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Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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RASSEGNA STAMPA
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Rassegna Stampa del giorno 4 Marzo 2011
Comunicato di informazione a cura della Federazione Italiana Bancari e Assicurativi
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UN AFORISMA AL GIORNO
a cura di “eater communications”
“
noi sogniamo di viaggiare nell'universo
ma l'universo è in noi!
Quindi il più misterioso cammino
va verso l'interno!
”
( Novalis)
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La Bce teme la corsa dei prezzi
«Possibili tassi più alti ad aprile»
Trichet: fermeremo l’inflazione. Il Fondo: Francoforte sbaglia
FRANCOFORTE — La Banca centrale europea ha lasciato i tassi di interesse invariati all'1%, ma ha preparato i mercati. a un aumento del costo del danaro «possibile» già nella prossima riunione del Consiglio
direttivo di aprile, perché, come ha spiegato il presidente Jean-Claude Trichet, «i rischi sui prezzi sono al
rialzo» . E per questo è necessaria una «forte vigilanza» sugli sviluppi della situazione, mentre la Bce è
«pronta ad agire» in ogni momento per «contenere i rischi al rialzo dei prezzi» e per «evitare effetti di rimbalzo» dovuti agli shock degli aumenti del petrolio e delle materie prime, che renderebbero permanente
l'incremento dell'inflazione. E quindi, ha concluso Trichet parlando in modo molto esplicito, «non è certo,
ma è possibile un aumento dei tassi d'interesse il mese prossimo» , indicando comunque che potrebbe trattarsi di un rialzo contenuto — probabilmente dello 0,25%— che non costituirà «l'inizio di una serie di aumenti» . Un orientamento, quello della Bce, che non piace al Fondo monetario internazionale: «La politica
monetaria deve rimanere accomodante» , ha dichiarato Ajay Chopra, direttore del Dipartimento europeo
del Fondo, al meeting di Washington. Il numero uno francese della Bce ha sottolineato che la decisione definitiva sarà presa soltanto nella prossima riunione del 7 aprile, mentre «monitora con estrema attenzione»
gli avvenimenti geopolitici in atto in Libia e in altri punti caldi del Nord Africa. Ad ogni buon conto, Trichet evita di giudicare «appropriato» l'attuale livello dei tassi, anche perché la crescita economica, pur in un
clima di «incertezza elevata» , si sta irrobustendo, spronata dall'export e dalla domanda interna. E lo staff
della Bce ha aumentato le previsioni del Pil (Prodotto interno lordo) all'1,7%per il 2011 e al 2,3%nel 2012.
Ma ha anche ritoccato in modo considerevole le stime per l'inflazione, al 2,3%per il 2011 (dall'1,8%di dicembre) e all'1,7%per il 2012 (dall'1,5%). Da qui la mossa preventiva annunciata da Trichet, che ieri ha
spronato l'euro oltre quota 1,39 sul dollaro, ai massimi da 14 mesi, perché la Bce si muove in anticipo rispetto alla Fed americana, la quale ieri ha giudicato ancora «appropriati i tassi di interesse» . Nel frattempo,
i bund future sono scesi a quota 122,93, in calo di 75 centesimi rispetto al riferimento precedente. E le Borse valori, retrocesse dopo le parole di Trichet, hanno ripreso quota in serata, trainate dall'euforia di Wall
Street per il miglioramento dei dati occupazionali e il calo del petrolio — il light crude è sceso a 100,2 dollari il barile — sulla scia di speranze di un imminente piano di pace Il presidente della Banca centrale europea, Jean-Claude Trichet. Il costo del denaro in Europa adesso è all’1%. Francoforte ha annunciato che ad
aprile salirà per la Libia. Londra ha guadagnato l'1,52%, Parigi lo 0,64%e Francoforte lo 0,66%, ma Milano, in controtendenza, ha perso lo 0,38%. Trichet ha parlato ieri al termine della riunione del Consiglio direttivo alla quale ha partecipato anche il Commissario per gli Affari monetari Olli Rehn. E gli operatori dei
mercati hanno letto la decisione «unanime» dei governatori come una dichiarazione di indipendenza della
Bce e un pungo- lo ai governi di Eurolandia ad attuare il consolidamento dei conti e le riforme. E a mettersi
d'accordo in fretta sul pacchetto complessivo per la stabilizzazione dell'euro, prima che il costo del denaro
salga e metta in difficoltà soprattutto i Paesi periferici come il Portogallo, che entro giugno deve attingere 9
miliardi dai mercati. Ma anche le banche devono destinare i profitti alla ricapitalizzazione, in vista dei nuovi stress test bancari. Fino a luglio, comunque, la Bce garantisce ancora le aste con i prestiti illimitati di liquidità lo ai governi di Eurolandia ad attuare il consolidamento dei conti e le riforme. E a mettersi d'accordo in fretta sul pacchetto complessivo per la stabilizzazione dell'euro, prima che il costo del denaro salga e
metta in difficoltà soprattutto i Paesi periferici come il Portogallo, che entro giugno deve attingere 9 miliardi dai mercati. Ma anche le banche devono destinare i profitti alla ricapitalizzazione, in vista dei nuovi
stress test bancari. Fino a luglio, comunque, la Bce garantisce ancora le aste con i prestiti illimitati di liquidità per stabilizzare i mercati. E'stato giudicato significativo, inoltre, il fatto che il «falco» uscente della
Bundesbank, Axel Weber, non abbia partecipato alla riunione. «Axel Weber va via e i tassi salgono» , ha
ribattuto «Die Zeit» a chi in Germania è convinto che «senza i tedeschi vada perso in Europa il senso per la
stabilità dei prezzi» . Da qui le polemiche sul passaporto italiano del Governatore Mario Draghi.
