L`impatto delle nuove tecnologie nella scuola

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L`impatto delle nuove tecnologie nella scuola
Comune di Modena
Settore Istruzione – Cde – Cdh
Provveditorato agli Studi di Modena
2° salone di idee e servizi per la scuola
Modena 6 – 10 settembre 1999
In collaborazione con
Provincia di Modena
Emilia Romagna Teatro
L’impatto delle nuove tecnologie nella scuola
Antonio Calvani
Università di Firenze
Vorrei puntualizzare alcune cose: la ricerca sulle tecnologie dell’istruzione come tutti gli ambiti di
ricerca si trova di fronte a problematiche nuove che non cessano mai di sorprenderci, ma ci sono
una serie di cose che sono ragionevolmente consolidate, si sa abbastanza sulle cose che si
devono fare, si possono fare. Su quali sono gli errori, gli sbagli, le cattive valutazioni che emergono
nell’introduzione della tecnologia nella scuola
Quello che manca sfortunatamente è la divulgazione, lo scambio, la comunicazione fra scuole ed è
veramente avvilente, credo di condividere un’opinione un po’ propria di quelli che lavorano ormai
da anni, qui c’è l’amico G. Trentin che ormai ci ritroviamo in tutti i convegni a ridire le stesse cose,
scusami G., ma succede che si ha sempre la sensazione quando ci imbattiamo di fronte a scuole e
a gruppi di trovare insegnanti che si trovano ciclicamente davanti agli stessi problemi e fanno
sistematicamente gli stessi errori con grandi dispendi di energia, e con l’illusione a volte, scusatemi
la cattiveria, di riscoprire sempre l’acqua calda . Le tecnologie illudono, hanno questa sensazione
di novità, di avere sempre qualcosa di nuovo fra le mani mentre quelle destinate a rimanere e
quindi a consolidarsi sono relativamente poche .
In sintesi vorrei fare alcune riflessioni e dare alcune raccomandazioni, quelle che per me sono di
base per un insegnante e un preside; quelle che una scuola dovrebbe avere ben stampigliate nella
mente quando affronta la problematica di introdurre la nuova tecnologia nella scuola.
Prima osservazione: credo debba essere sottolineato, in genere c’è questa consapevolezza ma
non è così sufficientemente marcata, che queste tecnologie si trasformano nella potenza
dell’hardware, si trasformano nelle interfacce, tutti quanti sappiamo questo un po’ meno si tiene
conto del fatto che trasforma anche la filosofia educativa dell’uso di queste tecnologie.
Se noi torniamo indietro di venti anni, intorno agli anni settanta, appaiono i personal; a quell’epoca
quando si pensava al personal nella scuola l’unico concetto che emergeva era quello
dell’insegnamento tutoriale, dell’istruzione programmata il computer era visto come un sostituto
dell’insegnante e qualcuno teorizzava che un giorno la scuola avrebbe potuto fare a meno
dell’insegnante e non si vedeva altro, erano rare le valutazioni diverse da questa idea.
Il computer tutore, il computer insegnante, negli anni ottanta appaiono nuove famiglie di software
generale, la scrittura elettronica è stata un elemento di grande rottura, bisogna capire l’importanza
della scrittura elettronica che a mio parere rimane l’elemento fondamentale per entrare nella
scuola, le tecnologie devono entrare attraverso la scrittura elettronica portandone alla luce il
potenziale creativo, rinnovare l’attività della scrittura attraverso il computer è una strada basilare,
elementare, vincente, questa si è affermata negli anni ottanta e lì queste tecnologie hanno
cambiato volto sono diventate tecnologie toolts, strumenti per scrivere, per disegnare, per fare
musica per fare archivi per fare pc ipertesti.
Terza fase: fine anni ‘80- ‘90 viene fuori la multimedialità e qui la valenza fondamentale è quella
comunicativa, strumento per comunicare, comunicare attraverso il video, il suono e così via.
