Rassegna stampa n°23

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Rassegna stampa n°23
ASSOCIAZIONE
PROFESSIONALE
CATTOLICA
DI INSEGNANTI,
DIRIGENTI
E FORMATORI
UFFICIO
STAMPA
Apriamo la rassegna stampa di oggi
5 febbraio 2013, (n. 23) con due articoli da
a cura di
Pasquale Marro
Valutazione sì, ma senza Invalsi
di Emanuela Micucci
Una consultazione nazionale sulla scuola
in tempi rapidi, con scadenze certe, per
istituire un sistema nazionale di valutazione condiviso, dal forte valore politico.
Abbandonando le prove Invalsi come
«l'unico strumento per procedere alla valutazione tour court del sistema scolastico, degli istituti, dei docent». É la
proposta contenuta nel documento «La
valutazione: un tema cruciale, un impegno condiviso», pubblicato da 9 associazioni del mondo della scuola.
Da Proteo Fare Sapere al Movimento di
cooperazione educativa, passando per gli
insegnati del Cidi e della Fnism, fino a Legambiente Scuola. Ma ci sono anche i
maestri cattolici del'Aimc accanto all'associazione Per la scuola della Repubblica.
E i genitori democratici del Cdg con
l'Unione degli studenti. Tutti a sottoscrive
un documento per promuovere «un sistema di valutazione funzionale alla
piena attuazione del diritto all'istruzione,
che responsabilizzi i livelli istituzionali e
di Carlo Forte
Dal prossimo anno scenderà di 100 unità,
da 1000 a 900 alunni, il numero minimo
di alunni per costituire un'istituzione scolastica dotata di un preside e di un direttore dei servizi generali e amministrativi
titolari. La determinazione del numero
dei dirigenti scolastici da assegnare regione per regione sarà attribuita, infatti,
utilizzando come dividendo il numero
degli alunni complessivamente frequentanti nella regione e come divisore il numero 900. É quanto trapela da una serie
di incontri al ministero dell'istruzione in
vista dell'intesa con le regioni. L'amministrazione ha reso noto che il numero degli
alunni è cresciuto di circa 26mila unità,
ma il numero delle classi (e quindi dei docenti) non subirà variazioni. Ciò per ri-
i decisori politici, che attivi il coinvolgimento di tutti i soggetti che interagiscono
con il sistema, che supporti le scuole nei
processi di miglioramento«. Superando
localismi e ideologie sulla valutazione,
«tema strategico nelle politiche di sviluppo sociale, educativo ed economico
del nostro Paese». Occorre, però, prima
sgombrare il campo da una «trappola culturale»: valutare non significa né meritocrazia né premialità. Né un apparato
tecnico valutativo riesce da solo ad attivare processi di miglioramento del sistema di istruzione e formazione, senza la
valorizzazione professionale, la riforma
degli organi di governo della scuola, investimenti finanziari. Le associazioni, allora, auspicano che si dia vita a una
consultazione nazionale sulla scuola, articolata nei diversi territori e con gli esiti
discussi in parlamento. Così da enucleare
anche gli elementi normativi portanti di
un sistema nazionale di valutazione articolato e coordinato a più livelli. Da una
parte, la verifica costante degli interventi
politici e istituzionali sul sistema educativo. Dall'altra, la valutazione di sistema,
possibile solo dopo la definizione dei suoi
livelli essenziali di qualità da parte del
Parlamento. Mentre nella valutazione
delle scuole, intesa «come dialettica tra
valutazione esterna e autovalutazione»,
interverranno non solo operatori della
scuola, genitori e studenti, ma anche enti
locali e realtà associative del territorio. In
merito alla valutazione formativa degli
alunni, denunciano le associazioni, le
prove nazionali inserite negli esami conclusivi«pesano in modo distorto ed esagerato» sugli esiti del percorso
individuale. Non solo. Le rilevazioni internazionali dimostrano che non c'è alcun
bisogno che le prove Invalsi standardizzate, «un utile strumento per una rilevazione nazionale degli apprendimenti»,
siano svolte su base censuaria. Inoltre,
una valutazione di sistema «deve occuparsi anche dei processi che determinano
quegli esiti». La valutazione degli operatori della scuola (dirigenti, docenti e personale Ata) dovrà definirsi all'interno del
contratto nazionale del lavoro. Mentre a
garantire il supporto tecnico e scientifico
ai processi valutativi sarà un ente terzo.
