Una fontana inesauribile
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Una fontana inesauribile
Sebastian P. Brock “Una fontana inesauribile” La Bibbia nella tradizione siriaca “È il tempo quando fiorisce il tiglio” Lipa Indice © 1988 St Ephrem Ecumenical Research Institute (SEERI), Baker Hill, Kottayam-Kerala © 2006 Gorgias Press, Piscataway, NJ © 2008 Lipa Srl, Roma prima edizione: giugno 2008 Edizione italiana accresciuta Lipa Edizioni via Paolina, 25 00184 Roma & 06 4747770 fax 06 485876 e-mail: [email protected] http: //www.lipaonline.org Autore: Sebastian P. Brock Titolo: “Una fontana inesauribile” (titolo originale: The Bible in the Syriac Tradition) Sottotitolo: La Bibbia nella tradizione siriaca Traduzione: Maria Campatelli Collana: Pubblicazioni del Centro Aletti Formato: 130x210 mm Pagine: 228 In copertina: f. 11v dei Vangeli di Rabbula (Ingresso a Gerusalemme e comunione degli apostoli, X canone), per gentile concessione della Biblioteca Medicea Laurenziana di Firenze Stampato nel giugno 2008 Impianti e stampa: Graficapuntoprint, Roma Proprietà letteraria riservata Printed in Italy codice ISBN 978-88-89667-31-6 Presentazione .......................................................... 7 I. Come ci raggiunge la Bibbia?....................... 9 9 1. Dal rotolo alla Bibbia stampata ..................... 2. La traduzione della Bibbia: alcuni problemi generali .................................. 3. Una panoramica sulla Bibbia siriaca .................. II. La Bibbia siriaca: uno sguardo piú da vicino ............................... 1. L’Antico Testamento .................................... 13 20 26 26 Tradotto dall’ebraico: la “Peshitta”, 26; Tradotto dal greco: la Siro-esaplare, 33 2. Il Nuovo Testamento ......................................... 36 Il Diatessaron, 36; La Vetus Syra,40; La Peshitta, 42; La Filosseniana, 44; L’Harclense, 46 III. Come ci raggiunge la Bibbia siriaca?......... 1. I manoscritti della Bibbia ................................... 48 48 L’Antico Testamento: 1. la Peshitta, 50; L’Antico Testamento: 2. la Siro-esaplare, 58; Il Nuovo Testamento: 1.il Diatessaron, 59; Il Nuovo Testamento: 2. la Vetus Syra, 59; Il Nuovo Testamento: 3. la Peshitta, 60; Il Nuovo Testamento: 4. la Filosseniana, 61; Il Nuovo Testamento: 5. l’Harclense, 62 2. I lezionari.......................................................... 3. Le edizioni a stampa .......................................... 63 65 (a) L’Antico Testamento (Peshitta), 68; (b) Il Nuovo Testamento (Peshitta), 71; (c) Le principali versioni siriache oltre alla Peshitta, 73; (d) Gli strumenti, 74 4. Le traduzioni ..................................................... 75 5 IV. L’interpretazione della Bibbia nella tradizione siriaca ........................................ 77 V. I commentari biblici ...................................... 87 VI. L’uso della Bibbia siriaca nella predicazione 95 VII. L’uso della Bibbia siriaca nella liturgia ..... 106 VIII. La Peshitta come base per la spiritualità siriaca ..................................... 113 IX. Tre Padri siriaci sulla lettura della Bibbia ... 117 Alcune considerazioni preliminari, 117; Sant’Efrem, 120; San Giacomo di Sarug, 127; Sant’Isacco di Ninive,132 X. Bibliografia scelta .......................................... 136 XI. Piccola antologia di testi ............................. 159 Un commentario: – Efrem, “Commentario alla Genesi” ...................... 159 Poemi in forma di dialogo: – “La peccatrice e Satana”.................................... – “Maria e il Giardiniere”.................................... 186 195 Un’omelia in versi: – Giacomo di Sarug, “Omelia su Tamar” ................. 200 Questo libro è una piccola perla, come potrà constatare chiunque ne scorra le pagine. Sempre un’altra tradizione cristiana, per il fatto di essere radicata in una cultura diversa, ci dischiude aspetti ulteriori del cristianesimo, quasi rivelandoci il corpo di Cristo nascosto nella storia che si manifesta al mondo da lati diversi. Qui il gusto di conoscere qualcosa che è di Cristo e che contribuisce a muovere il cuore verso di Lui è ancora piú forte, perché si accede alla Bibbia a partire da un pensiero cristiano radicato nello stesso universo semitico della Scrittura, il che rende la spiegazione, il commento della Bibbia una sorta di prolungamento del suo stesso mondo. Nato originariamente come un corso ad uso del St. Ephrem Ecumenical Research Institute (SEERI) a Kottayam (Kerala, India), il libro è stato stampato dal SEERI nel 1988. È stato poi nuovamente pubblicato, con l’aggiunta di una seconda parte, da Gorgias Press (Piscataway, NJ) nel 2006.1 Questa edizione comprende la traduzione della prima parte del libro uscito presso Gorgias Press (i capp. I–VIII e la bibliografia), un nuovo capitolo inedito (il cap. IX) e un’antologia di testi che in maniera gustosa e profonda intendono offrire uno scorcio su come la Bibbia è stata commentata e utilizzata nella tradizione siriaca. Il primo capitolo, oltre a dare uno sguardo a volo d’uccello sulla Bibbia siriaca, considera anche alcune questioni generali su come la Bibbia arriva fino a noi e i problemi della traduzione biblica in generale. 