Press-book `La fine è il mio inizio`

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Press-book `La fine è il mio inizio`
LA FINE E’ IL MIO INIZIO
BRUNO GANZ
ELIO GERMANO
in
LA FINE E’ IL MIO INIZIO
regia di Jo
Baier
con Erika Pluhar, Andrea Osvárt, Nicolò Fitzwilliam-Lay
tratto dal bestseller di Tiziano Terzani
edito in Italia da Longanesi
una produzione
Ulrich Limmer Production per Collina Film Production e B.A. Production
in coproduzione con
Bayerischer Rundfunk, Südwestrundfunk,
ARTE, Degeto Film
in collaborazione con
Beta Film e Rai Cinema
distribuito in Italia da
Uscita in sala 1° aprile
i materiali stampa sono disponibili sul sito www.fandango.it
UFFICIO STAMPA FANDANGO
Tel:+39.06.85218106- 06.85218123 Fax:+39.06.85218120 [email protected]
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
CAST ARTISTICO
Tiziano Terzani
Bruno Ganz
Folco Terzani
Elio Germano
Angela Terzani
Erika Pluhar
Saskia Terzani
Andrea Osvárt
Novi
Nicolò Fitz-William Lay
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
CAST TECNICO
Regia
Jo Baier
Sceneggiatura
Folco Terzani e Ulrich Limmer
Produttore
Ulrich Limmer, Collina Filmproduktion GmbH
Co-produttori
B.A. Produktion
Bayerischer Rundfunk (Radio Baviera – N.d.T.)
Südwestrundfunk (Radio Sud-Ovest – N.d.T.)
Arte
Degeto Film
In collaborazione con Beta Film e Rai Cinema
Macchina da presa
Judith Kaufmann
Musica
Ludovico Einaudi
Immagini delle scene
Eckart Friz
Design costumi
Gerhard Gollnhofer
Trucco
Birger Laube, Brigitte Dettling
Suono originale
Gunnar Voigt
Mixaggio
Stefan Korte
Sound design
Friedrich M. Dosch
Montaggio
Claus Wehlisch
Direzione di produzione
Manfed Brey
La produzione è stata sostenuta dal FilmFernsehFond Bayern (Fondo per i film per la televisione
della Baviera – N.d.T.), dal Deutscher FilmFörderfond (Fondo Tedesco per la promozione dei film
N.d.T.), dal Filmförderungsanstalt (Istituto per la promozione dei film – N.d.T.) e dalla Regione
Toscana.
Durata: 98 minuti
Formato immagine: 1:2, 35 / CinemaScope
Formato audio: Dolby 5.1
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
SINOSSI
Al termine della sua vita densa di avvenimenti, il grande viaggiatore, appassionato giornalista e
autore di libri di successo, Tiziano Terzani, si ritira a vivere con sua moglie nell’appartata casa di
famiglia in Toscana. Vede chiaro in se stesso, è preparato a chiudere il cerchio della sua vita.
Convoca a sé il figlio Folco, che vive a New York. Gli vuole raccontare la storia della propria vita,
l’infanzia e la giovinezza a Firenze, i tre decenni trascorsi come corrispondente dall’Asia per il
Corriere della Sera e Repubblica, e infine lo sconvolgente viaggio dentro sé stesso, quando a causa
del cancro si congeda dal giornalismo e si apre a esperienze spirituali in Asia. Tre anni presso un
grande saggio nell’isolamento dell’Himalaya diventano per lui l’esperienza decisiva. Gli rendono
possibile guardare alla morte pacatamente. Ora Tiziano vorrebbe trasmettere queste esperienze al
figlio Folco. Attraverso i dialoghi tra i due nascono momenti di grande intimità e si possono
sciogliere vecchie tensioni tra padre e figlio. Dopo la morte del padre, Folco sparge le sue ceneri al
vento dei monti della Toscana settentrionale. E pubblicherà il libro come suo padre gli aveva
chiesto: “La fine è il mio inizio”.
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NOTE DI PRODUZIONE
L’unico momento che conta veramente è adesso
“Quando impari qualcosa da un uomo anziano, afferri ciò che sa, così ne hai già conoscenza da
giovane.” Folco Terzani
Erano soprattutto tre i punti che destavano l’interesse di Ulrich Limmer per il libro di Tiziano
Terzani: il forte legame padre-figlio, la riflessione sulla morte, uno dei grandi tabù del nostro
tempo e il messaggio che trasmette: un uomo può cambiare se stesso. E se fa questo, allora può
cambiare anche il mondo.
Lo ha impressionato anche il fatto che la riflessione di Tiziano Terzani sulla morte non lo spinge a
un irrigidimento, bensì a portare avanti la propria vita. “Puoi fare qualcosa, puoi cambiare
qualcosa. Così si chiude il cerchio, per Tiziano Terzani, ma anche per lo spettatore - dice Limmer che esce dal cinema con una conoscenza”.
“Tiziano era un contemporaneo affascinante, il suo impulso era di voler mettere in movimento
qualcosa. Ed era un formidabile interprete di se stesso, uno che sapeva mettersi in scena in
maniera eccellente“. Il suo modo di apparire – abiti bianchi, baffi neri e, al termine della sua vita,
capelli e barba lunghi e bianchi – è rimasto imponente fino alla fine, dice Limmer.
Fin dal principio il produttore Ulrich Limmer e il regista Jo Baier avevano in mente un solo
interprete: Bruno Ganz.
Il regista e il produttore si sono incontrati con Bruno Ganz, che già apprezzava i film di Jo Baier, e
che da tempo voleva lavorare con lui. Quando ha sentito che il film si sarebbe dovuto realizzare
senza nessun flashback né visite in Asia e che avrebbe ruotato solamente intorno al padre e al
figlio in un unico luogo, la casa dei Terzani, “i suoi occhi sono diventati grandi così”, racconta
Limmer. Ha detto soltanto “davvero?” – ed è stato conquistato.
Effettivamente ruoli simili, così ricchi di testo e monologhi sono rari nei film, una grossa sfida,
anche per un attore con tanta esperienza e talento come Bruno Ganz.
Jo Baier: “Lui fa delle cose grandissime, il film in gran parte poggia sulle sue spalle. Occorre essere
eccellenti attori per non far diventare i testi monotoni”.
La sceneggiatura è stata scritta da Ulrich Limmer insieme a Folco Terzani. Limmer: “Fin dal
principio mi era chiaro che avremmo scritto una sceneggiatura non drammatica. Un grosso rischio.
Ma effettivamente anche nella vita reale non c’erano grandi conflitti tra le persone chiamate in
causa, nessuna tragedia. Persino il fatto che Tiziano muoia, egli non lo intende come un dramma.
L’unico dramma, se poi si vuole parlare di dramma, è l’esistenza stessa della morte”. Il film nasce
perché le emozioni tra i personaggi sono molto forti e assolutamente credibili: un uomo, che
presto morirà, racconta la sua vita e le sue esperienze. Limmer: “è un’idea folle fare un film
simile. Ma lo stimolo era proprio questo: abbandonare i sentieri già battuti dalla drammaturgia
tradizionale, e al posto dei conflitti mettere al centro la parola, la narrazione”.
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Folco Terzani ne è stato subito affascinato. “Fare la riduzione cinematografica di un dialogo, dove
tutto dipende solo dalla bravura degli attori, dove le parole fanno nascere immagini nella mente,
immagini che non sono mostrate. E’ davvero una “grande” storia, che effettivamente richiede una
“grande” produzione. La nostra scelta era girare un film assolutamente semplice. In questa
semplicità tu puoi quindi ritrovare la grandezza della storia”.
Un compito affatto facile, tanto più se si dovevano ridurre le vaste memorie di Terzani per la
trasposizione cinematografica e concentrarle sui punti essenziali e decisivi.
La parte del figlio Folco Terzani è interpretata da Elio Germano. Il produttore Ulrich Limmer ne era
entusiasta da quando lo aveva visto nel film MIO FRATELLO E’ FIGLIO UNICO. Ha dovuto gestire un
ruolo difficile, una parte che richiede un “ascolto attivo”. Dato che non parla tedesco, ha imparato
a memoria le parole chiave nei monologhi di Bruno Ganz, per poter reagire nel modo appropriato.
