Risorse_files/Masaccio e la Cappella Brancacci

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Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Masaccio e la Cappella Brancacci Masaccio visse solo ventisette anni e dipinse per sette ma fece in tempo a scombussolare e stravolgere l’intera arte quattrocentesca a lui contemporanea. «E insomma tutti coloro che hanno cercato imparare quella arte, sono andati a imparare sempre a questa cappella, ed apprendere i precetti e le regole del far bene dalle figure di Masaccio», così commenta Giorgio Vasari dopo aver stilato la lunga lista di pittori che andavano a esercitarsi nella Cappella Brancacci e che -­‐ iniziando dal Beato Angelico, più anziano di Masaccio ma sbalordito dalla sua novità – arriva ad includere i manieristi, Rosso, Pontormo, passando per Leonardo, Michelangelo e Raffaello. Fin da subito Masaccio fa scuola e forse molti suoi contemporanei lo raggiungono sui ponteggi dove lavora con il già affermato Masolino, che aveva avuto la commissione della Cappella Brancacci. Se è evidente che Masaccio, in un periodo di tempo brevissimo, ha innovato tutta la pittura del ‘400 e dei secoli a venire, non è altrettanto chiaro dove si è formato, egli sembra nascere dal nulla; per usare le parole di Roberto Longhi, uno dei più importanti storici dell’arte del novecento, «Se mai vi fu artista ad uscire già armato dal cervello della pittura, questi fu Masaccio». I primi lavori Le notizie della sua brevissima vita sono scarne come scarsamente documentati sono i suoi lavori. Tommaso di Giovanni Cassai, questo il suo nome anagrafico, nasce a San Giovanni Val d’Arno il 21 dicembre 1401, dal notaio ser Giovanni Cassai e Monna Jacopa di Martinozzo; il cognome deriva dalla professione del nonno, che fabbricava mobili e anche “casse”. Nel 1406 muore il padre e nel 1417 Masaccio, con la madre e il fratello Giovanni, si trasferisce a Firenze. Null’altro si sa di lui fino al 1422, anno in cui si iscrive all’Arte dei Medici e degli Speziali, la corporazione degli artisti alla quale si aderiva per poter lavorare. In questi cinque anni di assenze di documenti sulla sua vita ed il suo lavoro, Masaccio stringe amicizia con Filippo Brunelleschi e Donatello. Il trittico della chiesa di San Giovenale a Cascia di Reggello, con la Madonna, il Bambino e quattro santi, datato 1422, opera attribuita al Masaccio, costituirebbe il suo primo lavoro; Masaccio l’avrebbe eseguito a Firenze per la ricca famiglia fiorentina dei Castellani, che esercitava il patronato su San Giovenale. Sul bordo inferiore, durante i restauri del 1961, al di sotto di un listello di cornice non originale che bordava la tavola, apparve la scritta: ANNO DOMINI MCCCCXXII A DI VENTITRE D’AP(RILE). Le vicende che anticipano la Cappella Brancacci Intorno al 1424 inizia la collaborazione con Masolino nella realizzazione della tavola “Sant’Anna metterza” -­‐ cioè la Madonna con il Bambino in grembo a sant’Anna “messa terza” -­‐ per le monache benedettine di Sant’Ambrogio a Firenze, e nel ciclo di affreschi delle “Storie di San Pietro” nella Cappella Brancacci all’interno della Chiesa del Carmine. Nello stesso periodo i carmelitani gli avevano affidato la realizzazione di un affresco che rievocasse la cerimonia della consacrazione (“della Sagra”) della chiesa del Carmine, avvenuta nel 1422. Di tale opera, affrescata su una parete del chiostro del Carmine, distrutta alla fine del XVI secolo, restano sei disegni parziali, dei quali uno di Michelangelo, e la descrizione del Vasari che riporta come, nella scena ambientata nella piazza del Carmine, Masaccio aveva rappresentato «... infinito numero di cittadini in mantello ed in cappuccio che vanno dietro alla processione: fra i quali fece Filippo di ser Brunellesco in zoccoli, Donatello, Masolino da Panicale... Antonio Brancacci che gli 1 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao fece far la cappella [in realtà la commissione gli fu affidata da Felice Brancacci], Niccolò da Uzzano, Giovanni di Bicci de’ Medici, Bartolommeo Valori, i quali sono anco di mano del medesimo in casa di Simon Corsi, gentiluomo fiorentino. Ritrassevi similmente Lorenzo