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«La nostra veglia
nella notte del mondo»
A colloquio con il priore di Serra San Bruno
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IO NON
MI VERGOGNO
DEL VANGELO
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N
on mi aspettavo la «messa senza ministro» che il
certosino sacerdote celebra da solo in aggiunta a quella conventuale. Non sospettavo l’esistenza del rito certosino e del suo
confiteor che dice «di aver molto peccato
per superbia in parole, opere e omissioni».
Mi ha spiazzato anche la prostrazione sia
liturgica sia privata, ognuno nella sua cella.
Ho intuito che dovrei praticarla anch’io
per trovare la giusta posizione. Non immaginavo la sepoltura nella terra, senza
bara e senza nome. Né il pane contadino
infornato una volta alla settimana, duro
ma buono inzuppato nel latte.
Mi sono fatto certosino per tre
giorni – bello sforzo – per intervistare
il priore di Serra San Bruno in vista
della visita del papa (9 ottobre). Ne è
venuto il volumetto Solo dinanzi all’Unico. Colloquio con il priore della Certosa di Serra San Bruno (Rubbettino
editore, Soveria Mannelli [CZ], pp.
140, € 12,00).
OSPITE PER TRE GIORNI
DELLA FORESTERIA INTERNA
Con il priore Jacques Dupont –
omonimo ma non parente dell’esegeta Dupont – ho parlato dell’attua-
lità del Vangelo nel terzo millennio,
della possibilità dell’incontro con Dio
nell’era dello stordimento, dell’opportunità di riscoprire – incalzati dal
bisogno dell’umanità – il Dio della
misericordia e del perdono, che accoglie e non giudica, che rispetta la libertà dell’uomo e lo attende lungo il
cammino che egli sceglie di percorrere.
Ho ascoltato parole insolite e coraggiose. Ho compreso che il padre
Jacques è un cristiano pensante di
rara tempra e fegato in questi tempi
sfiduciati. Egli procede per antinomie: «Il cristianesimo è pieno di paradossi. Dio che castiga e perdona,
Cristo che è Dio e uomo, la Chiesa
che è peccatrice e santa. Io mi diverto
quando incontro questi paradossi e
trovo che il Signore abbia avuto
un’immaginazione incredibile a crearli e a ispirarne la percezione. Credo
l’abbia fatto per avviarci a comprendere l’ampiezza della verità». I suoi
paradossi ampliavano il mio campo
visivo mentre l’ascoltavo.
Un giornalista non può che muoversi a tentoni nella conoscenza della
Certosa. Mi ha fatto luce – come lanterna nella notte – il canto sobrio e
ininterrotto dei suoi abitatori, quando
si riuniscono in chiesa per il mattutino, per la messa conventuale e per il
vespro. Il mattutino dura dalle due
alle tre ore e inizia alle 00.30, cioè
mezz’ora dopo la mezzanotte. Nelle
certose per antica consuetudine si
dorme una prima parte della notte
poi ci si alza, si canta a Cristo per due
o tre ore e si torna a dormire fino al
mattino.
Nei tre giorni in cui sono stato
ospite della Certosa ho visto e accompagnato la comunità nella sua liturgia, ho mangiato come loro da solo
nella stanza della «foresteria interna»
che mi era stata assegnata, prendendo
i cibi dal «portapranzo» che un fratello converso – e cioè non sacerdote
– posava alla giusta ora davanti alla
porta. Ho intuito che anche quel
mangiare cibi poveri ma buoni, in
quella semplicità di gesti e in quel raccoglimento, faceva parte della lode al
Signore.
Dal portapranzo – che è una cassetta di legno con un’apertura scorrevole in verticale sul davanti – si
cavano le pietanze contenute in gavette sovrapposte e combacianti, così
disposte in modo da conservare ai
cibi cucinati il giusto calore. In onore
all’ospite mi era stata fornita una bottiglia di buon vino ma anche il mio
pasto doveva restare solitario come
quello dei monaci che, quotidianamente, mangiano da soli, ognuno
nella propria cella. Come loro lavavo
le posate nel lavandino.
EREMITI NELLA SETTIMANA
CENOBITI LA DOMENICA
Ho chiesto al padre Dupont che
cosa voglia dire essere monaco oggi e
prendere un passo così lento venendo
dal mondo veloce che circonda le certose e che ormai penetra attraverso le
loro mura con i messaggi dell’era digitale. Dalla risposta a quella domanda è tratto il titolo Solo dinanzi
all’Unico. In quelle parole c’è un riferimento filologico all’esperienza del
fondatore san Bruno di cui si disse
che cercava l’Uno essendo «afferrato
dall’Uno».
Ero felice ascoltando il padre
priore che mi confidava come tutto il
Vangelo per lui si riassuma nelle parole «misericordia, compassione, tenerezza» e che questo egli l’afferma
non per dottrina ma per esperienza.
Un’esperienza avviata con la ricerca
dell’Assoluto e che è venuta maturando nei 41 anni della sua vita monastica con la progressiva scoperta
della «tenerezza» di Dio, di cui è
segno la tenerezza che si manifesta
nella vita fraterna.
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Secondo la Regola di san Benedetto due sono i «generi di monaci»
degni di lode: quello dei cenobiti e
quello degli eremiti. I certosini appartengono ad ambedue i filoni. Una
certosa è un cenobio che riunisce i
monaci nella chiesa (tre volte al
giorno), nel refettorio (la domenica),
nel capitolo (ordinariamente la domenica) e in momenti ricreativi (la
domenica e il lunedì); ma essa è anche
composta da tanti eremi che sono le
celle dei singoli monaci, costruite su
due piani, addossate l’una all’altra,
ognuna munita di un giardino cintato.