Lui ha una forte presenza scenica, le sue emozioni si sviluppano sul suo viso.
La moglie di Tiziano, Angela, è interpretata dall’austriaca Erika Pluhar. Nel suo libro, Terzani
caratterizza il rapporto con sua moglie in una semplice frase: “Lei è stata tutto per me”. Nel corso
degli anni la donna, due volte madre, che ha sempre seguito suo marito nei più svariati angoli del
mondo, si è avvicinata lei stessa alla scrittura. Si è fatta conoscere come autrice con le sue
annotazioni sul periodo che ha trascorso in Cina e in Giappone. Descrive suo marito come
qualcuno che aveva una grande curiosità verso gli uomini e le loro condizioni di vita, verso la
politica e l’arte. “ Più vedeva, più era affascinato dalla vita. Era uno scopritore, sempre a caccia,
finché non comprendeva di cosa si trattava. Era questa la sua grande passione.
Fondamentalmente lui era molto semplice. Possedeva un forte senso etico ed estetico. Gli stava
estremamente a cuore- dice Angela Terzani- il messaggio: “ Prenditi cura tu stesso della tua vita,
prendila in mano e non delegarla. Questo rende sovrani, e allora non siamo più povere vittime.
Così è vissuto, con la schiena dritta e un bell’aspetto, fino all’ultimo giorno”.
Forse è questo che quando era in vita attirava fortemente le persone verso di lui – lui che non
orientava mai la sua vita verso nessuna tendenza, ma coltivava valori che sembravano così fuori
moda come la famiglia, la libertà e l’indipendenza del pensiero. Angela Terzani sa usare bene
questa popolarità: “Ora non è più qui per se stesso, ma per gli altri. Desiderava che il suo
messaggio diventasse di tutti. Questo non ha più nulla a che fare con me e con i figli”.
Per questo motivo la famiglia ha deciso che le riprese si sarebbero potute svolgere nella loro casa.
Angela Terzani: “Il modo in cui ha vissuto, ha il suo posto qui, qui è più vero che da qualsiasi altra
parte, e questa è la cosa più importante: che sia vero.”
Bruno Ganz è d’accordo: “All’inizio era sconcertante. Tutto appartiene a questa persona, che però
non è qui, c’è sua moglie, suo figlio, e poi sua figlia. All’inizio il grado di difficoltà era alto. Ma poi
nel corso del tempo si è verificato il contrario. Si è iniziato a pensare che fosse una cosa fantastica,
girare esattamente nel posto dove si è svolta la fine della sua vita.”
Angela Terzani ha ammirato il modo in cui Bruno Ganz ha riportato in vita le parole di suo marito.
Una delle scene più autentiche e cruciali è per lei il racconto che descrive la sua esperienza
sull’Himalaya. Una scena chiave per Bruno Ganz, per così dire la vetta che doveva scalare per
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interpretare questo personaggio. La scena, di quasi 10 minuti, è molto lunga, e Ganz l’ha recitata
per intero senza interruzioni.
L’operatrice delle riprese Judith Kaufmann, premiata quest’anno per il film “Die Fremde (When we
leave)” con il “Deutscher Kamerapreis”, ha trovato per il film immagini suggestive e ricche di
sfumature. Per lei era importante che si restasse ad ascoltare, che si entrasse dentro la storia. La
Kaufmann: “Uno non sta automaticamente ad ascoltare quando vede il viso di chi parla. Abbiamo
ricercato immagini che non illustrano il testo, ma che gli aggiungono qualcosa. Immagini della
natura. Il crepuscolo e l’atmosfera di luce naturalmente erano molto importanti nel tema della
caducità”. Per Judith Kaufmann è il tema centrale del film: rimanere fedeli a se stessi, cercare la
propria via, non lasciarsi impaurire.
Le riprese si sono svolte nella Toscana settentrionale, sulla scena originale nella casa dei Terzani. A
lungo lo staff della produzione era andato in cerca di un’altra casa – tre membri dell’troupe hanno
viaggiato attraverso l’Italia per sei settimane, ma non hanno trovato nulla di paragonabile. O erano
case coloniche ancora in esercizio, nelle quali le condizioni per le riprese sarebbero state difficili,
oppure erano case per le vacanze con la piscina in giardino, il che sarebbe stato inappropriato,
visto che nella casa dei Terzani non c’è piscina.
In realtà non si voleva neppure invadere troppo la sfera intima della famiglia – dopotutto si
trattava di far salire su per la montagna un grosso apparato di oltre 40 persone. Ma visto che non
si trovava nessun altro luogo, si è ritornati in Toscana. Una decisione che si è rivelata giusta perchè
quel posto era un’incredibile fonte di ispirazione. Limmer: “Là ho compreso moltissimo di questa
famiglia e della costellazione tra padre e figlio.” Quest’atmosfera particolare ha influenzato anche
lo troupe. Si lavorava con molta concentrazione, e nonostante ovviamente la sera si mangiava tutti
insieme, si beveva e discuteva animatamente, ognuno cercava anche il silenzio.
Prima che il piccolo paese conseguisse una certa notorietà attraverso i Terzani, era un luogo
dimenticato dal mondo. La vallata si trova al confine con l’Emilia Romagna. Il padre di Tiziano, un
semplice operaio, lì aveva iniziato a sciare, su degli sci che si era costruito da solo con pezzi dello
steccato del giardino. Tiziano veniva qui fin da quando era bambino, e nel corso della sua vita il
paesino di montagna, con i suoi pastori e i castagni, sono rimasti il suo rifugio.
Quanto più lontano era attirato nel mondo, tanto più questo nascondiglio tra i monti diveniva
importante. Al Tiziano più attempato piaceva soprattutto il fatto che la tecnologia e
l’industrializzazione non erano mai arrivati nella “sua” valle, che conservava la sua quiete.
La particolarità di questo luogo influisce anche sull’autenticità del film – LA FINE E’ IL MIO INIZIO
non è un prodotto di fantasia, ma la trasposizione cinematografica di una reale storia di famiglia e
di vita.
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INTERVISTA CON ULRICH LIMMER
Come ha trovato il libro – o forse è stato il libro a trovare Lei?
Il nome di Tiziano Terzani mi era già noto come lettore di DER SPIEGEL, e già in passato mi ero
sempre meravigliato: cosa fa in Asia un giornalista italiano per un giornale tedesco? Poi in DER
SPIEGEL del 2007 fu pubblicato un articolo su questo libro. L’ho acquistato subito, non me ne sono
più staccato, e ho pensato che sarebbe stato un film assolutamente straordinario. Un’idea folle,
trarre un film da un dialogo. Venni a sapere che lo stesso Folco Terzani deteneva i diritti di
riduzione cinematografica e gli scrissi una mail per dirgli quanto ero entusiasta di questo libro, e
che mi avrebbe fatto piacere parlare con lui a proposito di un film che rendesse realmente
soltanto questo dialogo. Dunque nessun flashback, niente Cina, niente Vietnam, bensì questa
situazione padre-figlio e familiare. Un paio di settimane più tardi ci siamo incontrati in Italia e dopo
un’ora eravamo così in sintonia che insieme abbiamo iniziato a metter mano al progetto.
Dopo aver lavorato così a lungo su Tiziano, che idea si è fatto? Che tipo di uomo era?
Un uomo assolutamente interessante, molto erudito ed estremamente curioso, un conversatore
brillante, ma sicuramente anche una persona molto dominante. Probabilmente è così: se hai
molta luce, da qualche parte getti anche delle ombre. Ma la cosa interessante per me era
l’evoluzione di un uomo radicato molto saldamente nel mondo, che come giornalista era
interessato a tutto, aveva vissuto intensamente il dopoguerra, e poi ha subìto una trasformazione
enorme e ha intrapreso il viaggio verso l’India. E naturalmente questa forte riflessione sulla morte.
