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The Bloody Chamber nella riscrittura carteriana
Franca Maria Floris
It is this holy terror of love that we find, in both men
and women themselves, the source of all opposition to
the emancipation of women.
Angela Carter, The Sadeian Women and the Ideology of
Pornography
Riscrittura postmoderna di dieci tra le più celebri fiabe della
tradizione letteraria, The Bloody Chamber (1979) fra le varie raccolte
carteriane (Fireworks, 1974, The Black Venus, 1985) è quella che ha
ottenuto riconoscimenti dalla critica internazionale, come il
Cheltenham Festival Award, e che, forse, è ad oggi l’opera più nota ed
apprezzata anche dai lettori1.
Angela Carter nelle sue fiabe reintroduce spesso quei discomforting
aspect (crudezza, violenza, perversione) che, anche se non infrequenti in
alcune antiche fiabe popolari, nel ‘700 e nell’‘800 erano stati molto
mitigati o addirittura soppressi in quanto reputati inammissibili per la
raffinata letteratura di corte; tale scelta è frutto del suo desiderio di
recuperare gli elementi narrativi propri della tradizione orale come ella
stessa dichiara in un’intervista: “The tales in my volume The Bloody
Chamber are part of the oral history of Europe, but what has happened
is that these stories have gone into the bourgeois nursery and therefore
lost their origins”2. Il recupero del ‘vero’ racconto popolare
presuppone, di conseguenza, il rifiuto di quelle convenzioni letterarie
che l’avevano modificato attraverso i secoli: in altre parole, ella si rifà
alla fiaba per adulti, cruda, non di rado sensuale, erotica e priva di
intenti moralistici. Il fine della Carter è, infatti, quello tipico del
Postmodernismo, ossia l’intrattenimento e la trasgressione del ‘codice’
borghese e, come ella dichiara esplicitamente, il suo obiettivo è quello
“of provoking unease”3.
The Bloody Chamber, raccolta ricca di nessi intertestuali, tradisce,
infatti, la volontà della scrittrice di versare “new wine in old bottles”4,
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ossia di fornire versioni nuove di fiabe ‘classiche’. E’ proprio
l’intertestualità ciò che riattiva il potenziale sovversivo insito nelle fiabe
popolari ma rimasto latente nelle molteplici versioni letterarie setteottocentesche delle stesse. La Carter decostruisce miti e gerarchie
patriarcali delle fiabe ‘classiche’ e così la sua riscrittura diventa spesso,
come sottolinea Lorna Sage, anche occasione “to break the spell of the
past”5 e pretesto per riscattare la figura femminile.
Esplorando il tema della metamorfosi, The Bloody Chamber va a
supportare il progetto di decolonizzazione sessuale che, già avviato in
The Sadeian Woman (1979)6, investe sia la figura femminile sia quella
maschile: allo stereotipo culturale che vede il femminile come un sesso
debole e passivo la Carter sostituisce protagoniste che, passando
dall’adolescenza alla maturità, acquistano una sempre maggiore
coscienza di sé; la figura maschile, per contro, tranne qualche rara
eccezione (come in “Snow Child” e in “The Lady of the House of
Love”), viene sempre rappresentata come commistione bizzarra di
umano e bestiale: il licantropo, l’uomo-tigre o l’uomo-leone.
