…Mi avvicino alla cucina della proprietaria della casa che stiamo
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…Mi avvicino alla cucina della proprietaria della casa che stiamo
…Mi avvicino alla cucina della proprietaria della casa che stiamo costruendo come base a Tomor. In questi giorni alcuni di noi dormono da lei, è un'indonesiana "benestante" per i criteri di qui…, non originaria di Papua. Sta preparando dei bignè farciti di noccioline per la colazione ed il riso per il pranzo che ci porteremo sul terreno. Cucina accucciata per terra, con dei grandi wok in metallo, svelta ed agile nei movimenti, su un fornelletto a gasolio con una lampada ad olio che tiene appesa ad un chiodo sulla parete in tavole di legno. Non fa un movimento inutile, tutto è calcolato al secondo e preciso, ordinato, pulito. Rimango ad osservarla nella penombra del mattino, mentre l'alba dai suoi colori vividissimi si alza al canto degli uccelli. Il fiume è ancora placido, la corrente trasporta lenta e maestosa i rami che la pioggia notturna ha staccato dagli alberi, il villaggio comincia a svegliarsi. Chiedo gentilmente alla donna se posso farmi un caffè e lei con un'espressione tra il sorriso, il curioso e l'enigmatico mi guarda e mi dà un boccale di metallo. Intanto scola i bignè fritti e ne riserva un po' per la bottega che ha in un atrio della casa. I bambini del villaggio nel giro di una ventina di minuti sono già venuti a comprarne la metà. Mi guarda perplessa e finalmente me ne offre uno bollente. Mi apparto ed esco dalla porticina della cucina che dà su una specie di veranda dove si trovano dei grandi secchi d'acqua che raccolgono l'acqua piovana. Mi lavo gettandomi addosso l'acqua fresca della notte, cercando di consumarne poca perché deve bastare alla famiglia allargata che staziona in questa casa e non è certo che ripiova stanotte. Partiamo alle 7. In un sacchetto di plastica tanti involtini di cartone che contengono riso e frittata. Sono il nostro pranzo. Attraversiamo il fiume con due barche a motore. Intorno a noi soltanto qualche piroga che scorre lenta nel fiume al ritmo dei remi che due o tre uomini in piedi sul kole kole muovono ritmicamente. Probabilmente tornano dalla pesca o stanno raggiungendo la foresta. Il cielo è velato ma il sole è caldo e potente nonostante le nubi. La giungla ai bordi del fiume si cala morbida nell'acqua scura e melmosa con rami pendenti, tronchi spezzati, erba giovane e fresca. I rami si intrecciano ai tronchi che galleggiano e si lasciano trasportare dal grande letto del fiume che si perde tra curve e meandri nell'infinita macchia verde che lo circonda. Dopo circa un' ora e mezza raggiungiamo Abamu. Sul molo in legno tutto il villaggio ci viene incontro, i bambini si arrampicano e si districano abili tra camminamenti melmosi, tronchi d'albero nascosti dall'erba alta e ripide salite scivolose. Ci guardano stupiti, curiosi e appena li guardo e sorrido mi regalano degli occhi emozionati, brillanti, languidi; ridono dolcissimi, eccitati e timidi. Saliamo con difficoltà dalla barca sul molo e stringiamo la mano ai primi uomini che ci sono venuti incontro per aspettarci. Tra loro c'è sicuramente il capo del villaggio. Lo seguiamo nella tradizionale "Casa degli Uomini". È una lunga capanna costruita su palafitte come tutto il resto, le cui pareti sono in foglie di sago. Non ci sono finestre perché gli spiriti maligni potrebbero entrare. Ci sediamo per terra su delle stuoie, ci presentiamo, spieghiamo che rappresentiamo MSF e cosa facciamo. Vorremmo chiedere al capo del villaggio il permesso di incontrare la popolazione per poter parlare con uomini e donne e cercare di comprendere la loro cultura perché il nostro sia un approccio adeguato, coerente con i valori dell'organizzazione che rappresentiamo e soprattutto rispettoso delle persone che andiamo ad aiutare. Il capo del villaggio ci ascolta annuendo con il capo, senza ancora lasciar trapelare il suo parere al riguardo. Quando finalmente alza lo sguardo verso di noi, capiamo che ha detto di si. Gli occhi brillano anche a lui e sorridono dolci e profondi, contornati da rughe che hanno vissuto la luce e il calore del sole, le difficoltà e le asperità della giungla, la povertà. Da' ordine agli altri uomini che gli sono intorno di chiamare il resto del villaggio. Gli uomini si siedono in circolo intorno al mio collega indonesiano che cercherà di chiacchierare un po' con loro per