il progetto realizzato, parte prima
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il progetto realizzato, parte prima
BEAMS PROJECT [Breaking down European Attitudes towards Migrant/Minority Stereotypes Project code: JUST/2011/FRAC/AG/2844 Alla tavola degli Altri. Conoscere persone, saperi e sapori diversi per dare un calcio ai pregiudizi Classi III E – IV A I.P. «Cesare Musatti» – Dolo Come afferma Amara Lakhous, scrittore migrante di origini algerine, non c’è rispetto fra i popoli senza conoscenza reciproca. Il progetto Alla tavola degli Altri. Conoscere persone, saperi e sapori diversi per dare un calcio ai pregiudizi, di cui è proponente e capofila l’Istituto Professionale «C. Musatti» di Dolo, presenta un percorso formativo, insieme culturale e professionalizzante, finalizzato ad abbattere gli stereotipi etnici e a favorire l’inclusione, attraverso l’incontro degli studenti con scrittori di altre culture e con le detenute straniere del carcere femminile della Giudecca. La cucina – luogo reale e topos artistico, letterario e cinematografico - sarà in entrambi i casi il focus del dialogo interculturale. I INCONTRO, 18 marzo 2014 Avvio con la presentazione del progetto a classi riunite: III E (Cucina e sala e Vendita) + IV A (Servizi Commerciali) II INCONTRO, 8 aprile 2014, classi III E+ IV A (in plenaria) Avvio del progetto alla presenza dei ricercatori di Veneto Lavoro: I pregiudizi e la loro percezione Materiali per il brainstorming: film e immagini Un esempio? QUI III INCONTRO, 15 aprile 2014, classi III E+ IV A (in plenaria) Igiaba Scego Salsicce, da AA. VV. Pecore nere (Laterza, Roma-Bari 2006, pp. 23-36). Alto il gradimento degli studenti! Igiaba Scego Non avevo molti amici a scuola, sia all’asilo sia alle elementari. Di solito me ne stavo in un angolino sola a mangiare la merenda che mamma mi aveva amorevolmente preparato. Povera, la mia mamma, non sapeva come aiutarmi. Era difficile anche per lei stare in terra straniera. Una volta mi ha anche spiato. Voleva capire meglio quel mio pianto quotidiano e continuo. Me lo disse anni dopo, quando ero più grande. E mi ha visto sola soletta in un angolo. Le uniche parole che mi venivano rivolte erano orribili, tipo sporca negra. […] Mamma però di risorse ne aveva e ne ha tante. Cominciò a raccontarmi le storie della Somalia. Perché per i nomadi somali nella storia c’è sempre nascosta la soluzione. Le sue storie avevano un obiettivo: voleva farmi capire che non venivamo dal nulla; che dietro di noi c’erano un paese, delle tradizioni, una storia. Con i suoi racconti mia madre mi ha liberato dalla paura che avevo di essere la caricatura vivente nella testa di qualcuno. (I. Scego. La mia casa è dove sono, Loescher, Torino 2012, pp. 153-154) Mia madre «con i suoi racconti mi ha reso persona. In un certo senso mi ha partorito di nuovo» Igiaba Scego si reputa soprattutto una “raccoglitrice di storie”. In effetti, anche quando ragiona di questioni scottanti, come quella dell’identità o dell’infibulazione cui le somale sono costrette, è forte come un dromedario e leggera come una gazzella. Ecco come, per esempio, nel racconto Salsicce (2005) ci narra le sue reazioni alla proposta italiana di qualche anno fa di prendere le impronte digitali a tutti gli extracomunitari intenzionati a rinnovare il permesso di soggiorno. Lei di origini somale ma nata e vissuta in Italia, cosa avrebbe dovuto fare? 10 www.beams-project.eu Italia o Somalia? Dubbio. Impronte o non impronte? Dubbio atroce. Salsicce, in AA.VV., Pecore nere, a cura di F. Capitani e E. Coen, Laterza, Roma-Bari 2005 11 www.beams-project.eu Credo di essere una donna senza identità. O meglio con più identità. Chissà come saranno belle le mie impronte digitali! Impronte anonime, senza