Maninensi carissimi, buongiorno.

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Maninensi carissimi, buongiorno.
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Maninensi carissimi, buongiorno.
Questa è un’occasione speciale. È l’ultimo numero del Maninians di quest’anno. Non solo, per molti di noi
della Redazione è l’ultimo numero di questo percorso lungo cinque anni. Non vi nascondo un po’ di
emozione. Pare sia l’anno degli addii questo, bisogna farci l’abitudine. L’estate è alle porte, c’è chi la
aspetta con l’ansia di una sfida ancora tutta da giocare e chi non vede l’ora di tuffarsi nel meritato riposo.
Ma, prima o poi, le vacanze arriveranno per tutti.
Il tema di questo numero è l’Aldilà. Aldilà, naturalmente, in ogni sua declinazione. Ogni morte è una nuova
nascita, o almeno così pare, e per un verso o per l’altro, moriamo ogni giorno: muoiono le cellule del nostro
corpo, ci lasciamo alle spalle esperienze, persone, luoghi, ricordi, facciamo qualcosa per l’ultima volta senza
che nemmeno lo sappiamo. A ognuna di queste morti, nonostante la paura, la malinconia, il disagio del
sentire la propria routine sfumare, si apre una nuova prospettiva e abbiamo l’occasione di rinascere.
Domani è il primo giorno del resto della mia vita, leggo ogni mattina sul muro davanti a casa mia.
Questo, almeno, è come ci si sente giunti a questo confine, uno dei tanti della vita, con le sue incertezze e
le sue speranze. Aldilà, quindi, come superamento del confine, del limite in ogni suo senso.
Insomma, nella speranza di esserci superati, auguriamo a tutti voi una buona lettura, una buona
conclusione d’anno e soprattutto delle splendide vacanze. Grazie a tutti e in bocca al lupo
Di Sofia Politi
Hai mai provato a cambiare la tua prospettiva sulle cose? Ad andare al di là di ciò che normalmente appare?
Nessuno ti ha mai insegnato questo meccanismo e nessuno forse lo farà mai, ma ora il momento è arrivato.
Ascolta il silenzio tra ogni sillaba, anziché la parola finale. Smetti di guardare le scritte nere sui fogli bianchi e
prova invece a leggere ciò che resta della pagina ormai rovinata da quei segni scuri. Chissà, magari quello
che vedrai sarà un disegno inedito. Togli gli
ostacoli dalla tua visuale, rimuovi ciò che ti
condiziona. Quando attraversi la strada non
osservare le strisce bianche, ma concentrati sul
nero dell'asfalto e prova ad immaginare che sia
il bianco ad impedirti di vedere ciò che la strada
ti vuole mostrare. Da spettatore, non fissare i
gesti e i movimenti di chi ti sta intorno, ma
osserva lo spazio che quelle mosse riempiono;
guarda come quei passi rubano al vuoto la sua
consistenza e schierati dalla parte della vittima,
disturbata da tutto quel muoversi. Tu onora il
vuoto, scopri il vero colore che hanno le cose e
dimentica le aggiunte. Mentre guardi il mare
illuminato dal sole, il tuo sguardo non deve
cadere sul luccichio prodotto da quella palla
infuocata, ma deve fermarsi sui piccoli pezzi di
blu dentro quella luce. Quando io ho provato
ad osservarli, mi sono sembrate tante paperelle
che correvano verso il paradiso. Dove c'è
freddo cerca il caldo che ti fa dire che quello è il freddo, quando l'hai trovato, torna indietro. Agli uomini che
passano togli tutti i vestiti, lasciali nudi e guardali con uno sguardo nuovo, un occhio stanco di accontentarsi
del superficiale, ma voglioso del nascosto. Forse così facendo renderai la tua vita meno scontata.
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DOPO IL FIUME, COSA C’E’?
Di Joanna Dema
“… al di là del fiume, cosa c’è?” si chiedeva Pocahontas, affrontando le rapide a bordo della sua canoa, in
Virginia, agli inizi del ‘600. E possiamo immaginare che la stessa domanda se la siano posta i cartografi dell’età
antica, alle prese con la Terra, piatta e circondata dal fiume Oceano.
Come essi scoprirono, al di là del fiume il mondo non era disabitato: altre popolazioni si erano sviluppate, con i
loro usi e costumi, spesso totalmente differenti; i Greci chiamavano gli stranieri “barbari”, balbuzienti, ovvero
coloro che si esprimevano in modo incomprensibile.
Da allora, questa parola ha assunto una connotazione negativa che resiste ancora oggi. Sotto l’etichetta di
“barbari” sono finiti i popoli che, nei primi secoli dopo Cristo, hanno modificato la composizione etnico –
culturale europea (Vandali, Goti, Unni, Eruli), nelle cosiddette “Invasioni Barbariche”. Sarebbe più corretto
parlare di Völkerwanderung, “migrazioni di popoli”, ma si sa, la Storia non la scrivono mai tutti i partecipanti.
Barbari erano anche gli indigeni dalla pelle di bronzo che un certo ammiraglio genovese scoprì, nel lontano 1492,
sbarcando sulle spiagge di Guanahanì, per noi San Salvador; può essere che Hernán Cortés abbia pensato
qualcosa di simile, mentre assisteva ai celebri sacrifici umani degli Aztechi. Chissà.
Non siamo qui per illustrare lo sviluppo dell’egemonia occidentale, però. Per molto tempo abbiamo avuto
un’importante voce in capitolo, una sorta di diritto di veto nei confronti delle altre civiltà. Lasciare che siano
queste a dire la loro, per una volta, non sarebbe poi un’idea così folle, no?
È interessante, perciò, e insieme buffo notare come, in swahili, il termine “mzungu”, che in genere indica gli
uomini bianchi, derivi dal verbo africano che significa girovagare, errare. A voler vedere, non fa una piega: i
coloni europei sono stati esploratori e – ahimè – trafficanti, e hanno percorso in lungo e in largo il continente
nero; quale migliore definizione di “mzungu”, per loro?
E come dimenticare l’accoglienza tributata allo stesso conquistador Cortés e ai suoi, scambiati per messaggeri
del dio Quetzalcóatl, che in un remoto passato si allontanò dalla penisola dello Yucatán. Vuoi le armature
lucenti, vuoi la pelle chiara e la barba attribuite alla divinità fuggitiva, Cortés manipolò sapientemente la
situazione e riuscì ad approfittare della debolezza dell’imperatore Montezuma: cadde così Tenochtitlán.
Imperatori ben più diffidenti furono quelli della dinastia Ming (1388 – 1644), che chiusero le porte della Cina agli
occidentali e si rintanarono nella Città Proibita (紫禁城, Zǐjinchéng) nel 1420; non erano passati cento anni dalla
morte di Marco Polo. Un discorso simile si può fare per l’arcipelago nipponico, che nel periodo Edo limitò
fortemente il contatto con i paesi stranieri – isolamento che prese il nome di sakoku (鎖国, “paese chiuso”) e
durò dal 1641 al 1853.
Tutti gli strambi abitanti di questo pianeta mostrano – chi più e chi meno – un atteggiamento lievemente
circospetto, quando si tratta di conoscere una realtà diversa; ma non aveva torto Capo Seattle a scrivere, nella
sua lettera al Gran Capo di Washington (alias il presidente Franklin Pierce) che la terra non appartiene all’uomo,
bensì l’uomo appartiene alla terra, senza distinzioni di razza.
Insomma, che seguiate una croce o Wakan Tanka, polvere siete e polvere ritornerete!
O, giusto per sdrammatizzare, siamo tutti uomini, un motivo per andare d’accordo esiste, anche se non lo
vedete. Oltre il fiume c’è un mare immenso, bisogna nuotare un bel po’ per attraversarlo.
Fonti:
diversi articoli sull’Enciclopedia Treccani (Barbari, Invasioni Barbariche, Aztechi, Cina, Giappone);
articolo: «“White People” doesn’t have to mean “Those who travel and traffic in ignorance” (but often does)» dal blog
zungu.zungu.wordpress.com (voce “mzungu”);
lettera di Capo Seattle, dal sito peacelink.it .