Noi tutti siamo così incanalati a senso unico che prendiamo le distanze dalle persone in procinto di
morire, le portiamo negli ospedali, negli ospizi, non le accompagniamo nella morte. Tutti noi
soffriamo tantissimo per la paura della morte, molte delle nostre attività più solerti sono
finalizzate a dimenticarla. Mentre scrivevamo la sceneggiatura nella casa dei Terzani, una volta
Angela Terzani ha domandato in quale punto il film sarebbe terminato. Risposi che non avrei
potuto farlo terminare diversamente da dove termina anche il libro, non ero a conoscenza di altre
circostanze dei fatti. E allora lei ha detto: “Questo è un grosso errore. Devi mostrare come muore.”
Poi me lo sono fatto raccontare e l’abbiamo reso nel film. E’ giusto così, perché la morte non è il
nemico, ma una parte della nostra vita. E in questo modo vogliamo mostrarla.
Credo che la curiosità di Tiziano fosse il fattore più determinante nella sua vita. E la volontà di un
giovane proveniente da condizioni del tutto modeste, di diventare qualcuno. E di rappresentare
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qualcosa. Da qui anche questo istinto all’auto-messa in scena. E allora via dalla divisa di lavoro, via
dal lavoro fisico, via dal proletariato – il salto da fare per diventare un uomo riconosciuto, uno che
veramente fa muovere qualcosa.
Cosa le rimane a livello personale di queste riprese?
Molto. Aver conosciuto persone molto particolari come Folco, con la sua vitalità e curiosità, e
Angela, con la sua incredibile bontà e generosità. E inoltre questo: dedicati quanto prima possibile
al fatto che morirai. Ciò ovviamente non deve portare a fossilizzarti, ma a considerare che la vita è
fatta per essere vissuta, deve essere vissuta e tu devi fare qualcosa. Tu puoi fare qualcosa, puoi
cambiare qualcosa.
Inoltre Tiziano ha fatto qualcosa che noi tutti sfortunatamente dimentichiamo sempre più spesso:
ritirarsi nella quiete e meditare su sé stessi. Questo è un insegnamento importante, che porto via
da qui per me stesso. Nella nostra professione di cineasti siamo continuamente in movimento, non
ti concedi quasi mai di riflettere su cosa vuoi esattamente e su quali siano i tuoi sogni.
Come è stato il lavoro di sceneggiatura, insieme a Folco Terzani?
Spesso abbiamo scritto nella casa dei Terzani tra le montagne, e l’ambiente circostante è stato una
fonte incredibile di ispirazione. Ho compreso molto a proposito di questa famiglia e dell’insieme
dei rapporti tra padre e figlio. Folco ha accettato che anche il conflitto che aveva con suo padre
divenisse parte del film. Abbiamo posto un’attenzione molto scrupolosa a non raccontare qualcosa
che non corrispondesse alla situazione familiare. Il modo in cui nel film Folco si comporta con
l’editore è effettivamente molto realistico. Nel copione abbiamo cercato di riprodurre solo
momenti autentici.
Durante il lavoro di sceneggiatura ho capito con quanta meticolosità e creatività Folco ha messo
insieme per il libro i racconti di suo padre. Non è successo esattamente che suo padre in questi tre
mesi avesse narrato i racconti proprio come sono riportati nel libro. Piuttosto Folco ha ricomposto
per punti tematici questi dialoghi, che erano distribuiti in più mesi, e in questo modo ha dato al
libro una propria impronta. Nel nostro lavoro di sceneggiatura siamo stati estremamente attenti a
non alterare i testi di Tiziano, ma anche in questo caso abbiamo rielaborato in parte una nuova
successione d’ordine, allo scopo di conferire alla sceneggiatura una sua logica interna.
La seconda, fortissima relazione è quella tra Tiziano e Angela
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Angela ha una personalità molto forte, dotata di un’incredibile bontà e limpidezza. Se si ha la
fortuna di incontrare una donna come Angela, che è pronta a partecipare così tanto, nella buona e
nella cattiva sorte, è un dono incredibile. Lei non è una vittima, anzi al contrario: ha vissuto molto
pienamente la sua vita e ha scritto i propri libri sul periodo vissuto in Giappone e in Cina. E’ una
donna forte e indipendente.
Come è stato il lavoro con Jo Baier e con il team sul set?
Jo Baier è un regista molto amichevole. L’atmosfera generale è determinata in misura notevole dal
regista, dal modo in cui si relaziona con le persone. Lui ha un rapporto molto buono con il team,
tutte persone che si impegnano parecchio, ognuno è stato toccato dalla storia di Tiziano Terzani e
della sua morte. E quando vedi recitare questi due attori, Bruno Ganz ed Elio Germano, o Erika
Pluhar e Andrea Osvárt, che fa la parte di Saskia, è molto toccante. Non lascia indifferente
nessuno. A ciò si aggiunge la magia di questo luogo, il modo in cui la famiglia e le persone del
paese ci hanno accolto. Questa è come una seconda patria. Succede raramente, e di sicuro ha
molto a che fare con i testi di Tiziano e con il messaggio del film.
Il film è anche spaventosamente attuale e critico nei confronti del presente…
Terzani dice cose relativamente semplici, non sono nuove conoscenze filosofiche. Dice che c’è
qualcosa nel nostro mondo che va in modo sbagliato. E’ sbagliato semplicemente che ci
abbandoniamo al consumismo, che siamo definiti dai marchi piuttosto che dai valori. I valori sono
caduti nell’oblio, crediamo a Gucci, Dior e Audi. Ma abbiamo perso ogni sorta di spiritualità – non
tutti, ma molti. E non ci appartiamo più ad ascoltare la nostra voce interiore. E questo lui lo vive
proprio mentre ci mostra come morire sia una parte di noi. Separarti da tutto ciò che hai tanto
accumulato, è questo che devi realmente compiere. Proprio in questo momento stiamo vivendo
una crisi finanziaria enorme, che è provocata dalla cupidigia infinita di banchieri che hanno perso il
senno. E noi non siamo nella condizione, e neppure la politica lo è, di mettere dei freni a tutto ciò.
La cosa più semplice sarebbe dire: rinuncia! Rinunciate ai bonus e smettetela! Sarebbe così
semplice. Ma non succede. Non riusciamo ad arginare quest’avidità inconcepibile. Il nostro
potenziale rivoluzionario è pari a zero. Nessuno ha chiesto ragione seriamente a uno qualsiasi di
questi banchieri, neppure in senso simbolico, al contrario annuiamo senza dire alcunché davanti al
fatto che già stanno intascando di nuovo profitti milionari, e che stanno portando di nuovo stanno
portando l’economia sull’orlo della rovina – in questo senso tutti insieme dobbiamo pagare il
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conto di questa cupidigia. Attraverso questa crisi il libro ha acquisito una grande attualità. Ma è
pur sempre ugualmente attuale per il fatto che dice: tu della tua vita puoi fare qualcosa. Vivi in
modo consapevole. Così come dovrai anche morire in modo consapevole. Fai qualcosa della tua
vita e fallo non soltanto cercando di guadagnare quanti più soldi possibili, ma accrescendo la tua
ricchezza interiore.
Uscendo dalla sala cinematografica, cosa vorrebbe che restasse alle persone che hanno visto il
film?
Parlate gli uni con gli altri. Poco tempo fa in un’inchiesta ho letto che alcuni giovani dicevano che
avrebbero trovato meraviglioso se la famiglia qualche volta mangiasse insieme. Io l’ho trovato
spaventoso, perché vuol dire che in famiglia non si sta più seduti insieme, non si comunica più
l’uno con l’altro. Computer, televisore, auricolari, musica in continuazione - tutto questo fa sì che
ormai i figli si isolino. Il film incoraggia a parlare gli uni con gli altri, a scambiarsi le proprie
esperienze. Questa è una cosa. La seconda è: prendete coscienza del fatto che voi avete in mano la
vostra vita. Pensiamo sempre che la vita ci tenga in pugno. Il nostro capo, la scuola, le condizioni di
lavoro, ecc. Le sole persone che possono cambiare la vostra vita siete voi stessi. Rifletti su di te e
sulla forza che hai. E naturalmente, prendi consapevolezza del fatto che morirai, dunque assapora
ogni giorno. Prendi coscienza del fatto che vivi nel presente. L’unico momento che conta
veramente è adesso.
