i disturbi del comportamento alimentare

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i disturbi del comportamento alimentare
Anno XXIX – EDIZIONE SPECIALE
DIREZIONE REDAZIONE:
c/o Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della provincia di Ferrara – Piazza Sacrati 11 –
Tel. 0532/202247 - Fax 0532/247134
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DIRETTORE RESPONSABILE
Dott. Massimo Masotti
AUTORIZZAZIONE DEL TRIBUNALE DI FERRARA:
decreto 17/04/1982 n. 299
Sped. in Abb. Postale – II trimestre 2012
Poste Italiane S.p.A. – Spedizione in Abbonamento Postale – D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, CN Ferrara)
STAMPA:
Siaca Arti Grafiche
Via Ferrarese 31/1 - 44042 Cento (FE)
INTRODUZIONE
Gentili colleghi,
è un piacere presentare la terza pubblicazione di aggiornamento su argomenti di Medicina
di Genere, curato dalla Commissione Donne Medico dell’Ordine dei Medici di Ferrara.
Da quando abbiamo iniziato con la prima pubblicazione nel 2010 il concetto di Medicina
di Genere ha subito un’evoluzione.
Attualmente, si parla di SEX-GENDER BASED MEDICINE, concetto secondo il quale la
“ femminilità “ e la “mascolinità” possiedono una doppia dimensione biologica e storica che
non sono intercambiabili, ma si integrano profondamente in rapporto reciproco variabile,
su cui si inserisce un’ampia variabilità individuale, che prevede somiglianze, commistione
di elementi comuni, tra i membri dello stesso sesso, ma che conferma sempre e comunque
l’unicità del singolo soggetto.
La medicina basata sul sesso/genere può essere considerata uno strumento di maggiore appropriatezza clinica, diagnostica e terapeutica, per rispondere più adeguatamente
ai bisogni di salute della donna e dell’uomo, nonché al principio di equità delle cure, e
ridurre il livello di errore nella pratica clinica.
Deve avere come obiettivo il miglioramento della clinica, in termini di prevenzione, diagnosi, terapia, a seconda se il paziente è uomo oppure donna, attraverso la conoscenza
della diversa rilevanza dei fattori di rischio nei due generi, lo studio di nuovi biomarkers
genere-specifici predittivi di rischio di morbilità, la modulazione dell’approccio clinico in
funzione della differente manifestazione della malattia nei due generi (diversità di sintomi,
esperienza del dolore, vissuto dello stato morboso psicologico, sociale e culturale), la
conoscenza del differente impatto farmacologico nella fisiologia maschile e femminile
(cinetica, dinamica, effetti avversi). La medicina di genere non è la medicina delle donne:
si occupa di entrambi i generi laddove il dismorfismo maschile e femminile crea
la differenza clinica.
Medicina di genere e tutela della salute della donna hanno alcuni argomenti comuni, ma
non sono affatto sovrapponibili (OMS, Ginevra, 1998).
In questa pubblicazione affronteremo i disturbi del comportamento alimentare in un’ottica
di genere.
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono l’espressione di un forte disagio psichico che si esprime con un alterato rapporto con il cibo ed un’alterata percezione del
proprio corpo (dismorfofobia) e in cui l’alimentazione costituisce un evento connesso con
lo sviluppo dell’identità. Anoressia e Bulimia, con spesso associata Obesità, sono oggi un
problema di salute pubblica con un’incidenza che dall’1 al 2% per l’anoressia nervosa , dal
1 al 3 % per la bulimia nervosa e dello 0,6% per il disturbo da alimentazione incontrollata
(Binge eating desorders). Rappresentano attualmente un problema diffuso e frequente tra
le adolescenti e le giovani donne nelle società occidentali industrializzate, ma contrariamente a quanto generalmente si pensa, non sono un problema esclusivamente femminile:
infatti il 10% della popolazione complessiva che soffre di anoressia è costituita da giovani
uomini, i quali raggiungono anche il 15% dei bulimici e il 40% degli obesi.
Anche l’obesità in età pediatrica può essere considerata un’emergenza, un’epidemia che
colpisce il 40% dei bambini e degli adolescenti e così il Binge eating desorders patologia
ancora non ben classificata, che colpisce soprattutto le donne in età post-menopausale,
responsabile spesso di un aumento di peso, correlabile ad un aumentato rischio cardio-
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vascolare.
Gli argomenti presenti in questo bollettino speciale saranno i seguenti:
- Anoressia e bulimia nervosa maschile, curato dalla dott.ssa Emilia Manzato e dalla
dott.ssa Malvina Gualandi.
- L’epidemia di sovrappeso e obesità in età pediatrica, curato dalla prof. Rita Tanas.
- I DCA nella donna nelle diverse fasi della vita, curato dalla dott.ssa Cristina Tarabbia
e dalla dott.ssa Emilia Manzato.
Le relazioni saranno precedute da un’introduzione sulla regolazione del peso corporeo,
curato dalla dott.ssa Cristina Tarabbia, componente della Commissione Donne Medico, a
cui va il nostro più sincero apprezzamento.
Ringrazio sentitamente le autrici, per il loro entusiasmo, pazienza, grande preparazione e
competenza, che hanno consentito a questo bollettino di vedere la luce.
Dott.ssa Debora Romano
(Coordinatore Commissione Donne Medico
dell’ Ordine dei Medici e Odontoiatri di Ferrara)
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
LA REGOLAZIONE DEL PESO CORPOREO
(Dott.ssa Cristina Tarabbia)
Il “peso” rappresenta la misura convenzionale della “massa” corporea, ed esprime fisicamente il bilancio energetico dell’organismo, cioè il rapporto tra l’energia introdotta con gli
alimenti e quella utilizzata per soddisfare i fabbisogni strutturali e funzionali dell’organismo,
attraverso continue trasformazioni in energia chimica, meccanica, elettrica e termica.
Tabella 1: Tarabbia C. L’omeostasi Energetica
Ogni organismo ha un proprio equilibrio omeostatico energetico, e dunque un proprio peso,
che dipende fisiologicamente da età, sesso, etnia, ritmo sonno-veglia, ritmi circadiani ed è
influenzato da molteplici fattori: genetici, esogeno-ambientali, nutrizionali, neuro-ormonali
e psicocomportamentali.
La costanza del peso corporeo è correlata al mantenimento della massa grassa, che si
verifica qualora il dispendio di energia è bilanciato da un adeguata assunzione di substra-
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ti: in tal modo il rapporto raggiunge un bilancio energetico in pareggio. Le temporanee
situazioni di bilancio positivo o negativo, dovute alla fisiologica asincronia quotidiana tra
assunzione di cibo e consumo, non ha conseguenze sull’organismo, grazie allo scambio
dinamico con le riserve energetiche immagazzinate nei tessuti di deposito.
La regolazione del sistema si realizza soprattutto grazie a complessi dispositivi a feedback, che modulano l’introduzione degli alimenti in risposta adattativa a molteplici stimoli
afferenti endogeni ed esogeni segnalanti un consumo energetico.
Regolazione dell’omeostasi energetica
Modulazione dell’assunzione di cibo
L’assunzione di cibo è regolata da molteplici stimoli afferenti esogeni ed endogeni, che
vengono processati ed integrati in circuiti altamente specializzati in aree ipotalamiche preposte e generano una risposta efferente neuroendocrina di tipo “oressizzante/ anabolica”
(con bilancio energetico positivo), oppure “anoressizzante/catabolica” (con bilancio energetico negativo), secondo un meccanismo a cascata.
Aree di elaborazione centrale
Il nucleo arcuato rappresenta il centro di elaborazione primaria delle informazioni: situato
nell’ipotalamo ventromediale, sovra-infundibolare, è costituito dall’aggregazione di gruppi
neuronali, che sono collegati ad altre strutture nervose, ipotalamiche e non, coinvolte nel
comportamento alimentare.
I segnali afferenti vengono captati
dai neuroni di prim’ordine attraverso sinapsi e/o recettori specifici ed
attivano l’espressione genica e la
sintesi di neuropeptidi endogeni.
Nel nucleo arcuato coesistono due
distinte popolazioni neuronali ad
effetto antitetico: i neuroni POMC
/ CART, che co-esprimono il gene
della proopiomelanocortina (precursore delle melanocortine, tra
cui a-MSH e CRF) e dei trascritti
regolati da cocaina ed amfetamine
(Beta-endorfine) ad effetto anoressizzante/catabolico, ed i neuroni
NYP / AgRP, che coesprimono il
gene del neuropeptide Y e della
proteina Agouti associata, ad effetto oressizzante/anabolico.
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
I neuropeptidi vengono riversati
dagli assoni terminali nello spazio sinaptico di aree ipotalamiche
adiacenti, ove interagiscono con
i neuroni di secondo ordine mediante il legame a recettori propri: MC3R ed MC4R (per a-MSH
e AgRP), Y1 ed Y5 (per NPY) I
neuroni di secondo ordine sono
aggregati principalmente nel nucleo paraventricolare (PVN), nel
nucleo ipotalamico laterale (LHA)
e nell’area peri-fornicale.
Il nucleo paraventricolare produce ampiamente il CRH (corticotropinreleasing-hormone), mentre, nel LHA ineuroni esprimono
MCH (melanin - concentating hormone) e orexine A, ad effetto
oressizzante; inoltre, esprimono
il recettore per le melanocortine.
Rare proiezioni efferenti sono state identificate nel nucleo ventromediale (VMN) nel nucleo
dorsomediale (DMN), nell’ area mediale pre-ottica, nel nucleo sovra chiasmatico e nel nucleo sovra ottico, di incerto significato.
a-MSH
E’ un ormone appartenente alla famiglia delle melanocortine, che deriva dalla processazione del precursore pro-opiomelanocortina nei neuroni POMC del nucleo arcuato dell’ipotalamo e del nucleo del tratto solitario (NTS) nel tronco encefalico.
L’espressione dei neuroni POMC ipotalamici viene regolata da numerosi stimoli afferenti
periferici, soprattutto dalla leptina del tessuto adiposo, in condizioni di bilancio energetico
positivo, in cui si richiede un effetto centrale anoressizzante/catabolico.
La colecistochinina, invece, sembra modulare i neuroni POMC aggregati nel nucleo del
tratto solitario bulbare.
Il segnale efferente viene captato da specifici recettori, MC3R ed MC4R: le alterazioni
genetiche che li coinvolgono causano obesità. MC4R è un recettore interessante, che trasmette un segnale “a cascata”, tra i cui componenti è da segnalare il fattore neurotrofico di
derivazione encefalica (BDNF), la cui aploisufficienza è associata ad obesità nei pazienti
con sindrome WAGR (Tumore di Wilms, Aniridia, disturbi Genitourinari, Ritardo mentale).
I neuroni provvisti di tali recettori sono stati localizzati nei nuclei ipotalamici PVN, DMN e
LHA, nel nucleo centrale dell’amigdala, nel nucleo motore dorsale del vago e nel nucleo
del tratto solitario bulbare.
E’stata, inoltre, individuata una proiezione efferente delle fibre nervose POMC sulle aree
ipotalamiche deputate al controllo endocrino, promuovendo il release di CRH e di TRH, i
cui effetti sulla sintesi ormonale coadiuvano l’azione catabolica.
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CART
Il peptide CART è così chiamato perché aumenta in corso di assunzione di amfetamine e
cocaina.
Neuropeptide Y
E’ un peptide di 36 aminoacidi, sintetizzato sia nei neuroni ipotalamici (nucleo arcuato) sia
in quelli extraipotalamici (brainstem) o periferici ed esercita la sua azione sui neuroni di
secondo ordine interagendo con recettori specifici Y1 ed Y5.
I neuroni NPYergici rappresentano un “golden point” nella regolazione della omeostasi
energetica: l’espressione del gene NPY viene up-regolata soprattutto, ma non solo, da
situazioni di bilancio energetico negativo, quali il digiuno, l’insulino - resistenza e l’allattamento, mediate soprattutto dalle orexine dell’ipotalamo laterale e dalla grelina gastrica.
La risposta oressizzante / anabolica si esplica grazie a vari meccanismi: a livello centrale,
il neuropeptideY promuove direttamente l’iperfagia, inibisce l’attività dei neuroni POMC,
stimola tramite Y1-Y5 le fibre GABA-ergiche inibitorie su POMC; a livello periferico, inibisce la termogenesi nel grasso bruno modulando negativamente le fibre adrenergiche del
SNA, promuove la deposizione di tessuto adiposo incrementando l’attività dell’acetilCoAcarbossilasi nell’adipocita e nell’epatocita, in parte tramite l’induzione di secrezione glicocorticoide dal surrene.
AgRP
La proteina agouti-associata (132 aminoacidi) è stata isolata nel 1997.
E’ così denominata in quanto presenta una omologia molecolare del 25% con la proteina
Agouti, un peptide espresso nei follicoli del capillizio, che agisce antagonizzando l’azione
di a-MSH sui recettori Mc1R, con il conseguente blocco di produzione di eumelanina e con
la biosintesi di feomelanina, determinando il colore biondo dei capelli.
AgRP viene prodotta esclusivamente da neuroni del nucleo arcuato dell’ipotalamo.
I neuroni AgRP proiettano fibre nervose efferenti solamente sui neuroni ipotalamici (PVN,
DMN e LHA), dove il peptide antagonizza lo stimolo a-MSH sui recettori di Mc3R ed Mc4R
dei neuroni di secondo ordine: l’effetto finale è dunque di tipo oressizzante/anabolico.
Segnali afferenti
I segnali afferenti che modulano le aree di regolazione ipotalamica dell’assunzione di cibo,
possono essere neurotrasmettitori centrali o peptidi periferici ad attività endocrina (Tabella 2).
Un discorso a parte meritano i nutrienti ed i prodotti metabolici, in quanto l’influenza della
dieta sul sistema ipotalamico prevede interazioni centrali ben più complesse dei semplici
meccanismi di feedback
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Tabella 2: C. Tarabbia: Modulatori dell’omeostasi energetica
Neurotrasmettitori
Altre strutture sembrano coinvolte nel comportamento alimentare: recettori orali, le pareti
del tubo gastroenterico, il tronco encefalico, l’area limbica, le aree corticali visive e motorie,
il nucleo striato.
I fasci nervosi provenienti dalla periferia sono rappresentati fondamentalmente da fibre
vagali, che liberano noradrenalina: gli stimoli derivati dalla salivazione, dalla masticazione,
dalla deglutizione e dalla distensione gastro-duodenale provocano la stimolazione vagale,
che afferisce al nucleo del tratto solitario bulbare, e viene proiettata ai nuclei ipotalamici
PVN e LHA. Il rilascio del neurotrasmettitore inibisce l’assunzione del cibo, afferendo al
nucleo arcuato.
Le aree appartenenti al sistema nervoso centrale, invece, modulano l’attività neuronale
del nucleo arcuato mediante fibre del sistema dopaminergico, serotoninergico, oppioide
ed endocannabinoide.
Recentissimi studi (Roepke, 2011) hanno per la prima volta dimostrato un meccanismo
fisiologico attraverso il quale lo stato energetico dell’organismo sia in grado di modulare
l’attività neuronale del nucleo arcuato. Le fibre nervose afferenti rilasciano nello spazio
sinaptico i neurotrasmettitori, i quali interagiscono con recettori accoppiati a G-protein che
aprono i canali-potassio KCNQ responsabili della generazione di Correnti M. Queste ultime sono responsabili di una lenta ripolarizzazione di membrana: a seconda del segnale
afferente si modula l’intervallo tra i potenziali d’azione, le scariche neuronali e dunque la
soglia di eccitabilità del sistema.
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Peptidi ad attività endocrina
I peptidi ormonali sono rilasciati dal tessuto adiposo periferico o dalle cellule endocrine
dell’apparato gastroenterico, e raggiungono per via ipotalamica i centri ipotalamici, ove si
legano a recettori propri.
L’ipotesi che l’adiposità corporea e l’omeostasi energetica dell’organismo sia regolata a livello del SNC da “fattori circolanti”, rilasciati dal grasso proporzionalmente al proprio spessore, fu proposta per la prima volta da Kennedy nel 1953.
Da allora, molti peptidi sono stati identificati negli ultimi 20 anni: i principali sono la leptina,
l’adiponectina, e i peptidi del lume intestinale: insulina, grelina, PYY.
E’ stato dimostrato che attraversano la barriera emato-encefalica mediante trasporto attivo recettore-mediato e modulano i neuroni ipotalamici “direttamente”, attraverso recettori
propri, oppure “indirettamente”, comportandosi come neurotrasmettitori, mediante recettori accoppiati a proteine G, legate a canali ionici sui neuroni intermedi del SNC, che proiettano fibre ai nuclei ipotalamici.
I recettori propri degli ormoni appartengono alla famiglia dei recettori tirosina-chinasi
(RTK), la cui dimerizzazione e fosforilazione indotta dal ligando attiva una tirosina chinasi,
che innesca altre vie intracellulari “a cascata” di trasduzione del segnale.
Leptina
Identificata per la prima volta da Zhang nel 1995, la leptina è un ormone di 167 aminoacidi
sintetizzato particolarmente nell’adipocita bianco, grazie all’espressione del gene autosomico recessivo ob, regolato da fattori post-trascrizionali, principalmente dall’aumento delle
riserve adipose e dall’iperglicemia, ma anche dall’insulina.
Agisce a livello centrale e periferico grazie all’interazione con il recettore ObR, che appartiene alla superfamiglia dei recettori per le citochine di tipo I (IL-2, IL-6, G-CSF, gp130R): il
complesso leptina-recettore attiva una tirosina chinasi citosolica (chinasi JAK) che fosforila i monomeri del recettore, creando siti per le proteine STAT, (signal transduction and activation of trascription). Le STAT fosforilate sono fattori di trascrizione genica: i geni indotti
da STAT regolano l’espressione dei geni NPY, POMC, ed anche dei geni per le proteine
SOCS3, responsabili del feed-back negativo.
La JAK modula inoltre l’attività di proteine citoplasmatiche non coinvolte nel controllo della
trascrizione, reclutando la fosfolipasi C di membrana (cascata del fosfatidil inositolo IP3),
la PI3chinasi (cascata della proteina chinasi b PKB).
I neuroni del nucleo arcuato esprimono ampiamente i recettori per la leptina, che aumenta
l’espressione genica di aMSH e riduce l’espressione genica di NPY e di AgRP, con un
effetto anoressizzante centrale.
La leptina agisce inoltre sui neuroni del nucleo PVN, i cui assoni che terminano con bottoni
sinaptici all’ipofisi: la leptina regola ampiamente l’espressione di CRH, espletando quindi
un’azione di dispendio energetico attraverso la termogenesi, mediata dal release della
noradrenalina dalle terminazioni simpatiche nel tessuto adiposo, ed un’azione catabolica
periferica, con l’inibizione della lipogenesi e la promozione della lipolisi, forse interferendo
nel legame dell’insulina con i suoi recettori.
Analogamente, la leptina promuove il release di TRH, GnRH, GHRH dall’iposisi posteriore
e di ADH ed ossitocina dall’ipofisi anteriore, rientrando nella regolazione di molteplici funzioni, tra cui l’attività tiroidea, la riproduzione, la massa ossea.
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
In virtù delle caratteristiche recettoriali, la stimolazione dell’ipotalamo ventromediale genera anche una risposta effettrice proinfiammatoria citochino-simile, un’azione regolatrice
dell’emopoiesi e della linfopoiesi.
Molti fattori modulano i circuiti centrali della leptina, in particolar modo le orexine A e B e
MCH (ormone concentrante la melanina), rilasciati dall’ipotalamo laterale.
Insulina
Fin dal 1979 è stato dimostrato che l’insulina è presente nel SNC (Havrankov) e se vi viene
infusa produce un calo significativo dell’assunzione di cibo, un bilancio energetico negativo
e quindi una riduzione del peso corporeo (Woods).
La sua azione si esplica mediante interazione con i recettori IRS-2 (insulin-receptor-substrate-2) che appartengono alla famiglia dei recettori tirosina-chinasi (RTK).
La dimerizzazione e fosforilazione indotta dal legame con l’insulina attiva una tirosina chinasi intrinseca, che a sua volta innesca altre vie intracellulari “a cascata” di trasduzione del
segnale (sistema Ras/MAPchinasi, PI3chinasi/PKB, PLC/IP3).
Il nucleo arcuato esprime ampiamente i recettori per l’insulina che, in sinergia con la leptina, aumenta l’espressione di aMSH e riduce l’espressione di NPY ed AgRP.
Anche se una quantità irrilevante di insulina viene prodotta localmente nel sistema nervoso, i recettori centrali hanno una affinità maggiore per la quota ormonale plasmatica
proveniente dal pancreas.
Grelina
E’ un peptide identificato nel 1999 da Kojima nelle cellule ossintiche X/A-like della mucosa
gastrica, ove viene prodotto in quantità preponderante; una piccola quota di grelina viene
sintetizzata anche nell’intestino tenue, nel pancreas, nel rene, nel testicolo, nell’ovaio ed
anche nel sistema nervoso centrale, lasciando ipotizzare che l’ormone abbia ruoli anche
in altri meccanismi fisiologici.
Dalla periferia raggiunge principalmente l’ipotalamo con trasporto attivo recettore-mediato
e si legano ai recettori segratogoghi GHS-R, che attivano le proteine chinasi adenilatociclasi-dipendenti.
Tali recettori sono espressi principalmente nel nucleo arcuato, dove la grelina interagisce
sia con i neuroni NPY/AgRP, inducendo l’espressione dei geni che codificano i neuropeptidi, sia con differenti neuroni che proiettano principalmente al PVN, ma anche a VMN e
DMV, con effetto oressizzante ed aumento di peso corporeo.
Inoltre, attiva i neuroni dell’ipotalamo laterale che producono oressine ed i neuroni di PVN
che producono ossitocina, con rinforzo del segnale.
Sono state osservate sedi extra-ipotalamiche ove il recettore per la grelina è espresso: la
corteccia cerebrale, il giro dentato, la ghiandola pituitaria, l’ippocampo, la sostanza nigra, il
nucleo del tratto solitario, i gangli, il midollo spinale, a dimostrazione di un ruolo complesso
nei meccanismi metabolici ed omeostatici.
La grelina si comporta anche da neurotrasmettitore, promuovendo l’attività post-sinaptica
di neuroni localizzati nelle aree periventricolari e subfornicali (SFO) con aumento del rilascio di calcio intracellulare ed aumento dei potenziali d’azione: sono neuroni intermedi, in
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
quanto proiettano fibre nervose all’ipotalamo mediale ed attivano le popolazioni neuronali
che esprimono il recettore GSH-R.
PYY
E’ un peptide secreto dalle cellule endocrine dell’ileo e del colon dopo l’assunzione del pasto, che si lega a recettori propri del nucleo arcuato e stimola i neuroni POMC/CART, con
effetto anoressizzante/catabolico.
Anilina
E’ un peptide secreto dalle cellule beta delle insule pancreatiche, che agisce a livello centrale determinando calo di peso attraverso la stimolazione con i neuroni POMC/CART del
nucleo arcuato.
Colecistochinina
Viene sintetizzata nell’intestino tenue ed il suo effetto è mediato dai recettori addominali
vagali CCK-A: promuove svariati effetti tra cui lo svuotamento lento dello stomaco e la
motilità intestinale. Conduce all’ipotalamo un segnale di sazietà, attraverso fibre nervose
vagali, ed inducendo quindi un comportamento alimentare di tipo anoressizzante.
Nutrienti
Le relazioni tra la dieta ed i sistemi centrali di regolazione omeostatica sono tuttora oggetto
di ricerca.
Gli studi si propongono di chiarire come i nutrienti ed i prodotti metabolici possano innescare meccanismi di feedback, ma i risultati sono alquanto discordanti.
Le prime sperimentazioni dimostrarono come l’implementazione lipidica della dieta nei
topolini attivasse debolmente l’azione centrale dell’insulina (Chavez, 1996) e della leptina
(Lin, 2001) di tipo anoressizzante e catabolica.
Di recente, si è osservato che la quota plasmatica di trigliceridi è in grado di determinare
lievi variazioni di leptina, insulina e grelina (Banks, 2009).
La stimolazione dei neuroni ventromediali dell’ipotalamo da parte fondamentalmente degli
acidi grassi liberi (FFA) ha fatto ipotizzare la teoria lipostatica del controllo dell’appetito.
Effetti inibitori sull’assunzione di cibo sono stati descritti anche a carico dell’accumulo di
glucosio, di triptofano, di tirosina e di aminoacidi neutri a lunga catena, suggerendo di formulare anche una teoria glicostatica ed una teoria aminostatica.
La concentrazione plasmatica dei nutrienti induce una modulazione centrale dell’appetito
con meccanismi di feedback, tuttavia l’aumento di incidenza dell’obesità, anche in età
pediatrica, nei paesi con regime alimentare ipercalorico, sembra suggerire un’inadeguata
capacità delle riserve energetiche endogene di regolare il peso corporeo soltanto con circuiti di feed-back.
Recenti studi in campo psico-comportamentale hanno fornito ulteriori chiarimenti sul rapporto tra la dieta ed il sistema nervoso centrale: sistemi reward.
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Le proprietà gratificanti del cibo possono agire autonomamente come motivazionali,
e sono in grado di modulare il comportamento alimentare anche in assenza di feedback
periferico innescato dal deficit energetico o dalla distensione gastrica, grazie a circuiti di
gratificazione (reward) che si integrano nel nucleo accumbens (corteccia nigrostriatale)
considerato una “regione altamente specializzata” collegata ad aree corticali, limbiche (ippocampo ed amigdala) ed al tronco encefalico.
Gli stimoli motivazionali attivano i neuroni del tegmento ventrale (VTA) che proiettano fibre
dopaminergiche al nucleo accumbens: l’attivazione di VTA ed il release di dopamina nello
spazio sinaptico sono ulteriormente modulati sia dall’esperienza, sia dallo stato nutrizionale dell’organismo, sia dagli ormoni.
