piani altitudinali della vegetazione

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piani altitudinali della vegetazione
PIANI ALTITUDINALI DELLA VEGETAZIONE
L’incremento dell’altitudine lungo le pendici dei monti determina un abbassamento delle temperature
medie e dell’umidità dell’aria. Siccome temperatura e umidità sono le due variabili fondamentali del
clima, una loro graduale e contemporanea diminuzione produce differenze climatiche.
Queste variazioni climatiche distribuite in altitudine influiscono direttamente e note-volmente sul tipo di
vegetali, che lungo i versanti cambia anche bruscamente, gene-rando fasce orizzontali omogenee e ben
distinguibili: i piani altitudinali della vege-tazione. L’altitudine delle varie fasce varia col clima generale
della regione.
La comunità vegetale ha un significato globale, perché determina in grande misura anche il tipo di
comunità animale, dal momento che crea un ambiente particolarmente adatto a determinate specie
animali.
Si distinguono le seguenti fasce di vegetazione con le rispettive specie caratterizzanti, valide per gli
ambienti dell’Alto Adige, con le quote medie di riferimento:
Collinare
(200 – 600 m)
roverella, orniello, carpino
Submontano
(600 – 900 m)
pino silvestre e faggio
Montano
(900 – 1600 m)
abete rosso
abete rosso, larice, cirmolo
Subalpino
(1600 – 2200 m)
carici (erbe), rododendri (arbusti)
Alpino
(2200 – 2800 m)
licheni crostosi
Nivale
(oltre i 2800 m)
Le quote sono indicative e possono variare per motivi microclimatici, situazioni microclimatiche
particolari possono sconvolgere questo schema di massima
Origine delle fasce altitudinali di vegetazione
Salendo lungo le pendici dei monti constatiamo un abbassamento delle temperature medie e
dell’umidità dell’aria. Siccome temperatura e umidità sono variabili fondamentali del clima, una loro
graduale e contemporanea diminuzione con l’altezza, come nel nostro caso, oppure lungo una distanza
in orizzontale come quella che separa l’equatore dai poli terrestri, produce differenze climatiche.
In una distanza verticale di 3000 m (o 6000 m, come sulle Ande o sul massiccio del Kilimangiaro)
possiamo avere differenze paragonabili a quelle che da equatore ai poli, seguendo i meridiani, si
realizzano in migliaia di chilometri. Con un solo sguardo è possibile a volte cogliere gli effetti di queste
variazioni di clima, poiché questo influisce direttamente e notevolmente sul tipo di vegetali, che
cambia lungo i versanti nel volgere di poche centinaia di metri, generando fasce orizzontali omogenee e
ben distinguibili.
Si può dire che lungo il versante di una montagna sufficientemente elevata si succedono climi diversi e
coperture vegetali corrispondenti a questi climi.
MATERIALI DIDATTICI – Sea Ipc. Dobbiaco Alta Pusteria - Istituto Pedagogico Bolzano
Fasce vegetazionali e microclimi
Possiamo citare un esempio di questa distribuzione delle diverse associazioni vegetali in piani altitudinali
osservando le pendici meridionali del Gruppo di Tessa a Merano, ove esiste un osservatorio unico nel
suo genere nelle Alpi, poiché in un solo colpo d’occhio si possono vedere i sei piani altitudinali,
Assieme all’altitudine anche l’orientamento del versante, la sua inclinazione e l’esposizione ai venti
influiscono sul clima di ogni fascia altitudinale orizzontale. Alla stessa altitudine, cioè allo stesso piano,
possiamo osservare differenze nette di copertura vegetale (e di presenza animale) nello spazio
orizzontale anche di pochi metri. Chiamiamo microclima quell’insieme di condizioni come temperatura e
umidità che differiscono anche notevolmente dai valori medi della regione e può interessare aree che
vanno da pochi ettari a metri quadrati.
Dunque in un piano altitudinale possiamo incontrare piccole zone il cui clima è diverso da quello tipico
della fascia, per motivi differenti da quello dell’altitudine.