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Spero che gli ideogrammi e la trascrizione del nome cinese della Città Proibita siano corretti 
CUCINA
Di Sophia Manfredini
Sembrava impossibile, eppure l’estate sta arrivando, e con lei il sole, il mare (forse dovranno aspettare un
po’ più a lungo i maturandi, non me ne vogliano), e il tempo di stare all’aria aperta. In fondo chi non ama
fare pic nic in primavera? E quanti non sanno mai cosa portare come spuntino in spiaggia d’estate? La
primavera e l’estate offrono tantissime possibilità e soprattutto una grande varietà di ingredienti che si
prestano alla preparazione di numerosi piatti.
Asparagi, cornetti, erbe di campo, zucchine, melanzane, cetrioli e fragole spuntano ovunque, e perché non
approfittarne finché si è in tempo?
INSALATA CROCCANTE DI UOVA E ASPARAGI
6 uova sode
1 mela rossa (io la sostituisco con le fragole)
tagliata a dadini piccoli
10 ravanelli affettati
asparagi appena sbollentati e tagliati a pezzi di 1
cm
erba cipollina sminuzzata
semi di zucca tostati, facoltativo
INSALATA DI ZUCCHINE E NOCCIOLE
50g di nocciole sgusciate
7 zucchine piccole grigliate
foglie di basilico verde e viola (solo quello verde è
sufficiente)
scaglie di grana padano
olio d’oliva in abbondanza
1 cucchiaino di aceto balsamico
sale e pepe q.b.
per il condimento:
120 ml yoghurt bianco
2 cucchiai di maionese
1 cucchiaino di curry in polvere
pepe e sale q.b.
(Plenty)
preparare il condimento e utilizzarlo per
amalgamare gli ingredienti, detto fatto!
2 melanzane grandi
2 cucchiai di tahini (crema di sesamo)
300 ml di yoghurt bianco
2 cucchiai di olio extravergine d’oliva
sale e pepe q.b.
(The Green Kitchen)
BABAGANOUSH
crema di melanzane israelita per farcire panini o
da abbinare a risi, cereali e insalate fredde
lavare e far cuocere le melanzane in forno
togliere la buccia e frullarle fino a crema con la
crema di sesamo e l’olio
aggiungere lo yoghurt fino ad ottenere una
consistenza cremosa
aggiustare di sale e pepe
buon pic nic ;)
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FOTOGRAFIE MORTE
Di Sofia Rizzuti
Amici miei, siamo giunti a dover affrontare nel campo fotografico questo tema, il più delle volte messo da
parte o addirittura omesso: l’aldilà o la morte. Ora provate a focalizzare la vostra attenzione non sull'idea
dell’immagine fotografica, ma su l'oggetto o persona immortalato. Nel libro "La Camera Chiara" di Ronald
Barthes (ve lo consiglio come punto di vista riguardo a tutti gli elementi che comprendono la fotografia), lo
scrittore prende in considerazione il soggetto fotografico come un essere già finito. Ciò significa che quando
scattiamo una foto a qualcuno o qualcosa, esso si trova in un momento irripetibile che finisce nello stesso
istante nel quale si scatta la fotografia. Barthes scrive: "Ciò che vedo è che io sono diventato TuttoImmagine, vale a dire la morte in persona; colui che fotografa mi espropria da me stesso, fa di me un
oggetto...". Questa parte del suo discorso delinea un’idea di "Trasformazione da vivo a morto". L'uomo, è
un essere vivo, movimentato, in totale contrapposizione con ciò che è la fotografia, ovvero statica,
immobile, oggettiva, per cui l’autore crede che l'uomo rappresentato nello scatto sia uguale a un'idea di
morte. Barthes definisce la Morte come ειδος della fotografia, cioè alla sua forma, sostenendo quindi che lo
scatto non è nient’altro che l'estrazione di una staticità da un flusso movimentato di eventi, il che è una
vera e propria Morte, statica, che ci estrae dalla nostra vita movimentata.
AL DI LÀA’
Di Silvia Lanfredi
Aldilà, tema interessante e vasto da trattare, anche se spesso lo si collega quasi automaticamente alla
morte. Aldilà può essere inteso come superamento non solo della vita, bensì anche di un ostacolo, di un
problema, di una situazione, di uno stato d’animo…tante sono le accezioni che “ALDILÀ” può avere, perciò
di quale aspetto possiamo occuparci noi?
Sarò ripetitiva, ma visto che quest’anno sarà il mio ultimo anno al liceo Manin, vorrei parlare dell’aldilà
come passaggio di realtà. Ormai sarete stanchi di sentirvi chiedere “Dopo il liceo cosa vuoi fare?” e vi
capisco - tutt’ora mia nonna mi chiede cosa abbia scelto di fare dopo la maturità- ma prima o poi bisogna
pensarci, e seriamente, perché ne va del vostro futuro. Ora penserete “Un’altra che ci vuole parlare delle
Università e simili. In realtà voglio presentarvi il “dopo liceo” come aldilà, cioè passaggio da un mondo
all’altro. Certo non un passaggio fisico da terra a oltretomba, ma un passaggio di realtà, di mentalità, di
responsabilità.
In primis, per far sì che il passaggio avvenga correttamente devi scegliere la facoltà, l'indirizzo, l’università e
la città (consigliabile sarebbe vederne qualcuna, in base alla propria scelta). Tenere poi in considerazione i
costi, le opportunità offerte e cosa non meno importante l'utilità della facoltà scelta (ora mi direte: “Parli
come i nostri genitori”, sì è così, perché bisogna tenere presente anche questo…conosco persone che
hanno seguito percorsi di studio che poi non si possono applicare alla realtà odierna e ora sono impiegati
nei call-center o nei negozi di telefonia…quindi pensateci bene alla vostra scelta). Oltre alla parte pratica e
della scelta voglio parlarvi del passaggio che avviene, più tangibile.
Bisogna subito rendersi conto che non è come al liceo. Lì sei TU che devi organizzarti per studiare (lo so che
alcuni lo fanno già), devi decidere cosa studiare, quanto studiare al giorno. Devi renderti conto che non ci
sono verifiche ogni mese, ma un esame per materia a fine semestre. Ciò vuol dire preparare più di un libro
a esame e non è una cosa facile. All’inizio può sembrare “normale” (i primi mesi, intendo), ma in seguito si
rivelerà la difficoltà…a meno che non ci si organizzi.
Quindi posso solo dirvi “MI RACCOMANDO, SCEGLIETE CON CURA IL VOSTRO PERCORSO…PERCHÉ
DALL’ALDILÀ NON C'È RITORNO…”
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Di Sofia Raglio
Volevo iniziare raccontando una storia, che tanto è la storia più vecchia del mondo.
Due amici stanno parlando su una panchina, in un parco. Davanti a loro c’è un muretto, piuttosto
basso che nasconde la vista. Il primo descrive paesaggi sconfinati, con gli occhi socchiusi e sorride, in
pace. L’altro, infastidito, non riesce a concentrarsi su quello che sta dicendo perché freme dalla voglia
di vedere cosa c’è oltre quel muretto. Quando si alza il primo non tenta nemmeno di fermarlo, perché
già sa. L’altro ha scavalcato il muretto e inizia correre. Seguimi, urla, ma l’amico non accenna ad alzarsi.
Spesso le persone si distinguono per queste piccole cose. Si distinguono perché si fanno insegnare un
trucco dal mago o perché non vogliono che l’illusione sia svelata. Dicono che sia un gene, il DRD4 7R, a
fare la differenza, il cosiddetto gene del viaggio. Possibile, leggendo le riviste d’oggi sembra che tutto si
possa spiegare con la scienza. O si debba spiegare con la scienza, forse, perché sia tenuto in maggior
considerazione. Sta di fatto che ci sono due forze che incessantemente si combattono: la saggezza di
restare entro i limiti prestabiliti e la fame, tutta umana, di valicarli. Scomodare il concetto greco di
ubris è fin troppo scontato, ma insegna ciò che ancora oggi o forse soprattutto oggi non abbiamo
imparato: Prometeo subisce la peggiore delle condanne, eppure è l’eroe del nostro tempo e, forse,
della storia dell’umanità.