1 Con l’occasione ringraziamo George A. Kiraz, direttore di Gorgias Press, per il permesso accordato di pubblicare il volume. 6 7 I. COME Il capitolo II offre una panoramica sulle varie traduzioni siriache che sono giunte fino a noi, mentre il capitolo III esplora come ci sono giunti i libri della Bibbia siriaca: nei manoscritti, nei lezionari, nelle edizioni a stampa e nelle traduzioni. I capitoli rimanenti sono dedicati al modo in cui la Bibbia siriaca è stata interpretata, alla tradizione dei commentari, al suo uso nella predicazione, nella liturgia, nella spiritualità. Concepito come un testo di seria divulgazione, il libro sarà utile sia ad un pubblico piú accademico che a lettori che semplicemente ne vogliono trarre un nutrimento spirituale (questi ultimi possono tralasciare nella lettura i capp. II e III, se li ritenessero troppo specialistici per il loro tipo di interesse). La seconda parte del libro pubblicata da Gorgias Press, che ha il tono dei capp. II–III e dispone di un certo apparato di note, è disponibile liberamente in traduzione italiana sulla pagina web di Lipa: www.lipaonline.org/LaBibbiainsiriaco.pdf. La nostra gratitudine va a Sebastian Brock, autorità nel campo degli studi siriaci, che riesce sempre a fare di uno studio serio e competente un messaggio di profonda comunicazione spirituale. Di lui si possono leggere presso Lipa L’occhio luminoso. La visione spirituale di sant’Efrem (1999), L’arpa dello Spirito. 18 poemi di sant’Efrem (1999) e La spiritualità nella tradizione siriaca (2006). Un grazie anche a GianLuca Carrega per i suggerimenti e le osservazioni nella traduzione. M. C. 8 CI RAGGIUNGE LA BIBBIA? 1. Dal rotolo alla Bibbia stampata Quando noi oggi leggiamo la Bibbia, normalmente la leggiamo in una moderna edizione a stampa nella nostra lingua. Ma vale la pena riflettere su come hanno avuto origine queste edizioni e traduzioni a stampa: che cosa ci sta dietro e in che modo influenzano la nostra comprensione di ciò che contiene e dice la “Bibbia”? Le Bibbie stampate risalgono solo al XVI secolo. Prima, esse dovevano essere copiate a mano: un processo laborioso e lento. L’invenzione della stampa ebbe due importanti conseguenze per la Bibbia: anzitutto, la stampa rese possibile una diffusione molto piú ampia e meno costosa della Bibbia; secondariamente, la stampa contribuí al processo di standardizzazione dell’ordine e dei contenuti della Bibbia. Considereremo piú avanti le conseguenze di questa invenzione rivoluzionaria. I manoscritti della Bibbia costituivano raramente una Bibbia completa, dal momento che di solito ne contenevano solo una parte, come i Vangeli o forse l’intero Nuovo Testamento. Ogni libro poteva essere diviso in capitoli, ma erano diffusi molti sistemi diversi di divisione; cosí, ad esempio, la divisione dei capitoli nei manoscritti siriaci e greci differisce da quella delle nostre Bibbie a stampa. La divisione in capitoli che ci è familiare oggi nelle Bibbie stampate appartiene infatti alla traduzione latina di Girolamo, conosciuta come Vulgata. Sebbene questo sistema sia 9 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock stato inventato solo nel medioevo, nel corso del XVI secolo fu adottato nel testo a stampa della Bibbia in tutte le lingue, e cosí ora è diventato universale. I manoscritti biblici in lingue diverse dall’ebraico mancavano anche di ogni forma di divisione in versetti; la nostra attuale divisione in versetti dell’Antico Testamento deriva infatti dalla Bibbia ebraica e anch’essa fu introdotta nelle Bibbie a stampa in tutte le lingue nel corso del XVI secolo. Nel Nuovo Testamento, la divisione in versetti e la loro numerazione furono introdotti per la prima volta in alcune delle prime edizioni stampate del testo greco. In tutte le lingue, tranne che nell’ebraico, i manoscritti della Bibbia erano nella forma di libri, o di “codici”. A scopo di studio, anche gli ebrei trascrivevano la Bibbia ebraica nei codici, ma per l’uso liturgico, nella sinagoga, ricopiavano sempre il testo sui rotoli (una pratica che va avanti ancora oggi). Il rotolo è infatti un’invenzione molto piú antica del codice. Il codice divenne ampiamente usato per i testi letterari solo nei primi secoli dell’era cristiana e sembra che i cristiani abbiano contribuito a rendere popolare il nuovo formato impiegandolo all’inizio per copiare i testi biblici in greco. Il codice infatti ha molti vantaggi rispetto al rotolo: in particolare, è molto piú facile da usare e può contenere una maggiore quantità di testo. Prima dell’invenzione del codice, comunemente si usavano i rotoli; ad esempio, i manoscritti biblici in ebraico rinvenuti a Qumran (sulle rive del Mar Morto) sono in forma di rotolo (la loro datazione va dal II secolo a.C. al I secolo d.C.). Ciò significa che gli autori originali dei vari libri biblici devono aver anch’essi scritto i loro libri su dei rotoli, anziché sui codici. Questo vale quasi certa10 I. Come ci raggiunge la Bibbia? mente per gli autori dei libri del Nuovo Testamento, cosí come per quelli dell’Antico. I manoscritti biblici di Qumran, che provengono da una collezione di testi spesso conosciuti come “rotoli del Mar Morto”, sono i manoscritti piú antichi esistenti in ebraico. La maggior parte di essi sono molto frammentari, cosí che i piú antichi