Definitivo per stampa - Quaderni di ricerca sull` artigianato
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Definitivo per stampa - Quaderni di ricerca sull` artigianato
87 ARTIGIANATO E DESIGN NEL MONDO POST-MANIFATTURIERO Michele Trimarchi Docente di Economia della Cultura (Università di Bologna) e di Economia e Politica dei Beni Culturali (Università della Tuscia Il sistema economico sta attraversando una fase di radicale trasformazione. I tempi, i modi e soprattutto gli esiti di un processo intenso e profondo non si possono prevedere. Ciò che in ogni caso può fornire utili indicazioni per identificare e comprendere gli orientamenti di tale processo è il superamento di un paradigma ritenuto da troppi e troppo a lungo l’età dell’oro della storia dell’umanità. Il capitalismo manifatturiero (sarebbe più opportuno definirlo seriale), generato da un coagulo di innovazioni tecnologiche e di assestamenti filosofici, spinto da un club omogeneo desideroso di sostituire l’aristocrazia ormai cristallizzata, ha di fatto interrotto un flusso pacato ma solido che – pur nelle diseguaglianze e nelle forme del ben- essere – forniva un confortante modello di riferimento e consentiva una estesa diffusione di aneliti creativi e una sostanziale condivisione della bellezza. L’interruzione si è consolidata anche grazie all’introduzione di un sistema fatto di etichette, di gerarchie, di qualifiche. La cultura, unica vera carta d’identità della borghesia capitalistica, ha proceduto per dogmi e per formalizzazioni, quanto meno nel dibattito che l’ha trasformata in un driver etico e imprescindibile che consentiva ai decisori e agli imprenditori di sentirsi nettamente distinti e superiori rispetto alla massa magmatica e scomposta dei 88 Quaderni di ricerca sull’artigianato moltissimi subalterni. Questa deriva piuttosto supponente ha finito per confinare in un limbo poco attraente svariate forme di creazione artistica, di produzione materiale e di decorazione quotidiana che venivano ritenute inferiori nella caratura e nel significato rispetto all’arte e alla cultura, che si identificavano – nella vulgata di una società in fondo compiaciuta – con una lista di oggetti risalenti al passato, di attività rispettose di uno statuto estetico ed etico. L’artigianato è stato a lungo tra le vittime di questo sistema autoreferenziale. Pur consistendo in un processo con radici site-specific, con tecniche non seriali e più vicine alla forgia che non alla clonazione, con una forte capacità di rappresentazione simbolica e identitaria, è rimasto dentro la gabbia dell’arte minore soltanto perché non generato dal titano oleografico in cui la società ha identificato l’artista creativo, solo e magari un po’ incompreso, matto e povero, delirante e visionario: una figura mitologica che ha consentito di usare l’arte e la cultura come un vocabolario ermetico da tenere segreto. Naturalmente la fenomenologia del sistema manifatturiero e, in parallelo, quella del sistema culturale si sono mosse lungo il canale della persuasione e dell’imposizione. Slogan contrapposti hanno descritto a lungo lo schema dello scambio: è l’impresa a gabbare i consumatori inducendo bisogni inesistenti, o è il consumatore a dettare legge al mercato spingendo l’impresa a produrre? E’ l’artista a generare valori criptici che solo pochi possono comprendere, o è il fruitore a dare valore alla cultura? Schemi estremi, come si vede, e per molti versi surreali. In mezzo, nella grande area grigia che incorpora in modo autentico la complessità della realtà, sta un ARTIGIANATO E DESIGN NEL MONDO POST-MANIFATTURIERO modello di creazione, produzione e scambio coltivato con morbidezza nella bottega artigiana, nel funduk, negli spazi urbani: prima della rivoluzione industriale si poteva produrre dovunque (bastava davvero poco, oltre a una forte propensione creativa mescolata a un’incisiva capacità manuale); nonostante la concentrazione dei processi produttivi nell’impresa, luogo di convergenza degli operai, l’artigianato ha mantenuto il proprio approccio relazionale e flessibile, sopravvivendo in un ecosistema culturalmente ostile. Così, la lettura istituzionale dell’arte – scaturita per la prima volta dalla famosa controversia tra Constantin Brancusi e il governo degli Stati Uniti – pur ritenendo indispensabile la produzione