o meglio, non superiore ai 100.000 Euro).
Il che significa che per gli Enti di minori dimensioni gli obblighi connessi all’attività di programmazione troveranno
applicazione solo per pochissime opere.
Se è evidente la notevole semplificazione
di cui beneficeranno gli organi di questi
Comuni, non si può tuttavia non rilevare come questa modifica, oltre ad attenuare quella spinta ad un maggior livello
di programmazione dell’attività amministrativa, quanto mai opportuna a tutti i
livelli, fa decadere, per queste tipologia di
lavori, anche tutte le altre disposizioni
correlate all’inclusione nei predetti elenchi (pubblicità mediante affissione all’albo pretorio per almeno 60 giorni, preventiva verifica di conformità urbanistica, obbligo di prevedere ed indicare fin
dalla fase di programmazione i mezzi finanziari con cui si intende finanziare le
opere, obbligo di comunicazione all’Osservatorio dei lavori pubblici, ecc.), sulla
cui opportunità e necessità si sono, in
questi anni, sprecati fiumi d’inchiostro.
Proprio in considerazione di questo alto
livello di semplificazione, c’è da eviden45
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ziare che altrettanto alta può essere la
spinta, negli Enti, a ricorrere ad artificiosi frazionamenti, peraltro espressamente vietati dalla legge, delle opere, al
fine di mantenerne l’importo sotto la
soglia dei 100.000 Euro, anche ai fini
della possibilità di ricorrere a forme di
trattativa privata ora resa possibile, sotto
tale importo, dalla nuova formulazione
dell’art. 24 della Merloni.
Modifiche nell’individuazione delle
priorità ai fini della realizzazione delle
opere programmate
Il nuovo testo del comma 3, dell’art. 14 in
questione, introduce due modifiche, peraltro di diversa portata, alla previgente
disciplina in ordine ai criteri di priorità da
seguire ai fini della realizzazione delle opere previste nel programma triennale.
La prima, e più significativa, modifica
riguarda l’eliminazione dell’obbligo di
indicare preventivamente un ordine di
priorità tra le diverse categorie di lavori,
nonché un ulteriore ordine di priorità
all’interno di ogni categoria.
Quella citata era una disposizione che
contribuiva non poco a complicare ed appesantire l’attività di programmazione (si
chiedeva in effetti una sorta di spaccatura
del capello in quattro, senza peraltro che
fosse chiaro “a che pro”), della cui soppressione saranno in pochi a lamentarsi.
Tra l’altro, rimane comunque in vigore
l’obbligo di indicare, nel programma, un
ordine di priorità (sia pure senza nessuna
particolare specificazione), nonché la precisazione che, nell’ambito di tale ordine,
sono da ritenere comunque prioritarie alcune particolari tipologie di lavori.
E la seconda, e ben più significativa, novità introdotta con la modifica legislativa in questione riguarda proprio questo
elenco di “priorità nelle priorità”.
In aggiunta ai lavori già precedentemente previsti “di manutenzione, di recupero del patrimonio esistente, di completamento dei lavori già iniziati” ed a
quelli “per i quali ricorra la possibilità di
finanziamento con capitale privato
maggioritario”, sono stati aggiunti nel
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predetto elenco anche quelli “i cui progetti esecutivi siano già approvati”.
E questo, a ben vedere, significa un vero
e proprio svuotamento di tutta la disciplina delle priorità.
Se le situazioni che determinavano finora un diverso livello di priorità, rispetto
a quanto previsto nel programma, erano
tutte riconducibili a ragioni o stati di
fatto oggettivi, quest’ultima aggiunta
rinvia invece a condizioni assolutamente soggettive e predeterminabili.
Sarà sufficiente infatti che si decida (chi,
come, perché?) di mandare avanti più
speditamente la progettazione esecutiva
di un’opera, anziché di un’altra, perché
questa diventi prioritaria rispetto alle altre
non ancora progettate. Ma questo è quello che succedeva negli Enti prima che la
Merloni li obbligasse a render conto, non
ultimo ai propri amministrati, delle priorità che si intendeva seguire nella realizzazione delle opere programmate.
