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ritratti di Style Tom Barrack Il libanese volante Americano con radici mediorientali, il padrone della Costa Smeralda vale 25 miliardi di dollari; per Fortune è il «più grande investitore immobiliare del mondo». In Sardegna gioca a polo, dà lavoro a 4 mila famiglie, fa affari con Carraro, gli piacciono Soru e Berlusconi («un genio»). La mania? Gli orologi, ma non li porta per via dei politici... di Pier Andrea Canei foto di Graziano Villa per Style M « io padre, gran maestro di vita e piccolo bottegaio libanese a Los Angeles, mi prendeva per il braccio e diceva: “Vedi queste arance? Sono identiche a quelle di tutti gli altri, costano uguali e sono dolci uguali. Per cui, se le vuoi vendere, devi o averle quando gli altri non le hanno, o riuscire a fare in modo che i tuoi clienti si affezionino a te, servendoli con più attenzione, simpatia e onestà”. Ecco, in questo senso sono rimasto un venditore di arance». Le arance di Tom Barrack, il 59enne americano ben piantato, abbronzato e sorridente che racconta questa storiella contemplando l’orizzonte sardo davanti a Porto Rotondo, valgono oggi 25 miliardi di dollari. Una delle più succose è quella che fa da cornice alla conversazione: la Costa Smeralda, acquisita nel 2003, con i suoi sei hotel, il golf club, la marina di Porto Cervo e 2.500 ettari di territorio costiero, dalla Starwood Hotels. Altre 120 arance sono sparse in 35 paesi del mondo: lo scorso maggio 70 ritratti di Style Il suo mondo è un Village la Colony Capital, società d’investimenti immobiliari da lui fondata nel 1991, è convolata a giuste nozze con la Kingdom del principe saudita Al-Waleed, formando un immenso reame alberghiero di cui fanno parte gli hotel Raffles (tra cui quello mitico di Singapore), i resort di lusso Fairmount, ma anche due catene da business traveller come Swissotel e Delta; i piani di sviluppo prevedono grandi espansioni in Estremo oriente, attorno alla Cina famelica di nuovo benessere. Per questo, Barrack non si ferma mai: il fiuto per nuove opportunità di business lo porta a girare il mondo senza requie sul suo jet privato, come un indaffarato segugio a reazione. All’incontro con Style si presenta rilassato: pantaloni grigi di fresco stirati, camicia Façonnable in lino color aragosta, mocassini senza calze e cintura coordinata, arriva, abbraccia il suo autista locale, che visibilmente lo adora (per chi qui vive di turismo, Barrack è visto come un monarca illuminato, e per giunta simpatico). Quindi inizia a passeggiare nel giardino della villa di Porto Rotondo che ha amichevolmente espropriato da Renzo Persico, avvocato e presidente del consorzio Costa Smeralda. E a parlare di sé, della Sardegna, di altri suoi sogni: «Sono arrivato qui 20 anni fa, in barca, e il posto mi ha conquistato subito. La bellezza dei luoghi ti spazza via, come i venti che si alzano all’improvviso: il maestrale, lo scirocco, come una donna stupenda con i suoi cambi d’umore...». Costa Smeralda Barrack è l'azionista di riferimento di tutta l'area (in grigio scuro nella cartina); ne fanno parte quattro hotel di lusso, un golf club e la Marina di Porto Cervo. Dove la novità è il Prestige Village, area di 1.200 mq dedicata a corpo e spirito: palestra, wine bar, incontri con autori (da Carlo Rossella a Gabriele Romagnoli). www. marinadiportocervo.com. Los Angeles Nella metropoli californiana dov'è nato (a Culver City, sobborgo creato per l'industria del cinema) Barrack torna spesso, ma non per nostalgia: è il quartier generale della sua Colony Capital, società che ha fondato nel 1991. E che oggi conta 120 collaboratori in tutto il mondo, che gestiscono immobili e capitali per oltre 25 miliardi di dollari. Singapore Qui ha sede il Raffles, uno dei più venerabili (e romanzati) alberghi del mondo, diventato poi una catena di grandi alberghi, e resort di lusso acquisiti nel 2005 da Barrack e soci. Oggi i Raffles sono 15, quasi tutti in Asia: l'ultimo acquisito è il grande Beijing, nella capitale cinese, il prossimo (apertura: 2007) sorgerà al largo di Dubai. 