Così, anche dopo che l’universo ci ha suggerito prima, e gridato poi, di non uscire dai nostri confini, di
avere rispetto dei nostri limiti, di imparare ad amarli perché sono la nostra salvezza, l’uomo ancora
nutre il suo desiderio di onnipotenza e non vede ostacoli davanti al progresso. Dove questo progresso
ci porti, nessuno lo sa, qualcuno prova a intravederlo: sempre avanti, dicono, eppure la terra è
rotonda, e avanti per sempre non si può andare, prima o poi si ricomincia daccapo. E questa, forse, è
un po’ la sensazione: che dopo un po’ tutto ritorni, in nuove forme, come se fosse la prima volta, grazie
alla sacra dote dell’oblio, e si aggiri a intermittenza tra due estremi, senza mai sfiorare il punto di
equilibrio.
Siamo uomini, siamo curiosi e assetati di progresso.
Si potrebbero riassumere le tappe di ricerca umana in tre stadi, individuati non in ordine di nascita ma
di successo. Abbiamo iniziato cercando le risposte nella religione, fin quando ce ne ha potute dare. Poi
la filosofia ci ha portato avanti, oltre le colonne d’Ercole, fino a quando non si è ripiegata su se stessa e
ha mangiato il proprio ombelico. Per fortuna ci è rimasta la scienza, la nostra promessa di progresso
infinito, e all’orizzonte già si vede come si distruggerà, in mille pezzi invisibili, lasciandoci nel buio.
Uno dei progetti più ambiziosi che bisogna riconoscere a questa scienza irriverente, è quello di
assumersi la responsabilità che altri prima di lei si erano presi, di definire la coscienza dell’uomo e, di
conseguenza, imparare a gestirla (si pensi allo sviluppo della ricerca nel campo dell’intelligenza
artificiale), perché conoscenza e controllo vanno spesso a braccetto negli ultimi tempi.
Penrose e Hameroff, ideatori di una delle più innovative e affascinanti teorie riguardo al
funzionamento della coscienza, nell’introduzione del loro articolo, dicono: “la nostra visione della
realtà, dell’universo e di noi stessi dipendono dalla coscienza. La coscienza determina la nostra
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esistenza.” Questo forse può aiutare a capire la portata di una tesi quale la loro, o, ancor prima,
l’importanza e l’ambizione di questo tipo di ricerca.
Diciamo che le scuole di pensiero riguardo alla questione della coscienza possono considerarsi tre. O
almeno tre ne prendono in esame Roger Penrose e Stuart Hameroff nella loro analisi.
La prima è quella di coloro che leggono la coscienza come un prodotto biologico dell’evoluzione: un
elemento vantaggioso alla specie e perlopiù illusorio, responsabile di una costruzione della realtà
piuttosto che di una sua percezione, sviluppatosi un punto indefinito della progressione della vita
verso organismi più complessi e che risulta in ogni caso inscindibile dalla manifestazione biologica
presa in esame e dal suo sistema cerebrale.
La seconda, invece, è quella che rifiuta un’interpretazione scientifica della coscienza. È l’insieme di
pensieri filosofico-religiosi, a partire da Cartesio, fino ad arrivare a Hegel o ad alcune teorie
psicologiche, che imputano alla coscienza responsabilità fra le più varie e centrali, ma che ritengono sia
totalmente avulsa da una concezione materialistico-scientifica, individuando quindi un dualismo
sostanziale tra corpo e coscienza.
La terza scuola di pensiero, è invece la presentazione della teoria stessa di Penrose e Hameroff. La loro
idea è quella di fondare il processo della coscienza sulle leggi della meccanica quantistica, e attribuirla
quindi a una serie di fenomeni fisici, da sempre esistenti nell’universo come fenomeni non cognitivi di
protocoscienza. L’evoluzione biologica avrebbe permesso di controllare questi meccanismi non
deterministici, che si concretizzerebbero in vibrazioni di microtuboli situati all’interno del sistema
nervoso che, collegati al cervello creerebbero lo stato di coscienza. La teoria, denominata Orch OR, che
ha tratto ispirazione da alcune riflessioni del filosofo A. N. Whitehead, ha avuto alcune conferme in
dati sperimentali e identificherebbe la coscienza come caratteristica intrinseca dell’universo.
Il fascino di questa prospettiva sta anche e soprattutto nell’inserirsi di questa ipotesi in una lunga
catena di corrispondenze che l’uomo ha saputo individuare tra macrocosmo e microcosmo, sia per
struttura sia per evoluzione. Oltre ad essere la base dell’astrologia e altre proto scienze, si è dimostrata
una passione tutta umana quella di intravedere un disegno sensato e, perché no?, talvolta teleologico,
nel mondo circostante. Un po’ come la struttura dell’atomo che è uguale a quella del sistema solare, o
l’evoluzione psichica dell’individuo, che si sovrappone perfettamente con quella dell’umanità, oppure
l’osservazione del fatto che il numero dei nostri neuroni e quello delle stelle nel cielo vengano
magicamente a coincidere. I miei sono solo esempi tra i più banali, ma c’è senza dubbio qualcosa di
estremamente affascinante in tutto ciò. Quasi un rassomigliarsi delle nostre forme di pensiero, che
ritagliano per comprenderle, porzioni di realtà che si corrispondono.
L’idea di Penrose e Hameroff implica che la coscienza abbia avuto origine prima di noi e a noi
sopravviva, che sia una sorta di eredità universale, che ci rende in tutto e per tutto parte di questo
universo.
Le domande aperte restano tantissime, per ammissione stessa degli autori, che sottolineano quanto la
loro intuizione metta in luce molti aspetti non ancora compresi e apra la strada a molte questioni
interessanti. Quello che forse loro hanno saputo trovare è stato un punto di fusione tra il rispetto del
limite e il suo superamento.
Non bisogna avere dubbi, però, sul fatto che l’umanità proseguirà in questa ricerca, come in ogni altra,
non fermandosi davanti ad alcuno ostacolo, e perseguendo la sua utopia di conoscenza assoluta.
Ancora tra cento generazioni, prima di andare a letto, racconteremo la favola di Prometeo ai nostri
figli.
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A cura di Carlotta Ferri
Ho deciso di non scrivere frasi e frasi
sull'affascinante tema proposto questo mese, la
morte e l'aldilà.
Preferisco proporvi un racconto tanto breve
quanto efficace, magari più apprezzato da voi
giovani e stanchissimi studenti maniniesi di
maggio (me compresa!).
Spero apprezzerete la mia scelta e ...buona
lettura!
La morte andò a trovare il vecchio. Ci andava
quasi ogni giorno, ormai. Sedeva insieme a lui
sulla riva e lo guardava pescare. Quando il
vecchio prendeva un pesce e lo rimetteva in
acqua, la morte scuoteva la testa.
Il vecchio annusava l'odore delle alghe portate a
riva dalle onde. Diceva ridendo: - Sono morte, ma
respirarle fa bene ai polmoni.
- Ridi pure, vecchio - diceva la morte, e si riparava
dal sole con un cappellaccio di paglia sfondata.
Il pescatore osservava i colori del mare pennellati
dal vento, una striscia chiara di bonaccia e laggiù
una striscia indaco di maestrale, e pensava alle
isole che aveva visitato. La morte pensava ai
galeoni inabissati, agli scheletri che li abitavano, e
ad antiche battaglie. La lenza vibrava sottile,
quasi invisibile, sospesa tra due mondi.
- Le onde sono tutte diverse - diceva il vecchio. Se ascolti bene, quando si infrangono a riva, non
sentirai mai due volte lo stesso suono. Il mare è
un grande musicista. E anche i pesci sono uno
diverso dall'altro. Ci sarà sempre un riflesso, un
ricamo sulla pinna, la miniatura di una squama
che non avevi mai visto prima.
- Anche i soldati sembrano tutti uguali - disse
cupa la morte. - Bisogna averne visti morire molti
per capire la differenza.