Le associazioni vegetali stabili alla fine della storia di avvicendamenti di specie diverse
Ad ogni fascia vegetazionale spesso corrisponde una associazione vegetale climax. L’associazione climax
è quella stabile e in qualche modo definitiva, ultimo stadio di un processo di colonizzazione del versante
da parte dei vegetali.. La storia della colonizzazione di un ambiente è detta “successione ecologica”. Si
tratta di una sequenza di fasi che vede l’avvicendamento di specie vegetali pioniere, poi di altre
successive non definitive che preparano l’ambiente (i suoli soprattutto) per la fase finale e infine l’ultima
fase o climax.
Quindi la conquista di un territorio da parte, per esempio, della comunità del bosco di abeti non inizia
con la crescita di abeti che compaiono solo alla fine della successione.
Variazioni climatiche, l’azione dell’uomo o di eventi naturali (frane, alluvioni ecc.) possono rimettere in
gioco anche la comunità definitiva e la copertura vegetale può trasformarsi ulteriormente. I nomi delle
associazioni stabili che si trovano in tabella indicano solo la pianta più tipica della fase finale,
rappresentante di tutta la comunità vegetale che può essere molto diversificata.
Piani vegetazionali altitudinali e distanza dall’equatore terrestre
Le altitudini che segnano il confine tra i piani vegetazionali successivi variano a seconda della distanza
dall’equatore, quindi delle temperature medie della regione al livello del mare e variano anche a
seconda dell’orientazione del versante rispetto al sole.
Le quote a cui si trova una data comunità variano a seconda del clima presente nella regione. In un clima
freddo già nelle parti basse dei versanti avremo associazioni vegetali tipiche di climi rigidi, che altrove
possiamo trovare solo a grandi altezze.
In Norvegia, ad esempio, il limite degli alberi si trova attorno ai 1400 m, nella tundra artica siberiana è al
livello del mare, mentre nelle Alpi a cavallo dei 2000 m, ma anche nell’ambito dell’arco alpino si trovano
variazioni dell’ordine delle centinaia di metri, con una riduzione di quota, da Ovest vero Est, oppure
dalle zone interne della catena alpina verso quelle esterne ed ovviamente da Sud a Nord.
MATERIALI DIDATTICI – Sea Ipc. Dobbiaco Alta Pusteria - Istituto Pedagogico Bolzano
Descrizione dei piani altitudinali vegetazionali tipici delle Alpi.
PIANO
ASSOCIAZIONE VEGETAZIONALE STABILE TIPICA caratteristiche ambientali FAUNA
LIMITI
SEPARATORI
NIVALE oltre 2800 m
TALLOFITE: LICHENI CROSTOSI
(piante primitive senza organi come rami, foglie, radici, tronco, costituite solo di un limite per le
corpo piccolo e di semplice forma: muschi, licheni, epatiche)
piante a fiore
Sul piano subnivale-nivale il terreno non è coperto da un tappeto vegetale continuo; (fanerogame)
solo
dato il clima subpolare caratterizzato da periodi vegetazionali molto brevi della durata presenti
molto
di talvolta anche meno di due mesi, forti venti, pochissime risorse minerali, la specie
mancanza di acqua e la copertura nivale che spesso dura dieci mesi, queste piante resistenti come
sono caratterizzate da una crescita limitata e spesso anche dal fatto di crescere in le sassifraghe (es.
associazioni riunite in cuscini e rosette, per ridurre la perdita d’acqua per Sassifraga
traspirazione con la loro compattezza, sparsi fra le rocce là dove trovano un minimo verdema-re:
Saxifraga caesia)
di protezione dagli agenti atmosferici.
ALPINO da 2200 m a 2800 m
ANIMALI
Gli animali si sono adattati trasferendo gran parte della propria vita sotto terra e/o
infoltendo il pro-prio pelo oppure il piumaggio o con altri accorgimenti fisiologici.
Troviamo l’arvicola delle nevi (Microtus nivalis), che sopravvive grazie alle gallerie
scavate nel terreno, la pernice delle nevi (La-gopus mutus) o insetti come il pidocchio
dei ghiacciai (Isotoma saltans).