manoscritti biblici in ebraico esistenti in una forma completa risalgono solo ad un’epoca molto posteriore, cioè al X secolo. I libri della Bibbia ebraica (cioè l’Antico Testamento cristiano) furono tradotti dagli ebrei in greco già nel III e II secolo a.C. Questa collezione di traduzioni è conosciuta come Septuaginta (Settanta, LXX, Shab‘in), dal momento che un’antica tradizione sosteneva che il Pentateuco era stato tradotto in greco ad Alessandria da settanta traduttori venuti dalla Palestina. La parte di lingua greca dell’antica Chiesa prese questa traduzione dagli ebrei, mentre a suo tempo gli ebrei la abbandonarono. Ne sopravvivono solo pochi frammenti del II e I sec. a.C., ma i manoscritti completi piú antichi sono manoscritti cristiani a partire dal IV e V secolo. Gli ebrei tradussero anche la Bibbia ebraica in aramaico, e queste traduzioni sono conosciute oggi come i targumim. A Qumran sono stati trovati frammenti di una traduzione aramaica precristiana di Giobbe, ma i principali targumim che sopravvivono ebbero origine probabilmente nei primi secoli dell’era cristiana, e i manoscritti che li contengono sono quasi tutti tardo medievali (dal XII al XVI secolo). È possibile che gli ebrei abbiano tradotto anche alcuni libri della Bibbia in un dialetto aramaico simile al siriaco (il siriaco nasce come dialetto locale aramaico di 11 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock Edessa). Tali libri avrebbero potuto allora essere stati assunti dalla primitiva comunità cristiana di lingua siriaca per formare gli inizi della Peshitta dell’Antico Testamento. Il manoscritto completo piú antico dell’Antico Testamento in siriaco appartiene al VI o al VII secolo. Le traduzioni moderne della Bibbia sono fatte su particolari edizioni dell’Antico Testamento ebraico e del Nuovo Testamento in greco. I manoscritti esistenti della Bibbia ebraica hanno un testo straordinariamente uniforme, e cosí c’è veramente poca differenza tra un’edizione della Bibbia ebraica e un’altra; è probabile che la forma del testo ebraico cosí come noi lo conosciamo risalga a un’edizione autorevole messa a punto all’incirca alla fine del I secolo d.C. Prima di quella data c’erano chiaramente un certo numero di variazioni tra i diversi manoscritti. Diversamente dalla Bibbia ebraica, i manoscritti dell’Antico Testamento greco (i LXX) e del Nuovo Testamento greco possono differire considerevolmente l’uno dall’altro in dettagli di espressione. Gli editori moderni hanno pertanto usato i piú antichi manoscritti disponibili per offrire ai loro lettori un testo il piú possibile vicino a quello scritto dagli autori originali. Non è un compito semplice e, di conseguenza, edizioni diverse del Nuovo Testamento greco hanno spesso testi leggermente diversi. Nella maggior parte dei casi, queste edizioni moderne differiscono in molte piccole cose dalle edizioni del XVI secolo, i cui editori dipendevano prevalentemente da manoscritti piuttosto tardivi. Tali differenze si riflettono nelle varie traduzioni inglesi: lo si può facilmente scoprire paragonando un passo della versione di re Giacomo, fatta nel XVI secolo, ad una traduzione del XX secolo. 12 I. Come ci raggiunge la Bibbia? Come vedremo, i manoscritti della Bibbia siriaca standard sono abitualmente uniformi; da questo punto di vista, sono paragonabili ai manoscritti biblici giudaici e sono diversi da quelli greci. 2. La traduzione della Bibbia: alcuni problemi generali Il modo di tradurre la Bibbia cambia nel corso del tempo. I traduttori della Bibbia del XX secolo affrontano il loro lavoro in maniera molto diversa da quello in cui gli antichi traduttori assumevano il loro compito. Gli scopi e l’auto-comprensione dei traduttori antichi e moderni sono radicalmente diversi. Generalizzando, si può dire che il traduttore antico era orientato al testo originale, mentre il traduttore moderno è orientato al lettore. Come risultato di questo diverso orientamento, il traduttore antico traduceva con una grande deferenza verso il testo originale, sforzandosi di tradurlo “parola per parola”, anche se questo talvolta poteva dar luogo a “traduzioni senza senso”. Contrariamente, il traduttore moderno cerca di rendere il testo intelligibile al suo lettore e, conseguentemente, traduce “senso per senso” piuttosto che “parola per parola”, evitando a tutti i costi ogni traduzione priva di senso. Le antiche traduzioni tenderanno perciò ad essere piú letterali, mentre le moderne piú libere ed interpretative. Ma, dentro ad ogni tipo di interpretazione, sia la piú letterale che la piú libera, c’è in realtà la possibilità di una grande varietà, come vedremo piú avanti in riferimento alla Bibbia siriaca. In pratica, tutte le antiche traduzioni della Bibbia, in qualsiasi lingua esse siano, sono fondamentalmente orientate al testo anziché al lettore. Quando la traduzione bi13 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock blica cambiò questo suo uso e divenne orientata al lettore? Alla fine del medioevo europeo la traduzione parola per parola era la regola per la traduzione della Bibbia, ed è solo nel XVI secolo che questa pratica è cambiata. Ci sono buone ragioni per collegare questo importante cambiamento all’invenzione della stampa. Prima dell’avvento della