ALL`INTERNO UN MANIFESTO DI DIEGO ESPOSITO IBRIDI

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ALL`INTERNO UN MANIFESTO DI DIEGO ESPOSITO IBRIDI
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Periodico Trimestrale Gratuito
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IBRIDI CULTURALI
Il punto: IL PARADIGMA IBRIDATIVO di Eugenio Viola
PAESAGGIO COSTITUZIONE CEMENTO
Salvatore Settis, Tomaso Montanari, Gino Famiglietti
Marino Sinibaldi intervista David Grossman
Berengo Gardin prima e dopo
Editore Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo - S.S. 5 bis n. 5, 67100 L’Aquila
Tribunale dell’Aquila n°553 del Registro Giornali 18.03.2006
Anno VII/II Trimestre n°23 2012
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ALL’INTERNO UN MANIFESTO DI DIEGO ESPOSITO
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IL PUNTO
di Eugenio Viola
IL PARADIGMA IBRIDATIVO
in copertina:
Rendering di progetto del collettivo Raumlaborberlin per L’Aquila
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Editoriale
di Eugenio Viola
Il paradigma ibridativo
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4
5
Speciale Paesaggio Costituzione Cemento
Salvatore Settis
di Germana Galli
Tomaso Montanari. L’Aquila e le Nuvole
Gino Famiglietti
di Maddalena Bonicelli
6
Articolando
8
Il Personaggio
di Santa Nastro
di Marino Sinibaldi
David Grossmann
9
Editoria
Berengo Gardin prima e dopo
11
Architettura
di Roberta Gargano
Il Piano di ricostruzione visto con gli occhi di un cittadino
12
Architettura
di Antonella Muzi
Un salotto in città
13
L’artista
Diego Esposito
14
Architettura
di Giovanni Di Bartolomeo
Lanciano Smart City
16
Cultura e Impresa
di Nicla Cassino
Università Europea del Design
17
L’artista
di Raffaele D’Andria
L’Angelus e il nero
18
Ambiente e Territorio
di Nicla Cassino
I parchi eolici d’Abruzzo
21
Archeologia
di Emanuela Ceccaroni
Alba Fucens. Il futuro possibile
22
Cultura e Impresa
di Sebastiano Calella
Arrivare a Caprafico è come viaggiare
con la macchina del tempo
23
Cultura e Impresa
di Isabella Marianacci
Hearth Mater. Sulle tracce dell’uomo
25
Cultura e Impresa
Come è nata Fare L’Aquila
26
Infomu6
Mostre / attività / concorsi / libri / eventi / sotto la lente
MU6 n.23
Progetto grafico
Periodico Trimestrale ideato da Germana Galli
Ad.Venture / Compagnia di comunicazione
impaginazione a cura di Franco Mancinelli
Editore
Associazione Amici dei Musei d’Abruzzo
S.S. 5bis n.5, 67100 L’Aquila
Germana Galli
Archivio UED pag 16
Carlo Chiavacci pag 13
Sergio Ciarrocca, Dipartimento Protezione Civile pag 5
Giovanni Di Bartolomeo pag 6
Enrico Di Nenno pag 22
Marco Equizi pagg 4, 25
Mauro Orlando pag 18
Francesco Scipioni pag 7
Kazuo Shozu pag 13
Zanglingyun pag 13
Redazione
Stampa
Nicla Cassino, Angela Ciano, Giovanni Di Bartolomeo,
Antonella Muzi, Jessika Romano, Massimiliano Scuderi.
Poligrafica Mancini
Sambuceto / Chieti
Per questo numero hanno collaborato:
Maddalena Bonicelli, Sebastiano Calella, Maria Lucia
Carani, Sara Cavallo, Emanuela Ceccaroni, Antonietta
Centofanti, Raffaella Cordisco, Raffaele D’Andria,
Roberta Gargano, Serena Gaudino, Isabella Marianacci,
Santa Nastro, Filippo Tronca, Eugenio Viola.
Distribuzione
[email protected]
www.rivistamu6.it
Direttore Responsabile
Walter Capezzali
Coordinamento editoriale
MU2
Foto
Spedizione postale
Gli albori del XXI secolo offrono scenari radicalmente modificati. Si accumulano nuovi elementi
di riflessione che necessitano nuove griglie interpretative. Le sempre più sofisticate tecnologie di controllo e manipolazione del vivente, unite a quelle di elaborazione e trasmissione di
informazione digitale, hanno trasformato le incertezze dell’uomo in sconcerto e le sue fragilità in catastrofiche rotture che fanno deflagrare le tradizionali categorie di pensiero. Dal contesto attuale emerge un paradigma estetico mutato, in cui il rinnovato interesse per l’umano
si intreccia con l’emergenza di nuove prospettive epistemiche che ne mettono in discussione
la presunta intangibilità e invalidano in maniera radicale e inedita le tradizionali distinzioni ontologiche e metafisiche tra referenze umane e alterità non-umane di natura biologica o macchinica.
Uno dei più importanti modelli di poiesi umana concerne la produzione di automi, robot, creature, figli semi-macchinici dell’uomo riconducibili ad un processo demiurgico più che ad una
tecnica propria e ad esso legati da un rapporto ambivalente di odio-amore.
Nella tradizione occidentale queste entità prendono forma attraverso l’attività plastica e il desiderio prometeico di infondere vita all’inorganico che si trasforma quasi in una forma libidica, ripercorrendo le orme della Creazione così come tramandato dalla cultura classica alla versione biblica: dal mitologico Dedalo, maestro di ibridazione tra uomo animale e macchina alla
tradizione del Golem, dal Frankestein di Mary Shelley alla sua variante edulcorata nel Pinocchio
di Collodi; da Maria, l’automa messa in scena da Fritzlang in Metropolis, che a sua volta dà l’abbrivio alle trasformazioni cinematografiche del ciclopico Hall 9000 di 2001: Odissea nello spazio di Kubrick, per giungere infine al Terminator impersonato da Schwarznegger.
Sotto il profilo teorico la meccanopoiesi trova nel XX secolo i due maggiori volani nella cibernetica di Norbert Wiener e Julian Bigelow e nella ricerca sui computer inaugurata da Alan Turing e John von Neumann. D’altronde la tecnologia rende possibile l’idea di abitare il corpo:
«il corpo-paesaggio si differenzia dal corpo-natura perché implicitamente ammette il suo carattere ibrido e, in questo, accetta pienamente la concezione manipolatoria non solo in fieri ma
già ab origine», avverte Marchesini, poiché «manipolare significa dialogare con l’alterità». Emerge un pensiero trasversale e un sentire che possiamo definire Post-Human, denominazione complessa, che indica la consapevolezza del passaggio dall’era dell’umano a una nuova generica
configurazione identitaria collocata dopo l’umano, in senso oppositivo o come suo mero superamento; ma anche il definitivo tracollo degli umanesimi, segnati dall’antropocentrismo come
misura del mondo. La dimensione teriomorfa che informa di sé il modello postumanista torna nella riproposizione di alieni, cyborg, mutanti, intelligenze artificiali che travalicano i confini dei racconti di fantascienza per entrare nell’immaginario collettivo.
La tecnologia diventa organo, si fonde con l’epidermide, diventa viscerale, profonda, si attacca alla pelle attraverso il tocco delle dita su una tastiera: il personal computer, il cellulare, l’IPhone, l’I-Pad, o penetra all’interno dei corpi sotto forma di protesi di vario tipo.
Di qui il carattere assolutamente nuovo del cyborg, entità diversa dall’eroe mitologico o dal modello cibernetico della letteratura fantasy. Il cyborg abbandona progressivamente il suo percorso
mitico, un passaggio emblematico di una nuova sensibilità percorribile attraverso la filmografia
che nel corso del Novecento accompagna la letteratura fantascientifica: da Blade Runner di Ridley Scott (1982), alle saghe “in progress” di Robocop, Alien e Terminator, senza dimenticare la
variegata produzione cronenberghiana.
Alla visione umanista arroccata nella propria antropica purezza Donna Haraway oppone la creatura ibrida del cyborg, un «organismo cibernetico» composto di organico e inorganico che «rappresenta una visione positiva e amichevole del rapporto corpo-macchina […] e apre una serie
di nuove questioni epistemologiche ed etiche», propone la visione di un corpo emblema di un
soggetto multiplo e denaturalizzato. Un’entità in grado di eludere le dicotomie di classe, sesso e razza, un’opportunità storica per scalzare, in ottica cyber-femminista, il controllo patriarcale inserendosi come un nuovo soggetto negli equilibri societari per proporre una ristrutturazione dell’ordine dei generi. L’analisi di Haraway parte da un assunto visceralmente femminista e tecnofilo, propone lo scenario di un corpo che si svincola dal suo sostrato biologico per
darsi come superficie d’incrocio di molteplici e mutevoli codici. «Alla fine del Ventesimo secolo […] siamo tutti chimere, ibridi teorizzati e fabbricati di macchina e organismo: in breve,
siamo tutti dei cyborg. Il cyborg è la nostra ontologia, ci dà la nostra politica […] è un’immagine condensata di fantasia e realtà materiale».
Haraway inaugura un nuovo modo di pensare l’identità sessuata: oltre la concezione dualistica del maschile/femminile, il cyborg decostruisce la soggettività classica configurandosi come
entità multidentitaria, «creatura di un mondo post-genere» che ha ridotto sensibilmente i confini tra l’umano e l’animale. «Il cyborg indica, in modo inquietante e piacevole, un saldo accoppiamento» dove «la bestialità acquista un nuovo status», realizza, in ultima analisi, «un sogno di armonia e di comunicazione perfetta tra macchine e umani, una curiosa utopia di impollinazione fra specie diverse, la felice fusione di elementi macchinici, evolutivi e artificiali».
Ne derivano una serie di esperienze artistiche di confine, che diventano luogo di riflessione critica e di aperto dibattito filosofico e antropologico estremamente complesso, ricco di prospettive
e di molteplici sviluppi. Una costellazione di pratiche e di proposte critiche eterogenee che, maturata a partire dall’ultimo decennio del Novecento, continua a segnare i percorsi dell’arte e
della critica d’arte d’inizio secolo, ponendo questioni che coinvolgono, innanzitutto, le nozioni di identità e di corpo, a loro volta attraversate dai processi di transculturazione e di ibridazione in atto.
© MU6 / 2012 stampato in Italia
D O V E T R O V A R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / A L B A A D R I A T I C A : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( L U N G O M A R E M A R C O N I ,
Cosa è successo a L’Aquila in quel non lontano 6 aprile 2009, è inutile che ve lo
raccontiamo. Ci preme di più di parlare di quello che sta succedendo, a livello di
immaginario locale e collettivo. E per farlo, invitiamo a discorrere con noi Salvatore
Settis, docente emerito presso la Scuola Normale Superiore di Pisa ed eminente
figura del panorama culturale nazionale ed internazionale, Tomaso Montanari,
Professore associato di Storia dell’arte moderna Università degli Studi di Napoli
“Federico II”, Gino Famiglietti, direttore regionale per i Beni culturali e paesaggistici
del Molise, relatori del convegno PAESAGGIO COSTITUZIONE CEMENTO, tenutosi
a L’Aquila presso l’Auditorium Sericchi della Cassa di Risparmio della Provincia
dell’Aquila, con il sostegno della Fondazione Carispaq il 13 marzo scorso. A loro, che
hanno visitato il centro storico della città e toccato con mano i danni subiti dagli
splendidi monumenti che ne abbellivano le piazze, le strade, la vita delle persone,
abbiamo chiesto di raccontarci qual è la posta in gioco. Dal punto di vista di chi
studia la storia dell’arte e si occupa del paesaggio. Con un approccio che riguarda
L’Aquila, ma che può serenamente essere esteso all’Italia intera.
Salvatore Settis
Germana Galli: In questi giorni ha avuto
modo di visitare la città e le new towns: crede che L’Aquila sia metafora della situazione
del degrado paesaggistico dell’intero paese ?
