dove il mito incontra l`oceano

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dove il mito incontra l`oceano
Le scogliere di Crozon
Bretagna,
di GUIDO BAROSIO
foto GIANFRANCO CAPPELLANO e GUIDO BAROSIO
dove il mito incontra
l’oceano
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Un viaggio ai confini del Mondo, dove alte scogliere di granito affrontano
l’Atlantico. Nella regione dei fari, delle maree, dei celti e delle loro leggende,
dei menhir e dei giganti che li eressero; a ‘Penn-ar-bed’, il ‘Finis Terrae’ degli
antichi, la mitica Cornovaglia
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L’isola di Houat
I menhir di Carnac
La sala del dolmen di Locmariaquer
P
Il faro La Veille a Pointe du Raz
er gli antichi romani era la ‘Finis Terrae’
– più in là solo onde terrificanti, mostri e
fantasmi – per loro, i bretoni, è sempre
stata ‘Penn-ar-bed’, letteralmente la
‘testa del mondo’. E dalle due visioni di
un luogo si può trarre il primo insegnamento: per l’invasore prevale lo spavento, il timore per
lo sconosciuto e l’ostile, per i nativi domina l’orgoglio
di appartenenza, la consapevolezza di essere radicati in uno spazio leggendario e differente. Unico elemento comune, la percezione di un confine – naturale e
mentale – oltre il quale non si può procedere. E come
di fronte ad ogni confine sta a te scegliere da che parte stare: se quella terra ti appartiene lo interpreti come
una formidabile protezione, se invece sei, o ti senti,
un estraneo lo scenario diventa inquietante e respingente. In più, come inevitabilmente accade, la mente degli uomini modella reazioni e stati d’animo su geografia, geologia e panorami. E nella Bretagna occidentale – tra Finistère e Morbihan – ogni suggestione è
modellata dal contrasto tra oceano e rocce, tra sabbie e onde, tra il verde delle praterie e il turchese di
un mare onnipresente, costantemente percepito
anche quando non lo si vede. Il disegno di questo confine – tra tutti i confini il più ancestrale – si manifesta
attraverso un percorso astratto, aspro e imponente
nelle forme, solo a tratti percorribile tra sentieri e stradine costiere, mentre in un continuo divenire appaiono speroni di roccia, punte di pietra che sfidano i
marosi, promontori, baie, falaise, golfi e, all’orizzonte, fin dove approda lo sguardo, isole e scogli aguzzi. Un paesaggio reso ‘sonoro’ dall’infrangersi delle
acque e dal vento, dove l’uomo ci ha messo, o ci ha
potuto mettere, poco di suo: fari isolati, casette battute dal vento, qualche chiesa e qualche castello. Se
tra i vari indici per ‘misurare’ un territorio si inserisse
quello relativo a miti e leggende la costa occidentale bretone – l’antica Cornovaglia – avrebbe pochi rivali. L’oceano burrascoso – metafora perfetta dell’altrove e dell’aldilà – ha sempre portato in scena un pantheon di terrorizzante varietà: mostri voraci, serpenti
di mare, sirene, demoni, fantasmi, divinità furibonde
e vendicative, vascelli maledetti. Tutti protagonisti di
avventure sinistre e misteriose, raccontate e ripetute
nelle notti di tempesta, quando – nei villaggi dei
pescatori – la paura per il mare che andava quotidianamente affrontato si ingigantiva attraverso la narrazione, il ricordo, il timore di una sfida inevitabile e necessaria. Ambiente e geografia come fattore condizionante per il lo spirito e il carattere, certo, ma anche metereologia come elemento di frattura tra terrore e speranza, tra serenità e percezione del pericolo. Tanto le
coste bretoni trasmettono immagini drammatiche e
