Immigrati morti in mare........ La Parola Indice

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Immigrati morti in mare........ La Parola Indice
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N. 7 Luglio 2013
Indice
La Parola
Immigrati morti in mare........
Immigrati morti in mare
papa Francesco
p1
Oh, Dio beato!
Rachele Sorrentino
p2
Il Vangelo contro la mafia
a cura di Ivanna
p2
I anniversario
Rossella
p 4
Centro Verde...
Scuola Infanzia
p 5
Quando siete in difficoltà...
don Eugenio Morlini
p6
Un papa di carne
a cura della redazione
p8
Ci impegnamo noi
don Primo Mazzolari
p 9
papa Francesco
...da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono
state una via di morte. Quando alcune settimane fa ho appreso
questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero
vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta
sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare,
a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre
coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta.
Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di
incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle
associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete
mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso
qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un
esempio di solidarietà! Grazie anche all’Arcivescovo Mons.
Francesco Montenegro per le sue parole. Un pensiero lo rivolgo
ai cari immigrati musulmani che stanno iniziando il digiuno di
Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa
vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le
vostre famiglie.
Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo
ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino
la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare
concretamente certi atteggiamenti. «Adamo, dove sei?»: è la prima
domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei?».
E’ un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione
perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di
essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete
anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare,
ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere.
E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il
sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere
Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta
a versare il sangue del fratello!
Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la
loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati,
non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo,
non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo
più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo
disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a
tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
(segue in ultima pagina)
Come un sasso nello stagno
Stefania
p 10
Se la mia roccia si sta sgretolando
Milena
p 11
Il potere dichiara.. ..
Erri de Luca
Inserto:
Ciao Paride
p 11
Oh, Dio beato!
Il Vangelo contro la mafia
Rachele Sorrentino
a cura di Ivanna
Con amore, tutto
ci hai donato:
i fiori colorati
che armonizzano i prati.
Le stelle che illuminano,
di notte, il firmamento.
Le onde capricciose
che accarezzano il mare.
Le rondini garrule
che volano nel cielo.
Il sole che riscalda i cuori ed
il creato.
A Te ricorriamo con affanno,
tendi a noi la mano,
dacci coraggio, conforto ed aiuto,
nei momenti più bui della nostra vita.
Benedetto sia il nome Tuo,
Signor mio, Dio mio!
I ragazzi del catechismo restituiscono alla comunità
Nel capitolo 7 dell’Esodo abbiamo letto che Mosè ha lottato con il
faraone per liberare gli Ebrei dalla schiavitù egli Egiziani.
Allora Don Daniele ci ha presentato la figura di don Pino Puglisi, un
sacerdote assassinato 20 anni fa che ha lottato in prima linea contro
la mafia siciliana, ricorrendo però al servizio del Vangelo, per liberare
la sua gente dalla schiavitù di questo potere che, per i suoi interessi,
non esita ad uccidere e a distruggere e a togliere di mezzo chi si
pone come ostacolo.
Abbiamo cercato su Internet delle frasi di Don Pino che illustrano
il suo pensiero e il suo operato. Poi abbiamo ricavato da ognuna
una parola che ne riassume il significato.
A questo può servire parlare di mafia, parlarne spesso, in modo
capillare, a scuola: è una battaglia contro la mentalità mafiosa, che
poi è qualunque ideologia disposta svendere la dignità dell’uomo
per soldi.
CONOSCERE
Non ci si fermi, però ai cortei, alle denunce, alle proteste. Tutte
queste iniziative hanno valore, attenzione, non vorrei essere frainteso.
Hanno valore, ma se ci si ferma a questo livello, sono soltanto parole.
E le parole devono essere confermate dai fatti.
AGIRE
Le nostre iniziative e quelle dei volontari devono essere un segno.
Non è qualcosa che può trasformare il quartiere. Questa è un’
illusione che non possiamo permetterci. E’ soltanto un segno per
fornire altri modelli, soprattutto ai giovani, e cercare di smuovere
le acque.
GETTARE UN SEME
Redazione
don Daniele Simonazzi
Gianni Salvarani
Ivan Farioli
Licia Gasparini
Lorella Giansoldati
Lorena Iotti
Lucilla Cabrini
Stefania Ferrari
2
In questa prospettiva ha senso anche premere sulle autorità
amministrative perché facciano il loro dovere, tentare di coinvolgere
il maggior numero di persone in un protesta per i diritti civili. Ma
non dobbiamo illuderci: da soli non saremo noi a trasformare
Brancaccio.
COINVOLGERE LE AUTORITA’
Lo facciamo soltanto per poter dire: dato che non c’è niente, noi
vogliamo rimboccarci le maniche e costruire qualcosa. E se ognuno
fa qualcosa, allora si può fare molto…
COLLABORARE
Non è da Cosa Nostra che potete aspettarvi un futuro migliore per
il vostro quartiere. Il mafioso non potrà mi darvi una scuola media
per i vostri figli o un asilo dove lasciare i bambini, quando andate al lavoro.