Salvatore Settis: L’abbandono del centro storico dell’Aquila al suo destino è uno scandalo nazionale, e non solo nazionale. Il fatto che un tessuto urbano tanto ricco e prezioso sia sostanzialmente ancora nello
stato in cui era all’indomani del terremoto
è raccapricciante. Quando diciamo che
questo abbandono è metafora di quanto accade in tutta Italia, qualcuno può pensare
che stiamo esagerando, che l’emergenza e
il degrado dell’Aquila sono dovuti a un evento straordinario come il terremoto. Ma un
Paese dal territorio fragilissimo, franoso e
a rischio sismico dovrebbe prima di tutto
lavorare di più nella prevenzione e messa
in sicurezza; dovrebbe, anche, reagire
prontamente e con criteri chiari agli eventi distruttivi. Nulla di tutto questo: la cifra
del degrado di cui l’Aquila è il simbolo la
danno le sinistre risate di un imprenditore
edile, che nella notte stessa del terremoto
individuò nelle disgrazie altrui un’opportunità di profitto per se stesso. Lo sciagurato sapeva già, con l’intuito sicuro dei predoni, che un sano progetto di ricostruzione non ci sarebbe stato. Ma è con decisioni
a livello nazionale che si sarebbe dovuto porre rimedio, e invece abbiamo visto montare
intorno al terremoto quasi solo ciniche operazioni propagandistiche.
GG: La responsabilità di questo degrado
sono ascrivibili al legislatore, agli enti locali o
all’assenza di controllo al controllore ?
SS: Credo che siano responsabilità condivise, ma l’incapacità di creare una regia unica e soprattutto competente è certamente
un fattore primario del degrado. C’è tuttavia da chiedersi se la frammentazione delle iniziative e delle istanze, l’assenza di una
visione generale, la rinunzia a ogni progetto
coerente non siano anche ispirate, sotterraneamente, dalla diffusa tendenza ad approfittare sempre di tutto, quando siano di-
GG: Con la fine delle gestioni commissariali
all’Aquila, le Soprintendenze svolgeranno
una funzione centrale nella ricostruzione dei
beni culturali. Crede che gli uffici territoriali,
a fronte di un così imponente lavoro, abbiano le “forze” necessarie?
SS: Non ho tutti gli elementi per rispondere.
Posso solo dire che non è solo questione
di contare i numeri delle persone disponibili. Se, come pare, ci sono circa 300 unità,
per sapere se bastano occorrerebbe avere
altri tre elementi di giudizio: primo, come
sono stati selezionati, e se le competenze
e la motivazione di ciascuno di loro sono
all’altezza del problema; secondo, se esiste
un piano ben fatto di intervento; terzo, se
è stata creata una struttura organizzativa e
amministrativa in grado di gestire la situazione con altissima professionalità e piena efficacia.
la”proposto dall’OCSE e dall’Università di Groningen. Cosa ne pensa ?
SS: Come ho scritto su Repubblica del 7 aprile, mi pare un pessimo segno lo slogan assai frivolo “trasformare l’Aquila in una
smart city”. Il progetto contiene affermazioni
generiche e retoriche, come l’idea di fare della città «un prototipo, un laboratorio vivente,
uno studio di caso, che sfrutti nuove tecnologie per migliorare la qualità della vita».
Cito da quel mio articolo: «La ricostruzione? Può aspettare, anzi secondo il progetto sarebbe sbagliata «l’intenzione di ricostruire prima e poi trovare i mezzi per progredire». Bisogna, anzi, «spostare il centro
dell’attenzione dalla ricostruzione fisica
allo sviluppo economico e sociale». L’Aquila
dev’essere «adatta a nuovi modelli di business», candidarsi a capitale europea della cultura, e non toccare una pietra senza
prima aver lanciato un concorso fra «architetti di fama mondiale», che intervengano
sugli edifici cambiandone la destinazione
d’uso per farne «luoghi moderni concepiti in maniera creativa, modificando gli interni e conservando le facciate storiche degli edifici». Insomma, «celebrare il passato» lasciando in piedi le facciate, costruire
il futuro sventrandone gli interni. E poi, tanta tecnologia: energia pulita, Internet per tutti, città cablata. Non una parola sul riscatto dei cittadini dall’esilio nelle squallide new
towns: per sentirsi intelligenti, smart, all’avanguardia, per volare «sulle ali dell’Aquila» (altro slogan del progetto) meglio rimandare la ricostruzione, puntare su concorsi di architetti e realtà virtuale. Gli aquilani sono invitati a «cambiare modo di pensare», se no «L’Aquila diventerà una collettività frammentata, una città isolata e dimenticata»: ottima descrizione, vien da dire,
di quel che oggi essa è.». Insomma, mi pare
un pessimo progetto, velleitario e parolaio.
GG: In occasione della visita del premier Mario Monti a L’Aquila si è discusso del futuro della città ed è stato illustrato il progetto
“Abruzzo verso il 2030: sulle ali dell’Aqui-
GG: Pensando alle sue esperienze lavorative
nel mondo della cultura non solo di docente
alla Normale di Pisa ma anche ai prestigiosi
incarichi all’estero come al Getty Center di Los
sponibili fondi pubblici, perché i soliti furbi possano tirare l’acqua al proprio mulino.
GG: La cementificazione comporta anche danni collaterali, tra i più evidenti il vulnus al paesaggio provocato dalle attività estrattive. Le
sembra adeguata l’attuale normativa che regola questa attività ?
SS: Il problema non sono solo le norme, ma
anche la rinuncia a farle osservare. Le
cave, per esempio, sono una necessaria attività estrattiva, che però dev’essere limitata
nel tempo, e quando una cava viene chiusa dovrebbe essere “ripasciuta”, sanando
la ferita inferta al paesaggio. Ma questo non
viene fatto quasi mai, e chi dovrebbe intervenire e costringere le imprese a seguire questa norma elementare spesso non si
muove. In Campania, anzi, alcune cave sono
state riempite con orrendi ammassi di rifiuti
anche tossici. Così un danno si agiunge all’altro, e il degrado cresce.
Angeles,come si potrebbero aiutare i musei,
i teatri, i siti archeologici, le biblioteche , a raggiungere una maggior autonomia dallo Stato italiano ?
SS: Non penso affatto che i musei debbano essere autonomi dallo Stato, penso che
debbano esserlo nello Stato, e nelle altre amministrazioni pubbliche. Occorrerebbe in tal
senso una profonda riforma, le cui linee essenziali sono a mio avviso chiarissime. Ma
la mancanza di indirizzo al Ministero dei
Beni Culturali, e la marginalizzazione di questi temi anche nell’agenda del governo Monti, non fanno sperare bene in tempi brevi.
, 2 7 0 - A L B A A D R I AT I C A ) / A S C O L I P I C E N O : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( P I A Z Z A D E L P O P O L O , 2 6 - A S C O L I P I C E N O ) / L I B R E R I A L A
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L’OPINIONE
L’Aquila e le nuvole
TOMASO
MONTANARI
Santa Nastro: Sei stato di recente in visita a L’Aquila: c’è una immagine che porti
particolarmente nel cuore?
Tomaso Montanari: Sì, le nuvole del bellissimo cielo d’Abruzzo, che passano veloci e mutevolissime. Ma viste dalla cro-
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ciera del Duomo, ancora scoperchiato
dopo tre anni. Il bianco candidissimo si stagliava su un azzurro assoluto: meraviglioso. Ma tragicissimo vederlo incorniciato
da marmi, stucchi, angeli e altari devastati
SN: Nei tuoi recenti articoli su Il Fatto Quotidiano hai spesso definito L’Aquila come “il
futuro dell’Italia”. Perché?
TM: Perché è come se all’Aquila fosse successo in un colpo solo (e dunque in
modo visibile, svelandosi) ciò che lentamente succede a Venezia, ad Urbino, a Siena o alla mia Firenze. In queste città, i cittadini si spostano progressivamente in sobborghi degradati e degradanti, prigionieri del cemento, mentre i centri monumentali divengono, giorno dopo giorno, set
cinematografici a beneficio del desertificante turismo di massa. Ebbene: all’Aquila
tutto ciò è successo di colpo. E l’attuale
rapporto tra new towns e centro storico è
la metafora più concreta dello smarrimento
dell’identità. Una specie di alzhemeir collettivo: ma assai redditizio per qualcuno.
SN: Perché salvare un centro storico è fondamentale, quando la posta in gioco sono la
memoria e la vita collettiva?
TM: Perché la forma della città è la forma
della cittadinanza, della comunità, del
progetto di nazione. Lasciar morire il
centro dell’Aquila non significa distruggere
il passato, ma distruggere il futuro. Cosa
saremo quando ignoreremo radicalmente da dove veniamo?
SN: Quale deve essere il ruolo dello storico
dell’arte, confrontandosi con L’Aquila?
TM: Per uno storico dell’arte l’Aquila è un
brusco richiamo alla realtà. Come si fa a
pensare agli eventi, alla storia dell’arte come
intrattenimento per i ricchi, alle mostre e
alla mondanità di una disciplina in vendita, quando si vede l’Aquila? La storia dell’arte è, in un certo senso, un organo costituzionale, perché senza di essa l’articolo
9 non si attua. Ma ce lo ricordiamo? All’Aquila diventa evidente che la vera vocazione
dello storico dell’arte non è estetizzante,
privata, rinunciataria: ma civile, pubblica,
costruttiva. La storia dell’arte deve servire
a costruire moralmente e culturalmente la
nazione italiana: o non serve a nulla.
N U O VA E D I T R I C E ( C E N T R O C O M M E R C I A L E “A L B AT T E N T E ” , V I A D E L C O M M E R C I O , 5 2 - A S C O L I P I C E N O ) / A V E Z Z A N O : L I B R E R I A M O N D A D O
Gino Famiglietti
Maddalena Bonicelli: L’Aquila, a tre anni dal
terremoto. Cosa non ha funzionato? Come siamo arrivati a questo punto?
Gino Famiglietti: Non conosco i dettagli
della vicenda aquilana: quello che posso
dire, in base all’esperienza maturata durante il terremoto dell’Irpinia, è che, in fase
di ricostruzione post sisma, è importante che gli uffici operativi impegnati nel restauro e recupero funzionale del patrimonio monumentale danneggiato, abbiano la diretta disponibilità delle risorse
stanziate allo scopo. Ricordo infatti che anche all’epoca del terremoto in Irpinia fu
creata una struttura di raccordo, la Soprintendenza speciale per le aree terremotate, ma con soli compiti di erogazione dei fondi necessari agli uffici operativi: oggi nulla vieta che in Abruzzo tale ruolo sia svolto dalla Direzione regionale, che
potrebbe anche svolgere le funzioni di stazione appaltante, come peraltro prevede
l’ordinario assetto organizzativo del Ministero. L’importante è che i fondi vengano accreditati su un unico capitolo di spesa, dalle cui disponibilità si possa attingere
per ogni esigenza, in modo da non mortificare le necessità di funzionamento ordinario delle strutture, il cui soddisfacimento è fondamentale anche per l’efficiente svolgimento dell’attività di restauro: non si possono far funzionare i cantieri
di restauro se gli incaricati della direzione dei lavori non vi si possono recare in
missione per controllarne l’andamento. Nel
caso de L’Aquila credo pertanto che sia fondamentale eliminare qualche passaggio di
troppo che si è verificato nella catena di comando.