spaventose durante le mareggiate, o quando il vento ulula di rabbia e il cielo scarica piogge sferzanti, tan-
to lo scenario appare di abbagliante e rassicurante bellezza nelle giornate limpide, terse, decorate dall’irresistibile turchese profondo dell’oceano, abile nel cancellare dalla mente ogni inquietudine. Due mondi paralleli e contrastanti sotto il medesimo cielo, due metafore della vita in continua alternanza, perché nel
Finistère il tempo muta in continuazione, anche nella medesima giornata, anche a poche ore di distanza; imponendo un repentino ‘cambio delle vele’, in barca come nell’umore degli esseri umani. Ne consegue
un profondo senso di fatalismo, una capacità di
affrontare il provvisorio e l’imprevisto con la saggezza innata nei ‘popoli naturali’, lontana anni luce dal presente programmato delle civiltà metropolitane. Il
nostro viaggio – che ci porterà dal Morbihan fino al
faro di Pointe Saint Mathieu – parte nel luogo dove
la storia si allaccia al mito, offrendoci più domande che
risposte, sorprendendoci con emozioni che rimandano spediti verso le radici dell’umanità: Carnac. Benvenuti nella terra dei menhir! Nei dintorni di questo piccolo villaggio a pochi chilometri dal mare, si trovano
tre grandi ‘allineamenti’ – Le Ménec, il maggiore, Kermario e Kerlescan – oltre a diversi tumuli (collinette artificiali con funzioni di mausoleo), dolmen (camere
delimitate da pietre orizzontali, a volte con funzioni
funerarie) e diversi siti di entità minore. A dominare il
paesaggio sono però proprio i menhir: imponenti rocce disposte in verticale – l’altezza varia da 1,50 a 3,50
metri, mentre il peso può raggiungere le 32 tonnellate – che compongono lunghi viali ordinati nel verde
smeraldo dei prati. Se interrogate gli archeologi scoprirete… poco più di nulla. Dei monumenti megalitici bretoni si conosce grosso modo la datazione – risalgono al neolitico, quinto e quarto millennio avanti Cristo – ed il loro numero originario: oggi se ne contano circa 4000, ma erano probabilmente oltre 13000.
Il resto sono supposizioni, o meglio mito, pura e strug-
I menhir di Carnac
Il menhir ‘spezzato’ di Locmariaquer
‘La testa del drago’ a Pointe de Dinan
La costa a Crozon
Il porto di Douarnenez
gente incarnazione del mito. Falsa anche la credenza che li vuole opera dei celti, che li adorarono e ne
fecero luogo di culto, ma che giunsero in Bretagna
‘solo’ a partire dal secondo millennio avanti Cristo. La
nostra guida – Jean-Michel Bonvalet – ci spiega
divertito: «è tutto colpa di Obelix, il costruttore dei menhir nella Gallia dei fumetti. In realtà dei loro creatori,
come della funzione originale, sappiamo poco o nulla». Ad essere ancora più precisi non si può neanche
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parlare di ‘costruttori’, perché queste imponenti rocce di granito non vennero mai lavorate. Chi decise di
installarle si limitò – si fa per dire, dato il peso… – a
piantarle nella roccia e a disporle ordinatamente, evidentemente con uno scopo. Ma quale? Si sa per certo che il sito di Carnac durante il neolitico era più vicino al mare, probabilmente proprio di fronte alla costa.
Da qui la supposizione che i menhir ‘segnassero un
confine’: tra l’erba e le sabbie, tra l’oceano e la terra, ma forse – più simbolicamente – tra il conosciuto e l’altrove, tra il mondo dei vivi e quello dei morti,
delle divinità, delle presenze ultraterrene. Domande,
pensieri, supposizioni, ma anche il tentativo di connettersi con qualcosa di antichissimo e ancestrale, che
è impossibile non cogliere percorrendo prospettive
concepite da antenati dei quali ignoriamo ogni cosa.