Più alunni, ma stesse classi
spettare i vincoli di spesa imposti dalle disposizioni in vigore. Tanto più che per
rientrare nei limiti bisognerebbe che il numero delle istituzioni scolastiche scendesse di almeno 1000 unità. Resta il fatto,
però, che il numero dei dirigenti scolastici
subirà riduzioni molte modeste. Dal prossimo anno, infatti, l'organico dei dirigenti
sarà ridotto di appena 38 unità, passando
dagli attuali 8880 a 8842. E l'anno scorso
il taglio era stato altrettanto modesto : 37
dirigenti in meno. Le regioni potranno
scegliere di costituire istituzioni scolastiche anche in deroga ai parametri di mas-
sima fissati dal ministero. Ma i dirigenti
scolastici e i direttori dei servizi generali
e amministrativi non saranno assegnati
alle istituzioni scolastiche con meno di
600 alunni, che scendono a 400 nelle
scuole di montagna. Quanto al coordinamento delle disposizioni per la costituzione degli organici e gli effetti della
sentenza della corte costituzionale
147/2012, l'amministrazione sarebbe
orientata a non rivedere la propria posizione. La Consulta, infatti, si è limitata a
dire che è incostituzionale la norma che
impone alle regioni di non costituire isti-
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tuti comprensivi al di sotto dei mille
alunni. E cioè l'articolo 19 comma 4 del
decreto legge 98/2001.Perchè è una
norma di dettaglio che rientra nella competenza delle regioni. Ma ha fatto salva la
facoltà dell'amministrazione scolastica di
definire gli organici dei dirigenti scolastici. E quindi anche il successivo comma
5 il quale dispone che «alle istituzioni scolastiche autonome costituite con un numero di alunni inferiore a 600 unità,
ridotto fino a 400 per le istituzioni site
nelle piccole isole, nei comuni montani,
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nelle aree geografiche caratterizzate da
specificità linguistiche, non possono essere assegnati dirigenti scolastici con incarico a tempo indeterminato. Le stesse
sono conferite in reggenza a dirigenti scolastici con incarico su altre istituzioni scolastiche autonome». Ciò vuole dire che
l'amministrazione ha pieno titolo a dire
quanti dirigenti scolastici intende assegnare alle regioni. Sta alle regioni, poi,
stabilire quante istituzioni scolastiche istituire. Fermo restando che la differenza tra
il numero delle scuole istituite dalla re-
Diritto allo studio, i ragazzi
contro il decreto
E ra un atto dovuto, richiesto dalla legge
Gelmini, ma il decreto sul diritto allo studio proposto dal ministro Profumo non
ha avuto l’accoglienza riservata alle
grandi riforme. «Siamo convinti che non
si possa in nessun modo approvare un
decreto del genere così frettolosamente e
prima della fine della legislatura dichiara
il sindacato studentesco Link -, non si può
fare finta che non esista un problema
d’accesso e diritto allo studio in Italia che
di certo non si risolve, ma si aggraverebbe
ancora di più con l’emanazione di questo
decreto». Ieri gli studenti si sono ritrovati
a Roma per la seduta del Consiglio nazionale degli studenti universitari che
avrebbe dovuto varare il proprio parere.
Gli studenti delle liste di sinistra, che sono
il gruppo più numeroso, hanno scelto
però di non partecipare alla seduta e di richiedere al ministro Profumo una pausa
di riflessione. «Chiediamo al ministro di
ritirare questo decreto. Pensiamo sia meglio che a occuparsi di questa materia sia
il prossimo governo e non un ministro in
scadenza», spiega Enrico Lippo, capogruppo degli studenti di sinistra al Cnsu.
Molti, secondo gli studenti, gli elementi
NEGLI ULTIMI VENTICINQUE ANNI
SI È FATTA STRADA IN ITALIA L'IDEA
CHE LA FUNZIONE PRINCIPALE DELL'UNIVERSITÀ E DELL'INTERO SISTEMA FORMATIVO SIA FORNIRE
FORZA-LAVORO AL MONDO DEL LAVORO E DELL'ECONOMIA. Un' idea
forte, che ha messo al centro dei processi
educativi il concetto di formazione (a
breve termine), mettendo nell'ombra
di criticità. Negli ultimi due anni le borse
di studio erogate sono calate del 31%, passando da 147.000 a poco più di 110.000. E,
stando alle stime degli studenti, fra pochi
mesi il numero dei borsisti potrebbe assottigliarsi a poco più di 89mila beneficiari. Il decreto infatti abbassa le soglie
massime di reddito di accesso alle borse
di studio e le differenzia per Regione:
20mila euro in Lombardia, 17.150 nel
Lazio e 14.300 in Sicilia e Campania. Attualmente, il limite per tutti è di 20.124,71
euro annui. Raddoppiano poi i crediti che
ogni studente deve acquisire per vedersi
garantita la borsa di studio negli anni successivi al primo. A prescindere dalle condizioni sociali di partenza, il diritto allo
studio dovrebbe garantire a tutti di accedere ai livelli più elevati dell’istruzione.
Purtroppo non è così. La trappola sociale
che blocca la mobilità sociale dei giovani
italiani infatti non ha pari in Europa, almeno secondo i dati Ocse dell’annuale
rapporto sull'istruzione che analizza la
provenienza sociale degli studenti italiani: nel loro percorso educativo è ancora
troppo forte il peso del background sociale dei genitori. Anche i recenti dati del
gione e il numero dei dirigenti da assegnare non comporterà aumenti nella dotazione organica dei medesimi. Pertanto,
se i dirigenti scolastici assegnati non basteranno, le scuole che non otterranno un
titolare dovranno accontentarsi di un reggente. Idem per quanto riguarda i direttori dei servizi. E sarà questa la sorte che
toccherà, in ogni caso, alle scuole con
meno di 600 alunni, in via ordinaria, o con
meno di 400 alunni, se si tratta di scuole
di montagna.