MB: Il Governo ha annunciato cambiamenti da questo punto di vista…
GF: In base alla mia esperienza, occorre,
come ho già detto, che anche in questo caso
l’amministrazione periferica sia messa in
grado di operare non attraverso strutture
‘speciali’, che spesso si risolvono in inutili sovrapposizioni di uffici e di competenze, ma attraverso una normativa che semplifichi l’azione e consenta l’assegnazione
delle risorse ad un unico soggetto – che in
questo caso ben potrebbe essere, ad esempio, la Direzione regionale – il quale possa così procedere all’aggiudicazione dei lavori ed alla loro esecuzione utilizzando, allo
scopo, un unico capitolo di spesa dal quale attingere anche per le correlate spese di
funzionamento della struttura. Si potrebbe
anche pensare di introdurre, per via normativa, la possibilità, per gli enti ed i privati
che siano proprietari di edifici sottoposti a
tutela, di delegare le strutture ministeriali
ala esecuzione degli interventi di restauro
sugli edifici dio loro proprietà, quanto
meno per la parti strutturali: in tal modo,
secondo un modulo operativo già sperimentato con risultati positivi in Campania,
l’Amministrazione b.a.c. potrebbe condurre i restauri secondo criteri scientifici corretti senza costi aggiuntivi per l’erario pubblico, anzi con un abbattimento delle spese di progettazione e direzione dei lavori,
spesso non di poco conto.
MB: È sempre più diffusa la percezione che l’Aquila sia una metafora dell’Italia. Cosa ci racconta del nostro Paese?
GF: La cosa che mi ha colpito, e che mi lascia perplesso, è che gli interventi di prima
sistemazione (?) dei cittadini aquilani nei
diciannove agglomerati realizzati nelle
campagne circostanti il nucleo urbano
danneggiato dal sisma costituiscono una
metafora, preoccupante, della trasformazione del cittadino in consumatore. La dispersione della popolazione della città storica in 19 nuclei abitativi, con il supermercato come unico punto di aggregazione per
ognuno di essi, costituisce, in fondo, una
esemplificazione di quello che l’Italia è stata fatta diventare negli ultimi anni ed è, presumibilmente, il modello dell’Italia che
una certa cultura politica vorrebbe realizzare.
Appare infatti evidente, se si riflette su tale
realtà, che oggi essere cittadini non vuol dire
più essere soggetti partecipi della cosa pubblica, ma essere in grado di spendere. Questo avviene all’interno di un meccanismo
in cui tutto si tiene: da una parte c’è il sistema televisivo, che pubblicizza i prodotti, quali che essi siano, dall’altra il cittadino, che vive all’interno, quasi prigioniero,
di una ‘realtà’ e di una di una ‘verità’ che
sono inconfutabili, in quanto trasmesse dalla televisione. E se questo è il modello al quale si tende, è evidente che il sistema democratico è in crisi. La cittadinanza non si
esprime più attraverso l’esercizio di una coscienza critica, ma attraverso la reiterazione di comportamenti acritici: in un tale contesto, l’espressione del consenso, in qualunque forma, finisce per essere priva del
valore di scelta responsabile.
MB: Come se ne esce?
GF: In quest’epoca, che definirei postideologica, occorre continuare a far riferimento alla Carta Costituzionale, che è il ‘con-
tratto sociale’ su cui si fonda la nostra comunità nazionale. L’articolo 9 - che affida
allo Stato repubblicano il compito di promuovere lo sviluppo della cultura e di tutelare il paesaggio ed il patrimonio storico
ed artistico della Nazione - è la chiave di volta per uscire da questa situazione: la cultura
e la conoscenza come strumenti per l’esercizio di una cittadinanza cosciente, che
presuppongono il recupero del patrimonio
culturale come recupero della propria storia e della propria identità. Sono questi i
modi possibili per un approccio critico e cosciente alla realtà, senza cercare delle scorciatoie che non esistono. Questo impegno
deve partire da ognuno di noi: sperare che
possa esserci un sistema di istituzioni
perfettamente funzionante che lo trasmetta
ai cittadini, significa ipotizzare una realtà che
non c’è. Ognuno deve avere piena contezza del proprio ruolo e della propria funzione:
occorre essere ‘partigiani’, ossia prendere
‘parte’: solo così si è anche cittadini.
MB: E, tornando a l’Aquila, da dove possiamo ripartire?
GF: Affrontando una questione per volta, e
partendo dal dato urbanistico: più tardi parte la ricostruzione, più alto diventa il rischio
che lo strappo creato nel tessuto sociale della città non si rimargini, che il tessuto connettivo della comunità aquilana non si ricostituisca. Perciò diventa assolutamente
fondamentale ripartire con il restauro degli edifici pubblici di valenza monumentale: la comunità cittadina si ricostituisce partendo dai simboli collettivi, che richiamano la comune radice sociale. L’Aquila non
può esistere senza la sua memoria.
O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( C O R S O D E L L A L I B E R T À , 1 1 0 - AV E Z Z A N O ) / B O L O G N A :
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ARTICOLANDO
IL SEGRETO SVELATO
IN MOSTRA L’ARCHIVIO
SEGRETO VATICANO
MARIE COOL E FABIO BALDUCCI,
ROSA BARBA, JOSEPH KOSUTH,
ETTORE SPALLETTI
Galleria Vistamare, Ettore Spalletti, Compasso, 2012 | photo: Giovanni Di Bartolomeo
Fondato nel 1612 da Paolo V, l’Archivio Segreto Vaticano è l’archivio centrale della Santa
Sede, affascinante anche per la sua definizione di “segreto” che però, a scanso di equivoci, deriva dal latino secretum cioè di proprietà
del Papa. È uno dei luoghi di ricerca più
importanti e celebri, conserva un patrimonio
immenso, per qualità e quantità: 600 fondi
archivistici per 85 chilometri lineari di scaffalature che racchiudono dodici secoli di storia
(dall’VIII al XX secolo) ed è stato aperto alla
consultazione degli studiosi di tutto il
mondo, previa autorizzazione, nel 1881. Ora
100 di questi documenti hanno oltrepassato i
confini della Città del Vaticano per essere
esposti in mostra ai Musei Capitolini di Roma
fino al prossimo settembre. Lux in Arcana l’Archivio Segreto Vaticano si rivela è una
mostra unica nel suo genere anzitutto per la
sua natura: le mostre documentarie sono
rare, difficili, se ben riuscite sono interessanti
solo per gli specialisti. In questo caso, invece,
il prestigio dei documenti esposti e l’allestimento interattivo e coinvolgente, senza trascurare il potere di attrazione che l’Archivio
Segreto Vaticano può generare di per sé nell’immaginario collettivo, stanno richiamando
pubblici diversi per interessi e aspettative.
Scelta di grande impatto emotivo quella di
aprire la mostra con gli atti del processo a
uno dei giganti della storia del pensiero
moderno: Galileo Galilei. Commuove leggere
la firma di Galileo, vergata da un uomo ormai
settantenne, sfinito dopo quattro interrogatori sostenuti di fronte al Sant’Officio, che pronunciò la sua abiura, accettando la sentenza
emanata contro di lui, il 22 giugno 1633.
Ordinati secondo un percorso che privilegia
l’andamento tematico e non quello cronologico, in mostra si possono guardare, a distanza
ravvicinata, documenti come la falsa donazione di Costantino o il Dictatus Papae del 1075
in cui Gregorio VII, artefice della riforma che
porta il suo nome, sintetizzò i principi della
supremazia papale sopra ogni altro potere
terreno. E poi ancora, il Concordato di
Worms, la condanna delle tesi di Lutero, la
registrazione della Regola di San Francesco,
la lettera inviata dal Parlamento inglese a Clemente VII sulla causa matrimoniale di Enrico
VIII, la pergamena, recante gli undici sigilli
dei cardinali riuniti in Conclave, con la notizia
dell’elezione al soglio pontificio consegnata
all’eremita del Morrone, il futuro Celestino V.
Il percorso espositivo è straordinariamente
affascinante anche perché riesce a tessere un
legame tra la storia e il presente della tecnologia: accanto ad ogni documento il visitatore
può approfondire attraverso filmati, elaborazioni grafiche e contenuti multimediali. Completa il tutto, manco a dirlo, un’eccellente app
gratuita per smartphone e tablet che offre
anche soluzioni di realtà aumentata che collegano i documenti in mostra a tre siti storici
della città. Passando per Campo de’ Fiori,
ponte sant’Angelo e la Basilica di Santa Maria
Sopra Minerva, la app propone contenuti
multimediali sulle vicende di Giordano
Bruno, Gian Lorenzo Bernini e Galileo Galilei.
Antonella Muzi
Roma, Musei Capitolini
dal 29 febbraio al 9 settembre 2012
www.luxinarcana.org
IL PAESAGGIO URBANO:
TRASFORMAZIONI
MU6
Ci sono mostre organizzate attorno a un
tema e mostre che nascono, semplicemente,
a partire da certi valori più sottili, come ad
esempio le relazioni tra gli artisti presenti. La
galleria Vistamare presenta un progetto nato
da un desiderio di collaborazione visiva, concettuale ed umana, dallo sguardo che un artista posa sul lavoro dell’altro.
Quando ci troviamo di fronte a questa forma
di spontaneità nell’incontrarsi, allora lo spazio della galleria assume quasi il calore di una
casa, accogliendo una mostra fatta di spazi e
di luce, di gesti minimi e di narrazioni spezzate che si rincorrono.
La coppia di artisti franco-italiana Marie Cool
(1961, vive e lavora a Parigi) Fabio Balducci
(1964, vive e lavora a Parigi) si ispira alla tradizione di pittori e coreografi degli anni sessanta e settanta e guarda a queste due tradizioni con lo scopo di riattualizzarle. Con i loro
lavori presentano una forma ed una materia
vivente, dando altrettanta vita sia alla forma,
sia alla materia. Muovono le cose con lentezza, in performance che dilatano il tempo di
azioni all’apparenza trascurabili, come se il
loop fosse un momento unico.
Il lavoro di Rosa Barba (1972, vive e lavora a
Berlino) abbraccia cinema, suono e testo.
Nelle sue installazioni infatti si avvale di tutti
gli elementi che compongono il linguaggio
cinematografico: la componente visiva, quella
sonora e quella testuale, utilizzandole separatamente o combinandole in modo inatteso
per sollecitare nello spettatore una percezione nuova dell’oggetto filmico.
Tali elementi mantengono sempre un’esistenza individuale, diventando, nei suoi lavori,
quasi essi stessi personaggi, che agiscono
come strane presenze in un surreale tableau.
Joseph Kosuth (1945, vive e lavora tra Roma e
New York) è una figura chiave nella ridefinizione dell’oggetto d’arte, avvenuta durante gli
anni sessanta e settanta con la formulazione
dell’arte concettuale, la quale mette in discussione le tradizionali forme e pratiche dell’arte
nonché le teorie connesse. Per fare questo,
Kosuth è stato tra i primi ad adoperare strategie di appropriazione, testi, fotografie, istallazioni e l’uso dei mezzi mediatici. In Kosuth
l’arte stessa è fondamentalmente un processo di interrogazione. Di conseguenza, tutti gli
aspetti dell’attività artistica sono riconsiderati, dalla funzione degli oggetti al ruolo della
mostra stessa e del suo allestimento.
Ettore Spalletti (1940, vive e lavora a Cappelle
sul Tavo) a partire dalla metà degli anni settanta, ha creato un linguaggio sospeso tra pittura e scultura, in una attenzione rivolta alla
luce ed allo spazio, ricordando tanto l’astrazione moderna, quanto le geometrie della pittura rinascimentale. Le sue campiture cromatiche ricoprono forme essenziali che, nell’apparente contenimento entro i propri contorni
geometrici, diventano evocative grazie alla
qualità della pittura che le informa. I colori
che caratterizzano il lavoro di Spalletti sono
tenui, sempre attraversati dal bianco del
gesso che impedisce loro di bloccarsi in un
assetto definitivo, restituendo alle superfici
un respiro che rimanda alla vita e alla sua
figuratività.
Info: Galleria Vistamare, Pescara
Marie Cool e Fabio Balducci, Rosa Barba,
Joseph Kosuth, Ettore Spalletti
31 Marzo - 31 Maggio 2012
www.vistamare.com
Nella Notte dei Musei, il 19 maggio 2012,
a L’Aquila sono i ragazzi, i soli che in quelle ore del sabato o del giovedì universitario vivono il centro storico, a volersi riappropriare dalla città dove prima del sisma
stavano appena costruendo un primo
nucleo di ricordi. L’improvviso silenzio
della narrazione storica e la violenta negazione dello spazio urbano hanno spinto
gli alunni del Liceo Artistico a sublimare
attraverso l’arte la loro profonda ricerca
d’identità.