INTERVISTA CON JO BAIER
In che modo si trovano le immagini, è possibile descrivere questo processo?
Trovare immagini è una questione di esperienza. Di regola, le immagini si manifestano quando si
legge un testo. Per lo più scrivo io stesso i miei testi, cosicché le immagini nascono nel momento
stesso della scrittura. Se leggo libri, abitualmente li traspongo in immagini. In questo caso tutto era
molto più semplice, poiché il soggetto era già presente davanti a noi. Abbiamo ripreso nel film
quel che era realtà.
Leggendo la sceneggiatura quale idea si è fatto dell’uomo Tiziano Terzani?
L’immagine di Tiziano Terzani si era consolidata in me fin da prima della sceneggiatura, anche
attraverso le conversazioni con la sua famiglia, ma soprattutto in precedenza ovviamente con il
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libro “La fine è il mio inizio”. Il libro è molto ricco di informazioni, eppure fa nascere il desiderio di
sapere di più riguardo alla sfera privata. Il libro è per così dire la sua pagina ufficiale. Per rendere
una persona comprensibile, concreta e visibile occorrono elementi che non sono contenuti nel
libro. Questo processo di forma, drammaturgia o non-drammaturgia, è una questione che ha
radici antiche. Per me è stato molto più ricco di informazioni l’incontro con Angela Terzani, poiché
lei nel libro non si compariva molto. Folco invece l’avevo già conosciuto in una fase precedente,
abbiamo avuto molte conversazioni. Con questo puzzle composto da pezzi unici e vivaci si
completa il soggetto e si dà anche l’ultimo tocco all’immagine di Tiziano. E’ lui il mio eroe, dice
molte cose che mi parlano all’anima, ma ci sono anche momenti in cui mi irrita. Ma è importante
anche che ci si possa irritare. Era sicuramente una persona molto complessa. E i personaggi
multidimensionali e dalle molteplici sfaccettature mi interessano ancora di più.
Aveva il film già pronto in mente prima dell’inizio delle riprese?
In linea di principio è così nel momento in cui si mette mano alla macchina da presa. Ma la cosa
sorprendente sono sempre e continuamente gli attori, che modificano o completano ciò che è
prestabilito. Quel che mi piace è che Folco ha una personalità autonoma, la conversazione diventa
più dialogo che monologo. Questo riesce grazie al meraviglioso Elio Germano, che è un ascoltatore
molto attivo.
Come è stato il lavoro con Bruno Ganz?
Innanzitutto devo dire che Bruno Ganz per me era l’interprete ideale. Non avrei potuto
immaginare nessun altro attore per Tiziano. Eravamo tutti molto felici quando ci ha detto di sì. Nel
lavoro di gruppo Bruno è una persona piuttosto timida, molto riservata, che ha bisogno di tempo
prima di aprirsi. Questo lo si deve accettare. Si è occupato in modo davvero intenso del lungo
testo, del personaggio di Tiziano, a tale riguardo abbiamo avuto in continuazione discussioni
importanti e stimolanti. Questo mi è piaciuto molto. E’ bello poter lavorare con un attore così
intenso e riflessivo, non c’è il minimo dubbio. In ultima analisi, nel personaggio del film abbiamo
cercato di trovare un mix derivante dal reale Tiziano (del quale poi esistono molte riprese
cinematografiche) e dal reale Bruno Ganz. Naturalmente questo è un camminare sul filo del
rasoio. Ma io trovo che Bruno l’abbia fatto in modo stupendo.
Sul set deve aver regnato un’atmosfera di lavoro particolarmente intensa. Da cosa è dipeso?
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Dalle persone scelte con cura. E’ lo staff artistico con il quale lavoro da molto tempo, so che
prendono molto sul serio quello che fanno. Sul set regna la concentrazione e il silenzio. Si tratta in
modo serio della vita e della morte, potersi occupare di queste cose umane basilari è un privilegio
del quale la maggior parte delle persone è consapevole.
Lo spettatore cosa deve, cosa può prendere per sé dal film?
Molta speranza e molta conoscenza sul senso della vita, qualcosa su cui Tiziano Terzani ha
riflettuto a lungo. Oltre a ciò la consapevolezza di poter morire senza essere disperati. Tristi sì, ma
non disperati. Poter accettare la morte come qualcosa che è stabilito per noi.
Lei una volta ha scritto: chi vuole scrivere qualcosa, deve vivere qualcosa.
A questo riguardo Tiziano Terzani è l’esempio ideale. Per poter raccontare qualcosa si deve vivere
qualcosa, accumulare esperienze, andare ad occhi aperti per il mondo.
Dove trova Jo Baier le sue storie?
Mentre vado ad occhi aperti per il mondo, e se trovo una storia come questa sono felice che sia
possibile ancora una volta riflettere così a fondo su molte cose.
INTERVISTA CON FOLCO TERZANI
Come mai Lei e Sua madre avete preso la decisione di concedere al team del film l’accesso alla
dimora di famiglia?
All’inizio non volevamo che si girasse qui. Ma alla fine abbiamo accettato in modo che l’idea di
questo progetto potesse essere trasposta nel miglior modo possibile. Non è stato facile, questo
posto è la nostra casa e non voglio darla in pasto al pubblico, sotto la luce dei riflettori. Qui non c’è
ancora turismo. E così deve rimanere.
Lei ha collaborato alla sceneggiatura e poi ha sperimentato come dalla Sua storia è stato tratto un
film. Come è stato questo per Lei?
Una ricostruzione storica non mi interessa. Certo erano belle storie, quelle che mio padre ha
vissuto, ma ognuno ha storie del genere. Ciò che mi interessava erano le conclusioni che ne traeva.
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Se lui avesse trascorso la sua vita qui, se mi avesse raccontato come aveva cercato funghi o come
aveva portato le pecore ai pascoli tra i monti, e da queste storie avesse tratto quelle sue
conclusioni, per me sarebbe stato lo stesso. Saigon o le pecore, non fa alcuna differenza.
Importanti sono le conclusioni. Certo, a volte mi sono commosso. Mi ha sorpreso vedere il modo
in cui Bruno Ganz parlava, come raccontava. Stranamente non mi sono mai commosso quando
mio padre raccontava le sue storie. Se era mio padre a raccontare, non avevo mai le lacrime agli
occhi. Ero sempre sereno, rilassato. Ma c’è qualcosa che è nato con il film: ho capito più attraverso
la realtà cinematografica che non nella realtà vera.
La carriera giornalistica di mio padre non mi interessava, tuttavia i suoi ultimi anni mi hanno
affascinato. Quando lui ha semplicemente abbandonato il suo lavoro, è salito sull’Himalaya e ha
iniziato a meditare sul mondo. Ero curioso dei suoi pensieri…anche perché negli ultimi anni l’avevo
visto poco.
Come era Suo padre prima di questo grande cambiamento?
Prima era giornalista. In realtà io sono venuto al mondo in una valigia. A due settimane di età ero
già su una nave diretta dall’America verso l’Italia, poi ancora a Singapore e in seguito siamo
sempre stati costantemente in viaggio attraverso l’Asia. Fin quando non ho iniziato gli studi non
siamo mai rimasti a lungo in un posto. Lui era in viaggio e se tornava a casa, allora raccontava. Gli
altri lo conoscevano come scrittore, ma lui era ancora meglio come narratore. Era leggendario.
Anche in famiglia. Se parlava, parlava solo lui. E quel che diceva era interessante. Se veniva a casa
di ritorno da un viaggio, allora sedevamo tutti intorno a un tavolo e lui iniziava… Ci piaceva in
modo pazzesco. Di quando in quando la gente chiedeva: “Ma non vi dispiace che lui sia sempre
via?” Certamente, era via spesso. Ma se c’era, era talmente presente, aveva così tanto da
raccontare e poi ci coinvolgeva in discussioni senza fine. Di scarpe nuove non ne potevi certo
parlare. Cose simili a casa erano impossibili. Si doveva discutere del partito comunista della
Cina…all’epoca io avevo 10 o 12 anni. A un certo punto ha smesso di riflettere sulla Cina e sui
problemi del partito comunista. Anche per la sua malattia. La chiamava l’opportunità che il tumore
gli aveva dato. E’ stato un colpo violento, la paura che ti sveglia. Sai che non hai più tempo – allora
ha cambiato radicalmente la sua vita. Questo è stato il motivo per cui si è ritirato dal mondo
frenetico e ha iniziato ad osservare il mondo dall’alto delle montagne…in senso fisico e metaforico.