Il certosino è dunque sia un eremita, sia un cenobita. La compenetrazione dei due momenti può portarlo – in capo a una vita – a sperimentare una feconda contaminazione delle due identità: a essere
comunitario in cella e solitario in comunità.
ALLA RICERCA DI UN DIO
CHE ACCOGLIE SENZA GIUDICARE
Ho compreso che al cuore di quell’intreccio tra vita eremitica e cenobitica c’è la «messa solitaria», cioè
l’eucaristia che il certosino sacerdote
– detto anche «monaco del chiostro»
– celebra da solo tutti i giorni esclusa
la domenica. Sono tre le celebrazioni
eucaristiche in certosa: la concelebrazione domenicale di tutti i monaci sacerdoti introdotta dopo il Vaticano II,
la celebrazione conventuale quotidiana, la messa che i monaci sacerdoti celebrano in «privato» ogni giorno. Il padre Jacques dice della sua celebrazione solitaria che il fatto di essere solo – in quel momento centrale
del suo cammino con il Signore – non
lo isola dalla restante umanità ma misteriosamente lo porta a «toccare
tutto e tutti».
Ho interrogato il priore – esperto
del Grande silenzio (così suonava il titolo del film di Philip Gröning girato
alla Grande Chartreuse, 2005) – sul
silenzio di Dio: dovremmo rispondere a esso – mi ha detto – «buttandoci» senza calcoli nel Signore. Le
righe più vive del volumetto sono
quelle che trattano dell’accoglienza
«senza giudizio» che sempre in lui
possiamo incontrare: «L’uomo facil-
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mente dimentica questo “tu” accogliente e cerca nella seduta psicoanalitica un ascolto senza giudizio.
Purtroppo non sa più – forse gli
hanno fatto dimenticare – che nel Signore può sempre trovare quell’accoglienza senza giudizio. Questo
desiderio di essere ascoltati senza essere giudicati l’avverto spesso nei giovani che arrivano qui. E hanno
ragione, hanno proprio ragione! Il
Dio cristiano non è un Dio di giudizio e di condanna, mi sento di poterlo dire con sicurezza e non perché
così è detto nella dottrina, ma per la
mia esperienza personale» (60).
Gli ho pure chiesto se vi sia un
vantaggio a pregare nella notte. La
vita certosina è in parte organizzata
sul presupposto di quel vantaggio. Il
canto nel silenzio, la luce nella notte.
La piccola luce di chi – e io con loro,
per una volta – percorre i corridoi e il
chiostro schiarendo il cammino con
una torcia e poi accende un cero nella
chiesa, o una minima luce tra i braccioli dello scranno, che rischiara la
pagina del Salterio. O mira in lontananza la lampada del tabernacolo. I
monaci di tutti i tempi hanno cercato
il silenzio e la preghiera notturna. Ma
che avventura è quella di condurre
oggi una ricerca così lontana dallo
spirito dell’epoca?
IL MINISTERO NOTTURNO
E DI GESTAZIONE
Il priore mi assicura che quell’avventura è ancora pagante e io faccio
credito alla sua parola vissuta. Ho
compreso che nella certosa quando si
è soli si prega in silenzio, quando si è
insieme si canta. E ho intuito che
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DEL VANGELO
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anche in questo c’è un insegnamento.
La notte per il priore Dupont è la
placenta del contemplativo: «Mentre
il prete ha un ministero diurno che lo
porta a mostrarsi e a parlare, all’incontro con la gente; il monaco ha un
ministero notturno che lo conduce a
nascondersi e a tacere. Il suo ministero si compie nell’ombra e nel segreto. Egli è come una falda d’acqua
sotterranea. Silenzio, deserto e notte.
Ma la notte prepara il giorno. Il nostro è un ministero di gestazione»
(29).
Alla provocatoria domanda giornalistica se si senta più vicino ai conservatori o ai progressisti, l’accorto
priore risponde che ambe le tendenze
recalcitrano al soffio dello Spirito: gli
uni perché l’assecondano solo quando
si esprime nelle forme note da sempre, gli altri perché l’invocano al fine
di esserne accompagnati nella direzione da loro pronosticata. Egli sollecita una maggiore apertura di tutti
«all’inedito e al non sperimentato» e
afferma che spesso «il nuovo dei progressisti è noto quanto il vecchio dei
conservatori».
IL MONACO
È UN ESPERTO IN ATEISMO
«Il monaco è un esperto in ateismo» mi ha detto infine il creativo
padre Dupont: «Il contemplativo conosce l’angoscia della notte oscura,
sperimentata anche da Cristo sulla
croce. Ma anche al di fuori di quella
tragica esperienza, è ben chiaro che il
Dio della Bibbia si è rivelato a noi
come “sconosciuto” e inaccessibile in
questa vita (Es 33,20). Ed ecco che
anche noi monaci cerchiamo Dio ma
non lo troviamo mai, nel senso che
non arriviamo mai a possederlo, perché egli è sempre “oltre”. Dunque per
la sua familiarità con un Dio che è assente, il contemplativo è forse maggiormente in grado di comprendere
l’atteggiamento di coloro che sono
lontani dal mistero divino» (37).
Il monaco esperto di ateismo è un
motto che dice in breve quello che il
padre Jacques a lungo ha contemplato.
Luigi Accattoli
www.luigiaccattoli.it