anam e l`accettazione serena della morte

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anam e l`accettazione serena della morte
Il Tema
ANAM E L’ACCETTAZIONE
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SERENA DELLA MORTE
di Enzo Brogi
Tiziano Terzani, da poco scomparso, ci ha lasciato un grande
esempio nella lotta contro la guerra e nell’accettazione serena
della morte. La sua è stata una vita incredibile, piena di coraggio
e di ricerca della libertà: libertà personale e libertà dal potere e
dal bisogno di compiacere i potenti di turno.
Una vita ricca e straordinaria
Mi imbarazza scrivere di Tiziano Terzani e
fino ad oggi me ne sono sempre sottratto.
Parlarne in una rivista autorevole come
«Testimonianze» è ancora più difficile, ma
non so dire di no al suo direttore Severino
Saccardi. Ci proverò consapevole che negli ultimi anni molti hanno parlato e scritto cose belle e meritate sulla vita di Terzani tanto ricca e straordinaria e così ben
raccolta nel suo lavoro postumo trascritto
dal figlio Folco.
Da quando Tiziano ha «abbandonato in
serenità il suo corpo», la sua figura è diventata una icona del nostro tempo, una
presenza enorme, assoluta e molti hanno usato toni esagerati e iperbolici che
nonostante tutto gli avrebbero dato fastidio. Nonostante tutto, perché credo che
in certi suoi comportamenti, specie negli ultimi tempi, Tiziano cercasse di piacere agli altri con l’intento di provocar11
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si, per sfidare se stesso nella lotta contro il proprio ego, ma, sicuramente c’era dietro a questo atteggiamento qualcosa di più; era un modo, anche di grande efficacia
comunicativa per dare forza, voleva dare maggior peso specifico alla sua decisione
di rimettersi in cammino, «di dimettersi da pensionato», rispolverare la sua tessera
da giornalista.
Voleva che crescesse l’indignazione contro l’indifferenza e l’intolleranza. Dopo September eleven, è forte in Terzani l’impulso di scrivere ancora, di abbandonare la sua
casetta di legno sull’Himalaya per tornare in Italia, in quel paese che aveva abbandonato e di cui non sopportava le attitudini mafiose e gli inciuci di ogni genere. Lo fa
dopo aver letto quanto scritto da un’altra grande testimone del nostro tempo e in passato sua collega reporter di guerra, una giornalista quasi militante come lui, Oriana
Fallaci.
È ferito dalla intolleranza e dalla violenza del pensiero della sua antica amica che, secondo lui, aiuta ad «aizzare la bestia dell’odio che dorme in ognuno di noi ed a provocare quella cecità delle passioni che rende pensabile ogni misfatto e permette, a noi
come ai nostri nemici, il suicidarsi e l’uccidere».
Con la sua malattia, aveva principiato un cammino interiore, lasciando il mondo, il
nostro mondo, per vivere con un grande vecchio indiano su, in cima all’Himalaya, per
non parlare di politica, dei paesi o delle culture terrene, ma ascoltare il silenzio, capire questo universo che ruota attorno a noi. Cammino che interruppe proprio per una
netta visione della crescente follia, dell’intolleranza e del terrorismo. Certo che penso all’11 Settembre ma, paradossalmente ciò che credo lo abbia scosso maggiormente siano state proprio le idee e gli scritti della Fallaci, anche lei «da un altro punto di
osservazione» radicalmente colpita dall’attentato newyorkese, proprio lì di fronte alle
finestre della sua casa di Manhattan. Per lui «la goccia» decisiva.
Fu allora che sentì forte, il dovere, il bisogno di predicare (vocabolo che a Tiziano non
piacerebbe affatto) la pace, infatti scrive: «Se al loro attacco alle torri Gemelle noi risponderemo con un’ancora più terribile violenza – prima in Afganistan poi in Iraq, poi
chissà dove- alla nostra ne seguirà necessariamente una loro ancora più orribile, poi
un’altra nostra e così via».
È allora che pubblica con Longanesi: Lettere contro la guerra.
Vuole che il suo messaggio sia conosciuto, diffuso, per Tiziano è un dovere morale,
vuole che si organizzino incontri, presentazioni, scrive anche una lettera agli amici
più cari che lo aiutino in questo progetto.
Ludovico Guarnirei, un amico comune, mi farà leggere quella lettera circa la decisione di rimettersi in viaggio, vuole percorrere l’Italia, andare a parlare in qualsiasi posto
venga chiamato per un pellegrinaggio di pace:«Andrò ovunque, tranne in TV ove ogni
cosa, anche la guerra e la morte, divengono solo una scusa per fare spettacolo, dove
ti tolgono la parola per darla ad una soubrette o ad un generale che non ha mai visto
una guerra».