La corteccia tegmentale ed il nucleo accumbens esprimono pure i recettori della grelina,
dell’insulina, della leptina e della melanocortina: quest’ultimo neuropeptide sembra implicato non solo nei circuiti reward del comportamento alimentare, ma anche in quelli del
comportamento di assunzione di droghe.
La grelina esercita un deciso effetto di rinforzo del segnale.
Invece l’azione della leptina e dell’insulina nei circuiti reward è molto minore: tali peptidi
in parte riducono direttamente i potenziali d’azione dei neuroni VTA e diminuiscono la trasmissione del segnale dopaminergico incrementandone il reuptake, ed in parte stimolano
neuroni intermedi che dal nucleo arcuato proiettano allo striato.
L’ipotalamo mediale ha infatti un collegamento anatomo-funzionale con il nucleo accumbens, e funziona da “stazione” di smistamento di stimoli provenienti da aree diverse del
SNC, pertanto gli stimoli motivazionali possono essere convertiti in risposte motorie di
comportamento alimentare e, viceversa, stimoli di provenienza ipotalamica possono essere proiettati alle popolazioni neuronali VTA.
A questo proposito, sono state identificate delle fibre nervose orexinergiche, a partenza
dall’ipotalamo laterale, che raggiungono la corteccia nigrostriatale, con effetto di attivazione.
Anche la palatabilità del cibo può modularne la scelta edonistica e l’assunzione in assenza di feedback energetico, grazie ad afferenze oppioidi che, a partire dall’amigdala,
stimolano mediante i recettori mu la corteccia VTA ed inducono il release di dopamina dai
neuroni del nucleo accumbens.
Segnali efferenti
I sistemi efferenti proiettano i segnali generati nei neuroni ipotalamici di secondo ordine in
aree extra-ipotalamiche:
→ neuroni di aree appartenenti al sistema nervoso centrale, coinvolti nei circuiti reward:
• nucleo accumbens
• setto encefalico
• area limbica (ippocampo e amigdala)
• grigio periacqueduttale, nucleo del tratto solitario (tronco encefalico – brain stem)
→ proencefalo, mesencefalo neuroni adrenergici e noradrenergici pre-sinaptici del sistema nervoso autonomo (vasi, cuore, midollare del surrene, intestino, pancreas).
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Ipotesi funzionale
I meccanismi centrali e periferici di regolazione dell’assunzione del cibo rappresentano un
sistema integrato in maniera molto complessa a livello dell’ipotalamo ventromediale.
Il comportamento alimentare risultante ed il bilancio energetico sono governati principalmente dall’attività antitetica dei neuroni NPY/AgRP e POMC.
In condizioni basali, in assenza di stimoli afferenti, viene mantenuta un’attività tonica dei
neuroni NPY/AgRP, ad effetto oressizzante.
In situazione di sbilanciamento energetico, entrano in funzione meccanismi di regolazione
dell’omeostasi energetica “a breve termine” oppure “a lungo termine”.
I segnali di fame o di sazietà a breve termine che giungono all’ipotalamo sono rappresentati dallo stato di distensione gastro-intestinale (vago) dai recettori orali, dalla concentrazione plasmatica dei nutrienti e dei metaboliti, da fattori ormonali rilasciati dall’apparato
gastroenterico (CCK, Insulina, amilina): vengono attivati e modulati gli effetti dei neuropeptidi ipotalamici.
Pare che esista una differenza nella durata della risposta, in quanto l’aumento dell’appetito
conseguente alla stimolazione NPY si protrae per alcune ore, mentre l’iperfagia indotta da
AgRP viene sostenuta per più di 1 settimana.
Il feedback a breve termine sembra indirizzato a regolamentare il volume dei pasti e la loro
frequenza.
I neuroni POMC sembrano maggiormente coinvolti nell’integrazione di meccanismi di regolazione più continui, a lungo termine, mediati da peptidi ormonali tra cui, in primis, la
leptina e le sostanze che segnalano la quantità di grasso corporeo di riserva.
Pertanto, il feedback a lungo termine è più direttamente coinvolto nel mantenimento del
peso corporeo.
Modulazione dei processi metabolici
L’attività metabolica dell’organismo è regolata da complessi meccanismi sotto il controllo
del sistema nervoso e del sistema endocrino.
Il tessuto adiposo risulta essere un tessuto estremamente interessante nei meccanismi
di controllo del peso.
Esso non rappresenta semplicemente la riserva energetica dell’organismo, contenuta per
il 75% nei trigliceridi, per il 25% nelle proteine e per l’1% nei glicidi, ma gli è stata attribuita
una funzione endocrina, in quanto produce una serie di molecole-segnale che modulano i
meccanismi di regolazione centrale e periferica dell’omeostasi energetica.
Adiponectina
Prodotta dagli adipociti del grasso viscerale, è un peptide complessato in più monomeri,
che determina una riduzione del peso corporeo agendo su molteplici tessuti bersaglio,
compreso l’encefalo.
La sua azione si esplica attraverso l’interazione con due recettori: AdipoR1 (prevalenti nel
muscolo) AdipoR2 (prevalente nel fegato): il legame produce l’attivazione del sistema ade-
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
nilatociclasico, con fosforilazione dell’acetilCoA, che si inattiva ed arresta la sintesi degli
acidi grassi.
Promuove l’ossidazione degli acidi grassi a livello muscolare, riduce la sintesi epatica di
trigliceridi e di glucosio, ed è correlata ad insulino resistenza, aumento della pressione
sistolica, diminuzione delle HDL.
Citochine
Sono rappresentate principalmente da: IL1, IL6, IL18, TNFa e chemochine.
L’aumentata produzione di queste molecole, correlata all’accumulo di grasso corporeo,
determina uno stato infiammatorio cronico subclinico, con aumento della proteina C reattiva.
PAI-1
Inibitore dell’attivatore del plasminogeno.
MCP-1
Proteina-chemiotattica-monocitaria-1, la cui presenza esprime l’infiltrazione dei macrofagi
nel tessuto adiposo viscerale, a differenza di quello sottocutaneo.
CONCLUSIONI
L’omeostasi energetica dell’organismo si avvale, dunque, di fini meccanismi regolatori, che
coinvolgono sistemi di segnalazione e di risposta sia centrali, sia periferici.
Ogni variazione del peso corporeo esprime uno squilibrio del bilancio calorico dovuto a
dis-regolazione dei meccanismi di assunzione di cibo o dei processi metabolici, che
possono verificarsi a vari livelli e per varie ragioni, dovute a patologie organiche oppure a
situazioni legate alla sfera psichica o all’ambiente.
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono espressione di un forte disagio psichico che si manifesta con un alterato rapporto col cibo ed un’alterata percezione del proprio
corpo.
Poiché gli ormoni sessuali conferiscono uno specifico fenotipo fisiologico e patologico al
paziente, la manifestazione clinica dei DCA ha caratteristiche diverse nelle differenti fasce
di età, nel maschio e nella femmina, e nelle diverse fasi ormonali della vita della donna.
E’ importante conoscere le diverse modalità di espressione dei disturbi comportamentali,
in modo da essere indotti al sospetto clinico e ad indirizzare precocemente i pazienti dallo
specialista, migliorando la prognosi.
15
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
ANORESSIA E BULIMIA MASCHILE: FOCUS SULLE DIFFERENZE DI GENERE
(Dott.ssa Emilia Manzato)
I Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) nei maschi, pur costituendo un’area di
nicchia, hanno stimolato da sempre un grande interesse nella letteratura scientifica per la
loro diversità di espressione clinica e per la difficoltà di approccio e trattamento.
I DCA sono espressione di un disagio psichico, che si esprime in un alterato rapporto con
il cibo e un’alterata percezione del proprio corpo.
Le attuali conoscenze sui meccanismi che nei maschi possono concorrere a generare un
DCA sono carenti.
Se l’immagine corporea ideale delle donne si riferisce tradizionalmente alla magrezza, la
forma del corpo in termini di muscolarità è una chiave importante per lo sviluppo dell’ideale
corporeo nei maschi.
E’ importante conoscere le specifiche caratteristiche di espressione dell’Anoressia e della
Bulimia nei maschi, perché la diversa sintomatologia può impedire un’adeguata diagnosi
e ritardare la cura.
Spesso il primo approccio con pazienti maschi con DCA avviene nell’ambulatorio del medico di medicina generale, per cui diventa fondamentale il ruolo dei medici di famiglia nell’individuare precocemente la presenza di un DCA maschile e motivare il paziente alla cura.
In questa relazione, dopo una breve introduzione sulla storia dei DCA con particolare riferimento alla casistica maschile, verrà dato un quadro generale della diversità nell’espressione dei sintomi clinici nei maschi rispetto alle femmine.
Si esamineranno gli aspetti legati alle difficoltà culturali nell’individuare e trattare una malattia considerata appannaggio del genere femminile, che in parte motivano il ritardo con
cui sono diagnosticati i DCA nei maschi.
Verranno date alcune indicazioni sull’approccio ai DCA maschili e infine riporteremo alcuni
dati della situazione a Ferrara sulla base della casistica del Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria S. Anna di Ferrara.
Storia
La maggior parte degli studi in letteratura si è focalizzata sui DCA femminili, data la spiccata prevalenza femminile del disturbo, ma negli ultimi tempi i DCA maschili hanno stimolato
un crescente interesse per le loro peculiarità di espressione e per la difficoltà di approccio
e trattamento (1).
Si tratta di patologie difficili da studiare, in quanto il numero di casi relativamente basso
rende arduo reclutare campioni vasti e omogenei sui quali poter eseguire analisi adeguate;
infatti, la maggior parte degli studi viene effettuata su campioni ridotti o su casi considerati
“particolari”.
Un’altra difficoltà nell’approfondimento dei DCA maschili è legata all’uso, nelle indagini
epidemiologiche, degli stessi strumenti tarati per i DCA femminili, che non tengono conto
delle differenze a volte sostanziali nei due generi: è difficile applicare test con cut off validati per la popolazione femminile(2), inoltre alcuni item, per esempio quelli sulla dispercezione
17
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
corporea, possono avere falsi negativi, data la grande differenza tra maschi e femmine.
Questi problemi metodologici probabilmente giustificano la variabilità di risultati degli studi
epidemiologici riguardanti i DCA maschili.
E’ interessante rilevare come la prima descrizione in cui il digiuno e il relativo defedamento
sono stati correlati a uno stato psichico e definiti “nervous consumption”, realizzata nel
1689 da Sir Richard Morton, medico inglese, riguardasse proprio un maschio, un ragazzo
di 16 anni, figlio di un ministro di chiesa (3).
Da allora (e in particolare dalla seconda metà dell’800), i DCA sono stati oggetto di numerose descrizioni, ma solo nell’ultima parte del secolo scorso si è sviluppata una grande attenzione verso queste patologie che ha portato all’inserimento, per la prima volta, dell’Anoressia Nervosa tra le patologie psichiatriche gravi nel “Manuale Statistico e Diagnostico
delle Malattie Mentali” (DSM), terza edizione degli anni ‘80 (4).
Nella quarta edizione del DSM è stata inserita anche la Bulimia Nervosa ed è stato proposto in appendice un nuovo disturbo chiamato “Binge Eating Disorder” o “Disturbo da
Alimentazione Incontrollata”, presente soprattutto nei pazienti obesi. Un’altra categoria
diagnostica è costituita dalle forme parziali definite “Disturbi Alimentari non altrimenti specificati” (DCANAS), che raccoglie tutti i quadri clinici che non soddisfano completamente i
criteri diagnostici e che costituiscono in realtà la percentuale maggiore di casi trattati negli
ambulatori specialistici.
Attualmente la classificazione usata per i DCA maschili è la stessa dei DCA femminili, sia
nel DSM 4, che nell’International Classification of Diseases (5,6) .
Riportiamo due tabelle riassuntive dei criteri diagnostici del DSM 4TR per l’Anoressia Nervosa e per la Bulimia.
ANORESSIA NERVOSA
BULIMIA NERVOSA
• Rifiuto di mantenere il peso corporeo al di sopra
o al peso minimo normale per l’età e la statura
(BMI<17.5).
• Intensa paura di acquistare peso o di diventare
grassi, anche quando si è sottopeso.
• Alterazione nel modo in cui il soggetto vive il
peso o la forma del corpo, o eccessiva influenza del peso e della forma del corpo sui livelli di
autostima, o rifiuto di ammettere la gravità della
attuale condizione di sottopeso.
• Nelle femmine dopo il menarca, amenorrea (assenza di almeno 3 cicli mestruali consecutivi).
• Ricorrenti Abbuffate, definite come:
- mangiare in un definito periodo una quantità di cibo significativamente maggiore di
quello che la maggior parte delle persone
mangerebbe;
- presenza durante l’episodio di sensazione
di perdita di controllo.
• Ricorrenti e inappropriate condotte compensatorie (esempio: vomito autoindotto, abuso
di lassativi, iperattività fisica o digiuni compensatori).
• Le abbuffate e le condotte compensatorie si
verificano entrambe in media almeno due volte la settimana, per tre mesi.
• I livelli di autostima sono indebitamente influenzati dalla forma e dal peso corporeo.
SOTTOTIPI:
SOTTOTIPI:
• Restrittiva: il soggetto non ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione.
• Con Condotte di Eliminazione: uso di vomito
autoindotto o uso inappropriato di diuretici o
lassativi.
• Senza Condotte di Eliminazione: presenza
di altri comportamenti compensatori inappropriati; ad es. il digiuno o l’esercizio fisico
eccessivo.
• Purgativa: il soggetto ha presentato regolarmente abbuffate o condotte di eliminazione
Tabella 1
18
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Nel tentativo di ridurre la grande percentuale di forme parziali, definendo con più precisione la varietà dei quadri clinici, di evitare l’accumulo di diagnosi nel corso della vita di un
paziente (es. oscillazioni tra anoressia nervosa e bulimia nervosa a seconda delle modifiche di peso ecc.) e di poter inserire più adeguatamente anche i DCA maschili, il panel
di esperti che sta lavorando per la nuova edizione del DSM5 propone l’utilizzo di “larghe
categorie” (7).
Si sta, quindi, creando un interessante dibattito, che probabilmente porterà a modifiche
sostanziali della classificazione dei DCA.
Nell’Anoressia Nervosa l’introduzione del criterio dell’amenorrea nel DSMIV ha creato notevole difficoltà nel trovare un corrispondente nell’ambito maschile (sono stati proposti
come criteri equivalenti calo del testosterone e perdita del “sexual drive”), ma tale criterio
verrà molto probabilmente eliminato nel DSM5 (8).
In generale, nei DCA maschili la sintomatologia può essere sovrapponibile a quella dei
DCA femminili, ma la focalizzazione sul corpo può assumere una modalità di espressione
particolare.
Nell’Anoressia maschile il disturbo dell’immagine corporea ha spesso una focalizzazione
sul torace piuttosto che sulla pancia e l’atteggiamento verso il calo di peso è meno rigido
oppure l’ipercontrollo sull’introito calorico è preminente rispetto alla dispercezione corporea.
Nella Bulimia Nervosa maschile come pratica compensatoria viene più spesso utilizzata
l’iperattività fisica, piuttosto che pratiche evacuative come vomito autoindotto o abuso di
lassativi, molto più frequenti nelle Bulimie femminili.
Un discorso a parte merita la Dismorfia Corporea o “Reverse Anorexia”.
Il termine “Reverse Anorexia” è stato coniato da Pope nel 1993 (9) e si riferiva a un quadro
clinico presente nei maschi con aspetti simili all’Anoressia femminile, ma con il core sintomatologico caratterizzato dalla paura di essere troppo magri e smilzi anche se con un
corpo robusto e muscoloso, con conseguente utilizzo di diete altamente sbilanciate (di tipo
iperproteico) e frequente uso di anabolizzanti e iperattività fisica compulsiva. Questi disturbi sono accompagnati da intenso disagio nelle relazioni affettive, evitamento di situazioni
sociali, rifiuto di spogliarsi di fronte agli altri e uso di indumenti pesanti anche in estate per
nascondere il corpo.
Vi è maggiore presenza all’anamnesi di episodi di Anoressia Nervosa (25%) ed è molto
presente nei body builders (prevalenza che si aggira attorno al 10%).
E’ interessante notare come, attorno agli anni ‘90, l’ideale di bellezza maschile sia diventato sempre più “muscoloso”, proprio in coincidenza con la diffusione dell’uso di anabolizzanti. Val la pena ricordare un paio di articoli che hanno analizzato i cambiamenti dei modelli
maschili negli anni tra il 1980 e 1994 e che mettono in luce l’aumento dell’uso del corpo
maschile per la pubblicità di molti prodotti, l’aumento di articoli dedicati alla definizione
della forma fisica maschile, piuttosto che alla perdita di peso, e infine il cambiamento della
struttura fisica del giocattolo proposto ai bambini “GI Joe”, che diventa progressivamente
sempre più muscoloso (10,11).
La Dismorfia corporea, pur non essendo classificata nei DCA, presenta un quadro sintomatologico molto affine ai DCA stessi, per cui vi è la proposta di inserirlo tra i DCA nel
DSM5 (6).
19
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Dati Epidemiologici
E’ minore la presenza dei DCA nei maschi rispetto alle femmine, ma come abbiamo già
puntualizzato, vi sono numerosi fattori che possono interferire in una corretta valutazione
epidemiologica.
I DCA sono considerati un disturbo prettamente femminile, per cui nei maschi spesso non
sono diagnosticati, quindi, vi è il rischio che solo i casi più gravi arrivino all’osservazione
dei medici, inoltre, come abbiamo già detto, i dati epidemiologici potrebbero sottostimare
la reale presenza di DCA maschili per l’uso di strumenti non appropriati (12).
Dai dati di letteratura risulta che i DCA sono circa dieci volte più frequenti nella popolazione
femminile, negli studi in campioni di popolazione generale la frequenza di DCA maschili è
il 5-10% delle anoressie totali e il 10-15% delle bulimie (13,14).
Come nel campione femminile, anche per i DCA maschili la prevalenza dei casi trattati
ambulatorialmente è costituita da sindromi parziali o DCANAS.
In particolare, l’Anoressia ha una frequenza nei maschi che si aggira attorno a 1%.
La Bulimia sembra essere presente nei giovani maschi e negli adolescenti per il 2%.
Anche per i maschi la percentuale maggiore di pazienti si colloca nelle forme parziali.
Nei Centri specialistici vi è approssimativamente un maschio ogni 10-20 pazienti femmine
(15,16)
.
Esordio
E’ risaputo che l’Anoressia nelle donne ha una distribuzione bimodale, con un picco di
esordio a 14 anni e un altro picco attorno ai 18 anni; per la Bulimia, il picco di esordio si ha
in un’età lievemente più alta, ma prima comunque dei 25 anni.
Per i maschi non vi sono dati definitivi.
In una review, Crisp (17) non riportava alcuna differenza nell’età di esordio tra maschi e femmine, ma successivi studi su campioni più ampi hanno confermato un esordio più tardivo,
sia per la Bulimia, che per l’Anoressia (18,19) : l’età media di esordio si aggirerebbe attorno
ai 18.6, rispetto ai 17.5 nelle donne.
L’inizio più tardivo dei DCA potrebbe essere legato al fatto che la pubertà, periodo più a
rischio per l’esordio dei DCA, inizia nei maschi più tardi rispetto alle femmine.
Un’altra caratteristica che interferisce notevolmente sul trattamento e sulla prognosi nei
DCA maschili è il lungo periodo che intercorre tra l’esordio della patologia e l’inizio delle
cure: per l’Anoressia restrittiva passa circa un anno, per l’Anoressia purgativa passano
circa 4 anni e per la Bulimia i tempi sono ancora più lunghi, in media circa 8 anni.
Gruppi a Rischio e Fattori di Rischio
Anche nei maschi, come nelle femmine, vi sono gruppi particolarmente a rischio di sviluppo di DCA.
Per esempio, gli atleti che praticano sport nei quali vi è una focalizzazione sul peso: sport
che richiedono un incremento del peso (pugilato, sumo), riduzione di massa grassa ma
non di peso (basket o rugby), basso peso (fantini) o controllo della forma fisica anche per
ragioni estetiche (pattinaggio artistico).
20
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Spesso, per gli atleti che praticano queste tipologie di sport e che devono rientrare in categorie ben definite di peso, la pratica del controllo alimentare è diffusa.
Sembra che i DCA siano più diffusi in sport che richiedono magrezza e che sono comunque molto dipendenti dal peso (22%), piuttosto che in altri come il calcio (5%) in cui vi è
minor focalizzazione sul peso (20).
Un ampio studio (21) condotto con questionari autosomministrati su quasi 1500 studenti di
college del Kansas che praticavano sport (football basket, nuoto, ecc), ha mostrato come
più del 10% di donne e 13% maschi riportavano episodi di binge eating e 5% di donne
e 2% di maschi riferivano pratiche purgative come vomito, abuso di lassativi e diuretici,
nonostante la maggior parte dei soggetti fosse in normopeso.
Un dato importante riportato in letteratura è l’alta prevalenza di pregressa obesità nei DCA
maschili e l’inizio del disturbo associato a tentativi di restrizione alimentare per il problema
del peso.
I maschi obesi, in particolare adolescenti, possono essere quindi considerati un gruppo a
rischio di sviluppo di DCA, soprattutto se sottoposti a rigide prescrizioni dietetiche.
Anche la presenza in famiglia di un disturbo alimentare, in particolare nella madre, può
costituire un fattore di rischio per lo sviluppo del disturbo.
Russel (22) fu autore di uno dei primi studi focalizzati sulla famiglia di pazienti maschi con
DCA. Furono studiati 9 figli di madri con Anoressia, 8 dei quali maschi: i figli avevano un
evidente sottopeso per l’età, dovuto a malnutrizione; inoltre la reazione dei bimbi alla deprivazione di cibo si manifestava nel non chiedere ulteriore cibo e nel rifiutarsi di mangiare
cibi percepiti come pericolosi dalla madre (per es. dolci).
I conflitti relativi all’alimentazione sono comunque più frequenti tra madri con DCA e figlie
femmine, in quanto sono più alte le preoccupazioni per il peso e la forma fisica delle figlie
rispetto ai maschi (23).
E’ dubbio se l’orientamento sessuale possa considerarsi un fattore di rischio per i DCA
nei maschi, anche se in letteratura gli omosessuali e i bisessuali mostrano una maggiore
presenza di DCA.
Russel (24) riporta come negli omosessuali con DCA sembra essere presente una più grave
insoddisfazione corporea, bassa autostima e maggiore presenza di sintomi anoressici e
bulimici associati a più alti livelli di depressione.
In USA, la percentuale di omosessuali nella popolazione generale è del 3% circa; la percentuale di omosessuali riportata negli studi su maschi con DCA è 27% (25), in particolare
in pazienti con bulimia.
In generale, anche per i maschi valgono gli stessi fattori di rischio evidenziati per i DCA
femminili: problemi nell’alimentazione durante l’infanzia, storia di problemi gastrointestinali, eccessiva preoccupazione (del paziente o della famiglia) per il peso e per la forma
fisica, obesità o sovrappeso in infanzia o adolescenza con frequenti tentativi di dieta, partecipazione a sport che richiedono attenzione al peso, situazioni traumatiche infantili o in
adolescenza, bassa autostima, presenza di altri disturbi psichiatrici.
Comorbilità Psichiatrica
Il problema della comorbilità psichiatrica è complesso ed è difficile valutare la presenza di
un altro disturbo psichiatrico nei DCA maschili, come del resto anche nei disturbi alimentari
femminili, soprattutto nella fase acuta del disturbo, in quanto la situazione organica può
21
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
interferire in una corretta diagnosi. Per esempio, la presenza di depressione in un soggetto
caratterizzato da grave sottopeso può essere secondaria al defedamento organico.
In letteratura si sottolinea come nei maschi la comorbilità psichiatrica sia molto frequente
e in genere più grave, rispetto alle pazienti femmine, rendendo più complesso il quadro
clinico del DCA stesso e mettendo serie ipoteche sul trattamento e sulla prognosi (minore
compliance, maggior necessità di trattamenti farmacologici, maggior bisogno di ospedalizzazione, ecc).
In un ampio studio della Striegel-Moore et coll. (26), che ha valutato la comorbilità in 466
veterani maschi ospedalizzati, di cui 98 con diagnosi di DCA è risultato che il 98% di maschi con Anoressia, il 100% di maschi con Bulimia e l’89% di maschi con DCANAS (forme
parziali) presentava una comorbilità psichiatrica.
In particolare, i pazienti maschi con Anoressia presentavano comorbilità psichiatrica soprattutto nell’area dei Disturbi dell’Umore, Disturbi Psicotici e Abuso di Sostanze (è stata
rilevata una forte associazione tra Anoressia e Schizofrenia).
I maschi con Bulimia avevano comorbilità soprattutto con Disturbi di Personalità e Disturbi
dell’Umore. Nei pazienti con Bulimia, quando era presente l’associazione con abuso cronico di sostanze, in particolare alcool, vi erano anche gravi difficoltà nelle relazioni sociali
e la prognosi era peggiore.
Le forme parziali erano largamente rappresentati in questo campione e la loro comorbilità
risultava simile alle sindromi complete (27).
Difficoltà di Individuazione
I maschi affetti da un DCA spesso non sono individuati e passa molto tempo, come abbiamo visto, dall’esordio del disturbo al momento della cura. Diverse sono le ragioni che
possono contribuire a una scarsa efficacia nella prevenzione secondaria. I DCA stessi
sono patologie difficili da curare: nell’Anoressia vi è sovente negazione del disturbo e
opposizione alla cura, nella Bulimia vi è grande vergogna o poca consapevolezza del disturbo stesso. Accanto a queste caratteristiche tipiche dei DCA, nei pazienti maschi vi può
essere riluttanza a chiedere aiuto per una patologia percepita come femminile.