stampa, l’ambito principale in cui era letta la Bibbia era quello della liturgia, in chiesa, ma dopo l’invenzione della stampa essa divenne molto piú a portata di mano anche per una lettura privata, a casa. Poiché molti passi della Bibbia sono estremamente oscuri, questa nuova situazione dette adito a problemi per la Chiesa, tanto piú che tutto ciò si verificò in concomitanza con il movimento della Riforma. Finché la lettura della Bibbia era in gran parte limitata all’ambito liturgico, la Chiesa poteva esercitare la sua autorità sulle questioni di interpretazione scritturistica, dal momento che le letture bibliche erano accompagnate dalla spiegazione omiletica. Ma, una volta che la Bibbia era diventata facilmente accessibile fuori della liturgia, non era piú possibile controllare come poteva essere interpretata, e durante il periodo della Riforma in Europa cominciarono a circolare tanti tipi di interpretazioni stravaganti. Ci furono allora due principali reazioni a questo abuso: la Chiesa cattolica romana cercò di minimizzare l’uso della Bibbia al di fuori del contesto degli uffici liturgici, riducendo cosí il pericolo di interpretazioni maldestre ad opera di individui. Le Chiese della Riforma, d’altro canto, affrontarono il problema in un modo abbastanza diverso, adottando un atteggiamento completamene nuovo verso la traduzione stessa della Bibbia: dal tempo di san Girolamo (tardo IV secolo) alla fine del 14 I. Come ci raggiunge la Bibbia? medioevo europeo (XV secolo) l’ideale a cui puntavano tutti i traduttori della Bibbia era stato, come abbiamo visto, una traduzione “parola per parola” anziché “senso per senso”; ciò significava che, se il testo originale era oscuro, il traduttore si accontentava di passare tale oscurità al lettore, lasciando il problema della spiegazione al predicatore. Con la Riforma, il ruolo del traduttore fu unito, in una certa misura, a quello del predicatore o del commentatore, e cosí cambiò completamente lo scopo della traduzione biblica: il traduttore non rinviava piú al testo originale, rendendolo parola per parola, ma vedeva piuttosto il suo compito nel trasmettere al lettore la sua personale comprensione di ciò che il testo biblico significava. Di conseguenza, nel processo di traduzione della Bibbia nelle varie lingue parlate allora in Europa, i riformatori sentirono il bisogno di essere molto piú interpretativi nella loro opera di traduzione di quanto non lo fossero stati i traduttori antichi. Tutte le moderne traduzioni della Bibbia hanno praticamente ereditato questo mutato atteggiamento rispetto al compito del traduttore, anche se le traduzioni moderne sono interpretative in modi molto diversi dalle traduzioni europee del XVI secolo. San Girolamo, a cui si deve la traduzione latina rivista conosciuta con il nome di Vulgata, fu il primo a formulare il parere che fosse giusto tradurre il testo sacro della Bibbia “parola per parola” anziché “senso per senso”. Possiamo tuttavia constatare dalla storia delle antiche traduzioni bibliche che questo ideale era già stato messo in pratica molto prima del suo tempo. Nel caso delle piú antiche traduzioni della Bibbia, possiamo osservare lo stesso andamento degli eventi: le piú antiche traduzioni in una lingua particolare 15 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock sono piuttosto incoerenti, poiché i traduttori non avevano né l’esperienza, né i precedenti su cui appoggiarsi. Poco dopo, tuttavia, fu notato che c’erano differenze tra l’originale e la traduzione, e cosí si cominciarono a rivedere le prime traduzioni, portandole ad una maggiore conformità con l’originale. Tale processo di revisione poté essere ripetuto, o andare avanti per un certo tempo. In ogni caso finisce sempre con una traduzione estremamente letterale del testo originale. Questo movimento verso uno stile di traduzione sempre piú letterale può essere particolarmente ben documentato nella storia sia della Bibbia siriaca che di quella greca, dato che in entrambi i casi abbiamo stili di traduzione abbastanza incoerenti nei primi stadi, seguiti da una serie di revisioni che tendono a conformare sempre piú le traduzioni al testo originale sottostante. I risultati finali di questo processo di revisione erano traduzioni speculari estremamente sofisticate. Ma anche il traduttore che si accinge a fare una traduzione cosí speculare non può evitare qua e là di essere interpretativo; spesso (specialmente nell’Antico Testamento in ebraico) il testo originale è ambiguo o oscuro, pertanto il traduttore è costretto a fare una scelta tra due o piú possibilità. Al momento della creazione (Gen 1,2) c’è “lo Spirito di Dio” o un “vento potente” sugli abissi primordiali? I traduttori, sia antichi che moderni, si dividono di fronte a questa e a molte altre ambiguità del genere. In effetti, talvolta anche la scelta di una traduzione letterale può essere considerata interpretativa: un buon esempio è dato dalla prima parola del saluto dell’angelo Gabriele a Maria in Luca 1,28; in italiano, la traduzione familiare del greco “chaire” è “Ti saluto (o Maria)”. Il testo standard del Nuovo Testamento in 16 I. Come ci raggiunge la Bibbia? siriaco ha “shlam lek(y)”, “Salve a te”, la forma siriaca equivalente del saluto greco. La