Come è impossibile non riflettere sul gigantismo dell’opera: 13000 steli in granito, decine di migliaia di mani
per spostarli e sollevarli, un disegno ciclopico del quale ci resta solo l’elemento più evidente e incancellabile: l’armonia con la natura e il paesaggio, un luogo
ideale per ascoltare il vento, il silenzio e se stessi osservando lo scorrere delle nuvole. Così arrivi facilmente
all’essenza, la smetti di farti domande, li tocchi
lasciando scorrere quella evidente energia che arriva
da lontano – sono pietre ‘abitate’, la storia coi suoi quesiti può attendere. I celti, loro sì, ebbero meno dubbi di noi, o semplicemente un'altra sensibilità; se li trovarono di fronte e ci costruirono una fede attorno, se
ne impossessarono adorandoli e architettando un
mondo che li accogliesse. Ne sono stati i custodi per
altri duemila anni e coi bretoni di oggi – i loro eredi –
il cammino prosegue senza soluzione di continuità. A
Locmariaquer, sempre nei pressi di Carnac, il mito ha
un’appendice di enigmatica imponenza. Qui si trova
il menhir più grande di ogni epoca (18,5 metri di altezza, ma attualmente giace a terra spezzato in 4 frammenti): colosso sorprendente per dimensioni e fattura perché venne sia ‘eretto’ che ‘scolpito’. Tagliato in
un granito del tutto estraneo alla zona, questo blocco di pietra, del peso di 280 tonnellate, venne portato a destinazione usando tecniche ancora ignote. Una
volta eretto i suoi creatori lo levigarono utilizzando percussori in quarzo: un insieme di operazioni semplicemente sbalorditive se si pensa che vennero condotte oltre 6000 anni fa… Il magnifico gigante oggi giace a terra, distrutto dalla natura – o demolito – nel 4000
avanti Cristo; ma anche su questo episodio il mistero resta insoluto. Un’esperienza lungo la costa occidentale bretone non può prescindere dall’incontro con
il mare vissuto a vela. Lungo queste coste – nel golfo omonimo – si allenano i ‘Glénan’, discepoli di una
tra le più selettive scuole velistiche al mondo. Non è
un caso: il luogo è stato prescelto proprio perché il
quoziente di difficoltà di questo mare ha storicamente pochi eguali. Chi ha imparato qui può andare ovunque. Ma ancora più degli sportivi, i veri depositari di
ogni segreto sono i pescatori che, per generazioni, si
sono guadagnati l’esistenza affrontando venti, onde
e condizioni atmosferiche estreme. Basta una semplice escursione per rendersene conto. In una mattinata di pioggia battente e vento teso ci siamo
imbarcati con Federic e Jérome sul ‘Krog e Barz’ alla
volta dell’isola di Houat. Il battello – 22 metri, 27 tonnellate, 210 metri quadrati di vele – si rifà alla tradizioni delle velocissime ‘langoustier’ di inizio ‘900 e viene ‘portato’ verso la sua destinazione da tutto l’equipaggio, ospiti compresi anche se neofiti. L’esperien-
za – se il clima è avverso – ha ben poco di turistico,
ma aiuta a comprendere, ti cala in quell’atmosfera fuori dal tempo che impone la sfida – semplice quanto
ardua – con una natura che non interpreta certo il ruolo di comprimaria. Ma la padronanza di chi guida la
barca è tale da rendere tutto possibile, le istruzioni
(sarebbe meglio dire i comandi…) consentono una
navigazione senza problemi anche quando l’equipaggio, come nel nostro caso, è composto da soli 4 elementi. Si arriva zuppi e infreddoliti, ma orgogliosi di
una prova ‘vera’, anche se limitata a due ore di rotta. L’isola di Houat ripaga ogni sforzo: un minuscolo
borgo di pescatori dove la storia ha compiuto solo piccoli passi, una comunità serenamente autarchica
come tre secoli fa, quando fondamentalmente si
amministrava da sé: troppo piccola e povera per meritare un governo ed una guarnigione. A piedi si raggiungono grandi spiagge splendide e solitarie, scogliere affollate di uccelli marini, approdi silenziosi
dove non esiste altro suono che il vento e il rumore
delle onde. A questo punto il nostro itinerario piega
con decisione verso Nord Ovest, dove il Finistère mette in scena i suoi confini oceanici. L’obiettivo sono tre