NON LASCIARSI ILLUDERE
Mi rivolgo anche i protagonisti delle intimidazioni che ci hanno bersagliato. Parliamone, spieghiamoci,
vorrei conoscervi e conoscere i motivi che vi spingono ad ostacolare chi tenta di educare i vostri figli alla
legalità, al rispetto reciproco, ai valori della cultura e della convivenza civile.
DIALOGARE
Perché non volete che i vostri bambini vengano a me? Ricordate: chi usa la violenza non è un uomo. Noi
chiediamo a chi ci ostacola di riappropriarci dell’umanità. E comunque facciamo sentire la nostra solidarietà
a coloro che sono stati colpiti. Andiamoli a trovare a casa, rimaniamo uniti. Abbiamo avuto la conferma
che tutto ciò voleva essere un avvertimento per il nostro operato. Ma noi andiamo avanti. Perché, come
diceva san Paolo, se Dio è con noi, chi sarà contro di noi?
SOLIDARIETA’
Il massimo che possono farmi è ammazzarmi. E allora? Non ho paura di morire se quello che dico è la
verità.
ESSERE DISPOSTI A PAGARE DI PERSONA
Il discepolo è testimone soprattutto della risurrezione di Cristo. Certo, la testimonianza cristiana è una
testimonianza che va incontro a difficoltà, una testimonianza che diventa martirio. Dalla testimonianza
al martirio il passo è breve, anzi è proprio questo che dà valore alla testimonianza. “Sarete felici quando
vi perseguiteranno e mentendo diranno ogni sorta di male di voi per causa mia; rallegratevi ed esultate,
perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli.”
Per il discepolo testimone è proprio quello il segno più vero che la sua testimonianza è una testimonianza
valida…
TESTIMONIANZA
Abbiamo detto, vogliamo creare un mondo diverso. Ci impegniamo a creare un clima di onestà, di
rettitudine, di giustizia che significa compimento di ciò che a Dio piace.
DESIDERARE UN MONDO NUOVO
Anche la forza , quando diventa un culto, una legge, oggi diffusa molto dal cinema, è un segno di degrado
dell’uomo per cui anche la violenza e la vendetta conseguenti a questo culto sono oggi considerate un
modo di pensare. Il mondo rivela tutti questi controvalori, diffusi dove c’è il benessere, come cose che
danno pace e felicità, ma non è così: il piacere non dà gioia, e Ciò è provato da un numero frequente di
suicidi, dall’uso abbondante di droga ed alcool.
CONDANNA DELLA FORZA
Abbiamo capito che rappresentano una
forma di lotta non violenta che porta al
bene di tutti e sconfigge il male.
Questa lotta prevede anche si arrivi a
pagare di persona come ha fatto don
Puglisi
Ma la sua morte violenta per la mafia
rappresenta la peggior sconfitta.
3
I° Anniversario
Sono....
Rossella
Riccardo
Tu non sai quanto questa frase mi
abbia riempito il cuore,
quelle parole che per tutta la vita
ho sperato di sentire: “Mi manchi".
"Sono"
Sono Montecchi e tu Capuleti…, siamo la nuvola che offuscò la
delizia, il sogno, la gioia..
Sono Pagano e tu Ebreo, siamo il vento che posò l'oblio sulle tavole
di Mosè.
Sono Cristiano e tu Induista, siamo il nero che oscurò il tempo…
Sono Ateo e tu Mussulmano, siamo l'errore che ha donato tremore…
Sono Cattolico e tu Protestante, siamo il sangue che inondò
la dolce Belfast.
Mi manchi tanto anima mia, pura,
piccola dolce FARFALLA,
sei volata via
con le tue ali rosa e io guardo
sempre verso il cielo con la speranza
di vederti un'altra volta ancora.
Sono Sciita e tu Sunnita, siamo il ventre che abortì i suoi figli.
Sono Tutsi e tu Utu, siamo la lama che imboccò la vergogna..
Sono Fascista, sono Nazista e tu Comunista,
siamo il rosso che macchiò l'amata terra.
Siamo Bianco e tu Nero, siamo la lapide che seppellì un
profumato fiore.
"Mi manchi"? Dice il "SIGNORE"
dov'è la tua fede e la speranza?
Sono ricco e tu povero, sono firmato e tu mercato,
siamo le spine che negarono un abbraccio.
Sono bello e tu brutto, siamo la mano che soffocò il bacio..
Sono ignorante e tu colto, sono primo e tu secondo, siamo il fango
che sporcò le menti.
Sono uomo e tu donna,
sono gay e tu etero, siamo la scure che recise il rispetto.
Sono, siamo, siete…
A BIANCA
"Tutto in un mi manchi"
Apri il tuo cuore figlia mia e ricorda
quanto amore ti ha regalato quella
piccola farfalla rosa volata in cielo.
Lei era speciale e Lui l'ha voluta
perfetta per sempre al suo cospetto.
La tua nonna Rossella
(29 maggio 2013)
Bianca n/m 28 luglio 2012
Pablo Picasso
Le papillon, Eaux-fortes originales
pour des textes de Buffon
1941 - 1942
4
Perché?
Una lacrima urla al vento la felicità persa..
è così semplice il moto dell'anima..