Quarta fase: fine anni ‘90, non mi dilungo su questo perchè G. Trentin nel suo intervento ha
essenzialmente parlato di questo, oggi se noi pensiamo e guardiamo nella ricerca tecnologica
quali sono le valenze di punta come sono percepite queste tecnologie domina questa dimensione
delle tecnologie come strumento per collaborare, sono diventate dei toolts, degli amplificatori della
collaborazione, strumenti per mettere in sinergia le persone, aiutare o migliorare la collaborazione
o cooperazione, quindi vedete cambia la filosofia, queste cose vanno percepite perchè i tempi
della scuola non vanno alla stessa stregua dei tempi della tecnologia, due tre anni per la
tecnologia sono tempi in cui cambiano completamente gli assetti e riferimenti, nella scuola due o
tre anni sono tempi di un primo avvicinamento al problema, ritorneremo su questo aspetto.
Un altro punto fondamentale su cui si è riflettuto poco, a mio parere, è quello delle possibili
dinamiche e delle implicazioni cognitive, legate all’impatto fra tecnologie e mente umana, sono un
po' le problematiche a cui accennava Longo all’inizio, che dovrebbero essere riprese, calibrate in
una riflessione educativa.
Io credo che, propongo qui uno schema, che come tutti gli schemi ha il carattere della
semplificazione anche grossolana, sia importante quando si pensa di introdurre la macchina, il
computer, di mettere il computer a contatto dei bambini oggi si pensa di usare queste macchine
nelle scuole materne, il piano nazionale prevede addirittura che i bambini delle scuole materne
usino il computer, bisogna fare delle riflessioni attente sulle dinamiche, sull’ergonomia cognitiva
come si usa dire, cioè che cosa succede, che integrazione uomo-macchina viene fuori.
Io credo che ci siano tre aspetti da valutare:
- tendenzialmente in molti casi l’uso della macchina tende a proiettare all’esterno la funzione
cognitiva, cioè ad alleggerire il carico cognitivo, pensiamo banalmente all’uso delle macchinette, le
macchinette calcolatrici, non si è riflettuto abbastanza se vanno usate, quando vanno usate, come
vanno usate, io a volte chiedo agli insegnanti: " ma voi come fate con le macchinette ? " e ho
scoperto che le macchinette sono proibite fino alla prima media, dalla prima media alla terza media
c’è una zona di frontiera in cui si possono usare qualche volta, ma con cautela; ma perchè questo
? qual è la filosofia che sta dietro a questa scelte ?
Credo che sulle macchinette sia chiaro, l’uso della macchinetta indebolisce il calcolo automatico,
se un bambino da sei anni inizia ad usare la macchinetta per fare tre per otto , probabilmente
diminuisce quella memoria aritmetica che invece, chi come me ha fatto la scuola tradizionale ha
molto coltivato.
C’è la tendenza a una estroflessione cognitiva, cioè certe funzioni interne vengono delegate alla
macchina e questo porta a un indebolimento della funzione cognitiva interna.
Non è molto diverso da quello che trovava Platone quando faceva dire a Socrate che la scrittura
avrebbe indebolita la memoria, Socrate era contrario all’introduzione della scrittura perchè la
scrittura avrebbe indebolito la memoria, e non aveva tutti i torti, perchè scrivere significa in effetti
alleggerire il carico interno della memoria alla lunga anche indebolire la memoria.
Questo è un aspetto della partita, di questa strana partita che si gioca con le tecnologie, che va
tenuto in considerazione.
Noi dobbiamo mettere in conto che, per certi aspetti, certe cose si possono perdere, si possono
disattivare delle funzioni quando si usano le macchine, non si guadagna tutto e basta come
qualcuno pensa: " si usano le macchine, quindi questi ragazzi diventano più intelligenti, più bravi ",
non si cerca di capire, di distinguere che ci sono delle funzioni che si vengono disattivando,
bisogna veder se la perdita vale la candela, se si perdono delle funzioni che ragionevolmente non
sono così importanti e si guadagnino invece, su altri versanti, funzioni cognitive più importanti.
- Accanto a questa dimensione dell’alleggerimento cognitivo, esistono altre dimensioni: una è
quella del fatto che mente e mezzo insieme raggiungono a volte livelli di efficienza che altrimenti
non sono consentiti e certe funzioni cognitive che sono latenti nell’individuo possono trovare
maggiore affermazione, quindi il perfezionamento di abilità cognitive che il soggetto già ha.
- Al di là di questa partita su due piani, esiste una dimensione più aperta, più profonda nella
questione tecnologica che è quella dei nuovi spazi mentali che nel tempo si potranno affermare
attraverso l’affermarsi di nuove pratiche cognitive.