1. CARICETO a Carex curvula
2. RHODORETO a rododendro ferrugineo (Rhododendron ferrugineum) zolle erbose
di carici, cioè di erbe dalle foglie allungate e dai fiori a spiga, molte specie tipiche
del-le zone umide di pianura e di quote inferiori; i rododendri sono arbusti,
sempre amanti dei suoli umidi, dai fiori imbutiformi rosso vivo)
La prateria alpina vera e propria rappresenta l'unica associazione vegetazionale
alpina, in tutto paragonabile alla tundra artica, ad eccezione della distribuzione delle
ore di luce nell'arco dell'anno; originariamente senza alberi e arbusti. I periodi
vegetazionali in queste altitudini superano raramente i tre mesi; per questa ragione le
piante sono spesso sempre-verdi per non sprecare tempo prezioso in primavera per la
formazione di foglie. A causa dei forti venti molte piante crescono appiattite al
terreno e non raggiungono un'altezza superiore ai 20 cm, formando spesso dei cuscini
di piante.
A causa dello sfruttamento secolare da parte dell'uomo in molte parti dell' ecosistema
alpino si è formata un associazione vegetale caratterizzata dall'annuale Nardus stricta
resistente al calpesta-.mento degli animali e in grado di una crescita molto veloce. N.
stricta forma un vero e proprio tap-peto e contribuisce in questo modo a ridurre in
modo notevole l' erosione del terreno, un pericolo sempre presente negli ecosistemi
alpini.
ANIMALI
possono talvolta
trovarsi arbusti
come il pino
mugo
limite
degli
arbusti nani
arbusti di pino
mugo
(Pinus
mugo) che a
quote più basse è
un albero, ma
anche di cespugli
di salice e ontani
verdi nelle zo-ne
più umide alle
quote inferiori:
limite degli alberi
isolati
Animali che vanno in letargo, come la marmotta, dormendo raggruppati in “clan”
durante i mesi invernali ovviano all’inconveniente dei periodi vegetazionali molto
brevi. E’ l’ambiente dello stambecco e del camoscio, dell’aquila reale), che costruisce i
suoi nidi su costoni di roccia inaccessibili e del corvo imperiale.
MATERIALI DIDATTICI – Sea Ipc. Dobbiaco Alta Pusteria - Istituto Pedagogico Bolzano
PIANO
ASSOCIAZIONE VEGETAZIONALE STABILE TIPICA caratteristiche ambientali FAUNA
SUB ALPINO Da 1600 m a 2200 m
1.
2.
LIMITI
SEPARATORI
PICEETUM SUBALPINUM
LARICETUM a Larix decidua con CEMBRETUM a Pinus cembra (Cirmolo)
Picea abies, detto anche peccio o abete rosso è l’albero classico di Natale, è una
conifera, cioè non ha un vero fiore, né frutto carnoso, i semi, detti pinoli, sono
racchiusi in una capsula legnosa, il cono, detto pigna. Può trovarsi frammisto al larice,
altra conifera. Il piano subalpino e anche quello alpino sono praticamente esclusivi
delle conifere, per la loro resistenza alle basse temperature e la resistenza delle foglie
alla siccità.
In zona il Larici-Cembretum non è quasi più presente per la trasformazione nei secoli
della vegetazione primaria in alpeggi e in prati di larice. Ciononostante esistono
numerosi cirmoli soprattutto laddove le condizioni climatiche sono talmente ostili da
permettere solamente una crescita sporadica di altri alberi. Nel Tessa il cirmolo si
limite delle fotrova in gruppi isolati e talvolta anche in associazione con larici da circa 1.900 m in su.