Penso al nudo, al libero, al sorriso..
Penso al gabbiano, alla rondine, all'aquilone..
Penso a una coperta, al calore a un sospiro.
Penso all'umile, alla carezza, al fiore…
Penso all'azzurro, al mare, al sole.
Penso al bene, al dolce, al gentile..
Penso allo sguardo, alle favole, al sogno..
Penso alla tavola, al pane, al vino..
Penso a una preghiera, al silenzio, a Madre Teresa.
Penso a Bhutto, a Gandhi,a Gesù e al Dalai Lama,
in un'unica trama.
In un soave bagliore…
Penso all'amore.
Ricca
10.12.2012
Centro Verde... 40 anni di scuola dell'infanzia a Pratofontana
Il gruppo di lavoro del Centro per l'infanzia Camillo Prampolini
Piace fin d’ora anticipare, in queste poche righe di saluto prima della pausa estiva, che l’avvio del prossimo anno
scolastico vedrà alcune sobrie iniziative celebrative per festeggiare il quarantennale della municipalizzazione della
scuola Camillo Prampolini, iniziative che ci auguriamo possano coinvolgere partecipativamente tutte le realtà della
nostra circoscrizione e non solo.
Fu infatti nel 1973 che l’allora scuola gestita dall’ UDI (Unione Donne Italiane) diventò scuola comunale dell’infanzia,
compiendo un passaggio fondamentale nella sua storia di istituzione scolastica.
Un quarantennale che non mancherà di collegarsi alle origini storiche e pedagogiche di istituzione educativa operante
sul territorio fin dal maggio del 1946, e da allora in continuo aggiornamento
È infatti da quel lontano secondo dopoguerra, che la nostra scuola rappresenta un punto di riferimento costante per
l’educazione dei bambini, delle famiglie e dell’intera comunità locale, oltrechè una peculiarità (“come centro verde”)
per la rete scolastica cittadina, complessivamente considerata.
Prepararsi a celebrare un anniversario vuol dire guardare contemporaneamente a due orizzonti, uno futuro e l’altro
passato, che però alimentano già pensieri presenti.
Tutto ciò ci rimanda, da un lato, ad un‘idea di tempo molto vicino “ai tempi della scuola”, quasi mai lineari e confinati
come le nostre abitudini vorrebbero farci sembrare; dall’altro, ci invita a riflettere intorno al sentire (al contempo
semplice e complesso) del tempo da parte dei bambini e di come tutto ciò sia simile ai processi (al contempo semplici
e complessi) della natura.
Queste riflessioni a caldo sovvengono spontanee in questo finale d’anno che nella sua “esclusiva ricorsività” ci trova,
o meglio ci ritrova, come gruppo di lavoro, ad imbastire la trama dei pensieri, delle relazioni, delle aspettative, per
il nuovo anno scolastico che, già presente, verrà.
Ecco potremmo forse dire che il tempo della scuola più che un tempo è un con-tempo, un tempo con...
Un tempo con: i bambini, le famiglie, il sociale e i suoi protagonisti, i colleghi di lavoro, le opportunità e le problematicità
che si propongono continuamente, i previsti e gli imprevisti, i successi e i non successi, gli inciampi e i rilanci.
Un “tempo capiente”, complesso, che soprattutto ascoltando quotidianamente i bambini ci appare con astratta
chiarezza, rimanendo però difficile, accidentato e persino enigmatico, nel suo pratico attraversamento quotidiano
da parte di tutti noi insieme.
In questo ordito di “apparenti uguaglianze” (c’è sempre una fine d’anno scolastico e un ‘inizio d’anno scolastico, ci
sono sempre bambini, insegnanti, genitori e famiglie) in realtà intessuto di concrete varianze; l’impegno costante con
i bambini e le famiglie rappresenta per noi la bussola di orientamento in un percorso aperto al conoscere e al comune
stupore.
Una bussola in ricerca con le conoscenze, le teorie e i linguaggi dei bambini per interpretare il micromondo della
nostra comunità come il macromondo che si avvista dai campi di Pratofontana , provando “con la fatica dell’ottimismo”
a mettere costantemente in dialogo: nature, culture, saperi , identità e diversità.
Gli ultimi giorni di scuola hanno tuttavia una loro speciale bellezza per via di quel senso di svolto, di compiuto che li
contraddistingue facendo con-vivere: sentimenti di nostalgia , propositi futuri, certezze di continuità e consapevolezze
Tutto ciò soprattutto guardando alle bambine e ai bambini: a chi di loro approderà alle primarie, a quelli che rimarranno
al Centro Verde Prampolini, a tutti coloro con cui ci siamo salutati da tempo, ma di cui restano tracce nella scuola,
nel nido , nelle relazioni con famiglie o nei ricordi di “adulti speciali”, come il nostro amico “Nonno Paride”, che ci
ha lasciato regalandoci tanto e che per questo sarà sempre tra noi sorridentemente presente.
Il complesso tempo del finale (anche della fine della scuola) è insomma un tempo sempre molto fertile perché non
chiude, bensì conclude e schiude al futuro! Ma per l’intanto l’augurio che vogliamo fare a tutti, in questo luminoso
giorno di solstizio, è semplicemente quello di trascorrere “una bella estate”!!!
