Il segreto delle scarpe in fossa

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Il segreto delle scarpe in fossa
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Il tesoro delle scarpe sotto terra
“L’infossamento” come tecnica di conservazione e
maturazione risale al XV secolo quando gli abitanti della
zona circostante il fiume Rubicone cominciarono ad
utilizzare le fosse per conservare fino all’inverno e alla
primavera successivi granaglie e formaggi. Il formaggio
ricoperto da foglie, in grotte di terra molto umide, dette
tufacee, assumeva in questo modo un sapore singolare
tenedente al piccante e un odore ricco di aromi. Le scarpe
di fossa Lattanzi seguono esattamente la stessa procedura
ed invecchiano così naturalmente sotto terra.
L’infossamento in questo caso non va (ovviamente) a
influire sul sapore, bensì sui colori della tomaia. Il
pellame assume naturalmente nuance, toni e sfumature
così particolari e sorprendenti da non essere riproducibili
“in laboratorio” dall’invecchiamento effettuato a mano.
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Il mistero
Diceva Erasmo da Rotterdam che le migliori idee non
vengono dalla ragione ma da una lucida e visionaria
follia. Nel caso delle “scarpe di fossa”, la follia di
prendere, nel 2005, 50 paia di scarpe e di sotterrarle in
fosse nel giardino del nostro laboratorio ci fu ispirata da
un “giallo” storico risalente a più di un secolo fa e risolto
solo grazie ad un paio di stivaletti.
É il 14 giugno 1837 quando in una camera da letto di un
piccolo appartamento di Napoli muore a soli 38 anni,
stroncato da un attacco d’asma, il più grande poeta
italiano dopo Dante: Giacomo Leopardi. Gli amici più
cari del poeta riescono ad impedire che il corpo venga
gettato in una fossa comune come previsto da
un’ordinanza dell’epoca che mira a impedire il dilagarsi
di una perniciosa epidemia di colera. La salma viene
deposta nella Chiesa di San Vitale a Fuorigrotta e la
tomba del poeta diviene monumento nazionale.
Il 21 luglio 1900 la salma viene riesumata per
accertamenti. La tomba aperta mostra il suo sconcertante
contenuto a tutti i presenti, ministri, studiosi, medici: i
resti sono confusi, non sono disposti correttamente. La
quantità di ossa lascia subito pensare che il corpo di
Giacomo Leopardi non sia più integro. I femori analizzati
sembrano non corrispondere ad un uomo della statura del
poeta. La bara è rotta. All’interno c’è un pezzo di legno
che non appartiene alla cassa. E il cranio non c’è. É
sparito.
Si susseguono indagini ed ipotesi che portano a una pista:
nel 1898 era stato restaurato il pronao della Chiesa di
San Vitale. Forse per un incidente durante i lavori la
cassa viene danneggiata gravemente. I poveri resti del
grande Leopardi si confondono con la terra, con i
calcinacci. Il cranio chissà dove finisce. Il responsabile di
tanto scempio forse decide di rimediare alla bell’e
meglio: copre la parte rotta della cassa con un pezzo di
legno di fortuna.
La leggenda vuole che a fare chiarezza e a mettere tutti
d’accordo sull’identità di Giacomo Leopardi fosse stato
un paio di polacchini rinvenuti all’interno della bara.
Sopravvissuti alla sepoltura per 63 anni, risultavano
un po’ malridotti ma tutto sommato perfettamente
conservati.
Ma, cosa più importante, coincidevano sia nella misura
che nella fattezza con quelli solitamente indossati dal
poeta come testimoniato dai suoi ritratti. A maggior
conferma anche la presenza sugli stivaletti dello speciale
tacchetto rialzato che Leopardi era solito commissionare
al proprio calzolaio per slanciare la sua esile e minuta
figura.
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Il processo di stagionatura in fossa
Dal 2005 ci sono 5 fosse nel giardino circostante il nostro
laboratorio. Le fosse, a forma di fiasco, hanno una
profondità variabile tra il metro e i tre per 2 di diametro.
Al loro interno la temperatura è di circa 20 °C e l’umidità
si aggira intorno all’80/90 per cento.
Esattamente come nel ‘400 con il formaggio, le calzature
vengono adagiate su un tappeto di paglia per proteggerle
dalle infiltrazioni d’acqua e ricoperte con alloro, fiori
secchi ed altre erbe profumate. Sono loro il segreto delle
nuances particolarissime che caratterizzano la
“maturazione” della scarpa.