Per raccontare la metamorfosi hanno scelto piazza San Marciano, centro di uno dei
quarti storici e ora off limits, perciò assurto a luogo mitico, ad archetipo di agorà,
ad agognato fulcro aggregante della polis
alternativo a pub e centri commerciali,
quale oggetto di un percorso didattico
rappresentato nell’antico chiostro di San
Domenico che, nell’occasione, moltiplica
la sua funzione divenendo contenitore e
ricovero della piazza, corpo sano che
accoglie il corpo malato, pezzo di città che
si sdoppia rappresentando ad un tempo
sè ed altro da sè. Un’ambientazione architettonica che, per la tipica condizione di
chiusura/apertura, alternanza buio/luce,
allude alla dualità morte/vita, al presente
intriso di disperazione e speranza.
A documentare le fasi metodologicodidattiche il porticato ospita una galleria
di lavori della scuola, da sempre legata
all’arte aquilana, mentre sulle pareti scorrono cortometraggi del Centro Sperimen-
tale di Cinematografia. Nel cuore del cortile, accompagnate dai suoni del Conservatorio Casella, giganteschi negativi fotografici sostanziano la piazza e raccontano
nutrendosi del gioco degli opposti l’esistenza negata degli edifici ridotti a spettri,
a vuote controfigure di una pienezza
sognata. Pannelli plastici rappresentano le
onde sismiche che corrugano e deformano la superficie terrestre e propagano l’energia del cosmo generando il moto che
in fisica è cambiamento nel tempo; il
movimento dunque è trasformazione,
evoluzione materica perennemente indagata dalla filosofia e dalla scienza, che ora
pervade profondamente le coscienze. La
città a pezzi/pezzi di città, opera che ha
ricevuto una menzione speciale dalla giuria del MAXXI nel concorso RE-CYCLE,
affronta il tema della frantumazione nei
cocci di un vaso, rimando ancestrale al
ventre materno che accoglie l’essere
umano e canòpo che conserva la vita oltre
la morte; strani reperti di ‘archeologia
contemporanea’ portano dipinte le icone
della città distrutta simboleggiando frammenti di vita vissuta: sbirciata al di là delle
transenne, negata nelle new town schegge
di un’irrazionale esplosione. Quella stessa
che illusoriamente riprende se ‘riapre’ un
vicolo, una piccola piazza: un ‘pezzo di
città’, appunto.
Maria Lucia Carani (docente Storia dell’arte
e Catalogazione dei beni culturali, funzione
strumentale Rapporti con il Territorio)
L I B R E R I A F E LT R I N E L L I ( P I A Z Z A R AV E G N A N A . 1 - B O L O G N A ) / L I B R E R I A P I C K W I C K ( G A L L E R I A 2 A G O S T O 1 9 8 0 , 3 / 2 - B O L O G N A ) / C H I E T
ARTICOLANDO
UN GRANDE STRADIVARI
ADAGIATO NEL PARCO
Iniziati i lavori del grande stradivari adagiato nel
parco di Renzo Piano
Una struttura di tre edifici: tre cubi di legno lamellare di abete rivestita, per migliorare le prestazioni sia tecniche che sismiche dell’edificio.
La disposizione è casuale: la facciata del cubo centrale, inclinata di 30° dà un’idea di movimento a
tutta la struttura mentre i due edifici laterali ( per
gli impianti tecnologici, gli impianti di servizio per
gli artisti ed il pubblico) sono collegatati alla parte centrale tramite delle passerelle in vetro e ferro. All’interno il pubblico sarà collocato sulla gradinata collocata sulla facciata inclinata così da consentire una visibilità ottimale.
L’idea è quella di auditorium inteso come un vero
e proprio strumento musicale, adagiato accanto al Castello Cinquecentesco dell’Aquila, in un
suggestivo dialogo tra antico e nuovo, tra gli spigolosi bastioni in pietra e i cubi di legno. Uno
spazio pensato come effimero ma, grazie all’uso del legno, capace di rispondere perfettamente
alle esigenze di uno spazio musicale. Tutto è pensato nei minimi dettagli: le facciate interne dell’auditorium sono costituite da pannelli in legno
caratterizzati da una serie di fresature acustiche;
sono inoltre previsti pannelli in legno di abete
di risonanza della Valle di Fiemme posti sia sulle pareti che sul soffitto con funzione di assorbimento e rifrazione del suono.
Anche la struttura esterna del grande cubo è costituita da un reticolo di travi in legno d’abete lamellare tamponato su entrambi i lati da pannelli
tipo X-Lam anch’essi in abete - quasi una doppia pelle dell’edificio - distanziate dalla struttura e colorate in modo diverso in tonalità pastello
utilizzando pigmenti naturali.
Dei “dadi gettati casualmente” all’interno dell’area che creano anche un rapporto di piazza-spazio per eventi esterni; inoltre si è pensato di piantare circa 200 alberi, un numero uguale a quello che serve per realizzare l’edificio centrale.
Ospiterà 250 posti per l’attività sinfonica della
società Barattelli; la realizzazione del progetto
è stata redatta a titolo gratuito dallo studio RPBW
(Renzo Piano Building Workshop) ed è finanziata
dalla Provincia autonoma di Trento, che contribuisce con 6 milioni di euro, mentre la fine dei
lavori dovrebbe essere prevista a sei mesi dall’inizio del cantiere (aprile- settembre 2012).
Sara Cavallo
IL PROSCIUGAMENTO DEL
LAGO DEL FUCINO AD
AVEZZANO HA UN SUO MUSEO
Laghetto di Ortucchio (photo: Francesco Scipioni)
È stato inaugurato lo scorso primo maggio
con l’obiettivo, centrato in pieno, di ritessere
la storia di un territorio ancora poco conosciuto. Ad Avezzano nelle due palazzine che ospitavano l’ex mattatoio cittadino, adeguatamente recuperate e rifunzionalizzate, oggi si può
vistare Il Museo Lapidario e Del Prosciugamento del Lago del Fucino creato ex novo
seguendo tecniche all’avanguardia nel campo
dell’allestimento museale, questo nuovo spazio espositivo è stato pensato per restituire
alla città il valore di una delle più grandi opere
ingegneristiche del XIX secolo, la seconda
dopo l’apertura del Canale di Suez dell’Italia
post Unitaria, che ha riguardato tutto il territorio della Marsica e che ha cambiato anche la
storia dell’intera regione. Un museo del e per
il territorio che cercherà di far conoscere
anche la storia dei tanti frammenti e reperti
archeologici che l’antico Lago del Fucino ci ha
restituito e che finora erano relegati ed inaccessibili. Ma il progetto del nuovo museo si
inserisce in un più ampio progetto, realizzato
dall’Associazione Culturale Antigua con il
sostegno delle istituzioni cittadine e regionali
e della Fondazione Carispaq, dal nome L’aia
dei musei che nasce dalla volontà di far nascere un centro culturale nel quale siano comprese più strutture museali. “Investire nel museo
- spiega Flavia De Sanctis dell’Associazione
Antigua - vuol dire non solo potenziare l’offerta culturale e la fruibilità del patrimonio culturale della Marsica, ma creare una risorsa per lo
sviluppo socio economico del territorio, attraverso interazioni con settori come il turismo
ed il tempo libero. Sono state realizzate due
strutture poliedriche capaci di dialogare e
creare interazione non solo con gli esperti di
settore, ma anche e soprattutto con il fruitore
occasionale, al quale sarà proposta una forte
esperienza culturale, condotta attraverso la
commistione di linguaggi suggestivi e di
immediata comprensione. Gli allestimenti
sono mobili - ove possibile - al fine di garantire una flessibilità e polifunzionalità di utilizzo
degli stessi spazi museali. Superando la concezioni tradizionali, L’aia dei musei è concepito
come un luogo dinamico, dove il carattere
museale acquista vitalità operativa e gestionale: un centro culturale con ampio raggio operativo, luogo di incontro e confronto per la
città e per la sua comunità”.
Angela Ciano
WALK OF LIFE
UNA MARATONA PER LA
RICERCA A LANCIANO
Walk of Life è il nuovo grande evento organizzato da Telethon per raccogliere fondi a favore della ricerca sulle malattie genetiche. Si svolge in primavera in 8 città italiane attraverso una
gara podistica di 10 km e una passeggiata di
3 km. A rappresentare l’Abruzzo nell’edizione
2012 di Walk of Life ci sarà Lanciano. La maratona, patrocinata dal Comune, dalla Provincia di Chieti e dalla Regione Abruzzo e sostenuta da numerosi sponsor, tra i quali la BNL
Gruppo BNP Paribas, si svolgerà domenica 6
maggio 2012. Walk of life sarà anche a Roma
il 22 aprile e poi a Napoli, Potenza, Bari, Milano,
Torino e Catania.
Nicla Cassino: Perché 8 mini - maratone contro 7000 malattie genetiche e non una semplice
donazione economica?
Marco Piazza, direttore relazioni esterne della
Fondazione Telethon: Walk of life nasce con l’obiettivo di portare Telethon vicino agli italiani
e di far toccare con mano l’importanza della sua
missione – la sfida alle malattie genetiche rare
– ad una massa di cittadini che non necessariamente ha visto la maratona televisiva. Entrando in contatto diretto con tante persone ed
“uscendo” dalla tv, la Fondazione vuole rendere
più forti le proprie radici sul territorio. E mantenendo la metafora della maratona vuol far capire a tutti che la ricerca deve continuare a correre verso il traguardo della cura.
NC: Il 6 maggio “Walk of life” arriverà a Lanciano, attraversando alcuni dei punti più belli
e suggestivi del comune abruzzese. Potrebbe
essere questo un modo per attirare l’attenzione
della comunità non solo sul tema della solidarietà, ma anche sulle eccezionali risorse ambientali che il territorio offre?
MP: Sicuramente. Vogliamo che quella domenica, a Lanciano come nelle altre città italiane, venga ricordata come una giornata piacevole. In cui si è stati all’aria aperta, a contatto
con le tante bellezze paesaggistiche di cui il nostro Paese è ricco, contribuendo con la propria
presenza alla ricerca sulle malattie genetiche.
Per dirla con uno slogan, ci piacerebbe che tutti i partecipanti alla Walk of life tornassero a casa
pensando che “far del bene fa bene”.
NC: L’ibrido sociale solidarietà-territorio in
che modo risulterà vincente?
MP: Ce lo auguriamo vivamente. Le prime risposte che arrivano dal territorio sono molto
positive. Il passaparola è contagioso e arrivano adesioni da singoli cittadini, associazioni,
enti ed istituzioni. Non ce la sentiamo però di
azzardare previsioni sulla partecipazione e la
raccolta fondi. È la nostra prima volta…
NC: L’Abruzzo non è nuovo alla solidarietà,
quanto incide il potenziale di inclusività sociale
di un territorio nella promozione di una iniziativa no profit rivolta alla ricerca scientifica?
MP: Noi possiamo rispondere per quanto riguarda la nostra ricerca scientifica. Possiamo
dire che ad oggi in Abruzzo, in 21 anni di attività, Telethon ha finanziato 59 progetti di ricerca,
con un investimento complessivo di oltre 5 milioni di euro.
Nicla Cassino
PERLA CACCIAGUERRA E IL
SUO MUSEO DELLA POESIA
La poetessa Perla Cacciaguerra, fondatrice
del Museo della Poesia, si è spenta questo
14 Febbraio, nella sua fattoria di Marciano
della Chiana, ad Arezzo.