Ridolfi, che in que’ tempi era ambasciatore per la repubblica fiorentina a Venezia». Masaccio, oltre ai suoi amici, aveva ritratto nella scena i rappresentanti della “classe dirigente” fiorentina per i quali, lo sappiamo sempre dal Vasari, aveva eseguito anche dei ritratti individuali. Masaccio perciò era un uomo che sapeva “muoversi”, le sue sono tutte committenze importanti e non era quindi così sprovveduto e trascurato come, prendendo spunto dagli scritti del Vasari, molti storici lo hanno voluto immaginare: «Fu persona astrattissima e molto a caso... non volle pensar giammai in maniera alcuna alle cure o cose del mondo, e non che altro al vestire stesso... per Tommaso, che era il suo nome, fu da tutti detto Masaccio; non già perché e fusse vizioso, essendo egli la bontà naturale, ma per la tanta trascurataggine...» (Giorgio Vasari). Il lavoro della Cappella Nel 1424 viene chiamato da Masolino per proseguire gli affreschi della Cappella Brancacci; il primo ne aveva già affrescato le volte e l’ordine superiore. I due lavorano insieme dal 1424 fino al settembre del 1425, quando Masolino parte per l’Ungheria. In un divertente dialogo immaginario, che si svolge sui ponteggi della Cappella, fra Masolino e Masaccio, il Longhi prova a descrivere il disorientamento del più anziano Masolino -­‐ e di tutta la sua generazione di pittori -­‐ davanti alla genialità innovativa di Masaccio, che dà inizio al nuovo tipo di pittura prospettica, dove le figure sono reali e si muovono in uno spazio reale. Siamo al momento della realizzazione della scena con i due miracoli di san Pietro, la Resurrezione di Tabita e il Risanamento dello storpio, e Masaccio esorta Masolino: «Non credi che se fai che lo spazio sia certo, i due fatti saranno a questo modo già uniti e pur distinti? O che vuoi snocciolarli tutti per un verso come le avemarie del rosario? E far che Pietro insegua Pietro?... fa che ai lati due edifici convergano al centro e presso di quelli poni l’azione: vedrai che tutto andrà bene... Io ti segnerò intanto il centro dell’altezza con questo chiodo [e quel foro esiste davvero]: qui devon convenire da una parte le linee del tempio, dall’altra quelle della casa di Tabita». Restava da riempire lo spazio fra le due scene e Masaccio gli consiglia di inserire due figure moderne: questo serviva, secondo i suggerimenti di Leon Battista Alberti, a rendere “più vere” le storie; ne risulta, come riporta Roberto Longhi, che tra le due scene «Fiorirono come per incanto i due indicibili giovanottini stoffati e in mazzocchio da parer sagome per il sarto di moda a Firenze nella stagione 1424-­‐1425». Per anni la critica si è dibattuta sull’attribuzione delle varie scene o parti di esse, anche perché non esiste documentazione relativa alla commissione e ai lavori nella Cappella. Resta sostanzialmente buona la distinzione operata dal Vasari, che assegna a Masaccio: La Cacciata dei progenitori dal Paradiso Terrestre, Il Battesimo dei neofiti, Il Tributo, La distribuzione delle elemosine, San Pietro risana gli infermi con la propria ombra, parte de La resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in Cattedra (affrescati da Masaccio e Filippino Lippi); a Masolino: La predica alle folle, La guarigione dello storpio e la resurrezione di Tabita, La tentazione; a Filippino Lippi: San Pietro visitato in carcere da San Paolo, La disputa con Simone Mago e la Crocifissione di San Pietro, La liberazione dal carcere di San Pietro. Dopo la partenza di Masolino, alla fine del 1425 Masaccio si reca a Roma; quasi tutto il 1426 Masaccio è impegnato in un’altra grande commissione “Il polittico per la chiesa del Carmine di Pisa”, opera smembrata nel corso del Cinquecento e oggi divisa in vari musei e in parte andata perduta. Dalla fine del 1426 fino al 1427 Masaccio prosegue, da solo, gli affreschi della Cappella 2 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Brancacci che resteranno, tuttavia, incompleti (come risulta dal testamento di Felice Brancacci del 1432). Masaccio infatti interrompe il lavoro e ritorna a Roma per realizzare il trittico di Santa Maria Maggiore per la cappella di San Giovanni, sotto il patronato della