E’ un’immagine assolutamente forte: l’Himalaya, le montagne più alte del mondo. Sale a
capodanno del 2000, e là trova un anziano. Vanno d’accordo l’uno con l’altro e l’anziano inizia a
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spiegargli le cose. Diventano amici. Si intendono bene e allora mio padre lascia stare tutto, lascia
perdere tutto e va a vivere lassù tra le montagne.
Da allora in poi non ci siamo più visti spesso. Aveva deciso di abbandonare la sua vita normale, il
suo lavoro, il giornalismo, i suoi amici, le feste. Non potevamo neppure telefonargli. Non aveva
telefono, niente luce elettrica e niente internet. Né c’era nessuna strada che portasse a casa sua.
L’ultimo tratto si doveva farlo a piedi. Viveva isolato. In quel periodo non abbiamo avuto molti
contatti. Qualche volta scendeva giù dalla sua montagna e ci mandava un’email. Così
comunicavamo con lui. Non sapevo che cosa ne stesse venendo fuori, cosa si stesse sviluppando
là. Mi piaceva il fatto che fosse andato dietro a un sogno folle, ma io non sapevo cosa facesse
veramente là. Quando in seguito lessi i suoi libri, come “Lettere contro la guerra”, allora avvertii:
fermo un momento, questa è un’altra persona. Cosa è successo là? Si è trasformato, ha cambiato
totalmente la sua prospettiva. Il suo modo di vedere la guerra non è più unilaterale, non si tratta
più del “male” o del “bene”, dei deboli o dei forti, del “dobbiamo fare una rivoluzione, oppure non
farne nessuna”. Ora il suo punto di vista era quello di qualcuno che contempla “qualcosa” a
distanza, qualcosa che si ripete sempre in continuazione, come una lunga serie di guerre che
vanno sempre avanti e che in realtà sono sempre la stessa guerra. Guerre alle quali non si può
mettere fine con una rivoluzione, perché in questo modo i problemi non sono mai stati risolti.
Allora lui inizia a meditare, a risolvere i problemi nel suo intimo. Vale a dire, se tu non puoi influire
sui grandi problemi, allora inizia a risolverli nel tuo piccolo. Questo è il punto dal quale qualcuno
inizia a cambiare sé stesso. A quell’epoca scrisse la meravigliosa lettera a Oriana Fallaci.
Semplicemente fantastica….e mi domandavo, chi è costui che scrive simili lettere? E’ mio padre e
tuttavia non lo conosco. C’è qualcosa di nuovo in lui. Da allora in poi l’ho visto in modo diverso. Da
allora in poi io, suo figlio, ero affascinato da lui come persona. E quando poi mi scrisse che presto
sarebbe morto, allora iniziai a diventare assolutamente curioso di quello che aveva da dire. Volevo
parlare con lui, venire a casa e parlare con lui…non sapevamo affatto per quanto a lungo…Avrebbe
potuto essere soltanto per una settimana…abbiamo avuto fortuna, è durato tre mesi. Ha avuto il
tempo di dire tutto quel che voleva dire. Dopo è morto. Gli ho domandato tutto quello che mi
interessava. L’ho interrogato anche dopo la sua morte. Non è rimasto niente di irrisolto nella mia
mente. Mi ha risposto su tutto e io rifletto volentieri su questo. Mi ha fatto un grande regalo.
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
INTERVISTA CON BRUNO GANZ
Come è stato il Suo primo avvicinamento a Tiziano Terzani?
Innanzitutto ho letto il libro prima che la sceneggiatura fosse pronta, e in seguito anche un altro,
quello sulla storia con gli indovini. Mi sono informato presso molte persone e sono rimasto stupito
nel vedere quante persone abbiano letto i suoi libri. Gente che si interessa agli aspetti spirituali,
gente alla ricerca di un senso. Non solo quelli che si ricordano dei suoi articoli su DER SPIEGEL, ma
anche più giovani.
Che cosa l’ha interessato dell’uomo di mondo Tiziano Terzani?
La combinazione di aspetti. Aveva una sensibilità aperta per la zona asiatica, mescolata a un
raziocinio italiano altamente sviluppato, alla consapevolezza di essere europeo, e si è aperto.
Poi il modo di affrontare la morte in modo indiano. Anche questo mi interessa, almeno quanto il
fatto che lui è un testimone del secolo, il Vietnam, Pol Pot, Mao li ha vissuti fino alla fine. Per me,
in quanto attore, io ho trovato interessante il modo in cui ha raccontato questi avvenimenti lungo
tutto un secolo, fatti che hanno conseguenze fino al giorno d’oggi, e non solo per l’America. E
quindi il viaggio sull’Himalaya, dopo la diagnosi del suo cancro. Non voleva subirlo come vittima,
voleva costruire qualcosa per avvicinarsi al finale che attende tutti noi. Questo viaggio esprime la
sua volontà di lottare e la sua forza.
Può descrivere il modo in cui come attore riesce a mettersi nei panni di una personalità così forte?
Per sette settimane ho studiato il testo giorno per giorno, talvolta fino a otto ore al giorno.
L’apprendimento non è solo meccanica, mette in movimento anche la fantasia. E’ così che ci si
avvicina al personaggio. Fare come se si fosse quest’uomo è un’assurdità. Ma ho dovuto
spogliarmi della mia sfera privata – in questo la barba ha aiutato, ma sono stato contento quando
è di nuovo sparita. In questo caso non si trattava tanto di fare un ritratto “realistico”, come ad
esempio ho cercato di fare con Hitler. Questa è una’altra cosa. Qui l’avvicinamento ha avuto luogo
essenzialmente nell’apprendimento del testo.
C’è una scena nella quale si concentra tutto?
La riconquista del paradiso è il non essere più disgiunti dal mondo. Sull’Himalaya a circa 6.000 m
di altezza lui un giorno vede una piccola coccinella, che vola al disopra di un profondo precipizio in
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direzione delle montagne e immagina di essere questa coccinella. Questo ritrovamento dell’unità,
questo senso cosmico, che si è soltanto una parte del tutto in relazione all’attesa della morte,
tutto ciò viene espresso in una scena e viene compartecipato completamente. Questo mi rimarrà
nei ricordi, più che i resoconti di viaggio.
Quale ruolo ha il morire o la morte nella Sua vita?
Mi accorgo che è il terzo film di fila nel quale muoio. Ho pensato che forse è una possibilità data
dalla recitazione, quella di avvicinarsi alla morte in veste di attore. Ma io sono già morto in scena
così tante volte, visto che sono un giovanotto…. naturalmente è diverso. Ma credo che alla fine
alla morte non ci si può preparare. Ci rifletto su, so che con film di questo genere ci arrivo vicino.
Ma non vedo come ne possa prendere qualcosa, o come possa alleggerirmi l’andare incontro alla
morte. A questo non credo.
Tiziano Terzani avrebbe potuto essere Suo amico?
In un certo modo senz’altro, ho un enorme rispetto per lui. Ma ci sono anche cose che mi
allontanano da lui. Le figure molto forti spesso hanno aspetti che non sono così piacevoli. Ma il suo
anelito alla verità, alla sua verità, era una cosa sinceramente pulita. Penso che mi sarei affidato a
lui come un bambino. Creo che sarebbe stata una buona relazione.
INTERVISTA CON ELIO GERMANO
Come descriverebbe Tiziano Terzani?
Era una persona incredibile. Si capisce dalle varie e interessanti documentazioni su di lui. E
ascoltando le persone he lo hanno conosciuto quando parlano di lui. Sicuramente era uno uomo
complesso…quel che mi ha impressionato più di tutto è il suo acume, la sua capacità di capire il
mondo, e non attraverso la ragione, ma piuttosto attraverso i sentimenti, la sua capacità di farci
prendere parte al mondo. E sapeva puntualizzare le sue storie. E’ come se nell’ultima fase della
sua vita quel che voleva esprimere fosse più importante di egli stesso.