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Benzina oltre 1,6 euro
E l’America vede «lo choc petrolifero»
Ma il greggio cala e Wall Street corre
Nuovo giro di rialzi per i carburanti sulla rete nazionale dopo i rincari avviati mercoledì dall’Eni. Ma
altri aumenti sono in arrivo, avverte la Staffetta Quotidiana, il giornale delle fonti di energia, che imputa l’ultima impennata dei prezzi alle quotazioni internazionali di benzina e gasolio. Entrambi i combustibili, mercoledì, sono tornati sopra la soglia psicologica dei mille dollari la tonnellata, con guadagni
tra i 20 e i 30 dollari a tonnellata, cioè ai livelli dell’agosto 2008, quando però il cambio euro/dollaro
aveva raggiunto quota 1,59. In particolare, l’aumento è di circa 30 dollari a tonnellata per la verde e 23
dollari sul diesel. In euro il gasolio supera quota 600 per mille litri e la benzina si avvicina a 550. Immediata la reazione delle compagnie petrolifere, che in risposta alla mossa dell’Eni, ieri hanno ritoccato all’insù tutti i listini, con rialzi tra 0,4 e 0,5 centesimi al litro per la verde e fino a 1 cent per il gasolio. Risultato: alla pompa la media dei prezzi della benzina va dall’1,546 euro al litro degli impianti
Tamoil all’1,552 dei distributori Eni (per i no logo si scende a 1,465 al litro). Per il diesel si passa da
1,436 euro al litro delle stazioni di servizio Esso a 1,444 euro al litro rilevato negli impianti Q8 (no logo a 1,378 al litro). Il Gpl si posiziona, infine, tra 0,789 euro al litro delle stazioni Eni a 0,798 euro al
litro dei distributori Q8 e Tamoil. Al Sud, a causa delle addizionali regionali, il nuovo round di rialzi
porta i prezzi ancora più in alto, con un massimo di 1,601 euro per un litro di benzina registrato a Napoli (sono inclusi 3 centesimi di addizionale), e di 1,477 euro per un litro di gasolio nel Palermitano.
Contro «la raffica di aumenti dei carburanti» , sospettando che «ancora una volta qualcuno voglia approfittare della situazione libica» ieri è intervenuto il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni,
chiedendo al governo di «verificare se le compagnie petrolifere stiano facendo cartello aumentando i
prezzi anche quando il prezzo del petrolio cala sui mercati internazionali» . Dopo aver toccato quasi
quota 102 dollari al barile mercoledì, ieri la quotazione del greggio a New York è tornata intorno ai
100 dollari, facendo correre la Borsa americana, spinta anche dalle buone notizie sul mercato del lavoro, con richieste di sussidi da parte dei senza lavoro inferiori alle previsioni degli analisti, in attesa dei
dati sulla disoccupazione che verranno comunicati oggi. Il Dow Jones ha guadagnato l’1,6%, mentre
l’indice dei titoli tecnologici Nasdaq è salito dell’1,8%. Ma la volatilità dei prezzi dell’energia sui
mercati internazionali resta alta, tanto che il presidente della Federal Reserve di Atlanta, Dennis Lockhard, ieri ha evocato «il rischio di uno choc petrolifero durevole» legato alle rivolte popolari in Medio Oriente e nell’Africa del Nord. Anche se non è certo l’unico pericolo per l’economia globale, e, in
particolare, quella americana. «Se vogliamo valutare in modo realistico le possibilità che l’economia
ha di continuare a crescere, bisogna tener conto non soltanto del rischio di uno choc petrolifero durevole, ma anche dei rischi associati alla politica di bilancio e alla politica tout court qui e in Europa» ,
ha affermato. La priorità per il governo americano e la Banca centrale, a differenza dei colleghi di
Francoforte, resta però quella di stimolare la ripresa del mercato del lavoro, lasciando quindi in secondo piano, per il momento, l’obiettivo della stabilità dei prezzi. Nel frattempo si è registrata una nuova
fiammata anche dei prezzi alimentari. A febbraio l’indice Fao è cresciuto del 2,2%, l’ottavo rialzo consecutivo da giugno, a 236 punti, un livello che rappresenta il maggior aumento in termini reali e nominali dal 1990, da quando cioè è cominciato il monitoraggio da parte dell’agenzia delle Nazioni Unite,
che ha messo in guardia contro un’ulteriore impennata causata dalla volatilità delle quotazioni del petrolio.
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Eolico e solare, incentivi più leggeri
Da giugno tetti diversi. Prestigiacomo: con le nuove regole più certezze e controlli
ROMA— Sulle rinnovabili si procede ma con incentivi più articolati. Dopo giorni di discussione i ministeri dello Sviluppo economico, dell’Ambiente e dell’Agricoltura hanno trovato l’intesa sul provvedimento che il governo ha approvato. In sostanza non viene introdotto il tetto degli 8 mila megawatt, si
dà una sforbiciata alle incentivazioni e si riduce dal 30 al 22%il taglio al prezzo di ritiro dei certificati
verdi per gli anni 2011-2015. Ma per sapere come e di quanto saranno le nuove agevolazioni bisognerà
aspettare la fine di aprile per un nuovo decreto che ridisegnerà il sistema dei bonus dal primo di giugno. Fino a tutto maggio gli impianti allacciati alla rete godranno delle vecchie tariffe. Stretta anche
per il fotovoltaico sui terreni agricoli: saranno agevolati solo gli impianti fino a 1 megawatt, dovranno
rispettare la distanza di 2 chilometri nel caso il proprietario sia lo stesso, e la copertura dei pannelli solari non potrà superare il 10%dell’intera superficie. «Nessun taglio, nessuno stop, nessuno stop alle
rinnovabili — ha commentato il ministro dello Sviluppo Economico Paolo Romani -solo una razionalizzazione del sistema per fermare le speculazioni finanziarie che finiscono per pesare sulle bollette
degli italiani» . Per la collega all’Ambiente Stefania Prestigiacomo si tratta di una buona soluzione,
«un punto di equilibrio che terrà conto dell’obiettivo europeo del 17%di rinnovabili al 2020, della progressiva riduzione dei costi dei materiali e dei livelli dei bonus adottati dagli altri Paesi» .