Cun (il Consiglio universitario nazionale)
evidenziano un crollo delle iscrizioni che
coinvolge soprattutto le fasce più deboli
della popolazione. «Ieri il ministro ha
contestato in un’intervista a La Stampa i
numeri del crollo, sostenendo che a diminuire sono solamente gli iscritti “tardivi”.
Peccato però che i dati del Comitato nazionale per la valutazione del sistema universitario dicano il contrario. Nel 2007 il
68% dei dicianovenni si iscriveva all’università, oggi questa percentuale è scesa al
61%», così Federico Nastasi, portavoce
della Rete universitaria nazionale, parlando del crollo delle immatricolazioni
accusa esplicitamente il sistema italiano
di essere inefficiente e iniquo. E dagli studenti è partito l’appello al presidente
della Repubblica e ai governatori della
Puglia e della Toscana per cercare di bloccare in extremis questa riforma. Il 7 il decreto arriverà sul tavolo della conferenza
Stato-Regioni per il parere obbligatorio
degli enti locali. Anche in quella sede ci
sarà più di un assessore regionale disponibile ad alzare un po' la voce. Anche loro
infatti lamentano il fatto di esser stati abbandonati dallo Stato nel contrasto alla
crescente crisi dei ceti medi. E se anche da
loro arrivasse una bocciatura al decreto,
sarebbe veramente necessaria una pausa
di riflessione.
L'università che vogliamo
di Giuseppe Caliceti
quello di educazione (a lungo termine). È
un'idea derivata dall'unione fondamentalmente economica dell'Europa. Che ha
trovato diversi adepti anche tra pedagogisti e politici, non solo legati al centrodestra ma anche al centrosinistra. Potremmo
chiamarla un'idea di politica scolastica di
matrice neoliberista. Anche il linguaggio
dell'amministrazione scolastica è cambiato: si è parlato di scuola-azienda, con
tutto ciò che questo comporta in termini
didattici e pedagogici. Si sono ripetute parole d'ordine come meritocrazia, sorvolando sulla funzione sociale e di
uguaglianza delle opportunità di un sistema scolastico statale. Si è provato in
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ogni modo a proporre test sulla qualità
delle scuole e della formazione utili più a
ricerche di mercato che a e nuove strategie educative; ricordiamoci sempre che
l’Ocse che misura i nostri ragazzi è un organismo economico, non filosofico o pedagogico.
La domanda che pongo è questa: che fine
fa la visione di un'università e di una
scuola che hanno come stella polare
quello di creare forza-lavoro nel tempo
della crisi del mercato del lavoro? Dove
magari, come accade in Italia, il cui tessuto economico è fatto in gran parte di
piccole aziende semiartigianali, il laureato
specializzato è meno attraente di un lavo-
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ratore non specializzato, magari d'origine
straniera e a bassocosto.
Non sono domande nuove: negli Stati
Uniti e in Inghilterra, quel sistema scolastico anglosassone che noi oggi cerchiamo
di replicare fuori tempo massimo in Italia,
è già sotto accusa e si sta correndo ai ripari. Intanto il risultato delle cattive politiche scolastiche messe in atto dagli ultimi
governi italiani ha portato ai primi cattivi
frutti. Uno: la scuola primaria italiana che
era prima per qualità in Europa nel 2008,
dopo la controriforma Gelmini è precipitata in classifica.
Due: oltre 50.000 immatricolazioni universitarie in meno negli ultimi dieci anni;
Concorsone, commissari in fuga
"Pagati troppo poco"
I compensi attuali ridotti a un terzo di quelli di tredici anni fa.
IL CASO
ROMA Commissari low cost. La tempesta di tagli che si è abbattuta con la
legge di stabilità varata dal governo
Monti non risparmia anche quello che
ormai tutti chiamano il concorsone, il
concorso per aspiranti docenti che a
dicembre ha coinvolto circa 321mila
candidati. Ne sono rimasti in campo
poco più di 88mila che dall'11 al 21
febbraio prossimi dovranno affrontare la prova scritta dopo aver superato quella preselettiva. Ma il
ministero dell'Istruzione fatica a trovare i commissari.
50 CENTESIMI A COMPITO
Cinquanta centesimi per ogni compito corretto (una correzione può impegnare anche per un'ora di lavoro) e
interrogazione fatta non possono far
certo gola nemmeno in tempo di crisi.
Cinquanta centesimi a compito e interrogazione che si aggiungono al
compenso forfettario di 209 euro
lordi, che arrivano fino a 250 per i presidenti di commissione. Tutto qui: un
compenso mini che sta facendo storcere la bocca a tanti commissari in
pectore, che ora vedono questa possibilità non più come un’opportunità di
prestigio per arrotondare lo stipendio.