non seriale dei manufatti artistici si mostra vittima della deriva etica ed enfatizza i requisiti della mimesi naturale, della piacevolezza e dell’inutilità come dirimenti. L’artigianato, originale per sua natura, frutto di un processo unico e non standardizzato, piacevole quanto si vuole, tuttavia non descrive la natura e soprattutto è estremamente utile nei prodotti che non vedrebbero la luce se non rispondendo a un bisogno. Bello e utile, anzi bello in quanto utile, e naturalmente utile in quanto bello. Soprattutto in una fase di snodo che sta cambiando gli stessi fondamentali della società rappresentare sé stessi attraverso gli oggetti di uso quotidiano che ciascuno maneggia, sistema, ripone e utilizza per seri motivi concreti risulta essenziale e molto importante. Inoltre la fonte ultima del prodotto artigianale, qualunque esso sia, risiede in una relazione e pertanto si basa su forme di creatività dialogica ed evolutiva: il funduk non è un negozio e tanto meno un grande magazzino, ma uno spazio nel quale si pongono a confronto visioni complementari, si combinano sapienze eterogenee, si ibridano conoscenze tecniche, urgenze estetiche e 89 90 Quaderni di ricerca sull’artigianato bisogni materiali. Se l’artigianato riprende la valenza primaria e irrinunciabile che ha sempre avuto (e che l’interruzione seriale ha cercato di sottrargli), nuovi spazi di significato vengono esplorati con acuta efficacia dal design, un campo affermatosi grazie alla propensione poetica di artigiani intellettuali capaci di elaborazione strategica e filosofica, mantenuto in vita dal ruolo convenzionale di status symbol, tornato da poco ma con forza per la sua capacità di coniugare utilità e responsabilità, tra ambienti familiari e consumi frugali, senza rinunciare alla dimensione ludica e se si vuole infantile che possiamo ritrovare tanto in Enzo Mari quanto in Michele De Lucchi. Non è più una questione legata al made in Italy in quanto tale. Mostrare i muscoli per duecento anni ha sfibrato il sistema culturale del nostro Paese e ne ha inaridito molte opportunità. Immaginare che lo scopo del gioco sia attrarre masse entusiastiche da tutto il mondo, o addirittura recapitare loro prodotti dei quali non potrebbero fare a meno è una svista notevole. L’efficacia delle cose belle e utili non deve aspettarsi documenti d’identità o biglietti di viaggio per sentirsi bene; la relazione di fondo deve consolidarsi nel territorio, con quella comunità estesa e variegata che respira l’atmosfera creativa, che si muove in aree di permeabilità emotiva, cognitiva e produttiva rispetto alle fucine e agli atéliers in cui le cose vengono forgiate. Se la relazione con la comunità è solida, il che può scaturire dalla capacità funzionale e simbolica delle cose create e prodotte, allora il resto del mondo non potrà che percepire il valore e l’importanza delle cose stesse; dalle imprese ai turisti, dai commercianti ai possibili consumatori di ogni luogo certamente la produzione artigianale e di design che possieda ARTIGIANATO E DESIGN NEL MONDO POST-MANIFATTURIERO la ricchezza infungibile dell’elaborazione e della fabbricazione capace di raccontare il territorio e la comunità genererà una cascata di effetti sulla società e sull’economia locali, anche attraverso la diffusione esterna, la partecipazione convinta, l’innervamento dei propri empiti creativi in ulteriori processi e prodotti. Sarebbe davvero utile che il resto della produzione e dell’attività culturale (dalla conservazione dei beni monumentali e delle collezioni museali alle rappresentazioni teatrali, musicali e di danza) guardasse all’artigianato e al design come ai comparti verso i quali convergono con elegante intelligenza e con umile visionarietà tanto le risorse creative quanto i bisogni materiali, tanto le capacità relazionali quanto le urgenze poetiche. E’ la mappa del mondo che verrà, che in parte si sta già manifestando in ambiti magari non convenzionali ma significativi. L’artigianato, così come il design, non ha più bisogno di accreditarsi con aggettivi in definitiva tautologici (l’artigianato d’arte con cui si stabiliva l’ennesima gerarchia): è il sistema produttivo meno rigido, più fertile, più capace di interpretare il corso delle cose senza pretese elitarie, regalando la bellezza e l’utilità a chiunque, dovunque. 91