Se noi guardiamo all’esempio storico più importante e significativo che abbiamo che è quello della
scrittura, noi possiamo veder che l’avvento della scrittura, che è una tecnologia, è stata la
tecnologia fondamentale, a sì indebolito la memoria, però parallelamente ha dato il via ad altre
pratiche cognitive, ha aperto nuovi spazi alla mente, ha dato il via a quelle forme di analisi
retrospettiva sul linguaggio che sono la base della nostra cultura, del nostro modo di pensare,
quindi, come vedete, c’è una dinamica complessa per cui certe cose si spostano da un lato
all’altro, certi spazi si possono riconfigurare e tutto questo deve rientrare nella valutazione
didattica. Quando si introducono queste tecnologie bisogna che l’insegnante si chieda: io quali
dimensioni cognitive voglio che emergano ? Io posso anche essere disposto a perdere qualche
abilità meccanica, al limite posso anche fare usare la calcolatrice a dei bambini di scuola
elementare perchè il mio progetto didattico mira a valorizzare altre progettualità, altre funzionalità
più alte; usando la calcolatrice per risolvere certi problemi il ragazzino può affrontare problemi che
prima non era possibile affrontare, però bisogna che ci sia questa riconfigurazione didattica, quello
che bisogna soprattutto evitare è che l’introduzione selvaggia delle tecnologie automaticamente
comporti un miglioramento della qualità didattica, questa è una pura illusione. E se non si capisce
questo e non si supera questo livello, noi stiamo assistendo e assisteremo forse anche negli anni
successivi a uno spreco enorme di tutti gli investimenti che verranno fatti in questo campo.
Se noi andiamo a vedere, credo di dire cose che tutti sanno, noi abbiamo avuto tre piani nazionali
sulle tecnologie.
Abbiamo avuto nel ‘85 il primo piano nazionale che si rivolgeva solo agli insegnanti di matematica
e fisica delle superiori, guardate come nel giro di 10 anni è cambiata la filosofia e il modo di
pensare, solo gli insegnanti di matematica e fisica erano gli addetti ai lavori del problema
tecnologico, importante nel ‘85 era insegnare a programmare.C’era chi diceva che programmare
era il nuovo latino era lo strumento per formare la mente, come era il latino, sembrano cose
lontane mille miglia, oggi tutte le interfacce, il concetto di cultura tecnologica è totalmente
cambiato, programmare non fa mai male, ma non ha sicuramente quella centralità nelle
problematiche attuali che aveva sicuramente negli anni ‘80.
Poi abbiamo avuto negli anni ‘91-’92 un allargamento all’educazione umanistica, sempre però
rivolgendosi agli insegnanti delle superiori perchè queste tecnologie sono sempre qualcosa di
difficile, qualcosa che richiede un’attività astratta alla base che quindi non sono alla portata dei
bambini piccoli.
Passano 5 anni, nuovo piano nazionale, cambia completamente la cornice, le parole chiave sono:
multimedialità, cooperazione, comunicazione a distanza ci si rivolge a tutti gli insegnanti di ordine e
grado compreso le sc. materne. Le tecnologie sono come degli strumenti che alla stessa stregua
del gesso e della lavagna devono entrare nella quotidianità della didattica. Ora se noi andiamo a
vedere quello che sta accadendo, siamo già al terzo anno di questo piano nazionale, le possibilità
sono tre: proviamo a spostarci dieci anni in avanti, siamo nel 2009-2010, proviamo ad immaginare
che cosa nel 2009 sarà rimasto di questo piano nazionale, dobbiamo ragionare in questi termini se
vogliamo avere una visione critica dell’impatto tecnologico.
Oggi noi sappiamo che cosa c’è rimasto dell’educazione al MS-DOS dei primi anni ottanta: alunni
che hanno fatto corsi di MS-DOS, fra dieci anni alunni che fanno corsi di Windows attualmente che
cosa avranno in mano, è questa la vera strada di una educazione tecnologica o bisogna spostare
l’obiettivo ?
Io credo che quello che sta accadendo nelle sc., in tutte le Sc. d’Italia, si possa fare cadere in una
di queste possibilità:
- nessun impatto, le tecnologie arrivano nella Sc. ma non hanno alcun impatto, qualcuno potrebbe
dire: " come nessun impatto, tutti acquistano l’aula informatica, l’aula informatica viene messa in
piedi " là dove viene messa in piedi rimane uno stanzone dove va qualche insegnante o qualche
ragazzino a giocare, passano due otre anni, succede che si guasta la scheda non c’è chi aggiusta,
il primo virus manda in panne, passati due o tre anni quella tecnologia è out, se non è guasta
fisicamente non interagisce più col mondo tecnologico.