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Quando siete in difficoltà andate a trovare un povero...
a cura della redazione
Testimonianza di don Eugenio Morlini, parroco di San Bartolomeo, missionario fidei donum
in Brasile dal 1975 al 1991.
Ringrazio molto il Signore Gesù che ha avuto il coraggio di stare sulla Croce fino alla fine; se no, poveri noi!
Però non sento molto parlare della croce, oggi. (...) Le due cose più interessanti nella mia vita, che mi hanno
condotto finora e spero mi conducano fino alla fine, sono la passione per Cristo Gesù e la passione per i
poveri. Queste due passioni convivono in me con i miei peccati. E così i miei errori non mi turbano tanto,
perché questa passione per Cristo Gesù e per i poveri mi sembra che sia più forte e che prevalga ancora.
Accostare il Vangelo e l’amore di Cristo ai poveri, alla vita della gente, diventa una forza indomabile, che
nessuna violenza o minaccia riesce a fermare; anzi, ne viene il coraggio, la voglia di affrontare tutte le
situazioni.
Mi trovavo, nel 1975, nella parrocchia di Andaraì, in Brasile, che allora contava 36mila abitanti. Di questi,
circa 12mila furono costretti a lasciare le loro terre perché il latifondo voleva prenderne possesso; anche i
paesi che si trovavano su quei terreni dovevano sparire e la gente doveva andarsene senza nessun diritto.
Allora vivevo in parrocchia con don Creardo Cabrioni: abbiamo tentato il dialogo con i latifondisti, ma non
abbiamo ottenuto nulla. Don Creardo addirittura fu schiaffeggiato duramente. Allora abbiamo deciso di
andare a incontrare la gente, a visitare i paesi e le comunità senza alcuna protezione. Questo ha dato
speranza alle persone, anche se a noi procurava fatica e tensioni. Don Creardo era più dedito alla preghiera,
io invece ero più pronto all’azione e questo binomio ha funzionato benissimo: ci sostenevamo l’un l’altro
e questo ci dava la forza per vincere la paura.
Una volta mi recai al mercato di Nova Redencon. Contrariamente al solito, quel giorno nessuno mi salutò,
nessuno mi rivolse la parola. Finché un vecchietto mi prese in disparte: “Guarda, padre, che nessuno ti
saluta perché sono tante le minacce su di te che tutti hanno paura”. Decisi allora di muovermi a piedi,
totalmente disarmato, senza alcuna protezione, e da solo, poiché la gente aveva paura. Sono andato avanti
così per 7-8 mesi, finché questo stile si è rivelato più forte delle minacce e la gente è ritornata a parlarmi
e a camminare con me.
La cosa che più mi preme, però, è dirvi la passione per la gente e i poveri e la passione per Cristo Gesù: un
fuoco che arde dentro ognuno di noi (lo Spirito Santo) e che mi ha fatto vincere la paura, mi ha dato tanta
forza, tanto che gli altri avevano più paura di me che ero disarmato.
È una cosa grande vivere la
passione di Cristo e della gente.
Spesso la chiamiamo croce, ma
io ho un po’ di ritegno a
chiamarla così.
Di fatto è una sofferenza, un
vivere sacrificando la propria
vita (uscivo al mattino senza
sapere se poi la sera sarei
tornato a casa...).
Era un pensiero quotidiano.
Ma questa, che abitualmente
chiamiamo croce, per me è la
“passione”: l’amore del Signore
e del prossimo.
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E queste cose grandi e belle possono convivere anche con tutti i nostri limiti. Non è che il “martire” sia
migliore degli altri. Io ho la sensazione che la vita quotidiana sia molto più “martirizzante”, esige una fedeltà
continua a questa passione di Cristo Gesù e a questo innamoramento per la gente. Le minacce e le persecuzioni
sono momenti eccezionali, in cui tutti noi ci sentiamo un po’ più di coraggio e ce la mettiamo tutta: ognuno
di voi avrebbe fatto quello che ho fatto io. Mi libererei da questa concezione del martirio come quella di
colui che dà la vita e vi inviterei a pensare che l’amore di Cristo Gesù che c’è nei nostri cuori e l’amore verso
i poveri e il prossimo sono più forti di tutti i nostri peccati e ci associano alla croce di Cristo Gesù.
Allora, neanche noi vogliamo scendere dalla croce, perché è lì che viviamo la pienezza della vita e l’amore
che Gesù ci ha insegnato.
Abbiate coraggio: l’amore per Dio che c’è in noi è molto più forte di quello che pensiamo. State vicini ai
poveri, a chi soffre, a chi è malato, perché quelli ci redimono sempre; e quando siete in crisi, andate a
trovare qualcuno che è in difficoltà e lui vi aiuterà a rialzarvi, a riprendere la vostra vita con tutta la croce
che avete addosso.
In te sono stato albume, uovo, pesce,
le ere sconfinate della terra
ho attraversato nella tua placenta,
fuori di te sono contato a giorni.