Una nuvola coprì il sole, e il vecchio rabbrividì.
- È ora che tu venga con me, vecchio - disse
severa la morte. - Hai tanti anni, ormai fai fatica a
vedere la lenza, i pesci ti scappano. E quando li
prendi, li lasci andare, perché pensi che ti
assomigliano. Perché vuoi vivere ancora? Che
speranza hai?
- Magari mi succederà ancora qualcosa di bello.
Mi passi un verme?
La morte infilò il verme sull'amo, con maestria.
Poi disse: - Cosa vuoi che ti succeda ancora? Passi
i tuoi giorni tra malattia e insonnia, e non fai altro
che ricordare. Vivi solo nel passato, ormai.
- Forse hai ragione - disse il vecchio.
Il vento cambiò e le barche all'ormeggio
cominciarono a girarsi, come in una danza. Il
vecchio catturò un pesciolino d'argento col
colletto nero e lo ributtò in acqua.
- Ti ho mai raccontato di quell'aragosta che
scappò dalla cesta, e camminò fino al mare?
Correva come un gatto, te lo giuro.
- Me lo hai raccontato almeno dieci volte. E io ti
ho raccontato di quello che mi è successo con
Rasputin?
- Almeno dieci volte anche tu. E' tanto tempo che
ci conosciamo, morte.
Il mare era ora calmo e trasparente. La lenza era
una freccia infissa nel mare, immobile e
argentata. Il silenzio sembrò troppo anche alla
morte.
- Tu pensi che io sia ingiusta, vecchio?
- Ingiusta, inutile, e crudele.
- E perché parli con me?
- Cos'altro posso fare?
- Forse potrei non essere ingiusta - disse la morte.
- Ma se fossi giusta, allora anche la vita dovrebbe
cambiare, non credi? Pensare a me sarebbe
diverso, niente potrebbe essere come prima.
Niente di quello che c'è rimarrebbe. E non
sarebbe una morte anche questa?
- Parli troppo, morte, mi spaventi i pesci.
- Già. Sai, anche per loro la morte è ingiusta.
- Sì, lo so. È un pensiero che qualche volta non mi
fa dormire. Il vecchio sembrò di colpo
immensamente triste.
- Qual è il momento più felice che ricordi,
vecchio?
- Oh, sono tanti - rispose il pescatore.
- Il primo che ti viene in mente.
- Tanti anni fa, in un giorno d'estate come questo,
io e mio figlio andammo a pescare. Lui aveva otto
anni. Camminando verso la spiaggia,
incontrammo un campo di girasoli. Era
sterminato, saliva su una collina come un'onda e
poi la scavalcava e scendeva, tutto il mondo
sembrava d'oro. Entrammo nel campo, nuotando
in un mare frusciante, pieno d'odori e insetti. A
ogni folata di vento, i fiori si muovevano tutti
insieme, come fanno i banchi di pesci, nessuno
dava l'ordine, sapevano dove andare. Un amico ci
vide e perciò ho una foto di quel giorno. La
guardo ogni volta che sono triste.
- Bel ricordo, - disse la morte - ma cosa c'entra
con la speranza? Tuo figlio è grande ormai. Il
campo di girasoli forse non esiste più. Il tuo
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amico è morto. E tu non sai più pescare, sei quasi
cieco, non riconosci un dentice da un'orata.
- E tu non riconosci più i soldati dai bambini disse il vecchio.
Il sole stava calando, i lampioni del lungomare si
accesero e illuminarono le chiome delle palme.
Lontano si vide il balenare di un faro.
- Anche i segnali dei fari sono tutti diversi - disse il
vecchio. - Quello laggiù, per esempio...
- Non cambiare discorso - disse la morte,
sfiorandolo con la mano. - Allora, cosa speri per il
tuo misero futuro, vecchio?
Il vecchio guardò lontano.
- Spero di tornare ancora, insieme a mio figlio, in
quel campo di girasoli - rispose.
- Ma non succederà, - disse la morte, spazientita morirai e non succederà!
- Non ti arrabbiare - rise il vecchio.
- Io morirò, è vero. Ma non puoi convincermi che
non succederà. Non puoi niente contro questa
speranza. Non c'entra la fede, né la paura.
Neanche tu, qui vicino a me sulla Terra, sai cosa
succederà. La morte restò in silenzio. - E bada, continuò il vecchio - anche se io decidessi di
morire, se mi togliessi la vita, neanche allora mi
avresti tolto la speranza. Tornerò in quel campo,
con mio figlio.
La morte rise amaramente e tirò un sasso
nell'acqua. Il sasso affondò senza rumore. Poi si
alzò in piedi, e il vento le fece volare via il
cappellaccio. Era piena di rughe, assomigliava al
pescatore.
- Ci vediamo domani, vecchio testardo. Ho lavoro
sull'autostrada, stanotte.
- Vacci piano - disse il vecchio.
- Andate piano voi - disse la morte. Riprese il
cappello, se lo calcò in testa e guardò il mare.
Sospirò. Sembrava non avesse voglia di
andarsene. - E dov'è questo campo di girasoli? chiese.
- Domani ti porto - disse il vecchio.
Tratto da “La grammatica di Dio”, Stefano Benni
Di Giovanni Zelioli
All’incirca da un anno a questa parte, si sente parlare quotidianamente del Trattato di Schengen, di frontiere
chiuse, di stati europei che violano questo patto rischiando di fare confusione. È innanzi tutto necessario
capire che cosa sia questo trattato e che cosa preveda. Il Trattato di Schengen venne per la prima volta
sottoscritto nel 1985 ed ha come prerogativa il favorire la libera circolazione dei cittadini e delle merci
all’interno della Zona Schengen, della quale fanno parte anche stati non membri dell’Unione Europea, come
la Norvegia e l’Islanda. Ma ora che cosa sta accadendo? In ragione degli ingenti flussi migratori provenienti
non solo dalla costa mediterranea, ma anche dalla zona balcanica, Austria, Belgio, Danimarca, Francia,
Germania e Svezia vorrebbero effettuare controlli aggiuntivi alle proprie frontiere e per poter fare ciò si sono
appellati alla Commissione Europea per avere la facoltà di procedere alla restaurazione dei controlli ai propri
confini, possibilità che è contemplata nell’articolo 26 del Codice Schengen, che consente di mantenere i
controlli alle frontiere interne fino ad un massimo di due anni in caso di carenze gravi e persistenti nel
controllo alle frontiere esterne. I paesi sopracitati hanno così ripristinato tali misure, che si sono rese
necessarie a causa della scarsità di controlli alle frontiere esterne, spesso non organizzate, prive di sufficiente
personale di polizia e di traduttori: Atene infatti qualche settimana fa ha evidenziato delle gravi deficienze
sui propri confini a cui richiede che venga posto rimedio quanto prima. Perciò, i vertici dell’Unione Europea
stanno valutando l’ipotesi di creare un nuovo corpo europeo di guardie di frontiera, che dovrebbe entrare in
funzione nel prossimo autunno. A Bruxelles non si riesce a mettere d’accordo gli stati membri sul
ricollocamento degli immigrati e persiste la difficoltà di attuare una politica comunitaria condivisa circa
questa emergenza. Tutto ciò sembra provocato da una domanda cui i politici e cittadini europei non danno
una risposta definitiva preferendo ignorare tale quesito: fino a che punto ci sentiamo europei? È possibile la
creazione di una Comunità politica ed economica di stati che condivida ideali, progetti, interessi comuni e
vantaggiosi per tutti?
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IL SOGNO DI UN’IDEA
Di Giovanni Stanga
“Chi ha paura di sognare è destinato a morire” diceva Bob Marley.
Come siete messi con i vostri sogni, sono ancora nel cassetto? Avete provato a stringerli in mano almeno
una volta? Ogni giorno noi moriamo infinte volte, e sapete quando accade? Quando ci specchiamo nell’
acqua e ignoriamo l’immagine riflessa del nostro mondo ideale, di chi vorremo essere, dei nostri sogni.