Potrebbe descrivere il film in alcune frasi?
Raccontiamo di persone che riflettono sul senso della vita, su temi che nella vita di tutti i giorni
spesso dimentichiamo, temi come la morte, la malattia, la vita e i nostri rapporti con le altre
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persone. Una sfida enorme, poiché è già abbastanza difficile mettersi d’accordo con sé stessi su
questi temi. E proprio su questo noi ora facciamo un film. Un film senza effetti speciali, su persone
che parlano della vita e della morte.
E’ un tema che va oltre le singole persone. La questione è chiaramente molto più grande di ogni
singolo individuo. La sfida è stata quella di viverli questi temi perchè non c’è soluzione. Forse,
come scrive Tiziano, può accadere una specie di guarigione se noi accettiamo che il mondo può
essere così. Questa è l’unica possibilità.
Come Le riesce di mettersi nei panni dei personaggi?
Non ho un metodo predeterminato. Ogni volta è diverso. Cerco di trovare una direzione che sia
utile alla storia. In questo caso ho letto i libri di Tiziano. In seguito sono venuto qui, ho dormito
nella camera di Folco, ho vissuto con la famiglia e sono andato a passeggiare qui nei boschi, senza
parlare molto. Volevo semplicemente essere qui. Questo posto ha qualcosa di speciale, qualcosa
di magico, qui davvero c’erano le streghe. Ci sono molte storie e leggende su questo mondo che
non si possono comprendere con la razionalità, un mondo contadino e complesso, che – insieme
alla natura – ha fatto sì che noi tutti ci sentissimo “più piccoli”, meno importanti.
Come è stato lavorare con Bruno Ganz?
E’ stato pazzesco. Un giovane attore vicino a un grande attore. Questo ci ha aiutato parecchio ad
interpretare in maniera convincente una storia tra padre e figlio, in cui c’è effettivamente una
figura paterna predominante.
Agli spettatori cosa dovrebbe restare del film?
Mi piacerebbe che il pubblico seguisse la nostra storia con consapevolezza, una storia sulla
malattia e sulla morte, due questioni fondamentali delle quali non si parla mai. La coscienza di
dover morire, senza per questo pensare a un dramma e con un sorriso sulle labbra, così come ci
indica Tiziano…sarebbe una gran bella cosa se il pubblico potesse portarsi dietro questo
sentimento, questa comprensione.
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
BIOGRAFIE
Tiziano Terzani
Tiziano Terzani è nato e cresciuto a Firenze. Studia giurisprudenza a Pisa e sinologia a New York.
Per 30 anni Tiziano Terzani è stato corrispondente dal Sud-Est asiatico per DER SPIEGEL in viaggio
per tutto il mondo. L’Asia era la sua grande passione, la Cina è stata per lungo tempo la sua
speranza e il suo sogno di un mondo più giusto. Il suo modo di vedere, inconsueto e senza
preconcetti, che metteva sempre al centro gli interessi della “piccola” gente. Nel 1971 Terzani si
trasferisce con la famiglia a Singapore e da lì intraprende numerosi viaggi per reportage più o
meno rischiosi. Scrive corrispondenze anche da Saigon, quando i Vietcong avevano già conquistato
la città e in seguito, sfuggendo per un soffio alla morte, sulla Cambogia dei Khmer Rossi.
Terzani è uno dei primi corrispondenti occidentali che nel 1980 riesce ad entrare in Cina. Alla
ricerca di un’alternativa al capitalismo occidentale, in un primo momento resta profondamente
impressionato dal pensiero di Mao Tse Tung. Tuttavia, più si immergeva nella nuova Cina di Mao –
viveva con la sua famiglia senza approfittare dei consueti privilegi per gli occidentali –più il suo
sguardo e i suoi reportage diventavano critici. Alla fine nel 1984 viene arrestato ed espulso per
“attività controrivoluzionarie”. Profondamente deluso deve riconoscere che il sogno di una società
più giusta non si realizza né con le guerre né con le rivoluzioni.
Dopo alcuni anni in Giappone, dove non riesce mai ad ambientarsi, si stabilisce con la sua famiglia
a Nuova Delhi. La riflessione sulla dottrina di Mahatma Ghandi prepara la strada per successive
esperienze spirituali. Terzani arriva all’importante convinzione che l’unica rivoluzione che produce
cambiamenti durevoli è quella che avviene dentro se stessi. La sua personale rivoluzione inizia
quando, seguendo una profezia, nel 1995 per un anno non sale più su aeroplani e viaggia per il
mondo soltanto via acqua o via terra.
Oltre ai suoi lavori giornalistici, Tiziano Terzani ha pubblicato anche numerosi libri. Quando ha la
sensazione di ripetersi come giornalista, a 58 anni va in prepensionamento. Poco tempo dopo gli
viene diagnosticato un tumore. Terzani si ritira sull’Himalaya e là vive per tre anni da eremita. Le
esperienze che accumula in questo periodo sono risultano le più decisive nella sua vita, e lo
preparano alla morte vista come una “ultima avventura”. L’uomo famoso, che ha ottenuto così
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tanto, diventa un senza nome: “Sono stato molte cose e alla fine non sono niente”, così riassume
per il figlio la sua ricca vita.
L’aspirazione alla giustizia, ad una società migliore è stata sempre la molla propulsiva più potente
di quest’uomo straordinario – insieme a una inesauribile curiosità per gli uomini e per la vita.
Libri di Tiziano Terzani
Giai Phong! La liberazione di Saigon, Feltrinelli, 1976
Fantasmi .Dispacci dalla Cambogia, Longanesi, 2008 (pubblicazione postuma)
La porta proibita, Milano, Longanesi, 1984
Buonanotte, signor Lenin, Longanesi, 1992
Un indovino mi disse, Longanesi, 1995
In Asia, Longanesi, 1998
Lettere contro la guerra, Mondolibri, 2001
Un altro giro di giostra, Longanesi, 2004
La fine è il mio inizio, Longanesi, 2006
Angela Terzani
Angela Terzani è nata nel 1939 a Firenze da genitori tedeschi. Suo padre era il pittore HansJoachim Staude (1904 – 1973), sua madre l’architetto Renate Staude, da nubile Mönchenberg.
Angela Terzani è cresciuta in Italia e ha compiuto gli studi a Monaco di Baviera.
Dopo il diploma di maturità ha conosciuto Tiziano Terzani e successivamente l’ha seguito in tutti i
suoi viaggi per il mondo. Nel 1969 è nato suo figlio Folco, nel 1971 è seguita la figlia Saskia. Nel
1972 con il marito e figli si è trasferita a Singapore, da lì quindi a Hong Kong, Pechino, Tokyo,
Bangkok e Nuova Delhi, la sua ultima dimora insieme a Tiziano Terzani in Asia.
Angela Terzani negli anni ’60 ha tradotto opere di Jakob Burckhardt, Freud e Jung per case editrici
italiane. Sulla sua vita insieme a Tiziano Terzani in Asia, ha pubblicato basandosi sui suoi diari
“Giorni cinesi” (Longanesi, 1987) e “Gli eredi dei samurai. Giorni giapponesi” (Longanesi, 2006). In
Giappone ha anche redatto le didascalie delle foto di Reinhart Wolf, “Giappone: cibo come arte”
(Rizzoli, 1987).
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Dalla morte di suo padre, avvenuta nel 1973, si occupa del lascito delle sue opere pittoriche. Ha
redatto i cataloghi per le grandi retrospettive sulle sue opere a Palazzo Pitti a Firenze (1996) e
nella cittadella di Spandau a Berlino (2001).
Dal 2004 vive nuovamente a Firenze e si dedica alla cura dell’eredità delle fotografie e degli scritti
di Tiziano Terzani, nonché delle manifestazioni di ogni genere che dal 2004 in tutta Italia vengono
dedicate al suo nome.
Nel 2008 ha pubblicato in Italia con il titolo “Fantasmi. Dispacci dalla Cambogia” i reportage di
Tiziano Terzani dalla Cambogia (incluso “Olocausto in Cambogia”, già pubblicato in Germania) –
che accompagnano venti anni della sua attività giornalistica – e ne ha scritto la prefazione.