famiglia dei Colonna. Fa appena in tempo ad eseguire le figure di San Giovanni Battista e San Girolamo prima che la morte lo colga improvvisamente nel 1428, all’età di 27 anni. Gli affreschi della Cappella Brancacci saranno terminati, più di mezzo secolo dopo, da Filippino Lippi verso il 1481-­‐1485. Lettura dell’opera Gli affreschi della Cappella furono commissionati da Felice Brancacci, ricco mercante della seta ed uno dei protagonisti della scena politica della Firenze del ‘400, in quella che dal 1387 era la loro cappella di famiglia nella Chiesa del Carmine fatta costruire da Pietro Brancacci. La storia che Masaccio e Masolino hanno affrescato nella Cappella, è la “Historia Salutis” cioè la storia della salvezza dell’uomo realizzata da Cristo che la Chiesa, di cui Pietro è l’immagine, rende attuale, contemporanea ai suoi esecutori (Masaccio e Masolino) ed oggi anche a noi. Il ciclo nella vista attuale è diviso in due registri orizzontali. Parte dal registro superiore nei due affreschi collocati agli estremi, rispettivamente a destra ed a sinistra che rappresentano l’antefatto della storia: i due episodi rappresentano la fine dell’amicizia tra l’uomo e Dio; quello di destra rappresenta la Tentazione (5) ed è opera di Masolino e quello di sinistra rappresenta la cacciata dal Paradiso (6) ed è opera di Masaccio. Se la rottura dell’amicizia tra l’uomo e Dio è venuta dall’uomo, la riconciliazione non può che essere iniziativa di Dio, tramite suo Figlio, il Verbo fatto carne: il ciclo originario della Cappella aveva un registro superiore nel quale erano affrescati, da Masolino, i testimoni di questa “iniziativa di Dio verso l’uomo” e cioè i quattro Evangelisti -­‐ che erano già dipinti da Masolino nelle quattro vele della volta a crociera che sovrastava la cappella -­‐ e San Pietro: la sua storia, tema degli affreschi della Cappella, sintetizzata da Masolino in quattro episodi, iniziava nella lunetta proprio sopra il Tributo, con la chiamata di Cristo che lo fa “pescatore di uomini” (1), prosegue nella parete di fronte con il naufragio della barca in mezzo al mare in tempesta (2) dal quale si salva per mezzo della fede in Cristo, seguiva -­‐ ai lati della finestra bifora non più esistente -­‐ con il pentimento di Pietro (il pianto dopo averlo rinnegato) (3) che è l’inizio della salvezza e con l’investitura da parte di Gesù quale pietra della sua Chiesa “il mandato di Gesù a Pietro – Pasce agnos meos” (4). (di queste due ultime scene sono state ritrovate, al di sotto delle modifiche realizzate nella Cappella nel corso del ‘700, le sinopie attribuite la prima a Masaccio e la seconda a Masolino. Il tributo (7) La storia, dopo questa sorta di introduzione che spiega come mai il soggetto degli affreschi sia San Pietro, parte dal Tributo, episodio narrato nel Vangelo di San Matteo (17, 24-­‐27). Racconta dell’arrivo di Gesù e degli Apostoli a Cafarnao cittadina sulle rive del lago di Genesaret. Masaccio illustra i “tre tempi” del fatto in un’unica scena: al centro la richiesta del tributo da parte dell’esattore con l’immediata risposta di Gesù che indica a Pietro come trovare la moneta necessaria; a sinistra Pietro che prende un pesce dal lago ed estrae la moneta dalla sua bocca; a destra la consegna del Tributo nelle mani dell’esattore. In questa scena è evidente l’aspetto teologico dell’avvenimento cristiano (date a Cesare ciò che è di Cesare ed a a Dio ciò che è di Dio) ma anche l’aspetto “civico” (un po’ come nella tradizione della pittura trecentesca di Ambrogio Lorenzetti “Gli effetti del buon governo”) che ci fa leggere l’opera anche come invito a versare i dovuti tributi per il bene comune (è proprio di quel periodo la riforma tributaria iniziata a Firenze e che nel 1427 istituiva il Catasto per stabilire in modo equo il tributo da pagare). 