L’opposizione è contraria. Per il segretario del Pd Pierluigi Bersani «la decisione del governo è un disastro che di fatto blocca il settore anche se è vero che c’è stata una marcia indietro» . Molto positivo
invece il commento di Confindustria che ha espresso «viva soddisfazione» per la posizione di «equilibrio» raggiunta dal governo «grazie al lavoro dei ministri Romano e Prestigiacomo» . «Il provvedimento — si legge in una nota — pone le basi per uno sviluppo razionale della green economy italiana
che avrà una ricaduta positiva sul costo dell’energia» . Rete imprese Italia ha invece giudicato «peggiorative» le modifiche adottate dal governo rispetto al testo «discusso in sede tecnica» . Per il presidente Remo Guerrini «l’eliminazione del tetto degli 8mila megawatt non risolve il problema perché lo
si sostituisce con la scadenza del conto energia prevista per il 30 maggio» . L’Authority si è riserva di
studiare bene il testo prima di giudicarlo.
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Tajani: no agli aiuti
ma l’industria va difesa
Il commissario Ue: faremo di tutto per trattenere la Fiat
BRUXELLES — «Moderazione nei salari» , è la ricetta per la ripresa consegnata all’Italia dal commissario europeo agli affari economici, Olli Rehn. Invece il suo collega Antonio Tajani, vicepresidente
della Commissione e responsabile dell’Industria e turismo, ha qualche dubbio: «L’Italia ha già dei salari bassi. Allora direi piuttosto: salari legati alla produttività, e a contratti flessibili. Però l’importante
è un’altra cosa: nella ricetta per ripartire, oltre alla riduzione del debito pubblico che è l’elemento chiave, bisogna puntare alla crescita e allo sviluppo. I conti in ordine, da soli, non bastano: lo prova
l’Irlanda» . Appunto: ma che cosa vuol dire in concreto «sviluppo» ? «Possiamo immaginare un corpo:
il suo scheletro è la riforma della politica industriale, e la sua rete sanguigna l’insieme degli interventi
a favore delle piccole e medie imprese. Se tutto funziona, lo sviluppo tiene, il Paese sta sul mercato internazionale, e cresce: lo spazio c’è, ricordo Jeremy Rifkin quando parla di un mercato interno allargato che sfiora il miliardo di persone, 500 milioni di europei più i loro interlocutori delle regioni vicine» .
E la «riforma della politica industriale» ? «Ecco: l’industria sarà sempre meno inquinante, meno dipendente dagli aiuti di Stato, più imperniata sull’innovazione, la ricerca, la formazione universitaria: a
tutto questo, deve lavorare la politica. Quanto alle grandi imprese, devono poter accedere certamente
alle ristrutturazioni» . Con i costi sociali che ne conseguono? «Una ristrutturazione può anche portare a
una riduzione dei posti di lavoro, ma la politica non può preoccuparsi sempre di salvare i posti in una
grande industria. Non è che nella vita possiamo restare sempre a lavorare nello stesso posto!
L’importante è altro: che ci sia il lavoro, che sia ben retribuito. E che la politica affianchi le piccole e
medie imprese» . In quali direzioni? «Nello sforzo di internazionalizzazione, di creazione dei cluster
("costellazioni"produttive, ndr), che può accompagnare le azioni contro la disoccupazione. Poi nelle
misure che favoriscono tutti, piccoli e grandi: dalla riforma dell’accesso al credito, all’utilizzo della
fatturazione elettronica, alla riforma degli standard dei prodotti europei che stiamo preparando ora» .
C’è anche chi forse pensa di andarsene del tutto, dall’Europa. Come commissario Ue, non la preoccupa
l’idea che la Fiat trasferisca cuore e cervello a Detroit? «Mi preoccupa sì, moltissimo. Farò di tutto
perché non accada. Intendiamoci: che un’azienda realizzi nuovi impianti altrove, mi rende contentissimo. Ma non voglio che abbandoni l’Europa. Comunque Marchionne non è fuggito. È qui. I segnali
non sono quelli di una fuga» . Per esempio? «Lui stesso collabora al nostro gruppo "Cars 21", sui nuovi progetti e investimenti per le "auto verdi": e sono piani per un futuro europeo. Ma certo, ci voglio
investimenti per rendere ogni industria competitiva: anziché affardellarla con nuovi vincoli» . Una volta, tutto ciò si traduceva con «aiuti di Stato» . «No, no a questi e al protezionismo. Ma una politica di
difesa del sistema industriale è indispensabile: come faccio a dire ‘Marchionne, rimani qui’, e poi non
mi preoccupo di impedire che venga qualcuno dall’altra parte del mondo a smantellargli tutto? Puntiamo sull’innovazione e poi vinciamo, anche con la Cina: ma nella qualità, non nella quantità» . —
anche al di fuori dell’industria automobilistica? «I campi sono tanti: dall’economia verde con il basso
consumo e la gestione delle energie rinnovabili, al riciclaggio delle materie prime. Credo che siamo di
fronte a una nuova rivoluzione industriale, anzi alla terza rivoluzione — anche culturale— degli ultimi
secoli: la prima fu quella industriale, la seconda quella informatica, e la terza è questa che punta alla
gestione efficiente di tutte le risorse, non solo di quelle energetiche» . Lei ha da un anno il portafoglio
europeo dell’Industria: la maggior soddisfazione, finora? «Veder crescere sempre di più il consenso intorno al progetto di rimettere l’economia reale— e non la speculazione finanziaria — al centro di tutto» . E il maggior timore? «Il ritorno di quelli che chiamo i nostalgici di Ben Alì: cioè proprio loro, i
fautori della speculazione» .