Poi con grande energia intellettuale ha attuato i suoi propositi nonostante fosse sofferente e con poco tempo da vivere. Per due mesi ha girato l’Italia, senza risparmiarsi,
spiegando la pace, le ragioni degli altri e la cecità dei potenti. Grida che le relazioni
non si risolvono a botte, esalta la comprensione e la capacità di mettersi nella situazione dell’altro, invita a non dare importanza al possedere piuttosto che dare importanza al riconoscersi ed all’individuo.
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Quell’uomo dalla lunga barba e dai capelli bianchi
Stupiva tutti quelli che allora ebbero la fortuna di incontrarlo, aveva una forza, un sorriso, una vitalità, un positivismo rari anche nelle persone che si illudono di avere davanti a sé molti anni da vivere.
Con questa energia iniziò ad incontrare gente di tutti i tipi, giovani e meno giovani, nei
conventi, nelle carceri, nelle università, voleva far capire quello che lui, in Asia, aveva
capito: Che siamo fatti tutti delle stesse cellule, che siamo tutti quanti la stessa cosa. Che
quello che faccio a te, lo faccio anche a me stesso. È stato in quel viaggio, tra tutta quella gente che incontrò e ascoltò, che anch’io ebbi l’opportunità di ascoltarlo, l’avventura di parlare con lui e la fortuna di essere sfiorato, accarezzato dalla sua risata. Dopo un
mio intervento ed una domanda mi disse prima di rispondermi: «…ora capisco perché
ti hanno votato così in tanti lassù a Cavriglia!». Eravamo a Terranuova Bracciolini, nel
Valdarno, terra e comunità che da allora è divenuta uno dei luoghi-custodi del pensiero di Tiziano Terzani. Vi si sono tenuti appuntamenti indimenticabili e affollatissimi, soprattutto da ragazze e ragazzi. Incontri organizzati per riflettere, ragionare sul pensiero
di quell’uomo dalla lunga barba e dai capelli bianchi che ci esortava a non arrendersi
all’oscurità che l’odio provoca sulla ragione, di non scegliere la facile strada della guerra dei cui orrori era stato testimone e cronista come in Vietnam o in Cambogia.
Quel mondo Terzani lo vede in mezzo a noi, il mondo delle torri gemelle, dell’Iraq,
dell’Afganistan, del terrore e delle guerre, dove tutto è precario e dove la sola certezza è l’incertezza.
Era molto, molto preoccupato per il futuro.
Da allora non ho più potuto parlare con lui, ho avuto però la fortuna di incontrare più
volte Angela, Folco e Saskia Terzani e di condividere con loro riflessioni e pensieri. È molto evidente incontrandoli, in modo particolare Folco che, tra l’altro ho frequentato di più,
l’arricchimento e la fortuna che hanno avuto e che attraverso il loro percorso familiare
hanno capito delle cose sulla vita ed avuto delle esperienze tanto rare quanto ricche, che
riescono con naturalezza a trasmettere a chi ha la fortunata avventura di rincontrali. Dopo questi incontri è stato ancor più coinvolgente riavvicinarsi agli scritti di Tiziano.
Qualche reportage su «L’Espresso»
Avevo letto, giovanissimo qualche reportage su l’«Espresso» quando il settimanale era
un enorme giornalone giallo, rosso e nero dai titoli ed i caratteri forti. Tiziano scriveva dal Vietnam e ricordo ancora nitido il suo racconto, ora per ora, della battaglia decisiva, quando i vietcong comandati dal generale Giap spuntavano da ogni luogo per
raggiungere la vittoria finale. Poi mi è capitato più raramente di leggerlo o avere sue
notizie, fino a quando un’amica tedesca mi regalò il suo libro sulla caduta dell’impero sovietico, Buonanotte signor Lenin, «sai – mi disse – in Germania è popolarissimo».
Subito dopo, catturato dal suo narrare, lessi Un indovino mi disse, forse il libro che
racconta l’inizio del suo radicale cambiamento di vita, quando scelse, nonostante il
suo mestiere che lo portava da un paese lontano all’altro, di non prendere più l’aereo
per un anno, perché un indovino anni prima gli aveva predetto un incidente se avesse volato. Con la scusa della profezia Tiziano fa la cosa che più gli piaceva, viaggia
«Mi pagano per fare la cosa che mi piace di più, ma non è meraviglioso?»
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E viaggiando impara a conoscere e accettare le culture e le religioni, anche quelle che
sembrano più difficili da comprendere, le più lontane da noi. È quasi un’ossessione la
sua determinazione e il suo impegno per rinnovare il nostro modo di stare al mondo:
accettarsi, conoscere e comprendere gli altri modi di vivere, di credere, di amare.
Con ironia parla di Oriente ed Occidente: «donna col burka o donna gnuda?»
Rivolgeva grande attenzione e curiosità verso le diversità, e così il Tiziano tollerante e
laico conclamato, sa essere allo stesso tempo buddista, guru, maestro di vita, anarchico, cattolico, discepolo, ebreo e comunista.