Un carriera iniziata sin da giovanissima,
nata nel 1926, già tra il 1943 e il 1945 scrive
il suo diario di guerra, poi traduce dall’americano “L’Antologia dei poeti negri d’America”; collaborando con Leone Piccioni
“Per amore” di Creeley e la Scuola di New
York; per Guanda le poesie di Jude Stefan e
per l’“Almanacco dello specchio” alcune
poesie di Philip Larkin. Ha scritto svariati
drammi radiofonici e nel 1996 alla Eas Clazoline University sono state rappresentate
per la prima volta quattro composizioni di
Brett Watson con testi i suoi testi.
Ha incontrato i grandi nomi dell’arte e della
letteratura del secolo scorso: de Chirico,
Pasolini, Moravia, Elsa Morante, Mario
Praz, Vittorio Sereni, Sandro Penna, Cardarelli, Ungaretti, Alfonso Gatto, Giorgio Bassani, Mario Luzi, Ezra Pound, William
Faulkner. Ha visto, ascoltato, parlato con la
letteratura e l’arte del secolo scorso e da
qui forse l’idea di realizzare il primo e
unico al mondo Museo della Poesia. L’allestimento del Museo è stato curato da
Michele Ricciarini.
Nel museo si raccoglie tutta la sua passione per la letteratura all’interno di antichi
spazi contadini, ed è stato costruito nei
locali della cripta dell’antica chiesa di Santa
Lucia; le librerie che vi si trovano sono
state ricavate da strumenti agricoli che servivano per selezionare il grano; ci sono
ancora le botti sulle pareti dipinte con i
colori della campagna aretina e i ritratti di
Dante e Virgilio, padri della nostra poesia,
campeggiano sulle botti della parete centrale del Museo; ancora sulle pareti molti
versi in greco di Zizzis Diamantis, dell’Università del Pireo, in Grecia e quadri di Villoresi, Bemporad, Jean Cocteau, volumi autografati di T.S. Eliot, Ezra Pound, Brodsky,
Cardarelli, Jude Stefan, Bassani, Paul Wuhr,
Peter Russell ed altri.
Il museo è “non solo poesie”, infatti è
anche luogo dove si fanno mostre, incontri
culturali e convegni; e si spera che continui
l’originale attività iniziata dalla sua fondatrice rimanendo un vero cenacolo culturale.
Sara Cavallo
T I : L I B R E R I A D E L U C A ( V I A C . D E L O L L I S , 1 2 / 1 4 - C H I E T I ) / F I R E N Z E : L I B R E R I A L A F E LT R I N E L L I ( V I A D E ' C E R R E TA N I , 3 0 / 3 2 R - F I R E N -
MU7
IL PERSONAGGIO
Una intervista al famoso scrittore rilasciata a Marino Sinibaldi,
direttore di Rai 3, in occasione dell’incontro organizzato
dall’Associazione culturale L'Aquila Fenice e dal festival Minimondi con
il sostegno della Fondazione Carispaq, del Comune dell’Aquila, della
Provincia di Roma e di Mondadori editore.
David Grossman: Se posso dire una cosa prima di iniziare… Sono davvero emozionato
di essere qui. Ho avuto modo di vedere le rovine della città. Attraverso le storie degli abitanti ho capito quanto fosse viva questa città
prima della tragedia e mi si spezza il cuore
a vederla come è ora. Non c’è quasi nessuno in strada e si può solo immaginare
come fosse prima la vita, come fosse attiva
e colorata mentre ora sembra una fotografia in bianco e nero. Guardando i vostri volti, anche se non vi conosco di persona, capisco che voi come me e il mio popolo sapete qualcosa che gli altri non sanno cioè
quanto la vita possa essere fragile e quanto
ognuno di noi dipenda dagli altri. Altri possono aiutarci economicamente ma penso che
il solo vero aiuto e conforto possiamo riceverlo da altri come noi. Vi guardo e penso che
forse ognuno di voi ha perso qualcuno di
caro, familiari o vicini e sentite ogni giorno
il peso della perdita che avete subito. Dopo
aver perso mio figlio Uri durante la guerra ricordo come fosse facile per me abbandonarmi al ruolo della vittima e cedere al dolore e alla rabbia. Tutto ciò aiuta ma solo per
un breve periodo di tempo. Per me il miglior
modo di superare questo stato di vittima, per
tornare a vivere è agire. Sì, siete vittime di una
situazione ma avete il diritto e il dovere di agire, tornare a vivere la vita che avevate prima
se possibile e di aiutare gli altri. Mia moglie
è una psicologa e vedo come e quanto diventa più forte aiutando gli altri. Non faccio
confidenze di solito, le faccio a voi perché sento che in qualche modo siamo vicini nella sofferenza e volevo proprio dirvelo.
Marino Sinibaldi: Come può una città che ha
subìto un tale danno essere aiutata dall’arte, dalla letteratura?
DG: Per me la letteratura è una forma di dialogo e il dialogo è assolutamente necessario
in posti in cui è assente. Nella mia nazione,
nel medio oriente, non c’è stato dialogo per
decenni. Parlando di Israele e Palestina,
non si conoscono davvero l’un l’altro ma vedono solo il riflesso della paura dell’altro. La
letteratura aiuta a vedere la realtà dal punto
di vista dell’altro, del nemico in questo caso.
Non penso che i Palestinesi siano i “cattivi”
e noi i “buoni” o viceversa ma se guardo me
stesso attraverso i loro occhi e, sfortunatamente, noi siamo i loro nemici, vedo cose che
forse non vorrei vedere. Vedo quanto possiamo essere aggressivi e brutali e la facilità
con cui a volte abbandoniamo i nostri valori fondamentali. È sempre l’altro che nota per
primo il processo che attraversiamo. Se
scrivo un romanzo a proposito dello stato di
occupazione (Palestina - Israele), improvvisamente capisco che la realtà non è solo quello che vedo. È molto più complessa.
Vorrei raccontare una storia a proposito del
rapporto tra guerra e letteratura:
Durante la prima guerra in Libano, attorno al
1982, ero un soldato. Ero in Libano e ho fat-
MU8
to ciò che fa un soldato durante la guerra ma
ricordo che ogni sera andavo sulla veranda
dell’edificio in cui stavamo di fronte al confine con la Siria e portavo con me un libro di
Romain Gary “La promessa dell’alba”, un libro che scoprii a 16 anni e che continuo a leggere periodicamente da allora. Ogni notte prima che il sole tramontasse andavo in veranda
senza armi e senza elmetto. La veranda dava
sul villaggio ed era rischioso essere disarmati
poiché la gente del posto ci era ostile. Sette
dei nostri furono uccisi durante le 6 settimane
che trascorremmo lì. Pensavo che se mi fossi messo lì a leggere, anche se per poco, sarei stato protetto perché ricordavo chi ero prima di andare in guerra e ricordavo da chi volevo tornare quando saremmo rientrati in patria. Sentivo che il potere della letteratura era
il contrario di quello della guerra. La guerra
ci annulla, ci rende senza volto mentre i libri
ci rendono unici. Quando leggiamo un buon
libro riacquistiamo il nostro volto, sentiamo
di essere di nuovo umani.
MS: La prossima domanda che volevo porre riguarda il rapporto tra dolore, pubblico e privato, e la creatività. In un paese come Israele che
conta quanti, 5 milioni di abitanti?
DG: Sette, li contiamo ogni mattina.
MS: In soli 7 milioni ci sono tre grandi scrittori (Grossmann, Abraham Yehoshua, Amos
Oz) ed è quasi spettacolare che tre scrittori così
grandi seppur diversi vivano nello stesso tempo.
È un po’ un paradosso che viene spiegato simpaticamente anche in un film di Orson Welles
in cui uno dei personaggi dice: “Guarda l’Italia
del Rinascimento: congiure, tumulti, guerre civili e assassinii ma hanno avuto Michelangelo,
Raffaello e Leonardo. La Svizzera in 500 anni
di pace cosa ha prodotto? L’orologio a cucù.” C’è
una spiegazione? Senti una pressione come scrittore da parte di ciò che accade?
DG: Innanzitutto viviamo in una situazione
davvero estrema e in un certo senso anche
solo questo ti stimola a reagire ad essa. Ci
sono molti bravi scrittori in Israele, non tutti conosciuti al pubblico italiano. Qualcosa
nella vita che viviamo ci stimola a scrivere ma
non è sempre una cosa positiva perché l’elemento drammatico, la storia, è davanti ai
tuoi occhi e spesso non devi fare nessuno
sforzo per scriverla ma questo non rende necessariamente una buona e profonda letteratura. Raccontare storie fa parte della tradizione ebraica, siamo sempre stati il popolo
del libro a partire addirittura dalla Bibbia stessa. Veniamo istruiti fin da piccoli a leggere
la realtà attraverso le storie. Mio padre
quando aveva tre anni iniziò a leggere con
la Torah, imparò che la vita è un testo che va
decodificato, che ogni realtà è un testo in codice. Attorno alla metà del ‘900 gli scrittori
ebbero un ruolo moto importante nella nostra politica. Nel primo Congresso Sionista
in cui venne fuori la prima idea dello Stato
di Israele, che fu poi creato quasi cin-
DAVID
GROSSMAN
quant’anni dopo, cinque delle otto persone
sul palco erano scrittori e solo tre erano politici. Ora ovviamente accade il contrario.
MS: Voi scrittori ma soprattutto tu nello specifico vi sentite parte di qualcosa di collettivo? Sentite di esprimere attraverso le vostre pagine qualcosa che sta davvero nella storia, nel presente
di un popolo?
DG: Io sento di essere parte di una collettività ebraica. Israele è l’unico posto al mondo in cui mi sento davvero a casa perché anche le cose che detesto so da dove vengono.
In qualsiasi altro posto sono uno straniero e
questo è il motivo per cui voglio stare in Israele nonostante le critiche che porto al governo e alle forze armate. Noi ebrei non ci siamo mai sentiti a casa nel mondo. Quello che
sta accadendo ora è molto importante perché se si riesce a sistemare questa situazione allora Israele sarà la nostra casa e in questo senso io voglio far parte di Israele e della sua collettività. Allo stesso tempo penso
sia mio diritto e un mio dovere esprimere ciò
che penso e credo. Attraverso le parole che
io uso possa ricordare alle persone che mi leggono in Israele la nostra identità che è stata
distorta negli ultimi 45 anni da quando è iniziata l’occupazione ed io insisto nel vedere
l’occupazione come la ragione principale che
ha portato a questo tragico errore in cui Israele e i Palestinesi sono intrappolati ora. Per me
è davvero importante che dopo 200 anni noi
si possa avere un posto che possiamo chiamare casa, dopo essere stati esiliati, perseguitati, odiati, dopo l’olocausto, sebbene circondati da persone che ancora ci odiano. Non
mi faccio illusioni, so cosa pensano e scrivono
di noi nei paesi arabi e so che stiamo ancora lottando ma vedo ciò che abbiamo creato è innanzitutto una democrazia. Gli ebrei
che sono venuti in Israele non avevano mai
vissuto in una democrazia, venivano dalla Polonia, dall’Armenia, dalla Russia, dall’Egitto,
dall’Iraq e non sapevano nulla della democrazia ma nonostante questo ne abbiamo
creata una. Abbiamo libertà di stampa e di parola, una grande cultura, una buona industria
e un esercito che ci può proteggere. Vi invito ancora una volta a pensare che potremmo
non aver avuto questo Stato, questa casa che
ci piace tanto criticare. A volte penso che se
un angelo fosse apparso a mio nonno, che
viveva in Polonia e gli avesse mostrato anche
poco di ciò che sarebbe venuto negli anni successivi, se gli avesse mostrato che avremmo
potuto sederci a tavola e mangiare verdure
coltivate in Israele, pane preparato in Israele, che avremmo avuto dei giornali e che
avremmo parlato la lingua ebraica come lingua madre, avrebbe pensato che l’angelo fosse impazzito. Ecco perché ancora una volta
vi invito a soffermarvi sulle sfumature di una
situazione molto complessa.