Tramite la metamorfosi la Carter intende sempre nelle sue opere di
narrativa sovvertire i ruoli sessuali (e sociali) convenzionali: la raccolta
The Bloody Chamber, in particolare, rappresenta un macrocosmo al cui
interno ciascun racconto o microcosmo costituisce una vera e propria
allegoria del problematico rapporto uomo/donna, predatore/preda; un
rapporto che, come scrive Kaiser, la scrittrice esplora servendosi della
pornografia appunto con l’intento di sottolineare “how sexual
behaviour and gender roles are not universal, but are, like other forms
of interaction, culturally determined”7. Il ricorso alla pornografia e
l’esplicito rifarsi in The Sadeian Woman al Marchese de Sade erano stati,
tuttavia, già interpretati da alcuni critici come Patricia Duncker8 come
un atto di conservazione, anziché di sovversione, della stereotipata
corrispondenza donna/vittima e uomo/carnefice. Il riproporre
costantemente il tema della violenza e dell’abuso sessuale risponde, in
realtà, all’esigenza pragmatica dell’autrice di fornire e denunciare la
condizione femminile passata e presente; la pornografia si rivela,
perciò, efficace in tal senso poiché riflette realtà sociali convenzionali in
base alle quali il desiderio, la forza, l’aggressione ed il dominio
appaiono essere prerogative maschili.
E’ proprio prendendo le mosse da un tema convenzionale come
la violenza sessuale che la scrittrice introduce il succitato tema della
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metamorfosi e attua la sovversione o, addirittura, l’inversione del ruolo
‘preda’/‘predatore’. Infatti, se nella fiaba tradizionale le vittime sono
sconvolte e atterrite, nelle fiabe della Carter esse vincono la paura e
reagiscono; il loro coraggio a volte le trasforma in figure aggressive, a
volte le induce, come in “The Bloody Chamber”, ad atteggiamenti
sadomasochistici.
“The Bloody Chamber” - in cui la Carter rivisita principalmente la
fiaba “La barbe bleue” di Perrault - facendo della violenza e della
perversione la propria essenza è in effetti non a caso, stata scelta come
title story della raccolta: è la più lunga, la più elaborata e “the most
disturbing of the tales of the collection, because of its lush, seductive
descriptions of sexual exploitation and victimization”9. Essa riveste,
inoltre, un’importante funzione paradigmatica in quanto summa delle
tematiche delle nove fiabe successive che, in virtù delle implicazioni
fornite dall’aggettivo bloody, presente nel titolo della raccolta e nella short
story, si carica aprioristicamente per il lettore di valenze simboliche
associate alla violenza.
La versione della Carter non si discosta dalla fabula di Perrault e
ne conserva sia le funzioni narrative sia la loro sequenza: le variazioni
riguardano i personaggi e, soprattutto, la tecnica10 in ottemperanza alla
sua convinzione che “each century tends to create and recreate fairy
tales after its own fashion”11. La fiaba tradizionale nella contaminazione
di generi postmoderna diviene infatti fairy tale, gothic novel, romance, short
story e anche racconto autobiografico.
Fin dall’incipit il lettore ravvisa i segni della prima deviazione
rispetto al modello stilistico di Perrault in quanto il narratore
impersonale è sostituito dalla prima persona:
I remember how that night, I lay awake in the wagon-lit in a tender, delicious ecstasy
of excitement, my burning cheek pressed against the impeccable linen of the pillow
and the pounding of my heart mimicking that of the great pistons ceaselessly
thrusting the train that bore me through the night, away from Paris, away from the
white, enclosed quietude of my mother’s apartement, into the unguessable country of
marriage12.
La costruzione delle vicende è affidata alla stessa protagonista
che, come narratore autodiegetico, ripercorre il proprio vissuto
presente e passato riproponendo lo iato temporale tipico del racconto
autobiografico. Dichiarandosi testimone e attore del racconto, l’eroina
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ne proclama implicitamente l’autenticità e sovverte una delle
caratteristiche fondamentali della fiaba ‘classica’ che, per convenzione,
di norma si colloca per chi legge al di fuori sia di un tempo cronologico
(once upon a time; a long time ago) sia di uno spazio mimetico del reale (in a
distant country).