72 Toronto Lo scorso 30 gennaio, nella città canadese, Barrack ha concluso un affare da oltre 5 miliardi di dollari mettendosi in società con il principe saudita Al Waleed per acquisire la catena Fairmount. Dando così vita a un impero di 120 hotel (delle catene Fairmount, Raffles, Swissotel e Delta) in 23 paesi del mondo. Sembra in vacanza, ma lei è qui per fare soldi. Quel che amo, qui, è anche quel che non c’è: basta pensare a posti come Cannes o Marbella, soffocati nel cemento. Se Renato Soru blocca tutti i progetti sulla costa, mi va benissimo: vuol dire che mi godo il quasi monopolio su quest’angolo di Sardegna. Anche perché i suoi orizzonti vanno molto aldilà di Porto Cervo. L’Europa ha un problema di motivazione: per le aree di vera crescita bisogna guardare a Est del mondo, da Dubai a Shanghai: il futuro è laggiù. Quindi qui si rilassa, senza rimetterci. Nell'isola ha importato anche uno sport d’élite che pratica con gusto... Il polo e la Sardegna formano una coppia perfetta: condizioni climatiche giuste, ottimi allevamenti equini, e la stessa combinazione di glamour e sport che porta qui, ad esempio, gli appassionati della vela. Ma è più pericoloso il polo o la politica italiana? Qui vedo funzionari molto ricettivi a nuovi modelli di sviluppo; penso in particolare a due sindaci illuminati come quelli di Olbia e di Arzachena: certo, Soru ha davanti a sé un lavoro difficile. Ha la mia stima, e penso abbia tutte le ragioni a dire: “non bisogna portare qui i ricchi, ma people who care”, gente che ha davvero a cuore la Sardegna. Può essere anche ritratti di Style il turista venuto con il traghetto, che si mangia il panino al bar e, alla fine della giornata, contempla lo stesso tramonto del tedesco con la villa da 35 milioni di euro... certo, le infrastrutture andranno sviluppate di conseguenza. Ha visitato la reggia del suo vicino di casa Silvio Berlusconi? Villa Certosa? Certo, ci sono stato: va assolutamente vista! Quel Berlusconi è un genio, ha creato un anfiteatro tutto per gli hibiscus: quando fioriscono sembrano un’orchestra, roba da mozzare il fiato. E poi, 500 specie di cactus; se ne è occupato personalmente, e ha creato una meraviglia. Altro habitué della Costa Smeralda è l'ex presidente Figc Franco Carraro, uno che lei conosce bene... Con Carraro siamo in buoni rapporti, personali e anche d’affari. So del suo coinvolgimento nelle indagini sul mondo del calcio; gli ho chiesto rassicurazioni sulla sua estraneità. Fino a prova contraria, resta un ottimo amico e partner. Mai avuto voglia di battere cassa e abbandonare la Sardegna? Non ci penso nemmeno. Qui, ci sentiamo davvero a casa. E siamo orgogliosi di essere tra i maggiori datori di lavoro dell’isola: tra strutture alberghiere e logistica, trasporti e barche, forniture di ciliegie e pecorino diamo da vivere a 4 mila famiglie. Onore al merito dell’Aga Khan: questa zona l’ha inventata lui, in modo brillante, creando uno stile di vita ai bordi del mare là dove non viveva nessuno. E per me è diventato anche l’«hub» familiare per l’estate: quando finisce la scuola, moglie e figli mi raggiungono. Loro la raggiungeranno pure, ma lei qui si fa trovare di rado. È così: io viaggio mediamente cinque giorni la settimana, e il luogo in cui trascorro più tempo è il Gulfstream IV, il mio jet personale. Lo scorso anno ci ho passato oltre mille ore. Ma essere sempre in movimento mi piace: posso vedere la globalizzazione dal vivo. E capire l'offerta che c’è in giro: se uno vuole bruciarsi 200 mila euro la settimana facendo le vacanze in barca, ha tantissime opzioni; per me, ma anche per la Sardegna, è importante sapere cosa potergli offrire per farlo stare meglio qui che altrove. Un grande classico: la vita vissuta a tutta birra... La mia storiella preferita è quella del leone e della gazzella. Il leone ogni giorno si sveglia e sa che, 73 ritratti di Style Letture ad alta quota In aereo, Barrack sfoglia Bedrooms, antologia di sfarzose camere da letto arredate dall'architetto d'interni Alberto Pinto. se vuole mangiare, dovrà correre più veloce della seconda; la gazzella si sveglia e sa che, se vuole sopravvivere, dovrà correre più veloce del leone. Per cui: che tu sia un leone o una gazzella, appena ti svegli incomincia a correre più forte che puoi! Io mi metto a correre ogni mattina alle 4 e 30. C’è un posto che veramente è casa