Anche la famiglia spesso non pensa a un DCA in un figlio maschio che presenti variazioni
di peso e di comportamento alimentare: partecipando allo stereotipo del DCA come malattia femminile non si presta attenzione ai segni e ai sintomi del DCA stesso, ritardando la
richiesta di cure. Inoltre, non vi è un’evenienza drammatica come la sospensione del ciclo
mestruale che spesso diventa una forte spinta a richiedere la cura.
La difficoltà di individuazione riguarda anche i DCA femminili.
Riporto i dati di un vecchio, ma molto significativo, lavoro di Hoeck realizzato in Olanda (28)
in cui, attraverso l’analisi dei registri dei MMG e dei Centri specialistici per DCA, si evidenziava come solo il 43% dei casi di Anoressia si fosse rivolto ai MMG e di questi solo il 73%
fosse stato inviato a Centri specialistici: quindi, su una presenza stimata di 370 pazienti
solo 127 erano stati curati. Per la Bulimia i pazienti persi per strada erano ancora di più: su
una presenza stimata di 1500 casi, solo l’11% si rivolgeva ai MMG e di questi solo il 51%
arrivava ai Centri specialistici: quindi su 1500 pazienti solo 87 erano curati!
Da questi dati, peraltro confermati da molti altri studi, si evince come si riesca a individuare
e curare solo ”la punta di un iceberg”, rimanendo esclusa la maggior parte dei pazienti che,
non trattati, sono a grande rischio di cronicizzazione.
22
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
A volte la scarsa capacità di individuazione è correlata alla mancata formazione dei MMG
(29)
e di tutti i terapeuti, che a diverso titolo vengono in contatto con le fasce a rischio di
DCA, ma nel caso dei DCA maschili, viste le differenze di presentazione del quadro clinico
la situazione può essere ancora più grave.
Infatti, sia per la famiglia, che per i MMG, la diversa sintomatologia può non essere abbastanza conosciuta (reverse anorexia, iperattività fisica compulsiva invece che pratiche
evacuative, ecc.) e può essere scambiata per una eccessiva cura della propria forma
fisica.
I MMG, anche se sono spesso consultati per problematiche organiche correlate ai DCA,
nel 50% dei casi non riescono a fare diagnosi.
Anche i dentisti e i diabetologi possono svolgere un ruolo importante per l’individuazione
dei DCA. Dato che le pratiche evacuative o la malnutrizione possono provocare importanti
complicanze a livello orale, i dentisti dovrebbero essere preparati a indagare, con anche
poche domande, l’eventuale presenza di un DCA. Uno studio fatto su un campione di dentisti ha rivelato come solo meno di metà fosse in grado di condurre una corretta diagnosi e
solo il 19% comunicava al MMG il sospetto diagnostico (30,31).
Altri specialisti interessati potrebbero essere i diabetologi, soprattutto se trattano pazienti
maschi adolescenti: non è raro che un giovane con diagnosi di Diabete tipo 1 possa avere
avuto un pregresso calo di peso e, una volta istaurata la terapia insulinica, riguadagni il
peso perso e possa sviluppare temi di insoddisfazione corporea. E’ riportato che circa il
15% di maschi con Diabete tipo 1 utilizza comportamenti pericolosi di modificazione delle
dosi insuliniche per il controllo del peso, senza comunicarlo al terapeuta (32). In questi pazienti l’omissione di insulina è più usata rispetto ad altri metodi di compenso come vomito
o abuso di lassativi.
L’approccio con il paziente maschio con DCA
E’ noto che la lunga durata di malattia è spesso correlata a una prognosi peggiore per cui
è importante realizzare il prima possibile una corretta diagnosi di DCA, inoltre nei maschi
vi possono essere già gravi alterazioni organiche anche a un sottopeso non grave.
Il percorso ideale sarebbe: diagnosi precoce e invio tempestivo ad un Centro specialistico
per impostare un trattamento multidisciplinare.
Il MMG gioca un ruolo chiave in questi passaggi e, in virtù della lunga conoscenza del
paziente e della sua famiglia, è indispensabile per un corretto invio e può fungere da coordinatore nelle varie fasi di trattamento e monitoraggio del paziente.
E’ necessario, però, che il MMG abbia un’adeguata consapevolezza della gravità del DCA
anche nei maschi e sappia usare indicatori molto semplici come le variazioni di BMI (indice
di massa corporea).
Per fare una corretta diagnosi di DCA è importante prima di tutto guardare con attenzione
il paziente, notando se vi sono variazioni di peso o di forma fisica o segni di denutrizione.
Utilizzare la storia del peso per capire se vi sono state significative variazioni recenti e indagare i cambiamenti nel comportamento alimentare (rifiuto di mangiare alcuni cibi come
dolci o pasta, o utilizzo di diete squilibrate, ecc). Fin dall’inizio è necessario stabilire una
relazione di fiducia e di ascolto per porre domande più approfondite che riguardano anche
la sfera psichica, per es. presenza di preoccupazioni per la forma fisica, aspetti di dispercezione corporea o aspetti depressivi.
23
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Anche quando è posta una corretta diagnosi (o sospetto diagnostico) il primo ostacolo da
superare è motivare il paziente alla cura: i pazienti con Anoressia sono spesso “portati”
dalla famiglia e possono non avere una reale consapevolezza del problema, dato che il
disturbo in molti casi è egosintonico. I pazienti con Bulimia possono, a causa di sensi di
colpa e di vergogna, non accettare le cure e non desiderare che i famigliari siano a conoscenza del loro problema.
In tutte le principali linee guida per il trattamento dei DCA (33,34) viene sottolineata l’importanza di un approccio morbido con i pazienti con DCA, per evitare conflitti che possono
impedire fin dall’inizio un’ adeguata compliance.
E’ importante fornire informazioni precise al paziente e ai famigliari sulla situazione clinica
e concordare con i pazienti pochi obiettivi, legandoli alla necessità di avere un quadro
diagnostico chiaro. E’ fondamentale il coinvolgimento della famiglia, soprattutto in pazienti
giovani o adolescenti.
Ricordiamo che un DCA crea notevole stress nella famiglia, in particolare nelle madri: fornire adeguate informazioni e supporto è indispensabile per ridurre il livello di ansia e avere
la famiglia come alleato nella cura.
Il trattamento per i DCA, specialmente nelle forme severe, deve essere impostato in modo
multidisciplinare in Centri specialistici visto che il disturbo, pur essendo di origine psichica,
coinvolge diverse aree.
I dati del Centro di Ferrara
Il Centro per i Disturbi del Comportamento Alimentare di Ferrara dell’Azienda Ospedaliera
S. Anna è presente all’interno dell’Unità Operativa di Medicina Interna dal 1997 e finora ha
trattato circa 2000 pazienti.
E’ una struttura pubblica organizzata in modo multidisciplinare, come consigliano le principali linee guida internazionali per il trattamento dei DCA (31, 32) .
L’equipe è costituita da una psichiatra, un medico internista, un dietista e alcune psicologhe.
Il Centro tratta solo pazienti maggiorenni, che possono essere inviati dal MMG o da specialisti; a volte, sono i pazienti stessi o i loro famigliari a richiedere una visita diagnostica. I
pazienti che abbiano una diagnosi di Anoressia o Bulimia possono avvalersi dell’esenzione
del ticket, come previsto da legge (Gazzetta ufficiale 25/9/99).
La cura è organizzata in tre momenti: fase diagnostica, terapeutica e monitoraggio.
La modalità e la sede (ambulatoriale, in day hospital o in degenza ordinaria) dipendono
dalla gravità della sintomatologia: in genere, solo i pazienti più a richio richiedono un trattamento più intensivo.
Durante l’ospedalizzazione, la riabilitazione nutrizionale è ottenuta attraverso interventi
giornalieri di assistenza al pasto e terapia infusiva: in caso di grave defedamento o di complicanze organiche, il primo obiettivo è di migliorare la nutrizione ed evitare rischi più gravi.
Una volta stabilizzata la situazione internistica si implementa l’intervento psicoterapeutico
e di normalizzazione alimentare.
Quando il DCA ha ottenuto una remissione totale (ove non possibile, almeno parziale), si
passa alla fase di monitoraggio per evitare ricadute.
All’outcome in più del 70% dei casi trattati vi è miglioramento totale o parziale del disturbo.
24
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Di seguito verranno presentati i dati relativi ad un campione di 27 pazienti maschi con diagnosi di Anoressia e Bulimia e forme parziali, trattati presso il Centro di Ferrara.
L’età media dei pazienti al momento del trattamento è superiore rispetto all’età del picco
di esordio indicato per Anoressia e Bulimia e, probabilmente, è determinata dalla lunga
persistenza della malattia prima della richiesta di cure presso il Centro. E’ un aspetto importante, perché quanto più a lungo persiste il disturbo alimentare tanto più è difficile la
guarigione.
Tabella 2
Il Centro multidisciplinare è una delle poche strutture pubbliche presenti in Emilia Romagna, organizzate secondo le linee guida per i DCA, ed è punto di riferimento non solo
per la provincia ferrarese: infatti una buona parte di pazienti arriva anche dalle provincie
limitrofe.
Nel campione considerato più della metà dei pazienti vive ancora con la famiglia di origine
e solo un 20% circa è sposato.
Tabella 3
25
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
La scolarità è alta: più della metà del campione ha un diploma superiore o una laurea e
un terzo dei pazienti sta ancora studiando. Da notare come il 7% non lavora a causa del
disturbo alimentare.
Tabella 4
Anche nel nostro campione di maschi abbiamo avuto casi di Anoressia grave con BMI
molto bassi (13) , che hanno reso necessario il ricovero in degenza ordinaria. Il BMI alto e i
pesi massimi raggiunti indicano come i pazienti con Bulimia nervosa, nonostante le pratiche di compenso, possano avere gravi oscillazioni verso l’obesità
Tabella 5
26
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
La maggior parte dei pazienti è inviata dal medico di medicina generale o da uno specialista, però più di un 30% di pazienti chiedono il trattamento per iniziativa personale o
famigliare.
Tabella 6
Più della metà del campione considerato ha provato precedenti trattamenti monodisciplinari, effettuando anche più percorsi con specialisti diversi, senza ottenere una remissione
totale del disturbo.
Tabella 7
Più del 50% dei maschi trattati aveva una diagnosi di Anoressia o sindrome parziale in
area anoressica, mentre generalmente nel campione femminile è più presente la Bulimia
rispetto all’Anoressia. A nostro avviso, questa inversione di dati è giustificata sia dalla
maggiore evidenza dei sintomi anoressici, che spingono i famigliari a chiedere una cura
superando gli stereotipi di genere del DCA, sia dalle caratteristiche della Bulimia nei maschi che, come abbiamo sottolineato, presenta iperattività fisica compulsava, piuttosto che
pratiche evacuative e, quindi, tende a passare più inosservata.
27
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Tabella 8
A fine trattamento circa tre quarti dei pazienti aveva una remissione totale, ma il 18.5%
presentava una stabilizzazione del disturbo: questi dati confermano la gravità dei disturbi
alimentari nei maschi, come riportato dalla letteratura.
Tabella 9
28
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
L’equipe del Centro da anni è impegnata all’interno dell’Azienda Ospedaliera in ricerche di
approfondimento clinico e nella Provincia di Ferrara in ricerche epidemiologiche su popolazione non clinica.
Il Centro di Ferrara è inserito nell’elenco nazionale delle strutture accreditate del progetto
“Le buone pratiche di cura nei Disturbi del Comportamento alimentare” siglato dal Ministero della Salute, dal Dipartimento per le Politiche Giovanili e le Attività Sportive nel 2007.
La referente del Centro partecipa da più di 10 anni ai lavori del “Tavolo Regionale per i
DCA” dell’Assessorato alla Sanità della Regione Emilia Romagna. Nel 2004 è stato pubblicato un interessante dossier di indirizzo per il trattamento dei DCA nel sistema sanitario
nazionale(35), visibile nel sito: http://www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/colldoss/
index.htm).
Nel 2009 è stata approvata una delibera regionale (1298/2009), “Programma per l’assistenza alle persone con DCA nella Regione Emilia Romagna 2009-2011”, a seguito della
quale sono state emesse “Linee di indirizzo tecnico per la costruzione di percorsi clinici
per persone affette da DCA nella regione Emilia Romagna”.
Molto resta comunque ancora da fare a livello locale e nazionale per un’adeguata formazione e presa in carico dei DCA, in particolare nelle forme di nicchia come i DCA maschili.
29
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
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management of anorexia nervosa, bulimia nervosa and related eating. National Clinical Practice Guideline.
N.9. Leicester and London: British Psychological Society and Gaskell. 2004.
Per contatti:
Dott.ssa Emilia Manzato,
Centro DCA ,Azienda Ospedaliero-Universitaria, S. Anna
Ferrara
Tel. 0532-236070
[email protected]
Si ringraziano: Dott.ssa Marzia Simoni per la collaborazione per la parte statistica e la
Dott.ssa Eleonora Roncarati per la consulenza per la parte grafica.
31
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
LA SPECIFICITA’ DI GENERE NELLA CLINICA DEL DISTURBO
ALIMENTARE MASCHILE
L’andamento clinico dei maschi affetti da DCA è diverso rispetto alle femmine?
(Dott.ssa Malvina Gualandi)
Premessa
La bassa percentuale di maschi affetti da disturbo del comportamento alimentare ha fatto
sì che eventuali specificità legate al genere fossero poco studiate: solo recentemente la
maggiore conoscenza e sensibilizzazione verso le espressioni del disturbo del comportamento alimentare nei maschi ha consentito di studiare analogie o diversità di presentazione e di andamento clinico della patologia nei due sessi.
Le specificità di genere possono attenere ad aspetti culturali legati al comune pensiero che
il disturbo del comportamento alimentare sia una patologia quasi esclusivamente femminile e che si traducono in effetti quali ritardo diagnostico, sottovalutazione dei sintomi, cure
meno prolungate e intensive nei maschi rispetto alle femmine. In sintesi la gestione del
caso maschile appare carente rispetto alla gestione del caso femminile.
Altro invece è la differenza nelle manifestazioni della malattia imputabile alla diversa fisiologia e al comportamento dell’organismo maschile rispetto a quello femminile: diverso metabolismo basale, diversa composizione corporea, tempi diversi di accrescimento osseo,
diversa espressione ormonale possono determinare una diversa espressione clinica della
malattia nei due sessi.
Questa relazione tratterà i principali aspetti clinici del disturbo alimentare, focalizzandosi
su eventuali differenze legate al genere.
Introduzione
I disturbi del comportamento alimentare (DCA) sono condizioni comunemente considerate
“female gender bound syndromes”. Nelle sindromi complete – anoressia (AN) e bulimia
(BN) definite da tutti i criteri diagnostici del sistema classificativo DSM IV - in effetti la prevalenza nel sesso femminile è molto più elevata che nel sesso maschile, con un rapporto
di circa 10 a 1(1,2,3), mentre tale differenza é meno evidente quando si analizza la prevalenza nei due sessi nelle sindromi cosiddette “parziali” o disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCA Nas), cui manca almeno uno dei criteri diagnostici (4,5).
Negli ultimi anni è emerso che la presenza di pregiudizi culturali comuni, sia al medico,
che al soggetto maschio potenzialmente affetto da DCA, unitamente ad una diversa fenomenologia del disturbo nella popolazione di sesso maschile, possono indurre con maggiore frequenza nei maschi rispetto alle femmine un ritardo nella diagnosi e/o una sottovalutazione diagnostica(6). In questi casi la patologia, diagnosticata in ritardo o comunque
sottovalutata, potrebbe secondo alcuni autori essere connotata da maggiore gravità (7),
visto che la diagnosi precoce appare, a prescindere dal genere, favorire un buon esito del
disturbo.
32
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
E’ altresì emerso da un lavoro della Striegel Moore che i maschi, anche una volta che siano
riconosciuti affetti dal disturbo alimentare e sottoposti quindi a trattamento, ricevono meno
giorni di trattamento rispetto al sesso femminile(8).
Per evitare discriminazioni di genere (femmine meglio riconosciute, diagnosticate e trattate
rispetto ai maschi) bisogna che tutti insieme, dal medico di famiglia alla famiglia stessa,
con gli insegnanti, gli allenatori sportivi, senza pregiudizi siano in grado di sospettare la
presenza di questa condizione anche nei maschi, conoscere e riconoscere che il problema
esiste e che ha alcune peculiarità di presentazione.
Alcune domande sono cruciali in questo processo di avvicinamento e conoscenza del
problema: quali maschi sono a rischio? come si manifesta il disturbo nel sesso maschile
dal punto di vista psichiatrico e comportamentale? come si dovrebbe comportare il medico
di famiglia di fronte ad un soggetto di sesso maschile con possibile diagnosi di DCA? il
danno organico, che sempre, in maggiore o minore misura, è associato a tale condizione,
provoca complicanze mediche analoghe a quelle riportate nelle femmine? La prognosi è
diversa nei maschi?
La clinica nei disturbi alimentari in genere: focus sull’approccio clinico ai maschi
Le tappe principali della valutazione medica in entrambi i sessi sono le seguenti:
1. Raccolta di una accurata storia familiare e personale del paziente 2. Valutazione dei sintomi riferiti dal paziente
3. Esame fisico del soggetto, completo di analisi dei parametri vitali e dei dati antropometrici (peso, altezza, BMI)
4. Esami di laboratorio e indagini strumentali
5. Diagnosi differenziale
6. Rinvio ad un team multidisciplinare* dedicato allo studio dei DCA, nel caso di un
sospetto di DCA
* Ricordo che in entrambi i sessi è necessaria una valutazione multidimensionale con professionisti esperti dell’area mentale e professionisti dell’area nutrizionale somatica, quindi
un approccio multidisciplinare, come consigliato dalle principali linee guida sui disturbi del
comportamento alimentare (9,10).
La raccolta accurata della storia del paziente è sempre una tappa fondamentale
dell’esame clinico in tutti i soggetti.
Rispetto alle femmine, in cui il sesso e l’età rappresentano già di per sé i principali fattori di
rischio, nei maschi, popolazione a bassa probabilità di sviluppare un disturbo alimentare,
la presenza di fattori di rischio specifici riveste particolare significato: tra questi la familiarità per DCA, fattore di rischio acclarato per le femmine (11), ma presente anche nei maschi
(12)
e la presenza di sovrappeso e obesità nelle famiglie dei casi maschili di DCA (3).
Per quanto concerne la storia personale, particolarmente accurata dovrebbe essere la
raccolta di notizie relative all’attività fisica del soggetto: è importante sapere se il soggetto
pratica sports che possono favorire per le loro caratteristiche lo sviluppo di un disturbo alimentare, ma ancora di più è importante informarsi sulle caratteristiche dell’attività sportiva
del soggetto, la frequenza, l’intensità e la presenza o meno di compulsività. Si definisce
33
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
una attività sportiva “compulsiva“ lo sport praticato con caratteristiche “ossessive” e con
aspetti ritualistici, quando rappresenta l’unica fonte di piacere, quando a causa dell’eccessiva attività fisica vi è compromissione del funzionamento in aree importanti: familiare, sociale, lavorativa e, infine, quando sono presenti sintomi di astinenza e tolleranza collegati
all’attività fisica.
A questo proposito, va sottolineata l’importanza di indagare bene gli aspetti di compulsività
proprio nel maschio - sospetto portatore di un disturbo alimentare -, perché l’esercizio
fisico spesso rappresenta la modalità preferita di controllo del peso, a differenza delle femmine, che più spesso attuano condotte purgative.
La valutazione della storia del peso è in entrambi i sessi un altro importante tassello nel ricostruire la storia personale di un soggetto con possibile disturbo alimentare. Le
domande specifiche possono essere le seguenti: nel periodo post-puberale ci sono state
importanti modificazioni del peso? Quale è stato il tuo peso massimo prima di venire alla
mia osservazione? E quale è stato invece il tuo peso minimo? Quale peso hai mantenuto
più a lungo nell’arco degli ultimi anni e quale è il tuo peso desiderato?
Quanto peso hai perso recentemente (o acquistato recentemente), per esempio negli ultimi mesi?
La storia del peso può rivelare un disturbo alimentare precedente, sottovalutato o non
diagnosticato, oppure può evidenziare attitudini alimentari distorte, quali diete troppo restrittive o sovralimentazione che rappresentano fattori di rischio per DCA.
A questo proposito è importante sottolineare come il fattore “sovrappeso/obesità“
rappresenti un fattore di rischio preminente nei maschi rispetto alle femmine (13, 14, 15).
Per quanto riguarda l’anamnesi relativa ai sintomi, può succedere che nell’anoressia, in
particolare nell’anoressia restrittiva, non venga riferito alcun sintomo: la paucisintomaticità
può essere soggettiva per la base egosintonica del vissuto anoressico, per cui anche il
sintomo viene scotomizzato, ma anche oggettiva, perché la gradualità della malnutrizione
e la risposta adattativa dell’organismo possono non determinare alterazioni della cenestesi
così rilevanti da essere percepite come patologiche, quantomeno fino a gradi moderati di
denutrizione. Nei maschi può anche prevalere l’aspetto di negazione dei sintomi, legato
alla paura e alla vergogna di avere una malattia tipicamente femminile e questo aspetto
può concorrere al ritardo diagnostico.
In generale, anoressia purgativa e bulimia purgativa sono più spesso associate ad una
maggiore varietà di sintomi, in particolare a sintomi gastrointestinali e/o a sintomi quali
palpitazioni e astenia, nei confronti delle forme restrittive o della bulimia non purgativa. I
maschi rientrano più spesso in queste ultime due classi o nelle sindromi parziali, i cosiddetti disturbi del comportamento alimentare non altrimenti specificati (DCA Nas), perché le
pratiche purgative, in particolare l’abuso di lassativi e, di conseguenza, i sintomi ad esse
correlate sono meno frequenti rispetto alle femmine, mentre l’esercizio fisico rappresenta
il metodo di compenso maggiormente utilizzato(6).
L’area della libido/potenza sessuale è un altro ambito da esplorare, benché di difficile valutazione, nella storia di soggetti di sesso maschile.
La mancanza nei maschi di un sintomo così precoce ed eclatante come la scomparsa o
la non comparsa del ciclo mestruale nelle giovani donne, rende la diagnosi meno facile: la
perdita del desiderio e della potenza sessuale, in presenza di altri elementi congruenti, può
concorrere a delineare un sospetto diagnostico di DCA.
Nell’eseguire l’esame obiettivo del paziente la prima cosa da fare è la valutazione delle
condizioni generali attraverso la rilevazione dei parametri vitali e dello stato nutrizionale at-
34
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
traverso misure antropometriche. Il principale parametro antropometrico utilizzato nell’età
adulta è il Body Mass Index (BMI), risultato numerico del rapporto tra peso espresso in kg
e altezza al quadrato espressa in metri. Il BMI è stato ed è utilizzato tuttora per identificare
categorie di rischio per la salute. I valori associati con i minori rischi per la salute, e quindi,
alla maggiore aspettativa di vita, sono i valori compresi tra 18,5 e 25.
Nonostante che nella popolazione adulta il BMI sia assolutamente considerato il parametro di riferimento per la definizione di alterazione del peso, va detto che nei maschi il suo
valore diagnostico è più limitato che nelle femmine.
Cito a questo proposito una frase di Woodside, tratta da una review sugli aspetti clinici nel
DCA nei maschi: ”When using body mass index (BMI), a higher BMI should be used for defining normal in men, most often 22 to 27, than for women, where 20 to 25 is the standard.
While there is no uniform agreement on the BMI that qualifies for a diagnosis of anorexia,
most clinicians use an index of 17.5 for women and 19 to 19.5 for men” (16).
Il BMI non è inoltre un indice affidabile nei bambini e adolescenti, ove l’arresto della crescita/sviluppo staturale, primo sintomo della malnutrizione, viene valutato attraverso l’utilizzo
delle curve di crescita.
Un altro parametro antropometrico, utile ma non rilevabile in modo così semplice e immediato come il BMI, è la composizione corporea che implica la valutazione delle percentuali
di massa grassa e di massa magra dell’organismo.
I metodi prevalentemente utilizzati per la valutazione della composizione corporea sono :
• l’analisi bioimpedenziometrica, basata sulla diversa conduttività elettrica dei diversi
tessuti
• la psicometria, che valuta in siti prestabiliti lo spessore delle pliche cutanee attraverso un plicometro
• la densitometria ossea (DEXA), che è in grado di fornire informazioni sulla percentuale di massa grassa, magra e all’interno di quest’ultima la densità minerale
dell’osso.
Nell’anoressia la valutazione della composizione corporea evidenzia che, sia la massa
grassa, che magra calano (quest’ultima più lentamente) ma che, nel sottotipo con restrizioni, il calo della massa grassa appare essere più rilevante che nel sottotipo con comportamenti purgativi (17).
In AN, il BMI non sembra correlare con la percentuale di massa grassa mentre il calo
percentuale di massa magra, che rappresenta la componente metabolicamente attiva, è
correlato alla gravità del quadro clinico e alla sua risposta al trattamento(18). D’altro canto,
anche la diminuzione eccessiva della massa grassa che riguarda prima la diminuzione
del grasso sottocutaneo e successivamente anche la diminuzione del grasso essenziale
(cellule adipose presenti in tutti i parenchimi, midollo osseo, polmoni, cuore etc..) ha effetti
rilevanti, oltreché sulla funzione sessuale e riproduttiva, anche sul corretto funzionamento
dei parenchimi.
Fisiologicamente la massa grassa dell’uomo è meno rappresentata che nella donna (15%
vs 24-28 %), ove assicura la normale capacità riproduttiva. La percentuale di massa grassa minima compatibile con normali funzioni vitali è stimata nei vari studi da 2% a 4% circa
nei maschi e da 7% a 14% circa nelle femmine.