reste
foreste di coniI prati di larice, ma spesso anche le foreste in tutte Alpi, non sono ambienti naturali,
fere
ma sono sorti probabilmente nel corso dei secoli, quando l'uomo ha cercato di creare
pascoli ed alpeggi abbassando il limite del bosco. Questi boschi possono ancora
in Alto Adige un
raggiungere il piano montano e – per esempio in Val Venosta – addirittura quello
limite del bosco
submontano. Il larice (Larix decidua) è un albero dalla crescita molto rapida e vita
naturale esiste in
piuttosto breve. Cresce anche su terreni poveri ed ha bisogno di molta luce, ma ha
poche
zone;
sopportato bene l’azione deva-statrice dell’attività umana essendo stato risparmiato
troppo a lungo si
dai disboscamenti più di altre specie. E’ facil-mente riconoscibile sia dai fiori; quelli
è
protratta
femminili sono rossi e provvisti di striature verdi in prima-vera, quelli maschili sono
l’attività
per
gialli. Gli aghi sono di colore verde-chiaro e di consistenza tenera; si pre-sentano in
creare
pascoli
ciuffi sui germogli corti, solitari invece sui germogli lunghi. In autunno gli aghi si colomontani ed in
rano d'arancione e cadono, rendendo in questo modo i boschi autunnali dei mosaici
questo modo il
colorati. Essen-do una pianta con poche pretese e molto resistente al gelo il Larice
limite del bosco è
molto spesso è la prima specie arborea, un cosiddetto pioniere, che cresce nei varchi
stato abbassato
causati da valanghe.
di 200/300 m .
ANIMALI
A queste altitudini per cause climatiche gli anfibi e i rettili sono rari; le uniche specie
finora osser-vate dall'autore in queste quote sono la salamandra alpina (Salamandra
atra), la lucertola vivipara (Lacerta vivipara) e il marasso, chiamato anche vipera
comune (Vipera berus). In conseguenza del clima alpino tutte tre le specie
partoriscono giovani viventi senza incubare le uova ovvero incuban-dole all'interno
dell'utero, partorendo giovani vivi e già formati. Insetti tipici del lariceto sono i diversi insetti che vivono sul e del larice; famosa è la minatrice degli aghi di larice
(Coleophora la-ricella). I bruchi di questo lepidottero si costruiscono un sacchetto di
aghi di larice, nel quale conti-nuano il loro sviluppo; alberi colpiti dalla minatrice si
colorano di giallo. I camosci amano il larice-to, bosco luminoso, perché rado, perciò
ricco di arbusti di sottobosco di cui questi animali si nutro-no.
MATERIALI DIDATTICI – Sea Ipc. Dobbiaco Alta Pusteria - Istituto Pedagogico Bolzano
ASSOCIAZIONE VEGETAZIONALE STABILE TIPICA caratteristiche ambientali FAUNA
MONTANO Da 900 m a 1600 m
PICEETUM MONTANUM a Picea abies
L' abete rosso (Picea abies) può crescere su tutti i suoli, ma predilige quelli acidi; è un albero slanciato,
dalla forma conica regolare e dalla corteccia liscia e marrone che si fessura con la progressiva età
dell'albero. E’ facilmente riconoscibile per i suoi aghi verde chiaro e pungenti, inseriti a spirale attorno
i rami. I coni sono lunghi, pendenti, provviste di squame arrotondate e maturano in autunno. I fiori
maschili sono gialli, quelli femminili rossi ed eretti
L' abete rosso (Picea abies) è un albero non molto esigente per quanto riguarda il fabbisogno di lu-ce,
ama terreni non troppo compatti e acidi, ma si adatta anche alla crescita in luoghi meno ideali. Non
sopporta comunque un'eccessiva mancanza d'acqua. La fascia d'esistenza di questo albero si aggira dai
700 m fino ai 1900 m d'altezza; la densità maggiore viene però raggiunta nella fascia alti-tudinale dagli
800 ai 1400 m e perciò l'abete rosso è comunque l'albero tipico del piano montano in Alto Adige. E’
abbastanza sensibile all’aridità invernale dovuta al fatto che il terreno su aree molto esposte in
inverno è quasi sempre gelato e sottoposto a forti venti, che accelerano le perdite d'acqua dovute alla
traspirazione. E’ dunque meno adattato alle condizioni climatiche d’alta montagna di quanto non lo
siano il larice oppure il pino mugo.