Il concorso voluto dal ministro Francesco Profumo per assumere 11.542
nuovi prof che fino ad ora era riuscito
a superare tutti gli ostacoli organizzativi, comprese le prove preselettive,
per la prima volta in un concorso fatte
tutte al computer con sistema informatico, rischia ora di incepparsi. Perché non si trova un numero
sufficiente di dirigenti scolastici, docenti universitari e insegnanti di
scuola disposti a selezionare i candidati. Il motivo, non dichiarato ma facilmente
intuibile,
è
proprio
nell’esiguità dei compensi che possono arrivare al massimo a 2.051,70
euro lordi (netti circa 1.200) che per i
commissari prevedono la correzione
di più compiti scritti per candidato, e
circa 2.500 euro per i presidenti (sempre lordi). Ben altri massimi erano
previsti quando i compensi erano in
lire, dove si poteva arrivare anche a
cifre teoriche di 13.520.000 per 208 sedute di lavoro. E il ministero, vista la
penuria di volontari, ha preso le sue
contromisure. Dopo che erano stati
già riaperti i termini per la presentazione delle candidature fino al 31 gennaio scorso, un decreto dello stesso
ministro Profumo ha indicato ai direttori scolastici degli uffici regionali di
procedere direttamente alla nomina
dei commissari «assicurando la partecipazione alle commissioni giudicatrici di esperti di comprovata
esperienza nelle materie del con-
che è assurdo attribuire solo al calo demografico.
Credo che occorra riflettere, specie nel
centrosinistra italiano, sulla visione di
scuola e università che vogliamo.
Magari rivalutando quella pedagogia popolare italiana del Novecento non togata,
che va da Gianni Rodari a don Milani a
Loris Malaguzzi, che parlavano più di
educazione permanente, civile, della persona, che di formazione temporanea. E
che mettevano la scuola al centro della
vita sociale e democratica di un Paese,
come suo cuore pulsante, piuttosto che
subordinarla acriticamente al mercato o a
ideologie neoliberiste.
corso».
NUOVI REQUISITI
Il decreto pubblicato ieri sul sito del
ministero ammorbidisce anche alcuni
requisiti di solito richiesti per gli aspiranti commissari, come master e dottorati. In molte regioni sono ancora
tante le commissioni incomplete. Nel
Lazio, un avviso dell'Ufficio scolastico
regionale segnalava a fine gennaio la
mancanza del presidente per la commissione della scuola dell'infanzia e
per altre nove classi ci concorso. Carenze nelle commissioni della scuola
materna anche in Lombardia. Dove
però mancano pure commissari per
l'educazione fisica, tecnologia e per
altre classi di concorso. Commissioni
in alto mare anche in Abruzzo, Sicilia,
e Marche. Tanto per fare alcuni
esempi.
E in base al numero di presenti alle
prove scritte, sarà necessario integrare
le commissioni costituite da un presidente e da due commissari per ogni
classe di concorso o ambito disciplinare con delle sottocommissioni, una
per ogni frazione di 500 candidati
oltre i primi 500. Quindi, se i candidati saranno 1.600, le sottocommissioni che si dovranno formare oltre
quella principale saranno tre. E per
loro, chissà per quale ragione, il compenso è ridotto della metà.
Alessia Camplone
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L’INCREMENTO della popolazione scolastica
si sente fortemente alle elementari: più 21.049.
Ma anche alle superiori: più 13.384. Ilboom
viene frenato dal dato delle scuole medie, che
il prossimo settembre vedrà una flessione
degli iscritti pari a 7.727. È un dato rilevante,
che accelera in realtà un percorso di crescita
che dura da cinque anni di fila, secondo le rilevazioni del Miur. Dal 2008 al 2013 il numero
degli iscritti è aumentato di 56.486 studenti
(+0,8% complessivo) e sul quinquennio resta
molto forte l’accelerazione alle elementari
(59.362 in più, +3,7%), una crescita più contenuta alle medie (10.079, +0,4%) mentre il calo
qui si vede invece alle scuole superiori: 12.955
alunni in meno (-0,5%).
I demografi, ma anche i dirigenti dell’Istruzione di lungo corso, imputano questa generale crescita scolastica alla forte immigrazione
straniera pre-crisi, ovvero fino al 2008. D’altro
canto l’ultimo censimento ha registrato 59 milioni e 433 mila residenti in Italia (la cifra più
alta di sempre) a fronte di 250 mila italiani in
meno. Il dato generale è attribuibile all’onda
degli stranieri, che oggi superano i quattro milioni. E così accade nella scuola, che sempre
più riceve figli di extracomunitari.
Il paese a due facce vede — come ha sottolineato il sito di Tuttoscuola— il crollo della scolarità al Sud e un aumento potente degli iscritti
negli istituti lombardi (65 mila alunni in più
negli ultimi cinque anni) e in Emilia Romagna
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2014, Boom di ragazzi sui banchi,
scatta l'allarme per le classi pollaio
Saranno 27mila in più. Miur: la crescita è costante da 5 anni
(+10 per cento). Nel-l’Italia meridionale, isole
comprese, nel quinquennio si sono registrati
148 mila alunni in meno. La flessione demografica di quell’area, tutt’altro che nuova, è costante e gli esperti prevedono che continuerà
ancora per molto tempo, senza risparmiare
nessuna regione. Basilicata, Calabria ma anche
il Molise hanno picchi negativi tra il 7% e il
9%. Negli istituti superiori di alcune aree del
Sud la decrescita formativa ha superato il 10%,
e questo è un grave sintomo di dispersione
scolastica. Fra l’altro, il ministero è in grave disagio perché al prosciugamento dei ragazzi
iscritti non corrisponde una fuoriuscita di insegnanti. Nelle classi calabresi e molisane c’è
un insegnante ogni 17 ragazzi, in Emilia Romagna uno ogni 21.