Nell’anoressia maschile il mantenimento della muscolarità a fronte di un estremo calo della
massa grassa può falsare il dato del BMI e suggerire una pseudonormalità.
Il BMI ha quindi una notevole importanza pratica nell’individuare i soggetti sottopeso, tanto
35
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
che è un indice diagnostico basilare del sistema classificativo del DSM IV, ma la composizione corporea, soprattutto nei maschi, fornisce una più precisa misura della potenziale
gravità clinica.
Nelle tabelle 1 e 2 sono sintetizzati i principali segni e sintomi di anoressia e bulimia.
Anoressia: sintomi e segni fisici
• Amenorrea nelle femmine/diminuito desiderio sessuale nei maschi
• Ansieta’,umore irritabile
• Apatia ,scarsa concentrazione
• Affaticabilita, debolezza
• Palpitazioni
• Vertigine,lipotimia ,sincope
• Dolori,crampi muscolari
• Cefalea
• Stipsi
• Intolleranza al freddo
• Dispepsia
• Dolore addominale
• BMI <17.5 negli adulti
• Arresto staturale/alterato sviluppo puberale nei bambini e adolescenti
• Aumento del rapporto tra massa magra e
grassa, calo di entrambe
• Bradicardia
• Emaciazione
• Disidratazione
• Ipotensione sistemica
• Acrocianosi, ipercarotenemia
• Tipici segni dermatologici
• Edema (periorbitale, estremita’)
• Erosione dello smalto dentario nell’AN BP
• Rigonfiamento delle gh.salivari in ANBP
Tabella 1
Bulimia: sintomi e segni fisici
• Irritabilita’,apatia, difficolta’ di concentrazione
• Astenia
• Palpitazioni
• Dolore addominale
• Bruciore epigastrico
• Meteorismo
• Irregolarita’ dell’alvo
• Mal di gola
• Dolori ai denti,cariosi
• Cefalea,vertigini
• Irregolarita’ mestruali
• Normopeso/sovrappeso
• Polso irregolare(aritmie)
• Ipotensione
• Edema periorbitale, alle estremita’
• Petecchie peroorbitali
• Gonfiore/dolore addominale
• Carie/erosioni dello smalto dentale
• Eritema faringeo
• Rigonfiamento delle ghiandole salivari
• Glossiti, Cheiliti
• Segni dermatologici
• Sanguinamento del tratto GE superiore
Tabella 2
A seguito dell’esame clinico, il soggetto dovrebbe essere sottoposto ad alcuni essenziali
esami laboratoristici, quali emocromo con conta leucocitaria, tests di funzione epatica e
renale, profilo elettrolitico (sodio, cloro, potassio, fosforo, magnesio,calcio), glicemia.
In caso di alterato stato nutrizionale e in presenza di sintomi, quali alterata libido e/o potenza sessuale, è indicato effettuare anche il dosaggio di testosterone totale e libero e
36
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
dell’ormone luteotropo (vedi sezione dedicata alle alterazioni ormonali).
L’ECG andrebbe eseguito in tutti i pazienti con sospetto DCA e, in casi selezionati (vedi
sezione delle complicanze mediche), è molto utile la densitometria ossea nell’individuare il
calo della densità minerale ossea, complicanza molto frequente anche nei maschi.
Per quanto concerne la effettuazione di ulteriori esami di laboratorio e strumentali, spetterà
poi al clinico individuare quelli più opportuni in base ai suoi riscontri obiettivi.
Come abbiamo visto, la rilevazione dei parametri vitali, l’esame delle condizioni generali,
dello stato di nutrizione sono gli elementi basilari della valutazione clinica.
La indicazione alla ospedalizzazione* sancita dalle principali linee guida si basa proprio su
questi elementi.
* Linee guida APA 2006 sulle indicazione alla ospedalizzazione:
Adulti: frequenza cardiaca <40 bpm; pressione arteriosa<90/60 mmHg; glicemia< 60 mg/
dl; potassio < 3 mEq/L; squilibrio elettrolitico; temperatura corporea < 36; disidratazione;
compromissione epatica, renale, cardiovascolare che richiede trattamento urgente; diabete scarsamente controllato
Peso: generalmente <85% del peso minimo normale ; diminuzione del peso in breve tempo con rifiuto del cibo anche se non inferiore all’85% del peso minimo normale. Le stesse
linee guida suggeriscono che ”l’ospedalizzazione dovrebbe essere messa in atto prima
che insorga una instabilità del quadro clinico evidenziata da anomalie dei parametri vitali…”
Principali complicanze mediche dei DCA
I disturbi alimentari nell’uomo e nella donna condividono gran parte delle manifestazioni
cliniche e delle complicanze mediche.
Talune peculiari caratteristiche di malattia sono invece imputabili alla diversa fisiologia e
comportamento dell’organismo maschile rispetto a quello femminile: diverso metabolismo
basale, diversa composizione corporea, tempi diversi di accrescimento osseo, diversa
espressione ormonale.
Prenderò in esame le principali complicanze mediche dei DCA in generale, soffermandomi
sugli aspetti legati alla differenza di genere.
Le complicanze mediche sono principalmente dovute alla malnutrizione, alla presenza di
comportamenti purgativi e delle abbuffate e/o ad una eccessiva attività fisica; nel tempo
la stessa risposta adattativa dell’organismo, finalizzata a mantenere l’omeostasi attraverso l’ipertono vagale e i meccanismi di risparmio energetico, può concorrere alla genesi
delle complicanze. La maggior parte delle complicanze mediche che verranno descritte è
ascrivibile all’anoressia che, infatti, è gravata da una peggiore prognosi e maggiore mortalità rispetto alla bulimia. Ciò nonostante, la fluidità tra le due patologie, testimoniata dalla
elevata percentuale di pregressa anoressia in pazienti bulimiche (ecco l’importanza della
storia del peso!) e la presenza di comportamenti purgativi, sia in bulimia, che in anoressia
purgativa, rende ragione del fatto che le manifestazioni del danno organico siano spesso
condivise dalle due principali categorie di DCA, seppure con gravità diversa.
Sulla base dei dati della letteratura relativi all’outcome dei DCA con prolungato follow-up
si possono suddividere le complicanze mediche in 3 grandi gruppi: alterazioni reversibili
che necessitano comunque di monitoraggio e talora terapia, alterazioni potenzialmente
irreversibili (alterazioni strutturali miocardiche, cerebrali, della densità ossea e dell’appa-
37
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
rato riproduttivo) e alterazioni potenzialmente mortali, tra cui aritmie maligne, presenza di
QTC lungo etc.
Alterazioni della crasi ematica
Al primo gruppo di alterazioni, quelle cioè generalmente reversibili con la remissione del
DCA, appartengono le alterazioni della crasi ematica: una recente revisione(19) sull’argomento ha riportato la sintesi di vari studi secondo i quali le più frequenti alterazioni della
crasi ematica dei pazienti affetti da anoressia sono la leucopenia (29%-36%) e l’anemia
(21%-39%), mentre la prevalenza della piastrinopenia risulta inferiore e si colloca tra il 5%
e l’11%. Bisogna, però, sottolineare che i parametri ematici possono essere falsamente
normali a causa della disidratazione del soggetto e diventano paradossalmente alterati
dopo la reidratazione e il refeeding.
L’anemia può essere carenziale, microcitica, se vi è una dieta ferropriva, o macrocitica se
vi è carenza di B12 e/o folati, ma, nella maggior parte dei casi, è normocitica ed attribuibile
alla ipoplasia midollare causata dalla denutrizione. La fisiopatologia della ipoplasia midollare non è ancora ben chiarita, ma, secondo alcuni autori, la deplezione di cellule adipose
nel midollo potrebbe creare condizioni ambientali sfavorevoli alla normale funzione emopoietica(20). Segni di ipoplasia midollare sono stati riscontrati nel 46% dei pazienti che
avevano parametri ematologici periferici alterati(21), ma d’altro canto Abella ha evidenziato segni variabili di ipoplasia midollare fino alla trasformazione gelatinosa del midollo osseo (GMT) nell’89% di pazienti anoressiche: tali segni non erano correlati a proporzionali
alterazioni dei parametri ematologici(22). La trasformazione gelatinosa del midollo (GMT)
è caratterizzata dalla scomparsa di cellule adipose, perdita focale delle cellule emopoietiche e deposito di una sostanza extracellulare gelatinosa composta da mucopolisaccaridi;
questo stato di estrema sofferenza midollare non è caratteristica solo dell’anoressia, ma
è stata ritrovata associata a condizioni di estrema denutrizione da varie cause (AIDS,
tumori etc..)(23,24). I soggetti che si trovano in questa situazione (ipoplasia grave o GMT
con alterazione rilevante della crasi ematica) dovrebbero essere ospedalizzati per attuare
sotto controllo una riabilitazione alimentare e nel contempo monitorare i parametri della
crasi ematica; molto raramente necessitano di terapie trasfusionali e generalmente la normalizzazione del quadro ematologico segue di pari passo la normalizzazione del BMI .
Nella casistica del centro tra i soggetti di BMI simile, un quadro così grave era presente
solo in un soggetto maschio con BMI di 14 e non nelle femmine con analogo o inferiore
BMI. Ci si può domandare se l’esposizione del maschio ad una maggiore perdita di tessuto
grasso, conseguente alla sua diversa composizione corporea, possa fare sì che il danno
midollare sia maggiore rispetto alle femmine per la estrema depauperazione di cellule
adipose. E’ vero, però, che tra due soggetti di sesso diverso un valore analogo di BMI
nell’area del sottopeso ha significato di maggiore gravità nel maschio per le motivazioni
fisiopatologiche riportate in precedenza.
Alterazioni cardiovascolari
Un’altra frequente espressione dello squilibrio nutrizionale ed elettrolitico è la presenza di
alterazioni cardiovascolari: nonostante possano essere benigne e avere solo il significato di un’appropriata risposta adattativa dell’organismo, non bisogna dimenticare che il
50% della morte nei DCA è imputabile a cause cardiovascolari. Per questo le ricordiamo,
38
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
anche se non sono documentate differenze di genere.
Una delle alterazioni ECG più spesso riscontrate è la bradicardia sinusale (FC< 50 bpm
durante il giorno e FC< 46 bpm durante le ore notturne): la frequenza cardiaca appare
essere positivamente correlata con il BMI, con la percentuale di massa grassa, e inversamente correlata con la durata di malattia (25).
La bradicardia è solitamente una risposta fisiologica finalizzata ad un minore consumo
energetico, è potenziata da una intensa attività fisica negli sports di resistenza, è in
genere ben tollerata e non richiede alcun trattamento specifico, tranne che il trattamento
della malattia di base. Tuttavia una importante riduzione della frequenza cardiaca è senza
dubbio, uno dei marker di gravità della malattia. Le principali linee guida consigliano di ricoverare (9, 10) e strettamente monitorare un soggetto che presenta una frequenza cardiaca
inferiore a 40 battiti al minuto, anche se asintomatica, al fine di evitare instabilità emodinamica e aritmie.
Un altro elemento da considerare all’ECG è la lunghezza del QTc: un suo prolungamento
- espressione di una disomogenea ripolarizzazione e/o di uno squilibrio elettrolitico (ipopotassiemia, ipocalcemia, ipomagnesiemia) - è riportato in AN e in BN quando vi sia perdita
di peso (26).
Il Rotterdam QT project - il cui target era la popolazione generale > 55 aa - riscontrava
che un intervallo > 460 millisecondi del QTc era un fattore predittivo di rischio aumentato
2 volte superiore di mortalità cardiaca (27), indipendente dagli altri fattori di rischio cardiovascolari. Ricerche più specificamente diretti allo studio e al significato del QTc in casi di DCA
hanno avuto risultati variabili: ad es. un intervallo QTc superiore a 470 millisecondi è stata
considerato, in uno studio molto limitato di Isner, un fattore di rischio di morte improvvisa in
anoressia nervosa (28), mentre altri autori hanno evidenziato che un QTc > 600 millisecondi
è sicuramente un fattore importante di rischio in AN (29), ma che raramente questi valori
sono osservati nei pazienti anoressici.
Cooke non trovava differenze statisticamente significative tra la lunghezza del QT nei controlli e negli anoressici, anche se questi ultimi presentavano un QT di maggiore durata,
che tendeva comunque a rientrare nella norma con la normalizzazione del BMI (30).
In ogni caso, nonostante non vi sia una univoca interpretazione del livello di pericolosità
del QTc nei DCA, credo che il clinico, basandosi sugli studi di ampie comunità come il
riportato Rotterdam study, a fronte di un prolungamento del QTc superiore a 460 debba
monitorare il soggetto, controllare gli elettroliti, motivare alla ripresa di una nutrizione adeguata e ricontrollare periodicamente l’ECG.
Il prolasso della valvola mitrale è un altro riscontro comune in AN (31,32) ed è dovuto alla
discrepanza tra l’apparato valvolare e la camera ventricolare piuttosto che a una deposizione mixomatosa come di consueto. In genere, non è presente insufficienza valvolare e il
prolasso della valvola è reversibile con l’aumento di peso.
Anche la presenza di un modesto versamento pericardico, quasi sempre silente, è stato
segnalato nei pazienti anoressici (33, 34): si è ipotizzato che la diminuzione del T3, del livello
di proteine, un lieve aumento del peptide natriuretico cerebrale (BNP) possano avere un
ruolo causale (35).
La riduzione della massa ventricolare sinistra, nonché anomalie regionali di movimento
della parete sono stati frequentemente osservati in anoressia (36).
Tuttavia la insufficienza cardiaca non è un evento frequente nel paziente anoressico, anche se raramente riportato (37), mentre uno scompenso può verificarsi durante la fase di rialimentazione, specialmente quando liquidi e sostanze nutritive non vengono somministrati
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gradualmente e non viene fornito fosforo in misura adeguata.
Nella bulimia di tipo purgativo una complicazione cardiaca irreversibile e potenzialmente
mortale è la cardiomiopatia causata dall’uso persistente di ipecacuana, un farmaco utilizzato per indurre vomito.
Se non vi sono eventi mortali, le manifestazioni cardiache paiono essere reversibili con il
recupero del peso (38).
Alterazioni ormonali
Anche le alterazioni ormonali, a parte gli ormoni della sfera sessuale ovviamente, non
sono sostanzialmente diverse tra maschi e femmine, hanno il significato di risposta adattativa e sono generalmente reversibili con il miglioramento delle condizioni nutrizionali.
Per esempio, la trasformazione del T4 in reverse T3 - metabolita inattivo - invece che in
T3, è finalizzata ad abbassare il metabolismo basale nei soggetti con anoressia e quindi
ad abbassare il consumo energetico.
L’aumento del livello di cortisolo plasmatico, osservabile spesso in soggetti con anoressia,
può rappresentare un meccanismo protettivo dall’ipoglicemia assicurando la produzione
alternativa di glucosio, ma d’altro canto aumenta il catabolismo osseo, peggiorando la
densità’ ossea e interferisce negativamente con la normalizzazione degli ormoni sessuali,
favorendo la diminuzione dell’ormone luteotropo (LH).
Anche il sistema dell’ormone della crescita o “growth hormone” (GH) e della somatomedina ”Insulin Growth Factor“ (IGF1) è profondamente alterato nell’anoressia.
Il GH esercita molteplici azioni sul metabolismo, in parte direttamente senza intermediari,
come nel caso dell’aumento della massa magra, in altri casi attraverso il peptide IGF1,
agendo sul trofismo dell’osso, sull’accrescimento in lunghezza delle ossa fino alla saldatura delle epifisi, sull’aumento della densità ossea dopo la saldatura delle epifisi.
Nell’anoressia è dimostrato che IGF1 diminuisce in relazione diretta con il calo del BMI,
tanto da essere considerato un marker nutrizionale (39). La secrezione di GH è massima
fino alla pubertà, poi cala progressivamente con l’età, per cui la sua alterata funzione ha
un impatto maggiore nella pre-adolescenza e nell’adolescenza.
Per quanto riguarda l’asse ipotalamo-ipofisi-gonadi, è noto che la disfunzione ipotalamica
è il punto cruciale da cui discendono le alterazioni degli ormoni sessuali sia nel maschio,
che nella femmina.
La disfunzione ipotalamica è dovuta allo stato di denutrizione, che comporta anche la diminuzione della leptina - ormone prodotto dagli adipociti che modula la funzione ipotalamica
- ma può essere aggravata o addirittura iniziata da stress ed esercizio fisico eccessivo.
Nei maschi la risposta delle gonadotropine al GNRH è diminuita, ma non in modo così
consistente come nelle femmine.
I livelli di testosterone sono più bassi rispetto ai maschi sani, quindi vi può essere ritardo
puberale o diminuzione della libido/potenza sessuale nel periodo postpuberale.
L’evento così “drammatico” della perdita del ciclo mestruale non ha un equivalente maschile e questo ha rappresentato un punto critico per l’applicazione ai maschi del sistema
classificativo DSM IV.
E’ noto che un apporto calorico adeguato, un peso normale e una adeguata rappresentazione della massa grassa sono essenziali per lo sviluppo puberale e la progressione della
crescita.
Un mancato/ritardato sviluppo puberale e l’arresto della crescita durante il periodo prepu-
40
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
berale e puberale sono segni molto frequenti di anoressia superiore a 6 mesi di durata, per
cui si ritiene che ciò debba costituire un criterio diagnostico di disordine alimentare nella
infanzia e giovinezza (40).
Alterazione della densità minerale ossea
Una complicanza frequente e potenzialmente non reversibile dei DCA è la diminuzione della densità minerale ossea (BMD). Questa complicanza è particolarmente grave
quando i disturbi alimentari hanno un esordio precoce perché, durante l’adolescenza, è
fondamentale raggiungere un ottimale picco di massa ossea, determinante cruciale della
futura densità minerale ossea (BMD) negli adulti.
La perdita di minerale osseo è un effetto precoce della malattia, già presente dopo 6-12
mesi dalla diagnosi (41) ed è imputabile sia direttamente a fattori nutrizionali che alle alterazioni ormonali conseguenti alla denutrizione. Altri fattori possono contribuire allo sviluppo di osteopenia e osteoporosi in AN, come ipercortisolemia, carenza di IGF1, raro o
eccessivo esercizio fisico, ridotto apporto di vitamina D e/o di calcio, fumo/abuso di alcool
e infine la familiarità per osteoporosi. La diminuzione della massa ossea nei disturbi del
comportamento alimentare - in particolare nell’anoressia ma anche nelle sindromi parziali
e in BN con storia di basso peso - è particolarmente rapida e severa in confronto ad osteoporosi di altra origine. Infatti in queste patologie vi è da un lato una diminuzione della
funzione osteoblastica imputabile alla denutrizione, dall’altro la mancata inibizione, nel
sesso femminile, degli estrogeni sulla funzione osteoclastica e quindi, a differenza della
amenorrea ipotalamica o menopausale ove è preservata la funzione osteoblastica, vi è un
basso turnover osseo.
In pazienti non trattati, la perdita ossea varia dal 4 fino al 10% per anno (42) e il rischio relativo di fratture per anno nella AN cronica è sette volte superiore rispetto ai soggetti senza
AN (43). In caso di remissione del disturbo alimentare la perdita di BMD si ferma, ma, nella
maggior parte dei casi, una massa ossea normale non viene più ripristinata (44, 45).
Il riscontro di alterazioni della densità ossea nei maschi con DCA è un problema che solo
recentemente è stato evidenziato. Infatti, in generale l’osteoporosi si verifica meno frequentemente nei maschi rispetto alle femmine: nel sesso maschile un maggiore accrescimento dell’osso durante la adolescenza e la prima giovinezza, la mancanza di un evento
come la menopausa che implica calo degli ormoni sessuali e del loro effetto protettivo
sull’osso e infine una minore aspettativa di vita fanno sì che la perdita della densità ossea
sia minore e più graduale che nel sesso femminile.
Per queste ragioni, inizialmente il problema era stato sottovalutato e solo negli ultimi anni,
a fronte di numerosi dati scientifici, che dimostravano un calo della densità ossea anche
nei maschi con DCA, è stato riconsiderato nella sua dimensione effettiva.
Le differenze di genere riguardanti la frequenza e il grado di perdita di massa ossea sono
stati analizzati in una importante ricerca da Mehler: i soggetti inclusi in questo studio, non
erano significativamente differenti per quanto riguardava età, BMI, durata del ricovero,
numero di precedenti ricoveri e classe di DCA, mentre la durata media del DCA era più
breve nei maschi, che nelle femmine.
L’autore trovava una maggiore prevalenza di osteopenia (36%) e osteoporosi (26%) nei
maschi rispetto alle femmine e concludeva che i maschi con DCA erano a maggior rischio
di perdita ossea.
Secondo i risultati di Mehler, la gravità della perdita ossea era significativamente più pro-
41
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
nunciato nei maschi, rispetto alle femmine, solo nella anoressia restrittiva e purgativa e
non nella bulimia e nelle sindromi parziali (figura 1).
FIGURE 1. Lumbar spine Z-score of inpatient males and females with eating disorders. (a)
Significant gender effect (t 2.21, p .03) ; (b) significant gender effect (t 2.32,p .02);
(c) nonsignificant gender effect (t 1.99, p.05); (d) nonsignificant gender effect (t 0.33, p .84).
Mehler et al. International Journal of Eating Disorders 41:7 666–672 2008
I maschi affetti da anoressia purgativa erano il sottogruppo diagnostico con maggiore perdita ossea (46). Secondo Mehler, non vi era una relazione significativa tra livelli di testosterone e BMD, in contrasto con i risultati di una ricerca di Misra, secondo la quale massa
magra e bassi livelli di testosterone erano invece i fattori predittivi di calo della BMD nei
maschi (47).
Un’altra importante ricerca di Andersen e coll. evidenziava che nei sottogruppi AN purgativa e AN restrittiva di sesso maschile vi era una maggiore perdita di tessuto osseo rispetto
agli analoghi sottogruppi di sesso femminile, seppure il dato non raggiungesse una significatività statistica. Inoltre, a differenza della ricerca di Mehler, anche i maschi affetti da
bulimia avevano una BMD più bassa rispetto alle donne con bulimia (48).
Perché i maschi affetti da DCA dovrebbero avere un quadro di demineralizzazione ossea
di maggiore gravità rispetto alle femmine come parrebbe emergere da questi studi?
I maschi hanno una maturazione ossea più prolungata e raggiungono più tardi il loro picco
di massa ossea, per cui se il disturbo alimentare insorge durante l’adolescenza vi sono
maggiori probabilità che lo squilibrio nutrizionale abbia un impatto negativo sulla sua crescita staturale e ossea .
I maschi, inoltre, hanno un metabolismo basale più attivo rispetto alle femmine e maggiori
richieste caloriche per cui, soprattutto nell’età della crescita, lo squilibrio nutrizionale ha un
potente impatto sia sulla crescita staturale che sulla densità ossea.
Dal punto di vista ormonale la densità ossea dipende da molteplici ormoni: in sintesi, nel
maschio l’attività osteoblastica è influenzata positivamente dal testosterone, mentre gli
estrogeni, derivati dalla trasformazione aromatasica del testosterone non agiscono direttamente sull’azione osteoblastica, ma inibendo l’attività osteoclastica, quindi difendendo
l’osso dal riassorbimento. Nel maschio anoressico il calo estremo della massa grassa pro-
42
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
voca anche la diminuzione dell’enzima armatasi, contenuto in parte nel tessuto adiposo
e quindi verrebbe a mancare anche la quota estrogenica derivante dalla conversione del
testosterone e l’azione di protezione antiosteoclastica.
La diminuzione della attività osteoblastica dovuta alla denutrizione e all’ipogonadismo e
il relativo aumento dell’attività osteoclastica provocano, quindi, il depauperamento della
densità ossea.
Alterazioni elettrolitiche
Un altro gruppo di alterazioni, reversibili dopo il trattamento ma potenzialmente pericolose
è costituito dalle alterazioni elettrolitiche.
Generalmente, le alterazioni elettrolitiche sono la conseguenza dei comportamenti purgativi e pertanto osservabili con maggiore frequenza nella anoressia e bulimia di tipo purgativo, che come abbiamo sottolineato più volte sono meno rappresentate nei maschi.
Ciononostante la presenza di uno squilibrio elettrolitico, in assenza di altre patologie che
lo giustifichino, dovrebbe, in entrambi i sessi, soprattutto se in giovane età, far sospettare
la presenza di un DCA.
La ipopotassiemia è uno dei più comuni disturbi elettrolitici in presenza di comportamenti
purgativi, ma è stata riportata anche in soggetti con anoressia restrittiva (49). Il calo di potassio è dovuto sia alla perdita diretta di potassio attraverso vomito/feci/urine - in relazione al
tipo di comportamento purgativo - sia all’attivazione dell’asse renina-angiotensina indotta
dalla deplezione di volume provocata da comportamenti purgativi.
In entrambi i casi il risultato è un alcalosi metabolica ipopotassiemica e ipocloremica, responsabile di manifestazioni cliniche come la debolezza, crampi muscolari, astenia e, nei
casi più gravi, aritmie cardiache maligne.
L’ipomagnesiemia e ipocalcemia, conseguenti all’abuso di lassativi o diuretici o da carenza
alimentare cronica, possono peggiorare il rischio di aritmie cardiache e causare astenia,
stipsi e convulsioni.
Le complicazioni della bulimia
Le più frequenti complicazioni della bulimia sono già state trattate con l’anoressia perché le due malattie spesso condividono una storia comune di malnutrizione, eccessivo
esercizio fisico e comportamenti purgativi.