Spesso le foreste d'abete rosso della zona non sono naturali, ma delle monocolture piantate
dall'uomo; esse non hanno chiaramente quella stabilità ecologica tipica delle foreste d'abete naturali,
ma sono anzi fra le associazioni vegetali più deboli e povere di altre specie.
I boschi di abete rosso puri sono boschi meno luminosi di quelli misti, per questo il sottobosco è più
povero di quello delle foreste latifoglie. Ciò dipende anche dall'acidità del terreno che viene causata
dagli aghi perduti dagli alberi e che marciscono liberando acidi organici. Ne risulta una flora del
sottobosco poco numerosa ed adattata a terreni acidi come per esempio il mirtillo nero (Vaccinium
myrtillus).
Foreste miste di abete rosso e pino silvestre sono tipiche per zone assolate del primo piano monta-no,
nel quale sono frequenti anche i castani e altri latifoglie. Alle quote più elevate, associato all'a-bete
rosso, soprattutto nelle radure, cresce anche il larice.
ANIMALI
La vita animale nelle peccete anche naturali a causa dell’uniformità dovuta all’egemonia dell'Abete
rosso è mediamente più povera di quella che si è sviluppata nelle foreste di conifere miste. Gli aghi di
abete sono una risorsa alimentare per molte larve di coleotteri cerambicidi – sono riconoscibili dalle
lunghe antenne degli adulti – come la pronocera (Pronocera angusta), le cui larve si sviluppano sotto
la corteccia di alberi morti di recente, di coleotteri Curculionidi (riconoscibili dal rostro molto allungato
e appuntito) e di sinfiti (vespe solitarie, le cui larve si cibano di vegetali) co-me la sirice gigante
(Uroceros gigas), il cui “pungiglione” serve solamente per deporre le uova in tronchi caduti e in
procinto di decomporsi.
Ma il re di questo piano è il gufo reale (Bubo bubo); questo superpredatore della notte nidifica
volentieri sui costoni di mezza montagna e ama cacciare in zone aperte come per esempio gli orti
fruttiferi e gli altopiani coltivati.
Non bisogna però nemmeno dimenticare i mammiferi come la volpe (Vulpes vulpes), lo scoiattolo
(Sciurus vulgaris), che si ciba delle gemme e dei semi di Abete rosso – ma anche, come possiamo
ricordare, di covate e il topo quercino (Eliomys quercinus), un divoratore di insetti, covate di uccellini e
uova d'uccello.
Altre specie comuni nelle comunità miste più che non nelle peccete pure sono: il capriolo (Capreolus
capreolus) che si ciba di gemme, bacche ed erbe ad alto contenuto energetico e il cervo (Cervus
elaphus) che è meno selettiva nella ricerca del cibo e si accontenta – a scapito del bosco, quando la
densità di cervi è troppo alta – anche di cortecce d'albero.
Nelle foreste di conifera miste la biodiversità vegetale aumenta in modo sensibile; questo comporta
anche un aumento di nicchie ecologiche e con esso abbiamo anche un notevole aumento delle spe-cie
di animali. Data la maggiore varietà di piante vi è anche una maggiore quantità di risorse ali-mentari
ed una maggiore varietà di nascondigli per animali erbivori e dei loro predatori.
LIMITI
SEPARATO
RI
MATERIALI DIDATTICI – Sea Ipc. Dobbiaco Alta Pusteria - Istituto Pedagogico Bolzano
Limite del bosco di latifoglie
PIANO
PIANO
ASSOCIAZIONE VEGETAZIONALE STABILE TIPICA caratteristiche ambientali FAUNA
LIMITI
SEPARATO
RI
SUBMONTANO da 600 A 900
FAGETUM a Fagus silvatica
Il faggio è un albero tipico dell'Appennino; un tempo il tipico bosco appen-ninico era un bosco misto di
abete bianco e faggio, finché gli abeti non sono stati decimati per la qualità del loro legno.
