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647-648_io non mi vergono:Layout 2 4-11-2011 11:30 Pagina 647 «La nostra veglia nella notte del mondo» A colloquio con il priore di Serra San Bruno “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ N on mi aspettavo la «messa senza ministro» che il certosino sacerdote celebra da solo in aggiunta a quella conventuale. Non sospettavo l’esistenza del rito certosino e del suo confiteor che dice «di aver molto peccato per superbia in parole, opere e omissioni». Mi ha spiazzato anche la prostrazione sia liturgica sia privata, ognuno nella sua cella. Ho intuito che dovrei praticarla anch’io per trovare la giusta posizione. Non immaginavo la sepoltura nella terra, senza bara e senza nome. Né il pane contadino infornato una volta alla settimana, duro ma buono inzuppato nel latte. Mi sono fatto certosino per tre giorni – bello sforzo – per intervistare il priore di Serra San Bruno in vista della visita del papa (9 ottobre). Ne è venuto il volumetto Solo dinanzi all’Unico. Colloquio con il priore della Certosa di Serra San Bruno (Rubbettino editore, Soveria Mannelli [CZ], pp. 140, € 12,00). OSPITE PER TRE GIORNI DELLA FORESTERIA INTERNA Con il priore Jacques Dupont – omonimo ma non parente dell’esegeta Dupont – ho parlato dell’attua- lità del Vangelo nel terzo millennio, della possibilità dell’incontro con Dio nell’era dello stordimento, dell’opportunità di riscoprire – incalzati dal bisogno dell’umanità – il Dio della misericordia e del perdono, che accoglie e non giudica, che rispetta la libertà dell’uomo e lo attende lungo il cammino che egli sceglie di percorrere. Ho ascoltato parole insolite e coraggiose. Ho compreso che il padre Jacques è un cristiano pensante di rara tempra e fegato in questi tempi sfiduciati. Egli procede per antinomie: «Il cristianesimo è pieno di paradossi. Dio che castiga e perdona, Cristo che è Dio e uomo, la Chiesa che è peccatrice e santa. Io mi diverto quando incontro questi paradossi e trovo che il Signore abbia avuto un’immaginazione incredibile a crearli e a ispirarne la percezione. Credo l’abbia fatto per avviarci a comprendere l’ampiezza della verità». I suoi paradossi ampliavano il mio campo visivo mentre l’ascoltavo. Un giornalista non può che muoversi a tentoni nella conoscenza della Certosa. Mi ha fatto luce – come lanterna nella notte – il canto sobrio e ininterrotto dei suoi abitatori, quando si riuniscono in chiesa per il mattutino, per la messa conventuale e per il vespro. Il mattutino dura dalle due alle tre ore e inizia alle 00.30, cioè mezz’ora dopo la mezzanotte. Nelle certose per antica consuetudine si dorme una prima parte della notte poi ci si alza, si canta a Cristo per due o tre ore e si torna a dormire fino al mattino. Nei tre giorni in cui sono stato ospite della Certosa ho visto e accompagnato la comunità nella sua liturgia, ho mangiato come loro da solo nella stanza della «foresteria interna» che mi era stata assegnata, prendendo i cibi dal «portapranzo» che un fratello converso – e cioè non sacerdote – posava alla giusta ora davanti alla porta. Ho intuito che anche quel mangiare cibi poveri ma buoni, in quella semplicità di gesti e in quel raccoglimento, faceva parte della lode al Signore. Dal portapranzo – che è una cassetta di legno con un’apertura scorrevole in verticale sul davanti – si cavano le pietanze contenute in gavette sovrapposte e combacianti, così disposte in modo da conservare ai cibi cucinati il giusto calore. In onore all’ospite mi era stata fornita una bottiglia di buon vino ma anche il mio pasto doveva restare solitario come quello dei monaci che, quotidianamente, mangiano da soli, ognuno nella propria cella. Come loro lavavo le posate nel lavandino. EREMITI NELLA SETTIMANA CENOBITI LA DOMENICA Ho chiesto al padre Dupont che cosa voglia dire essere monaco oggi e prendere un passo così lento venendo dal mondo veloce che circonda le certose e che ormai penetra attraverso le loro mura con i messaggi dell’era digitale. Dalla risposta a quella domanda è tratto il titolo Solo dinanzi all’Unico. In quelle parole c’è un riferimento filologico all’esperienza del fondatore san Bruno di cui si disse che cercava l’Uno essendo «afferrato dall’Uno». Ero felice ascoltando il padre priore che mi confidava come tutto il Vangelo per lui si riassuma nelle parole «misericordia, compassione, tenerezza» e che questo egli l’afferma non per dottrina ma per esperienza. Un’esperienza avviata con la ricerca dell’Assoluto e che è venuta maturando nei 41 anni della sua vita monastica con la progressiva scoperta della «tenerezza» di Dio, di cui è segno la tenerezza che si manifesta nella vita fraterna. IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2011 647 4-11-2011 Secondo la Regola di san Benedetto due sono i «generi di monaci» degni di lode: quello dei cenobiti e quello degli eremiti. I certosini appartengono ad ambedue i filoni. Una certosa è un cenobio che riunisce i monaci nella chiesa (tre volte al giorno), nel refettorio (la domenica), nel capitolo (ordinariamente la domenica) e in momenti