Insieme a Dieter Wild ha pubblicato “Tiziano Terzani, Asia, la mia vita” (edito in Germania nel 2008
da DVA) e ne ha redatto la prefazione.
Saskia Terzani
Saskia, la figlia di Angela e Tiziano Terzani, è venuta al mondo nel 1971. Poco tempo dopo la
famiglia si è trasferita a Singapore. Saskia ha portato a termine la maturità presso la International
School of the Sacred Heart a Tokyo, ha studiato storia a Cambridge e si è laureata a Londra in
storia dell’arte. Nel 1994 ha avuto i primi contatti con il settore della moda, da allora ha vissuto e
lavorato a Firenze, Hong Kong, Milano, Parigi e Londra, tra gli altri per Prada, Miu Miu e Dior.
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DAVANTI ALLA MACCHINA DA PRESA
Bruno Ganz (Tiziano Terzani)
Bruno Ganz è nato nel 1941 a Zurigo-Seebach, da padre svizzero e madre italiana. Ha frequentato
la scuola d’arte drammatica di Zurigo e nel 1970 si è unito alla compagnia del Berliner
Schaubühne. Ganz ha lavorato con eminenti registi come Peter Zadek, Peter Stein, Claus Peymann,
Klaus Michael Grüber, Luc Bondy e Dieter Dorn. Attraverso parecchi ruoli cinematografici (tra gli
altri in L’AMICO AMERICANO e IL CIELO SOPRA BERLINO, di Wim Wenders) Bruno Ganz dalla metà
degli anni ’70 è diventato famoso presso il grande pubblico. Nel febbraio 1996 l’attore Josef
Meinrad gli ha trasmesso in eredità l’anello di Iffland, che da più di 100 anni viene tramandato di
volta in volta a l’”attore più eminente” dei palcoscenici di lingua tedesca. Nel 2000 Ganz ha
recitato nel classico del cinema PANE E TULIPANI e nel 2004 ha impersonato Adolf Hitler nel film
prodotto da Bernd Eichinger LA CADUTA – GLI ULTIMI GIORNI DI HITLER. Ganz ha recitato anche in
parecchie co-produzioni internazionali, tra le quali sotto la regia di Theo Angelopoulos, Jonathan
Demme, Francis Ford Coppola e Stepehen Daldry.
Cinema (selezione)
2010 LA FINE E’ IL MIO INIZIO, Regia: Jo Baier
2010 COLOURS IN THE DARK, Regia: Sophie Heldman
2009 DER GROSSE KATER, Regia: Wolfgang Panzer
2009 JULIA'S DISAPPEARANCE, Regia: Christoph Schaub
2009 TRILOGIA II: I SKONI TOU HRONOU (“La polvere del tempo”), Regia: Theo Angelopoulos
2008 THE READER – A VOCE ALTA, Regia: Stephen Daldry
2007 UN’ALTRA GIOVINEZZA, Regia: Francis Ford Coppola
2006 VITUS, Regia: Fredi M. Murer
2004 THE MANCHURIAN CANDIDATE, Regia: Jonathan Demme
2003 LA CADUTA – GLI ULTIMI GIORNI DI HITLER, Regia: Oliver Hirschbiegel
2002 BEHIND ME – BRUNO GANZ, Regia: Norbert Widmer
2000 PANE E TULIPANI, Regia: Silvio Soldini
1998 L’ETERNITA’ E UN GIORNO, Regia: Theo Angelopoulos
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1993 COSI’ LONTANO, COSI’ VICINO, Regia: Wim Wenders
1987 IL CIELO SOPRA BERLINO, Regia: Wim Wenders
1983 NELLA CITTA’ BIANCA, Regia: Alain Tanner
1980 THE INVENTOR, Regia: Kurt Gloor
1979 NOSFERATU, PRINCIPE DELLA NOTTE, Regia: Werner Herzog
Elio Germano (Folco Terzani)
Elio Germano è nato a Roma nel 1980 e già all’età di 14 anni frequentava corsi di teatro. Presso il
pubblico internazionale Germano è diventato famoso con il suo ruolo da protagonista in MIO
FRATELLO E’ FIGLIO UNICO (2007, regia: Daniele Luchetti), che gli è valso un David di Donatello.
Nel 2010 ha conquistato il premio come miglior interprete al Festival di Cannes, ottenuto ex-aequo
con il suo collega spagnolo Javier Bardem per LA NOSTRA VITA (regia: Daniele Luchetti). Germano,
che in Italia gode già di un consolidato status da star, a livello internazionale lo si è potuto
ammirare in TUTTA LA VITA DAVANTI (2008, Regia Paolo Virzì) e in NINE (2009) di Rob Marshall.
Tra i suoi ruoli cinematografici e televisivi ricordiamo: COME DIO COMANDA (2008, regia Gabriele
Salvatores), N – IO E NAPOLEONE (2006, regia Paolo Virzì), ROMANZO CRIMINALE (2995, regia
Michele Placido), “Ti piace Hitchcock?” (2005), “Ferrari” (2003) e LAMPEDUSA (2002, regia
Emanuele Crialese). Prossimamente si potrà ammirare Elio Germano al fianco di Irène Jacob e
Jean-Marc Barr in E LA CHIAMANO ESTATE (2010) di Paolo Franchi.
Erika Pluhar (Angela Terzani)
L’attrice di nascita austriaca, nata a Vienna nel 1939 ha fatto la sua comparsa sulle scene teatrali di
Salisburgo e Monaco di Baviera. E’ diventata nota al grande pubblico attraverso il film per la
televisione in due parti “Bel Ami”. Ha recitato per Wim Wenders in LA PAURA DEL PORTIERE
PRIMA DEL CALCIO DI RIGORE (1971), per Otto Schenk in MERRY GO ROUND (1973) e per Wolf
Gremm in THE BROTHERS (1976) e DEATH OR FREEDOM (1977). Tra i suoi altri ruoli
cinematografici sono annoverati GIGOLO’ (1978, ragia David Hemmings) e LIEBE IST KEIN
ARGUMENT (1983, regia Marianne Lüdcke). Pluhar ha compiuto la sua seconda grande carriera
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
come cantante. Dal 1981 canta testi propri, ha pubblicato parecchi album e ha scritto numerosi
libri.
Andrea Osvárt (Saskia Terzani)
Andrea Osvárt è nata a Budapest nel 1979. Ha studiato cultura, letteratura e lingua italiana
all’Università Eötvös Lóránd. Appassionata ballerina, per parecchi anni ha lavorato come modella,
ha girato numerosi spot pubblicitari ed è approdata a una piccola parte nel successo
cinematografico internazionale di Tony Scott SPY GAME (2001) con Robert Redford e Brad Pitt.
Successivamente ha lasciato la carriera di modella e ha studiato recitazione alla International
Acting School di Roma, dove vive dal 2003. Tra i suoi ruoli cinematografici e televisivi si ricordano
MARE NERO (2006, regia Roberta Torre), “Pompei” (2007, regia Giulio Base) e LE VALLI DELLA
PAURA (2009, regia Mihály Györik). Nel 2010 in Italia ha inizio la serie TV “Le ragazze dello swing”.
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
DIETRO LA MACCHINA DA PRESA
Jo Baier (Regia)
Jo Baier è nato nel 1949 a Monaco di Baviera. Dopo la maturità ha studiato Scienze dello
spettacolo, germanistica e americanistica presso l’Università Ludwig-Maximilian e nel 1980 ha
conseguito il dottorato in filosofia.