Nel racconto carteriano il lettore, in particolare attraverso l’uso
frequente del direct speech, come in molti testi del XVIII e XIX secolo,
viene spesso ‘chiamato in causa’ nel testo stesso:
To see her skeletal, enigmatic grace, you would never think she had been a barmaid in
a café in Montmartre until Puvis de Chevannes saw her and had her expose her flat
breasts and elongated thighs to his brush. [...] I had her sing Isolde. With what whitehot passion had she burned from the stage! So that you could tell she would die
young. (10)
I swear to you, I had never been vain until I met him. (12)
And, yet, you see, I guessed it might be so ? that we should have a formal disrobing
of the bride, a ritual from the brothel. [...] He stripped me, gourmand that he was, as
if he were stripping the leaves off an artichoke ? but do not imagine much finesse
about it. (15)
La riscrittura carteriana opera cioé una vera e propria fusione di
elementi fantastici e realistici o meglio magico-realisti. L’atmosfera
sempre più irreale, cupa, gotica è, infatti, paradossalmente anche
fortemente realistica: “Paris”, “the train”, “the telephone” (17) sono
solo alcuni degli elementi che, pur sovrapposti a descrizioni minuziose
e barocche, fanno sì che il lettore riesca a collocare la vicenda in
un'ambientazione storico-geografica piuttosto precisa.
Oltre a “La barbe bleue” di Perrault, che resta il modello
principale di riferimento, alcuni elementi all’apparenza non rilevanti
come l’anello di fidanzamento si configurano nella fiaba carteriana
come riferimenti intertestuali a “Fitchers Vogel” (1857), una delle tre
versioni della stessa fiaba fornite dai fratelli Grimm in cui sono presenti
i motivi del marito carnefice e della stanza proibita13. In “Fitchers
Vogel”, lo stregone consegna alla futura sposa, oltre alle chiavi, un
uovo ordinandole di portarlo sempre con sé perché lo smarrirlo
comporterebbe una grande sfortuna:
Auch gab er ihr ein Ei und sprach: “Das Ei verware mir sorgfältig und trag es lieber
bestäbei dir, denn ginge es verloren, so würde ein großes Unglück daraus entstehen14.
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In “The Bloody Chamber” la Carter fa regalare dal marchese alla
futura sposa un opale grosso come un uovo, “a fire opal the size of a
pigeon set in a complicated circle of dark antique gold” (9),
chiedendole di indossarlo sopra il guanto ( “my husband liked me to
wear my opal over my kid glove” (13) ). Il fatto che l’anello sia proprio
un opale piuttosto che un diamante suggerisce la modificazione dei
significati convenzionali, peraltro veicolate anche dalla inconsueta
richiesta di indossare il gioiello sopra il guanto. Però mentre il diamante
è considerato il simbolo tradizionale dell’amore eterno, l’opale,
secondo la tradizione, recherebbe tristezza e sfortuna. La Carter accetta
in parte le implicazioni offerte dalla tradizione in quanto le precedenti
mogli del marchese, che avevano portato quello stesso anello, anche
qui sono tutte fatalmente decedute.
Anche nel finale la Carter da un lato si allontana dal modello di Perrault
e dall’altro sembra rifarsi alla versione dei fratelli Grimm: l’eroina pur
non riuscendo a salvarsi da sola non è però una fanciulla ingenua ma
una donna coraggiosa che si difende con ogni mezzo. A salvarla non
saranno i fratelli15, bensì la madre, una figura completamente diversa
dagli stereotipi e disposta a tutto per il bene della figlia. L’intervento
eroico della madre è incongruo e non può essere spiegato in termini
realistici in quanto la protagonista non le chiede aiuto, limitandosi a
piangere per il solo motivo di avere “gold bath taps” (24). Ciò accresce
l’incongruità, elemento che rientra in una delle strategie magico-realiste
carteriane: non avendo la figlia mai ceduto al pianto prima d’allora, la
“maternal telepathy” (40) diviene giustificazione metanarrativa
dell'accorrere della madre.