identità, neutre come la plastica. […] Un bel problema l’identità, e se l’abolissimo? […] Per esempio io mi sento tutto, ma a volte sono niente. Per esempio sono niente sull’autobus quando sento la frase «questi stranieri sono la rovina dell’Italia» e mi sento gli occhi appiccicati addosso tipo big bubble. Oppure quando una donna somala […] nota che la mia pipì fa più rumore della sua, grazie ad un getto più potente. Esco dal bagno ignara del fatto che la mia pipì sia stata spiata e noto uno sguardo cattivo posato sulla mia spalla sinistra. Infine il commento velenoso «ma tu sei una nijas (impura) […]. Inutile spiegare alla signora che l’infibulazione non ha niente a che fare con la religione e che è solo una violenza sulle donne. […] Allora devo ringraziare l’Italia per il fatto di avere ancora il [kintir]? E la Somalia? Non devo forse il mio rispetto per il prossimo e per l’ambiente che mi circonda alla gloriosa terra di Punt? [così la Somala era chiamata dagli antichi egiziani] (Igiaba Scego, Salsicce, in AA.VV., Pecore nere, a cura di F. Capitani – E. Coen, Laterza, Roma-Bari 2005, pp. 26-30, passim) 12 www.beams-project.eu Salsicce, di Igiaba Scego Daniele Carraro (III E) Discussione produzione e raccolta commenti degli studenti 13 La protagonista somala è una donna molto combattuta con se stessa. Pur di essere accettata in Italia, il paese di adozione, arriva a fare un gesto contrario alla sua religione: mangiare delle salsicce che lei ha sempre considerato cibo immondo. Non avrebbe dovuto neanche comprarle e infatti alla fine rinuncia. Con questo racconto, secondo me, la scrittrice trasmette questo messaggio a noi lettori: non vergognatevi di ciò che siete, non badate alle critiche altrui e non rinunciate a vivere nel rispetto delle vostre idee. www.beams-project.eu Salsicce, di Igiaba Scego Maristella Lando Discussione produzione e raccolta commenti degli studenti 14 Andare contro i propri principi non è mai una soluzione ai problemi, neanche a quelli dell’integrazione e dell’inclusione. Quando si arriva in un Paese straniero è giusto rispettare le sue leggi, senza rinnegare però le proprie convinzioni. Mi è piaciuto molto leggere che Igiaba Scego si sente una donna “con più identità”, con più lingue e più culture. [cfr. altri commenti su Salsicce] www.beams-project.eu IV INCONTRO, 28 aprile 2014, classi III E+ IV A (plenaria) Carmine Abate a) «Vivere per addizione», intervista a) Il terzo giorno, da Il muro dei muri (Argo, Lecce 1993, pp. 74-78) Carmine Abate Infine avevo sentito l’esigenza di fermarmi veramente. Ero stanco di quella che chiamavo «l’altalena nel vuoto, su e giù per l’Italia e l’Europa, giù e su, per ritrovarmi sempre altrove. Succedeva lo stesso anche ai personaggi delle mie storie: un’inquietudine incessante che da me passava a loro e poi mi ritornava indietro, ingrossata durante il tragitto come un fiume in piena. Allora, con un righello e la carta geografica dell’Europa, avevo cercato un luogo a metà strada fra la mia terra d’origine [la Calabria] e la Germania del Nord, la terra che per motivi di lavoro e poi affettivi mi aveva attratto a sé. Fu così che mi fermai in Trentino […] Dopo circa sette anni di Trentino, ritornai in Germania, a Colonia, con l’intenzione di restarci un anno […]. Allora non sapevo che il mio sguardo era cambiato […]. Guardavo la gente, le cose, la città con uno sguardo distaccato, a volte ironico, che mi portavo dietro dalla terra di confine […]. Forse fu grazie a quello sguardo, privo di spine e di rancore, che un giorno sentii un clic nella mia testa. M’illuminai. Se per i tedeschi continuavo a essere uno straniero; per gli altri stranieri, un italiano; per gli italiani un meridionale o terrone; per i meridionali, un calabrese; per i