In te sono passato da cellula a scheletro
un milione di volte mi sono ingrandito,
fuori di te l’accrescimento è stato immensamente meno.
Sono sgusciato dalla tua pienezza
senza lasciarti vuota perché il vuoto
l’ho portato con me.
Sono venuto nudo, mi hai coperto
così ho imparato nudità e pudore
il latte e la sua assenza.
Mi hai messo in bocca tutte le parole
a cucchiaini, tranne una: mamma.
Quella l’inventa il figlio sbattendo le due labbra
quella l’insegna il figlio.
Da te ho preso le voci del mio luogo,
le canzoni, le ingiurie, gli scongiuri,
da te ho ascoltato il primo libro
dietro la febbre della scarlattina.
Ti ho dato aiuto a vomitare, a friggere le pizze,
a scrivere una lettera, ad accendere un fuoco,
a finire le parole crociate, ti ho versato il vino
e ho macchiato la tavola,
non ti ho messo un nipote sulle gambe
non ti ho fatto bussare a una prigione
non ancora,
da te ho imparato il lutto e l’ora di finirlo,
a tuo padre somiglio, a tuo fratello,
non sono stato figlio.
Da te ho preso gli occhi chiari
non il loro peso,
a te ho nascosto tutto.
Ho promesso di bruciare il tuo corpo
di non darlo alla terra. Ti darò al fuoco
fratello del vulcano che ci orientava il sonno.
Ti spargerò nell’aria dopo l’acquazzone
all’ora dell’arcobaleno
che ti faceva spalancare gli occhi.
Erri De Luca
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Un papa di carne
a cura della redazione
Un Papa di carne. Questa definizione che don Primo Mazzolari coniò per Giovanni XXIII, l'arcivescovo
Loris Francesco Capovilla l'applica anche a Papa Francesco. Nel corso dell'intervista a "L'Osservatore
Romano" in occasione dei cinquanta anni di ricorrenza della morte del beato Giovanni XXIII e
dell'inizio del concilio Vaticano II, l'antico segretario di Roncalli rileva un singolare collegamento
nello stile pastorale dei due Pontefici. Entrambi, a suo dire, hanno suscitato un forte consenso
popolare perché manifestazione concreta e immediata dell'umanità e della bontà di Dio.
Si commuove più volte Capovilla nel suo studio a Sotto il Monte. Sta per compiere 98 anni con
una salute invidiabile e una mente vigile.
vi proponiamo alcuni stralci dell'intervista.
Papa Giovanni diceva che a essere pessimisti o ottimisti si paga lo stesso; tanto vale essere ottimisti,
confidando in Dio. Il nostro ottimismo nasce dalla fede e dalla carità. Nasce dalla fede che Dio non può
fallire e che l'opera di Gesù non può essere distrutta, e nasce dall'amore perché ci è stato ordinato di amare.
Non ci è stato detto amerai solo i buoni e non i cattivi, come noi siamo soliti catalogare i nostri fratelli e
sorelle. Amatevi l'un altro, ci ha detto Gesù. E Giovanni XXIII, in linea con questo comandamento, aprendo
il concilio ha indicato la medicina della misericordia e dell'amore come via per rendere credibile il Vangelo
anche ai nostri giorni. Solo che noi non abbiamo capito abbastanza cosa volesse dire questa indicazione.
…Noi dobbiamo rimanere saldi nella dottrina che ci ha lasciato Gesù, senza paura di essere troppo buoni
o troppo misericordiosi. Ci sono state persone tra i credenti che hanno fatto confusione dicendo: se noi
cominciamo a distinguere tra il peccato e i peccatori, la gente non capisce nulla e ci sarà confusione. No,
io lo spiego ai bambini e lo capiscono: bambino, ricordati che la bestemmia è un orribile peccato, ma che
il bestemmiatore non è un orribile uomo. Definendo orribile un uomo tu dai un giudizio e Gesù ha detto:
non giudicate. Perché non devi definire orribile un uomo? Perché è una persona e ha diritti inalienabili dati
da Dio, e tra i diritti ci sono anche il rispetto, la fiducia, la speranza, e anche se lui è un grande peccatore e
tu sei cristiano, egli ha diritto al tuo amore, perché forse solo con l'amore lo possiamo riportare a casa.
Misericordia è considerare con il cuore i miseri e dir loro che a vederli in tale stato ci si spezza il cuore.
…Noi siamo cristiani un po' zoppi qualche volta, ma non dobbiamo addebitare alla Chiesa le colpe dei singoli
che, purtroppo, non sono mai mancate nella storia. La Chiesa non è vecchia, e resta sempre la fontana del
villaggio, come la definì Papa Giovanni. Riportare i credenti alla sorgente è stato sempre lo sforzo e l'esempio
dei santi. Svegliare i dormienti e riportare sulla retta via chi era fuori strada, questo si è sempre fatto. Se
qualcuno di noi, anche ecclesiastico, ha sbagliato, cosa costa dire: sono un povero peccatore? Immediatamente
due braccia si aprono ad accoglierti.