Moriamo tutti i giorni, se non tentiamo di valicare il muro della realtà, che si frappone tra noi e i percorsi
che vogliamo tracciare, le mete che vogliamo raggiungere, le persone che vogliamo conoscere, i progetti
che vogliamo realizzare. Moriamo tutti i giorni, se siamo prigionieri di qui ed ora, e non riusciamo a gettare
uno sguardo aldilà del muro del presente e immaginare quello che sta oltre. Moriamo tutti i giorni, se non
siamo Idealisti, se non sostentiamo le nostre idee e non diamo loro forma nella vita quotidiana. Le idee
sono forze latenti che dobbiamo sprigionare dalla nostra anima.
“Sii il cambiamento che vorresti vedere nel mondo” direbbe Gandhi: ed è proprio così. Se la realtà è filtrata
attraverso la lente delle idee, i nostri occhi intellettivi, allora ciò che pensiamo acquisisce quindi realtà, in
quanto tutto ciò che esiste è messo in relazione con il nostro Io. A volte è necessario adattare il mondo a se
stessi. Questo non vuol dire essere individualisti o egoisti, ma fare propria l’esperienza della realtà e
mantenere viva un’istanza di cambiamento, in relazione ai propri ideali e ai propri sogni. Prima dell’avvento
di Gandhi l’India era forse libera? Nella sua testa però esisteva un’India indipendente dall’ Inghilterra, un
Paese compatto che lottava per lo stesso obiettivo comune, pur essendo di fatto un continente a sé, molto
diversificato al suo interno. Nella realtà non esisteva un’India indipendente, ma per lui sì, e tanto è bastato.
Gandhi il sogno di un popolo intero lo ha caricato sulle sue spalle, rifiutandosi di vestire abiti fatti con stoffe
inglesi.
Vogliamo parlare di Martin Luther King, che ha rivelato al mondo il suo sogno di un’America in cui bianchi e
neri camminano fianco a fianco come fratelli? La sua idea si è tramutata in un sogno, o viceversa, la
proprietà invariantiva dovrebbe valere anche in questo caso.
E chi durante la seconda guerra mondiale ha imbracciato le armi 18 anni e sacrificato la propria vita per
resistere contro il nazifascismo dilagante in Europa, combattendo in nome degli ideali di libertà, giustizia e
democrazia?
Quanto è più facile accettare lo status quo della realtà senza reagire? Rimpiangere il passato, accontentarsi
del presente e non riporre fiducia in un futuro migliore sono stati d’ animo con cui conviviamo spesso, ma
devono essere scacciati. La scelta, la possibilità di diventare chi vogliamo in ogni momento della nostra vita,
la nostra consapevolezza di essere pura possibilità è ciò che davvero ci costituisce come persone, la più
grande potenzialità dell’uomo, ma anche la sua angoscia. Viviamo per morire, in quanto grazie alla Morte
percepiamo il nostro essere uomini: quanto sarebbe noioso se fossimo immortali e avessimo sempre una
seconda occasione, potendo sempre schiacciare il tasto replay sul teleschermo?
Un giovane che non è idealista e non sogna (anche se a questo punto credo siano la stessa cosa) è come
fosse morto, perché non ha il motore che lo carica quando si sveglia la mattina e preferirebbe dormire
ancora un po’. Non dico che un non giovane non possa essere idealista, ma è sicuramente più difficile
esserlo e si ha meno tempo: bisogna aver cura dei figli, lavorare, pagare la bolletta della luce, andare a fare
la spesa, e fare mille altre cose. Insomma, i giovani rischiano di più e hanno meno paura di sbagliare.
Il nostro passato sicuramente ci influenza, ma non ci determina.
Non siamo la semplice proiezione del passato sul nostro futuro, poiché viviamo ogni attimo per la prima
volta e ogni secondo che noi consumiamo vivendo è unico e diverso da tutti gli altri che l’hanno preceduto
e da quelli che seguiranno.
Non siamo noi a scegliere i sogni, siamo semplicemente i missionari dei sogni che ci sono stati affidati e per
i quali siamo stati scelti dal destino: è nostro compito quindi realizzarli per realizzare noi stessi, e costruire
un mondo migliore.
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INTERVISTA ALLA PROF RUSSO
Di Sofia Politi
Abbiamo voluto chiedere a una delle prof. più conosciute al Manin, nota non solo come insegnante, ma grazie
anche ai numerosissimi progetti che organizza, che cosa le venisse in mente con la parola “aldilà”. Ecco il
risultato:
Con aldilà posso parlare dello spirito,di ciò che non è immediatamente percepibile,oppure se si intende andare
oltre ad un limite,per me “aldilà” è superare i fastidi di ogni giorno,mantenere se stessi quando tutti ti
spingono ad essere flessibile e ti portano ad essere incoerente con quello che sei. Mentre nell'accezione più
comune di “aldilà”,come vita dopo la morte,sono arrivata ad una concezione epicurea che non vi ripeto perché
mi sembra abbastanza scontata.
-Ci può raccontare di una volta in cui ha superato il limite?
Una volta ho superato il limite di velocità! Dovevo andare a lavorare,ero in ritardo perché avevo portato mia
figlia all'asilo e...ho fatto i 140 km/h! Ovviamente ho preso la multa,però almeno aveva una macchina che
reggeva.
-Ha mai rischiato di morire?
Non ho mai avuto questa percezione,però mi ricordo che quando mio nonno mi ha insegnato a nuotare la
prima volta,mi ha buttata giù da uno scoglio e forse,a pensarci bene,quella volta ho davvero rischiato la mia
vita,però io del nonno mi fidavo.
-Che musica ascolta?
Purtroppo in questo periodo ne ascolto poca,però mi piace la musica della mia generazione,quindi quella degli
anni '70,anche se alla fine ascolto tutto. L'unico genere che non mi entra nelle orecchie e nella pelle è il jazz.
Mentre non faccio distinzione tra Bach e i Rolling Stones,li posso ascoltare entrambi.
-Se potesse scegliere un modo per morire,quale sceglierebbe?
Durante il sonno,perché secondo me la cosa più brutta non è morire,ma la sofferenza fisica e mentale che
accompagna la morte. Tutti dovremmo sforzarci,per un utile sociale e per compassione umana,ad evitare a noi
stessi e agli altri il dolore che precede la morte. Col tempo ho capito il senso del nostro limite,e bisogna
accettarlo.
-Qual era il suo sogno da ragazza?
Da ragazzina volevo fare la giornalista,poi ho capito che ero troppo impulsiva per essere una giornalista
stimabile,cioè onesta intellettualmente,e ho preferito,per educare me stessa,fare filosofia,che mi dava anche il
senso delle cose che facevo.
-In cosa si vorrebbe reincarnare?
In nessuno,sto bene con i miei abiti. Non perché mi ritenga superiore,ma perché mi sento a posto con me
stessa.
Perché ha deciso di insegnare?
Insegnare non è mai stata la mia prima scelta,prima lavoravo ai consultori per la salute delle donne. Poi per
caso ho iniziato ad insegnare filosofia e ho capito che era la mia vita.
-Quale momento della sua vita rivivrebbe?
Ne rivivrei molti,sicuramente quando ho scoperto che mi piaceva fare scuola,non lezione,ma fare scuola,che è
diverso. Ad esempio,parlare coi ragazzi di filosofia,dando loro modo di riflettere su temi che danno un senso
alla vita di tutti. Oppure quando ero in macchina con mia figlia di tre anni e lei mi ha chiesto:”Mamma,perché
la luna non cade sulla terra?” E io istintivamente le ho risposto:”Eleonora,è alla distanza giusta” e ho frenato.
Questo è un ricordo bellissimo,come molti altri genitori ne hanno,perché scopriamo il mondo con gli occhi dei
nostri bambini. Perciò vi dico ragazzi,fate i figli,e non preoccupatevi se non avete il posto fisso e la casa,perché
se aspettate tutto,perdete tutto.