raccogliere le informazioni più importanti sulla cultura, le usanze, le loro percezioni riguardo alla salute, al modo di curarsi, alla famiglia. Uno o due uomini chiamano a gran voce le donne del villaggio perché vengano a radunarsi alla scuola, che non funziona perché non ci sono maestri, ed intimano loro di sbrigarsi. Pian piano le donne si avvicinano timide e ritrose, i bambini sul dorso con un panno annodato intorno al collo e vestiti usati e rovinati. Hanno la pelle del corpo rovinata, sono magre, quasi tutte hanno pochi denti molto malridotti ed il volto segnato. Gli uomini del villaggio le sgridano ordinando loro di salutarci uno per uno. Le guardo e mi chiedo quanti anni possano avere. Non molti.. Fumano delle foglie secche arrotolate nelle quali a volte mettono del tabacco molto forte. Tossiscono, sputano e si vergognano. Cerchiamo di avvicinarle in modo semplice, delicato ed attento. Nonostante il linguaggio che utilizziamo non capiscono quel che diciamo e che chiediamo; hanno paura di rispondere. Se un uomo si avvicina si ammutoliscono. Si lamentano del troppo lavoro mormorando. Non osano lamentarsene di fronte agli uomini, perché temono di essere punite. La loro vita di sussistenza si svolge nella semplice e pesantissima routine di lavorare senza sosta, di andare a pesca con il kole kole, nella foresta a piedi per cercare le foglie e i vermi del sago, l'albero che rappresenta la loro primaria fonte di sostentamento, di tagliare con l'accetta i tronchi di sago per costruire case e accendere il fuoco, di cucinare e badare ai bambini, di obbedire al marito... Pian piano le donne prendono confidenza e ci sorridono, ma soltanto alcune rispondono in nome di tutte. Se uno degli uomini si avvicina, tacciono ed abbassano gli occhi. Hanno paura. I bimbi sono intorno e aspettano un sorriso per poi nascondersi emozionati. Molti dei piccoli hanno il ventre gonfio gonfio, il naso sporco e i capelli biondi. Una bimba fa la pipi nella sala e gli altri bimbi un po' più grandi ridono, la sgridano e si allontanano. Ci sono cani randagi che si avvicinano e ci annusano, li allontanano per rispetto verso di noi con uno spintone o facendo un versaccio con la bocca. Ma il cane è sacro in questo villaggio, come in altri qui vicino, perché rappresenta il mito del fuoco. Ho un gran senso di tristezza parlando con queste donne, e penso che se vogliamo fare qualcosa per la loro situazione, dobbiamo prima di tutto conquistare la loro fiducia. Non riusciremo nel nostro intento fornendo medicine, servizi o ANC (cura prenatale) se prima non impariamo a conoscerle e loro non imparano a conoscere noi... È un mondo cosi lontano dal nostro, hanno paura delle iniezioni e se le pillole che gli vengono date non hanno un effetto immediato non le prendono più e tornano ad usare le foglie tradizionali che strofinano sul corpo nel punto che duole, o a scarificarsi la pelle per far uscire il sangue, o a bruciarla nel punto in cui sentono il dolore. Domattina partiamo e torniamo ad Agats, ma sto già pensando a come sviluppare le nostre sessioni informative su malaria, diarrea, igiene e salute materno infantile quando torneremo ad Abamu... L'aria nella barca mi rinfresca il viso e mi scompiglia i capelli… mi dicono che sono nera come se avessi sciato una settimana in montagna! Agats ci attende con la sua acqua melmosa e marroncina, è arrivata la nave commerciale che passa di qui una volta ogni tre settimane per portare i prodotti necessari che qui non si trovano. Il porto e' affollatissimo e non sappiamo dove attraccare per scendere dalla barca e salire in ufficio. Sono contenta di rientrare: rivedo il resto del team che e' rimasto qui, sono ansiosa di condividere con loro le mie impressioni e di sentire cosa hanno deciso come piani futuri in questi giorni in cui non ci sono stata. Sono contenta di tornare "a casa" stasera e salutare i sarti, le botteghe e i bambini sui ponti che attraverso ogni giorno quando mi reco e rientro dal lavoro. Finalmente forse stanotte riuscirò a dormire... È venerdì, quindi il muezzín canta più a lungo del solito. Piove forte e sul ponte principale ci sono poche persone. Dobbiamo organizzarci per la cena di Natale... ancora pollo e riso bollito? Per me che non mangio pollo, ancora riso bollito e funghi in scatola cinesi? Non ci sono verdure e altri prodotti freschi ad Agats...Non c'è elettricità, né acqua corrente… ma mi sembra di esser tornata in una metropoli!