versione siriaca assai letterale del VII secolo conosciuta come Harclense (Harqloyo) preferisce invece usare l’equivalente etimologico del greco, cioè l’imperativo “rallegrati”. Il traduttore doveva prestare piú attenzione alla forma (“rallegrati”), o al contenuto (“salve, ti saluto”) del saluto dell’angelo? I traduttori antichi, come l’autore del Nuovo Testamento harclense, pensavano che la forma fosse piú importante, mentre i traduttori moderni considerano che il contenuto abbia un valore maggiore. Abbiamo visto come l’invenzione della stampa abbia cambiato l’atteggiamento comune verso la natura della traduzione biblica. Ma la stampa ha avuto un effetto importante anche sui contenuti della Bibbia; questo perché essa rende possibile un’ampia circolazione di una singola edizione o traduzione, producendo una sorta di standardizzazione che non era possibile prima della sua invenzione. Abbiamo già visto una di queste conseguenze, cioè l’introduzione di un sistema standardizzato di divisione in capitoli e di numerazione dei versetti. Altri generi di standardizzazione introdotti dalla stampa si possono vedere comparando i contenuti e l’ordine dei libri nelle diverse traduzioni moderne. Le Bibbie prodotte per la Chiesa cattolica differiranno da quelle delle varie Chiese riformate: le prime conterranno i libri “deuterocanonici” (o “apocrifi”1), mentre le ultime, normalmente, no; e anche l’or1 Nella tradizione riformata, il termine “apocrifi” indica i libri deuterocanonici della Bibbia cattolica, mentre nel linguaggio cattolico essi sono antichi libri giudaici o cristiani del periodo biblico (o che pretendono di essere di quel periodo) che non sono stati accettati come autentica Scrittura dalla Chiesa. Ndt. 17 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock dine di certi libri dell’Antico Testamento sarà differente. Le Bibbie ortodosse, a loro volta, differiranno sia da quelle cattoliche che da quelle riformate. Qui possiamo vedere che l’invenzione della stampa ha standardizzato anche le differenze tra le varie tradizioni ecclesiali. Va considerato un ulteriore problema che deve essere affrontato dal moderno traduttore della Bibbia, poiché anch’esso ha un influsso sul nostro atteggiamento verso la Bibbia siriaca. Quale testo biblico deve essere considerato autorevole e, pertanto, da quale si deve tradurre? A prima vista, sembra che si tratti di una domanda alla quale è facile rispondere: il testo ebraico per l’Antico Testamento e il testo greco per il Nuovo. Ma, come vedremo, questa non è affatto la sola risposta possibile. Certamente, la maggior parte delle traduzioni moderne traduce dall’ebraico e dal greco, ma persino qui sorgono problemi; l’edizione della Bibbia ebraica usata è infatti un’edizione medievale giudaica dove al testo originariamente consonantico sono state aggiunte le vocali: è vero che il testo consonantico risale piú o meno nella sua forma attuale al tardo I secolo dell’era cristiana, ma in molti casi (specialmente nei libri poetici) questo testo consonantico può essere letto con diverse vocali, dando luogo a significati abbastanza diversi. Normalmente, i traduttori moderni seguono la tradizione giudaica medievale di comprensione del testo, ma sarebbe anche possibile prendere il testo consonantico al suo punto di partenza, senza seguire necessariamente la particolare interpretazione di lettura delle vocali offerta dalla tradizione medievale. Teoricamente, sarebbe possibile anche assumere come punto di partenza una forma precedente del testo ebraico, quale quella presupposta dai LXX (che in al18 I. Come ci raggiunge la Bibbia? cuni libri deve aver differito considerevolmente dal testo ebraico che conosciamo; Geremia, ad esempio, era molto piú corto e aveva un diverso ordine dei capitoli). Ancora, qualcuno potrebbe giustamente aspettarsi che un traduttore cerchi di risalire alla forma esatta del testo ebraico cosí come esso era stato scritto inizialmente dai singoli autori dei libri dell’Antico Testamento. Questo, tuttavia, è un compito impossibile, perché non abbiamo la possibilità di risalire a monte della varietà delle diverse forme del testo ebraico che ora sappiamo essere state in circolazione nei primi secoli dopo Cristo. In risposta a questa situazione, abbiamo bisogno di far uso della distinzione tra “autenticità letteraria” e “autenticità scritturale”. L’“autenticità letteraria” rinvia all’esatto enunciato dell’autore originale (che, nel caso dell’Antico Testamento, è irraggiungibile), mentre l’“autenticità scritturale” si riferisce alla forma del testo biblico che è stato considerato autorevole dalle diverse comunità religiose. Questa distinzione ha importanti conseguenze: l’autenticità letteraria si può applicare solo ad una singola forma del testo, mentre l’autenticità scritturale si può applicare allo stesso tempo a molte differenti forme del testo. Cosí, per quanto riguarda la Bibbia ebraica, si potrebbe dire che l’autenticità scritturale si applica non solo all’edizione giudaica del testo ebraico, ma anche alla sua base consonantica che risale al tardo I secolo, e al testo ebraico usato dai traduttori ebrei dell’Antico Testamento in greco. Ma l’autenticità scritturale non è affatto confinata al testo ebraico dell’Antico