Nello stesso periodo considerato, i cinque anni
che arrivano al 2013, in tutto il Centro-nord si
è registrato un deciso incremento: 88 mila scolari in più nel Nord Ovest, 76 mila nel Nord
Est, 41 mila in più nelle regioni centrali. Più
che un’immigrazione scolastica interna, meridionali che salgono con le famiglie nel produttivo Settentrione, anche qui siamo in presenza
di uno spostamento di immigrati verso il Nord
Italia dopo il primo approdo: i bambini-ragazzi in età scolare seguono, ovviamente, i
loro genitori in cerca di un lavoro.
Con la crescita scolastica dell’Italia centro-settentrionale prossima ventura, sono inevitabili
e prevedibili gli effetti sulle classi da chiudere
o aprire, le strutture scolastiche da ridurre o
ampliare (gli accorpamenti). Si segnalano in
crescita le classi pollaio, quelle dove si stipano
oltre trenta alunni. Nel 2010 le classi “over 30”
in Italia erano 2.108 (su 350 mila), pari allo
0,6%, dato in salita. Le proiezioni sulla stagione 2013-2014 fanno immaginare il superamento della soglia dell’un per cento con le
classi pollaio stimate intorno a quattromila.
Fra l’altro, una sentenza del Consiglio di Stato
e tre del Tar del Molise hanno fissato il tetto,
oltre il quale una classe diventa un pollaio, a
quota 25. Fissando lo spazio per alunno in 1,96
metri quadrati a testa.
Il Miur ha già fatto sapere che, per i vincoli
posti dalla legge, il prossimo anno non potrà
esserci un aumento dei posti (e quindi delle
classi).
Gli ultimi record della scuola italiana — 42
alunni allo scientifico D’Assisi di Roma, 37
alunni di cui due disabili in un istituto tecnico
di Colleferro, nell’hinterland della capitale, 41
in un tecnico di Fucecchio — saranno probabilmente infranti.
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ALTRE NOTIZIE
Scuola in chiaro....scuro!
Quest’anno un’altra novità – speriamo
l’ultima! – dall’ineffabile e indimenticabile Profumo: sul sito del MIUR, andando
a curiosare nei dati della funzione SIDI
“Scuola in chiaro”, predisposta allo scopo
di fornire alle famiglie tutti i dati utili per
una oculata scelta della scuola migliore
per i propri figli, si rimane colpiti nel constatare che, accanto alle informazioni
sull’ubicazione, i finanziamenti, l’organizzazione e l’offerta formativa delle singole scuole, la composizione delle classi,
le percentuali degli studenti ripetenti, trasferiti in ingresso e uscita, e che hanno abbandonato gli studi in corso d’anno, si
Leggo tanti contributi in rete, a volte mi piacciono molto. Ce ne sono di varia tipologia e
ognuno accentra il proprio interesse su qualche ambito di rilevanza per la scuola: dagli
ambienti fisici ai problemi organizzativi, alle
risorse che occorrerebbero per essere al passo
con l’Europa…altri denunciano situazioni di
emergenza, altri ancora rilevano i fallimenti
delle politiche…mi piacciono, mi entusiasmano anche, ma…
la scuola si fa, si fa ogni mattina e nel caso
della scuola a tempo pieno, anche ogni pomeriggio. E allora? Be’, io voglio scrivere nero su
bianco che la scuola non si pensa a tavolino,
perché leggendo i programmi elettorali e i
commenti di autorevoli opinionisti, ho l’impressione che questo fare quotidiano non sia
nella testa di coloro i quali ne scrivono, magari
colti, dotti, appassionati, ma lontani, sempre
più lontani. Il lavoro di una insegnante è il qui
e l’adesso, non è il domani, non è il futuro . E’
qui.
Ho bisogno di risposte per il qui e ora. Ne voglio alcune: meno alunni, meno traguardi prescrittivi, più libertà d’azione, meno lacci sulla
possibilità di uscita nel territorio anche con la
classe che ho, senza venire terrorizzata dalle
leggi sul rapporto alunni-docenti per la sicurezza.
Voglio più libertà di movimento senza dover
chiedere permessi e senza dovere aspettare il
beneplacito di qualcuno per sfruttare le risorse
che mi offrono musei ed esperti che potrebbero arricchire il percorso culturale dei miei
alunni.
Ho bisogno che l’aggiornamento sia dentro la
mia scuola, che gli insegnanti esperti di qualcosa interagiscano con me e io con loro nella
risoluzione dei problemi contingenti senza
aspettare le riunioni canoniche per studiare Indicazioni nazionali distanti dai problemi d’apprendimento del qui e ora.
