L` enigma del Mago Gabrielli All` annuncio che sta per arrivare sugli

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L` enigma del Mago Gabrielli All` annuncio che sta per arrivare sugli
31 agosto 1994 - Corriere della Sera
Un film di Brandauer s'ispira a un illusionista narrato da Thomas Mann. E protagonista di una strana storia
L' enigma del Mago Gabrielli
Nel racconto lo scrittore tedesco alludeva alle mistificazioni del fascismo. Luchino Visconti ne trasse la trama per un balletto ed
Eduardo per un atto unico. Una serata di trucchi nel ' 47 in un albergo di montagna e la scoperta che quel prestigiatore era morto
prima, nel ' 43 Chi era l' ipnotizzatore? Un impostore o il figlio che usava la fama paterna?
All' annuncio che sta per arrivare sugli schermi un film tratto da Mario e il mago di Thomas Mann, regista e
interprete nella parte dell' illusionista Cipolla l' austriaco Klaus Maria Brandauer, mi è riaffiorato alla memoria
un lontano incontro con l'ispiratore del racconto, il celebre Cesare Gabrielli. Proprio come il cameriere Mario
anch' io, infatti, fui vittima del mago, cioè ipnotizzato sulla scena sia pure con conseguenze meno tragiche.
Accadde d' estate, un paio d' anni dopo la guerra, nel teatrino parrocchiale di Cavalese. Nerovestito, spiritato e
tallonato da una compagna che pareva la modella per una statua del Monumentale, l' anziano Gabrielli
assomigliava alla caricatura che ne aveva fatto Eduardo nell' atto unico Sik Sik l' artefice magico: dove l'
espressione napoletana "sicco sicco" (secco secco) era coniugata col sontuoso epiteto che al personaggio aveva
donato D' Annunzio in persona. E lo spettacolo di Gabrielli corrispondeva perfettamente alla descrizione di
Mann, il quale l' aveva visto all' opera al Grand Hotel di Forte dei Marmi (ribattezzato sulla pagina Torre di
Venere) nel 1926. Borioso, autoritario e con la sigaretta in mano, furtivo nel ricorrere a qualche corroborante
bicchierino, il mago leggeva nel pensiero, riscriveva con esattezza sulla lavagna i numeri che uno spettatore
qualsiasi teneva in tasca su un foglietto di carta, si burlava dei giovanotti indigeni facendogli pronunciare degli
spropositi involontari o mimare azioni assurde fra le risate della platea. Nell' inquietante racconto lo scrittore
adombra una metafora del fascismo trionfante; e nella figura del mago plagiatore delle masse insinua una
chiara allusione a Mussolini. Per poi affidare alla conclusiva rivolta armata di Mario, umiliato e offeso, una
impressionante profezia della Resistenza. Mi dicono che Brandauer nel film ha rovesciato il finale: sicchè a
lasciarci la pelle non è più Cipolla, ma lo stesso Mario. Pochi sfuggono alla tentazione di "migliorare" la
grande letteratura. Forse ci riuscì Luchino Visconti quando dal racconto trasse la trama per un balletto
musicato da suo cognato Franco Mannino e messo in scena alla Scala nel ' 56 con Salvo Randone protagonista
recitante. Leggo fra l' altro che il regista "evitò di accentuare la risonanza antifascista del testo" e si attenne al
nucleo esoterico della favola. Ora non voglio dire che in quella lontana sera, constantando il rapporto di
fascinazione malata fra Gabrielli e il pubblico di Cavalese, pensai a Mann. Non ricordo neppure se all' epoca
conoscevo già Mario e il mago, comunque non seppi collegarlo alla realtà che avevo sotto gli occhi: coniugare
letteratura e vita, anzi farne uno strumento di conoscenza, è una pratica che si impara più avanti negli anni.