Testamento, né a quello greco del Nuovo Testamento: essa si applica altrettanto alle antiche versioni, i LXX in greco e la Peshitta in siriaco, poiché en19 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock trambe questa traduzioni sono state considerate testi biblici autorevoli dalle comunità che le hanno usate e continuano ad usarle. Una volta compreso che l’autenticità scritturale non è necessariamente confinata alle lingue bibliche originali, allora diventa chiaro che le traduzioni bibliche moderne non dovrebbero basarsi esclusivamente sull’ebraico e sul greco: per le Chiese ortodosse greca e russa sarebbe proprio auspicabile (specialmente per l’uso liturgico) usare traduzioni dai LXX; allo stesso modo, nel caso delle Chiese di tradizione liturgica siriaca, sarebbe importante mettere a disposizione traduzioni dalla Peshitta siriaca. Queste traduzioni sarebbero principalmente per l’uso liturgico (come vedremo, la tradizione liturgica siriaca è radicata nella Bibbia siriaca); ma anche per altri scopi, esse potrebbero essere usate fruttuosamente accanto alle traduzioni esistenti dall’ebraico e dal greco, offrendo cosí una fonte ulteriore di intuizione spirituale. 3. Una panoramica sulla Bibbia siriaca Per tutte le Chiese di tradizione siriaca, la forma autorevole della Bibbia è la traduzione siriaca conosciuta con il nome di Peshitta. La Peshitta dell’Antico Testamento fu tradotta direttamente dal testo ebraico originale, mentre la parte del Nuovo Testamento direttamente dall’originale greco. I cosiddetti libri “deuterocanonici”, o “apocrifi”, furono tutti tradotti dal greco, con l’eccezione del Siracide (Ecclesiastico), che fu tradotto dall’ebraico. La data della Peshitta dell’Antico Testamento è incerta e in ogni caso non tutti i libri sono stati tradotti allo stesso tem20 I. Come ci raggiunge la Bibbia? po, o dalle stesse persone. È probabile che la giovane Chiesa siriaca abbia ereditato molti libri da traduzioni fatte dalle comunità giudaiche nella regione di Edessa e di Nisibi. Sembra probabile anche che la maggior parte dei libri della Peshitta dell’Antico Testamento fossero tradotti durante il periodo che va dal II secolo all’inizio del III secolo d.C. La Peshitta del Nuovo Testamento è in effetti la revisione di una traduzione piú antica, conosciuta come Vetus Syra. La revisione fu probabilmente fatta nel corso del tempo, ma fu completata all’inizio del V secolo. La diffusione di questa revisione si dimostrò assai efficace, dal momento che la Peshitta rimpiazzò rapidamente la Vetus Syra e divenne il testo autorevole del Nuovo Testamento prima dello scisma tra la Chiesa siro-ortodossa e la Chiesa d’Oriente, provocato dalle controversie cristologiche della metà del V secolo. Ci sono giunti manoscritti della Peshitta, e i piú antichi di questi risalgono al V e al VI secolo. Poiché una Bibbia intera ricopiata a mano era assai voluminosa e poco maneggevole, la maggior parte dei manoscritti contiene solo piccoli gruppi di libri alla volta e le Bibbie complete sono assai poco comuni. La rarità delle Bibbie complete prima dell’avvento della stampa ha avuto una conseguenza importante: il contenuto preciso e l’ordine dei libri nella Bibbia siriaca non sono mai stati stabiliti del tutto (persino nelle moderne edizioni a stampa l’ordine nel quale i libri sono disposti può essere diverso da un’edizione ad un’altra). Per quanto riguarda i contenuti, il tratto piú importante della Bibbia siriaca è l’assenza dall’antica traduzione neotestamentaria della Peshitta di alcune delle lettere cattoliche (2 Pietro, 221 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock 3 Giovanni, Giuda) e dell’Apocalisse di san Giovanni; nella maggior parte delle edizioni a stampa del Nuovo Testamento in siriaco, tuttavia, il testo siriaco di questi libri è stato inserito ricorrendo a traduzioni posteriori. Sebbene la Peshitta sia il testo biblico standard, non è la sola traduzione siraca della Bibbia. Per l’Antico Testamento, c’è una traduzione fatta dal greco dei LXX. Questa versione è conosciuta in siriaco come “I Settanta” (Shab‘in), ma è chiamata Siro-esaplare dagli studiosi: fu fatta dallo studioso siro-ortodosso Paolo di Tella durante gli anni 614-616 ad Alessandria d’Egitto. Sebbene la traduzione non fosse probabilmente destinata all’uso liturgico, il suo testo si trova talvolta nei lezionari siro-ortodossi. La Siro-esaplare sopravvive in un certo numero di manoscritti, ma sfortunatamente non ne abbiamo il testo completo (parti del Pentateuco e dei libri storici sono perdute). Lo studioso siro-ortodosso Giacomo di Edessa (+ 708) mise mano ad una traduzione rivista di certi libri dell’Antico Testamento, basando il suo lavoro sia sul greco dei LXX che sulla Peshitta. Una parte del suo lavoro sopravvive in un piccolo numero di manoscritti molto antichi. Anche pochi altri resti di traduzioni dal greco in siraco di singoli libri dell’Antico Testamento sopravvivono; essi potrebbero essere stati commissionati dal teologo siroortodosso Filosseno (Aksenoyo) di Mabbug (+ 523). Per il Nuovo Testamento, conosciamo un certo numero di altre versioni siriache, oltre alla Peshitta. La piú antica traduzione siriaca dei Vangeli era quasi certamente nella forma di un’armonia dei quattro