11
Non c’è nulla da dire che non sia già stato detto
Ovvero come ho scoperto che i classici avevano già capito tutto
A cura di Sofia Raglio
Tra la moltitudine di argomenti che giorno dopo giorno
confermano la teoria ormai da molti accettata che nulla di
nuovo si crea su questa terra, ma tutto ritorna e si trasforma,
in nuove sfumature che non sono altro che miscele dei colori
primari, mi è sembrato interessante portarvi un esempio di
quanto siano antichi i viaggi spaziali, in particolare quelli sulla
luna, e come l’immaginario del nostro amato satellite si sia
evoluto nei secoli. Sono solo pochi esempi, ma lascio che
siano i testi a parlare. Buon viaggio.
Per sette giorni e altrettante notti corremmo nell’aria,
all’ottavo scorgemmo nello spazio una terra vasta come
un’isola, splendente e sferica e illuminata da una
grande luce. Accostatici ad essa, e gettata l’ancora,
sbarcammo e, osservando il paese, lo trovammo
abitato e coltivato. Gli abitanti di essa non nascono da
donne ma da maschi, e di donne non conoscono
neppure il nome. Portano i loro figli non nel ventre ma
nella parte grassa della gamba, ne traggono fuori
creature morte, ma esponendole al vento con la bocca
aperta, le restituiscono alla vita. Quando un uomo è
diventato vecchio non muore ma si dissolve in fumo e si
trasforma in aria. Bello presso di essi è stimato se uno è
calvo, i chiomati li detestano. Accade il contrario sugli
astri chiomati (le comete). Hanno la barba che cresce
un po’ al di sopra delle ginocchia e non hanno unghie
dei piedi e tutti sono monodattili. Al di sopra delle loro
cosce a ciascuno di essi nasce un grosso cavolo a mo’ di
coda sempre verde. Quando si soffiano il naso ne esce
un miele molto acre, quando fanno esercizio sudano
latte da tutto il corpo. Hanno molte viti che producono
acqua: gli acini dei grappoli sono grossi come chicchi di
grandine. Del loro ventre si servono come di una
bisaccia, ponendovi tutto quello di cui hanno bisogno:
si può aprire e chiudere a volontà. I campi producono
rame in abbondanza. Hanno gli occhi amovibili, e chi
vuole, se li toglie, e li mette da partee fino a che ha
bisogno di vedere. Hanno un pozzo con uno specchio
grandissimo: se uno discende nel pozzo sente tutto
quello che si dice presso di noi sulla terra, ma se solleva
lo sguardo verso lo specchio, vede tutte le città e tutti i
popoli come se si trovasse in mezzo ad essi.
Luciano
Superano tutta la sfera infuocata,
e quindi vanno al regno della Luna.
Notano che quel luogo è, per la maggior parte,
come una lastra d’acciaio senz’alcuna macchia;
e, come dimensioni, lo tovano identico o poco più
piccolo dell’estensione dell’ultimo globo
terrestre, comprendendo anche il mare
che circonda e cinge la Terra.
Qui Astolfo ebbe un duplice motivo di stupore:
che quel mondo da vicino era ben grande,
mentre, per noi che lo osserviamo dalla Terra,
assomiglia piuttosto ad una piccola palla;
e che gli conveniva aguzzare ambo gli occhi,
se voleva riconoscere da lì la Terra e il mare
che la circonda intorno; poiché non mandando
luce propria, la loro immagine è offuscata.
Altri fiumi, altri laghi, altre campagne
ci sono lassù, in confronto con i nostri;
le città e i castelli della Luna hanno
altri piani, altre valli, altre montagne,
con abitazioni che di più imponenti
non ne vide il paladino né prima né poi:
e vi sono sconfinate e solitarie selve, dove
di contiuno le ninfe cacciano le bestie feroci.
Il duca si fermò ad esplorare tutto;
poiché non era salito lì con quello scopo.
Fu condotto da San Giovanni,
in una valle cinta da due montagne,
dove per mezzo di un miracolo viene raccolto
ciò che si perde, o per colpa nostra,
o per colpa del tempo o della sorte:
ciò che si perde qui, là si raduna.
Non mi riferisco solo al potere e alla ricchezza,
su cui ha effetto l’instabile ruota della Fortuna;
ma intendo anche ciò che essa non ha potere
di togliere o di dare.
Lassù si trova molta fama, che, come un tarlo,
il tempo a lungo andare quaggiù divora:
lassù ci sono le infinite preghiere e promesse
che noi peccatori facciamo a Dio.
Le lacrime e le sofferenze degli amanti,
il tempo sprecato che si dilapida nel gioco,
e l’ozio interminabile degli ignoranti,
i progetti irrealizzati che non hanno mai luogo;
sono tanti i vani desideri che occupano
la maggior parte della Luna: in conclusione,
tutto ciò che quaggiù si potrebbe perdere,
lo potrai ritrovare salendo lassù.
Ludovico Ariosto
12
TERRA: Sei tu popolata veramente, come affermano
e giurano mille filosofi antichi e moderni? Ma io per
quanto mi sforzi di allungare queste mie corna che
gli uomini chiamano monti, con la punta delle quali
vengo a mirarti, come un lumacone, non arrivo a
scoprire in te alcun abitante.
LUNA: Fatto sta che io sono abitata.
TERRA: Di che colore sono codesti uomini?
LUNA: Che uomini? Degli uomini io non so un’acca.
Qui abitano moltissime e diversissime sorte di
popoli, che tu non conosci come io non conosco le
tue.
TERRA: Ma guarda che lì vai a battere in Martequesto si chiama esser ben distratti.
COMETA: Meglio distratti che attratti e contratti e
rattratti.
TERRA: Tu intanto sei ogni volta più stravagante e
più nebulosa. Di’ un po’, quando la finirai di fare la
vagabonda (n greco planetes è vagabondo)?
COMETA: Quando tu la smetterai di fa “la coda”.
Carlo Michelstaedter
Giacomo Leopardi
The lunatic is on the grass
The lunatic is on the grass
Remembering games and daisy chains and laughs
Got to keep the loonies on the path
The lunatic is in the hall
The lunatics are in my hall
The paper holds their folded faces to the floor
And every day the paper boy brings more
And if the dam breaks open many years too soon
And if there is no room upon the hill
And if your head explodes with dark forebodings
too
I'll see you on the dark side of the moon
The lunatic is in my head
The lunatic is in my head
You raise the blade, you make the change
You re-arrange me 'till I'm sane
You lock the door
And throw away the key
There's someone in my head but it's not me.
And if the cloud bursts, thunder in your ear
You shout and no one seems to hear
And if the band you're in starts playing different
tunes
I'll see you on the dark side of the moon
Pink Floyd
All that you
touch
All that you see
All that you
taste
All you feel.
All that you love
All that you hate
All you distrust
All you save.
All that you give
All that you deal
All that you buy,
beg, borrow or
steal.
All you create
All you destroy
All that you do
All that you say.
All that you eat
everyone you
meet
All that you
slight
everyone you
fight.
All that is now
All that is gone
All that's to
come
and everything
under the sun is
in tune
but the sun is
eclipsed by the
moon.
"There is no
dark side of the
moon really.
Matter of fact
it's all dark."
13
TOGLIERE IL TOAST DA
TOSTAPANE CON UNA
FORCHETTA
VESTIRSI DA ALCE DURANTE
UNA BATTUTA DI CACCIA
STUZZICARE UN ORSO CON
UN BASTONE
COMPRARE I RENI SU
INTERNET
IMPARARE DA SOLI
A USARE L’AEREO
INGERIRE MEDICINE SCADUTE
USARE LA LAVATRICE
COME NASCONDIGLIO
PERDERE IL CASCO
NELLO SPAZIO
USARE LA PISCINA COME
VASCA DEI PIRANHA
INCENDIARSI I CAPELLI
14
La morte del cinema
Di Benedetta Raimondi
Festival di Cannes, Aprile 2014. Vent’anni dopo l’uscita nelle sale di Pulp Fiction, Quentin Tarantino scivola
eccentricamente sullo stesso red carpet che nel 1994 lo vide ricevere la Palma d’Oro. In tale occasione la
copia di Pulp Fiction viene presentata in 35mm (il più comune calibro di pellicola utilizzato nella
cinematografia), ed è a questo punto che Tarantino, senza alcuna pietà, dichiara:
“Oggi il cinema, almeno come lo intendevo io, è morto. Il digitale
è la morte del cinema. Serve una ragione per fare in modo che la
gente voglia tornare in sala e non vedere i film nei loro home theatre
in altissima risoluzione. Tutti hanno l'home theatre, nessuno ha più
i 35mm. Ecco dunque cosa fa la differenza. La guerra è persa oggi.