In questo modo le tecnologie non sono entrate nella sc., non hanno esercitato nessun impatto, non
hanno cambiato niente, non si è avuta nessuna integrazione, nessuna sinergia fra tecnologia e sc.,
questo io temo sarà la soluzione prevalente, sono un pessimista, ma purtroppo è quello che
succede là dove le sc. non si attrezzano adeguatamente ad accogliere e ricevere le tecnologie, se
aspettano di affrontare il problema tecnologico così come affrontano normalmente corsi di
aggiornamento tradizionale, la soluzione è questa.
- le tecnologie hanno un impatto consistente, un po’ di classi le usano ma anche qui in sostanza le
tecnologie non agiscono come strumento di ristrutturazione dell’attività didattica.
-c’è un numero forse più limitato di casi che è quello di un impatto curato in cui si realizza una
buona integrazione fra tecnologie ed altri fattori soprattutto di politica tecnologica della scuola e
allora le tecnologie diventano un agente per una ristrutturazione più profonda della didattica però
bisogna capire come si può andare verso questo terzo livello qui occorre una riflessione un
ragionamento non rimanere così e lasciare che le cose vadano avanti da sole, perché se le
tecnologie le lasciamo andare avanti da sole giocano al ribasso a favorire apprendimenti piatti,
giocano a favorire lo smantellamento giocano a creare l’illusione che deriva da certe superfici,
certe interfacce edulcorate .
Si crede di sviluppare chissà quale dimensione del pensiero mentre questo è solo un abbassare le
funzioni del pensiero, e qui allora occorrono tutta una serie di elementi e considerazioni aggiuntive.
Vediamo più concretamente, schematizzando possiamo focalizzare l’attenzione su cinque aspetti:
sono le raccomandazioni base che di solito do, ma su queste cose ci sono tante varianti su cui
discutere
1° aspetto : ( prospettiva temporale ) una scuola. che si accinge ad accogliere le tecnologie
dovrebbe mettersi nell’ottica di iniziare una partita a scacchi che dovrebbe essere proiettata in un
arco temporale ragionevole, non meno di 3-5 anni. Se una scuola. vive il problema tecnologico
nell’ottica : devo fare questo corso di 40 ore per formare gli studenti incarico quel docente che è un
po' più esperto, lui chiama altri , fa un corso così anche noi abbiamo fatto il progetto di formazione
degli insegnanti e tutto muore qua; questa scuola è destinata a sperperare le risorse.
Tra 3 anni non è rimasto nulla, gli insegnanti non riescono a sedimentare nulla, non riescono a
calarsi nella didattica, c’è un rientro rapidissimo, una perdita delle informazioni che magari nel
corso sono state acquisite.
Un primo aspetto è quello della prospettiva temporale, occorre che la Sc. abbia uno staff che
imposti una politica tecnologica: noi lavoriamo per 3 o 5 anni che cosa vogliamo ottenere dopo
questo periodo ?, cosa vogliamo che siano diventate queste tecnologie in questi tempi?, che tipo di
penetrazione vogliamo che queste tecnologie abbiano avuto nella scuola ?
Per esempio, oggi si parla di multimedialità, quanto entra nella didattica? si vede che investe il 410 % degli insegnanti, quando magari hai il 60 - 70 % degli insegnanti che non sanno nemmeno
scrivere. Allora se si fa un piano serio, se vogliamo costruire un edificio, una cultura tecnologica, la
prima cosa che si deve fare è dedicarsi per 6 mesi a tutte le attività della scuola, di compilazioni, di
progettazione si fanno usando la scrittura elettronica, si impara a scrivere. Quanti sono gli
insegnanti nella mia scuola che usano quotidianamente la scrittura per le proprie attività personali;
questo è il primo elemento da controllare, se si vede che il 60 % non sa ancora scrivere è inutile
partire con progetti sulla multimedialità o anche con la cooperazione in rete. Bisogna creare un
sedimento di base; prima cosa, bisogna che ci sia la cultura tecnologica, poi in questo sedimento
si aggiungono altri elementi, quali le possibili collocazioni delle tecnologie nella scuola: si può
calcolare di più la dimensione internet e globalizzazione, le cose che diceva Trentin, esiste la
dimensione degli apprendimenti si vuole utilizzare la tecnologia per sviluppare più determinati
apprendimenti, per es. il recupero dell’handicap, apprendimenti di lingue straniere, apprendimenti
di matematica, e allora bisogna calibrare bene gli obiettivi e inserirli per curriculum.