MS: Da questo punto di vista, come hai vissuto in questi anni le trasformazioni che hanno riguardato i paesi arabi soprattutto dalla primavera scorsa a questa, dalla primavera della
speranza araba al rischio che invece prevalgano le derive islamiste o fondamentaliste? Hai
più speranza o timore riguardo ciò che accade
attorno ai confini di Israele?
DG: In realtà non so cosa pensare. Ero molto speranzoso il 25 gennaio scorso quando
gli studenti egiziani iniziarono a ribellarsi alla
loro dittatura. Li abbiamo visti in televisione
e pensammo, sbagliando, che ciò che vedevamo fosse la realtà ma quegli studenti erano meno dell’1% della popolazione egiziana.
La maggior parte della popolazione egiziana,
che è composta da quasi 18 milioni di persone,
non è particolarmente a favore della democrazia ma sono invece molto influenzati dai
fondamentalisti e così fu un’amara sorpresa
quella di assistere all’ascesa dei Fratelli Musulmani dopo Mubarak. Spero che l’Egitto inizi a dirigersi verso una forma di governo più
democratica, non sarà forse una democrazia
come la intendiamo in occidente ma spero
che ne sarà una loro variazione. Spero per loro
che possano vivere una vita libera. Per me la
democrazia non vuol dire governo dei più ma
vuol dire prendersi cura dei diritti delle minoranze.
Per dirla breve, non so verso cosa si stia andando, non so a cosa porteranno questi cambiamenti proprio perché non lo sanno neanche gli egiziani né i siriani.
MS: Siamo arrivati al momento dell’ultima domanda purtroppo. Per ricollegarci anche a
quello che si diceva all’inizio sull’attività dell’associazione “L’Aquila Fenice” e Minimondi,
l’ultima domanda riguarda la tua attività di scrittore per ragazzi. In passato ho letto capolavori come “Ci sono bambini a zig-zag”, “Qualcuno
con cui correre”. La tua è un’attività rara, in Italia è raro che un grande scrittore scriva anche
per bambini mentre in Israele è un po’ più consueto. Perché è importante scrivere per bambini?
Oltre al fatto di dare la possibilità anche a lettori più giovani di trovare qualcosa alla loro portata. Prima dicevi che tuo padre imparò a leggere con la Torah che, con tutto il rispetto, è una
bellissima lettura ma forse cominciare a leggere leggendo la Torah… Capisco il tentativo generoso di offrire alternative ma…
DG: Devo dirlo, le storie della Torah sono davvero bellissime, è grande letteratura.
MS: Si le storie sono belle ma i finali…
DG: Ho iniziato a scrivere per bambini
quando nacque il mio primo figlio. Mia moglie mi ha insegnato che fin dall’inizio della
vita di un bambino bisognerebbe leggere per
lui. Mi ricordo di essermi messo lì a leggere
per i miei figli quando avevano appena 3 settimane per lasciare che si abituassero alla melodia del raccontare una storia. È davvero una
melodia speciale raccontare una storia ad un
bambino. Quando una madre o un padre si
siedono con i loro figli e leggono per loro, la
storia che leggono può essere un meraviglioso
punto d’incontro tra il genitore e il figlio. Può
legittimare cose alle quali non sono abituati durante la vita di tutti i giorni come l’umorismo, il senso del surreale, una lingua speciale. Il libro permette al figlio di vedere la propria madre o il proprio padre anche come
bambini perché quando gli leggiamo un
buon libro possiamo diventare tali. Non abbiamo più la responsabilità di essere il padre
o la madre.
traduzione di Ernesto Fanfani
Z E ) / G I U L I A N O V A : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A N . S A U R O , 3 5 - G I U L I A N O VA ) / L A N C I A N O : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( C O
Gianni Berengo Gardin, L’Aquila, Chiesa delle Anime Sante in Piazza Duomo prima e dopo
Berengo Gardin
prima e dopo
DIALOGO CON UN FOTOGRAFO ARTIGIANO
Abbiamo incontrato Gianni Berengo Gardin presso
la Sala Conferenze Carispaq “E. Sericchi”, in occasione della
presentazione del volume “L’Aquila prima e dopo”, un progetto
di One Group pubblicato in coedizione con Contrasto
Il fascino del passato è che è passato, sentenziò un noto gaudente esteta d’oltremanica. Si fa fatica però a credergli davanti agli
scatti in bianco e nero di Gianni Berengo Gardin, ligure di poche parole e tra i più celebrati fotografi italiani, dedicati a L’Aquila, prima e dopo il terremoto. Quei fotogrammi
di crepe, macerie e fantasmi sono un passato che deve tornare in vita, il passato di
una città che come la Zemude di Calvino vive
sospesa sul sottile filo della nostalgia e della volontà di ricostruzione.
“Nella mia vita - spiega Berengo Gardin –
ho fotografato altri terremoti, come quello in
Friuli, in Umbria, in Belice. Ma qui è diverso.
Oggi solo questa città, che ho conosciuto quando lavoravo per il Touring club e che ho poi
amato e frequentato negli anni, mi ricorda il
quartiere San Lorenzo a Roma, com’era ridotto
dopo i bombardamenti degli americani. Avevo quattordici anni, e qui c’è lo stesso silenzio
di morte”
Ed il silenzio a ben vedere è protagonista anche dei vecchi scatti riproposti da Berengo
Gardin, quelli dell’Aquila che c’era una volta. Un silenzio però stavolta pulsante di vita.
Il silenzio di passeggiate all’alba nei vicoli,
delle persone assorte in contemplazione alla
finestra, del lavoro lento e ritmico di un artigiano nella sua bottega, di un pittore davanti le sue tele, di un frate che sfoglia con
devozione un tomo antico. In quelle foto im-
portanti pensieri sull’abitare, su cosa sia, metafisicamente parlando, una città
“Una città che si ama – prosegue Berengo
Gardin - è fatta di spazi vuoti, di luce, di lentezza, non solo di case, è fatta di relazioni che
si hanno con le altre persone. In una città che
si ama bisogna incontrare i bambini. La città
è la sua vita quotidiana, le donne che vanno
a fare la spesa, la gente comune che va la lavorare.”
In quel silenzio, par di capire, anche l’origine di quel demone che si appaga solo nell’imprimere la luce su di una pellicola, una luce
che chissà proviene da una stella lontanissima
che intanto si è spenta per sempre.
“Per me la fotografia – dice Berengo Gardin
– ha sempre a che fare con il tempo che passa. Credo che l’impegno di un fotografo debba essere innanzitutto quello di testimoniare
l’epoca che vive, far vedere quello che lui vede,
nel modo più onesto possibile. La fotografia per
me non è solo una forma d’arte, è essenzialmente documentazione. In archivio ho oltre un
milione di foto. Lì c’è anche tutta l’Italia che
da quando faccio fotografie ho attraversato e
conosciuto, e ho una certa età. Mi piace pensare che tra cento anni questo lavoro di testimonianza possa essere utile”
Sta dunque nell’intima relazione con l’assenza, con l’istante che separa un prima e
un dopo, la missione e l’etica del mestiere
di fotografo? Chiediamo, per avere una
conferma: dei luoghi e dei paesaggi che hai
fotografato in tutto il mondo, in quali sei tornato, e hai scoperto essere perduti per sempre, rimasti solo nel tuo archivio, in vecchie
foto di una scena prima del delitto? La voce
di Berengo Gardin e si fa cupa e vibrante:
“L’uomo, specialmente l’uomo italiano, ha la
tendenza a distruggere le cose belle che ha. Certe cose per fortuna sono indistruttibili, altre non
possono resistere alla mano dell’uomo. Ci sono
paesaggi in Toscana e Sicilia che ho fotografato e che oggi sono stati rovinati da orrori architettonici. Lo stesso è accaduto in Lombardia. Forse si è si è salvato l’Alto Adige, dove il
paesaggio è sopravvissuto all’avvento del turismo, che porta ricchezza alla popolazione ma
spesso a farne le spese è la bellezza dei luoghi,
l’invasione degli alberghi. Io poi sono un fanatico della cultura contadina. Fino a cinquant’anni fa anche noi eravamo un grande
paese contadino. E la parte migliore di quella civiltà insieme ai suoi paesaggi sta scomparendo. La sua è una bellezza fragile e preziosa, come dimostrano qui i tanti borghi distrutti dal terremoto”
Realismo lirico è stato felicemente definita
la cifra estetica della fotografia di Berengo
Gardin, testimone di un’Italia che usciva dalla guerra e che saliva la china di un contraddittorio benessere industriale e consumistico. Un fotografo orgoglioso di aver forse dato un posticino nella storia alla gente
normale, agli ultimi e agli esclusi. Sincero
poi il suo vantarsi delle foto che non ha scattato per il rispetto di un limite deontologico, più di quelle che lo hanno reso famoso.
E a tal proposito anche a noi ama ripetere:
“Dico sempre che non sono un artista, ma un
artigiano. Anche nella fotografia infatti ci
deve esserci una manualità, lo scatto, la camera
oscura , il finissaggio. Per questo non amo affatto il digitale, che rispetto alla pellicola è come
una cyclette rispetto ad una bicicletta. È un
modo freddo, freddissimo di fotografare, non
ha la plasticità della pellicola. E i vantaggi sono
minimi, almeno per chi non ha esigenze di dover inviare subito le sue foto ad un’agenzia,
come un reporter di guerra. Il digitale rischia
di rovinare la mentalità dei fotografi. C’è una
bella differenza tra una foto e un’immagine,
la seconda può essere taroccata al computer,
distorcendo la realtà di quello che si è visto, e
che andava testimoniata. ll digitale ha portato poi ad una inflazione di immagini. Per fortuna che comunque una bella fotografia la riconosci tra un milione”.
Filippo Tronca
R S O T R E N T O E T R I E S T E , 3 9 - L A N C I A N O ) / L’A Q U I L A : C A F F È P O L A R ( V I A S A N TA G I U S TA , 1 7 / 2 1 - L’ A Q U I L A ) / L I B R E R I A C O L A C C H I ( V I A
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ARCHITETTURA
IL PIANO
DI RICOSTRUZIONE
VISTO CON GLI OCCHI DI UN CITTADINO
Il Piano di Ricostruzione viene introdotto dalla Legge n. 77 del 24 giugno 2009 (conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge n. 39 del 2 aprile 2009) all’art. 2 comma
12 bis “I Comuni di cui all’art.1, comma 2, predispongono d’intesa con il Presidente della regione Abruzzo – Commissario Delegato ai sensi dell’art. 4, comma 2, sentito il Presidente
della Provincia, e d’intesa con quest’ultimo nelle materie di sua competenza, la ripianificazione del territorio comunale definendo le linee di indirizzo strategico per assicurarne la ripresa socio-economica, la riqualificazione dell’abitato e garantendo un’armonica ricostituzione del tessuto urbano abitativo e produttivo, tenendo anche conto degli insediamenti abitativi realizzati ai sensi del comma 1” (Progetto C.A.S.E.). E all’art. 14, comma 5 bis, “ I Sindaci dei Comuni di cui all’art. 1, comma 2, predispongono, d’intesa con il Presidente della
Regione Abruzzo – Commissario Delegato ai sensi dell’art. 4, comma 2, d’intesa con il Presidente della Provincia nelle materie di sua competenza, piani di ricostruzione del centro storico delle città, come determinato ai sensi dell’art. 2, lettera a) del Decreto del Ministro dei
lavori pubblici 2 aprile 1968, n. 1444, definendo le linee di indirizzo strategico per assicurarne
la ripresa socio-economica e la riqualificazione dell’abitato, nonché per facilitare il rientro delle popolazioni sfollate nelle abitazioni danneggiate dagli eventi sismici del 6 aprile 2009”.
Il Piano di Ricostruzione viene poi definito con il Decreto del Commissario alla Ricostruzione
n. 3 del 9 marzo 2010 all’art. 4 “1. Per ciascun Comune, fatto salvo quanto previsto dall’art.