Vangeli 22 I. Come ci raggiunge la Bibbia? conosciuta come Diatessaron, una parola che significa “attraverso quattro”, cioè un solo testo evangelico derivato dai quattro Vangeli. Di esso ci sono giunte solo citazioni della forma originale, e molta incertezza circonda la sua paternità e la sua origine. Si pensa comunemente che il Diatessaron sia stato composto da Taziano, personaggio originario della Mesopotamia che studiò a Roma sotto Giustino martire alla metà del II secolo d.C. e poi ritornò nella sua patria. Non si sa se egli abbia composto la sua armonia dei Vangeli in greco o in siriaco. Nell’antica Chiesa siriaca, prima che esistesse la Peshitta del Nuovo Testamento, il Diatessaron era evidentemente considerato come un testo evangelico autorevole, dal momento che sant’Efrem ne scrisse un commentario nel IV secolo. Una volta esistita la Peshitta del Nuovo Testamento, all’inizio del V secolo, il Diatessaron cadde in disgrazia e, conseguentemente, nessun suo manoscritto completo sopravvive in siriaco. Poi, dopo il Diatessaron, venne la traduzione conosciuta come Vetus Syra, della quale sopravvivono solo i quattro Vangeli (conservati in due manoscritti molto antichi). La data in cui questa traduzione fu fatta rimane incerta; alcuni studiosi suggeriscono il tardo II secolo o il primo III secolo, mentre altri preferiscono posticipare la datazione all’inizio del IV secolo. In ogni caso, la Vetus Syra sembra essere successiva al Diatessaron e in molti passi essere stata influenzata dal Diatessaron. È probabile che la Vetus Syra originariamente si allargasse agli Atti degli Apostoli e alle Lettere, ma non esiste nessun manoscritto che abbia la recensione della Vetus Syra di questi libri. Abbiamo già visto che la Peshitta del Nuovo Testamento in effetti non è una traduzione completamente nuova 23 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock dal greco, ma una revisione della Vetus Syra, corretta sulla base del testo greco. Dal V al VII secolo, la lingua e la cultura greca divennero sempre piú prestigiose agli occhi degli studiosi siriaci, specialmente nella Chiesa siro-ortodossa; come conseguenza, furono messe a punto due ulteriori revisioni del Nuovo Testamento in siriaco, sforzandosi di portarlo al maggior grado di conformità possibile con l’originale greco. Sappiamo che il chorepiskopos (una sorta di vicario generale) Policarpo completò una revisione della Peshitta del Nuovo Testamento nel 508. Il lavoro gli era stato commissionato dal teologo siro-ortodosso Filosseno, metropolita di Mabbug (Menbij), e perciò porta comunemente il nome di Nuovo Testamento “filosseniano”. Sfortunatamente, la versione filosseniana è perduta, tranne alcune citazioni: segno, questo, che non è mai ampiamente circolata. È possibile tuttavia che le traduzioni superstiti del VI secolo delle Lettere cattoliche minori e dell’Apocalisse appartengano a questa revisione, nel qual caso abbiamo qualcosa della versione filosseniana, almeno per pochi libri. Questa revisione filosseniana perduta serví come base per ancora un’ulteriore revisione del Nuovo Testamento siriaco, completata nel 616 ad Alessandria dallo studioso siro-ortodosso Tommaso di Harkel. Questa revisione, conosciuta come Harclense (Harqloyo), ci fornisce un’interessante traduzione speculare, che riflette ogni dettaglio dell’originale greco. Il Nuovo Testamento harclense sopravvive completo, e include le Lettere cattoliche minori e l’Apocalisse. 24 I. Come ci raggiunge la Bibbia? Possiamo quindi riassumere i dati riguardanti la Bibbia siriaca secondo questo schema: ANTICO TESTAMENTO Ebraico 8 Greco 8 Greco 8 (LXX) Greco e 8 Peshitta NUOVO TESTAMENTO Greco 8 8 8 8 8 Peshitta (ca. II sec. d.C.) Filosseniana (Isaia; primo VI sec.) Siro-esaplare (616) revisione di Giacomo di Edessa (solo certi libri; ca. 700) Diatessaron (armonia dei Vangeli, II sec. d.C.) Vetus Syra (ca. III sec.) Peshitta (ca. 400) Filosseniana (508) Harclense (616) 25 II. LA BIBBIA SIRIACA: UNO SGUARDO PIÚ´ DA VICINO 1. L’Antico Testamento Tradotto dall’ebraico: la “Peshitta” Il nome Peshitta significa “chiara, semplice”; fu dato alle versioni siriache standard della Bibbia (sia dell’Antico che del Nuovo Testamento, entrambe con una propria storia, indipendente l’una dall’altra) per distinguerle dalle traduzioni del VII secolo, la Siro-esaplare e l’Harclense. Il nome si incontra per la prima volta con l’autore Moshe bar Kepha; autori piú antichi si riferivano semplicemente alla Peshitta come alla “Siriaca”. Le origini della Peshitta sono assai oscure, e gli autori siriaci non hanno chiara memoria di come e quando l’opera sia stata portata a termine (poche improbabili supposizioni erano nondimeno circolate). Tuttavia, uno studio attento della traduzione può gettare un po’ di luce sulla questione; da tale studio possiamo dedurre le cose seguenti. La Peshitta dell’Antico Testamento non è l’opera di un solo traduttore, ma deve essere stata realizzata da molti traduttori diversi, forse al lavoro per un lungo arco di tempo. Tutti i traduttori lavorarono essenzialmente a partire dal testo ebraico, e questo testo era fondamentalmente lo stesso del testo ebraico consonantico delle nostre Bibbie ebraiche a stampa. Poiché sappiamo che questo testo con26 