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Il signore spagnolo delle api
al capolinea con i super bond
Un miliardo di debiti per la Nueva Rumasa di Ruiz-Mateos
MADRID — Ci vorrebbe Superman, ma per davvero, a risollevare la contabilità di José Maria RuizMateos Rivero, l'ottantenne imprenditore spagnolo che guida da 50 anni il suo traballante impero e mai
si è arreso di fronte alla catastrofe. Anche a costo di infilarsi gli aderenti panni blu e il mantello rosso
di Kal-El, il mitico super eroe del pianeta Krypton, come fece per esigere dal governo, al tempo di Felipe Gonzalez, la restituzione delle aziende espropriate su istanza del fisco. Sono passati quasi 30 anni
da quelle rocambolesche prodezze, che gli garantirono le simpatie del pubblico spagnolo e un posto
fisso nella storia del cabaret non professionale. Però le avventure del «señor Rumasa» continuano. A
scapito di alcune migliaia di risparmiatori, che hanno investito i loro gruzzoli nelle obbligazioni offerte
a un appetitoso rendimento annuo del 10%dal gruppo Nueva Rumasa. La holding di un centinaio di
società risorta dalle ceneri di Rumasa (acronimo kryptoniano di Ruiz-Mateos Sociedad Anonima). Ma
l'investimento, di 140 milioni, potrebbe rivelarsi, a breve, di non facile rientro se la holding dovesse
trovarsi costretta a portare i libri in tribunale, sommersa da debiti per un miliardo. «— , siamo ancora
molto lontani da quel momento— assicura una portavoce del gruppo — , siamo ancora nella fase dei
negoziati» . C'è ancora tempo, insomma, per l'entrata in scena dell'ottuagenario superman che aggiorna
il suo blog solamente con buone notizie: «I rappresentanti del fondo Oaktree hanno visitato le installazioni di Duhl, a Granada» , informava ieri dei passi avanti nella due diligence che occuperà i prossimi
sette giorni, dopo l'accordo di cooperazione firmato da Nueva Rumasa con il fondo nordamericano. Ma
l'operazione può fallire, non è detto che altri fondi siano disponibili e, se troverà solamente porte chiuse, la famiglia Ruiz-Mateos si è dichiarata pronta a tutto pur di evitare il naufragio e tacitare fornitori,
banche, previdenza sociale e investitori, anche a vendere le tre aziende più interessanti per i concorrenti: Cacaolat, Clesa e la stessa Duhl. La disperata sete di liquidità ha portato Ruiz-Mateos a cercare soci
all'estero e, nella seconda metà di gennaio, l'imprenditore ha pubblicizzato la sua missione in Italia, a
Roma e a Milano, a colloquio con Marina Berlusconi, presidente Fininvest, e Pasquale Cannatelli.
L'amministratore delegato di Fininvest è ben introdotto nel mondo imprenditoriale della Spagna dove
segue da vicino gli interessi di Mediaset in Telecinco, come la recente fusione con l'emittente iberica
Cuatro. A testimonianza dell'incontro negli uffici Fininvest, una foto, scattata con un telefonino, sotto
un grande ritratto di Silvio Berlusconi, e una nota ottimista diffusa dal gruppo spagnolo: «La riunione
con Fininvest è servita per intensificare le relazioni tra le due compagnie, cercare e studiare opportunità di affari. Nueva Rumasa è molto soddisfatta del risultato ottenuto con la riunione e spera di concretizzare accordi prossimamente» . Meno fiduciosi i dipendenti delle società, senza stipendio, e i loro
rappresentanti sindacali, preoccupati da eventuali chiusure di alcune delle cento aziende alimentari e
non (nessuna delle quali quotata in Borsa) che formano il pianeta di José Maria Ruiz-Mateos, sotto il
simbolo di un'ape. Anzi, una super ape.
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Sì di Camusso, mezzo sciopero
Mobilitazione generale di 4 ore il 6 maggio. Sacconi: scelta politica
ROMA— Alla fine, un mezzo sciopero generale: 4 ore venerdì 6 maggio con manifestazioni territoriali. Così ha deciso il segretario della Cgil, Susanna Camusso, che, fin da quando è arrivata alla guida del
sindacato rosso, lo scorso 3 novembre, è stata pressata dalla Fiom (metalmeccanici), dalla Fp (funzione
pubblica) dalla sinistra interna e infine dalla Filcams (commercio) affinché proclamasse lo sciopero
generale. Camusso, all’inizio, non ne aveva alcuna voglia. Ha cercato piuttosto di riaprire il dialogo
con la Confindustria e con Cisl e Uil, proponendo una trattativa sul tema della rappresentanza, ma non
ha trovato sponde. Nel frattempo la situazione è peggiorata su diversi fronti. Con la Fiat e la Federmeccanica nessun progresso, anzi lo scontro sembra senza via d’uscita. Nel pubblico impiego gli altri
sindacati hanno raggiunto un nuovo accordo col governo per scongiurare i tagli della parte variabile
dello stipendio possibili in seguito alla riforma Brunetta. E la rottura tra la Cgil e Cisl e Uil si è consumata anche nel commercio, dove il sindacato guidato da Camusso non ha firmato il contratto del terziario. A completare il quadro anche il viaggio al Sud, il 9-10 febbraio, compiuto insieme dai leader di
Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti, e dal ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, a rinsaldare un rapporto già buono. Esclusa, ancora una volta, la Cgil. Alla fine, lo sbocco dello sciopero
generale è stato per Camusso quasi naturale. Una protesta che assorbirà quelle del pubblico impiego,
della scuola e del terziario, già previste. Peccato che, assolta la funzione di dare sfogo alla lotta, lo
sciopero generale «da soli» , oltre che destinato ad avere un debole effetto, rischia di approfondire il
solco tra la Cgil e gli altri sindacati e la Confindustria. Tanto più che la mobilitazione arriverà a pochi
giorni dalla celebrazione del primo maggio, che i tre leader guideranno insieme a Marsala, in omaggio
ai 150 dell’unità d’Italia. Già ieri la polemica si è accesa tra Camusso e Bonanni. Il segretario della
Cgil ha accusato Cisl e Uil di «resa senza condizioni» nei confronti del governo, che Camusso boccia
senza appello: «Noi vogliamo bene al nostro Paese ed è per questo che pensiamo che Berlusconi se ne
debba andare, perché lui non vuole bene al Paese. Il premier inquisito che non si presenta in tribunale è
il motivo per cui l’opinione pubblica internazionale ci considera un Paese inaffidabile: il primo ostacolo agli investimenti stranieri è proprio il premier» . «La vera resa senza condizioni — ha replicato il
leader della Cisl, Bonanni — è quella del segretario della Cgil di fronte alle realtà estremistiche presenti nella sua organizzazione che la obbligano a scioperare e ad andare in piazza con i partiti in piena
campagna elettorale per le amministrative» . Dura anche la reazione di Angeletti per la Uil: «C’è da
chiedersi se la Cgil sia ancora un sindacato. Per ora sembra solo intenzionata a proseguire nella deriva
dell’agitazione tutta politica» . Nella polemica è intervenuto anche il ministro del Lavoro, Maurizio
Sacconi: «La proclamazione dello sciopero era scontata in chi da tempo ha fatto la scelta, tutta politica,
di supplire alla debole opposizione parlamentare» . «In nessun Paese occidentale — replica per il Pd
Achille Passoni— un ministro attacca lo sciopero dei lavoratori» .