Ho bisogno che la mia scuola non sia claustro-
ritiene opportuno fornire agli utenti, per
ogni scuola, anche i dati sul personale –
rispettivamente docenti e ata – suddividendolo per sesso, per fasce di età, trasferimenti e pensionamenti, e addirittura
annotando i giorni di assenza pro-capite
per malattia, per maternità e per “altro”…
Sarebbe stato semmai più indicativo considerare le assenze degli alunni…
Il Profumo-retropensiero rimanda evidentemente agli schemi brunettiani dello
statale fannullone: e menomale che si è
avuto il buon gusto di scorporare dalle
malattie le maternità, non però le gravi
patologie…
Si noti poi, a conferma di quanto appena
detto, che la griglia utilizzata per le scuole
paritarie esclude completamente i dati sul
personale.
Per le scuole private inoltre non è dato sapere niente neppure delle fonti di finanziamento… E non solo: cliccando i pochi
link previsti per le istituzioni non statali,
si scopre che i gestori non si sono degnati
di fornire alcuna informazione!…
Invitiamo i colleghi a protestare nei confronti del MIUR, direttamente e attraverso i sindacati, per pretendere il rispetto
della propria dignità professionale, oltre
a un identico trattamento delle scuole statali e delle scuole paritarie.
http://www.noiscuolafirenze.org/
Qui ed ora
fobica e oppressa
da riforme che si susseguono alla velocità
della luce senza portare alcun valore aggiunto
al mio insegnamento.
Ho bisogno che ci siano insegnanti-tecnici
sempre a disposizione se un pc salta, se il collegamento a internet non funziona.
Ho bisogno che la biblioteca sia aggiornata da
un bibliotecario esperto anche in informatizzazione delle risorse cartacee disponibili.
Ho bisogno di materiali e di insegnanti-tecnici
di laboratorio esperti nell’utilizzo degli stessi,
esperti di codici formali e di prodotti artistici
e scientifici di varia tipologia. Insegnanti in
grado di coprire il fabbisogno di cultura e didattica specialistica ce ne sono, precari da una
vita ma trattati come minus habens e mai utilizzati: si crei una task force con questi docenti
a disposizione sui territori, e poi si lasci libertà
alle scuole di recepirli in breve tempo e senza
troppe pastoie burocratiche.
Ho bisogno, se mi ammalo (e perdo pure parte
del mio misero stipendio), che il mio posto
venga “coperto” da supplenti esterni e non da
colleghe e colleghi che devono abbandonare le
compresenze sulla propria classe che necessita
del loro aiuto continuativo!
Ho bisogno della scomparsa dei voti e dei quiz
Invalsi, di qualsiasi quiz. Prego. La misura uccide sia la pedagogia sia la didattica che la
rende applicabile con i nostri alunni, i quali
hanno necessità di apprendere sbagliando e riprovando senza la spada di damocle delle verifiche di ogni respiro.
Ho bisogno di materie curricolari ridimensionate nelle pretese delle Indicazioni e al contrario esigo più spazio per il mio “artigianato”
allo scopo di agire didatticamente secondo le
esigenze di apprendimento delle classi e dei
di Claudia Fanti
singoli con cui mi trovo a lavorare.
Ho bisogno di autonomia, l’unica vera autonomia che mi interessa, quella di ricerca e
della scelta di una valutazione adeguata ai
bambini, quindi ho assoluta necessità che lo
Stato si fidi di me e della scuola che autonomamente si dà delle regole e degli obiettivi minimi da raggiungere rispettando spazi per la
creatività e la propositività dei singoli insegnanti, ciò per ridare a essi l’entusiasmo pionieristico di un tempo, che ora è sfumato nella
miriade di incombenze a latere dell’insegnamento: una fra tutte, ad esempio, la pretesa
che si rifacciano curricoli e si ripensi tutta la
materia che li riguarda per poi scrivere elenchi
di obiettivi, invece che il praticare insieme
strade per fare il giorno stesso e quello dopo.