Rispetto alle femmine bulimiche, i maschi bulimici utilizzano l’esercizio fisico, spesso compulsivo, per controllare il peso piuttosto che i comportamenti purgativi (50), e in particolare
tra questi minore è l’abuso di lassativi (6,51), mentre è stata riportata una maggiore frequenza di droga e abuso di alcool (52).
Rispetto alle femmine, inoltre, i maschi hanno un’età di esordio più tardiva(53), una più
lunga durata della malattia prima del trattamento, un maggiore sovrappeso precedente
l’insorgenza del DCA e un peso maggiore al momento della diagnosi (6).
Nel maschio ci si può aspettare, data la prevalenza di bulimia non purgativa, una relativa minore presenza delle complicanze gastrointestinali prevalentemente imputabili alle
condotte purgative.
In generale, nella bulimia purgativa le sedi maggiormente colpite dall’uso di vomito e lassativi sono esofago e colon. Il vomito protratto può provocare esofagite, ulcere esofagee,
malattia da reflusso gastroesofageo (GERD), che è condizione predisponente alla meta-
43
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
plasia intestinale - Esofago di Barrett -, fattore di rischio riconosciuto per l’insorgenza di
adenocarcinoma. I pazienti bulimici cronici con episodi frequenti di vomito dovrebbero,
secondo la nostra esperienza, essere incoraggiati, anche se asintomatici, a sottoporsi a
esofagogastroduodenoscopia (EGDS).
Le abbuffate frequenti e di grandi quantità di cibo possono dilatare lo stomaco e molto raramente provocarne la rottura. L’abuso di lassativi, raro nei maschi, può causare melanosi
coli, colon atonico con conseguente stipsi cronica fino ad un danno della innervazione,
esitando in una permanente dilatazione del colon, che diviene incapace di funzionare (colon catartico).
Nella bulimia purgativa, quindi più raramente osservabili nei maschi, sono frequenti le
complicanze orali quali erosioni dello smalto dei denti, cariosi, cheilite, sialoadenosi, eritema della mucosa orale.
Infine un breve cenno sulle complicanze renali: la presenza di alterazioni renali viene
segnalata nella metà dei pazienti con DCA (54), ma gravi complicazioni renali non sono generalmente considerate usuali conseguenze mediche dei disturbi alimentari.
Le alterazioni renali sono state riportate prevalentemente in DCA con lunga durata di malattia e abuso cronico di lassativi e possono essere messe in evidenza dalla presenza di
ematuria, e proteinuria. Le principali cause di disfunzione renale sono la disidratazione
cronica, che determina un danno prerenale e la deplezione di potassio che può causare
danno tubulare e nefrite interstiziale cronica (55, 56).
Le complicanze mediche sono riassunte nella tabella 3 e le principali differenze tra maschi
e femmine nelle due principali sindromi sono riassunte nelle tabelle 4 e 5.
Complicanze mediche dei DCA
Alterazioni generalmente reversibili con necessità di monitoraggio/terapia:
• ematologiche
• immunitarie
• epatiche
• pancreatiche
• elettrolitiche/metaboliche
Alterazioni non gravi da risposta adattativa
• ipotiroidismo > TSH - < FT3
Alterazioni potenzialmente irreversibili
• Alterazioni della crescita/Alterazioni della densità ossea
• Amenorrea persistente/ infertilità (?)
Alterazioni potenzialmente mortali
• Alterazioni cardiovascolari, squilibrio elettrolitico (aritmie)
• Alterazioni gastroenterologiche (rottura esofago, colon catartico)
Tabella 3
44
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Principali differenze tra anoressia maschile e femminile
• La muscolatura può mascherare nell’uomo una perdita molto rilevante di massa
grassa (già fisiologicamente inferiore a quella della femmina ).
• La valutazione della la perdita di peso (peso premalattia-peso attuale) e la rapidità
della variazione di peso possono dare un contributo diagnostico maggiore rispetto
al valore assoluto del peso
• Perdita e ripresa del ciclo sono nelle femmine AN sintomi visibili che indicano malattia e salute e hanno un preciso corrispettivo nel BMI
e quindi
• Definire un Peso “salutare” è più difficile nei maschi che nelle femmine
Il sistema classificativo DSMIV e’ pensato per le femmine (vedi BMI e amenorrea), sindromi complete e parziali non significano necessariamente diversa gravità nei maschi
• Un sovrappeso precedente alla insorgenza del DCA è più frequente nei maschi.
• Nell’adolescente maschio la statura e la densità ossea sono più compromesse che
nella femmina di pari età.
• I segni e sintomi di comportamenti purgativi,in particolare l’abuso di lassativi sono
prevalenti nelle femmine rispetto ai maschi.
• La denutrizione espone il maschio a perdita di massa grassa in proporzione più
significativa rispetto alle femmine per il maggiore fabbisogno calorico dei maschi.
Tabella 4
Caratteristiche della bulimia maschile
• Esercizio fisico come comportamento compensatorio prevalente
• Uso più limitato dei lassativi
• Frequenza maggiore di abuso di alcool e droghe
• Esordio più tardivo
• Maggiore durata di malattia precedente la diagnosi e il trattamento
• Maggiore sovrappeso precedente l’esordio di malattia
• Peso massimo nella storia del peso e peso alla diagnosi più elevati
• L’esame fisico alla diagnosi può rivelare una muscolarità che maschera la denutrizione
Tabella 5
In conclusione…
Conosceremmo e ri-conosceremmo meglio il disturbo del comportamento alimentare
nei maschi, se ci saranno maggiori segnalazioni e pubblicazioni dei clinici al riguardo.
Anche un singolo caso, ben studiato nei suoi aspetti clinici, può dare un contributo
prezioso al sapere medico.
Per ora la epidemiologia relega il problema del DCA maschile in una nicchia in cui la
“differenza” di genere fa veramente la “differenza “ in termini di diagnosi e trattamento.
45
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
L’EPIDEMIA DI SOVRAPPESO, OBESITÀ E SINDROME METABOLICA IN ETÀ PEDIATRICA.
PROPOSTE DI PREVENZIONE E TERAPIA
(Dott.ssa Rita Tanas)
Tutti i professionisti della sanità e in particolare quelli che curano i bambini conoscono l’attuale epidemia di sovrappeso, obesità e sindrome metabolica in età pediatrica. Negli ultimi
anni il World Health Organization (WHO) ha invitato i governi a istituire adeguate valutazioni epidemiologiche, che l’hanno confermata. Le linee guida invitano alla prevenzione
universale fin dalla gravidanza e la terapia precoce, ma ancora pochi medici e pediatri le
seguono con le metodiche raccomandate. Eppure le conseguenze dell’obesità sulla salute
fisica e psicologica dei nostri ragazzi sono ormai certezze: tante e gravi!
Le possibili spiegazioni di questo comportamento sono molte. Molti professionisti credono
che nessun trattamento sia efficace, altri che sia responsabilità delle famiglie o dei ragazzi
stessi, che riusciranno a risolvere il problema quando lo vorranno. Altri non si sentono
adeguatamente preparati a curare i loro pazienti (1). C’è poi il grande problema della disponibilità di tempo. E allora che fare?
Questo lavoro vuole suscitare nei professionisti delle cure primarie motivazione alla formazione ed alla cura di una malattia difficile, ma possibile, e con ottimi risultati anche a
distanza di tempo, soprattutto se intrapresa precocemente ed in sintonia con le famiglie
associando alle cure cambiamenti socio-politici adeguati.
Ormai in letteratura ci sono molte esperienze di interventi di cura dell’obesità attuati dal
medico di famiglia con successo, anche con tempi di contatto professionale limitati (2) .
Definizione
L’obesità viene definita come un eccesso di grasso corporeo, che riduce le aspettative di
vita e salute di una persona. Per fare diagnosi di obesità occorre però una precisa definizione quantitativa condivisa e dei valori soglia oltre i quali definire un soggetto soprappeso
o obeso. Oggi la misura antropometrica più utilizzata per la valutazione dello stato di adiposità è l’Indice di Massa Corporea o Body Mass Index (BMI) ricavato dalla formula: Peso
(Kg) / Altezza (m)². Per l’adulto esistono dei cut-off condivisi: sovrappeso se BMI > 25;
obesità lieve-moderata se BMI > 30 e obesità grave/morbigena se BMI > 40.
In età evolutiva la quantità di grasso corporeo varia fisiologicamente con l’età, il sesso e la
fase puberale, per cui non ci sono soglie valide a tutte le età e per i due sessi, come per
gli adulti, ma solo soglie di percentili del BMI che variano a seconda del sesso e dell’età.
I percentili soglia oggi condivisi sono 85° per il sovrappeso, il 95° per l’obesità lieve moderata e il 99° percentile per l’obesità grave. I valori soglia del BMI, però, cambiano in
modo significativo secondo la curva auxologica utilizzata. Negli ultimi 20 anni sono state
pubblicate numerose curve di BMI, che rispecchiano le caratteristiche della popolazione
da cui sono state tratte. Dato che in questo periodo nei paesi industrializzati l’obesità ha
registrato un enorme incremento della sua prevalenza, si è registrato anche un aumento
progressivo dei valori normali (50°pc) del BMI, come si può constatare nelle curve italiane
della Società Italiana di Endocrinologia e Diabetologia Pediatrica (SIEDP), ottenute da
misurazioni antropometriche recenti. Il loro utilizzo, pertanto, causa una sottostima del sovrappeso/obesità e una sovrastima della denutrizione. Per tali ragioni è molto importante
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
che il medico conosca le curve disponibili per interpretarne adeguatamente le valutazioni.
Noi proponiamo ai pediatri e ai medici di famiglia di valutare il BMI dei loro pazienti in età
evolutiva con le curve disponibili nel loro ambulatorio, magari già inserite nel loro sistema
informatico, conoscendone le caratteristiche: le curve del WHO, per esempio, sono molto
sensibili al sovrappeso e, quindi, perfette per un’attenta prevenzione dell’eccesso di peso,
ma difficili da accettare per il nostro occhio abituato a vedere tanti soggetti sovrappeso;
quelle SIEDP, costruite proprio su questi soggetti tendono, invece, a ignorare i lievi eccessi
ponderali (3).
Cenni di Epidemiologia ed Etiologia
La prevalenza dell’obesità nell’ultimo trentennio è aumentata di continuo ed ha raggiunto
valori preoccupanti sia tra gli adulti che tra i bambini, sia nei cosiddetti Paesi sviluppati, che
nei paesi in via di sviluppo.(4) (Figura 1).
Figura 1: Evoluzione di sovrappeso e obesità nei bambini di 3–14 anni delle Scuole di
Bologna dal 1974 al 1999-2002. Tanas R. 2007 (4)
In Italia lo studio OKkio alla Salute condotto nel 2008 e ripetuto nel 2010 ha confermato
che sovrappeso e obesità hanno una frequenza molto elevata nei bambini di 8-9 anni, rispettivamente il 24% e 12%, con un trend Nord/Sud di cui ancora si cercano le motivazioni
scientifiche. Nella nostra regione la frequenza di sovrappeso e obesità nel 2010 era del
29% (rispettivamente 20 e 9%), senza differenze significative di genere.
Lo studio Health School Behavioural Children, un network internazionale patrocinato dal
WHO dal 1982, che attualmente si svolge in 42 Paesi, nel 2010 ha coinvolto in Italia 77.000
ragazzi di 11-15 anni di tutte le Regioni. Da questo studio si evince che la prevalenza di
sovrappeso e obesità insieme con l’età si riduce, in Emilia Romagna per esempio dal
29% a 8 anni al 18% a 11, e 14,6% a 15 anni, mentre compaiono importanti differenze fra
maschi e femmine. Purtroppo questo studio si basa su dati antropometrici auto-riferiti, che
sottostimano il problema. L’errore aumenta con l’età ed è maggiore nel sesso femminile e
nei soggetti in eccesso ponderale. Nonostante ciò l’Italia continua ad essere fra i primi posti nella classifica. Viene inoltre segnalata una frequenza elevata e in aumento con l’età di
ragazzi che si vedono grassi e pensano alla dieta. Tale fenomeno, che a 15 anni riguarda
50
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
circa il 30% delle femmine a noi pare il principale responsabile della riduzione dell’eccesso
ponderale, che, purtroppo, ottenuto in tal modo, non può che associarsi ad un peggioramento del benessere psicosociale. Inoltre viene evidenziato un aumento della prevalenza
nelle fasce socioeconomiche più disagiate, soprattutto per le forme di obesità severa.
Negli ultimi anni si sono registrati in vari paesi nel mondo ed anche nella nostra regione
valori stabili di prevalenza.
Circa l’etiologia la distinzione fra obesità idiopatica e secondaria è fondamentale nell’inquadramento diagnostico del bambino ed è quindi indispensabile al pediatra per iniziare
un percorso assistenziale. Sappiamo che circa il 96-99% dei bambini obesi sono affetti da
obesità “primaria” (definita anche “esogena” o “semplice”), sintomo di un alterato equilibrio
tra apporto calorico e dispendio energetico, a eziopatogenesi multifattoriale. Tale sbilancio
calorico è conseguenza di fattori genetici e ambientali, e dell’interferenza di fattori ambientali sull’espressione genica (epigenetica) (5).
Avere un genitore, soprattutto la madre, obeso è sempre il fattore che predice di più l’obesità pediatrica, e ancor di più quella severa perché già durante la vita endouterina il feto
interagisce con la madre e il suo metabolismo, e da esso viene notevolmente influenzato.
E’ noto che i bambini nati sottopeso e sovrappeso sono a elevato rischio di obesità e sindrome metabolica. Dopo la nascita, le modalità di allattamento e svezzamento, le abitudini
alimentari e lo stile di vita motorio della famiglia condizionano l’eccesso ponderale del
bambino come le variabili socioeconomiche. Alimentazione e attività motoria, influenzati
da fattori genetici, ambientali e comportamentali, interagiscono sul bilancio energetico. La
sedentarietà della vita moderna, inoltre, riducendo il tessuto muscolare impedisce l’ossidazione dei lipidi e rende obbligatorio il loro deposito.
Tutti questi fattori, alimentazione, sedentarietà e ridotta attività fisica, creano un circolo
vizioso che favorisce e peggiora l’eccesso ponderale del bambino; ma, anche se la letteratura è concorde nel ritenere la visione protratta della TV la causa più forte di patologia,
tutti si concentrano sempre sull’alimentazione (Figura 2).
Figura 2
L’obesità è il risultato di un bilancio energetico positivo, prolungato nel tempo, su un soggetto predisposto. L’evidenza parla solo di TV, ma poi si parla sempre di alimentazione /
restrizione.
Anche se rarissime, le obesità secondarie vanno sempre sospettate e diagnosticate. Per
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
il trattamento dell’eccesso ponderale, invece, la terapia è identica ed ha dimostrato efficacia sia nelle obesità idiopatiche che nelle secondarie, anche se i risultati in queste ultime
sono meno stabili nel tempo.
Le Obesità secondarie più note sono quelle genetiche, quelle sindromiche e quelle endocrine (Sindrome di Cushing, Ipotiroidismo, Deficit di ormone della crescita, Iperinsulinismo,
Sindrome dell’ovaio policistico, Pseudoipoparatiroidismo, Sindromi Ipotalamiche). Per approfondimento sull’argomento si rimanda a testi dedicati (6,7).
Le Complicanze
L’obesità del bambino e dell’adolescente non è mai da ritenersi uno stato di benessere
fisico, bensì una condizione che può condurre a una serie di complicanze sia a breve che
a lungo termine. Esse coinvolgono tutti gli apparati, le più note sono ortopediche, neurologiche, respiratorie, gastroenterologiche, psicologiche, metaboliche (ipertensione arteriosa,
dislipidemia, intolleranza glicidica, steatosi e steato-epatite non alcolica). Tali complicanze sono evidenziabili già in età pediatrica ad un’attenta valutazione clinica, o con esami
strumentali o di laboratorio. Anche la Sindrome Metabolica, che è un insieme di fattori di
rischio per Diabete Mellito 2 e patologia cardiovascolare, è già evidenziabile nel bambino
e nell’adolescente obeso con una frequenza in aumento con l’età del ragazzo, il lievitare
dell’epidemia di obesità ed il peggiorare dello stile di vita delle popolazioni. Tale situazione
di rischio può persistere o svanire dall’adolescenza all’età adulta con l’adozione di uno
stile di vita più sano. Oggi l’attenzione dei medici si sta focalizzando sul rischio metabolico,
senza tenere in giusta considerazione che le altre comorbilità (respiratorie, ortopediche
e psicologiche) causando isolamento sociale, favoriscono la sedentarietà, le ore passate
davanti allo schermo televisivo e quindi, peggiorano il grado di obesità, favorendo il successivo manifestarsi della sindrome metabolica.
Tutte le complicanze organiche risentono positivamente del cambiamento comportamentale e del calo ponderale, cioè del BMI Z-score.
Circa le complicanze psicologiche, da molti anni ci domandiamo se l’obesità in età evolutiva sia associata a problemi psicologici. Studi eseguiti su popolazioni non cliniche per lo più
negano tale associazione, che invece è presente nei bambini e aumenta negli adolescenti
che richiedono terapia. Numerosi studi richiamano l’attenzione sui seguenti problemi: peggiore qualità della vita, minore autostima, più frequente depressione, ansia, isolamento
sociale, insoddisfazione per il corpo e disturbi del comportamento alimentare, soprattutto
nelle femmine (Figura 3).
Problemi psicologici segnalati nei bambini e ragazzi obesi, che chiedono terapia.
• Ridotta Autostima
• Depressione e Ansia
• Isolamento sociale
• Bullismo (vittime)
• Patologie correlate al peso (WRD): Disturbi dl comportamento alimentare, Obesità
con abbuffate / Perdite di controllo orale, Dieting e Comportamenti alimentari insani o
estremi, Disturbo Immagine corporea, Derisione relativa al corpo.
Figura 3
52
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Anche la derisione sul corpo ed il bullismo sono più frequenti nel bambino e nell’adolescente con eccesso ponderale. In adolescenza il BMI correla con un aumento dei pensieri
e delle preoccupazioni relative al corpo ed al peso, delle perdite del controllo alimentare (8)
e del fenomeno del Dieting anche fra gli adolescenti Italiani (Figura 4).
Abitudini e stili di vita degli adolescenti Rapporto della Società Italiana di Pediatria
2010: dai questionari di 1120 ragazzi di 12-14 anni.
SODDISFAZIONE DELL’IMMAGINE CORPOREA:
Dice di voler apparire
• Più grande il 41- 44%
• Più bello / alto il 61%*
• Più magro il 58%
• Più muscoloso il 60%*
*se vede più di 3h / die di tv le percentuali aumentano.
DIETING
Ha fatto o vuole fare una dieta il 36%
• Consigliata dai genitori nel 19%, dal medico nel 32%
• Autoprescritta o consigliata da altri: amici / Internet nel 49%.estremi, Disturbo Immagine corporea, Derisione relativa al corpo.
Figura 4
Il Dieting, descritto negli adolescenti negli anni 90, con un frequenza di circa il 70%, si è
oggi diffuso alla quasi totalità della popolazione anche adulta dei 2 sessi (9). Esso consiste
nel mettersi o volersi mettere a dieta per dimagrire in modo autonomo e autogestito con
mezzi che in adolescenza sono per lo più poco salutari (saltare i pasti, semi-digiuno o uso
di pasti ipocalorici) o addirittura altamente insani (digiuno, vomito e uso di farmaci) (Figura
5).
Metodi utilizzati solitamente nel Dieting da adolescenti di 15 anni (NeumarkSztainer D 1995).
• Metodi adeguati esclusivi 8.2% (mangiare meno, più sano ed essere più attivi)
• Metodi inadeguati 39% Saltare i pasti, Semi-digiuni (< 800 cal/die), Pasti ipocalorici pronti
• Metodi altamente pericolosi 29% Digiuno, Vomito, Uso di farmaci
• Abbuffate 40%, 20% di notevoli proporzioni.
Figura 5
Il Dieting aumenta di 8-18 volte il rischio DCA (10).
Tali comportamenti a loro volta facilitano un cattivo stile di vita alimentare e motorio, l’aumento del peso e dei disturbi del comportamento alimentare (10). In particolare i comportamenti alimentari altamente insani dell’adolescente aumentano anche il rischio di idee e
tentativi di suicidio in entrambe i sessi (11). Oggi la parola dieta ha perduto il suo significato
iniziale di stile di vita per diventare sinonimo di rinuncia, divieto, restrizione e quindi sofferenza.
53
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Anche i problemi psicologici sembrano comunque ridursi con una terapia adeguata, che
determini un calo del peso senza favorire il Dieting, e, pertanto, non andrebbe mai trascurata.
La Prevenzione e la Terapia
Circa la prevenzione vanno distinte una prevenzione primaria universale, cioè rivolta a
tutti, una prevenzione primaria mirata, per i bambini a rischio, una prevenzione secondaria
da attuare nei bambini già con un eccesso ponderale per evitare un peggioramento della
situazione. In realtà gli strumenti per la prevenzione e per la terapia dell’obesità in età evolutiva sono gli stessi, cioè l’invito alla famiglia a sposare uno stile di vita più sano. Pertanto,
come proposto dall’Accademia Americana di Pediatria (12) soprattutto per gli operatori delle
cure primarie, le differenze sarebbero solo nel tempo dell’intervento e nel numero di interventi da dedicare alla singola famiglia.
La terapia dell’obesità tradizionalmente è stata di tipo prescrittivo, costituita cioè dalla prescrizione di una dieta a basso contenuto energetico. Con gli anni si sono provate vari
tipi di diete con risultati molto modesti sul calo ponderale, soprattutto dopo 1 o più anni,
senza evidenze che permettano di scegliere una dieta rispetto ad un’altra. Ciò ha spinto
i ricercatori a sperimentare altri approccio: la terapia comportamentale, quella cognitivocomportamentale, il counseling motivazionale e l’educazione terapeutica del malato. Tali
approcci hanno in comune l’obiettivo di modificare i comportamenti, che possono essere
nocivi alla gestione del peso corporeo, relativi all’alimentazione ed all’attività motoria, responsabili del bilancio energetico di ogni individuo.
La terapia comportamentale dell’obesità in età pediatrica è stata teorizzata dai lavori di Epstein. I buoni risultati riportati hanno fatto sperare che le modificazioni dei comportamenti
in questa età vengano mantenute nel tempo meglio che negli adulti e che i benefici terapeutici del trattamento, a prevalente o esclusivo coinvolgimento dei genitori, si possano
estendere a tutto il gruppo familiare. Ciò potrebbe essere dovuto alla maggior facilità di apprendere nuovi comportamenti dei bambini ed alla possibilità di utilizzare l’apprendimento
osservativo, con i genitori come modello.
La revisione della letteratura internazionale fino a pochi anni fa evidenziava solo pochi
studi con follow-up adeguato: il numero ridotto dei bambini trattati, la variabilità e la descrizione approssimativa degli interventi descritti in letteratura, però, non permetteva di
concludere che tale terapia soddisfacesse i criteri dell’EBM (13). Nel 2008-2009 le nuove
revisioni (14-15), invece, hanno trovato studi più numerosi e di migliore qualità e durata che
permettono di validare l’efficacia della terapia comportamentale per il cambiamento dello
stile di vita, che diventa così la terapia ufficiale per la cura di questa patologia. Mancano
ancora studi adeguati sul bambino solo sovrappeso e sul bambino in età pre-scolare. Le
revisioni evidenziano alcune caratteristiche di successo dei progetti con esito migliore:
l’approccio familiare, l’attività fisica strutturata nel percorso terapeutico e non solo suggerita, l’uso degli strumenti di terapia comportamentale (automonitoraggio, percorso a piccoli
passi, rinforzo positivo) ed un contatto professionale di durata superiore alle 25 ore.
Così le ultime linee guida invitano tutti i professionisti sanitari a curare i bambini valutando
periodicamente il loro BMI e trattando l’obesità con percorsi terapeutici che abbiano le
caratteristiche di successo descritte (16). Ciò in realtà comporta un insieme di problemi e di
difficoltà per i curanti e le famiglie che non sono di facile risoluzione, in mancanza di ade-
54
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
guata formazione professionale, e richiede un investimento temporale non banale (17). Non
va dimenticato che la presa in cura dei ragazzi però potrebbe ridurre in modo importante
il carico di lavoro quotidiano futuro dei MMG di cui circa il 30% è legato alle comorbilità
dell’obesità (18) e le complicanze fatali di una chirurgia oggi offerta sempre più spesso già
in età adolescenziale.
L’Educazione Terapeutica Familiare di Gruppo (ETFG): Il Gioco delle
Perle e dei Delfini
Ispirandoci alle indicazioni del WHO, in materia di terapia delle malattie croniche con l’educazione terapeutica del paziente (19), ai programmi di terapia comportamentale pubblicati
ed alla nostra esperienza, nel 2000 abbiamo avviato in ambito ospedaliero un programma,
rivolto a bambini/ragazzi in sovrappeso o obesi. L’approccio è coerente con quanto proposto dall’Accademia Americana di Pediatria (12) Scopo principale del programma è migliorare
lo stile di vita per raggiungere una migliore “forma” di tutto il gruppo familiare e riuscire a
mantenere il piacere di vivere, crescere, socializzare, realizzare i propri obiettivi e desideri,
con uno stile di vita più sano, evitando che l’eccesso ponderale aumenti, con i suoi effetti
negativi sulla salute. Nell’intento di spogliare i termini “obesità” e “dieta” dei significati negativi ad essi comunemente associati, abbiamo chiamato il progetto “Il Gioco delle Perle e
dei Delfini” (20-22) (Figura 6).
Il nostro intervento, costituito da sole 3 tappe (visita iniziale, incontro di educazione terapeutica familiare in piccoli gruppi, rivalutazione diagnostico-terapeutica conclusiva) (Figura
7), è stato pensato come un aiuto al medico delle cure primarie nella fase di avvio al trattamento di una famiglia in difficoltà, cioè un II° livello di intervento.