capi – la Pointe du Raz, le punte della penisola di Crozon e la Pointe Saint-Mathieu – dove il mondo sembra davvero finire per riprendere lontano, molto più lontano, oltre l’Atlantico. I capi bretoni si raggiungono
attraverso stradine costiere che assecondano un
cammino tortuoso e movimentato; calcolare il tempo necessario al tragitto sulla base del puro chilometraggio inganna come di fronte ad un miraggio. La
Pointe du Raz – considerata il simbolo emblematico
dell’estremo Occidente – è uno sperone di roccia alto
70 metri che separa il continente dall’isola di Sein. In
Veduta aerea dalla Pointe du Raz
La Pointe du Raz
A vela sui Krog e Barz
mezzo il Raz de Sein, un braccio di mare che – secondo un diffuso detto bretone – «nessuno ha mai attraversato senza paura e senza dolore». L’incubo dei naviganti è ben segnalato dallo scoglio dove si erge il faro
‘La Veille’: acceso nel 1887 fu automatizzato nel 1995,
fino ad allora intrepidi guardiani lo abitarono in condizioni ambientali sovente estreme. Dalla Pointe du
Raz, piegando a destra, si supera la ‘baia dei trapassati’ per risalire all’altro capo che domina il panorama: la Point du Vent. In uno scenario di tale selvaggia imponenza si sono alimentate leggende millenarie. Proprio in questo tratto di costa il mito colloca la
città di Ys: opulenta e maledetta, sarebbe stata
inghiottita dalle onde per i malefici e la lussuria della
La ‘baia dei trapassati’
principessa Ahes. Ma è la stessa ‘baia dei trapassati’ a rappresentare l’invisibile confine tra la terra dei
viventi e l’altrove. Su questa grande spiaggia dorata,
dove probabilmente il mare restituiva il corpo dei naufraghi, si apriva una porta – o meglio un ‘porto’ – verso Avalon, il ‘paradiso delle delizie’, il luogo di residenza di tutti i santi, dove sorgeva il palazzo di cristallo,
o più semplicemente l’aldilà dei meritevoli. Sembra
anche accertato che le popolazioni celtiche imbarcassero da questa costa i corpi dei druidi alla volta dell’isola di Sein, dove trovavano gloriosa sepoltura. In
tempi più recenti questa località – simbolo della forza minerale di una regione dove il granito affiora ovunque - incantò personaggi come Sarah Bernhardt, che
Spiaggia nella penisola di Crozon
aveva un formidabile senso del grandioso, e Anatole France, che la celebrò con queste parole: «Davanti a noi l’oceano, dove il sole si corica in un letto di
fiamme, stendendo in lontananza la nappa magnifica delle sue acque che percuotono le rocce nere fiorite di schiuma. E dove l’isola di Sein, semplice e bassa, dorme sulla lama dei propri marosi». Altra penisola e altra leggenda. A Crozon – meno frequentata
e ancora più selvaggia della Pointe du Raz – si narra che i numerosi monumenti megalitici risalgano
all’epopea della disfida tra i giganti del sovrano Kawr
e i Korrigans, nani laboriosi e burloni amanti delle località abbandonate. La battaglia finale avvenne lungo la
falaise, quando i giganti ‘affumicarono’ i piccoli nemici nelle loro grotte per poi imprigionarli – dove oggi sorge la Pointe de Dinan – con grandi massi di pietra che
ancora dominano lo scenario. Prima di raggiungere
Plougonvelin, ‘l’imbarcadero dei viaggi meravigliosi’,
facciamo una rapida deviazione verso due località di
arte e storia situate nell’immediato entroterra: Quimper e Locronan. La prima – antica capitale della Cornovaglia – propone un incantato centro storico con
deliziose case a graticcio, dominato dalla elegante
mole della cattedrale di Saint-Corentin. Centro di formidabili ceramisti, tradizionali ma anche legati al percorso cubista e Art Déco del movimento Ar Seiz Breur
(‘I sette fratelli’), Quimper deve la sua mitica fondazione a Re Grandlon – padre della perversa Ahes –
che edificò la città quando Ys venne annientata dai
flutti. Locronan – classificato come uno dei più bei villaggi di Francia – è un piccolo gioiello medioevale di
neanche 800 abitanti. Quella che fu la ‘fabbrica’ per
le vele della Compagnia delle Indie oggi rappresenta
il set cinematografico prediletto per decine di produzioni: ‘Tess’ di Polansky, l’Isola del Tesoro, D’Artagnan,
