T4 Elementi di legge naturale e politica

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T4 Elementi di legge naturale e politica
13/12/2014
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Hobbes
Il patto è il corpo politico
Per far vivere gli uomini in pace non è sufficiente il solo dettame naturale della
ragione (legge di natura): occorre che gli uomini si accordino nell’istituire uno
Stato che renda possibile una vita secondo ragione. In questo brano degli Elementi
di legge naturale e politica si chiariscono i termini del passaggio.
Dal momento che, nella condizione naturale dell’umanità, la finalità principale di
ogni uomo – la conservazione della propria vita – si scontra con ostacoli
insormontabili, gli uomini sono spinti a cercare di uscire da quella condizione: in
questa direzione li orienta il dettame razionale della legge di natura. Libertà
naturale (totale) e uguaglianza (come mutua possibilità di uccidersi) impongono la
necessità di uscire dallo stato di natura.
Rimane quindi ancora stabilito che il consenso (con cui io intendo il
concorso delle volontà di molti uomini a un’azione) non costituisce una
sufficiente garanzia per la loro pace comune, senza la fondazione di
qualche potere comune, dal timore del quale essi possano essere
costretti sia a mantenere la pace tra loro, sia a unire i loro sforzi insieme,
contro un nemico comune. Affinché questo possa essere fatto, non vi è
via immaginabile se non unicamente l’unione, che [...] viene definita
come implicante o includente le volontà di molti nella volontà di un solo
uomo, o nella volontà della maggior parte di qualunque numero di
uomini, vale a dire, nella volontà di un uomo o di un consiglio; infatti un
consiglio non è altro che un’assemblea di uomini che deliberano circa
qualcosa di comune a tutti.
La costituzione di un’unione consiste nel fatto che ciascun uomo si
obbliga mediante un patto nei confronti di un solo uomo, o di un solo
consiglio, nominati e stabiliti da tutti, a compiere quelle azioni che il detto
uomo o consiglio comanderanno di compiere, e a non compiere alcuna
azione che egli o esso proibiranno, o comanderanno di non compiere. Nel
caso poi in cui vi sia un consiglio ai cui comandi si stabilisca di obbedire,
allora si stabilisce anche che ogni uomo considererà come comando
dell’intero consiglio ciò che è il comando della maggior parte di quegli
uomini, dei quali il consiglio si compone. E benché la volontà dell’uomo,
non essendo volontaria, bensì soltanto l’inizio di azioni volontarie, non sia
soggetta a deliberazioni e patti, pure, quando un uomo pattuisce di
assoggettare la propria volontà al comando di un altro, egli si obbliga a
rinunciare alla sua forza e alle sue risorse in favore di colui al quale egli
stabilisce di obbedire; e con questo mezzo, colui che comanda può,
mediante l’uso di tutte le risorse e la forza dei sottomessi, essere in
grado, con la minaccia di ricorrervi, di costringere la volontà di tutti alla
unità e alla concordia reciproca.
Questa unione così fatta è ciò che gli uomini oggi chiamano un corpo
politico o società civile; e i Greci chiamano polis vale a dire città; che si
può definire una moltitudine di uomini uniti come una persona da un
potere comune, per la loro comune pace, difesa, e beneficio.
[...] In tutte le città o corpi politici non subordinati, ma indipendenti,
quell’unico uomo o consiglio, al quale i membri particolari hanno
attribuito il potere comune, è chiamato il loro sovrano, e il suo potere, il
potere sovrano, che consiste nel potere e nella forza che ognuno dei
membri ha trasferito da sé a lui per patto. Dal momento che è
impossibile per un uomo trasferire realmente la propria forza a un altro,
o per un altro riceverla, si deve intendere che trasferire un potere e una
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forza, per un uomo, non consiste in altro che nel deporre e abbandonare
il proprio diritto di resistere nei confronti di colui al quale egli così lo
trasferisce. Ogni membro del corpo politico è chiamato un suddito, cioè
un soggetto al sovrano.
La causa in generale che induce un uomo a diventare suddito di un altro
è (come ho già detto) il timore di non potersi conservare in altro modo.