Per questa ragione, pur non sottovalutando le positive implicazioni di ordine pratico che questa modifica può avere in
molte realtà (una programmazione eccessivamente rigida rischia di costituire spesso un problema non di poco conto per
l’operatività di una Amministrazione), riteniamo che sarebbe stata più coerente o
l’abrogazione tout court del comma in
questione o, meglio ancora, la trasformazione dell’obbligo di prevedere un ordine
di priorità, in una semplice possibilità (“il
programma può prevedere...”).
Modifiche all’obbligo di progettazione
preliminare per le opere da inserire nella programmazione
È dall’entrata in vigore della Legge n.
415/98, la quale ha modificato questa
parte della Merloni, e del successivo Regolamento attuativo, che è stata oggetto
di discussione la disposizione, di cui al
comma 6 dell’art. 14, con cui si stabiliva che l’inclusione di un lavoro nell’elenco annuale fosse subordinata alla preventiva approvazione della progettazione preliminare (salvo che per i lavori di
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manutenzione, per i quali era sufficiente una elencazione degli interventi previsti ed una stima sommaria dei costi).
Proprio per questa ragione, il primo anno di entrata in vigore dell’obbligatorietà dell’elenco, un apposito Dm., emanato quale interpretazione autentica (ma
soprattutto, semplificazione) della disposizione in questione, aveva affermato
che l’avvenuta predisposizione della
progettazione preliminare poteva essere
verificata, ai fini dell’inclusione nell’elenco, al momento della sua approvazione, unitamente al bilancio di previsione,
da parte dell’organo consiliare.
La modifica introdotta dalla Legge n.
166/02 è stata molto più radicale.
Il nuovo testo del comma 6 in argomento stabilisce infatti che la progettazione
preliminare non è più richiesta ai fini dell’inclusione nell’elenco di tutte le opere di
importo inferiore a 1.000.000 di Euro
(per le quali è sufficiente la predisposizione di un semplice studio di fattibilità).
Se si considera che, mentre per la progettazione preliminare l’art. 16 della
Legge n. 109/94 specifica dettagliatamente come deve essere redatto e da
quali elaborati minimi deve essere costituito, non viene invece specificato alcunché circa il contenuto minimo di
questo “studio di fattibilità”, l’ulteriore
semplificazione in ordine agli adempimenti connessi alla programmazione dei
lavori pubblici che questa modifica
comporta è davvero notevole.
UN INTERESSANTE PARERE
DELL’OSSERVATORIO PER LA
FINANZA LOCALE IN
MATERIA DI ACCERTAMENTO
DI ENTRATE COMUNALI
di Nicola Tonveronachi
Per la prima volta da quando è stato istituito, l’Osservatorio per la finanza e la
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contabilità degli Enti Locali presso il Ministero dell’Interno ha pubblicato (a seguito di propria apposita disposizione) sul
proprio sito internet un parere dallo stesso
fornito in risposta ad uno specifico quesito, per inciso riguardante una questione
interpretativa sul problema dell’accertamento delle entrate comunali ex art. 179,
Tuel (Dlgs. n. 267/2000).
La questione dibattuta, inizialmente
solo all’interno dell’Ente istante, e successivamente anche nelle stanze dei
Ministeri dell’Interno e dell’Economia
e delle Finanze, era sorta in merito all’interpretazione del citato art. 179,
comma 1, del Tuel, il quale, in merito
agli elementi costitutivi dell’accertamento delle entrate, richiede la fissazione, tra gli altri, della scadenza del
credito, senza alcuna limitazione temporale della stessa.
Nel caso di specie, infatti, il Comune
istante aveva emesso liste di carico per
le entrate del servizio acquedotto per
gli anni 1997, 1999 e 2000 ed aveva
accertato l’importo complessivo nell’anno 2001 in modo da finanziare anche il disavanzo di amministrazione del
precedente esercizio, operazione questa
per la quale il Collegio dei revisori aveva eccepito sulla legittimità dei conseguenti atti dirigenziali.