calabresi, un albanese o «ghiegghiu», come loro chiamano gli arbëreshë; per gli arbëreshë, un germanese o un trentino; per i germanesi e i trentini, uno sradicato, io per me ero semplicemente io, una sintesi di tutte quelle definizioni, una persona che viveva in più culture e con più lingue, per nulla sradicato, anzi con più radici, anche se le più giovaninon erano ancora affondate nel terreno ma volanti […] Ma ora non posso e non voglio più tornare indietro. Voglio vivere per addizione, miei cari, senza dover scegliere per forza tar Nord e Sud… (C. Abate, Vivere per addizione, in Vivere per addizione e altri viaggi, Mondadori, Milano 2010, pp.141-147) La terza sera è il racconto di un omicidio razzista. La vittima è un «germanese», ossia un italiano di origini calabresi ormai da molti anni in Germania, ammazzato senza motivo da un giovane neonazista del suo stesso quartiere. L’io che racconta è una sorta di io collettivo dei paesani del morto. (Sebastiano Martelli) [cfr. il racconto nel file allegato] 18 www.beams-project.eu «Chi l'avrebbe detto alla moglie, come avrebbe fatto lei a sopportare questo dolore, con due figli piccoli, sola in una città straniera? Forse sarebbero venuti i suoi familiari dal paese, anzi, senza forse, qualcuno sarebbe venuto di sicuro, ma cosa potevano dirle, se non disperarsi con lei, senza credere ai loro occhi e alle loro orecchie. Bisognerà aiutarla, lei non parla tanto bene il tedesco, e per trasportare una salma all'estero ci vuole l'iraddidio. Sì, l'aiuteremo, dicevamo, è nostro dovere, non possiamo lasciarla sola, poteva capitare a me, a te, a ognuno di noi.» (p. 76) 19 www.beams-project.eu «Ma forse era nell'aria, dice il Rosso, quello con la esse strana, sci-sce, che sa il tedesco come un tedesco. Lui che legge i giornali ha detto: non li leggete i giornali? mica è la prima volta, cose così sono successe in tante altre città, e anche in Francia, tante volte, in Inghilterra, e persino in Italia. In Italia? Sì, in Italia, ha detto il Rosso, pazzi fanatici ce n'è dappertutto, e lui è ben informato. » (pp. 76-77) «La terza sera, ci è riuscito: due colpi secchi, senza pietà, accompagnati da uno stupido slogan, Ausländer raus, fuori gli stranieri, uno dei tanti che si leggono sui muri e ai quali abbiamo fatto l'abitudine. » (p. 78) 20 www.beams-project.eu Discussione, produzione scritta e raccolta dei commenti (cfr. file word allegato) V incontro, 11 maggio (III E) 14 maggio 2014 (IV A) Veronica De Mizio (III E) “AUSLÄNDER RAUS!”, “FUORI GLI STRANIERI!”, quante gravi conseguenze possono derivare da uno slogan tanto superficiale. Alto il gradimento degli studenti! 21 www.beams-project.eu Giulia Boldrin (IV A) . La storia raccontata da Carmine Abate, scrittore che vive sulla sua pelle l’esperienza dell’emigrazione e della pluralità delle culture e delle lingue, denuncia l’ostilità e il rifiuto verso lo straniero che, per necessità, arriva in Paesi come il nostro. In Italia, infatti, il razzismo è molto diffuso. Ma nel racconto di Abate, la vittima non è un pezzente, non è un delinquente, né uno spacciatore scansafatiche; è invece un italiano che lavora onestamente per mantenere la propria famiglia. Tutto questo mi fa riflettere sul presente con occhi nuovi. 