La sovversione della fiaba letteraria tradizionale tradisce le
aspettative del lettore che, nonostante un titolo tradizionale, esperisce
nei momenti cruciali di climax narrativo un forte senso di
disorientamento. Grazie al gioco intertestuale e parodico, però, esso
supera la propria esitazione epistemologica e inizia, così, a ‘divertirsi’.
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Note
1 Ad essa si è ispirato il regista Neil Jordan per il film The Company of Wolves
(1984), e la stessa Carter l'ha utilizzata per gli adattamenti delle commedie
radiofoniche Vampirella e Puss-in-Boots.
2 Angela Carter, 1985, in Helen Cagney Watts, “Angela Carter: An Interview”, in
Bête Noir, 8: 161-176.
3 Angela Carter, 1974, “Afterword”, Fireworks: Nine Profane Pieces, Quartet Books,
London: 245.
4 Angela Carter, 1983, “Notes from the Front Line”, in M. Wandor (ed.), On
Gender and Writing, Pandora, London: 69.
Lorna Sage, 1985, “Breaking the Spell of the Past”, The Times Literary Supplement,
4307: 1169.
5
Tale parallelismo sembra essere indice della stesura contemporanea delle due
6
opere.
Mary Kaiser, 1994, “Fairy Tale as Sexual Allegory: Intertextuality in Angela
Carter’s "The Bloody Chamber"”, The Review of Contemporary Fiction, vol. 14, n. 3: 3036.
7
Cfr., Patricia Duncker, 1984, “Re-Imagining the Fairy Tales: Angela Carter’s
Bloody Chambers”, Literature and History, vol. 10, n. 1: 3-14.
8
9
Mary Kaiser, 1994: 32.
10 Cfr., Maria Grazia Tundo, 1996, “La camera di sangue di Angela Carter”, in
Patrizia Calefato (a cura di), Scritture /Visioni. Percorsi femminili della discorsività, Edizioni
del Sud, Bari: 169-197.
11
Angela Carter, 1977, The Fairy Tales of Charles Perrault, Gollancz, London: 17.
12 Angela Carter, 1981, The Bloody Chamber, Penguin Books, Harmondsworth: 7.
Le citazioni di “The Bloody Chamber”, di cui si indicano le pagine nel testo in
parentesi, sono tratte da questa edizione.
13 Le altre due fiabe sono “Blaubart” e “Das Mordschloss”. Le tre versioni sono
contenute in Jakob und Wilhelm Grimm, 1857, Ausgewählte Kinder und Hausmärchen,
erster und zweiter Band, Göttingen.
14
Jakob und Wilhelm Grimm, 1857: 236.
15
La protagonista è figlia unica.
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Bibliografia
Carter, A., 1974, “Afterword”, Fireworks: Nine Profane Pieces, Quartet Books,
London;
1985, in Helen Cagney Watts, “Angela Carter: An Interview”, in Bête
Noir, 8: 161-176;
1983, “Notes from the Front Line”, in M. Wandor (ed.), On Gender and
Writing, Pandora, London;
1977, The Fairy Tales of Charles Perrault, Gollancz, London;
1981, The Bloody Chamber, Penguin, Harmondsworth;
Duncker, P., 1984, “Re-Imagining the Fairy Tales: Angela Carter’s Bloody
Chambers”, Literature and History, vol. 10, n. 1: 3-14;
Grimm, J. e W., 1857, Ausgewählte Kinder und Hausmärchen, erster und zweiter
Band, Göttingen;
Kaiser, M., 1994, “Fairy Tale as Sexual Allegory: Intertextuality in Angela
Carter’s The Bloody Chamber”, The Review of Contemporary Fiction, vol.
14, n. 3: 30-36;
Sage, L., 1985, “Breaking the Spell of the Past”, The Times Literary Supplement,
4307: 1169;
Tundo, M. G., 1996, “La camera di sangue di Angela Carter”, in Patrizia
Calefato, Scritture/Visioni. Percorsi femminili della discorsività, Edizioni del
Sud, Bari.
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