Posta dunque la questione alle sedi
competenti, mentre il Ministero dell’Interno aveva riconosciuto la correttezza dell’operazione argomentando
che la norma “prevede tra le modalità
di accertamento l’emissione di liste di
carico per le entrate patrimoniali e per
la gestione di servizi a carattere produttivo…” e che “in sede di contabilità finanziaria in regime di competenza,
quello che diviene rilevante è l’aspetto
giuridico delle entrate e delle spese, ossia l’attenzione viene focalizzata sulle
situazioni in forza delle quali sorge in
capo all’ente locale il diritto a percepire somme di denaro…”, il Ministero
dell’Economia e delle Finanze, attivato
sulla questione da un quesito posto dal
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Collegio dei revisori dell’Ente, ha invece sostenuto la tesi contraria, affermando che, viste le norme sulla competenza finanziaria delle entrate per le varie
tipologie di Pubbliche Amministrazioni (rispettivamente, art. 222, Rd. n.
827/24, per lo Stato; art. 13, Dpr. n.
696/79, per gli Enti Pubblici non economici; art. 179, Tuel, per gli Enti Locali)”, “possono trovare iscrizione nel
bilancio preventivo soltanto quelle entrate per le quali sia ragionevole presumere che saranno riscosse entro l’esercizio e che, pertanto, la eventuale mancata riscossione (residui attivi) sia da
collegare a circostanze non prevedibili
in sede di accertamento (ad esempio
successiva adozione di un provvedimento a valenza generale che disponga
la dilazione della scadenza del credito
ovvero la rateizzazione del suo pagamento)”, visto che “il principio della
competenza come sopra definito, ancorché non espressamente previsto dal
predetto art. 179, del Decreto legislativo n. 267/2000, deve ritenersi vincolante per gli enti locali, essendo una diretta estrinsecazione del principio di
integrità del bilancio cui devono conformarsi i bilanci pubblici”.
Concordando con il Ministero dell’Interno, invece, i professori dell’Osservatorio, nell’ambito dei compiti loro assegnati dall’art. 154, comma 2, Tuel,
hanno sostenuto che, in materia di accertamento contabile, gli Enti Locali
debbano attenersi esclusivamente e letteralmente alle prescrizioni dell’art.
179, comma 1, Tuel (ovvero, testualmente: “1. L’accertamento costituisce
la prima fase di gestione dell’entrata
mediante la quale, sulla base di idonea
documentazione, viene verificata la ragione del credito e la sussistenza di un
idoneo titolo giuridico, individuato il
debitore, quantificata la somma da incassare, nonché fissata la relativa scadenza”), da ritenersi principio generale
con valore inderogabile, ai sensi dell’art. 152, comma 2.
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Sarebbero radicalmente illegittimi non
solo comportamenti contrastanti, ma
anche autonome regolamentazioni, riconosciute in via generale.
In altre parole, secondo l’Osservatorio
le norme speciali previste per gli Enti
Locali (art. 21, Dlgs. n. 77/95, trasfuso nel citato art. 159, Tuel) non richiedono che la scadenza del credito debba
ricadere nell’esercizio finanziario nel
quale è stato eseguito l’accertamento,
ma si limitano a prevedere che l’accertamento indichi la scadenza del credito, “ovviamente anche al di là dell’esercizio finanziario nel quale si sarebbe effettuato l’accertamento”.
Ciò che rileva, quindi, per la corretta
applicazione del principio della competenza finanziaria per gli Enti Locali è
il suo aspetto giuridico consistente, per
l’entrata, nella constatazione dell’esistenza di un documentato diritto di
credito, e per la spesa, di un obbligo di
pagare.