sua? Se la casa è dove batte più forte il cuore, allora scelgo Santa Barbara, in California, dove si trova il mio ranch. Non è un luogo di ostentazione, ma un bel possedimento, dove alleviamo cavalli, abbiamo quattro campi da polo e produciamo quattro vini diversi. Risale al 1928; l’ho rilevato dagli Armour, famiglia di industriali della carne a Chicago. Lì vive la mia famiglia durante la stagione scolastica, e tutti, in mia assenza, hanno anche responsabilità di management: il minore dei miei figli, di dieci anni, deve, ad esempio, occuparsi dei cani. Poi abbiamo case anche a Mougins, nel sud della Francia, e a New York; infine, palazzo Pecci Blunt a Roma, davanti all’Ara Coeli; riuscire a trascorrervi un po’ di tempo è sempre una grande emozione, oltreché un’immensa lezione di storia. Prossima fermata? Sto per andare in Marocco, dove è in corso una gara d’appalto per la costruzione di un grande resort. Anche lì la famiglia reale è molto attenta alla modernizzazione, e guarda alla Spagna: una mecca per turisti che però è ormai vicina alla saturazione, dove i prezzi e i salari sono alti e dove il livello dei servizi si è abbassato. Mi sembra chiaro l’andazzo: io vedo il Mediterraneo come una grande tavola imbandita, e finora abbiamo banchettato solo a Nord; però qui adesso siamo satolli, mentre là al Sud hanno molta fame, e stanno apparecchiando giusto ora. A tavola ci si metteranno anche loro. Oltre che nel polo, lei è a cavallo anche tra la mentalità business americana e la sensibilità mediterranea. Come giudica l’Italia? Gli italiani arrivano dappertutto, e in generale risultano simpatici; al contrario degli americani, percepiti a priori come imperialisti del dollaro. Trovo 74 che l’Italia sia una fonte di continua ispirazione; anche per certi luoghi che scopro e che mi lasciano di stucco; penso, ad esempio, a Montecatini Terme, un posto che mi trasporta in piena Belle Époque. Lo stile italiano influenza anche il suo guardaroba? In tutto cerco di mettere insieme il meglio dei classici col meglio delle idee nuove, senza apparire troppo. I miei abiti sono tutti di fattura italiana, ma per le camicie, che per tanti anni mi sono fatto fare da Siniscalchi a Milano, sono passato a certe sartorie asiatiche che le sanno fare di categoria paragonabile, ma alla metà del prezzo. Certe cose mi fanno sorridere: come quando, a Hong Kong, vedo gli arricchiti del posto far la fila al negozio di Vuitton, e gli europei in trasferta farla dove si vendono le migliori imitazioni di Vuitton. Passa per intenditore di orologi, ma al polso non porta nulla... La puntualità per me è un valore supremo: mi sforzo di esserlo senza dover guardare l’ora. E amo i Piaget d’epoca, ma li colleziono senza portarli. Orologi di gran prestigio, che una volta hanno giocato un ruolo chiave in un affare concluso a Haiti. Come è andata? Fine anni Settanta: missione diplomatica e d’affari alla corte dell’allora dittatore «Baby Doc» Duvalier. Io sono lì come mediatore, al seguito di due giovani principi sauditi che vogliono stringere una serie di accordi diplomatici e commerciali. Uno dei due principi, all’epoca avrà avuto 24 anni, sfoggia questo Piaget tempestato di diamanti; un pezzo da 250-300 mila dollari. Il dittatore ascolta svogliato le nostre proposte, e fissa l’orologio. In continuazione. Poi a un certo punto dice: «Posso dare un’occhiata»? Il principe, cortese, lo sfila e glielo mostra. E lui: «Posso indossarlo?». «Nessun problema, anzi!», gli fa il principe. E aggiunge: «Saremmo lieti se lo volesse accettare in segno di amicizia». Il dittatore non fa una piega, si alza: «Molte grazie, grazie davvero. Ah, quasi dimenticavo la vostra proposta non mi interessa, ma grazie della visita. Arrivederci». E sparisce. Lì per lì ci rimasi malissimo, ma a distanza di tempo l’accordo con Haiti andò in porto. Le è mai successo qualcosa del genere con politici italiani? Lo ha notato lei: non ho più orologi da portare! (ride) Scherzi a parte, come competere con gli italiani? Impossibile! Sono talmente schietto e normale che, alla fine c’è fiducia reciproca. Ci si siede, si parla, si fanno affari. Come una grande famiglia poliglotta: quella che raduno io qui, al centro del Mediterraneo. s