Jo Baier ha iniziato il suo lavoro come regista nel 1979, inizialmente con documentari. Fino a oggi
ha girato più di 60 film documentari e lungometraggi per la tv. Dal 1984 sono stati realizzati anche
parecchi film di fiction per i quali ha scritto lui stesso anche le sceneggiature. Tra i suoi lavori più
importanti sono compresi HENRI 4 (2010), “Liesl Karlstadt und Karl Valentin” (2007), “Das letzte
Stück Himmel - Par amour pour Julian” (2006), “Nicht alle waren Mörder - Ce n'étaient pas tous
des assassins” (2005), “Stauffenberg” (2003), “Schwabenkinder - L'hiver des enfants” (2002),
“Verlorenes Land - Terre perdue” (2001), “Wambo” (2000), “Der Laden - La boutique”
(1996/97/98, film per la televisione in tre parti), “Hölleisengretl – Dame Gretl” (1994), “Wildfeuer”
(1900/91) e “Schiefweg” (1986/87). Per i suoi film Jo Baier ha ottenuto numerosi premi e
riconoscimenti, tra i quali più volte il Premio Adolf Grimme, il Premio della Televisione Bavarese, il
Premio per la Regia dell’Accademia Tedesca delle Arti Figurative, il Premio per la Televisione
dell’Accademia Tedesca delle Arti Figurative, il Premio TV Tedesca e il Premo Robert Geisendörfer.
Per la sua opera omnia Jo Baier è stato insignito della Croce Federale al Merito e dell’Ordine
Bavarese al Merito.
Ulrich Limmer (Produzione e sceneggiatura)
Nato nel 1955, Ulrich Limmer ha appreso la professione di produttore e autore presso l’Istituto
Superiore per il cinema e la televisione di Monaco di Baviera. Dopo aver terminato gli studi,
inizialmente Limmer ha curato per due anni come direttore di produzione i film di suoi colleghi, tra
i quali il primo film per il cinema del suo ex compagno di studi Roland Emmerich. Successivamente
è passato alla Bavaria Film come produttore e autore. Ha lavorato insieme a registi illustri, tra gli
altri con Dominik Graf, Joseph Vilsmaier e Max Färberböck. Nel 1986 con Helmut Dietl ha iniziato a
lavorare a SCHTONK!, per il quale Limmer aveva elaborato le idee di fondo. Insieme hanno scritto
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
la sceneggiatura. Limmer ha curato il film in veste di produttore esecutivo. Per THE HARMONISTS
(1997, regia di Joseph Vilsmaier) è stato responsabile dello sviluppo della sceneggiatura e con Uwe
Timm ha scritto la sceneggiatura per il film BABE MAIALINO CORAGGIOSO (1994).
Dopo aver lasciato la Bavaria, dove alla fine era diventato produttore capo per il cinema, ha
assunto la gestione amministrativa della Kinowelt Filmproduktion, dove tra l’altro è stato
responsabile di numerose co-produzioni: GRIPSHOLM (2000, regia di Xavier Koller), FORGET
AMERICA (2000, regia di Vanessa Jopp), ALASKA.DE (2000, regia di Esther Gronenborn), A
HANDFUL OF GRAS (2000, regia di Roland Suso Richter), A MAP OF THE HEART (2001, regia di
Dominik Graf), e RICETTE D’AMORE (2001, regia di Sandra Nettelbeck). Nel 2001 ha prodotto il film
DAS SAMS - THE SLURB (regia di Ben Verbong), per il quale ha scritto anche la sceneggiatura
insieme all’autore Paul Maar.
Nell’autunno del 2002 Limmer ha fondato la Collina Filmproduktion GmbH. Il primo progetto della
sua nuova casa di produzione è stato il seguito di SAMS, ovvero SAMS IN GEFAHR (2003, regia di
Ben Verbong). Come già nel primo film SAMS, ancora una volta ha svolto contemporaneamente la
funzione di autore (insieme a Paul Maar) e di produttore. Con la stessa configurazione nel 2007 è
stato realizzato il film per il cinema HERR BELLO (regia di Ben Verbong). Un altro progetto di
family-entertainment che ha avuto oltremodo successo è stata la riduzione cinematografica di THE
ROBBER HOTZENPLOTZ (2006, regia di Gernot Roll) basata sui libri per bambini di Otfried Preußler.
Con LIPPEL’S DREAM (regia di Lars Büchel) ha proseguito la sua collaborazione con Paul Maar.
Negli anni successivi ha prodotto i due film per il cinema CHEEKY GIRLS e CHEEKY GILRS 2 e THE
HAIRDRESSER con la regista Doris Dörrie.
Il dramma televisivo “Angsthasen” da lui scritto e prodotto è stato nominato per la Goldene
Kamera e per il Premio Grimme.
Per i suoi lavori Ulrich Immer è stato insignito di parecchi premi cinematografici tedeschi e
bavaresi, nonché di una designazione per il Golden Globe e l’Oscar per SCHTONK!
Dal 1997 insegna nel corso di studi Creative Producing presso l’accademia del cinema del BadenWürttemberg, dove nel 1998 è stato nominato professore onorario dal ministro della cultura.
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Folco Terzani (Sceneggiatura)
Folco Terzani, nato nel 1969 a New York, figlio del corrispondente per DER SPIEGEL Tiziano Terzani
e di sua moglie Angela Terzani, è cresciuto in Asia. In seguito ha studiato letteratura a Cambridge e
regia a New York presso la New York University.
Ha iniziato la sua carriera nel cinema tra l’altro con i film documentari “The European Buddha” e
“Mother Teresa’s first love”. Nel film sulla missione di Madre Teresa a Calcutta ha accompagnato
per oltre un anno il lavoro della suora nella sua missione e ha effettuato le ultime riprese
autorizzate di Madre Teresa.
Negli ultimi anni ha lavorato con il film-maker statunitense Roko Belic, nominato all’Oscar, e con
lui ha girato il film “Twilight Men”, un ibrido tra film documentaristico e di recitazione, che parla
delle capacità del guru “Himalaya Sadhu” che vive nelle caverne e nelle foreste dell’Himalaya.
Folco Terzani è stato chiamato dal padre Tiziano poco prima della sua morte nella casa sui monti
della Toscana.
Folco si è messo in viaggio e per tre mesi ha avuto lunghe e intense conversazioni con il padre, fino
alla sua morte. Sulla base di queste conversazioni, nel 2006 ha pubblicato l’ultimo libro del padre
con il titolo “La fine è il mio inizio”. Con 536.000 copie vendute in Italia, il libro è stato per lungo
tempo al primo posto tra i bestseller. Anche in Germania “La fine è il mio inizio” è un bestseller,
con 220.000 libri venduti dalla sua uscita nella primavera del 2007.
Folco Terzani, insieme a Ulrich Limmer, è autore della sceneggiatura per il film “LA FINE E’ IL MIO
INIZIO”.
Nel mese di settembre 2010 è uscito il libro “ Un mondo che non esiste più” (Longanesi, 2010), nel
quale Folco Terzani ha raccolto una selezione di 200 fotografie e di testi di Tiziano Terzani.
Ludovico Einaudi (Musica)
Ludovico Einaudi, nato a Torino nel 1955, proviene da una famiglia molto influente. Uno dei suoi
nonni è stato Presidente della Repubblica Italiana, l’altro era direttore d’orchestra e compositore.
Suo padre ha fondato la rinomata casa editrice Einaudi. Ludovico ha raggiunto la maestria come
compositore e pianista. Da pianista, con una formazione classica, ha composto musica da camera
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LA FINE E’ IL MIO INIZIO
e opere per orchestra, e si è esibito con successo con programmi per pianoforte solista. Orientato
stilisticamente verso Erik Satie, Einaudi nel suo lavoro si apre anche a influenze pop e in Inghilterra
è riuscito anche a scalare le classifiche pop. Il suo ultimo disco “Nightbook”, celebrato dalla critica,
è nato durante i suoi viaggi intorno al globo. Con Robert Lippok, esperto di musica elettronica, e
suo fratello Ronald, Einaudi nel 2009 ha pubblicato con il nome Whitetree l’album “Cloudland”.
Einaudi ha composto anche numerose colonne sonore, tra le quali FUORI DAL MONDO (1999,
regia di Giuseppe Piccioni), LUCE DEI MIEI OCCHI (2001, regia di Giuseppe Piccioni), LE PAROLE DI
MIO PADRE (2001, regia di Francesca Comencini), la serie a puntate per la TV “Dottor Zhivago”
(2002), SOTTO FALSO NOME (2004, regia di Roberto Andò) e THIS IS ENGLAND (2006, regia di
Shane Meadows).
Le sue composizioni per i film hanno ottenuto molteplici riconoscimenti.
CREDITI NON CONTRATTUALI
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