Mi è capitato sempre di più in questi anni appena trascorsi di accorgermi che i bambini
siano diventati una specie di cosa ovvia da ritrovare il giorno dopo, come un dato di fatto,
la routine di un lavoro qualsiasi, e di contro,
contemporaneamente, mi è capitato di dovere
pensare a come stendere relazioni dotte e curricoli su cosa si potrebbe fare di “bello” in un
futuro che sfugge sempre più in avanti! E’ veramente il colmo una situazione simile! La
classe come un’ovvia routine, i documenti da
redigere con i colleghi come qualcosa di importante da produrre e su cui lambiccarmi il
cervello. E lambicca qui, lambicca là, i giorni e
i mesi sono passati ad accontentare dirigenti e
ministri…e i bambini? Allora dai a metterci
una toppa, magari di nascosto, come associati
alla Carboneria, con un linguaggio quasi segreto fra le colleghe che credono in una scuola
senza fotocopie, senza fretta, senza ansia di
mostrare qualcosa all’utenza, con lo sguardo
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DI INSEGNANTI,
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nello sguardo dei bambini. Allora dai a ritrovarsi, di nascosto, ore in più a casa di qualcuno
a preparare ciò che sarebbe lecito fare tutti i
giorni alla luce del sole. Allora dai a chiedersi
se abbia un senso costruire con i bambini un
linguaggio comprensibile, aiutarli ad affrontare la lingua scritta e orale, stimolarli a pensare per poi esprimersi, definire, descrivere,
narrare esperienze, e poi dai a crederci e a praticare il nostro credo, con tutti , disabili, stranieri, italiani che parlano dialetti di varie
regioni a casa loro, italiani che a casa non parlano se non in maniera funzionale a uno scopo
da raggiungere subito e il più in fretta possibile. Di nascosto, perché pare che insegnare
anche i “codici formali” di italiano e matematica ormai sia quasi da vergognarsi, anzi si
nota che negli scritti in voga di esperti e opinionisti li si dà per scontati in un perfido gioco
intellettualistico che li porta, nel parlare del
cosa e del come insegnare, verso uno squilibrio tra i saperi per farne risalire alcuni al
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rango di materie nobili, dimenticando che
senza l’interazione costante e creativa tra le
stesse non c’è sapere e i saperi restano sulla
carta, non certo nella mente. Per realizzare il
sogno di un umanesimo degno di chiamarsi
tale, la scuola ha bisogno certo di docenti preparati, ma anche di uno Stato e di dirigenti fiduciosi nel loro operato e nella loro
esperienza, ha bisogno che le persone non
vengano continuamente rese ridicole da campagne diffamatorie dei media e della stampa
su una loro presunta vagabondaggine e mancanza di impegno, su un presunto furto di ore
sottratte al lavoro! Ho bisogno che la riforma
Gelmini venga cancellata in ogni sua parte, di
sapere che non sarò mai una maestra unica,
che tempo e pieno e moduli paritari vengano
ripristinati al più presto per garantire una
scuola che affronti i saperi in modo efficace e
profondo. Ho bisogno di certezze e di poter
fare previsioni sensate per ciò che riguarda un
percorso scolastico senza abbreviazioni di anni
Iscrizioni scolastiche online:
discriminazione 2.0
di Marina Boscaino e Marco Guastavigna
Il bello è che la letteratura specializzata pullula
di saggi, capitoli di libri, testi interi sull’integrazione dei migranti nella scuola statale italiana. E, da almeno una decina di anni, tale
tema trova una delle principali argomentazioni nell’enfasi riservata al momento dell’iscrizione. I teorici convengono sul fatto che
– in scuole con particolare incidenza di popolazione migrante e prevalenza individuabile
di etnie – le segreterie debbano addirittura essere attrezzate con personale che parli la lingua di quel gruppo e modulistica di
riferimento, per la presentazione e le informazioni sull’istituto, tradotta appunto nella lingua prevalente, oltre l’italiano. Tutti
concordano inoltre nel segnalare come la fase
preliminare, quella del primo contatto della famiglia con la scuola, che si concretizza, il più
delle volte, al momento dell’iscrizione, sia
strategico per una corretta politica inclusiva.
Sì, nel mondo dei sogni e delle favole belle che
configurano lo iato tra intenzioni e realtà. Raramente, infatti, queste giuste sollecitazioni
trovano applicazione concreta e convincente.
E l’attuale (non) destinazione di fondi alle
scuole scoraggia qualsiasi fiducia in un futuro
migliore. A complicare ulteriormente la situazione ci ha pensato Francesco Profumo: uso di
tecnologie digitali come panacea per tutti i
mali che affliggono la scuola italiana, dagli apprendimenti, alla didattica e all’organizzazione. Dimostrando, anche in questo, seppure
ce ne fosse stato bisogno, che – nonostante moglie insegnante e visite rituali durante il suo
mandato – chi ha amministrato la scuola italiana per più di un anno di cosa/come sia una
scuola non aveva/ha la minima idea.
Se al solito i media hanno accolto con enfasi
neo-positivista l’introduzione delle iscrizioni
online, solo chi lavora dentro le scuole – e, in
particolare, nelle scuole “difficili”, quelle con
la popolazione socialmente più debole – è riuscito a prevedere che non si trattava di una
buona idea, nonostante il potenziale sgravio
di lavoro per le segreterie. Perché, ancora una
volta, si punta a “fare l’Italia senza aver fatto
gli Italiani”, imbellettandola, provvedendo ad
estemporanee frettolose operazioni di maquillage, per coprire i sintomi della malattia. Fuor
di metafora, la digitalizzazione delle iscrizioni
e, progressivamente dei dati, ai quali, come
tanti, guardiamo con favore, dovrebbe essere
la conclusione di un percorso di intervento e
sistemazione delle clamorose criticità e disparità che affliggono il nostro sistema, e non l’inizio di una rincorsa alla modernità fino a se
stessa che – sic stantibus rebus – è destinata a
creare più problemi che vantaggi.
Senza amplificare le pur note difficoltà di ordine pratico che la questione delle iscrizioni
online ha e sta creando, come le difficoltà dovute all’intasamento, i dati non salvati, i dati
stravolti dopo il salvataggio (ma del resto è
noto che le nuove procedure implicano tempi
di assestamento e qualche disagio iniziale; e richiederebbero pertanto sperimentazioni e collaudi), ci limitiamo a ricordare che
l’Associazione Nazionale per Operatori e Responsabili della Conservazione digitale dei
documenti sostiene che “non vi sono adeguate
garanzie sulla validità della conservazione dei
documenti digitali né sulla corretta gestione di
informazioni sensibili che sono contenute in
essi”.