L’Educazione Familiare di Gruppo (ETFG), ovvero “Il Gioco delle Perle e dei Delfini”.
Le tre Tappe
• Visita iniziale
• Incontro di gruppo per i ragazzi e le famiglie
• Visita di completamento diagnostico-terapeutico
Il Follow-up
• nel primo anno 1-2 visite
• dopo 1 visita o un richiamo telefonico/anno
Le Collaborazioni
1. con PLS / MMG: sempre
2. con altri Specialisti: solo per situazioni particolari:
• Colloquio dietologico
• Terapia Cognitivo-Comportamentale per Disturbo dell’immagine corporea e/o
Fame emotiva
• Team interdisciplinare per problemi psicologici.
Figura 7
Dopo tale fase la famiglia viene riaffidata a lui pur potendo sempre tornare allo specialista
per vari motivi: recidive, controlli periodici di comorbilità già in atto, etc. Esso si propone di
modificare le rappresentazioni mentali, gli atteggiamenti e i comportamenti delle famiglie e
dei bambini/ragazzi in sovrappeso nei confronti del cibo e dell’attività motoria, realizzando
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
con loro un processo di empowerment (23-24) cioè di crescita culturale e presa in carico
consapevole ed autonoma delle loro scelte di vita e di salute (Figura 8).
L’Empowerment di famiglie e ragazzi
Da un approccio Prescrittivo: somministrare soluzioni preconfezionate e registrare i risultati.
Ad un approccio Educativo: capire i bisogni, sviluppare le loro competenze
al cambiamento dei comportamenti, aumentare le loro capacità di soluzione dei
problemi, l’accettazione di sé, l’autoefficacia e l’autostima, Contrattare percorsi
condivisi.
Figura 8
Il programma è svolto da un pediatra endocrinologo, esperto nella cura dell’obesità, con
formazione specifica ed esperienza clinica nella cura dei Disturbi del Comportamento Alimentare e nell’Educazione Terapeutica del paziente, e, in casi selezionati, con la collaborazione di psicologi e dietisti, che ne condividono principi e strumenti (Figura 9).
Gli strumenti per la cura
• L’ascolto pro-attivo, non giudicante,
• Il Colloquio di Motivazione per sostenere la motivazione, strumento utilizzabile
da tutti gli operatori sanitari formati.
• La De-colpevolizzazione, dando la colpa all’ambiente ed alla malattia.
• Lo Scambio di storie: scambiare la storia (i tentativi di cura precedenti) del loro
“problema bloccato, “incementato, dalla colpa e dalle ripicche, con una storia nuova, fatta da loro, magari con esperienze già vissute, ma ora rivalutate. (Dammacco
F: Autobiografia e Pensiero narrativo.
http://www.acfriends.it/files/038_autobiografia_e_pensiero_.pdf)
Figura 9
I particolari delle modifiche alimentari e dell’attività motoria sono stati deliberatamente
lasciati alla discrezione dei ragazzi e delle loro famiglie in modo che, dal momento che
il piacere è soggettivo, essi possano costruirsi un “proprio programma personalizzato” di
cura. L’approccio interdisciplinare, che attualmente si considera il più adeguato per la cura
dell’obesità, essendo impegnativo e costoso per le famiglie e per i sanitari è stato riservato
solo alle famiglie che ne hanno provata necessità in interventi di III livello.
Le 3 tappe
La Iª Visita. Durante la visita iniziale della durata di circa 1 ora, lo specialista, raccolta
l’anamnesi familiare ed eseguita una visita specialistica completa di valutazione diagnostica biomedica, indaga su rappresentazioni, conoscenze, comportamenti alimentari e
motori, bisogni, motivazioni e attese del bambino/ragazzo e della sua famiglia (diagnosi
educativa), riducendo all’essenziale l’anamnesi alimentare, spesso colpevolizzante per le
famiglie e causa di conflitto. Vengono utilizzate le tecniche di approccio del Colloquio di
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
motivazione ed il modello trans-teoretico (25-26).
Il nostro primo obiettivo è quello di ricreare un ambiente di serena collaborazione familiare
per affrontare un problema comune: l’eccesso di peso. Pertanto si cerca di sviluppare una
relazione empatica fra famiglia e specialista, facilitata da una buona collaborazione fra
specialista e medico / pediatra di famiglia.
Lo specialista cerca di, esplorare con i genitori i loro pensieri sul problema per il quale chiedono aiuto, la loro soggettiva valutazione dell’alimentazione del figlio, l’eventuale presenza
di “fame emotiva”, l’attività motoria organizzata e non, e quelle sedentarie svolte quotidianamente. Egli, inoltre, valuta con la narrazione terapeutica se la famiglia ha già effettuato
precedenti tentativi di cura, indagandone il metodo, i risultati soggettivi, e, sottolineando
i risultati oggettivi riportati, spesso sottovalutati anche se positivi e cerca di far emergere
le ragioni dei precedenti fallimenti. Si cerca di ridurre i sensi di colpa, specie se eccessivi,
delle famiglie.
Se la famiglia ha accettato la diagnosi ed è pronta e disponibile alla terapia, si propone un
percorso di cura ed apprendimento improntato a piccoli cambiamenti graduali autogestiti
del comportamenti alimentari e motori, associati a sentimenti di piacere. Il programma
viene affidato ai genitori e ai bambini/ragazzi in proporzione al loro grado di autonomia.
Viene spiegata la progressione delle 3 tappe ed in particolare la famiglia viene invitata alle
due tappe successive, che completano il percorso.
L’Incontro Familiare di Gruppo con le famiglie e gli adolescenti. (Figura 10) L’incontro della durata 2 ore, al quale sono invitati a partecipare i genitori, i nonni e altri parenti
conviventi e gli adolescenti, ha lo scopo di approfondire il ruolo dei comportamenti motori
e alimentari della vita quotidiana nel favorire l’insorgenza e l’aggravamento dell’eccesso
ponderale, affrontando il problema delle cause dell’obesità, del ruolo dell’ambiente sociale
e delle possibilità di difendersi.
Obiettivo e temi dell’Incontro Familiare di Gruppo
OBIETTIVO:
• Far nascere la voglia di cambiare Stile di Vita.
TEMI:
• Ridurre le Attività Sedentarie
• Aumentare l’Attività Motoria Piacevole
• Scegliere un’Alimentazione più Sana e Piacevole:
• La prima colazione
• La porzione adeguata : “E’ la Dose Che fa il Veleno”
• Il mangiare fuori casa
• Emozioni, vacanze
• Rinforzo Positivo dei piccoli risultati
• Obiettivi possibili e condivisi
Figura 10
Attraverso immagini, esempi concreti, semplici spiegazioni e discussione interattiva, lo
specialista stimola nei partecipanti la riflessione e la consapevolezza su eventuali scelte concettuali e comportamentali inadeguate. Incoraggia lo sviluppo di una motivazione
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
personale verso scelte più sane, ma allo stesso tempo piacevoli e accettabili. Tali scelte
riguardano tutti i momenti della giornata lavorativa e ludica, nonché la gestione del tempo
libero dell’intera famiglia.
Il medico porta l’attenzione dei partecipanti sull’importanza di aiutare i bambini/ragazzi
ad esprimere le emozioni, soprattutto se negative, e sull’ascolto empatico dei genitori per
riconoscere e recepire correttamente i segnali e le richieste di aiuto implicite ed esplicite
dei figli, i quali spesso utilizzano il cibo come fonte di consolazione, alternativa alla noia o
come sostegno psicologico. Agli adulti viene spiegata l’importanza del loro ruolo di modelli,
fondamentale nel processo di crescita e di cura. I genitori sono quindi invitati attraverso
esempi concreti a mettere in pratica in modo piacevole ed equilibrato un’alimentazione ed
un’attività motoria più sane, e comunque tali da essere accettate e fatte proprie dai loro
figli. Nella conduzione degli incontri si tengono presenti le più recenti acquisizioni in tema
di comportamento alimentare e motorio: i modi più efficaci per facilitare e rendere stabili i
cambiamenti, l’importanza del “piacere” nel programma terapeutico per il suo successo nel
tempo e la capacità dei bambini di cooperare. Si mostrano alcune stoviglie di uso quotidiano di varie dimensioni per far comprendere il ruolo della porzione.
Inoltre lo specialista insegna le tecniche di automonitoraggio, di rinforzo positivo (lodi e
premi che non comprendano cibi) e di miglioramento dell’ambiente esterno (riduzione
dell’acquisto di cibi ricchi di calorie o di grassi, di scorte alimentari e di cibi già pronti,
maggior disponibilità ed accessibilità ad attività motorie piacevoli, minore opportunità di
svolgere attività sedentarie, quali tv e videogiochi).
Vengono discussi gli obiettivi di cura spesso eccessivi delle famiglie, frequenti cause di
fallimento del programma, e negoziati obiettivi più “ragionevoli”. La famiglia viene preparata all’idea che anche risultati parziali o lenti siano validi, se mantenuti per tempi adeguati,
ed alla variabilità dei risultati, per un diverso assetto genetico e ambientale (situazione
familiare, lavorativa, etc.), all’importanza del miglioramento dello stile di vita e dell’aumento
dell’attività motoria sulla composizione corporea.
Ai partecipanti viene consegnato un breve opuscolo informativo, che riassume i contenuti
dell’incontro e permette di estendere il messaggio e ripeterlo nel tempo all’interno della famiglia. L’opinione dei ragazzi e delle loro famiglie sul programma viene valutata attraverso
un questionario d’opinione, consegnato alla fine dell’incontro.
L’esposizione interattiva, gli esercizi e gli esempi pratici favoriscono la relazione riducono i
conflitti e facilitano l’apprendimento, costringendo l’educatore ad adattarsi alle conoscenze
ed ai bisogni dei ragazzi e delle famiglie (diagnosi educativa) e a trasferire loro competenze nella gestione del bilancio calorico quotidiano (educazione terapeutica) (Figura 11).
I vantaggi dell’Incontro Educativo Familiare di Gruppo
• Ridurre il carico di lavoro del medico
• Ridurre l’impegno doloroso del ragazzo e della famiglia,
• Ridurre la colpevolizzazione e l’aggressività: fra famiglia e terapeuta, e all’interno della famiglia.
Figura 11
La visita conclusiva (Figura 12) la valutazione diagnostico-terapeutica conclusiva del
percorso della durata di circa 1 ora viene effettuata dopo circa 2 mesi dalla prima visita. Il
medico incontra il bambino/ragazzo e i suoi familiari per valutare con loro i primi risultati del
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
percorso terapeutico ed il rischio di complicanze, anche in base agli esiti della diagnostica,
se eseguita. Al bambino/ragazzo viene chiesto di raccontare i cambiamenti dello stile di
vita provati ed esprimere le difficoltà e i successi del percorso. Anche in questo incontro,
il medico pone particolare attenzione nel rinforzare la motivazione, evidenziando tutti gli
aspetti positivi ed enfatizzando ogni, anche minimo, miglioramento dei comportamenti alimentari e motori ed eventualmente del BMI e di altri segni di patologia preesistenti (valgismo, smagliature, circonferenza vita, resistenza allo sforzo, relazioni difficili con i familiari
ed i coetanei).
Obiettivi della visita conclusiva
Valutazione del rischio personale in base:
• agli esami di laboratorio ed ecografici.
• ai primi risultati comportamentali e obiettivi.
Rinforzo positivo dei piccoli risultati ottenuti :
• sui Comportamenti.
• sulla clinica: BMI ,acantosi nigricans, smagliature, glicemi• Obiettivi possibili e
condivisi
Eventuale auto-attribuzione di nuovi obiettivi personalizzati.
Figura 12
Il Follow-up. Nel primo anno viene proposta a tutti i partecipanti una rivalutazione: semestrale per i bambini con basso rischio e con buoni risultati iniziali, quadrimestrale per gli
adolescenti e i bambini ad alto rischio anamnestico familiare, o clinico (gravità dell’eccesso
ponderale, complicanze cliniche o resistenza iniziale al trattamento). Tali visite possono
essere affidate al medico di famiglia, se disponibile e formato adeguatamente al progetto
terapeutico.
Dopo il primo anno, viene proposto un follow-up annuale. A coloro che non si presentano,
viene offerto un colloquio telefonico, per valutare i risultati del programma attraverso le
misure antropometriche rilevate dal medico di famiglia e la storia delle modifiche comportamentali. La consulenza telefonica viene utilizzata come tecnica di rinforzo e sostegno
alla motivazione e riduzione del drop-out.
Durante ogni visita di follow-up il pediatra esplora e valuta con un breve questionario le
modifiche dei comportamenti del gruppo familiare e gli ostacoli (barriere) incontrati alla
loro realizzazione, passando rapidamente in rassegna tutti i principi dello stile di vita sano
proposti nel percorso educativo di base (modifiche delle abitudini alimentari e dell’attività motoria e sedentaria) e valuta la Qualità della Vita (affettività, socialità e rendimento
scolastico). Tale questionario più che a scopo valutativo serve a rinforzare il processo di
apprendimento intrapreso e sostenerlo nel tempo.
Gli “Obiettivi terapeutici”
Il primo obiettivo del nostro percorso è far sentire il bambino/ragazzo obeso e la sua famiglia persone che portano un loro problema e la cui storia clinica è importante ed utile alla
sua soluzione. Il secondo è alleggerire il senso di colpa per liberare le energie del gruppo e
farlo lavorare insieme, avendo ricostruito un’alleanza terapeutica nei familiari e fra medico
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
e familiari. Quindi viene il cambiamento dei comportamenti e da ultimo il calo dell’eccesso
ponderale.
Nell’adulto le variazioni ponderali sono il primo indicatore di un cambiamento della massa
adiposa dei programmi di riduzione dell’eccesso ponderale. Per quanto riguarda l’entità
del calo di peso da perseguire e consigliare ai pazienti, studi clinici hanno dimostrato che
un calo del peso corporeo del 5-10% dà una riduzione significativa del rischio clinico e delle complicanze associate; pertanto è possibile ritenere tale riduzione un appropriato obiettivo della terapia nell’adulto. Il Diabetes Prevention Program ha dimostrato che un calo
ponderale di 1 kg riduce del 16% il rischio di sviluppare Diabete Mellito tipo 2 su soggetti
predisposti (27). La ricerca di risultati superiori, invece, porta spesso all’abbandono della
terapia ed al suo fallimento. Oggi è noto che il peso della popolazione generale, in assenza
di interventi specifici, è in aumento in media di circa un chilogrammo all’anno.
Nel bambino il calo dell’eccesso ponderale può essere valutato con il BMI Z-score o percentile. Non c’è ancora accordo su quale sia il calo ponderale ottimale, ma la pratica
clinica ci suggerisce di non perseguire obiettivi terapeutici eccessivi ed irrealistici, quali il
raggiungimento del peso corporeo ideale. Tale obiettivo, un tempo considerato e proposto
agli operatori sanitari, è oggi discusso e per lo più abbandonato. Esso, infatti, correla con
il drop-out ed il fallimento dei programmi terapeutici intrapresi. La Consensus del 2005
(28) invita a valutare come positivo qualunque calo del BMI Z-score. Anche un BMI percentile stabile con più attività motoria corrisponde ad una riduzione percentuale del grasso
corporeo e quindi ad un dimagrimento rispetto a soggetti che non fanno nulla, esposti ad
un aumento progressivo del peso e della sedentarietà con conseguente peggioramento
dell’eccesso ponderale. (Figura 13)
Valutazione dei risultati, obiettivi del trattamento e pericoli
Obiettivo tradizionale Calo BMI < 85° pc = GUARIGIONE!!!
La nostra proposta BMI percentile in calo o stazionario ma associato ad uno
stile di vita “più attivo”.
I pericoli di obiettivi eccessivi: Delusione, Abbandono, Ricaduta; Sindrome
dello jo-jo, Disturbo del comportamento alimentare.
Figura 13
Il bambino/ragazzo e la famiglia che partecipano al programma vengono sempre incoraggiati
anche in assenza di un evidente calo ponderale, sottolineando tutti gli altri aspetti positivi
della terapia (riduzione del valgismo, delle smagliature, dell’acanthosis nigricans, della pressione arteriosa e/o della circonferenza addominale; aumento della resistenza allo sforzo,
miglioramento degli esami di laboratorio, ecc.).
Se il programma educativo viene abbandonato (risultati assolutamente negativi sia relativamente ai comportamenti salutari, che ai parametri antropometrici) si riprende il percorso
(spirale educativa), cercando di indurre ancora la motivazione proiettando nel futuro le scelte
attuali del bambino/ragazzo per aiutarlo a prendere coscienza del problema e trarre conclusioni più adeguate ad un suo progetto di miglioramento autogestito.
In casi selezionati per gravità o situazioni familiari problematiche ed in età adolescenziale
questo intervento spesso non è sufficiente ed occorre prevedere un percorso intensivo di III
livello, realizzabile solo con team interdisciplinari e ancora assente in molte realtà territoriali.
60
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
I Risultati
I primi risultati del nostro approccio raccolti in uno studio clinico retrospettivo, non randomizzato, sono stati pubblicati nel 2007 (20-21). Un loro aggiornamento nel 2008 ha riguardato 267 bambini/ragazzi soprappeso e obesi di età media 10,5 ± 5,1 anni, suddiviso in 2
gruppi terapeutici: 144 bambini, trattati con ETFG; 123 bambini trattati con la Dietoterapia
tradizionale (DT). Nell’ambulatorio ospedaliero non é stato possibile fare randomizzazione
per cui abbiamo confrontato i bambini seguiti con ETFG con un gruppo costituito in parte
da bambini seguiti dallo stesso medico nei 3 anni precedenti all’avvio della terapia educativa e in parte da bambini valutati contemporaneamente in un ambulatorio parallelo, gestito
da un altro pediatra endocrinologo, che ha utilizzato il metodo dietologico classico.
Per valutare l’andamento dell’eccesso ponderale, in soggetti in eta evolutiva abbiamo considerato le variazioni fra inizio del programma e ultima visita di controllo di BMI e BMI
Z-score secondo le tabelle CDC 2000. I risultati sono stati valutati dopo almeno 1 anno di
trattamento. Il BMI del gruppo trattato con ETFG, dopo un periodo di 1-7 anni (2,8 ± 1,3)
dal primo incontro, era aumentato appena di 0,37±3, ed il BMI Z-score si era ridotto di 0,43
± 0,5. Gli obesi gravi erano ridotti del 50% rispetto alla partenza e 15 bambini (12%) erano
diventati normopeso. Tra i controlli, dopo 2,6 ± 1,3 anni, il BMI era aumentato di 2 ± 2,8 ed
il BMI Z-score diminuito di 0,13 ± 0,4. Gli obesi gravi erano diminuiti del 4% rispetto alla
partenza. Il 22% dei dati sono autoriferiti. Le differenze tra i cambiamenti dei 2 parametri
considerati: BMI, e BMI Z-score (Figura 14), dopo le 2 terapie, valutate con il test ANCOVA-RM, sono risultate statisticamente significative (p<0.01). La riduzione del numero di
soggetti con obesità grave nei 2 gruppi prima e dopo terapia analizzato con una tavola di
contingenza 2 X 2, mostra una differenza altamente significativa (p<0,001).
Figura 14: Cambiamento del BMI zscore sec CDC dopo 3 ± 1 aa di cura con ETFG vs Dietoterapia DT in 254
soggetti sovrappeso / obesi secondo il CDC, di 10,5 ± 5 anni (range 3 - 18) Tanas R Medico e Bambino 2007 (21)
Sono stati valutati anche i risultati di 115 questionari sullo Stile e Qualità della Vita compilati in ambulatorio da ragazzi e genitori durante le visite di controllo, dopo almeno 1 anno
dall’avvio della terapia (media 3±1,5 anni) Essi dicono che l’87% dei bambini/ragazzi ha
migliorato il suo stile alimentare, cioè mangia più frutta e verdura, meno snack fuori pasto,
beve meno bevande dolci e mangia tenendo presente la porzione ed il 72% ha uno stile
di vita più attivo. Inoltre la valutazione della Qualità della Vita risulta buona per umore,
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
rendimento scolastico e socializzazione rispettivamente nel 91, 94 e 94% dei casi. L’86%
dichiara di non avere desiderato di abbandonare il programma.
Selezionando i 62 bambini / ragazzi con obesità severa BMI >99 percentile il BMI Z-score
2.52±0.11 è diventato 2.13 ±0.29 dopo 3 anni di ETFG. Per far comprendere il calo ponderale ad operatori non avvezzi all’uso del BMI Z-score possiamo dire che se i ragazzi trattati
fossero stati fermi in età e statura per ottenere tale calo avrebbero dovuto perdere circa
10 kg (Figura 15).
Figura 15: Cambiamento del BMI zscore sec CDC dopo 3 anni di ETFG vs DT in 62 bambini di 9,2 ± 2 anni con
Obesità severa (BMI>99°pc secondo il CDC). BMI medio iniziale 2,53 ±0,1. Tanas R dati non pubblicati.
Inoltre i valori di pressione arteriosa e quelli degli esami di laboratorio, indici di rischio metabolico (glicemia, insulinemia, indice di resistenza insulinica (HOMA Homeostasis Model
Assessment) si sono mantenuti pressoché invariati nel gruppo ETFG, nonostante l’aumento dell’età dei soggetti ed il loro aumento fisiologico in pubertà. La riduzione del numero
delle obesità severe, degli indici di rischio metabolico e del 50% delle steatosi epatiche
dopo 1 anno, nei nostri ragazzi suggeriscono una reale diminuzione della massa grassa e
del rischio di sindrome metabolica.
Il nostro programma non sembra causare alcun effetto negativo sui bambini/ ragazzi, né
sulla crescita staturale, né sulla loro salute psichica. I ragazzi che hanno sviluppato cambiamenti eccessivi sono stati rivisti più volte per evitare lo sviluppo di disturbi del comportamento alimentare, a tutti è stato offerto un sostegno all’accettazione della propria immagine e alla derisione di familiari e pari, e in casi selezionati anche l’aiuto di uno psicologo.
Nel complesso i risultati indicato l’efficacia del programma, la cui novità consiste nella sostenibilità, essendo svolto da un solo operatore con un ridotto impegno temporale e basato
sulla crescita delle famiglie e sulla fiducia piuttosto che sulla prescrizione e sul controllo.
Queste caratteristiche lo rendono ben accetto alle famiglie ed ai bambini.
Per tale motivo dopo vari anni abbiamo pensato di avviare un progetto per provare l’implementabilità, e la possibilità di trasferimento in altri ambulatori specialistici o di famiglia
del territorio nazionale di tale approccio, formando altri operatori di primo e secondo livello:
pediatri, psicologi e dietologi, e soprattutto pediatri e medici di base. Solo in tale modo
si può davvero affrontare il problema obesità del bambino e adolescente aumentando il
numero di operatori che se ne interessano e si sentono capaci di gestirlo. Sono proprio i
medici di famiglia che possono fare molto in questa ambito facendo diagnosi davvero precoci ed iniziando un percorso terapeutico, magari in alcuni momenti e per casi selezionati
sostenuti da specialisti e in collaborazione con loro. Sul ruolo cruciale delle cure primarie
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
nella lotta l’obesità sono tutti d’accordo ma non sempre le proposte operative che vengono
fatte sono davvero realizzabili. Le raccomandazioni dell’Accademia Americana dei Pediatri
tengono conto del fattore tempo e propongono un percorso di terapia in linea con il nostro
progetto basato sul colloquio di motivazione, la ruota del cambiamento e la terapia dei
comportamenti a rischio (12).
La Formazione
Dopo 8 anni di esperienza nella gestione di questo programma nei quali i nostri strumenti
si sono affinati e la nostra capacità di valutare comprendere e saper trasferire le novità
del nostro progetto sono aumentate, nel 2008 con l’aiuto di un gruppo di educatori professionisti di Padova abbiamo avviato un progetto di formazione per 1-2 operatori per volta.
Esso consisteva di una formazione a distanza (FAD) con l’uso del PC sui temi classici
dell’obesità pediatrica (definizione, epidemiologia, eziologia, complicanze precoci e tardive
e sulla terapia cognitivo-comportamentale e educazione terapeutica del paziente) e due
o tre brevi corsi di formazione sul campo (FSC) di 2 giorni ciascuno in ambulatorio con le
famiglie, bambini e ragazzi. I corsi pratici si svolgevano a distanza di 2 mesi per lasciare il
tempo ai professionisti di avviare tentativi ed esperienze personali.
Uno degli obiettivi della formazione è la promozione dell’autoefficacia: processo mentale
che si costruisce sulle esperienze pregresse e consiste nella convinzione di avere le capacità e le competenze per svolgere un determinato compito con successo. Nella pratica
portare l’operatore sanitario a pensare di avere le capacità e le competenze per trattare
l’obesità aumenta inconsapevolmente il suo impegno e migliora i risultati. Tale obiettivo
viene perseguito fornendo informazioni e strumenti, mostrando nella pratica i risultati, ma
soprattutto sostenendo i partecipanti, tramite la relazione educativa, nell’occuparsi di questa malattia. Si cerca di ottenere che i partecipanti dopo la formazione possano offrire ai
bambini sovrappeso un percorso terapeutico essendo diventati motivati e capaci di sostenerli. Con tale percorso sono sati formati 15 professionisti: 2 pediatri di famiglia, 5 pediatri
ospedalieri, 5 dietiste 1 nutrizionista, 2 specializzandi.
Successivamente la nostra offerta formativa si è ampliata con altri 2 tipi di interventi:
1. FAD e 2 giorni in aula per piccoli gruppi di pediatri selezionati
2. Woorkshop di 4-5 ore per presentare il progetto e motivare interi gruppi di pediatri di
famiglia di una stessa AUSL.