Questa generazione di spettatori, dipendenti da TV e da digitale, è
senza speranze. Mi auguro che ci sia una nuova ondata di
romanticismo con le prossime generazioni e che la pellicola torni a
essere apprezzata, un po' come oggi i vecchi album di fotografie
tornano di moda a poco a poco”.
È con questa affermazione che, senza esprimere un giudizio, voglio lasciarvi quest’anno.
Cari Maninians, amanti del cinema, che per passione, curiosità, o forse per caso, vi siete addentrati nei miei
scritti ad alto tasso cinefilo: dopo aver esplorato i meandri della narrazione visiva, passando dal western
all’animazione, fino a giungere al gotico, sempre con occhio attento verso le tecniche celate dietro ogni
fotogramma, siete pronti per affrontare qualsiasi visione con maggiore capacità critica, o forse -così sperocon maggiore curiosità. In questo ultimo numero vi lascio con i consigli di ogni mese, nella speranza che siate
proprio voi a tenere viva quest’arte capace di dispiegare le ali delle nostre emozioni, dalle cui stesse, con
forza, scaturisce.
Lezioni di piano (The piano) di Jane Campion
(1993)
Nuova Zelanda, metà ottocento. Ada è muta, ma
parla attraverso sua figlia, e la musica. Si sposa
con un uomo che si rifiuta di trasportare il suo
pianoforte nella nuova casa, in un’isola sperduta.
Ma qui vive anche un uomo inglese, il signor
Baines, da tutti ritenuto un selvaggio. Subito si
invaghisce del misterioso fascino di Ada, sino al
punto di portare il pianoforte di lei (abbandonato
sulla spiaggia) vicino alla sua capanna, perché
suo marito le conceda di suonare il pianoforte.
Ada inizialmente è contraria: come può un uomo
così rozzo amare la musica?
Erotico, emozionante, Lezioni di piano vi
condurrà nei paesaggi zelandesi, attraverso una
fotografia sublime e una colonna sonora
indimenticabile, per sfiorare la passione di Ada e
Baines, magistralmente interpretati da Holly
Hunter e Harvey Keitel. In questa pellicola, vero
e proprio manuale di visualizzazione, le pause e i
silenzi valgono più di tutto.
“C’è un grande silenzio dove non c’è mai stato
suono. C’è un grande silenzio dove suono non
può esserci: nella fredda tomba del profondo
mare.”
Profumo- storia di un assassino (Perfume: The Story of a
Murderer) di Tom Tykwer (2006)
Parigi, metà settecento. Mercato del pesce. Qui, in mezzo a
grida, sudiciume, miseria e odori nauseabondi, nasce Jean
Baptiste Grenouille. Cresce coltivando una dote unica: un
olfatto che gli consente di percepire tutti gli odori del mondo.
Questo dono è anche la sua condanna: appresi i segreti delle
essenze, rimane ossessionato dalla volontà di ricreare e
conservare il profumo delle donne. Nella sua ricerca di
distillazione diventa un assassino.
Sulla scia dell’anonimo romanzo del 1985, il regista traduce
gli odori che sente Jean Baptiste, frammentando le sequenze
per descriverci un mondo profumato e nauseante, fatto di
liquidi, corpi e pelle. L’orgia universale finale unisce
l’armonia della colonna sonora a quella del perfetto profumo.
Con una fotografia maestosa che culmina in tripudi descrittivi
in cui le parole sono del tutto assenti, prendiamo parte alla
vita di Jean Baptiste, interpretato dal giovane e bravissimo
Ben Whishaw, accompagnato da Alan Rickman e Dustin
Hoffman.
“Gli antichi egizi credevano che si potesse creare un profumo
assolutamente al di fuori del comune, aggiungendo solo una
nota in più, una sorta di essenza decisiva, che avrebbe
risuonato e dominato su tutte le altre.”
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Balla coi lupi (Dances with Wolves) di
Kevin Costner (1990)
La migliore offerta (The best offer) di Giuseppe
Tornatore (2013)
Metà Ottocento, guerra di secessione
americana. Il tenente Jhon Dumbar è un
eroe di guerra che non desidera più la
battaglia: chiede di essere mandato nei
territori della frontiera indiana. Viene
spedito dal folle comandante del presidio
nell'avamposto più remoto di tutti, in
territorio Sioux. Qui, come unica
compagnia il cavallo Cisco, il suo diario e il
lupo solitario che lo scruta dalle praterie.
Sarà l’incontro con la vicina tribù Sioux a
cambiargli la vita, ritrovandovi un senso in
quella scoperta di valori, sentimenti e
tradizioni della civiltà indiana.
L’antiquario e battitore di aste Virgil Oldman
(Geoffrey Rush) riceve l’incarico telefonico di creare
un inventario per un’antica villa da parte di Claire
(Sylvia Hoeks), giovane erede di una ricca famiglia.
Tuttavia la misteriosa ragazza non si farà mai vedere.
Mentre Virgil, nel corso dei sopralluoghi, trova nei
sotterranei dell'abitazione parti di un meccanismo che
si rivela essere di produzione molto antica, in lui
cresce una sempre maggiore attrazione per questa
committente avvolta nel mistero.
Attraverso uno sguardo disincantato Kevin
Costner (aggiudicandosi sette statuette) ci
svela il mito della frontiera, in una visione
amara e cruda in contrasto con la
spiritualità che avvolge le praterie desolate.
Attraversando paesaggi mozzafiato catturati
da una fotografia suprema, prendiamo parte
all’ancestrale rituale di Balla coi Lupi
davanti al falò nella prateria, in cui l’ululato
del lupo è unica colonna sonora di libertà.
“Invece, sentendo gli indiani scandire il
mio nome sioux, per la prima volta in vita
mia capii veramente chi ero.”
Una regia che costruisce una storia sui dettagli, di cui
ogni fotogramma è sovraccarico, si riempie di
significato nell’incontro con un’evocativa fotografia
che dipinge immagini come quadri. Un immenso
Geoffrey Rush conduce all’emozione attraverso l’arte,
l’eros ed il mistero di una storia struggente che stringe
lo spettatore nella curiosità. È davvero grande
Tornatore, che ci fa scivolare con Virgil sulla sublime
musica di Ennio Morricone, capace di esaltare la
sceneggiatura di cui scopriamo, attoniti, il segreto.
“In ogni falso si nasconde sempre qualcosa di
autentico. Nel simulare l'opera altrui, il falsario non
resiste alla fatale tentazione di metterci del suo. E lì
tradisce se stesso.”
Questo mese:
Big Fish- storie di una vita incredibile (Big Fish) di Tim Burton (2003)
Will giunge al capezzale del padre Edward Bloom, dopo tre anni di silenzio. È forse giunto il momento
di rispondere davvero alla domanda che ha accompagnato l’intera vita del figlio: chi è Edward Bloom?
Nel tentativo di riconciliazione, a Will non resta che cercare suo padre all’interno delle infinite storie
fantastiche che racconta, per scoprire la possibilità di un incontro tra realtà e immaginazione, sullo
sfondo di una dimensione magica che cela una verità inverosimile, ma vera.
Un film bellissimo, realizzato da Burton nell’anno della morte del padre e della nascita del figlio, da cui
una tensione emotiva profondamente calata in ogni fotogramma. Attraverso una fotografia
abbagliante, costellata da citazioni ed elevata da un cast eccezionale capeggiato da Ewan McGregor,
esploriamo una storia viscerale ed affascinante, in cui all’incomunicabilità si affianca amicizia, magia e
amore. Ed è proprio sulla scia del tema dell’anima gemella che, nell’amore per una donna, trovano
compimento le magiche narrazioni del visionario Edward Bloom, per riconciliare fantasia e realtà nei
luoghi dell’anima.