innumerevoli serie televisive transalpine… Ma il fascino di Locronan ha radici ancestrali ed è legato a uno
dei più evidenti fenomeni di sincretismo religioso di tutta la Bretagna. La sua vicina foresta – la Montagne
de Locronan – fu luogo sacro prediletto dalle popolazioni celtiche, che vi celebrarono riti e pellegrinaggi druidici. Nei secoli il cristianesimo prese il potere e
tentò – invano – di sottomettere le credenze originarie. Col tempo si giunse ad una sorta di tacito compromesso, che permise di adorare l’antico sotto le forme del nuovo. I luoghi restarono i medesimi, ma le credenze assunsero forme inedite e meticce. L’esempio
Le scogliere della penisola di Crozon
Quimper
Locronan
Vannes
Locronan
ste coste. Qui approdò il vascello che portò dall’Egitto le reliquie del santo – si narra in un giorno di tempesta, quando le rocce si spalancarono per far passare la nave… – e da qui partirono i monaci per evangelizzare l’Irlanda in un ‘viaggio meraviglioso’, dove
– nella città degli angeli – incontrarono i profeti Enoch
ed Elia. Tutto sembra essere accaduto in un solo luogo; il medesimo che esplori al tramonto (e poi di nuovo di notte, alla luce della grande lanterna del faro) consapevole di aver raggiunto ‘il confine’. Sei nella terra
dei celti, dei santi, delle sirene e dei guerrieri; tra onde,
vento e maree il visibile e l’invisibile danno al mito un
valore concreto. Mai come tra le rocce di Penn-ar-bed
comprendi che ogni viaggio ne prepara un altro, tutto da affrontare e ancora da scrivere, ignoto nei dettagli ma pronto per essere vissuto e raccontato.
I
Locronan
L’abbazia di San Matteo
Il faro a Pointe Saint-Mathieu
Quimper
più evidente e spettacolare sono Le Troménies, grandi processioni che partono e tornano al villaggio
dopo aver attraversato, in una serie di ‘stazioni’, la foresta sacra, dove sorgeva l’antico ‘Nemeton’, il tempio
naturale. Ogni anno si tiene la ‘piccola Troménies’ di
6 chilometri, mentre ogni 6 anni (e l’evento accadrà
proprio nel 2013, la seconda e la terza domenica di
luglio) viene celebrata la ‘grande’, considerata il più
lungo e articolato pellegrinaggio religioso europeo. Il
nostro viaggio termina nella località che più di ogni altra
sintetizza il fascino di questa terra ai confini occiden226
Quimper
tali: la Pointe Saint-Mathieu o ‘Penn-ar-bed’, la testa
del mondo, l’imbarcadero dei viaggi meravigliosi. La
vedi e ti dice tutto, perché nessuno dei simboli manca all’appello: c’è il faro – metafora ideale di ogni viaggio, di ogni approdo, la luce che indica la rotta ai naviganti portandoli al riparo dalla tempesta – c’è l’antica abbazia di San Matteo (i resti – a cielo aperto – di
un monastero benedettino del VI secolo) – ci sono le
rocce del capo che si alzano a 30 metri sul mare e
due ‘steli crociate’ celtiche, che rimandano ai riti precristiani e al sincretismo religioso dominante su que-
il viaggio torino magazine
torino magazine il viaggio Bretagna,
appunti di viaggio
Hotel Le Tumulus Carnac
Hotel Ty Mad Douarnenez
Hostellerie e Spa de la Pointe Saint Mathieu
essere segnalato come uno degli approdi ‘unici’
e imprescindibili nel panorama internazionale;
paragonabile all’albergo di ghiaccio o a quello
costruito tra gli alberi dell’Amazzonia. Qui l’incanto è segnato dal faro e dalla punta, dalle rovine
dell’abbazia e dal silenzio di un luogo dove si soggiorna avvolti nel mito e nella magia. Suggestioni completate magistralmente da una cucina di
assoluta eccellenza, dai servizi di una spa organizzatissima, dalla comodità di grandi stanze
con terrazze spaziose e Jacuzzi private. Tra tante emozioni la più intima si raggiunge la sera, dopo
il tramonto, dopo una degustazione di sorprendenti sapori oceanici e di referenze ben calibrate, quando si esplora – alla luce del faro – un luogo che, anche solo per pochi istanti, ci può
appartenere assecondando ogni fantasia. Minuti indimenticabili prima di rientrare, rifugiandosi nel
riposo al suono del vento e delle onde.