Con il corso in aula dedicato di 2 giorni sono stati finora formati circa 50 professioniti Pediatri di famiglia e ospedalieri, nutrizionisti, psicologi e dietisti. Con il Workshop il progetto
è stato peresentato ai PLS di varie ASL: Cesena, Reggio-Emilia, Rovigo, Perugia, Terni,
Milano e Forlì.
Da 2 anni stiamo raccogliendo e pubblicando le impressioni suscitate da queste differenti
forme di implementazione del nostro metodo e i risultati ricavabili dai dati antropometrici
dei bambini trattati dai nostri stagisti. (29) (Figure 16-17).
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Anche se gli operatori sanitari non sono gli unici operatori che possono interagire positivamente sull’epidemia dell’obesità, che richiede anche indispensabili interventi di politica
sanitaria, non possiamo dimenticare che i nostri bambini sovrappeso/obesi saranno, per
l’80%, i genitori obesi di domani, e pertanto, lavorare per loro ci sembra un passo indispensabile per la prevenzione e la cura dell’obesità di domani (Figura 18).
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Messaggio per tutti i Medici dell’età evolutiva
Il sovrappeso in adolescenza fa male, favorisce:
• Depressione e ansia
• Pressione sociale verso magrezza,
• Insoddisfazione corporea
• Dieting / Restrizione
• Patologie correlate al peso.
Figura 18
Dobbiamo imparare ad occuparcene, altrimenti fanno da soli, con
l’aiuto dei media…….
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
L’INFLUENZA DEGLI ORMONI SESSUALI SULLA REGOLAZIONE
DELL’OMEOSTASI ENERGETICA NELLE FASI DI VITA DELLA DONNA
(Dott.ssa Cristina Tarabbia)
La vita della donna è scandita da ritmi neuro-ormonali che conducono a continui cambiamenti dell’equilibrio psico-fisico: il menarca, i cicli mestruali, la gravidanza, il post-partum,
l’allattamento, la menopausa, che vanno inseriti in un contesto personale, familiare, relazionale e lavorativo.
Tali cambiamenti possono esprimersi anche in variazioni di peso corporeo.
Qualora non fossimo in presenza di uno stato ben definito di malattia, il confine tra normalità o patologia nelle oscillazioni del peso corporeo femminile risulta essere molto sottile.
Pertanto, è utile comprendere il ruolo degli ormoni sessuali nei meccanismi fisiologici di
regolazione dell’omeostasi energetica, per cercare di comprenderne le modificazioni in
riferimento alle variazioni neuroendocrine e psicologiche che si succedono nelle diverse
fasi di vita della donna.
I potenti effetti dell’estradiolo sul controllo del peso corporeo, sulla distribuzione del grasso
e sui meccanismi centrali di assunzione del cibo sono noti da circa 40 anni, ma i meccanismi che sottendono tali effetti nel sistema nervoso centrale sono ancora in parte sconosciuti.
Gli effetti biologici indotti dagli estrogeni sono mediati dai recettori nucleari ERalfa ed
ERbeta, tramite un meccanismo genomico trascrizionale “classico” o “non classico” e da
recettori di membrana (tra cui GPER1 del reticolo endoplasmico), che avviano la cascata
fosforilativa delle chinasi.
La distribuzione dei recettori ER nell’organismo è tessuto-specifica: nella fattispecie, i
nuclei ipotalamici esprimono il recettore ERalfa, coinvolto direttamente nella regolazione
centrale dell’omeostasi energetica, mentre il recettore ERbeta modula gli effetti metabolici
degli estrogeni sui tessuti periferici e su altre aree del cervello.
EFFETTI DEGLI ESTROGENI SUL PESO CORPOREO
Iperplasia del tessuto adiposo sottocutaneo
Riduzione del tessuto adiposo viscerale
Aumento del dispendio energetico
Diminuzione dell’assunzione di cibo
Inibizione diretta, centrale sui neuro peptidi ipotalamici oressizzanti (<NPY)
Stimolazione indiretta, periferica sugli ormoni anoressizzanti (>Lept >Ins <Gre)
Cooperazione con neurotrasmettitori (>5HT)
Diminuzione della sintesi di citochine pro-infiammatorie
C. Tarabbia Effetti degli estrogeni sul peso corporeo
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Distribuzione del grasso corporeo
Il tessuto adiposo rappresenta un tessuto bersaglio periferico molto importante per gli
steroidi sessuali: nel grasso sottocutaneo sono stati identificati soprattutto recettori per gli
estrogeni ed il progesterone, mentre i recettori per gli androgeni predominano nel grasso
viscerale.
Ciò rende ragione della differenza di genere nella distribuzione del grasso corporeo: il
tessuto adiposo sottocutaneo è dotato di scarsa attività lipolitica, quindi prevale evolutivamente nella femmina dei mammiferi, che in virtù della gravidanza e dell’allattamento
deve potere conservare le riserve energetiche anche in corso di una carenza alimentare.
Viceversa, il maschio deve poter mobilizzare rapidamente energia per l’attività muscolare,
ed il grasso viscerale è un tessuto metabolicamente attivo.
Tuttavia, la regolazione estrogenica della quantità e della distribuzione del grasso è estremamente complessa: l’ormone si lega al recettore ERbeta dell’adipocita sottocutaneo, ed
innesca meccanismi trascrizionali cui derivano non soltanto l’ipertrofia del grasso sottocutaneo, ma anche la produzione di leptina che, grazie all’attivazione del sistema simpatico
mediata da CRH, riduce il grasso viscerale.
L’adiposità sottocutanea è dunque direttamente proporzionale ai livelli di estrogeni circolanti, mentre l’adiposità viscerale ne è inversamente correlata.
Incremento del dispendio energetico
Gli estrogeni agiscono nelle aree ipotalamiche ventromediali (interagendo soprattutto coi
neuroni del nucleo PVN), e stimolando la produzione di CHR, che attraverso l’attivazione
di fibre adrenergiche stimola la termogenesi, specie nella componente viscerale del tessuto adiposo, promuovendo l’aumento della spesa energetica, cui dipende un calo del peso
corporeo.
Inoltre, l’interazione con i recettori ERbeta del grasso bruno incrementa l’espressione genica della thermogenic uncoupled protein1.
Il maggior dispendio energetico deriva anche dall’attivazione dei processi metabolici, adipocitari ed epatici, con aumento della Beta-ossidazione dei trigliceridi in acidi grassi liberi,
riduzione della lipogenesi, incremento della lipolisi, sensibilità all’insulina.
Riduzione dell’assunzione del cibo
Nel sistema nervoso centrale, i neuroni che regolano l’assunzione di cibo esprimono i
recettori ERalfa: gli estrogeni hanno, dunque, un effetto anoressizzante diretto, in quanto
modulano quantitativamente e qualitativamente i neuropeptidi ipotalamici ed i loro recettori.
Il beta-estradiolo inibisce l’attività dei neuroni AgRP/ NPY attraverso meccanismi molecolari multipli: l’interazione con un recettore di membrana accoppiato a chinasi e conseguente soppressione dell’attività neuronale associata ad una consistente riduzione dell’attività
c-fos; il legame a recettori ERalfa espressi sui neuroni ipotalamici che proiettano sull’arcuato, in primis i neuroni kiss1 e nel nucleo del tratto solitario; l’espressione del gene che
codifica i recettori Y.
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Recentemente è stata dimostrato come gli estrogeni promuovono un incremento biosintetico delle sub-unità costituenti i canali potassio KCNQ5 che generano le correnti M: si riduce la soglia di eccitabilità dei neuroni NPY e dunque il loro rilascio sinaptico. Il meccanismo
d’azione ormonale è genomico “non classico”: il complesso E-ERa attivato interagisce non
con le sequenze EREs del DNA, bensì con altri fattori di trascrizione legati al sito promoter
del gene per KCQN5 (AP-1, SP-1, NFb), funzionando da coattivatore.
Viceversa, gli estrogeni promuovono l’espressione di CART, che proietta all’asse ipotalamo-ipofisario modulandone l’attività, mentre l’attività dei neuroni POMC varia di poco in
relazione alla stimolazione steroidea.
Anche i neuroni ipotalamici di secondo ordine esprimono i recettori ERalfa e sono influenzati dagli estrogeni circolanti, che inibiscono il rilascio di NPY nel PVN e la sintesi di Orexine A nel nucleo laterale (LHA), con effetto ipofagico.
Gli estrogeni agiscono anche in modo indiretto, potenziando gli stimoli anoressizzanti di
alcuni peptidi endocrini.
Per esempio, diminuiscono la stimolazione dell’appetito mediata dalla grelina e dai suoi
recettori GHS-R, ed aumentano la sensibilità centrale e periferica all’insulina.
Le interazioni principali riguardano la leptina, di cui gli steroidi promuovono la sintesi ed il
rilascio mediante un meccanismo trascrizionale genico. Nei nuclei PVN ed LHA, gli estrogeni si legano ad uno specifico elemento responsivo sul gene Ob-Rb che codifica per il
recettore della leptina: i recettori ERalfa ed i recettori OB-Rb sono coespressi nelle stesse
popolazioni neuronali, suffragando il loro ruolo di cooperazione nel controllo del peso corporeo e della riproduzione.
L’estradiolo aumenta il trasportatore della serotonina nel nucleo dorsale del rafe.
Infine, l’ormone aumenta la sensibilità dei recettori addominali vagali CCK-R della colecistochinina allo stato di distensione dell’apparato gastroenterico, potenziando il senso di
sazietà e limitando l’apporto alimentare.
Il ruolo degli androgeni nell’omeostasi energetica della donna non è ben definito: l’inattivazione dei recettori agli androgeni non provoca variazioni nel peso corporeo, tuttavia
l’iperandrogenismo è associato a disfunzionalità delle cellule beta pancreatiche e a dismetabolismo. Pare che tali effetti siano dovuti non ad un effetto diretto sui processi metabolici,
bensì a meccanismi di aumentato stress ossidativo ed infiammatorio.
Diminuzione di citochine pro-infiammatorie
Gli acidi grassi saturi interagiscono con il recettore TLR4 (toll-like receptor) delle cellule
che sintetizzano citochine pro-infiammatorie, aumentandone l’espressione genica: il sovrappeso è dunque correlato ad uno stato di infiammazione cronica.
Tali cellule, incluse i macrofagi e la microglia, esprimono recettori ERalfa, pertanto gli
estrogeni modulano negativamente la trascrizione genica delle citochine, inibendo il fattore nucleare kappaB: il blocco biosintetico si traduce in una riduzione della risposta infiammatoria, specie nel tessuto nervoso (azione neuro protettiva) e nel tessuto adiposo
sottocutaneo. Il tessuto adiposo viscerale, svincolato dall’azione estrogenica, produce invece citochine infiammatorie, con implicazioni notevoli nel rischio cardiovascolare in postmenopausa.
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
LE VARIAZIONI DI PESO NELLE FASI DI VITA DELLA DONNA
Il peso corporeo aumenta con l’età indipendentemente dai fattori genetici, ormonali e dallo
stile di vita: tale fisiologico sovrappeso è di tipo sarcopenico, con aumento della massa
grassa e riduzione della massa magra.
Uno studio di Roy (1991) ha riportato che nella donna si verifica una dis-regolazione media
quotidiana di circa 0.06% del cibo introdotto giornalmente (corrispondente in media a 750
mg): questo significa che in 40 anni (tra i 25 ed i 65 anni) la quota di cibo totale che sfugge
alla modulazione è di circa 40 tonnellate e determina un incremento ponderale medio di
circa 11 Kg.
Considerata inoltre la fisiologica riduzione della spesa energetica, per il calo del metabolismo basale e del lavoro fisico muscolare, e l’aumento del cortisolo (marker dell’invecchiamento) si rende ragione della progressiva modificazione corporea legata puramente
all’età.
Tuttavia, al di là della dis-regolazione neuroendocrina e delle modificazioni degli stili di
vita legati alla senescenza, la reciproca relazione tra il peso corporeo e le variazioni qualiquantitative degli steroidi sessuali è molto importante nella donna, ed andrebbe considerata con attenzione dal medico curante.
Il fisiologico accumulo estrogeno-dipendente di grasso sottocutaneo, rispetto all’adiposità
viscerale androgeno-dipendente, è stata ricondotta al fatto che accumulare grasso in tali
sedi costituisce ontogeneticamente per la donna un vantaggio per sopravvivere, concepire, portare a termine la gravidanza ed allattare.
Il bilancio energetico positivo o negativo è infatti in grado di influenzare la riproduzione: la
fertilità correla soprattutto con la leptina, sia attraverso il rilascio di GnRh dal nucleo PVN,
sia mediante la regolazione negativa del sistema NPYergico, ed i recettoro ObR sono coespressi con i recettori ERalfa.
L’altra sostanza che correla i due sistemi è la grelina, stimolata negli stati di catabolismo
e di bilancio energetico negativo: inibisce la risposta del LH al GnRh, diminuisce LH, indipendentemente dai suoi effetti sui meccanismi di assunzione del cibo.
L’influenza è tuttavia biunivoca: non solo il bilancio energetico modula la riproduzione, ma
gli eventi nella vita riproduttiva influenzano l’omeostasi energetica femminile ed il peso
corporeo.
La donna quotidianamente offre una maggiore risposta anoressizzante e catabolica alle
richieste di regolazione omeostatica rispetto all’uomo: tale risposta è modulata dalle diverse concentrazioni ematiche di beta-estradiolo, legate sia alle fasi ormonali della vita (menarca, gravidanza, post-partum, allattamento, menopausa precoce, fisiologica o tardiva)
sia agli stati patologici che alterano il pattern ormonale (es. sindrome dell’ovaio policistico,
amenorree secondarie) sia a terapie anticoncezionali od ormonali assunte (TOS, progestinici, antiestrogeni) e sia a comorbilità che interessano il metabolismo, con peculiarità di
genere (es.diabete).
A livello centrale, l’asse ipotalamo-ipofisario esercita sull’assunzione del cibo un’influenza
tonica (donne in età fertile mangiano di meno rispetto a quelle in post-menopausa o annessiectomizzate) ma anche un’influenza ciclica mensile: l’introito di cibo è minore in fase
follicolare rispetto alla fase luteinica, ed ha un brusco calo del 25% in fase pre-ovulatoria
(14 giorni prima, corrispondente al picco estrogenico) con diminuzione della quantità di
cibo introdotto a ciascun pasto ed aumento del numero dei pasti.
L’andamento ciclico risulta soppresso nei cicli anovulatori.
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Esiste addirittura una differenza di genere “funzionale” nell’elaborazione emotiva e cognitiva del senso di fame e di sazietà.
Gli uomini “affamati” attivano maggiormente le aree fronto-temporali e para-limbiche, rispetto alla donna, mentre gli uomini “sazi” attivano prevalentemente la corteccia prefrontale ventro-mediale, e le donne la corteccia prefrontale dorso-laterale, insieme ad aree
associative sensoriali occipitali e parietali.
Infine, gli steroidi sessuali influenzano i neurotrasmettitori cerebrali coinvolti nella modulazione del tono dell’umore: alla distonia biologica legata alle fasi ormonali di vita femminile
si sovrappongono le variazioni dell’equilibrio psicologico personale legate ai cambiamenti
di ruolo o di percezione della propria femminilià, con ulteriore riflesso sia sul possibile sviluppo di sindromi depressive, sia sulla regolazione centrale dell’assunzione di cibo, con
modificazioni patologiche del peso corporeo.
Nella donna, pertanto, ogni “passaggio” biologico di equilibrio ormonale rappresenta un
momento di “fragilità”, su cui vanno ad inserirsi potenziali fattori di rischio genetico e soprattutto ambientali che possono condurre allo sviluppo di veri e propri disturbi del comportamento alimentare.
Pubertà, gravidanza, allattamento, menopausa sono periodi critici che meriterebbero una
valutazione medica anche dal punto di vista comportamentale.
Un periodo particolarmente trascurato è la fase di transizione menopausale, quando ancora i flussi mestruali non sono cessati del tutto e la sintomatologia peri-climaterica classica
è ancora di lieve entità.
Tale fase è caratterizzata da un quadro iniziale di iperestrinismo assoluto, associato a basso progesterone, che influenza il metabolismo dei grassi, con un aumento corrispondente
di circa 0.6 Kg/anno.
Poi subentra un quadro di ipogonadismo franco, con aumento di colesterolo, trigliceridi,
insulinoresistenza ed LDL.
Aumenta il cortisolo, le citochine del grasso viscerale (con aumento di giro vita di 2 cm
l’anno), ed i parametri di flogosi Apcr e SAA (Serum Amyloid A).
Tale fase risulta a lungo scompensata, in quanto un aumento compensatorio dei livelli totali
di leptina si verificano solo quando c’è un aumento di peso complessivo, e non solo un
aumento della quota viscerale.
Da tenere presente in transizione menopausale anche la variazione della quota androgenica, con effetto oressizzante, attraverso l’aumento della liberazione di Noradrenalina e di
NPY e diminuzione del rilascio di Serotonina, DOPA e BEndorfina.
Un corretto monitoraggio del peso corporeo nella transizione menopausale può indurre
il medico non soltanto ad intraprendere corrette strategie di prevenzione del rischio cardiovascolare o dismetabolico, ma anche a sospettare la concomitanza di disturbi sottesi
nell’equilibrio psicologico della paziente, che su un terreno biologico fertile possono condurre a disturbi del comportamento alimentare, e meritare dunque una attenta valutazione
specialistica.
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
I DCA NELLE DIVERSE FASI DELLA VITA FEMMINILE
(Dott.ssa Emilia Manzato)
Se pensiamo ai disturbi psichiatrici come espressione del malessere del momento storico,
i Disturbi del Comportamento Alimentare (DCA) meglio di qualsiasi altra patologia esprimono il disagio del nostro tempo.
La fatica di affrontare i passaggi della crescita nell’età adolescenziale, la pressione del
mondo occidentale sugli aspetti di prestazione e la focalizzazione sulla forma fisica associati ai grandi cambiamenti di ruolo delle donne negli ultimi secoli costituiscono il terreno
sul quale si sviluppano patologie definite disturbi del comportamento alimentare, ma in
realtà espressione, attraverso il corpo, di grande sofferenza psichica.
Sono disturbi che si presentano con maggior frequenza in particolari fasi della vita femminile, quasi a sottolineare come il percorso di vita di una donna sia costellato da momenti
che, pur non avendo una connotazione negativa, richiedono comunque uno sforzo di adattamento e un cambiamento psichico profondo.
I DCA hanno il picco di esordio in età giovanile o adolescenziale, ma negli ultimi anni si
contano sempre più casi di Anoressia in età prepubere. Si descrivono, inoltre, casi di Anoressia e Bulimia con esordio tardivo, cioè in età adulta, e sviluppo di Binge Eating Disorder
nel periodo post-partum e nel periodo della menopausa.
Sono esordi meno frequenti e nel caso del Disturbo da Alimentazione Incontrolllata o Binge
Eating Disorder (BED), che resta ancora poco conosciuto, un segno importante è il grave
aumento di peso.
Presenteremo una breve storia dei disturbi alimentari, accenneremo ad alcune caratteristiche dell’esodio di Anoressia e Bulimia in età adolescenziale e negli esordi atipici, ci focalizzeremo poi sui DCA in gravidanza, post-partum e menopausa con particolare attenzione al
BED. Infine daremo alcuni dati ricavati dalla casistica del Centro di Ferrara indicativi della
situazione nella nostra provincia.
Storia e classificazione diagnostica dei DCA
La prima descrizione di due casi in cui il grave deperimento organico è stato collegato ad
un aspetto psichico è stata fatta nel 1689 da Sir Richard Morton, che ha definito il quadro
clinico “nervous consumption” (1).
Più tardi, nel 1880, quasi contemporaneamente il dott. William Gull in Inghilterra e il dott.
Charles Lasègue in Francia descrissero due casi clinici di grave deperimento organico,
che considerarono come disturbi nervosi collegati ad aspetti psicopatologici.
Gull sottolineò come il sottopeso non fosse determinato da condizione morbose mediche,
ma fosse “nervous loss of appetite” e per la prima volta usò il termine “anoressia”. Interessante notare come le sue prescrizioni avessero colto gli aspetti salienti del disturbo: “il paziente deve mangiare a intervalli regolari, deve essere riscaldato e deve essere attorniato
da persone che possono avere un controllo morale su di lui” (2).
Lasègue descrisse quadri clinici caratterizzati da magrezza e iperattività fisica presenti
soprattutto in giovani donne che negavano qualsiasi preoccupazione per il peso (3).
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Negli USA, Chipley, un medico del Kentucky, pubblicò un articolo nel 1859 sulla “sitomania” , intesa come grave avversione al cibo (4). Nella seconda metà dell’ ‘800 in USA e in
Canada vi furono varie pubblicazioni su giovani donne che praticavano digiuni volontari,
mentre la Bulimia rimaneva ancora descritta in maniera sporadica solo in Europa.
Per quasi tutta la prima parte del secolo scorso i disturbi alimentari furono confusi con
disturbi di tipo endocrino. Questo fraintendimento nacque dalla descrizione fatta da Simmonds nel 1914 di un quadro endocrino (che prese il nome di Morbo di Simmonds), caratterizzato da digiuno e cachessia associati a ipopituitarismo (5).
Un quadro simile fu descritto da Sheean in puerpere e di conseguenza i DCA vennero
considerati e trattati alla stregua di malattie endocrine.
Solo nella seconda metà del secolo scorso emerse un nuovo interesse per l’aspetto psichiatrico dei DCA stimolato dalle ricerche di Arthur Crisp e di Hilde Bruch e dalla proposta
dei criteri diagnostici di Feighner nel 1972.
Crisp definì l’anoressia come “flight from growth” e considerò il rifiuto di alimentarsi e la
ricerca del basso peso con perdita delle mestruazioni, come tentativo di ritornare a una
posizione preadolescenziale (6).
Per H. Bruch l’Anoressia aveva come caratteristiche salienti il disturbo dell’immagine corporea (che poteva avere aspetti deliranti), il senso di inadeguatezza e la grave difficoltà
nelle relazioni affettive.
Bruch oltre a focalizzarsi sull’aspetto della dispercezione corporea introdusse anche il termine di “interoceptive awarness” per indicare la difficoltà nelle pazienti anoressiche di
individuare e riconoscere le sensazioni corporee e psichiche (7).
Gli studi di questi due autori furono fondamentali per rilanciare l’interesse nei confronti
dei disturbi alimentari, che in quel periodo iniziarono ad avere un aumento consistente di
incidenza in tutti i paesi dell’area occidentale industrializzata.
Feighner per primo propose di utilizzare criteri più precisi di diagnosi per l’Anoressia, per
esempio età di inizio prima dei 25 anni e perdita di peso di almeno 25% rispetto al peso
originale (8).
Per molto tempo l’Anoressia fu il disturbo alimentare più studiato, la Bulimia comparve solo
alla fine del diciottesimo secolo nell’”Encyclopaedia Britannica” descritta come: “a disease
in which the patient is affected with an insatiable and perpetual desire of eating” (9).
E’ nel 1979 che torna l’interesse verso la Bulimia grazie a Gerald Russel che, con il suo
famoso articolo sulla Bulimia “An ominous variant of anorexia”, descrisse le caratteristiche
di un nuovo disturbo alimentare indicando tre criteri diagnostici: “a powerful and intractable
urge to overeat resulting in episodes of overeating, avoidance of “fattering” effects of food
by inducing vomiting or abusing purgatives or both, a morbid fear of becoming fat” (10).
I DCA entrarono a far parte del “Manuale Statistico e Diagnostico delle Malattie Mentali”
solo nel 1980 nella terza versione (DSMIII): l’Anoressia non comprendeva l’amenorrea tra
i criteri diagnostici e la Bulimia non comprendeva i criteri della frequenza e durata delle
abbuffate (11).
Nel 2013 è prevista l’uscita del DSM nella 5° versione e già da tempo una task force sta
studiando nuove proposte di classificazione dei DCA per superare le problematiche create
dalla attuale classificazione.
I principali problemi derivati dalla classificazione del DSM IV-TR sono legati alla validità o
meno dei sottotipi dell’Anoressia e della Bulimia, alle difficoltà di definire chiaramente gli
episodi di abbuffata, alle differenze di presentazione di Anoressia e Bulimia nelle diverse
culture e ai dubbi sulla validità della categoria “Disturbi alimentari non altrimenti specificati”
74
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
(DCANAS), che raccoglie le forme incomplete non rispondenti a tutti i criteri diagnostici e
che, in realtà, rappresentano quasi il 60% degli DCA trattati.
Le proposte per la nuova classificazione diagnostica variano dall’apportare minimi cambiamenti dei criteri esistenti al rivedere completamente gli attuali schemi concettuali di
classificazione.
Nell’ambito di questa seconda posizione, Walsh and Sysko(12) propongono una classificazione dei DCA in “categorie allargate” che possa includere le varie forme di Anoressia,
Bulimia e Binge Eating Disorder, dando quindi validità diagnostica al BED e inglobando
tutte le forme DCANAS.
DCA in adolescenza
I DCA sono considerati la patologia cronica più frequente in adolescenza, dopo l’obesità
e l‘asma (13).
Un episodio di Anoressia in adolescenza comporta un alto rischio di morte per le complicanze organiche (legate a defedamento o a pratiche evacuative) e per suicido (14).
Nella maggior parte dei casi la diagnosi non rientra in una sindrome piena, ma in una sindrome parziale (DCANAS), che può risolversi spontaneamente o evolvere in una sindrome
piena stabilizzata (15).
Preoccupante è la scarsa capacità di individuazione e trattamento dei DCA in questa fascia di età.
Nel Documento Ministeriale del 1998 i valori di prevalenza in Italia nelle donne fra i 12 e 25
anni sono stimati per l’ AN 0.3%, per la BN 1% e per le forme parziali DCANAS 6%. Escludendo la popolazione maschile, su cui non abbiamo soddisfacenti dati epidemiologici e
tenendo conto delle fasce di età su cui è stata condotta l’indagine (popolazione femminile
di 14-25 anni), in Emilia-Romagna l’atteso è di 652 casi di Anoressia Nervosa, 2.175 di
Bulimia Nervosa e 13.050 di DCANAS.