“C'è un tempo in cui un uomo deve lottare e un tempo in cui accettare la sconfitta: quando la nave è
salpata solo un matto può continuare ad insistere. Ma la verità è che io sono sempre stato un matto”
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Eterno progresso
poesia
Fulgente sarà e di fervido cuore
l'uomo che specchierà i suoi occhi
ai raggi salvifici di un nuovo sole
come un'anima orfica sicura
che transita nel mondo delle ombre
trascenderemo la psiche e il pensiero
oltre la luce faremo profondo il tempo
aldilà della sostanza caduco si farà lo spazio
quando giungerà il crepuscolo dei falsi dei
l'attesa e ineluttabile caduta dei venefici idoli
feticci allacciati alla nostra anima
come un cilicio raschiante
e ci lasceremo sospingere
liberi dalla nostra croce
per natura da curiosità mossi
verso la fede più verace
Noi, che la nostra mente ogni immagine innalza
siamo l'infinito che tutto ha in se e avanza
nel progredire luminoso
nulla ci scuote e niente ci ferma
come l'acqua che scorre fiera
e davanti alla roccia scava e si nutre
facciamo svanire il nostro limite incostante
siamo infinito, essenza viva dell'impossibile.
Vittorio Mascarini
Aldilà del tempo
Non tutti ti ameranno, o Dulcamara
arbusto del ricordo profetico
ora dalle tue silvane labbra appassite
canti dolcemente la tua decadenza:
È giunta la fine del mio dolce cantare
ma una nuova soave poesia
nasce dalle ceneri del mio carme estinto
come l'araba fenice
non più le leggere Muse Eridanie
col mio corpo si cingeranno i capelli
e con la mia verde e vigorosa carne
nutriranno il canto di quel giovane retico
ma il mio ricordo in quelle labbra si farà eterno
come un bacio d'addio in una sera d'Agosto,
Amore e poesia trascendono il tempo.
Vittorio Mascarini
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Lettera a un maturando
Di Clelia Anselmi
Caro Maturando,
qui non troverai le risposte al senso della vita, ai tuoi dubbi per il futuro, il titolo della versione che ci sarà
alla maturità o un'illuminazione per la tua tesina. Mi spiace. Anche io sono una maturanda e voglio dirti che
ti capisco: qualsiasi tuo pensiero di questo ultimo mese ce lo abbiamo avuto tutti almeno una volta.
Sai, quest'anno è stato davvero assurdo e pensando a tutti questi mesi di preoccupazioni, ansia, dubbi e
studio fino alle due di notte ho capito una cosa: mi mancherà questa scuola. Sì, perché nonostante tutte le
pene che ci ha fatto passare, le verifiche, la sveglia a orari disumani e le macchinette che non danno il resto
rimarrà sempre il luogo degli anni più belli. A settembre mi sembrerà strano non venire qui per il primo
giorno di scuola, già lo so. Altre persone si sederanno ai nostri posti, i nostri banchi conosceranno le biro di
altri ragazzi, i nostri corridoi vedranno altri studenti cercare un po' di respiro durante l'intervallo. Mi sembra
incredibile che cinque anni siano già passati. CINQUE, ti rendi conto?
Ho odiato tanto la scuola, non lo nego, soprattutto in questo periodo dell'anno. Ma tornando indietro nel
tempo ricordo soltanto i compleanni dei miei amici e i festeggiamenti, gli ultimi giorni di scuola (con le
relative foto felicemente imbarazzanti), gli scherzi, gli sguardi complici lanciati da una parte all'altra della
classe, le battute dei prof, le nostre splendide gite, i ghirigori sui libri e risate, tantissime risate. Non
cambierei nulla, ho conosciuto persone troppo importanti e fatto esperienze troppo meravigliose. E
nonostante le litigate e gli scontri, l'ansia e le interrogazioni, mi mancherà tutto questo.
Altre cose molto strane dei mesi scorsi sono stati gli innumerevoli consigli: improvvisamente tutti hanno
incredibili suggerimenti sul tuo futuro e sulla tua vita che sicuramente ti serviranno e di cui non potrai fare
a meno. All'inizio prestavo anche attenzione a quello che gli altri mi dicevano, ma arrivata al centesimo
consiglio su come non fare gli errori che loro avevano commesso ho smesso. Non voglio sembrare ingrata,
apprezzo tantissimo che amici e parenti vogliano aiutarmi (e mi preoccuperei se non lo facessero), ma ho
capito che per vivere la mia vita devo fare i miei errori (quindi, grazie mille a tutti, ma so sbagliare per conto
mio). La nostra vita non si deciderà quest'estate. Il mio vero terrore per l'anno prossimo era proprio quello
di prendere una decisione sbagliata e rovinare tutto, ma ho tutto il diritto di sbagliare. Se non sbagliamo
adesso quando abbiamo intenzione di farlo?
È arrivato il fatidico momento di provare e fare quello che ci piace davvero (è proprio questa la differenza
con la scuola). Se le cose ti andranno bene, organizzerai una grande festa e canteremo fino all'alba in giro
per la città; se invece andranno male, chissenefrega! Tenterai qualcos'altro e vedremo come andrà. Quello
che voglio dirti è di fare quello che ti senti, quello che vuoi, senza ascoltare nessun altro. E se non vuoi
credere a me, beh, allora crederai ad un grande come Oscar Wilde: "La vita è troppo breve per sprecarla a
vivere i sogni degli altri."
Ma adesso, invece, voglio dirti l'ultima cosa. Qualche tempo fa ho visto il video del discorso che Steve Jobs
fece ai laureati di Stanford e gli disse due brevissime frasi: "Siate affamati. Siate folli." È quello che auguro a
te, mio caro Maturando. Ti auguro di non perdere mai la curiosità per tutto ciò che ti circonda, la voglia di
imparare e di conoscere nuove culture e paesi, la spensieratezza e gli occhi di noi ragazzi e quel briciola di
pazzia che accomuna tutti noi studenti di questa scuola. E, soprattutto, ti auguro di non sprecare il tuo
tempo facendo cose che non ti interessano e con persone che non lo meritano.
Ciao Manin, è stato un piacere essere parte di te.
PS: Pensando agli anni scorsi mi è venuta in mente un'altra cosa. Ho il vago ricordo di una frase che sentivo
(e dicevo) ogni primo giorno di scuola: "Quest'anno sarà diverso, da oggi si studia!"
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IPSE NON DIXIT
Leggendo Teocrito: “Sulle spalle la fulva pelle di un villoso irsuto caprone, odorosa di caglio
fresco..” “Beh, diciamo che era un po’ nature…”
Di Vita
Prof: “Se questa soluzione la chiamo Ugo, C., questa come la chiamo?”
C (alunno): “Cirillo.”
Prof: “No, meno Ugo porca miseria.”
Racchelli
I ragazzi fanno rumore: “Fate silenzio ragazzi, è una questione di concentramento.”
Borelli
“A parte la fede, qual è una forza uguale e contraria che la tiene su?”
Racchelli
“Avete la memoria di un moscerino, ma un moscerino nano. E questa la voglio sul giornalino.”
Giazzi
Stavolta, dato che l’occasione è speciale, il ringraziamento più sincero va a tutta la Redazione,
che in questo anno ha messo tutto il suo impegno e il suo entusiasmo per la realizzazione del
nostro Maninians. Ringraziamo Chiara Zilioli, l’autrice delle bellissime copertine, Miryam di
Capo, della splendida illustrazione finale, Sofia Politi, Sofia Raglio e Clelia Anselmi per le
illustrazioni delle Dumb ways to die di pag. 14, e gli autori di tutti gli articoli, di questo
numero e di quelli precedenti, che hanno saputo tirare fuori idee originali e hanno avuto il
coraggio di esporle a un pubblico a volte inclemente. Un grazie anche alla Preside e al prof.
Lupatelli per la loro supervisione e il loro aiuto. E ultimi ma non per importanza, Antonio e
Carla che si sono impegnati per la stampa di tutte le copie che avete ricevuto. Grazie.
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