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Allarme inflazione della Bce “Possibile rialzo dei tassi in aprile”
Benzina e gasolio ancora su, boom dei prezzi alla produzione
Trichet: “La nuova situazione geopolitica va tenuta in considerazione”
ROMA - La crisi libica rischia di innescare uno choc dei prezzi. Allarmata, la Bce fa capire che potrebbe esserci un rialzo dei tassi «il mese prossimo», dunque già in aprile. Il presidente Jean Claude
Trichet avverte: «La situazione geopolitica è un elemento nuovo che va tenuto in considerazione».
Sono in aumento i rischi di inflazione (2-2,6% secondo le nuove stime, in rialzo); bisogna vigilare sui
prezzi.
Ed è una sorpresa. I mercati s´aspettavano una stretta solo dopo l´estate e comunque entro l´anno,
mai nel giro di poche settimane. Né è frequente che Trichet lanci un messaggio tanto esplicito. Ma evidentemente le pressioni sui prezzi si cominciano a sentire, innescate dal boom delle materie prime
alimentari e dei prodotti petroliferi, frutto a loro volte delle tensioni in Nord Africa e Medio Oriente.
«Quando c´è uno choc, e ora c´è, serve una forte vigilanza», espressione che secondo i suoi esegeti
viene usata appunto proprio quando c´è aria di ritocchi ai tassi, per contrastare le pressioni inflazionistiche.
E´ fresca di giornata la notizia di un nuovo rincaro della benzina: dopo l´Eni, si muovono anche Esso,
Ip, Shell e Tamoil. La «verde» arriva anche a 1,552 euro; il gasolio a 1,448, più o meno come nel luglio 2008. Così come è nuovo il dato italiano sui prezzi alla produzione dei prodotti industriali a gennaio: aumento del 5,1% rispetto a un anno prima, il top da settembre 2008, sospinto proprio dai rincari energetici. E chissà di quali altri indicatori dispongono gli esperti dell´Eurotower per consigliargli di
entrare in pre-allarme.
Naturalmente l´aumento dei tassi «è possibile, non certo». Ancor meno la sua entità, sebbene si parli
di un massimo di 50 punti base: «Non è corretto», precisa Trichet. E comunque, «noi non ci impegniamo mai in anticipo». Deciderà il board dei governatori nella riunione del 7 aprile. Sicuro invece è il
fatto che i tassi restano per voto «unanime» (ma il tedesco Weber era assente) al minimo storico
dell´1%, dove si trovano da quasi due anni, volutamente all´ingiù per aiutare l´economia ad uscire dalla recessione: anche le stime sul Pil sono in lieve aumento, con una crescita media dell´1,7% contro
l´1,4 di dicembre. Numeri che Trichet rende noti anche per contrastare in anticipo quanti pensano che
una stretta possa soffocare la ripresa. Sicuro è pure il fatto che la nuova, possibile mossa della Bce
«non segnerà certamente l´inizio di una serie di aumenti». «Quello che ci interessa è indirizzare la
stabilità dei prezzi usando lo strumento dei tassi e le nostre misure convenzionali e non convenzionali», chiarisce il presidente. E se davvero avremo uno choc «la nostra responsabilità è prevenire gli effetti secondari di un aumento del prezzo del petrolio».
Le parole di Trichet fanno volare l´euro fino a quasi 1,40 dollari. Ai mercati piace l´impegno rigoroso a
mantenere la stabilità dei prezzi; nel caso della Bce è scolpito nello statuto dove c´è scritto che
l´inflazione deve essere "al di sotto, ma vicina al 2%". A febbraio è salita invece a quota 2,4% e minaccia di restare alta.
Non sarà facile, per i Paesi ad alto debito come la Grecia e il Portogallo, sostenere un aumento generalizzato dei tassi. Ma Trichet ricorda che le misure straordinarie contro la crisi restano in piedi e che
le banche in difficoltà potranno continuare ad attingere a liquidità illimitata (e a tasso fisso) della Bce.
Ribadisce anche che a nuova governance Ue non è sufficientemente rigorosa perché mancano sanzioni automatiche per chi non rispetta le regole e se possibile i governi «le hanno persino indebolite».
Infine un dato di bilancio: per l´Eurotower il 2010 si chiude con un utile di 1,33 miliardi contro 2,21 miliardi nel 2009. Le cause: un minor margine di interesse dovuto al basso livello dei tassi e al fatto che
l´anno scorso non sono state decise vendite di oro.
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MAURIZIO RIICCCCII
Grano, riso, mais: rincari del 70% doppio nodo scorsoio tra cibo e petrolio
Sale a livelli record l’
indice Fao dei prezzi alimentari. Il rischio della stagflazione
ROMA - I prezzi del cibo continuano a volare, il petrolio non scende, l´inflazione accelera, la ripresa
economica viaggia a velocità troppo diverse. Per molti paesi europei, Italia compresa, lo scenario della prossima primavera rischia di essere quello del doppio nodo scorsoio della stagflazione: un aumento dei prezzi che pesa su un´economia stagnante, comprimendo redditi e consumi. Con il paradosso
che la molla determinante della stagflazione sarebbe una decisione politica: il rincaro dei tassi di interesse sancito dalla Banca centrale europea, proprio per spegnere l´inflazione.