8, all’interno del perimetro individuato ai sensi dell’art. 2, sono definiti uno o più piani di ricostruzione nel rispetto delle seguenti condizioni:
a. individuazione di una o più parti che si configurino come ambiti urbanistici ed edilizi significativi finalizzati ad un insieme di interventi integrati, aventi ad oggetto uno o più aggregati
edilizi;
b. delimitazione degli ambiti ricadenti in strade o altri spazi pubblici ed includenti, oltre al
patrimonio edilizio da ricostruire o recuperare, eventuali opere di urbanizzazione primaria
e secondaria.
2. Con riferimento al centro edificato principale del comune dell’Aquila, ciascun ambito può
di norma includere uno o più edifici, che presentino almeno una delle seguenti caratteristiche:
a. edificio strategico o speciale;
b. edificio vincolato ai sensi del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modifiche e integrazioni”.
E all’art. 5 “1. I piani di ricostruzione:
a. assicurano la ripresa socio - economica del territorio di riferimento;
b. promuovono la riqualificazione dell’abitato, in funzione anche della densità, qualità e complementarietà dei servizi di prossimità e dei servizi pubblici su scala urbana, nonché della
più generale qualità ambientale;
c. facilitano il rientro delle popolazioni nelle abitazioni recuperate a seguito dei danni provocati dagli eventi sismici del 6 aprile 2009.
2. I piani di ricostruzione individuano, tenuto conto delle risultanze della microzonazione
sismica e degli esiti delle valutazioni di agibilità, gli interventi idonei a garantire la migliore
sicurezza delle costruzioni.
3. I piani rilevano lo stato dei luoghi attuale e tengono conto, ove possibile, di quello preesistente agli eventi sismici, definendo in particolare i seguenti elementi:
a. individuazione degli interventi;
b. messa in sicurezza di ciascun ambito ai fini dei successivi interventi di ricostruzione;
c. stima economica degli interventi previsti;
d. individuazione dei soggetti interessati;
e. cronoprogramma degli interventi con l’individuazione delle priorità.
4. Il piano contiene le modalità di collegamento dei vari ambiti, individua i settori di intervento e le opere di urbanizzazione primaria e secondaria da realizzare e definisce, in modo
coordinato, la programmazione ed esecuzione delle opere pubbliche e private”.
Nell’Ordinanza del Presidente del Consiglio dei Ministri n. 3790 del 9 luglio 2009 viene espressamente considerato “che per la ricostruzione delle unità abitative comprese in edifici rientranti nei centri storici, verrà adottata una specifica disciplina, con successiva ordinanza del
Presidente del Consiglio dei Ministri, che terrà preliminarmente conto dei piani di ricostruzione del centro storico delle città, mediante la definizione delle linee di indirizzo strategico per assicurarne la ripresa socio-economica e la riqualificazione dell’abitato, nonché per
facilitare il rientro delle popolazioni colpite dagli eventi sismici, da predisporre ai sensi dell’art. 14, comma 5 bis del decreto legge 28 aprile 2009 n. 38, convertito con modificazioni
dalla legge 24 giugno 2009 n.77”
Ne deriva la necessità di un Piano di Ricostruzione per effettuare interventi di ricostruzione su tutti gli edifici gravemente danneggiati ricadenti nelle zone perimetrate come centro
storico, un Piano di Ricostruzione che sia uno strumento programmatico agile, snello, di immediata con condivisibilità ed attuazione, un Piano di Ricostruzione che preveda e sancisca
risorse economiche adeguate all’importanza di uno dei centri storici più belli d’Italia.
L’Aquila,
Ed ecco qual è l’iter di approvazione dei Piani, sempre secondo il Decreto del Commissario
n. 3: l’adozione del piano da parte del Sindaco (nel nostro caso è stato fatto dal Consiglio
comunale), la pubblicazione sull’albo pretorio per 15 giorni, la presentazione delle osservazioni nei successivi 15 giorni, entro 10 giorni dal termine di scadenza per la presentazione
delle osservazioni, l’indizione della conferenza dei servizi per l’acquisizione dei pareri, nulla osta ed altri atti di assenso comunque denominati previsti dalle leggi vigenti per la tutela degli interessi pubblici curati da altre autorità, la decisione sulle osservazioni da parte del
Sindaco e l’intesa del Sindaco con il Presidente della Regione Abruzzo, quale Commissario
delegato e con il Presidente della Provincia per le materie di sua competenza; l’iter si conclude con la trasmissione del piano al Consiglio Comunale, che lo approva nei successivi 15
giorni.
Oggi, oramai a tre anni dal sisma, l’iter dei Piani di Ricostruzione è solo all’inizio. La ricostruzione dei centri storici appartenenti al Comune di L’Aquila non può più avvenire sulla scia
emozionale seguendo la quale i Cittadini avrebbero voluto ripristinare gli immobili pubblici e privati esattamente con lo stesso aspetto e la stessa funzione che avevano prima del sisma del 6 aprile 2009, quindi lo strumento da mettere in campo è un progetto “socio-economico”, come lo definisce la normativa, che possa favorire il ripristino degli immobili, restituire una funzione adeguata ai luoghi pubblici, incentivare il rientro della popolazione, rivitalizzare il commercio e l’artigianato, posizionare la Città di L’Aquila sul mercato internazionale accentuandone la vocazione turistica e culturale.
“Posizionare L’Aquila” è l’unico modo possibile per garantire un futuro lavorativo alle sue
giovani generazioni e presuppone la valutazione della città nel suo complesso, attivare strategie ed azioni mirate, ricondurre agli obiettivi primari tutte le risorse.
La complessità della congiuntura economica che il nostro Paese attraversa ci deve condurre ad una richiesta di utilizzo delle risorse che si inserisca in un bilancio sociale dell’emergenza e della ricostruzione valutato a 360° ed in tutte le sue componenti.
Agli occhi dei Cittadini sono chiari gli obiettivi da perseguire:
OBIETTIVI A BREVE TERMINE cioè iniziare la ricostruzione dei Centri Storici restituendo ai
Cittadini speranza e visione prospettica; arresto del fenomeno dello spopolamento della Città;
recupero di posti di lavoro nell’edilizia; recupero di posti di lavoro nei servizi; riposizionamento del problema “L’Aquila” nell’agenda del Governo Centrale.
OBIETTIVI A MEDIO TERMINE cioè rientro della popolazione negli edifici ricostruiti con progressivo annullamento dei costi assistenziali; ricollocazione dei negozi di vicinanza e delle
botteghe artigiane; ricollocazione degli uffici degli Enti Locali; recupero di luoghi di aggregazione naturale come le Piazze ed i Corsi; riqualificazione dei parchi urbani.
OBIETTIVO A LUNGO TERMINE L’Aquila, una Città Capoluogo di Regione.
Roberta Gargano, Cittadina Aquilana
A N D R E A B A F I L E , 1 7 - L’ A Q U I L A ) / L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( C O R S O F E D E R I C O I I , 2 8 - L’ A Q U I L A ) / M I L A N O : L I B R E R I A F E LT R I -
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ARCHITETTURA
IL COLLETTIVO RAUMLABORBERLIN A L’AQUILA
CON UN NUOVO PROGETTO: ANIMARE LA CITTÀ
UN SALOTTO IN CITTÀ
8 giovani architetti con una visione comune: lavorare negli scenari urbani in trasformazione,
crocevia di cambiamenti, e proporre la costruzione di luoghi di incontro. Sono i raumlaborberlin. E lo scenario è L’Aquila. E proprio perché stavolta uno dei loro progetti coinvolge la città,
non lascia indifferenti la lettura, sull’home page del loro sito internet, di una frase che si stampa come esplicita dichiarazione d’intenti: “consideriamo gli abitanti specialisti, profondi conoscitori di storie, paure, desideri, così come di carenze, che esistono come una rete invisibile in ogni situazione spaziale”. Un’architettura lontana dai giochi di potere, pensata come
luogo di condivisione, capace di rispondere chiaramente ai bisogni delle persone e alimentata dallo spirito di responsabilità e dal senso di appartenenza di una comunità. Costituito alla
fine degli anni ’90, il collettivo tedesco ha realizzato piccoli progetti che rispondessero a piccole necessità: una pista ciclabile fatta di vecchie porte, un planetario itinerante alloggiato in
una roulotte, diversi hotel temporanei come quello reinventato in un edificio dismesso durante Documenta 11 a Kassel. Insieme allo studio di nuove condizioni di abitabilità, i raumlabor lavorano come veri e propri collettori di esigenze e produttori di strategie alternative. E
lo fanno perché credono che l’architettura non debba essere pratica lucrativa ma pratica creativa, generosa, che offra alla gente possibilità. Anche per questo il loro lavoro è stato spesso
accostato alla ricerca artistica che, a partire dagli happening fino alle opere più recenti di Maria Papadimitriou o Marietjca Potrč, si cimenta spesso con il tema del lavoro condiviso con
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le comunità locali, chiamate a interagire e a partecipare. Eppure i raumlabor sono sempre animati non dall’idea di realizzare operazioni strettamente sociali quanto più dal desiderio di creare spazi, interventi urbani, possibilità di esistenza, strutture che aiutino a sviluppare capacità
di appropriazione e controllo dei luoghi. È del 2010 House of Contamination a Torino, per Artissima, spazio temporaneo in cui le pareti e l’arredamento sono stati realizzati con scarti industriali, bottiglie di plastica, vecchi elettrodomestici e che, per tutta la durata della fiera, è
stato sede di incontri, performance di danza, proiezioni di film, dibattiti. Poi The Big Crunch
a Darmstadt, uno spazio costruito a livello collettivo: i cittadini hanno consegnato pezzi di
arredamento scartati che, invece di essere conferiti in discarica, sono diventati struttura portante di un luogo di incontro e di dibattito. Tutto questo con materiali spesso riciclati, dalle
forme elementari, che si collocando nello scenario preesistente in modo temporaneo, come
un’apparizione che vuole provocare per un momento e poi sparisce. Progetti caratterizzati sempre dalla condivisione e dallo scambio di saperi, come il recentissimo Officina Roma, una casa
realizzata interamente utilizzando materiali di scarto: pareti fatte con bottiglie in vetro, portiere di auto, vecchi infissi, in un fantasioso lavoro di recupero che è diventato anche un workshop per 24 studenti diciottenni selezionati da tutta Italia. E veniamo quindi a L’Aquila. I raumlabor in visita alla città sono stati colpiti dall’inaccessibilità di alcune zone del centro storico,
dal complicato andamento della ricostruzione e soprattutto dal senso di “malcontento e grande frustrazione” diffuso, spiegano Jean Liesegang e Frauke Gerstenberg. Il processo rigeneratore della città potrebbe partire dalle piazze, dalle zone che offrono “vuoti”, punti che altrimenti
continuerebbero nel lento declino che li ha portati verso l’abbandono, luoghi che siano però
accessibili in modo relativamente semplice, anche durante la fase di cantierizzazione dei lavori di ricostruzione. Così nasce Salotto Urbano, una vera e propria casa aperta, destinata ai
residenti, agli studenti e a chiunque lo desideri, che sorgerà nei dintorni di Porta Castello, grazie all’Accademia Tedesca Villa Massimo a Roma e al sostegno della Fondazione Carispaq in
convenzione con la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell’Abruzzo e il
Comune dell‘Aquila. “La casa aperta” - raccontano i raumlabor - “è composta da un involucro pieghevole, un caffé/bar, una tribuna con un palcoscenico, un magazzino e una scala. Questi elementi consentono all’ambiente interno ed esterno di essere vissuto e utilizzato con diverse varianti. A seconda delle stagioni il Salotto Urbano si apre svelando il suo interno all’esterno. Lo spazio pubblico diventa così palcoscenico urbano”. Ancor di più nel caso del progetto per L’Aquila, appare chiaro che la ricerca dei raumlabor muova da un’indagine profonda sul significato dell’abitare, sul senso che l’uomo dà ai luoghi mettendo in campo strategie per appropriarsene che sono poi anche modi per definire la propria identità, individuale
e collettiva. Il Salotto Urbano sarà destinato a usi diversi: rappresentazioni teatrali, discussioni,
workshop, concerti all’aperto, tutti veicoli, spiegano i raumlabor, “per avviare nuove forme di
interazione in città”. Non resta che attendere per assistere ai lavori di realizzazione di uno spazio che vuole offrire alla città e alla sua comunità nuove frontiere di pensiero, immaginando,
grazie all’incontro e alla condivisione, ancora scenari possibili.