3 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Questo appunto, insieme alle modalità di rappresentazione, sottolinenano l’aspetto “realistico” dell’episodio narrato. Dal particolare della canna servita a Pietro per pescare al dettaglio della bocca del pesce ed alla chiarezza delle acque increspate del lago. Il paesaggio degradante fatto di montagne che assumono colorazioni diverse a scandirne la distanza ed il cielo coperto da nubi anche queste scandite in prospettiva. E le colline in primo piano, segnate da casolari e siepi, come il paesaggio toscano, familiare a Masaccio. I personaggi sono vestiti con tuniche del periodo ma hanno un atteggiamento classico, in una posa statuaria (con una gamba diritta e tesa e l’altra leggermente flessa); ed anche la loro posizione intorno a Gesù riprende una posa classica ad emiciclo; l’esattore ha invece un abito contemporaneo. L’architettura è “reale”, dettagliata e proprozionata. Il centro della composizione, dove confluiscono tutte le linee, il “punto di fuga” dell’intera rappresentazione coincide con il volto di Gesù, indicato anche dal declivio delle colline in primo piano. Vi è sottolineato come il centro della salvezza, la sua origine (così come l’origine delle linee della prospettiva) è Cristo. E Pietro, che ne ripete fedelmente il gesto, guardando verso Gesù, ne accentua la centralità ma lo rende, allo stesso tempo, “imitabile”. Questo affresco evidenzia come il metodo salvifico scelto da Dio per mezzo di Cristo, passa anche oggi, come duemila anni fa dentro una realtà storica. Il Battesimo dei neofiti (9) L’episodio affrescato da Masaccio segue, nella lettura del ciclo, la Predica alle folle (8) di Masolino ed è tratto dagli Atti degli Apostoli (11, 37-­‐41); è uno di quelli meglio descrittivi della bellezza e della “verosimiglianza al reale” della pittura del Masaccio. Il Vasari, in riferimento alla figura in piedi, subito dietro l’uomo in ginocchio nell’atto di ricevere da San Pietro il Battesimo, scrive: «si stima grandemente un ignudo che trima tra gl’altri battezzati assiderando di freddo, condotto con bellissimo rilievo e dolce maniera, il quale dagli artefici e vecchi e moderni è stato sempre tenuto in riverenza et ammirazione». Ancora dietro una figura in piedi, con un abito verde/rosso cangiante, preannuncia una tecnica, basata sui complementari giustapposti, usata da Michelangelo nella Cappella Sistina a Roma. L’acqua trasparente nella quale sono immerse le gambe dell’uomo inginocchiato e l’acqua che dalla ciotola cade sul suo capo, gli scorre sul volto e gocciola sulla superficie del fiume mostra un realismo impressionante. Le figure, escluso San Pietro, sono dodici e formano una processione che sembra continuare all’infinito oltre il pilastro dipinto sulla destra. La Guarigione dello storpio e la Resurrezione di Tabita (10) La scena opera di Masolino si riferisce a due avvenimenti degli Atti degli Apostoli (3, 1-­‐10) e (9, 36-­‐
43). Masolino colloca i due episodi, avvenuti in momenti e luoghi diversi, in un solo luogo, una stessa città. Nella piazza, tra le due scene, due personaggi vestiti in modo elegante dividono e collegano i due avvenimenti: questa loro presenza, come quella delle persone sul fondo della scena, in prossimità delle case, dà alla raffigurazione il senso di un normale accadimento, il normale accadere di un fatto, in una comune piazza cittadina, come una qualsiasi piazza di Firenze, alla quale rimandano gli edifici che hanno il modulo ed il volume delle case di quell’epoca e che Firenze ancora – in larghi tratti – conserva. Il selciato diversificato differenzia la strada dalla piazza. i suoi ciottoli, rappresentati in grandezza scalare intensificano, grazie anche alla loro ombra, la profondità dello spazio. Tanti altri elementi accentuano questa rappresentazione di una realtà quotidiana: I vasi sui davanzali, i panni stesi, le gabbie con gli uccelli, due scimmie legate al guinzaglio che camminano sui cornicioni, persone affacciate alle finestre che parlano tra di loro; gli “erri” sulle facciate che sorreggono le abetelle orizzontali. Davanti al loggiato di sinistra San Pietro 4 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao compie il miracolo della guarigione dello storpio e sotto il loggiato di destra la resurrezione di Tabita. Si passa così al registro inferiore San Pietro in carcere visitato da San Paolo (11) Il ciclo prosegue ripartendo quindi da sinistra, sul pilastro, nel registro inferiore, con la scena di San Pietro in carcere visitato da