22 www.beams-project.eu Alberto Bulla (III E) . Leggere il racconto La terza sera, che fa parte della raccolta Il muro dei muri di Carmine Abate, mi ha suscitato sentimenti di tristezza e amarezza mescolate a rabbia perché mandare via gli stranieri non aiuta a risolvere i problemi economici di un Paese. Questo modo di pensare è una vergogna per la nostra società. Nei confronti degli extracomunitari noi abbiamo obblighi civili e morali: trattarli meglio di come siamo stati trattati noi come emigranti. Per questo, secondo me, la scuola e la famiglia giocano un ruolo importante. Chi pensa che gli extracomunitari sono tutti delinquenti sbaglia. Noi italiani siamo forse tutti uguali? Tutti buoni e onesti? [cfr. altri commenti degli studenti] 23 www.beams-project.eu VI INCONTRO, 30 aprile 2014, classi III E+ IV A (plenaria) Pepe Danquart a) Schwarzfahrer (Viaggiatore in nero), cortometraggio tedesco (durata: 9’) Alto il gradimento degli studenti! Michele Serra a) Ehi, amico! Tu leggere qui! Caro Naziskin, io scrivere te con parole facili facili, così forse tu capire. Io leggo sui giornali che tu essere “bestia” e “belva”, ma io non credere. Io credere tu essere ignorante: e ignoranza è grande problema per tutti, anche per me. Perché persona ignorante è persona debole, e persona debole è persona che ha paura, e persona che ha paura è persona che diventa cattiva e aggressiva, e fa “bonk” con bastone su testa di poveraccio. Vere “bestie” e “belve” sono certi giornalisti (molti) e certa televisione (quasi tutta), che dicono stronzate così noi restare tutti ignoranti e potere restare in mano di potenti. Io vuole dire questo: se tu picchia un poveraccio, tu non dimostra tua forza. Tu dimostra tua debolezza e tua stupidità. Perché sua testa rotta non risolve tuo problema. Tuo problema è che tu vivere in periferia di merda, senza lavoro o con lavoro di merda. Tuo problema è che tu essere ultima ruota del carro. Allora tu volere diventare forte, e tu avere ragione. Ma nessuno diventa forte picchiando (quaranta contro due) due persone deboli. Se tu volere diventare forte, tu dovere ribellarti a tua debolezza. Tu dovere pensare. In tua crapa rapata esserci cervello. Tu allora usare cervello, non bastone. Tuo cervello avere bisogno di cibo, come tua pancia. Tu allora provare a parlare, a leggere, a chiederti perché tu vivere vita di merda. Questo essere: cultura. E cultura essere sola grande forza per migliorare uomo. Io sapere: leggere essere molto faticoso. Pensare essere ancora più faticoso. Molto più faticoso che gridare “negro di merda” o “sporco ebreo”: gridare stronzate essere molto facile. Tutti essere capaci di insultare e odiare. Me non importare niente se tu avere crapa rasata e scarponi: per me, tu potere anche metterti carciofo su testa e tatuare tue chiappe. Me importare che tu rispetta te stesso, tuo cervello e tua dignità, così forse tu impara a rispettare altri uomini. Se tu grida “sporco ebreo”, tu dovere almeno sapere cosa essere ebreo. […] Se comincia a fare domande, tu comincia a vincere. Domande essere come chiavi di macchina: basta una domanda per accendere motore e andare lontano. Io molto preoccupato per te (e anche per testa di quelli che vuoi picchiare). Io preoccupato perché il potere, quando vede persone ignoranti e cattive, può fare due cose: metterti in prigione, e prigione è come immenso “bonk” su tua testa. Oppure servirsi di te come uno schiavo, mandarti a picchiare e torturare e bruciare mentre lui, vive in bella casa con bella macchina. […]. Vuoi essere libero? Tieni tua testa rapata, ma impara ad amare tuo cervello. Forza e potere abitano lì: dentro zucca, non sopra zucca. Ciao. (Michele Serra, Ehi, amico! Tu leggere qui!, in «Cuore», 2 marzo 1992) Senza disdegnare il triviale, il pezzo di Serra esprime il suo umorismo attraverso la spiritosa infrazione delle regole comunicative, l’uso delle onomatopee e del linguaggio gergale, allo scopo di imitare l’incultura dei naziskin, vittime - secondo Serra - di una deprivazione socio-culturale che li estranea anche dalla fruizione corretta della lingua. 28 www.beams-project.eu BEAMS PROJECT [Breaking down European Attitudes towards Migrant/Minority Stereotypes Project code: JUST/2011/FRAC/AG/2844 Conclusione prima parte, giugno 2014