Un uomo può assoggettarsi a colui che lo assale o può assalirlo, per
paura di lui; oppure degli uomini possono unirsi tra loro per assoggettarsi
a colui sul quale essi debbono concordare per timore di altri. Quando
molti uomini si siano assoggettati nel primo modo, ne sorge un corpo
politico per così dire naturalmente, da cui deriva un dominio
paternalistico e dispotico. E quando essi si assoggettano nell’altro modo,
mediante mutuo accordo tra molti, il corpo politico che essi costituiscono,
nella maggioranza dei casi viene chiamato stato, per distinguerlo
dall’altro, benché il nome sia il nome generale per ambedue.
(Hobbes, Elementi di legge naturale e politica, trad di A. Pacchi rivista, La Nuova Italia, Firenze
1985)
[1] Una sufficiente garanzia per la loro pace comune
Nemmeno l’eventuale consenso degli individui nella loro condizione di naturale
libertà offrirebbe alcuna garanzia reciproca per una reale cessazione della
conflittualità: lo sviluppo delle passioni è tale per cui, pure in presenza di espliciti
segni esteriori, la diffidenza e l’eventuale intenzione offensiva non potrebbero
essere escluse né neutralizzate.
D’altra parte, è la stessa ragione, che pur suggerisce un percorso di
avvicinamento agli altri individui, a indicare prudentemente le condizioni per
poterlo effettivamente realizzare: l’apertura del testo traduce quelle indicazioni in
garanzie per una pace effettiva e dunque, con la cessazione del conflitto, per il
successo conservativo.
A tale scopo è indispensabile l’istituzione di un potere comune capace di indurre,
con il timore, il rispetto degli accordi intercorsi per la pace: ciò può verificarsi con
l’«unione», la riduzione di molte volontà a quella di un solo individuo o di un
«consiglio».
Il primo paragrafo fa anche trasparire due elementi identitari dell’unione
(accentuati ulteriormente, per esempio, nel De cive): da un lato gli uomini si
uniscono per poter esercitare in modo efficace, collettivamente, il loro diritto
naturale di guerra, per cercare alleati contro i nemici; dall’altro la loro
associazione è possibile in forza della sottomissione delle volontà plurali nella
volontà unitaria di un individuo o consiglio. È essa, in particolare, a far sì che la
moltitudine possa diventare una «persona».
[2] Si obbliga a rinunciare alla sua forza
Concretamente la società si forma con la totale rinuncia dei singoli individui
all’uso della forza e delle altre risorse, di cui diventa depositario, invece, il
detentore del potere istituito con il patto. Il «trasferimento» di poteri, dunque,
equivale alla rinuncia a qualsiasi forma di resistenza: il potere sovrano è, in
questo senso, irresistibile.
È da rilevare l’insistenza di Hobbes sulle finalità alla base della associazione: il
«corpo politico» è definito come «una moltitudine di uomini uniti come una
persona da un potere comune, per la loro comune pace, difesa, e beneficio». Ciò
significa che la società civile che si realizza nel patto è intesa a potenziare le
opportunità conservative, che costituiscono, quindi, per il potere politico, anche
un vincolo e un limite.
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[3] Le volontà di molti nella volontà di un solo uomo
L’unione implica l’obbligo della subordinazione delle volontà individuali (Hobbes
parla di sudditi) alla volontà del singolo o del consiglio preposti alla
conservazione del patto e dunque della pace, così che la volontà di costui sia
tenuta per volontà di tutti.
È tuttavia interessante rilevare come l’associazione, che opera una coesione
interna dei membri nell’identità della volontà espressa dal detentore del potere,
scaturisca dall’esigenza di pace (interna) in funzione della difesa efficace della
comunità da aggressioni esterne. Le relazioni tra comunità (Stati) rimangono
conflittuali. Così, la funzione del «potere sovrano» consiste nella neutralizzazione
del conflitto interno e nella definizione del nemico esterno; nella determinazione,
quindi, dei confini della identità collettiva e nella loro difesa da una potenziale
minaccia esterna.
[4] Mediante mutuo accordo tra molti
La conclusione del testo, con la distinzione tra «dominio dispotico» e «stato»
propriamente inteso, rafforza quanto appena osservato sulla natura e finalità del
corpo politico.
Il potere politico trova la propria ragion d’essere nella autorizzazione dei membri
del corpo politico: l’esercizio di questo potere – cioè l’obbligo dei cittadini di
obbedire alla legge – non può essere pensato diversamente che come il risultato
di un’autorizzazione dal basso.
In questa prospettiva il potere ha natura strumentale, necessariamente limitata:
esiste solo per la pace e la difesa dei cittadini. Diversamente espresso: lo Stato è
istituito non in vista di se stesso ma del popolo.
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