Altrimenti non mi sarei attentato a salire spavaldamente sul palco nell' illusione di sfidare l' illusionista. Il
vecchio in frac mi accolse con un imbarazzante ammicco di complicità , come se il mio avvento fosse scritto
nelle stelle e noi fossimo da sempre in combutta per qualche laida impresa. Mi venne incontro con il passo del
domatore che affronta un animale riottoso e a sorpresa, piazzandomi la palma sinistra a conca dietro la nuca,
con l' indice e il medio della destra mi puntò gli occhi quasi a trafiggerli. "Come si chiama lei? Dica forte il
suo cognome!" ordinò mentre le sue dita tese mi tremolavano davanti al naso. E intanto sotto sotto, senza farsi
sentire dal pubblico, ringhiava sibilando: "Zitto! zitto!". Mi sforzai di disobbedirgli scandendo il mio nome
con tutto l' impegno possibile, ma la voce si strozzava nella gola, non veniva fuori, non la sentivo... Il mio
conato fu provvidenzialmente interrotto da un applauso che lì per lì non capii se era rivolto a me o al mago. Di
questa prima fase della mia sfortunata esibizione conservo, tuttavia, un preciso ricordo. Totalmente rimosso, e
per sempre, fu invece il seguito del numero: ebbi appena l' impressione che il consenso per l' esperimento
vocale si prolungasse in una seconda ovazione più scrosciante; e il beffardo congedo di Gabrielli scattò tanto
repentino e poco cordiale da farmi ipotizzare un mio inspiegabile trionfo. Tornai in platea orgoglioso, dicendo:
"Visto che non me l' ha fatta?". Gli amici sogghignavano e qualcuno ribattè : "Ma come? Sei stato il successo
della serata". Il vago stordimento che provavo, come al risveglio da un sonno senza sogni, non m' impedì di
prendere viva parte al dramma che seguì , una specie di parafrasi di Mario e il mago senza il morto. Chiesto il
silenzio assoluto, Gabrielli aveva appena iniziato un saggio di levitazione avvalendosi della mummia che lo
assisteva quando i "vitelloni", forse per vendicarsi di essere stati ridicolizzati, si misero a schiamazzare. La
povera medium impallidì mortalmente scivolando dalla trance al deliquio, Gabrielli si affrettò agitatissimo a
risvegliarla: ma la magia non funzionava più . La compagna del mago non riusciva a riprendere coscienza e il
suo Pigmalione, persa letteralmente la testa, cominciò a ululare lanciando bibliche maledizioni contro la sala in
un sussulto di singhiozzi disperati. In molti invademmo il palcoscenico, intervenne il maresciallo dei
carabinieri e il tumulto continuò finchè la donna riaprì gli occhi e Gabrielli, smessa ogni velleità di continuare,
se la portò via teneramente abbracciata. Soltanto più tardi, a notte fonda, gli amici mi raccontarono ciò che
avevo combinato sul palcoscenico. Con singolare intuizione (facevo già il critico) Gabrielli mi aveva chiesto
se mi piaceva il cinema, quindi mi aveva fatto "vedere" prima un film comico, poi un film tragico, e io seduto
alla ribalta in faccia al pubblico avevo riso, pianto e riprodotto puntualmente tutte le reazioni che l'
ipnotizzatore volta a volta mi imponeva. Nel ripensarci provo un senso di incredulità e nessuna voglia di
scherzarci su: in realtà l' immagine grottesca, misteriosa e pietosa di Gabrielli non ha cessato di farmi paura.
Ed ecco cosa mi capita recentemente: consultando le note di Roberto Fertonani all' edizione Oscar dei
Romanzi brevi di Mann, scopro o riscopro che Vittorio De Sica chiamò Gabrielli nel suo film I bambini ci
guardano, girato tra il ' 42 e il ' 43, per la scena in cui un prestigiatore si esibisce davanti al piccolo
protagonista (una citazione di Mario e il mago? Un' idea di Zavattini, sceneggiatore del film). Però nella stessa
nota leggo le date di nascita e morte del nostro uomo e cado dalla sedia: Pontedera 1881 Firenze 1943.
Millenovecentoquarantatré ? Ma se Gabrielli era morto quattro anni prima come fece a ipnotizzarmi nel ' 47 in
un teatrino della Val di Fiemme? Dino Buzzati, che di misteri d' Italia se ne intendeva, intitolò un suo
bellissimo articolo sul Corriere del 3 settembre ' 65 Gabrielli, vecchio fantasma. Quello che mi fece perdere
ridere e piangere a comando sul palcoscenico era dunque uno spettro come il Re dell' Amleto? Chiedo lumi a
un dotto amico, ex prestigiatore in disarmo, e ne ho una spiegazione tranquillizzante. Ogni volta che scompare
un grande mago, numerosi imitatori si affrettano a prenderne il nome per battere abusivamente i teatri di
provincia. Spesso sono dotati quanto il modello di cui sanno riprodurre esattamente immagine, giochi e stile.
Ma c' è addirittura la possibilità che il "mio" Gabrielli fosse il figlio Danilo, continuatore dell' attività del
Mago con scarso successo: a Milano nel 1959 tentò il suicidio nell' anticamera di un agente teatrale per la
difficoltà di trovare scritture. Mi accorgo che per parlare dell' effetto che mi fece il suo spettacolo ho
scomodato Mann, D' Annunzio, Eduardo, Visconti, De Sica, Buzzati... Questi nomi tintinnano come altrettante
medaglie appuntate al petto del falsario, che prima di allontanarsi, vulnerato e infelice, rasente i muri del borgo
addormentato mi lanciò un ultimo indelebile sguardo.
Tullio Kezich