…Adesso con Papa Francesco abbiamo messo i piedi sulla terra, in contatto con i nostri fratelli, per camminare
insieme, nel pieno rispetto reciproco. La nostra vocazione è portare nel mondo questa speranza. E ciascuno
di noi deve essere pronto a convertirsi. E la prima conversione qual è? Prendere in mano la prima lettera
ai Corinzi e fermarsi al dodicesimo capitolo, quello dei carismi, che sono i doni. Ogni dono è qualcosa che
ti ha dato Dio. Anche se tu non fossi credente o praticante c'è una coscienza che è viva dentro di te. Il dono
non ti è stato dato solo per te e la tua famiglia, ma per il bene comune. È il momento in cui il cristiano deve
dare questo esempio: quello che ho non è completamente mio, mi è stato dato per aiutare i fratelli. Dentro
e fuori la Chiesa. Ecco la partecipazione del cristiano alle sorti del suo Paese. Sei tenuto a dare, a fare famiglia
con i tuoi fratelli, sei tenuto ad amare.
….Abbiamo bisogno anche oggi di umiltà e di mitezza. E Papa Francesco ce lo ricorda bene.
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Perché la Chiesa dei poveri è un argomento tanto divisivo?
Ho fatto esperienza nella mia vita, ho conosciuto genitori con tre o
quattro figli e uno handicappato. Questa gente vive con il pensiero
soprattutto di questo figlio, perché la prima preoccupazione è per il
malato. Ricominciamo a leggere gli Atti degli apostoli, dove si narra
che la comunità cristiana aveva dei beni che portava agli apostoli per
sostenere i poveri, le vedove, gli orfani, gli stranieri. Già l'Antico
Testamento è pieno di attenzioni per i poveri, ma soprattutto lo è il
Nuovo Testamento. Sappiamo che una delle prime creazioni
apostoliche è stata l'istituzione dei diaconi.
La Chiesa è di tutti, senza eccezioni, ma principalmente dei poveri:
se invece di "specialmente" si dicesse "inizialmente" sarebbe lo stesso,
ma si spiegherebbe un po' meglio, perché vorrebbe dire che non mi
occupo di lui solo perché è povero, ma per lui che ha più bisogno di
me. Prima vengono quelli che hanno bisogno. Se dovessimo erigere
monumenti a tutti coloro che hanno esercitato le quattordici opere
di misericordia, corporale e spirituale, non ci basterebbero i Paesi
per farlo. Penso sia necessario anche per noi che siamo stati in
seminario che accanto alla pietà, alla purezza, si consideri la giustizia,
che qualche volta abbiamo un po' trascurato. Questa riflessione viene
dal fatto che si usa dire: ho questa cosa, è mia. No, dobbiamo crearci
una nuova mentalità: ogni cosa mi è stata data per la comune utilità.
E per questo siamo chiamati a risolvere i problemi sia materiali che
spirituali dell'uomo. L'uomo nasce con dei diritti inalienabili. Ci siamo
sempre adoperati per la formazione alla paternità e alla maternità.
Mettere al mondo un bambino non è solo dare un pezzo di pane,
abbiamo grandi obblighi e tutta la nostra vita deve essere in funzione
dei doveri e dei diritti. Povero è chi ha un pane, un vestito, un letto,
una medicina, e rimane sempre povero. Quello che tuttora è una
vergogna è che ci sono i miserabili.
Nel 1930 da ragazzo mi si fissò nella mente un libro di Daniel Ross
dal titolo La miseria e noi. Dobbiamo farle queste considerazioni.
Ringrazio Dio che ci ha dato dei Papi che ci hanno aiutato a maturare
una coscienza sensibile al problema dei poveri e della giustizia.
... In Papa Francesco sono evidenti la bontà e l'umanità di Dio che si
mostra alla gente comune. Don Primo Mazzolari, un grande prete
italiano quando fu eletto Papa Giovanni, disse: "Abbiamo un Papa di
carne". Non si tratta di una cosa banale, perché Dio si è fatto carne.
Papa Francesco lo manifesta in forma eloquente. Anche noi dovremmo
incarnare il Vangelo per andare dai nostri fratelli, con più attenzione,
meno applausi e più esemplarità di vita.
Al termine del colloquio, l'arcivescovo si congeda con l'omaggio
di un depliant che raffigura in parallelo il volto di due Papi,
Giovanni XXIII e Francesco, uniti da una citazione di
sant'Ambrogio: "Cristo per noi è tutto". A indicare una sostanziale
fedeltà della Chiesa al Vangelo che anche oggi si testimonia
in forma credibile vivendo l'amore di Dio e del prossimo.
Ci impegnamo noi e
non gli altri
don Primo Mazzolari
Noi ci impegniamo…
Ci impegniamo noi, e non gli altri;
unicamente noi, e non gli altri;
né chi sta in alto, né chi sta in basso;
né chi crede, né chi non crede.
Ci impegniamo,
senza pretendere che gli altri si
impegnino,
con noi o per conto loro,
con noi o in altro modo.
Ci impegniamo
senza giudicare chi non s’impegna,
senza accusare chi non s’impegna,
senza condannare chi non s’impegna,
senza cercare perché non s’impegna.