Noi abbiamo qui un altro punto delicato, questa tecnologia multimediale rimane molto generale ed
è assai difficile calcolarla nei curricoli, cioè vedere bene dove la multimedialità può migliorare
l’acquisizione all’interno di una scelta disciplinare ed esiste fra queste due grandi dimensioni tutta
un’altra dimensione intermedia che, generalmente è poco usata e sarebbe quella di usare le
tecnologie per migliorare la comunicazione e cooperazione all’interno della scuola banche
elettroniche, scambi fra le commissioni di lavoro degli insegnanti, razionalizzare tutto quel mondo
della collegialità che spesso nelle scuola comporta anche grandissimo spreco di tempo, riunioni
collegiali, razionalizzare attraverso banche elettroniche scambi di informazioni che vengono
predisposte prima delle riunioni, tutta quella direzione che porta all’uso di internet e delle reti locali.
Sono tre livelli diversi nei quali l’intervento tecnologico può articolarsi , bisogna saper scegliere non
si può ottenere tutto, quanto vogliamo investire su una cosa, quanto su un’altra.
Un altro aspetto che può apparire , per me banale, ma è macroscopico: quando si va a vedere
dove vengono messe queste tecnologie nella scuola, si nota che continua ad essere dominante la
soluzione dell’aula informatica , il laboratorio informatico, vengono tutti raccolte in una stanza e in
questo modo si rispetta una separazione fra didattica quotidiana e informatica . Si nel laboratorio
per fare quelle cose che riguardano l’informatica come materia a se stante
Ora ci sono insegnanti che hanno provato soluzioni diverse :
- disseminazione dei vari computer nelle classi, può essere una soluzione che funziona, ma può
anche non funzionare perché un computer per classe può essere un elemento di distrazione, di
disturbo e non consente una riconfigurazione del lavoro didattico .
Io credo che una strada intelligente, di buon senso, che una qualunque scuola ha iniziato a seguire
sia quella dell’investire nella scuola per allestire aule, centri risorse integrali.
Cosa intendo : qui abbiamo il modello dell’aula informatica tradizionale che ricalca il modello
dell’aula comune, qui abbiamo il modello del computer in classe che ha qualche problema, la
soluzione più interessante è quella di quelle scuola. che possono comprare 15 - 20 computer;
questi li mettiamo in 2-3 grandi stanze e queste sono collegate ad internet con la possibilità di
consultare CD-ROM, però non sono solo stanze tecnologiche ma anche stanze di studio, ci
mettiamo libri manuali video cassette, sono piccole mediateche dove si mandano gli studenti a fare
delle esperienze di auto-apprendimento guidato, questa è una strada da perfezionare ed è
vincente perché crea degli spazi nuovi per la didattica, sposta dalla didattica frontale all’autoapprendimento e cerca di legare le nuove tecnologie con le vecchie tecnologie.
Ad esempio io ho visto una bella esperienza dove i ragazzi andavano lì con dei dossier predisposti
dagli insegnanti nelle ore di supplenza, allora gli studenti vanno in queste aule in questi centri
risorse hanno stabilito con i loro professori ad esempio che devono fare un approfondimento sulla
cellule, gli insegnanti di scienze hanno detto sulla cellula hai la cassetta di Quark, dei software, e
dei libri consultati; gli studenti vanno lì documentando il tempo impiegato il lavoro e maturano un
credito negoziandolo poi in progetto con gli insegnanti; questo è un modo per avviare forme di
didattiche personalizzate , sono queste le soluzioni intelligenti .
La formazione degli insegnanti è un altro punto importante , anche questo sarebbe un discorso
molto lungo, ma genericamente si può dire che gli insegnanti riconoscono tecnologie molto
pratiche, maneggevoli e affidabili ne comprendono subito il potenziale formativo; nei corsi si
incomincia generalmente a spiegare Windows , come si usa lo scanner, ma l’insegnante dice: " io
insegno scienze e io storia " come fa questa tecnologia a potenziare la didattica che a me
interessa.