Sia il faggio che l'abete sono sensibili al caldo, ai climi troppo aridi e al gelo eccessivo; soprattutto il faggio
non sopporta questi estremi climatici. Nelle zone più umide – ma circoscritte alla zona della Catena della
Mendola – a queste altitudini crescono spesso piccole associazioni fra faggio (Fagus silvatica) e abete
bianco (Abies alba); a causa del clima secco dell’Alto Adige solamente qui questa associazione vegetale
copre una superficie abbastanza estesa.
Si trovano poi boschi misti di faggio e pino silvestre (Pinus sylvestris), una conifera.
Il pino silvestre ama la luce, colonizza spesso anche terreni molto poveri ed aridi e per queste ragioni per
questo in montagna spesso non raggiunge un'altezza superiore ai 15 m. Ha una grande importanza per il
rimboschimento di terreni denudati e molto assolati che non sono adatti neanche per l'abete rosso; ciò lo
rende più competitivo di quest’ultimo. Sopporta molto bene il gelo e l' aridità, a causa della spessa
corteccia anche gli incendi, ma i suoi rami si rompono facilmente sotto il carico eccessivo della neve. E’
riconoscibile dai suoi aghi raccolti in fascetti da due, lunghi 6-7 cm, di colore verde-bluastro e per la
maturazione triennale dei suoi coni ovali; i fiori femminili spuntano all'estremità del germoglio dell'anno,
i fiori maschili invece alla base del germoglio.
La corteccia è facilmente riconoscibile per il suo colore rossastro e per le profonde fessure che presenta
alla base. I semi sono alati e vengono liberati quando i coni si aprono nel terzo anno, quello della loro
maturazione.
Altra specie rappresentativa è il castagno (Castanea sativa).
E’ una delle poche piante introdotte dall’uomo capace di crescere e di formare addirittura boschi senza
l'apporto umano contribuendo invece ad arricchire la biodiversità vegetale ed animale in modo notevole.
Il castagno cresce soprattutto su suoli acidi di mezzamontagna e caldi; qui esso forma spesso dei
boschetti e può in questo modo arricchire notevolmente le biocenosi, dato che ospita spesso animali
ormai abbastanza rari come il gufo selvatico (Strix aluco), ma anche insetti quasi specializzati sul castagno
come il calabrone (Vespa crabro), la più grande vespa italiana; purtroppo in grave peri-colo d'estinzione.
Un grande parte dei pendici inferiori più aridi e caldi è coperta da boschi di roverella (Quercus
pubescens), orniello, acero campestre (Acer campestre), acero di monte (Acer pseudoplatanus), ontano
grigio (Alnus incana), di castagni (Castanea sativa), che crescono fino ad un'altezza di 1200 m, e di querce
(Quercus sp.) che possono crescere fino ad un'altezza di 1400 m.
ANIMALI
Data la ricchezza di nicchie ecologiche anche il mondo animale nella foresta di pino silvestre oppure in
quelle miste di pino silvestre è ben rappresentato. Citiamo la formica rossa (Formica rufa) la
processionaria del pino (Thaumetopoea pityocampa). I grossi nidi bianchi e rotondi delle larve di questa
farfallina sono visibili anche da lontano sulle corone dei pini; queste larve hanno un comportamento
sociale singolare; esse coabitano nei nidi che vengono abbandonati insieme, muovendosi in fila indiana,
per cibarsi di aghi di pino.
La vegetazione della foresta mista di pino silvestre rappresenta fra l'altro l'habitat preferito del tasso
(Meles meles) e del topolino selvatico (Apodemus sylvaticus).
Per la ricchezza di risorse alimentari le foreste di Pino silvestre sono abbastanza ricche di ungulati come il
capriolo (Capreolus capreolus)
Gran parte dell'avifauna di questa fitocenosi vi abita per ragioni alimentari e per la ricchezza di nicchie
ecologiche data dalla varietà delle specie vegetali. Questo è il caso della cincia del ciuffo (Parus cristatus),
che sotto la corteccia facilmente rimovibile del pino trova una quantità più che sufficiente di larve e del
picchio nero (Cryocopus martius) che preferisce il faggio per la costruzione della sua tana.