Il mondo si muove se noi ci
muoviamo,
si muta se noi mutiamo,
si fa nuovo se qualcuno si fa nuova
creatura.
La primavera incomincia con il
primo fiore,
la notte con la prima stella,
il fiume con la prima goccia d’acqua
l’amore col primo pegno.
Ci impegniamo
perché noi crediamo nell’amore,
la sola certezza che non teme
confronti,
la sola che basta
a impegnarci perpetuamente.
9
Come un sasso nello stagno - Luisa Casiraghi Callegari
Stefania
Il romanzo di questa sensibile scrittrice è un inno alla speranza, anche e apparentemente contro ogni logica.
La storia raccontata all’interno del libro è la dimostrazione che le vie del destino possono essere molteplici,
ma che l’amore può avere due facce: una può apportare dolore e disperazione se la fiducia viene tradita,
ma l’altra, supportata dalla speranza, dal rispetto e dalla fede, può neutralizzare ogni difficoltà, donando
la serenità e la gioia.
L’intreccio è buono e ricco di colpi di scena, soprattutto nella parte finale. Il linguaggio semplice e immediato
rende il romanzo una lettura piacevole e scorrevole, senza troppi intoppi. Interessanti i risvolti psicologici
che la scrittrice inserisce durante tutto l’arco della narrazione, che ne fanno quindi una storia che si estende
oltre la sola trama, offrendo numerose occasioni di riflessione sulla caducità dei sogni, sulle prove che il
fato riserva, ma anche sulla possibilità di trovare e donare conforto, sulla comprensione dei comportamenti
umani che spesso si rivelano risultato di un vissuto doloroso, che è possibile superare e far superare solo
con una apertura sincera verso gli altri.
La protagonista degli eventi, Christine, deve superare una difficilissima infanzia: è figlia di una coppia
composta da due madri, con un padre naturale di cui nemmeno conosceva l’esistenza e al quale era stato
negato il diritto di conoscere i suoi due figli, appunto Christine e suo fratello gemello Manuel. La scoperta
da parte delle due madri di avere contratto l’AIDS, le porta ad affidare i bambini a quel padre per loro
sconosciuto, che però li accoglierà nella sua famiglia, con immenso amore da parte di tutti. Il trauma per
il distacco, non compreso soprattutto da parte di Christine, la porta a essere un’adolescente turbolenta e
ribelle, con un rapporto assai conflittuale nei confronti della madre adottiva che continua a considerare
un’estranea. Il tempo smussa il carattere spigoloso della ragazza, che accetta la sua nuova famiglia, anche
se il dolore per il primitivo abbandono la trasforma in una donna dolce, ma estremamente insicura, che
rifugge la compagnia di estranei, soprattutto se uomini. Tuttavia l’amore, o ciò che lei credeva che fosse, è
dietro l’angolo e conosce Vincenzo, di cui si innamora, che sposa e da cui ha due bambine.
Ma Vincenzo non è quello che sembra: è un violento e fugge, portando con sé le due figlie, facendo perdere
le sue tracce. Christine è disperata ma, con il sostegno costante e ininterrotto dei genitori e del resto della
famiglia adottiva, inizia un’infinita ricerca delle sue piccole, che durerà per anni, tra speranze e delusioni,
domande senza risposta e ricordi che affiorano. Nella ricerca trova aiuto in John, un investigatore privato
americano con il quale s’instaura un’amicizia profonda che poi si trasforma inevitabilmente in amore, questa
volta reale. Non senza remore e diversi sensi di colpa, Christine si lega a John, avendo da lui altri numerosi
figli e trovando un po’ di quella serenità meritata, senza tuttavia mai smettere di cercare le sue bambine
rapite. Un caso fortuito, dopo quasi vent’anni, la porterà a ricongiungersi con le due ragazze, ormai grandi
e rimaste senza padre, perito in un incidente. Christine potrà così finalmente contrarre matrimonio con
John, recuperare il rapporto con le figlie perdute e vivere in armonia con la ormai numerosissima famiglia.
Spirito Santo fa che il mio cuore sia aperto alla Parola di
Dio, che il mio cuore sia aperto al bene, che il mio cuore
sia aperto alla bellezza di Dio tutti i giorni.
..Domandiamoci oggi: siamo aperti alle "sorprese di Dio"?
O ci chiudiamo con paura alla novità dello Spiritto Santo?
siamo coraggiosi per andare per le nuove strade che la
novità di Dio ci offre o ci difendiamo, chiusi in strutture
caduche che hanno perso la loro capacità di
accoglienza?....
Papa Francesco
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Se la mia roccia si sta sgretolando
Milena
È seduto sul dondolo all’ombra, lo guardo mentre è assopito o forse
sta dormendo, non lo so, ormai è quasi sempre così, non riesco più
a tracciare il confine tra dormiveglia o altro, so solo che mi sta
lasciando, ormai è già in un mondo tutto suo, non condivisibile con
nessun altro, è preso dai suoi ricordi, sempre gli stessi, le sue montagne,
le sue scalate, le vie che portano il suo nome, ma per lui ormai non
hanno più nome, sono tutte uguali hanno tutte la stessa connotazione,
non ricorda più nemmeno il nome delle montagne da lui ascese. Le
vette il suo grande e unico amore, la montagna anteposta a tutto,
anche a se stesso, il desiderio di essere sempre pronto per una nuova
spedizione, una nuova via, una nuova ascensione estrema.