Se un insegnante insegna storia gli si dice che può migliorare alcuni aspetti e non altri, bisogna
andare a toccare subito il contenuto disciplinare ecco, se questo non si fa si allungano i tempi della
formazione, e per quella legge che dicevo prima per cui il tempo di abbassamento e di
adeguamento delle tecnologie non si incrociano mai con tempi della formazione , gli insegnanti
non arrivano mai ad essere formati con quelle tecnologie in quel momento usabili perché sono già
passate di moda , e quindi vanno subito inserite in un contesto e va messo anche in discussione
anche il ruolo dell’insegnante si appoggia alle tecnologie. Esistono anche cambiamenti di ruolo
generalmente le tecnologie possono rendere lo studente più autonomo quindi l’insegnante non è
più il direttore di orchestra ma è colui che segue dietro le quinte .
Se si vanno a vedere i progetti di formazione una serie di regole fondamentali possono essere così
schematizzate :
- importante è che la formazione sia completamente alleggerita dal tecnicismo, insegnare Word
non significa insegnare tutto word e 3-4 o 5 sono le funzioni che servono, sono le funzioni di edit
poi bisogna capire perché è importante tornare sul testo, trasformare il testo, quindi la dimensione
tecnica è realmente modesta , quel tanto che serve per dare sicurezza alla persona poi si sa che ci
sono una serie di cose che non si sanno, non serviranno non si utilizzeranno.
Secondo me l’educazione tecnica non deve essere obbligatoria perché la persona che la fa per
forza non impara nulla, si deve aspettare che scatti la molla, bisogna aspettare il momento giusto
intanto il discorso tecnologico va avanti con la tecnologia la partita è così lunga che si riconfigura e
bisogna attrezzarsi per i tempi lunghi.
- non sia concentrata tutta in una fase anche l’idea del corso dove tutti si mettono a provare con
l’istruttore che fa vedere secondo me non va tanto bene, si danno degli imput e poi formare dei
gruppi di lavoro e molto lavoro dovrebbe essere anche domiciliare, una scuola furba dovrebbe
attrezzarsi anche con dei portatili da distribuire.
Io ho conosciuto anche degli insegnanti che hanno 5-6 mesi di corsi di alfabetizzazione e sono
rimasti allo stesso punto , mentre ci sono degli insegnanti e maestri di scuola materna,
completamente vergini sul piano tecnologico e si sono innamorati del computer; hanno comprato il
computer e nel giro di pochi mesi sapevano fare ipertesti e tutto quanto.
Quindi la reazione dell’insegnante alla tecnologia è molto diversa e bisogna tenerne conto .
- Tempi personalizzati
- sia subito situata
- non sia disgiunta da una valutazione dell’andamento tecnologico nel tempo, non conviene fare
grossi investimenti oggi sprecando tutto il capitale disponibile perché questo capitale fra due anni
non serve più, conviene dosare le risorse nel tempo .
- tenere in forte rilievo il problema emotivo dell’insegnante, il fattore fondamentale dell’insegnante e
la paura che il computer lasci in una situazione di imbarazzo . Non sono tantissime le cose
negative che possono succedere col computer, poi l’insegnante le deve sapere prima ed essere
tranquillo su questi aspetti fondamentali c’è quindi una sorta di psicotecnologia che bisognerebbe
introdurre nella formazione dell’insegnante e non solo riempirlo di istruzioni o nozioni.
- l’importanza dell’insegnante più esperto al quale rivolgersi quando si è in difficoltà, questo è
fondamentale
- la formazione non si svolga troppo separata nel tempo dall’impegno in classe, per esempio un
errore del piano per me è che un anno si fa la formazione e l’anno dopo la sperimentazione, si
sarebbe dovuto avvicinare di più; si fa formazione, si impara qualcosa si prova subito e si crea un
rapporto circolare fra formazione e sperimentazione .
- ci si avvalga sistematicamente della cooperazione anche a livello di alunni, si valorizzino gli
alunni, a volte gli insegnanti dicono di volere fare oggetti multimediali ma di non sapere usare la
videocamera o lo scanner, però ci sono due o tre studenti che lo sanno fare, quindi l’insegnante
pensa al progetto didattico e certe cose vengono fatte fare agli studenti.