Per contrastare quanto asserito dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, i
professori dell’Osservatorio non sono
certo andati per il sottile, sottolineando
che “l’obbligatorio vincolo, per gli Enti Locali, di accertare solo le entrate in
scadenza nell’anno relativo all’operazione, non ha pregio in quanto le norme citate, dalle quali il vincolo si evincerebbe, sono di epoca precedente a
quella relativa agli Enti Locali e nella
gerarchia delle fonti sono di rango inferiore a quello del Testo unico citato,
adottato non a caso con Decreto legislativo e quindi con atto avente valore di
legge ordinaria. Non vale poi il richiamo al principio dell’integrità del bilancio (richiamato in verità nell’art. 162
del Testo unico), poiché esso, per unanime e concorde dottrina, si riferisce,
invece, al solo obbligo di integrale
iscrizione in bilancio di ciascuna entrata e spesa, senza possibilità di compensazioni. A tal proposito, appare inutile
la citazione di riferimenti dottrinari,
tutti concordi nei sensi detti”.
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Inoltre, se ciò non bastasse, l’Osservatorio per la finanza e la contabilità degli Enti Locali ricorda “che l’esigenza,
pur rappresentata dal Ministero dell’Economia e delle Finanze, di evitare
squilibri di gestione con forzate interpretazioni di tipo ingiustamente restrittivo non è affatto condivisibile anzitutto perché il pericolo paventato
non sussiste, e poi perché semmai sarebbe il comportamento suggerito dal
detto Ministero a costituire rischio di
squilibri e forse impossibilità di far pareggiare i bilanci”.
Come esempio di una chiarezza disarmante si cita giustamente cosa potrebbe accadere alle entrate dello Stato se
le osservazioni delle Finanze si applicassero anche all’Addizionale Irpef,
per la quale sarebbe assolutamente
impossibile accertarne il relativo provento nell’esercizio, visto che la relativa riscossa è effettuata a cura dello
Stato e il riversamento avviene “in
epoca assolutamente imprevedibile e
comunque molto successiva all’esercizio finanziario di riferimento, rendendo vano il sacrificio richiesto ai contribuenti”.
Altri esempi di incertezza sul quantum
e soprattutto sul quando dell’acquisizione della risorsa potrebbero essere i
contributi erariali per gli enti sottoposti al regime di Tesoreria unica, oppure i proventi derivanti dalla repressione
dell’evasione tributaria e tariffaria, che
rischierebbero di non poter essere accertati ed utilizzati e quindi di vanificare l’opera e gli sforzi spesso meritori
compiuti.
In conclusione, con l’intervento dei
tecnici dell’Osservatorio viene sancito
che per la legittimità dell’accertamento è sufficiente che, assieme agli altri
elementi indicati dall’art. 159, comma
1, Tuel, sia definita e ben indicata la
scadenza del credito, non essendo invece richiesto che la stessa cada nell’esercizio nel quale è stato effettuato
l’accertamento.
IL GIORNALE
DEL REVISORE
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Centro Studi Enti Locali
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Seconda edizione
ottobre 2002 - febbraio 2003
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• L'ordinamento finanziario e contabile
3a Giornata
• La gestione del bilancio
4a Giornata
• Il rendiconto della gestione
• Il controllo di gestione
5a Giornata:
• Gli investimenti degli Enti Locali
• I principali adempimenti dei revisori degli Enti Locali
nel corso dell'esercizio
Comprensiva di coffee breack., lunch, materiale didattico documentale, testi
della normativa di riferimento, attestato di partecipazione.
La quota di partecipazione dà altresì diritto:
- all'abbonamento gratuito per un anno alla rivista Entilocalinews, settimanale di aggiornamento ed approfondimento per gli operatori degli Enti Locali edita dal nostro Centro Studi;
- all'accesso gratuito per un anno al sito web entilocaliweb.it;
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novità della Finanziaria 2003 che interessano gli Enti locali" che verrà
organizzato nel gennaio 2003 dal Centro Studi.
CALENDARIO DELLE LEZIONI
1ª lezione:
2ª lezione:
3ª lezione:
4ª lezione:
5ª lezione:
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18 novembre 2002
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22 ottobre 2002
19 novembre 2002
17 dicembre 2002
28 gennaio 2003
25 febbraio 2003
23 ottobre 2002
20 novembre 2002
18 dicembre 2002
29 gennaio 2003
26 febbraio 2003
25 ottobre 2002
22 novembre 2002
20 dicembre 2002
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