Le fosse vengono poi ricoperte da una pesante lastra di
vetro temperato che assume una duplice funzione: da un
lato serve a controllare periodicamente il processo di
invecchiamento, dall’altro permette ai raggi del sole di
raggiungere le calzature per donare loro sfumature
eccezionali. Lo spessore del vetro pari a 3 cm fa sì che
durante la stagione più calda i raggi ultravioletti non
aggrediscano troppo violentemente i pellami.
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L’apertura delle fosse
Nell’ottobre del 2009, dopo 4 anni, 2 delle 4 fosse
vengono aperte alla presenza delle autorità, della stampa
e di un notaio che provvede a “rompere” i sigilli apposti
nel 2005. Sono necessari 6 uomini per sollevare il
pesante oblò di vetro che protegge la prima fossa.
Ci affacciamo sul bordo per verificarne il contenuto che
ci lascia inizialmente sconcertati: 1/3 della cavità è piena
di acqua e fango, risultato probabile delle piogge
abbondanti degli ultimi giorni. Delle scarpe non sembra
esserci traccia.
Eppure devono essere lì sotto da qualche parte. Marcello,
il nostro primo artigiano, con un balzo entra fisicamente
nella fossa e con l’ausilio di un bastone comincia a
smuoverne il fondo fangoso.
E riporta in superficie la prima scarpa, ricoperta di fango
e detriti, consegnandola nelle mani di Silvano Lattanzi.
Per una curiosa coincidenza la prima scarpa ripescata
altro non è che la riproduzione dello stivaletto
leopardiano che 4 anni prima avevamo voluto inserire
nelle fosse come “omaggio” al grande poeta recanatese.
Interpretiamo il fatto come una sorta di “benedizione
ultraterrena” della nostra follia e infatti, una dopo l’altra,
vengono ripescate norvegesi, mocassini, Oxford e
persino calzature in struzzo e alligatore.
Un getto d’acqua per lavarle dal fango e tutti le
guardiamo con soddisfazione e orgoglio: perfettamente
integre dopo 4 anni passati nelle fosse, nonostante le
infiltrazioni di acqua e fango. Un risultato impensabile,
senza l’uso di pellami e cuoi di prima scelta.
Le tomaie presentano strane sfumature di colore dal
verde al giallo, ma è un aspetto solo provvisorio.
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Il trattamento a posteriori
Dopo l’estrazione dalle fosse ha inizio il processo
necessario a rendere di nuovo indossabili le calzature
estratte e soprattutto a valorizzarne l’unicità delle
colorazioni assunte.
La suola, dopo 4 anni in fossa, non è più utilizzabile.
Viene quindi rimossa. La tomaia invece viene ripulita,
idratata e rimontata sulla forma dove rimarrà ad
asciugare per almeno 2 settimane.
Alla fine di questo periodo si procede all’applicazione di
un nuovo fondo, e alla manutenzione finale della tomaia.
Quest’ultima presenta giochi di colori e macchie
molto forti. Noi non facciamo altro che ripulirla
completamente dai residui e lucidarla: all’anticatura ha
già sapientemente provveduto madre natura.
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L’ ordine
Nel 2009 dall’apertura delle prime 2 fosse, sono state
estratte 10 paia di calzature, divise fra le boutiques
Lattanzi, dove è possibile visionarle e ordinarle.
Attualmente i tempi di attesa per un paio di calzature
invecchiate in fossa partono da un minimo di 7 mesi . La
calzatura dopo questo periodo viene estratta e mostrata al
cliente che deciderà se far terminare o continuare il
processo d’invecchiamento.
Ogni modello e ogni pellame può essere invecchiato in
fossa, compresi alligatore e struzzo. Il risultato
dell’infossamento, cioè le nuances che la tomaia andrà ad
assumere a contatto con il terreno e gli agenti
atmosferici, non è a volte prevedibile, ma forse è proprio
questo il bello: la certezza di avere al piede un pezzo
unico al mondo.
Nelle 2 fosse che non furono aperte nel 2009, continuano
tutt’ora a “riposare” circa 40 paia di calzature. La loro
prossima apertura è prevista per il Maggio del 2013.
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