ricreativi (la domenica e il lunedì); ma essa è anche composta da tanti eremi che sono le celle dei singoli monaci, costruite su due piani, addossate l’una all’altra, ognuna munita di un giardino cintato. Il certosino è dunque sia un eremita, sia un cenobita. La compenetrazione dei due momenti può portarlo – in capo a una vita – a sperimentare una feconda contaminazione delle due identità: a essere comunitario in cella e solitario in comunità. ALLA RICERCA DI UN DIO CHE ACCOGLIE SENZA GIUDICARE Ho compreso che al cuore di quell’intreccio tra vita eremitica e cenobitica c’è la «messa solitaria», cioè l’eucaristia che il certosino sacerdote – detto anche «monaco del chiostro» – celebra da solo tutti i giorni esclusa la domenica. Sono tre le celebrazioni eucaristiche in certosa: la concelebrazione domenicale di tutti i monaci sacerdoti introdotta dopo il Vaticano II, la celebrazione conventuale quotidiana, la messa che i monaci sacerdoti celebrano in «privato» ogni giorno. Il padre Jacques dice della sua celebrazione solitaria che il fatto di essere solo – in quel momento centrale del suo cammino con il Signore – non lo isola dalla restante umanità ma misteriosamente lo porta a «toccare tutto e tutti». Ho interrogato il priore – esperto del Grande silenzio (così suonava il titolo del film di Philip Gröning girato alla Grande Chartreuse, 2005) – sul silenzio di Dio: dovremmo rispondere a esso – mi ha detto – «buttandoci» senza calcoli nel Signore. Le righe più vive del volumetto sono quelle che trattano dell’accoglienza «senza giudizio» che sempre in lui possiamo incontrare: «L’uomo facil- 648 IL REGNO - AT T UA L I T À 18/2011 11:30 Pagina 648 mente dimentica questo “tu” accogliente e cerca nella seduta psicoanalitica un ascolto senza giudizio. Purtroppo non sa più – forse gli hanno fatto dimenticare – che nel Signore può sempre trovare quell’accoglienza senza giudizio. Questo desiderio di essere ascoltati senza essere giudicati l’avverto spesso nei giovani che arrivano qui. E hanno ragione, hanno proprio ragione! Il Dio cristiano non è un Dio di giudizio e di condanna, mi sento di poterlo dire con sicurezza e non perché così è detto nella dottrina, ma per la mia esperienza personale» (60). Gli ho pure chiesto se vi sia un vantaggio a pregare nella notte. La vita certosina è in parte organizzata sul presupposto di quel vantaggio. Il canto nel silenzio, la luce nella notte. La piccola luce di chi – e io con loro, per una volta – percorre i corridoi e il chiostro schiarendo il cammino con una torcia e poi accende un cero nella chiesa, o una minima luce tra i braccioli dello scranno, che rischiara la pagina del Salterio. O mira in lontananza la lampada del tabernacolo. I monaci di tutti i tempi hanno cercato il silenzio e la preghiera notturna. Ma che avventura è quella di condurre oggi una ricerca così lontana dallo spirito dell’epoca? IL MINISTERO NOTTURNO E DI GESTAZIONE Il priore mi assicura che quell’avventura è ancora pagante e io faccio credito alla sua parola vissuta. Ho compreso che nella certosa quando si è soli si prega in silenzio, quando si è insieme si canta. E ho intuito che “ IO NON MI VERGOGNO DEL VANGELO “ 647-648_io non mi vergono:Layout 2 anche in questo c’è un insegnamento. La notte per il priore Dupont è la placenta del contemplativo: «Mentre il prete ha un ministero diurno che lo porta a mostrarsi e a parlare, all’incontro con la gente; il monaco ha un ministero notturno che lo conduce a nascondersi e a tacere. Il suo ministero si compie nell’ombra e nel segreto. Egli è come una falda d’acqua sotterranea. Silenzio, deserto e notte. Ma la notte prepara il giorno. Il nostro è un ministero di gestazione» (29). Alla provocatoria domanda giornalistica se si senta più vicino ai conservatori o ai progressisti, l’accorto priore risponde che ambe le tendenze recalcitrano al soffio dello Spirito: gli uni perché l’assecondano solo quando si esprime nelle forme note da sempre, gli altri perché l’invocano al fine di esserne accompagnati nella direzione da loro pronosticata. Egli sollecita una maggiore apertura di tutti «all’inedito e al non sperimentato» e afferma che spesso «il nuovo dei progressisti è noto quanto il vecchio dei conservatori». IL MONACO È UN ESPERTO IN ATEISMO «Il monaco è un esperto in ateismo» mi ha detto infine il creativo padre Dupont: «Il contemplativo conosce l’angoscia della notte oscura, sperimentata anche da Cristo sulla croce. Ma anche al di fuori di quella tragica esperienza, è ben chiaro che il Dio della Bibbia si è rivelato a noi come “sconosciuto” e inaccessibile in questa vita (Es 33,20). Ed ecco che anche noi monaci cerchiamo Dio ma non lo troviamo mai, nel senso che non arriviamo mai a possederlo, perché egli è sempre “oltre”. Dunque per la sua familiarità con un Dio che è assente, il contemplativo è forse maggiormente in grado di comprendere l’atteggiamento di coloro che sono lontani dal mistero divino» (37). Il monaco esperto di ateismo è un motto che dice in breve quello che il padre Jacques a lungo ha contemplato. Luigi Accattoli www.luigiaccattoli.it