- un altro punto fondamentale è il collegamento delle scuola con centri esterni , il centro
documentazione educativa di Modena è uno dei pochi centri che sta facendo una intelligente
politica tecnologica di territorio.
Io credo che la scuola da sola abbia poca capacità di sopravvivenza in questa partita con la
tecnologia, se non è collegata con sistemi di aiuto, di supporti tra altre scuola e con centri esterni
che fanno un po' da riferimento sia per la formazione che per la sperimentazione.
Pensate al problema del software didattico, come fa la singola scuola a tenere dietro a tutti i
software, ne escono a tonnellate e gran parte non servono a nulla perché sono cose di editori che
prendono il materiale cartella e lo riversano in CD-ROM, ma ce ne sono anche di interessanti e
come fa la scuola a sperimentarli tutti, chi è che mantiene accordi con la singola scuola : nel caso
dei libri c’è il rappresentante della casa editrice che va nella scuola. e fa vedere oppure
l’insegnante stesso va in libreria a sfogliare il testo; ma col software cosa fa l’insegnante , se
mancano questi elementi come si fa ad iniziare una partita di aggiornamento tecnologico
permanente. Occorrono quindi dei centri esterni alla scuola che facciano da raccordo tra scuola
che diventino anche luogo della sperimentazione del software didattico . Solo in questo contesto
dove si attivano questi centri, allora l’innovazione tecnologica può sopravvivere, in tutti gli altri è
destinata ad essere tagliata fuori .
Domanda:
quando ha fatto vedere tutti gli usi del computer, laboratori ,classi, a mio parere ce ne potrebbe
essere un quarto :
un computer collegato ad un videoproiettore però occorre un aula multimediale che permetta agli
insegnanti di poter integrare libro sussidiario e quaderno con il multimediale, noi abbiamo guardato
le videocassette ma non si integravano mai; noi abbiamo provato da sei mesi a sperimentare il
collegamento tra computer e videoproiettore lasciando nell’aula i banchi dove i bimbi possono
andare con i libri e quadernoni e sembra che funzioni.
Risposta: io ho solo schematizzato alcuni degli aspetti possibili di questa ridistribuzione logistiche
di queste tecnologie; da quello che dice mi sembra che voglia utilizzare le tecnologie a supporto
dell’insegnante , un’attività didattica multimediale , dove l’insegnante si avvale anche di proiezioni
del computer.
Le problematiche che presenta sono legate anche allo allestimento della lezione, il pericolo è
quello di ricadere in una specie di direttività potenziata dalla multimedialità , quello più importante è
che questa tecnologia si cali in un contesto dov’è possibile dare più spazi attivi agli alunni , usare
le tecnologie come strumento per valorizzare attività costruttive che vedano gli alunni come attori
in prima persona e ciò non toglie che anche tutte le dimensioni della lezione che tradizionalmente
dipende solo dalla parola dell’insegnante possa essere migliorata e perfezionata con l’uso di
strumenti di proiezione.
Domanda : a proposito delle aule per le tecnologie, il discorso circa il fatto che si possa fare una
didattica personalizzata e quindi gruppi di lavoro è più orientato verso la scuola superiore poiché
chi lavora nella scuola dell’obbligo non lo può fare per questioni di responsabilità
R. io avrei qualche dubbio; così come l’ha presentata quel tipo di aula secondo me esige un buon
autocontrollo , però questo non toglie la possibilità di soluzioni analoghe che possono essere
applicate anche nelle scuola dell’obbligo.
Se noi andiamo a vedere tutti i modelli di apprendimento costruttivo, vedono una organizzazione
dell’aula per spazi, per angoli dove ci sono i computer, quindi ci sono gruppi di studenti che
lavorano al computer e altri che lavorano sui banchi
Certamente richiede una riorganizzazione della didattica tradizionale, una riorganizzazione degli
spazi. Questo però non toglie che proprio i modelli , almeno a livello internazionale, più noti,
riguardino i bambini più piccoli che non sono da lasciare da soli perché gli insegnanti girano tra gli
angoli di lavoro e quindi è presente . L’ottica è però quella dell’organizzazione per spazi attrezzati
per lavori differenziati.
Per questo lavoro nella scuola dell’obbligo occorre capacità progettuale e anche la struttura
logistica adeguata perché se la classe è piccola non è possibile lavorare in questo modo