San Paolo, opera di Filippino Lippi. Vi si vede il santo che si affaccia da una finestra con le sbarre, mentre il visitatore dà le spalle a chi osserva. La scena seguì un abbozzo di Masaccio, come dimostrerebbe la perfetta continuità architettonica con la contigua scena della Resurrezione del figlio di Teofilo. Liberazione di San Pietro dal carcere (12) Come nel registro superiore, gli affreschi agli estremi costituiscono l’introduzione e l’antefatto degli affreschi interni al registro. La scena successiva del ciclo, in diretta relazione sulla parete opposta con il santo imprigionato, mostra la Liberazione di San Pietro dal carcere da parte dell'angelo ed è interamente opera di Filippino Lippi. Anche qui l'architettura è connessa a quella della scena attigua. La guardia, armata di spada, dorme in primo piano appoggiata ad un lungo bastone, mentre avviene la scarcerazione miracolosa. La Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in cattedra (13) Sotto il Tributo troviamo la Resurrezione del figlio di Teofilo e San Pietro in Cattedra (opera di Masaccio ultimata da Filippino Lippi). Il primo episodio racconta del miracolo compiuto da San Pietro dopo la sua liberazione dal carcere avvenuta per intercessione di San Paolo (12). L’episodio racconta che, una volta uscito dalla prigione, San Pietro fu condotto davanti al sepolcro del giovane figlio del Prefetto di Antiochia, Teofilo e resuscitò il giovane che era morto da quattordici anni. Per tale miracolo Teofilo, tutto il popolo di Antiochia e molti altri, credettero in Dio e costruirono in mezzo alla città una magnifica cattedrale con in mezzo la Cattedra dalla quale potesse essere visto ed udito. Qui San Pietro rimase sette anni e da qui andò poi a Roma dove rimase per venticinque anni, fino alla sua morte. Masaccio lo raffigura non nella Chiesa di Antiochia ma nella Chiesa a lui contemporanea, quella dei frati Carmelitani, raffigurati intorno a Pietro insieme ai fedeli, a lui stesso ed ai suoi amici (le ultime quattro figure sulla estrema destra sono Masolino, Masaccio, Leon Battista Alberti e Brunelleschi). A Masaccio appartiene la parte centrale della scena, dalla figura seduta sotto Teofilo fino, spostandosi verso destra, alla figura in piedi vestita di verde, comprendente San Pietro e San Paolo in ginocchio, nonché la maggior parte della scena della Cattedra, sulla destra dell’affresco, ad esclusione della testa del carmelitano inginocchiato. A Filippino Lippi appartengono: i cinque fiorentini sulla sinistra, il gruppo centrale, compreso il fanciullo resuscitato e il bambino, e la testa del monaco in ginocchio. Nella parte centrale, ad esclusione delle figure realizzate da Masaccio, dovevano essere presenti molti appartenenti alla famiglia Brancacci ed altri fiorentini. Quando Filippino Lippi si trovò ad ultimare l’affresco masaccesco, intervenne non solo nelle parti lasciate incompiute da Masaccio (e perciò ancora assenti) ma modificando parti già realizzate da Masaccio o abbozzate dallo stesso (per esempio la visita di San Paolo a San Pietro in carcere). Per tali parti si erano rese necessarie alcune “modifiche” per la presenza di personaggi antimedicei (come i Brancacci stessi, committenti dell’opera, ed altri fiorentini illustri rappresentati dal Masaccio) sui quali si abbattè la “damnatio memoriae” a seguito della dichiarazione di nemici del popolo fiorentino e del loro conseguente esilio. 5 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Il gruppo di figure contemporanee sono perciò quasi tutte da attribuire a Filippino Lippi: vi sono rappresentate le principali famiglie di Oltrarno fedeli ai Medici: i Soderini, i Pulci, i Guicciardini, i del Pugliese. Vi si possono riconoscere anche Gian Galeazzo Visconti (Teofilo seduto sulla sinistra) e Coluccio Salutati (figura seduta ai piedi di Teofilo). Il fanciullo risuscitato è, per Vasari, il ritratto di un giovane quindicenne Francesco Granacci, pittore fiorentino. Tale figura permette di datare l’intervento di Filippino Lippi intorno al 1485. San Pietro che risana con la sua ombra (14) La scena successiva, proseguendo verso destra, è interamente opera di Masaccio. Si riferisce