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PIANO
ASSOCIAZIONE VEGETAZIONALE STABILE TIPICA caratteristiche ambientali FAUNA
COLLINARE da 200 m a 600 m
1.
2.
LIMITI
SEPARATORI
QUERCETUM a Quercus pubescens (roverella)
ORNETO-OSTRYON, cioè boscaglia mista a Ostrya Carpinifolia (carpino nero), Fraxinus ornus
(orniello) ecc.
A questo piano appartengono le zone umide, come i boschi di fondovalle
E’ il piano più antropizzato e corrisponde al fondovalle.
Sono molto diffusi i frutteti ed i vigneti (bosco artificiale con una sola specie di pianta e senza
sottobosco, ma con strato erbosopovero e animali appartenenti a questa fragile comunità)
La roverella è amante del sole e sensibile al gelo, per questo non supera il piano submontano, sop-porta
bene l’aridità. Proviene infatti da zone mediterranee e là domina. Ha le foglie lobate (con il margine
intaccato da 7-8 lobi profondi) tipiche delle querce e anche a forma ovale con la parte più grande al
margine distale. Il termine pubescens deriva dalla sottile peluria che riveste la pagina inferiore delle
foglie e il picciolo. Le sue ghiande sono alimento per molti animali. Nel sottobosco delle roverelle si
trovano i noccioli (Corylus avellana).
Il Carpino nero si adatta a colonizzare terreni degradati e impervi, con suoli anche poco profondi, date le
radici superficiali. Può colonizzare anche il piano submontano e montano, purchè il bosco sia
sufficientemente caldo per l’esposizione favorevole. In greco “ostreion” significa “conchiglia”, da cui il
nome del genere Ostrya, infatti le infruttescenze (frutti multipli) sono formati da capsule rivestite di una
specie di fogliolina giallastra (brattea) di consistenza cartacea che sembra una con-chiglia, perciò
l’infruttescenza sembra un gruppo di conchiglie accostate e parzialmente sovrappo-ste.
ANIMALI
Per la parte animale della comunità dei boschi umidi di questo piano vedere la scheda bg5 e bc3.
Il bosco termofilo tipico è piuttosto secco, sebbene possa offrire un habitat adatto persino ad anfibi
come la salamandra (Salamandra salamandra) e il rospo che hanno bisogno di un ambiente umido. Le
foglie degli alberi formano ampi strati sul terreno e riescono in questa maniera a trattenere l'umidità così
importante per gli anfibi, a creare cioè un microclima adatto.
Tipico di questo habitat è il gufo selvatico (Strix aluco), nidifica nelle cavità degli alberi, va a cac-cia di
notte predando topi, ghiri e altri piccoli animali, il picchio verde (Picus viridis), si nutre anche di formiche
devastandone i formicai, ma come tutti i picchi tambureggia sul tronco degli alberi, anche per corteggiare
le femmine, il ghiro (Glis glis), cibo prelibato degli antichi romani, roditore simile ad uno scoiattolo, come
lui ottimo arrampicatore, segue vita notturna si trova bene anche nei frutteti, ai quali arreca danni,
sebbene questi boschi artificiali gli offrano un ambiente più monotono e perciò, eccetto il cibo, meno
ricco di risorse, come i rifugi per l’inverno, quando va in letargo in nidi tappezzati di muschio, nelle cavità
di alberi o sottoterra, spesso in nidi abbandonati di altri animali.
La lucertola muraiola (Lacerta muralis) e il biacco (Coluber viridiflavus carbonarius), che si nutre di
roditori e lucertole, sono più frequenti nelle zone coltivate, perciò più aride e scoperte. Questo è legato
alla loro fisiologia di animali a sangue freddo che solo al sole arrivano a temperature corpo-ree tali da
renderli efficienti al massimo, ma anche animali affrancati dall’acqua, quali sono i rettili, capaci di
resistere all’aridità, al contrario degli anfibi.
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