A muovere gli indici dei prezzi sono anzitutto i beni alimentari. Ieri, la Fao ha comunicato che a febbraio, per l´ottavo mese consecutivo, i prezzi alimentari mondiali sono saliti ancora ad un nuovo livello
record. I cereali base della dieta mondiale (grano, riso e mais) sono rincarati del 70 per cento negli ultimi 12 mesi. Rincareranno ancora: la Fao, che è il braccio agricolo dell´Onu, stima che, di fronte ad
una domanda crescente, nel corso del 2011 ci sarà "una brusca diminuzione" delle scorte di grano e
cereali nei magazzini mondiali, con ulteriori tensioni sui prezzi. E la corsa del cibo si incrocia con
quella del petrolio, che la crisi libica sta mantenendo a livelli, mai più visti dal 2008.
Insieme, cibo e petrolio stanno alimentando un´inflazione, ancora bassa, se si ripensa agli anni ‘
70 e
‘
80, ma anomala, rispetto agli ultimi 20 anni. A gennaio, nell´area euro i prezzi sono saliti, rispetto ad
un anno prima, del 2,3 per cento, al di là del limite del 2 per cento che si è fissata, come regola, la
Bce. Ancora a novembre, il ritmo di aumento dei prezzi era dell´1,9 per cento. In buona misura, questa spinta era stata prevista dalla stessa Bce che, tuttavia, come altre banche centrali, prevedeva che
sarebbe stata riassorbita nell´ultima parte dell´anno. Le notizie che arrivano dal fronte degli alimentari
e da quello del petrolio fanno pensare, invece, che l´inflazione continuerà a correre. A questo punto,
tutti davano per scontato che, all´interno della Bce, sarebbero salite le pressioni per un aumento del
costo del denaro: oggi, con il tasso all´1 per cento, di fatto la Bce presta soldi ad un costo inferiore
all´inflazione. Trichet sembra avere accolto queste pressioni: il riferimento ad una "forte vigilanza" sul
fronte inflazione, fatto dal presidente della Banca centrale, riecheggia quello del 2005, un mese prima
di alzare i tassi. I più pensano che, il mese prossimo, il costo del denaro, in Europa, sia destinato a
salire.
Il problema è che non è una medicina buona per tutti. E´ buona per la Germania, dove la ripresa economica è vigorosa, assai meno per l´Italia, la cui economia viaggia a metà della velocità della media
europea. La teoria vuole che un denaro più caro raffreddi la domanda e, per questa via, l´inflazione.
Ma, in Germania, a gennaio, le vendite al dettaglio sono aumentate di un significativo 1,4 per cento.
In Francia, dello 0,1 per cento. In altre parole, quello che in Germania raffredda, altrove strangola.
D´altra parte, forse, non è neanche la medicina giusta. Cibo e petrolio sono merci internazionali, la loro inflazione è, per così dire, importata. Ma se si scorporano cibo e petrolio, l´inflazione che possiamo
chiamare interna è estremamente moderata e non dà segno, per ora, di essere contagiata dal boom
delle materie prime. La distinzione è importante. A far correre le materie prime è, soprattutto, la domanda dei paesi emergenti, come Cina e India. Raffreddare la domanda europea, con un aumento
del costo del denaro in Europa, non ha alcun effetto sulla domanda di quei paesi e, dunque, sui prezzi
di cibo e petrolio. Rischiamo di avere un denaro più caro, un´economia più lenta, ma di continuare lo
stesso ad importare inflazione.
L´aumento dei tassi di interesse può contribuire alla stagflazione per altre due vie. La prima è l´euro.
Sono bastate le parole di Trichet a far salire la quotazione della moneta europea rispetto al dollaro.
Poiché gli osservatori sono concordi nel ritenere che la Fed inasprirà la politica monetaria solo più
avanti nel corso del 2011, un rincaro anticipato dei tassi da parte della Bce spingerà verso l´alto
l´euro. Questo può contenere il costo delle importazioni di cibo e petrolio, ma peserà negativamente
sulle esportazioni del sistema Europa. La seconda via è l´effetto dei tassi sulla crisi del debito di molti
paesi europei. Ieri, l´aspettativa di un rialzo dei tassi da parte della Bce ha spinto subito verso l´alto i
rendimenti dei titoli di Stato tedeschi. Il Bund a dieci anni è arrivato al 3,33 per cento. Il rialzo del
Bund comporterà, probabilmente, un rincaro degli altri titoli europei. In altre parole, per finanziare il
proprio debito, paesi come Spagna, Portogallo, Irlanda e Italia dovranno pagare di più gli investitori,
rendendo più difficile il riequilibrio delle proprie finanze. A meno di un nuovo giro di austerità, al suono
di più tasse e meno spese.
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Solare, incentivi garantiti
solo per tre mesi
Tutto rinviato a un nuovo decreto. Le opposizioni: di fatto significa il blocco
Sì al provvedimento sulle rinnovabili. Taglio dei certificati verdi per l´eolico
ROMA - Da una parte il governo, unito nel sostegno al decreto sulle rinnovabili. Dall´altra una coalizione molto vasta formata dall´opposizione, dagli operatori del settore, dagli ambientalisti, dai sindacati. Il testo approvato ieri mattina da Palazzo Chigi, con le correzioni dell´ultima ora, è riuscito a tenere compatto il fronte dei ministri, ma ha reso evidente la spaccatura tra l´esecutivo e un´ampia parte
della società civile.
Il no secco del ministro dell´Ambiente Stefania Prestigiacomo ha bloccato il tentativo di imporre un
tetto al fotovoltaico al 2020 equivalente alla potenza che sarà installata nel giro di un anno (8 mila
megawatt). Ma il rimedio, secondo gli oppositori, è peggiore del male: misura e modalità del taglio agli
incentivi saranno rese note solo entro il 30 aprile e scatteranno a partire dal primo giugno. Si aggrava
cioè la sindrome italiana: l´incertezza cronica sulle decisioni strategiche e una continua tendenza a
cancellare, anche retrospettivamente, gli impegni presi.
Le altre decisioni contenute nel decreto legge riguardano il taglio ai certificati verdi che sostengono
l´eolico (meno 22 per cento); una quota obbligatoria di energia verde nelle nuove case; la decisione di
mantenere il discusso meccanismo delle aste al ribasso per gli impianti oltre i 5 megawatt; un doppio
vincolo per il fotovoltaico in agricoltura (non più di un megawatt e al massimo sul 10 per cento del terreno disponibile). Proprio quest´ultimo punto ha creato una frattura all´interno della maggioranza. Secondo Forza Sud «Galan è intenzionato a usare gli incentivi per le rinnovabili per pagare le multe alle
quote latte delle aziende agricole del Nord».