Dalle rilevazioni effettuate risulta che solo 1.477 ragazze con AN+BN fra i 14 e i 25 anni
sono seguite dai servizi regionali intervistati, pubblici e privati, cioè solo la metà delle 2827
pazienti stimate per AN+BN in questa fascia di età (16). La maggior parte dei casi non viene
quindi intercettata e curata.
Per i criteri diagnostici dell’Anoressia e della Bulimia Nervosa rimandiamo all’articolo “Anoressia e Bulimia nei maschi: focus sulle differenze di genere”, presente in questo bollettino.
E’ importante sottolineare che qualsiasi variazione di peso in adolescenza (sia verso il sottopeso che verso il sovrappeso o obesità) deve essere indagata e può essere ricondotta
ad un DCA, se associata a disturbi dell’immagine corporea e a un rapporto alterato con il
cibo.
La focalizzazione sulla forma fisica e l’assunzione di pratiche di controllo attivo sul peso inserite in una situazione di disagio psicopatologico più ampio, possono essere le premesse
per lo sviluppo di un DCA, in particolare di una forma anoressica.
Il disturbo dell’immagine corporea significa la percezione di sentirsi grassa anche se si
è sottopeso e ha come conseguenza la paura di ingrassare e il rifiuto di mantenersi in
normopeso. Il basso peso può essere raggiunto con una restrizione volontaria dell’alimentazione, associata o meno a iperattività fisica o a pratiche purgative. E’ importante,
quindi, fare un’accurata diagnosi differenziale che escluda un sottopeso causato da altre
patologie organiche o psichiatriche in cui il calo ponderale non è mai legato ad un control-
75
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
lo attivo dell’alimentazione. Per esempio, patologie come depressione o ansia o disturbi
psicosomatici possono provocare atteggiamenti di rifiuto del cibo non correlati a disturbi
dell’immagine corporea.
Inoltre, un segnale importante come l’amenorrea non deve essere mai sottovalutato o mascherato attraverso la somministrazione immediata di estroprogestinici.
In un’adolescente con amenorrea è fondamentale, prima di qualsiasi prescrizione, indagare attentamente l’andamento ponderale negli ultimi tempi, rilevando la velocità e l’entità del
calo di peso, valutare gli aspetti di dispercezione corporea e i cambiamenti negli atteggiamenti alimentari. Nel caso vi sia un sospetto di Anoressia è opportuno inviare quanto prima
la paziente ad una struttura multidisciplinare per poter avere un quadro diagnostico adeguato su tutte le aree interessate (psicologica, organica, alimentare), prima di predisporre
qualsiasi intervento o terapia. Dato che spesso l’Anoressia è egosintonica e comporta una
difficoltà di compliance da parte della paziente, la presenza di amenorrea può motivare la
famiglia e la paziente stessa ad un percorso diagnostico e terapeutico.
La Bulimia Nervosa è più difficile da sospettare perché mascherata dal normopeso: è
caratterizzata da focalizzazione sulla forma fisica e da episodi di discontrollo alimentare
(abbuffate) che vengono compensati da digiuno e iperattività fisica o da pratiche evacuative. Condivide con l’Anoressia la grande influenza che la forma fisica ha sulla percezione
di sé e sull’autostima.
I segni che possono far sospettare una Bulimia sono di tipo fisico (ingrossamento delle
ghiandole salivari, abrasioni sulle nocche delle dita dovute allo sfregamento sul palato per
provocarsi il vomito dette segni di Russell, alterazioni dei denti, oscillazioni di peso ecc.)
ma anche di laboratorio (es. ipopotassiemia). La Bulimia dal punto di vista internistico è
grave per le complicanze cardiache e gastriche legate alle pratiche evacuative.
Riportiamo un breve questionario denominato Scoff che può essere di grande utilità per
il Medici di Medicina Generale (17). La parola “scoff” in inglese significa trangugiare, ma è
usato come acronimo dalle iniziali inglesi delle aree indagate: bastano due risposte positive per sospettare un disturbo alimentare dell’area anoressica o bulimica.
S - (sick) arrivi al punto di vomitare perché ti senti sgradevolmente piena?
C - (control) ti preoccupi di perdere il controllo sulla quantità di cibo ingerita?
O - (one stone) hai recentemente perso 6-7 kg di peso in un periodo di 3 mesi?
F - (fat) pensi di essere troppo grassa anche se gli altri dicono che sei magra?
F - (food) il pensiero del cibo e delle calorie dominano le tue giornate ?
Il questionario, di semplice applicazione non comprende, però, domande che riguardino il
Binge Eating Disorder. Ricordiamo che anche l’aumento di peso in adolescenza deve far
pensare alla presenza di un DCA: in letteratura si sottolinea come il BED abbia spesso
inizio in adolescenza, ma venga riconosciuto solo in età adulta, in genere circa dopo 10
anni dall’esordio (18).
Ci focalizziamo brevemente sull’insoddisfazione corporea come importante fattore di rischio che, se presente in forma severa, diventa un fattore associato a prognosi peggiore.
Nella letteratura scientifica si rileva come il 46%-80% delle ragazze adolescenti presenti
alti gradi di insoddisfazione corporea e circa il 30% sia in dieta (19). A questo proposito
riportiamo alcuni dati ottenuti attraverso un’indagine svolta nel territorio di Ferrara su un
campione di popolazione non clinica (20).
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
Nello studio fatto dal Centro per i Disturbi Alimentari dell’Azienda Ospedaliera di Ferrara,
in collaborazione con l’Osservatorio Giovani del Comune di Ferrara e con la Pediatria di
Comunità, sono stati somministrati test riguardanti il disagio corporeo e gli atteggiamenti
alimentari a un campione di circa 188 ragazze di 15 anni e relative mamme.
Si è rilevato come l’11% delle ragazze sottopeso mostrava segni di disagio corporeo moderato e grave, ma il disagio corporeo era presente anche nel 24% del campione in normopeso.
Tabella 1
Il disagio corporeo era presente anche nelle madri delle ragazze, con una distribuzione
diversa a seconda dell’età del genitore.
Tabella 2
77
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Analizzando insieme il disagio corporeo nelle madri e il BMI delle figlie, i valori maggiori di
disagio corporeo risultavano correlati con sottopeso nelle figlie: cioè, quanto più le madri
sono focalizzate sul fisico e hanno una sensazione di disagio rispetto alla loro forma fisica, tanto più le figlie attivano controllo sul peso e alimentazione per restare in un range di
sottopeso.
Tabella 3
Anoressia Tardiva
Se i DCA in adolescenza sono individuati solo in piccola parte, ancor più arduo è fare diagnosi negli esordi tardivi di Anoressia e Bulimia. Pur essendo un’area di nicchia, gli esordi
tardivi non sono rari e possono essere di difficile individuazione dato che lo stereotipo dei
DCA è riferito a giovani donne.
Molte sono le perplessità degli autori riguardo la reale presenza di un esordio tardivo di
An (21).
Viene generalmente considerato tale un esordio che si verifica dopo i 25 anni (o secondo
altri autori dopo i 30 anni) e può avvenire anche in età avanzate.
Le difficoltà maggiori riguardano la capacità di stabilire se si tratta di un vero e proprio esordio o di una ricaduta di un DCA precedente non diagnosticato o presente in forma parziale.
In molti casi, un episodio di Anoressia in età avanzata si rivela essere una ricaduta di un
DCA già presente in adolescenza, che ha avuto un lungo periodo di remissione totale o
parziale.
La percentuale di esordi tardivi è molto bassa e gli studi sono condotti solo su pochi casi;
inoltre è molto difficile avere un’anamnesi affidabile, sia perché nei decenni passati non vi
era un’attenzione adeguata verso i DCA, sia perché gli episodi possono essersi presentati
in forma non completa o non essere stati valutati adeguatamente dalle pazienti. Gli studi,
pur basandosi su pochi casi, evidenziano come le caratteristiche sintomatologiche degli
esordi tardivi sembrano ricalcare i quadri di Anoressia e Bulimia in età giovanile. La dispercezione corporea con la focalizzazione sul peso e il raggiungimento di gravi sottopeso è
78
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
simile all’Anoressia in adolescenza, mentre sembrano essere meno presenti pratiche evacuative e, come pratica di compenso, c’è un maggior uso di iperattività fisica compulsiva.
In genere, gli esordi tardivi di Anoressia e Bulimia sono preceduti da eventi luttuosi e sono
accompagnati frequentemente da depressione. La maggiore presenza di comorbilità psichiatrica comporta anche un più alto grado di isolamento sociale e di difficoltà relazionali.
Essendo situazioni non frequenti, raramente vengono diagnosticate con conseguente pericolo di stabilizzazione nel tempo: la prognosi nella casistica considerata avrebbe infatti un
andamento peggiore (22, 23). Quando si sospetta un DCA in un’età adulta, è indispensabile
seguire lo stesso protocollo dei DCA in età giovanile: la paziente deve essere inviata in un
Centro multidisciplinare per un adeguato inquadramento diagnostico e per un trattamento
che, pur tenendo conto dell’età e delle caratteristiche di comorbilità, segue la presa in carico indicata dalle linee guida per i disturbi alimentari.
DCA e gravidanza
La gravidanza sembra essere un periodo a basso rischio di sviluppo di DCA, è decisivo
però monitorare attentamente le donne gravide che hanno avuto in passato o hanno in
corso un disturbo alimentare.
In genere, le pazienti che hanno sofferto di un episodio di Anoressia hanno come conseguenza una ridotta fertilità, stimata attorno al 40%, ma anche la maggior parte delle pazienti
con Bulimia Nervosa riporta irregolarità mestruali e il 5% ha un’amenorrea secondaria (24).
Avendo cicli irregolari o assenti, le pazienti pensano di non poter concepire e non usando
adeguati metodi contraccettivi sono esposte al rischio di gravidanze non desiderate.
Inoltre, vi sono situazioni in cui, anche se vi è la persistenza della sintomatologia anoressica, il ciclo mestruale rimane inalterato e le pazienti possono programmare una gravidanza:
questa situazione pare particolarmente frequente in giovani donne immigrate (25). In questi
casi, in realtà, bisognerebbe consigliare alle donne con Anoressia florida un trattamento
che possa consentire una remissione dei sintomi e il raggiungimento di un peso adeguato
prima di intraprendere una gravidanza.
Quando le pazienti rimangono incinte, vi è spesso una grande difficoltà ad accettare l’aumento di peso e i cambiamenti fisici, sia per la psicopatologia che sottende i DCA, sia per
agli aspetti di dispercezione corporea.
In genere, durante la gravidanza, migliora la sintomatologia legata alle pratiche di compenso, come utilizzo di vomito o lassativi, soprattutto per le preoccupazioni della madre
rispetto alla salute del figlio, mentre peggiora l’insoddisfazione corporea (26).
L’impatto del DCA sulla madre e sul bimbo di solito è modesto, ma si rileva come donne
con Bulimia Nervosa abbiano più spesso aborti e donne con Anoressia nervosa partoriscano bimbi di peso inferiore alla media (27).
Tra le complicanze legate alla presenza di Anoressia possiamo avere: sviluppo di osteoporosi, iperemesi, ridotta crescita intrauterina del feto, parto prematuro.
La presenza di Bulimia può esporre al rischio di maggiore aumento di peso in gravidanza
legato alle abbuffate, complicanze legate alle pratiche evacuative, ipertensione e depressione post-partum (28).
La presenza attuale o pregressa di un DCA rende indispensabile uno stretto monitoraggio
delle pazienti fin dall’inizio della gravidanza per evitare le complicanze legate al disturbo e
per impedire una ricaduta del disturbo stesso nel periodo post partum.
E’ importante che i ginecologi fissino controlli molto ravvicinati per dare tempo alle pazienti
79
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
di esprimere le preoccupazioni legate al cambiamento del forma fisica e possibilmente
gestirle insieme ad un Centro specialistico per DCA.
E’ necessario informare le pazienti fin dall’inizio sull’entità dell’aumento di peso fisiologico,
coinvolgere il partner nella gestione della corretta alimentazione e del peso e aiutarlo a
supportare la gravida nelle ansie collegate al peso (29).
Purtroppo i DCA, in particolare le forme parziali, sono largamente sottodiagnosticati in
gravidanza: dai dati di letteratura si rileva come meno della metà dei ginecologi faccia
un’indagine sui comportamenti alimentari alterati o sul controllo del peso (30) e solo il 45%
delle pazienti con DCA chieda spontaneamente un trattamento, mentre la maggior parte
non dichiara i propri problemi alimentari durante le visite (31).
Riportiamo alcune domande che potrebbero essere utili per valutare l’andamento del DCA
in una donna gravida.
- Come ti senti rispetto al peso e alla tua forma fisica?
- Stai restringendo l’alimentazione?
- Hai momenti di perdita di controllo sul cibo?
- Usi vomito o lassativi dopo mangiato?
- Stai guadagnando peso in modo corretto?
- Stai facendo esercizio fisico? Quanto?
- Ti senti giù o ansiosa?
Tabella 4
Se il DCA può migliorare durante la gravidanza, il periodo post-partum diventa ad alto
rischio per una ricaduta e per lo sviluppo di un episodio depressivo (32).
Le donne con DCA hanno molte preoccupazioni sulla loro capacità di nutrire e accudire
adeguatamente i figli e sulla possibilità che anche loro sviluppino un DCA (33).
In generale, madri con disturbi alimentari possono avere maggiori preoccupazioni per il
peso e per l’alimentazione dei figli e, spinte dalla paura di un eccessivo aumento di peso
soprattutto nelle figlie femmine, possono nutrirle con minore regolarità o nutrirle in maniera
insufficiente (34). L’ipoalimentazione dei figli sembra essere più frequente nelle madri che
hanno un disturbo caratterizzato da presenza di abbuffate, mentre le donne con Anoressia
tendono a interrompere precocemente l’alimentazione al seno del figlio (35).
Si è rilevato, inoltre, come i pasti possano essere vissuti con grande ansia ed essere momenti di grave conflittualità, con atteggiamenti negativi e ipercritici da parte delle madri (36).
Ricordiamo, infine, che la presenza lifetime di un disturbo alimentare nelle madri è ritenuto
un fattore di rischio per lo sviluppo di DCA nei figli, quindi interventi educativi e di supporto
alle madri risultano essere fondamentali anche per interrompere il ciclo di possibile trasmissione del disturbo alimentare da una generazione all’altra.
Binge Eating Disorder nel post partum e in menopausa
Il periodo post partum e il periodo della menopausa sono momenti ad alto rischio di sviluppo di Binge Eating Disorder (BED) e aumento consistente di peso (37).
Il BED è stato inserito in appendice tra le proposte diagnostiche nel DSM 4-TR, ma nella
pratica clinica questa diagnosi è largamente utilizzata inoltre, come abbiamo ricordato, nel
DSM 5 probabilmente il BED entrerà a far parte a pieno titolo dei DCA.
Attualmente è in corso un interessante dibattito sull’influenza dei DCA nello sviluppo e
80
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
mantenimento dell’obesità, al punto da proporre l’obesità stessa come una malattia con
importanti aspetti psicopatologici (38).
Riportiamo una Tabella con i criteri diagnostici proposti per il BED nel DSM 4-TR (39).
CRITERI DIAGNOSTICI PER BINGE EATING DISORDER
A) Presenza di abbuffate: ogni abbuffata caratterizzata da:
- mangiare in un definito periodo una quantità di cibo significativamente
maggiore di quello che la maggior parte delle persone mangerebbe;
- sensazione di perdere il controllo durante l’episodio;
B) Non ci sono metodiche di compenso (associato con obesità)
C) Episodi associati con 3 o più dei seguenti sintomi:
1) mangiare molto più rapidamente del normale
2) mangiare fino a sentirsi spiacevolmente pieni
3) mangiare grandi quantità di cibo anche se non ci si sente fisicamente affamati
4) mangiare da soli a causa dell’imbarazzo
5) sentirsi disgustato verso se stesso, depresso o molto in colpa dopo le abbuffate
D) E’ presente marcato disagio riguardo al mangiare incontrollato
E) Il comportamento alimentare incontrollato si è manifestato mediamente almeno
2 giorni alla settimana negli ultimi 6 mesi.
Tabella 5
Si calcola che il BED sia presente in circa il 30% degli obesi che cercano un trattamento
per il peso e sia presente nella popolazione generale di obesi per circa l’8-10% dei casi,
ed è inoltre correlato ad indici più alti di BMI e a una maggiore velocità di incremento sul
peso (40).
In realtà, è difficile avere dati affidabili a causa della grande difficoltà di rilevazione degli
episodi di Binge Eating, perché spesso i pazienti non hanno consapevolezza del disturbo.
Gli episodi di perdita di controllo sul cibo vengono vissuti solo come una “mancanza di
volontà” o definiti come “fame nervosa” e sono accompagnati da un grande senso di vergogna, che ostacola una corretta indagine.
Altri aspetti importanti sono l’assenza di pratiche purgative, che rendono più evidenti gli
episodi di abbuffata e la concomitante presenza di aspetti depressivi che possono alterare
la valutazione di episodi binge.
Molte donne collegano l’esordio del BED ai loro tentativi di dieta per perdere il peso guadagnato in gravidanza (41), ma nella maggior parte dei casi l’esordio è collegato ad aspetti
depressivi. I dati epidemiologici indicano come circa il 10-17% delle donne nella popolazione generale abbia un episodio di depressione durante la gravidanza, in aggiunta circa
l’80% delle puerpere sperimenta modesti segni depressivi (post-partum blues) che in genere si risolvono nel giro di alcune settimane. Nel 18% dei casi, però, vi sono veri e propri
episodi depressivi post partum, che permangono nei mesi successivi con impatto negativo
sul funzionamento materno, sulle relazioni sociali e nel rapporto con il cibo (42). Quindi, la
depressione può essere un motore per lo sviluppo di un BED ma, per converso, anche la
presenza di un disturbo alimentare può essere un fattore di rischio per sviluppo di depres-
81
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
sione: in letteratura si considera che donne con Bulimia o BED hanno un rischio di sviluppare depressione post partum tre volte superiore alla popolazione generale (43).
In menopausa la prevalenza di depressione sembra aumentare rispetto ad altri periodi
della vita femminile, allo sviluppo di un episodio depressivo possono concorrere più fattori:
il calo di estrogeni, i sintomi fisici legati alle variazioni ormonali, aspetti psicopatologici ed
eventi di vita (44, 45). I sintomi psicologici come depressione o ansia sembrano essere sperimentati soprattutto nel periodo perimenopausale (46).
Pare che il periodo della menopausa sia vissuto in modo più complicato e più disturbato nel mondo occidentale rispetto, per esempio, alle donne asiatiche (47). Sicuramente la
perdita della fertilità e i cambiamenti fisici legati all’invecchiamento, associati a maggiore
frequenza di eventi di vita tipo perdite o cambi di ruolo lavorativo e famigliare possono
avere una grande influenza, in particolare in donne che già in precedenza hanno sofferto
di un episodio depressivo (48).
Gli stessi sintomi fisici della menopausa (vampate, sudorazioni notturne con disturbi del
sonno, ecc) che compaiono in modo poco controllabile possono avere un ruolo importante
nello sviluppo di disagio corporeo e di aspetti depressivi, in quanto è necessario un grosso
sforzo di adattamento e di accettazione della nuova realtà fisica e psicologica da parte
delle donne.
Anche l’aumento di peso e la ridistribuzione del grasso corporeo, che può accompagnare
il periodo della menopausa, tende a rendere ancor più marcata l’insoddisfazione corporea
(49)
.
Lo sviluppo di obesità in età adulta, in particolare nella menopausa, è spesso strettamente
collegato con lo sviluppo di comportamenti alimentari caratterizzati da episodi di perdita di
controllo sul cibo.
Se consideriamo quindi che la menopausa è un periodo in cui è più frequente il disagio
corporeo, i comportamenti di perdita di controllo sul cibo e gli episodi depressivi possiamo
a buon diritto considerarlo un periodo ad alto rischio di sviluppo di un disturbo del comportamento alimentare (50).
Quindi anche in questo periodo una variazione di peso va attentamente indagata e inquadrata in un contesto più ampio.
Infatti, nel trattamento del peso la presenza di un BED determina minore aderenza alle
cure, maggiore frequenza di drop-out, minore capacità di sopportare i fallimenti terapeutici.
Il rischio più frequente è che la variazione di peso, il BED e gli aspetti depressivi non
vengano adeguatamente inquadrati e messi in relazione tra loro e quindi non vengano
predisposti trattamenti multidisciplinari rivolti alla globalità del problema, con il risultato di
trattamenti fallimentari.
“Gli psicologi mi vedono solo grassa, i dietisti mi vedono solo matta” con questa frase una
paziente ha espresso bene, anche se in modo un po’ forte, il pericolo di un approccio parziale che non tiene conto della complessità del quadro clinico (51).
Attività del centro DCA di Ferrara
Riportiamo, infine, alcune tabelle con i dati dei pazienti BED trattati presso il Centro DCA
dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria di Ferrara.
Nella Tabella 6 sono riassunte le diagnosi dei pazienti che hanno completato la fase diagnostica e hanno fatto un trattamento dal 1997 al 2009, sono esclusi quindi tutti i pazienti
che hanno avuto un drop-out precoce. Per comodità, definiamo come “Obesità” sindromi
82
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
BED sottosoglia accompagnate da altri disordini nel comportamento alimentare (es. grazing) in obesi e definiamo “NON DCA” quadri sottosoglia in area anoressica e bulimica,
in cui l’alto rischio di sviluppo di una sindrome completa, ha consigliato comunque un percorso di cura presso il Centro.
Tabella 6
Possiamo notare come i pazienti con BED e obesità (BED sottosoglia) abbiano un’età
decisamente più alta rispetto a pazienti con altre forme di disturbo alimentare, in accordo
con quanto viene riferito in letteratura per i pazienti con BED.
Tabella 7
La correlazione tra tipi di diagnosi ed età ci mostra la diversa distribuzione dei disturbi
alimentari con prevalenza nell’età adulta di BED e forme sottosoglia, ma possiamo notare
come vi sia comunque una piccola percentuale di pazienti adulti che soffra di Anoressia e
Bulimia.
83
Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
Tabella 8
L’ultima tabella mostra come anche a Ferrara sia molto lungo il periodo tra l’esordio e la
richiesta di cure, con una media di 8 anni per il BED e di 11 anni per il BED sottosogliaobesità.
Tabella 9
Abbiamo cercato di dare una breve panoramica dei Disturbi del Comportamento Alimentare nelle diverse fasi della vita donne e delle difficoltà legate alla loro individuazione,
soprattutto negli esordi anomali, con l’obiettivo di creare interesse verso questi disturbi.
Abbiamo sottolineato come sia necessario arrivare ad una più efficace prevenzione secondaria, individuando sempre più precocemente queste patologie per affrontare tutti gli
aspetti clinici della fase acuta e per evitare la cronicizzazione. E’ fondamentale, quindi, che
tutti gli specialisti che a diverso titolo vengono a contatto con le fasce a rischio abbiano
chiare le dinamiche e i sintomi di questi disturbi per poterli più efficacemente individuare
e trattare.
Per ulteriori approfondimenti sull’argomento lasciamo alcuni riferimenti interessanti:
- www.disturbialimentarionline.gov.it
- www.ospfe.it
- http://www.regione.emilia-romagna.it/agenziasan/colldoss/index.htm
- www.disturbialimentazione.it
- www.sisdca.com (Società Italiana per lo Studio dei Disturbi del Comportamento Alimentare)
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Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
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Per contatti:
Dott. Emilia Manzato
Centro DCA
Azienda Ospedaliero-UniversitariaS. Anna
Ferrara
[email protected]
tel.0532-236070
Si ringrazia: Dott.ssa Marzia Simoni per la gentile collaborazione nella parte statistica.
86
Medicina di genere: I DISTURBI DEL COMPORTAMENTO ALIMENTARE
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
SOMMARIO
“La regolazione del peso corporeo”
Dott.ssa Cristina Tarabbia ............................................................................................pag. 5
“Anoressia e Bulimia maschile: focus sulle differenze di genere”
Dott.ssa Emilia Manzato ............................................................................................pag. 17
“La specificità di genere nella clinica del disturbo alimentare maschile
Dott.ssa Malvina Gualandi .........................................................................................pag. 32
“L’epidemia di Soprappeso, Obesità e Sindrome Metabolica in età
pediatrica. Proposte di prevenzione e Terapia”
Prof.ssa Rita Tanas ....................................................................................................pag. 49
“L’influenza degli ormoni sessuali sulla regolazione dell’omeostasi
energetica nelle fasi di vita della donna”
Dott.ssa Cristina Tarabbia ..........................................................................................pag.68
“I DCA nelle diverse fasi della vita femminile”
Dott.ssa Emilia Manzato ..............................................................................................pag.73
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Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Ferrara
RINGRAZIAMENTI
Si ringrazia il Presidente dell’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri,
dott. Bruno Di Lascio, e il Consiglio tutto per il costante sostegno.
Un sentito ringraziamento alle signore Mery Altavilla e Valentina Zanetti il cui duro lavoro,
grande competenza e abnegazione hanno reso possibile tutto questo.
I BOLLETINI SONO CONSULTABILI SUL SITO:
WWW.ORDIMEDICIFE.IT
nella sezione “BOLLETTINO ON-LINE”
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Ordine dei Medici Chirurghi
e degli Odontoiatri della provincia di Ferrara
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Giugno 2012 - Anno XXIX
Spedizione in A.P. - D.L. 353/2003 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1, comma 2, CN Ferrara