L’arte dell’accoglienza
Carnac – Hotel Le Tumulus
Chemin du Tumulus
Tel. 0033.2.97520821
www.hotel-tumulus.com
Un elegante e confortevole tre stelle a pochi minuti di auto dal sito archelogico di Carnac. L’hotel
occupa un piccolo palazzo di inizio Novecento e
propone un buon servizio ristorante, una grande
piscina esterna ed una spa con hammam e
Jacuzzi.
Sarzeau – Hotel Lesage
3 Place de la Duchesse Anne
Tel. 0033.2.97417729
www.hotelrestaurantlesage.com
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Nel cuore del borgo di Sarzeau, in pieno Morbihan,
a pochi chilometri dalle bellezze del golfo, questo piccolo tre stelle (solo 12 stanze) si fa apprezzare per l’accoglienza calorosa e per l’ottimo livello della cucina, con preparazioni fantasiose e delicate dei migliori prodotti del territorio.
Douarnenez – Hotel Ty Mad
3 Rue Saint-Jean
Tel. 0033.2.98740053
www.hoteltymad.com
Ci sono dimore delle quali ti innamori risolutamente appena arrivato. E il Ty Mad (in bretone ‘buona casa’) è una di queste. L’incanto parte dalla
location – un antico presbiterio arroccato in collina e affacciato sull’azzurro della baia, dove trovano posto opere d’arte contemporanea bene
inserite tra arredi caldi e sofisticati – prosegue con
le stanze – foderate di legno, curate in ogni dettaglio e fornite di libri in libera consultazione – e
incanta con la cucina: sapori bretoni contaminati con accordi etnici, vini esclusivamente bio tutti da scoprire. Ma non basta, questo piccolo,
incantevole hotel offre anche i piaceri di un raccolto giardino bordo piscina e di una spa con hammam
e bacino interno. Aggiungiamo ancora che i titolari parlano italiano e sapranno coinvolgervi con
proposte verso gli itinerari meno battuti di un territorio che li vede appassionati estimatori.
Hostellerie e Spa de la Pointe Saint Mathieu
7 Place Saint-Tanguy, Plougonvelin
Tel. 0033.2.98890019
www.pointe-saint-mathieu.com
Semplicemente un luogo fuori dal mondo ai confini del mondo. L’hotel di Philippe Corre merita di
sto decine di gruppi provenienti da tutte le terre
gaeliche trasformeranno Lorient in un immenso
palcoscenico. Da non perdere, domenica 11, ‘La
Grande Parata delle Nazioni Celtiche’ che attraverserà – in un percorso di 11 miglia – tutta la città. Tra gli artisti più celebri in programma: I Muvrini (3 agosto), Nolwenn Leroy (4 agosto), Hevia (5
agosto), i Clannad (6 agosto), Sinead
O’ Connor (10 agosto). Ogni sera la grande
kermesse delle ‘Nuits Interceltique’ allo Stadio di
Moustoir e ancora rassegne di arpa, accordeon,
cornamuse e numerosi ‘fest noz’, irresistibili
appuntamenti dedicati alla danza tradizionale.
Per meglio organizzare il vostro
viaggio
Atout France, l’ente nazionale del turismo francese
in Italia:
www.rendezvousenfrance.com
Il Comitato Regionale del Turismo della Bretagna:
www.bretagna-vacanze.com
Per notizie riferite agli allineamenti di Carnac:
www.carnac.monuments-nationaux.fr
Per organizzare il vostro viaggio in treno
www.voyages-sncf.com
Federic e Jerome sul Krog e Barz
Per un viaggio in vela
Krog e Barz
Port-Navalo, info presso l’imbarcadero
Tel. 0033.2.97490750
www.krog-e-barz.com
Per uscite personalizzate Tel. 0033.6.47357384
Partenze per l’isola di Houat lunedì, mercoledì,
venerdì e domenica alle 8.40 (ritorno 17.30);
partenze per l’isola di Hoedic martedì, giovedì e
sabato alle ore 8.40 (ritorno 17.30). Prezzo per gli
adulti 49 euro, 39 per i bambini fino a 12 anni
Festival di Lorient
www.festival-interceltique.com
Semplicemente il più grande e qualificato festival
di musica celtica al mondo. Dal 2 all’11 di ago229