Il ministro delle Politiche agricole, da parte sua, ha plaudito alla decisione del governo dichiarando «le
pale al vento nel nostro paesaggio non possono più essere tollerate, quindi ci sarà più energia idraulica e fotovoltaica» ma si vieteranno i «grandi campi fotovoltaici che sono una bestemmia dal punto di
vista paesaggistico e un insulto all´agricoltura». Nonostante questi vincoli, Stefania Prestigiacomo ritiene che si possa raggiungere l´obiettivo europeo del 17 per cento di energia da fonti rinnovabili al
2020. E il ministro dello Sviluppo economico Paolo Romani ha parlato di una «nuova stagione per
l´energia pulita».
Una stagione di declino programmato per favorire il nucleare, ribattono le opposizioni che mettono a
confronto l´indecisione italiana con la capacità di programmazione industriale della Germania che ha
già realizzato una potenza fotovoltaica tre volte maggiore rispetto alla nostra e ha fissato un obiettivo
al 2020 di 52 mila megawatt mentre in Italia si discuteva sugli 8 mila.
Per il segretario del Pd Pier Luigi Bersani, «le decisioni del Consiglio dei ministri sulle energie rinnovabili sono un disastro. Si lascia per mesi nell´incertezza chi deve investire e le banche negheranno i
finanziamenti: siamo a un blocco di fatto». Tutte le associazioni di settore, comprese quelle che raccolgono le grandi industrie dell´energia, stanno valutando il decreto sotto il profilo
dell´incostituzionalità.
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Il 6 maggio lo sciopero generale della Cgil
Camusso: da Cisl e Uil resa senza condizioni al governo. A febbraio balzo della cassa
integrazione
Bonanni: Susanna si piega alle realtà estremistiche presenti nella sua organizzazione
ROMA - Lo sciopero generale della Cgil è fissato per il 6 maggio. La durata (quattro ore), scontenta
però una parte del sindacato e scuote alle fondamenta la confederazione guidata da Susanna Camusso. Una scelta che piace, ma non troppo, alla minoranza e in particolare al leader dei leader metalmeccanici, Maurizio Landini. Che dice: «Bene la protesta, ma al fine di una sua più efficace riuscita
come Fiom valuteremo la sua possibile estensione a otto ore».
Le motivazioni di questo sciopero sono contenute nel documento approvato dal direttivo della Cgil,
che sottolinea la necessità di «rimettere al centro il tema del lavoro e dello sviluppo, riconquistare un
modello contrattuale unitario e battere la pratica degli accordi separati, riassorbire la disoccupazione,
contrastare il precariato, estendere le protezioni sociali e ridare fiducia ai giovani».
Nell´annunciare la protesta, il segretario della Cgil ha chiamato in causa Cisl e Uil, schiacciando il
piede sull´acceleratore delle polemiche: «Il filo dell´unità non va mai perso - ha detto - ma la condivisione dello scenario che Cisl e Uil stanno facendo nei confronti delle politiche del governo indica una
resa senza condizioni». Le parole della Camusso mettono in luce per l´ennesima volta, il difficile rapporto con le altre due anime del sindacato confederale.
Dalla Cisl Raffaele Bonanni replica a muso duro e parla di «resa senza condizioni del segretario della
Cgil di fronte alle realtà estremistiche presenti nella sua organizzazione, che la obbligano a scioperare ed andare in piazza con i partiti in piena campagna elettorale per le amministrative». Mentre il
leader della Uil Luigi Angeletti si chiede se «la Cgil sia ancora un sindacato». Per il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, invece, «la proclamazione dello sciopero, a dieci giorni dal voto amministrativo,
corrisponde alla richiesta della Fiom ed è purtroppo un atto atteso e scontato in chi da tempo ha fatto
la scelta, tutta politica, di supplire alla debole opposizione parlamentare».
Ma dietro alle polemiche e allo scontro tra sindacati si staglia uno scenario ancora molto difficile per il
mondo del lavoro. A febbraio sono state autorizzate 70,6 milioni di ore di cig con un calo del 27,3%
rispetto allo stesso mese del 2010, quando furono concesse 97,1 milioni di ore di cig. Complessivamente nei primi due mesi dell´anno si è giunti a quota 130,9 milioni, contro i 178 milioni dei primi due
mesi del 2010 (-26,5%). Ma è il confronto col mese precedente a mettere in allarme i sindacati: infatti,
le ore di cassa sono passate dai 60,3 milioni di ore di gennaio ai 70,6 milioni di febbraio (+17,2%).
E la Confcommercio sottolinea anche la frenata dei consumi dei primi mesi del 2011. Infatti la spesa
delle famiglie, al netto dell´inflazione, ha segnato a gennaio un -0,1% rispetto a dicembre 2010, nonostante il leggero miglioramento del clima di fiducia delle famiglie. Su base tendenziale, ovvero nel
confronto con gennaio 2010, i consumi sono diminuiti, secondo Confcommercio, dell´1,9%.
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Dopo la sospensione della Ue per il furto di quote da parte di hacker, l’Italia è l´unico
paese a non aver fatto ripartire le contrattazioni
Bloccata da un mese la Borsa della emissioni
congelato un mercato da 28 miliardi all’anno
A metà dicembre l’
inchiesta per la truffa dell´Iva che ha coinvolto 150 società
MILANO - Si possono scambiare in tutta Europa, ma non in Italia. Tra lo sconcerto degli operatori, da
oltre un mese è bloccata nel nostro paese la Borsa delle emissioni della Co2. Detta così, sembra un
attività per ambientalisti incalliti. Invece, si tratta di un mercato che soltanto nel nostro paese muove
quasi oltre 28 miliardi di euro all´anno e quasi dieci volte tanto nell´Eurozona. Non solo: entro il 30 aprile le aziende che hanno inquinato oltre i limiti che gli erano stati imposti dovrebbero comprare
l´equivalente in quote di Co2 in Borsa, per non incorrere in una multa. Ma come potranno fare se la
Borsa è chiusa?