all’episodio degli Atti degli Apostoli (5, 12-­‐14). Vi è rappresentato San Pietro, seguito da San Giovanni, che cammina per la strada ed al passaggio la sua ombra guarisce un gruppo di infermi: il primo, già miracolosamente guarito, è in piedi che lo ringrazia, uno si sta alzando ed un ultimo, visibilmente storpio, è ancora a terra e guarda trepidante di attesa il Santo. Allo smontaggio dell’altare che si trovava a destra della scena, immediatamente a ridosso delle figure, è riapparsa una parte di affresco che mostra, sotto il cielo azzurro, il proseguimento in prospettiva della via verso una chiesa con una bella colonna con capitello corinzio ed un campanile. In questa scena, così come nella successiva (la Distribuzione delle elemosine) sono evidenti i rapporti formali e la prospettiva, col taglio obliquo delle composizioni, ambientate nelle strade di una città che è Firenze. La Distribuzione delle elemosine e la Morte di Anania (15) L’episodio è tratto dagli Atti degli Apostoli (4, 32 e 5, 1-­‐11): “tutti coloro che possedevano poderi o case li vendevano, portavano il prezzo delle cose vendute e lo mettevano ai piedi degli apostoli; poi era distribuito a cisacuno secondo il bisogno. Ma un certo Anania, con Saffira sua moglie, vendè un possesso e tenne per sé parte del prezzo, essendone consapevole anche la moglie, e portatone una parte la pose ai pridi degli apostoli. Ma Pietro disse: «Anania perché ha Satana così riempito il cuor tuo da farti mentire allo Spirito Santo e ritener parte del prezzo del podere? Perché ti sei messa in cuore questa cosa? Tu non hai mentito agli uomini ma a Dio» e Anania, udendo queste parole, cadde a terra e spirò”. Masaccio riassume i due momenti descrivendoli insieme: la distribuzione delle elemosine dalle mani di Pietro e la morte di Anania che giace a terra ai suoi piedi. La scena affrescata da Masaccio ha subito interventi di ritocco e restauro da parte di Filippino Lippi nella tunica rosa di San Giovanni, a destra di San Pietro, e nelle mani di Anania. La scena che, come la rispettiva del risanamento con l’ombra di San Pietro, non sono incorniciate da lesene dipinte il che lascia presupporre che appartenessero ad un’unica composizione nella quale la finestra bifora, non più esistente, non costituiva la divisione degli episodi ma, con la sua concavità nella parete, metteva in rapporto la città affrescata con la città ed il paesaggio reale, come unico contesto. La disputa con Simone Mago e la Crocifissione di San Pietro (16) Il ciclo si conclude con la scena dipinta interamente da Filippino Lippi. Questa era l’unica parete ancora priva di pitture quando Filippino fu chiamato a completare il ciclo rimasto incompiuto e riprendere le parti deturpate. Vi sono rappresentati i due episodi finali della vita di San Pietro: fuori dalle mura della città (non più Firenze ma Roma, riconoscibile dalla piramide di Caio Cestio sulle Mura aureliane e dagli edifici che spuntano oltre la merlatura) si vede a destra la disputa tra Simone Mago e san Pietro davanti all’imperatore Nerone con un idolo pagano abbattuto ai piedi dello stesso mentre a sinistra è la sua crocifissione. 6 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Negli Atti degli Apostoli (9, 9-­‐14) ci viene presentato Simone Mago in questi termini: “V'era da tempo in città un tale di nome Simone, dedito alla magia, il quale mandava in visibilio la popolazione di Samarìa, spacciandosi per un gran personaggio. A lui aderivano tutti, piccoli e grandi, esclamando: «Questi è la potenza di Dio, quella che è chiamata Grande». Gli davano ascolto, perché per molto tempo li aveva fatti strabiliare con le sue magie. Ma quando cominciarono a credere a Filippo, che recava la buona novella del regno di Dio e del nome di Gesù Cristo, uomini e donne si facevano battezzare. Anche Simone credette, fu battezzato e non si staccava più da Filippo. Era fuori di sé nel vedere i segni e i grandi prodigi che avvenivano.” e nel passo (9, 18-­‐21): “Simone, vedendo che lo Spirito veniva conferito con l'imposizione delle mani degli apostoli, offrì loro del denaro dicendo: «Date anche a me questo potere perché a chiunque io imponga le