Quando si legge ci si arricchisce, ma con Tiziano sono andato al di là. Ad esempio,
anche nei resoconti dai Paesi più lontani, mi garba ritrovare la sua toscanità intelligente, un po’ gigiona ed anche un po’ provinciale, saggia e nello stesso tempo canzonatoria, proprio come la nostra cultura.
Mi affascina la sua anima popolare mai dimenticata che appartiene così tanto a tutti
quelli che abbiamo vissuto nella Toscana del dopoguerra. Chi non si riconosce quando racconta dei suoi genitori: «mio babbo era comunista e mia mamma democristiana, il mio babbo lo sbandierava ai quattro venti e mia mamma invece diceva che il
voto era segreto!».
Tiziano odiava il consumismo, e la paranoica ricerca dell’esteriorità. In un mondo, questo nostro mondo, in cui aneliamo ad ogni bene, oggetto, indumento che abbia visibilità, che ci omologhi alla collezione dello stilista del momento, Tiziano con molto
coraggio ed ironia si vestiva sempre di bianco e sempre con lo stesso completo fatto
cucire da un sarto indiano per poche rupie.
Negli ultimi anni se gli capitava di passare in Via Tornabuoni, davanti alle vetrine di
una catena di mutandine e jeans firmati che ha sfrattato una storica libreria fiorentina,
apriva la porta, incurante di chi ci fosse e tuonava con la sua bella voce: VERGOGNA!
Richiudeva e soddisfatto proseguiva.
Aveva coraggio Tiziano, quando era in Cambogia nella macabra foresta coi Kmer rossi o
quando ricercava il rumore del silenzio sull’Himalaya, quando conviveva con il suo male, quando si divertiva entrando provocatorio nel negozio griffato; aveva il coraggio della ragione e del cuore, era il coraggio, come lui scriveva, del superamento della paura.
Tiziano inizia anche a parlare della sua malattia, ma non di come curarla o dove andare per curarla, parla della malattia come metafora di un viaggio interiore alla ricerca della cosa più importante di tutte. Diviene così anche esempio e aiuto per tanti che
soffrono e combattono contro mali difficili, spesso letali, parla di morte e di abbandono e conquista così un numero incredibile di lettori in questo mondo dove la morte è nascosta sotto il tappeto del lifting e dei reality show.
Quando sopraggiunge la sentenza dei medici americani in cui fino ad allora aveva
creduto non accetta di sottoporsi ad inutili e devastanti terapie. Guarda la morte negli occhi per attenderla ed accoglierla con la leggerezza e la lucidità di chi vede il proprio corpo marcire. Lo fa con grande serenità e laicità.
Il ritorno a Orsigna
Lascia l’India e torna a casa sua, al luogo che più gli apparteneva, all’Orsigna che lo
aveva visto crescere fra storie di streghe e di incantesimi, torna alla natura che ama14
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va, al canto del Cucù, ai castagni secolari a cui appiccicava gli occhi per far capire al suo nipotino che sono esseri viventi.
Richiama il figlio Folco a cui affida il compito di riportare alle prossime generazioni il suo sapere e la sua esperienza con il
racconto della propria vita. Una vita incredibile, piena di coraggio e di ricerca
della propria libertà personale soprattutto
dal potere e dal bisogno di compiacere i
potenti di turno.
«Se vi capita di essere ad un bivio con una
strada in discesa ed una in salita. Scegliete quella in salita. Vi troverete sempre bene» Un insegnamento prezioso per quei
giovani oggi costretti ad accettare lavori
mal pagati sotto ricatto di licenziamento.
L’insegnamento di come accogliere e accettare la morte, l’esperienza più comune
a tutti gli uomini. Di accettare il distacco
da sé stessi, la rinuncia a quanto accumulato durante la vita, perfino il nome che si era fatto come scrittore e giornalista. Terzani diventa Anam, il senza nome per meglio prepararsi al passaggio finale senza rimpianti «se non quello di non poterlo scrivere». Questo è sicuramente l’ultimo, forse il
più grande messaggio di Tiziano Terzani. Ci insegnano fin da bambini ad accumulare,
ad avere successo, la moglie, il marito, i figli, la casa, la macchina, il conto in banca,
poi arriva la morte ed in un attimo devi lasciare tutto.
E allora ti rendi conto che «non hanno ancora inventato la bara con il portabagagli».
Ma lui invece ha capito ed accetta la morte, il cancro diventa benedetto per avergli finalmente insegnato a dare valore alle cose vere ed importanti. Il distacco dalla vita diviene, forse paradossalmente, il suo più ricco e affascinante viaggio che prosegue ancora e durerà: Tiziano Terzani che ci ha donato e condiviso con noi le grandi cose che
ha capito della vita.
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