Il mercato delle emissioni nasce con l´approvazione del protocollo di Kyoto, dalla città giapponese
dove la maggior parte dei paesi del mondo (ma non Stati Uniti e Cina) si diede l´obiettivo di ridurre il
riscaldamento globale, tramite la riduzione della Co2. Venne dato incarico all´Onu di assegnare a ogni paese una quota di anidride carbonica che può essere prodotta. I singoli governi ridistribuiscono
le quote ai vari impianti industriali più inquinanti: se i limiti vengono superati, le imprese devono comprare le quote alla Borsa delle emissioni. Se non li superano, possono vendere le quote in eccesso.
Ma come nasce il blocco delle contrattazioni? Il 19 gennaio l´Unione europea aveva sospeso i mercati
in tutti i paesi membri dopo la scoperta di una serie di furto di quote da parte di hacker (la più rilevante
a Praga). Tutti i mercati sono stati riaperti tra la fine di gennaio e la metà di febbraio tranne quello italiano. Per ovviare al blocco, le aziende che vogliono vendere o comprare quote si rivolgono agli intermediari che operano con l´estero, attraverso operazioni sul mercato "grigio". Ma, intanto, chiedono
al ministero dell´Ambiente di provvedere al più presto alla riapertura delle contrattazioni ufficiali in vista delle scadenze di aprile.
C´è un altro precedente non favorevole all´Italia. A metà dicembre, un´inchiesta del procuratore aggiunto Francesco Greco e del pm Carlo Nocerino ha portato alla scoperta di un´evasione Iva da mezzo miliardo, al coinvolgimento di oltre 150 società e ventuno indagati. Tutti implicati in una truffa legata proprio alla compravendita delle quote. La classica truffa carosello: alcune società intestate a prestanome compravano da società estere, esenti da Iva, i certificati di emissione e li rivendevano ad aziende italiane che pagavano l´Iva. Successivamente, le società dei prestanome invece di versare
l´imposta sul valore aggiunto si tenevano il malloppo e sparivano nel nulla. E questo perché le contrattazioni sulla CO2 non hanno la ritenuta classica sulle plusvalenze finanziarie, come nel resto
d´Europa.
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Murdoch può comprare BskyB
ma senza News
Accordo con il governo inglese per l’Opa sul 100% e scorporo del canale di notizie
Il magnate australiano pronto a mettere sul piatto oltre 9 miliardi di sterline
LONDRA - Solo poco più di due settimane si frappongono fra Rupert Murdoch e il coronamento del
progetto che accarezza dallo scorso giugno: l´acquisizione della totalità delle azioni di BSkyB, nota
comunemente come Sky, la pay tv satellitare che con 10 milioni di abbonati domina il mercato britannico e che ha filiale nazionali in tutta Europa. Dopo il via libera di dicembre della Commissione europea, ieri è giunto quello del governo britannico: la decisione definitiva è attesa il 21 marzo dopo una
consultazione pubblica di 15 giorni, ma - nonostante le obiezioni dell´opposizione e dei gruppi editoriali rivali - le trattative in corso da giugno sembrano oramai destinate ad andare in porto.
A sciogliere le iniziali riserve del governo è stata la decisione del magnate australiano di acconsentire
a scorporare Sky News dall´operazione: Murdoch manterrà il 39% delle azioni ma per 10 anni non potrà aumentare la sua quota, mentre il resto delle azioni verrà distribuito tra gli attuali soci di BskyB e il
canale all news dovrà avere un direttore e un cda indipendenti. Un compromesso che secondo il ministro della Cultura conservatore Jeremy Hunt tutelerà il pluralismo dell´informazione rafforzando
"l´indipendenza di SkyNews", ma che per la cordata di gruppi editoriali rivali - dal Guardian al Daily
Telegraph - che hanno già minacciato battaglia altro non è che "un´imbiancatura di facciata" che non
farà che "mantenere lo status quo".
Con i popolarissimi tabloid Sun e News of the World e gli influenti quotidiani Times e Sunday Times,
NewsCorp già controlla un terzo della carta stampata. Acquisendo il controllo totale di BskyB di cui
con il 39% è già azionista di maggioranza, potrebbe influenzare tutte le classi sociali del Paese e generare profitti in grado di sbaragliare la concorrenza già indebolita dalla crisi. Non solo: potrebbe proporre pacchetti per abbonamenti globali legando l´offerta dell´edizione online dei giornali agli abbonamenti a Sky imponendo così la nuova strategia di Murdoch - l´informazione su Internet a pagamento - a scapito dell´informazione gratuita in rete.
L´operazione preoccupa anche l´opposizione. «La retromarcia di Jeremy Hunt solleva ulteriori dubbi
sulla trasparenza del processo. Solo quattro settimane fa, era determinato a rimandare il dossier alla
Commissione sulla concorrenza. Ora ha cambiato idea», ha detto il ministro laburista ombra della
Cultura Ivan Lewis. Accuse subito rigettate da Hunt che si è pur detto «consapevole che la gente sospetti motivi politici». Non è mistero infatti che Cameron e Murdoch abbiano cenato insieme a dicembre proprio durante l´esame del dossier, né che i giornali controllati dalla News Corp abbiano sostenuto i conservatori in vista delle elezioni di maggio che hanno visto la sconfitta dei laburisti al potere.
Ciononostante, osservano anche gli analisti più dubbiosi, dopo il via libera europeo, l´affare non dovrebbe incontrare alcun ostacolo. L´unico scoglio sarà la richiesta di BskyB che pretende più dei 7,5
milioni di sterline - 700 pence ad azione - offerti da Murdoch lo scorso giugno: almeno 850 pence, si
stima, per un totale di 9,1 miliardi di sterline. Ma, secondo l´ex direttore del Sunday Times Andrew
Neil, Murdoch «sarebbe disposto anche a vendere sua nonna, se ne avesse una, pur di assicurarsi
l´affare».
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La Fiba-Cisl
Vi augura
una giornata
serena!!
Arrivederci a
Lunedì 7 Marzo
per una nuova
rassegna stampa!
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