mani, egli riceva lo Spirito Santo». Ma Pietro gli rispose: "Il tuo denaro vada con te in perdizione, perché hai osato pensare di acquistare con denaro il dono di Dio.” Da questo fatto, derivano i termini 'simonia' e ‘simoniaci’ per indicare dottrine eretiche. La scena è ricca di ritratti: il giovane sotto l’arco, rivolto verso l’osservatore, è l’autoritratto di Filippino Lippi, dei tre personaggi in piedi -­‐ tra l’imperatore Nerone e San Pietro – il primo da destra, col berretto rosso, è Antonio del Pollaiolo. Nella figura di Simon Mago alcuni hanno voluto leggere un ritratto di Dante Alighieri che cita Simone Mago nella sua Commedia: « O Simon mago, o miseri seguaci che le cose di Dio, che di bontate deon essere spose, e voi rapaci per oro e per argento avolterate, or convien che per voi suoni la tromba, però che ne la terza bolgia state. » (Dante, Inferno XIX, 1-­‐6) Nel gruppetto di persone a destra della Crocifissione, quello girato verso l’osservatore è il ritratto di Botticelli, maestro di Filippino Lippi. Memento mori Prima della partenza per Roma, Masaccio esegue in Santa Maria Novella l’affresco con la Trinità, inserita in un’imponente struttura architettonica dal perfetto impianto prospettico per la quale si è supposta la collaborazione di Filippo Brunelleschi. La Trinità, che iconograficamente riproduce la scena della crocifissione con i due dolenti ai lati, è affiancata dalle figure inginocchiate dei committenti e collocata sopra un finto altare che ospita, sotto la mensa, uno scheletro con la seguente scritta: «Io fu già quel che voi sete: e quel chi son voi ancor sarete». Masaccio rappresenta qui la cappella gentilizia, probabilmente dei Lenzi, dove furono sepolti i membri di quella famiglia; tuttavia lo scheletro collocato sopra il sarcofago e la scritta non ricordano tanto un monumento funebre -­‐ dove di solito il giacente è effigiato addormentato con gli abiti e gli orpelli della vita terrena -­‐ quanto un “memento mori”. L’affresco è celebrato anche dal Vasari, ma, paradossalmente, poco dopo la pubblicazione della seconda edizione delle Vite (1568), la Trinità viene coperta da una tela che Vasari stesso esegue nel 1570 per l’altare, eretto davanti all’affresco masaccesco, dedicato al nuovo culto della Madonna del Rosario (l’affresco verrà riscoperto solo nel 1861, la parte superiore, e nel 1951, quella inferiore con lo scheletro). Iniziava, infatti, proprio in quegli anni quel processo di svalutazione dell’arte del Trecento e del Quattrocento che conduce alla dispersione di tante opere come -­‐ nel caso di Masaccio -­‐ allo 7 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao smembramento e alla dispersione del Polittico di Pisa ed alla distruzione della Sagra nel chiostro del Carmine a Firenze. Anche la Cappella Brancacci avrebbe fatto la stessa fine se nel 1680, grazie all’intervento provvidenziale della granduchessa Vittoria della Rovere, non ne fosse scongiurata la distruzione da parte del marchese Ferroni, che intendeva acquistarla per sottoporla a un rifacimento nell stile barocco del tempo. Occorrerà attendere la seconda metà del Settecento per la rivalutazione dell’opera pittorica di Masaccio, a partire dai restauri attuati nella Cappella Brancacci dopo il devastante incendio del 1771, che ne aveva offuscato i colori che solo recentemente sono stati riportati all’originaria cromia. 8 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao Masaccio – Filippino Lippi 13 14 15 La guarigione dello storpio La resurrezione di Tabita Masolino 10 La disputa con Simone Mago La crocifissione di S. Pietro Filippino Lippi 16 Tentazione Masolino Masaccio 9 Masolino Liberazione Resurrezione del figlio di Teofilo S. Pietro in cattedra 8 Miracolo del naufragio Filippino Lippi 7 4 Masaccio Masaccio 2 “Mandato” Distribuzone Battesimo dei neofiti di Pietro Masaccio e Anania Masolino 11 Il Tributo Masaccio 6 Visita carcere Cacciata dal Paradiso Filippino Lippi Masac. Masolino 3 Pentimento di Pietro Chiamata di Pietro S.Pietro risana Predica alle folle Masolino con l’ombra 1 9 5 12 Scuola Secondaria di I grado Pio X Artigianelli – Firenze Arte e Immagine – Prof. Fortunato Rao 10