Adesso Lui la roccia, quella roccia così solida, quell’appiglio che è
servito e ha permesso a molti di raggiungere una cima, portare a
compimento l’ascensione programmata, e a me di aggrapparmi per
non precipitare nel burrone dei miei errori, quella roccia così svettante
ora si sta sgretolando. Cerco di tenerlo stretto con le mie mani, sto
lottando con tutte le forze perché non diventi polvere, è una lotta
silenziosa, disperata contro l’ineluttabile avanzamento della malattia,
non voglio che mi lasci anche fisicamente, non voglio non sentire più
la stretta della sua mano quando chiede o ringrazia, non voglio non
vedere più il suo sguardo azzurro che ora mi cerca per essere
rassicurato. Il nostro amore si è trasformato in un’altra «specie
d’amore», è diventato il mio bambino, un bimbo da proteggere, e
come una mamma tigre lotto perché nessuno possa ferirlo, metterlo
al riparo da ogni dolore.
Lo guardo pensando anche alla mia vita che si sta spegnendo con
Lui, possono bastare i ricordi a tenermi viva?
Forse sì perché ormai il presente e già senza di Lui, senza i suoi
pensieri, quei pensieri che condividevamo anche solo guardandoci
negli occhi, le parole non servivano, bastava un piccolo tocco delle
mani così forti per trovarmi unita e saldamente aggrappata a lui.
Lui che con un nodo speciale a doppia corda mi ha tenuto in sicurezza
accanto a Lui per tutti questi anni, anche per quelli a venire, lo so,
saranno dolorosi, ho iniziato ad allenarmi, ma sicuramente non sarò
preparata a sufficienza quando suonerà il campanello del via, per
l’ultima ascensione.
Cuori allo specchio - La stampa 9 giugno 2013
Il potere dichiara
a cura della redazione
«...Stefano Cucchi era in carcere
perché era uno spacciatore abituale.
Poveretto, è morto, e la verità verrà
fuori, soprattutto perchè pesava 42
chili. La droga ha devastato la sua
vita,
era
anoressico,
tossicodipendente…
E poi il fatto che in cinque giorni sia
peggiorato… Certo, bisogna vedere
come i medici l’hanno curato. Ma
sono migliaia le persone che si
riducono in situazioni drammatiche
per la droga, diventano larve,
diventano zombie: è la droga che li
riduce così»
Carlo Giovanardi, “co-ideatore” della
legge Fini-Giovanardi.
Il potere dichiara che il
giovane arrestato di nome Gesù figlio
di Giuseppe è morto perché aveva le
mani bucate e i piedi pure,
considerato che faceva il falegname
e maneggiando chiodi si procurava
spesso degli incidenti sul lavoro.
Perché parlava in pubblico e per
vizio si dissetava con l´aceto, perché
perdeva al gioco e i suoi vestiti
finivano divisi tra i vincenti a fine di
partita.
I colpi riportati sopra il corpo non
dipendono da flagellazioni, ma da
caduta riportata mentre saliva il
monte Golgota appesantito da
attrezzatura non idonea e la ferita
al petto non proviene da lancia in
dotazione alla gendarmeria, ma da
tentativo di suicidio, che infine il
detenuto è deceduto perché
ostinatamente aveva smesso di
respirare malgrado l’ambiente ben
ventilato. Più morte naturale di così
toccherà solo a tal Stefano Cucchi
quasi coetaneo del su menzionato
Erri de Luca
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dalla prima pagina
«Dov’è tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una
domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare
un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante
volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, accoglienza, solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! «Dov’è
tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue?
Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna
uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando
il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche
oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi
rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io.
Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue di tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno si sente responsabile
di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del
servitore dell’altare, di cui parla Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della
strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci sentiamo a
posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in
bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso
gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci
interessa, non è affare nostro!
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili
senza nome e senza volto. «Adamo dove sei?», «Dov’è tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della
storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi.
Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?»,per la
morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che
portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società
che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza! Nel Vangelo abbiamo
ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte
per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone.
E questo continua a ripetersi…
Domandiamo al Signore che cancelli ciò
che di Erode è rimasto anche nel nostro
cuore; domandiamo al Signore la grazia
di piangere sulla nostra indifferenza,
sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi,
anche in coloro che nell’anonimato
prendono decisioni socio-economiche
che aprono la strada a drammi come
questo. «Chi ha pianto?».
Signore, in questa Liturgia, che è una
Liturgia di penitenza, chiediamo
perdono per l’indifferenza verso tanti
fratelli e sorelle, ti chiediamo perdono
per chi si è accomodato, si è chiuso nel
p ro p r i o b e n es s e re c h e p o r ta
all’anestesia del cuore, ti chiediamo
perdono per coloro che con le loro
decisioni a livello mondiale hanno creato
situazioni che conducono a questi
drammi.
«Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue
di tuo fratello?». Amen
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