Ci interessa piuttosto richiamare l’attenzione
su conseguenze in ordine al campo dei diritti
o anticipazioni in entrata e in uscita degli
alunni, perché voglio ragionare serenamente
su cosa proporre o no ai bambini e alle bambine in base al numero di anni che dovranno
affrontare... Leggo le parole di chi vorrebbe le
scuole aperte tutto il giorno, vorrebbe alchimie
che si potrebbero realizzare fra insegnanti di
vari ordini di scuola interagenti fra di loro e
con gruppi disomogenei di ragazzi per età e
per vocazioni individuali: il tutto è affascinante e accattivante, tuttavia vorrei che prima
si pensasse al qui e all’ adesso, al tempo che
abbiamo e ai bambini presenti ogni mattina e
ogni pomeriggio, ora.
Questi bambini con i loro docenti sono qui ora
e hanno poco e niente se non le loro teste e la
loro voglia di fare. Vogliamo ricordarci che le
classi dell’anno che viene, quello che è alle
porte, accoglieranno milioni di bambini
“nuovi di zecca”? A loro e ai loro docenti, qui
e ora, promettiamo subito qualcosa di fattibile
e sensato, poi penseremo al resto.
garantiti per tutti che il cambiamento di procedura ha comportato. Dati Istat 2011: il 58,8%
delle famiglie possiede un computer, il 54,5%
ha accesso a Internet. Se possiamo rallegrarci
per dati che testimoniano negli anni una crescita costante, non possiamo non tener conto
della consistente percentuale di famiglie che
non hanno accesso autonomo alle tecnologie.
Va detto che per costoro gli istituti comprensivi, un po’ ovunque, si sono resi disponibili
per l’assistenza alla compilazione delle iscrizioni. Esiste, però, una violazione molto più
clamorosa. La richiesta – tra i campi obbligatori – del codice fiscale per completare la procedura di iscrizione, escluderebbe la
possibilità ai genitori sforniti di permesso di
soggiorno di iscrivere i propri figli alla scuola
dell’obbligo, nonostante il Testo Unico immigrazione preveda che i minori stranieri presenti sul territorio sono soggetti all’obbligo
scolastico, indipendentemente dalla regolarità
della posizione dei loro genitori. Viene dunque subordinato al possesso di un computer e
di un permesso di soggiorno l’esercizio di un
diritto fondamentale. Violando da una parte
addirittura quanto previsto dall’art. 3 della
Costituzione, perché le iscrizioni online rappresenterebbero addirittura la costruzione
(anziché la rimozione) di un ostacolo nell’esercizio del principio di uguaglianza; e dall’altra,
anche del testo che regola tutta la materia immigrazione.
Il MIUR è stato così diffidato del Progetto Melting Pot Europa di Padova affinché modificasse immediatamente il sistema, dando
indicazioni chiare, perché il diritto all’istruzione fosse garantito a tutti i minori su tutto il
territorio nazionale, a prescindere dalla posizione di soggiorno dei loro genitori. La risposta del Ministero non si è fatta attendere, ma è
risultata piuttosto ambigua: “si ribadisce che i
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genitori di questi studenti devono recarsi
presso le segreterie degli istituti scolastici che
provvederanno ad acquisire le domande di
iscrizione. Del resto, le scuole hanno già a disposizione e utilizzano da tempo una procedura automatizzata per l’iscrizione per questi
casi. Allo stesso modo, continua ad essere valida la possibilità di un’unica registrazione per
il genitore che ha più figli da iscrivere”. Di
quali procedure automatizzate si tratta? E, soprattutto, se davvero esistono procedure automatizzate, perché non prevenire un
problema di discriminazione (si sottoporranno
in ogni caso i genitori degli studenti migranti
ad un trattamento diverso dagli altri) adottan-
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dole direttamente? Non è bastata la sentenza
della Cassazione secondo cui il diritto allo studio prevale sull’assenza del permesso di soggiorno, riferito all’improprio controllo dei
documenti esercitato a Padova da una dirigente scolastica sugli studenti migranti durante l’Esame di Stato?
L’Associazione Nazionale per la Scuola della
Repubblica ha poi sottolineato in un comunicato stampa – oltre alle violazioni di cui sopra
– “lo stridente contrasto con le scuole paritarie
che continuano anche in questa circostanza ad
esibire la loro natura di impresa privata e
quindi non sottoponibile a obblighi (a fronte
dei finanziamenti pubblici percepiti). Perché
non consentire analogo trattamento anche
nelle scuole dello Stato, salvaguardando il diritto allo studio e la possibilità di esercitarlo a
partire dal diritto a una modalità d’iscrizione
compatibile con la propria condizione socioeconomica, culturale?”.
Insomma, escludendo la volontarietà, la questione delle iscrizioni ha messo drammaticamente a nudo la maniera dilettantistica con cui
– tra sbadataggine, incuria, ignoranza – si infligge al più debole la discriminazione da cui,
in un Paese civile, dovrebbe essere esente. In
nome della Demagogia 2.0.
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