II. La Bibbia siriaca: uno sguardo piú da vicino sonantico divenne il testo ebraico autorevole ad un certo momento nel tardo I secolo d.C., è probabile che i traduttori abbiano lavorato dopo che esso si era ampiamente diffuso. In alcuni libri, i traduttori sembrano aver consultato o fatto uso di altre traduzioni: cosí, in vari passi nel Pentateuco (Genesi, Deuteronomio) troviamo alcuni interessanti collegamenti tra la Peshitta e i targumim aramaici e per alcuni libri dei Profeti e per quello della Sapienza i traduttori probabilmente consultarono qua e là i LXX, per cercare aiuto per i passi difficili in ebraico. I nessi con i targumim riscontrabili in certi libri ci portano a supporre che almeno per tali libri i traduttori fossero probabilmente degli ebrei piuttosto che dei cristiani. In altri libri, tuttavia, ci sono indizi che indicano traduttori cristiani, anche se è probabile che essi fossero di origine ebraica, dal momento che la conoscenza dell’ebraico sarebbe altrimenti difficile da spiegare. Per chi studia le traduzioni della Bibbia, è di particolare interesse considerare i tratti distintivi di ogni singola traduzione. Qui ci concentreremo su alcune insolite traduzioni interpretative che si possono trovare nei diversi libri della Peshitta dell’Antico Testamento; molte di esse hanno le loro radici nella tradizione esegetica giudaica. È stato accennato nel capitolo I che persino il traduttore che si accinge a fare una traduzione letterale non può evitare di scegliere tra due o piú possibili interpretazioni nei casi in cui l’originale ebraico sia oscuro o ambiguo. Il testo ebraico delle parole di Dio a Caino in Genesi 4,7, “Se agisci bene, non [c’è] accettazione?”, può avere piú interpretazioni, dovute all’ambiguità della parola s’t (“ac27 “Una fontana inesauribile” / S.P. Brock cettazione”). S’t deriva dal verbo nasa, che può avere almeno quattro sensi diversi, tutti possibili nel contesto: 1) “elevare”, nel senso di “offrire”. È come traduce il greco dei LXX (“Se offri bene...”). 2) “sollevare”, nel senso di “accettare”. Il traduttore siriaco opta per questa interpretazione e la sottolinea cambiando il tempo verbale: traduce infatti usando il passato, qabblet, letteralmente “Ho ricevuto/accettato”, ma in questo contesto può avere sia la sfumatura “certamente accetterò” (cioè, se tu [Caino], agirai bene in futuro), o “avrei accettato” (cioè, se tu avessi agito bene nella prima occasione). Due revisori ebrei della Bibbia greca hanno una simile interpretazione della parola. 3) “sollevare” nel senso di “perdonare”. Questo è come i targumim comprendono il passo (“tu sarai perdonato”). 4) “sollevare” nel senso di “sospendere”. Questa interpretazione della parola è stata scelta dall’autore del Targum samaritano (“Io sospenderò”). È interessante vedere che la maggior parte dei traduttori moderni basano la loro traduzione sulla seconda interpretazione, seguendo cosí le orme della Peshitta. Nel versetto successivo (4,8), l’ebraico ha evidentemente perduto alcune parole, perché si dice “E Caino disse a suo fratello... E quando erano nel campo, Caino si sollevò contro suo fratello Abele e lo uccise”. Tutte le antiche versioni, inclusa la Peshitta, compensano la perdita con alcune parole adatte, di solito “Andiamo nel campo”. Ma il traduttore della Peshitta fa qualcosa d’altro: invece di tradurre letteralmente la parola ebraica per “campo”, la rende con “valle” (pqa‘ta). Qual è la ragione per questa al28 II. La Bibbia siriaca: uno sguardo piú da vicino terazione apparentemente intenzionale? Un indizio per la risposta si può trovare in Ezechiele, dove il paradiso è descritto come una montagna. Non c’è nessun accenno a questo nel testo ebraico della Genesi, ma i lettori ebrei e cristiani hanno regolarmente capito la topografia di Genesi 1–4 alla luce di Ezechiele (l’idea era anche divulgata nel libro non canonico conosciuto come Enoch): il paradiso era concepito come una montagna e, dopo che Adamo ed Eva ne furono cacciati, si sarebbero stabiliti sulle colline ai piedi della montagna. Abele e Caino offrirono il loro sacrificio su una di queste colline, ma quando Caino condusse via Abele con l’intenzione di ucciderlo, lo portò giú, su un terreno piú basso, in altre parole nella “valle” che il traduttore della Peshitta ha introdotto qui nel testo biblico. Gli antichi commentari del passo in questione intendono spesso la topografia in questo modo, ma la Peshitta è l’unica traduzione biblica ad incorporare tale comprensione nella Bibbia stessa. Secondo il testo ebraico di Genesi 8,5, l’arca di Noè si arenò sul monte Ararat (in Armenia, nella moderna Turchia nord-orientale), e l’“Ararat” si troverà in tutte le traduzioni moderne. Ma nella Peshitta l’arca si ferma sulle “montagne del Qardu”, cioè molto piú a sud, nel Kurdistan (la moderna Turchia sud-orientale). Non si trattava, naturalmente, di un cambiamento intenzionale da parte del traduttore; qui, come in molti altri passi, egli sta semplicemente seguendo la tradizione ebraica comune ai suoi giorni. L’“Ararat” del testo ebraico era infatti identificato con il Qardu sia da Giuseppe Flavio, che scriveva in greco nel tardo I sec. d.C., sia dalle tradizioni targumiche. In virtú di questa identificazione operata dalla 29