Antonella Muzi
N E L L I ( V I A A L E S S A N D R O M A N Z O N I , 1 2 - M I L A N O ) / P E S C A R A : L I B E R N A U TA ( V I A T E R A M O , 2 7 - P E S C A R A ) / L I B R E R I A F E LT R I N E L L I ( V I A
DIEGO ESPOSITO
Diego Esposito, Naos, 2000-01, Villa Comunale, Teramo | photo: Carlo Chiavacci
Haiku e scultura
Le opere di Diego Esposito sono minimali.
Hanno forme e colori chiari.
Collocate nello spazio, diventano un catalizzatore del tempo e dello spazio,
trasformando lo spazio circostante in un inaspettato campo magnetico.
Se si trovano in una stanza, permeano lo spazio con una qualità spirituale
e poetica, risultato della loro immissione.
Se collocate all’aperto, creano un centro nel mezzo dell’ampio spazio a
manifestare l’enigma dell’esistenza del mondo.
Su quale tipo di struttura si regge il mondo?
Quale è la base della nostra esistenza nell’espansione infinita di spazio
e tempo? Nessuno, se non Dio, può rispondere a questa domanda.
Tuttavia, gli esseri umani vi occupano un proprio posto.
O, forse, sono costretti a farlo.
Quando ciò accade, il centro del mondo non giace in un luogo sconosciuto
e per sempre irraggiungibile; al contrario, è definito come “qui e ora”.
Questo, certamente, è il significato dell’arte.
Le sculture di Diego sono una metafora del centro dell’universo.
Le sue opere offrono quindi un centro e la base della vita.
Esse ci appaiono con solennità grazie all’uso del colore e della forma.
Sono adagiate sul pavimento o appese a pareti, formano un ponte attraverso
lo spazio, fluttuano sul mare e si librano altissime nel cielo.
Diego Esposito, 31° 6’ 19” N - 120° 59’ 57” E, 2007, collezione Oriental Land Park, Shanghai, Cina | Photo: Zanglingyun
Dal punto di vista giapponese, le opere di Diego sono haiku.
Gli haiku sono poesie che evidenziano un momento della vita.
In esse si manifesta il centro del mondo.
La Poesia ricerca la sacralità. La verità poetica non è bellezza posta in qualche
remota sommità.
È la verità a risiedere nella realtà in cui viviamo. È la bellezza immersa nelle
nostre vite.
La bellezza nell’arte esprime la sacralità della poesia.
In tal senso, la bellezza nelle opere di Diego è legata alla verità poetica.
l colori esistono nella luce vibrante.
Nell’ombra, brilla l’oro.
Punte emergono nello spazio in espansione, mentre il mondo chiuso si
disperde senza fine.
Questa è arte, e questa è poesia.
È il segreto dell’alchimia di Diego.
Le sue opere ci permettono di librarci a grandi altezze.
Di elevarci verso vette spirituali mentre comprendiamo il “qui” e “ora”.
Di creare un ponte tra ideali e realtà.
Di trattare gli enigmi in quanto enigmi mentre li tramutiamo in bellezza.
L’esistenza della luce…
Fumio Nanjo
Diego Esposito, Celato/Svelato, 2004, collezione Yawaku Garden, Kanazawa, Giappone | photo: Kazuo Shozu
M I L A N O , A N G O L O V I A T R E N T O - P E S C A R A ) / R I E T I : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A R O M A , 3 5 - R I E T I ) / R O S E T O D E G L I A B R U Z Z I :
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ARCHITETTURA
“LANCIANO CAPITALE
FRENTANA”, IL RILANCIO
STRATEGICO DI UNA
VISIONE A GRANDE SCALA
RIVOLTA AL FUTURO
Sullo sfondo dei cambiamenti economici e tecnologici causati dalla globalizzazione e dal processo di integrazione le città europee affrontano la sfida di coniugare la competitività con lo sviluppo urbano sostenibile. Questa sfida può avere un impatto su tematiche urbanistiche quali
housing, economia, cultura, condizioni sociali e ambientali.
La qualità urbana attualmente dipende non solo dalla dotazione di infrastrutture materiali della città (‘capitale fisico’), ma anche, e sempre di più, dalla disponibilità e dalla qualità della comunicazione, delle conoscenze e delle infrastrutture sociali (‘capitale intellettuale e sociale’). Una
città può essere definita ‘smart‘, quando investe nelle infrastrutture di comunicazione tradizionali (trasporti) e innovative (ICT), nello sviluppo economico sostenibile e in un’alta qualità della vita, con una gestione saggia delle risorse naturali, attraverso la governance partecipativa.
È importante sottolineare il ruolo del capitale umano, dell’istruzione e dell’apprendimento nello sviluppo urbano. È stato dimostrato, per esempio, che le percentuali più alte di crescita urbana sono state raggiunte in città, dove è disponibile una quota elevata di forza lavoro istruita.
L’innovazione è guidata da imprenditori che lavorano in settori e per prodotti che richiedono una
forza lavoro sempre più qualificata. La sostenibilità ambientale è importante in un mondo dove
le risorse sono scarse e dove le città basano sempre più il loro sviluppo sui beni ambientali e
culturali: il loro sfruttamento deve però garantire l’uso sicuro e rinnovabile del patrimonio naturale. Il tema della smart city ha provocato dibattiti e proposte a livello Internazionale; da un lato
le ricerche scientifiche universitarie, dall’altro i primi progetti incentivati dall’Unione Europea. European Smart Cities, un progetto di ricerca portato avanti dall’Università di Vienna insieme a Delft
e Ljubljana, riguarda le città di medie dimensioni e le loro prospettive di sviluppo, anche se la
stragrande maggioranza della popolazione urbana vive nelle grandi città. Come risultato, le città di medie dimensioni devono far fronte alla concorrenza delle metropoli più grandi, e per essere competitive devono sviluppare i loro punti di forza, quali massa critica, risorse e capacità
organizzativa.
Questo concetto può funzionare bene se adattato al sistema urbano abruzzese, composto da
una serie diffusa di singole realtà frammentate, la cui esigenza comune è quella di rendersi competitive su un territorio a scala vasta i cui interlocutori privilegiati sono più forti in quanto dimensionalmente più estesi ed economicamente più sviluppati.
È in questa ottica che si sviluppa la proposta ”Lanciano Capitale Frentana”, risultato della collaborazione tra l’Amministrazione Comunale e il Prof. Roberto Mascarucci, ordinario di Urbanistica presso la Facoltà di Architettura di Pescara. Il concetto di smart city, apparentemente ambizioso e lontano da una realtà così radicata alle tradizioni e al territorio come quella di Lanciano, trova invece una concreta possibilità di realizzazione all’interno del documento programmatico
di rilancio della politica urbanistica che l’Amministrazione Comunale di Lanciano ha approvato
contestualmente al PRG, nel novembre del 2011.
Il principio di sostenibilità ambientale e territoriale sarà alla base dei criteri per il disegno di assetto delle nuove aree residenziali: un uso contenuto del suolo e tecniche innovative di bio-edilizia, unite all’aumento delle aree verdi e permeabili, favoriranno l’integrazione dei nuovi insediamenti con l’ambiente naturale; il controllo dello smaltimento differenziato dei rifiuti e la gestione di una mobilità alternativa sostenibile garantirà il corretto funzionamento delle reti. Il sistema dei servizi diventerà l’elemento centrale nella nuova organizzazione della struttura urbana,
tanto da conferire al sistema dei luoghi e degli edifici di uso comune una funzione di sostegno
e connessione tra le diverse parti del territorio riconoscibili storicamente.
Roberto Mascarucci: Il concept a cui si ispira il progetto per ridefinire la politica urbanistica della città di Lanciano è il modello di smart city; questo termine, entrato ormai da anni nel vocabolario
della disciplina urbanistica, si riferisce nel suo senso più generico, all’idea (molto diffusa in USA
e Canada) di un piccolo organismo urbano “intelligente”, sostenibile, efficiente, inclusivo e attrattivo. A Lanciano è stato utilizzato il modello smart city nella sua versione più territoriale, meno
urbanistica. Il libro pubblicato in Spagna nel 2004 di Alfonso Vegara e Juan Luis De Las Rivas
“Territorios Inteligentes“, che applica il concetto di smart city al territorio, ne esprime il senso.
L’idea si concretizza nel superamento del modello produttivo “fordista”, sviluppatosi a partire
dagli anni ‘30 fino agli anni ‘90, in cui lo sviluppo economico era legato alle fabbriche pesanti e
la configurazione urbanistica era quella del movimento moderno di Le Corbusier e Tony Garnier,
basata sullo zoning funzionale e sulla separazione delle funzioni, dividendo il tessuto edilizio e
dei servizi dalle industrie inquinanti e rumorose. Oggi non è più così. Nel modello di produzione
“post-fordista” le fabbriche inquinanti sono sostituite da laboratori di idee e da atelier con cicli
produttivi non invasivi, per cui ritorna la possibilità di non separare più le funzioni, creando una
città intelligente che le fonde secondo una nuova mixitè funzionale in un’ipotesi di commistione. Questo dà modo che si verifichino una serie di vantaggi, ad esempio la possibilità di raggiungere
il lavoro attraverso percorsi pedonali o ciclabili, mobilità leggera, senza il bisogno di utilizzare
l’auto, evitando problemi di inquinamento, pendolarismo, oltre che stress psicologico. I luoghi
della produzione saranno all’interno dell’ambiente naturale, vicino ai luoghi di residenza, collegati da piste ciclabili.
Giovanni Di Bartolomeo: In che modo ritiene che questa proposta ambiziosa potrà essere concretamente realizzata?
RM: Il Comune di Lanciano sta portando avanti una politica di questo tipo: il piano regolatore
ormai è vigente, approvato il 18 novembre 2011, ma ha bisogno di una serie di elementi per di-
L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A N A Z I O N A L E , 2 1 2 - R O S E T O D E G L I
ventare attuabile; quindi il Comune di Lanciano intende puntare ad una variante come
obbiettivo finale. Nel frattempo entreranno
in atto una serie di azioni immediate, “strumenti tattici” destinati a dare opportunità di
attuazione alla visione strategica, che potranno
partire prima della variante stessa, come il
“piano dei servizi” o il “regolamento sulla perequazione urbanistica”.
GDB: Che ruolo avranno gli enti e i privati in
questa visione futura per il territorio?
RM: Questo è proprio ciò che farà la differenza. L’Amministrazione Comunale dovrà essere il regista di tutta l’operazione e sarà suo
il compito di riunire intorno al tavolo gli altri soggetti pubblici, come la Provincia attraverso un “protocollo di co-pianificazione”,
il Consorzio Industriale, la Regione e la ASL.
I privati avranno un ruolo fondamentale
nell’attuazione di questi programmi, attraverso
meccanismi di concertazione, protocolli
d’intesa e accordi di programma. Ciò riguarda
innanzitutto alcuni importanti stakeholder,
come l’Ente Fiera e la Sangritana, ma anche
una serie di altri soggetti imprenditoriali minori che potranno essere coinvolti, ad esempio, per la realizzazione di ricettività e servizi nella linea di sviluppo turistico prevista dal
modello.
GDB: Cosa sarà Lanciano smart city alla fine
del processo di sviluppo?
RM: Si configurerà come una vera e proprio
città intelligente, nella quale il centro storico
conserverà un ruolo centrale, mantenendo tutti i servizi di rango (uffici, luoghi del divertimento, attività commerciali) e sarà connesso, materialmente e concettualmente, con il
sistema produttivo leggero diffuso lungo la
riva sinistra del Sangro: un modello insediativo
che usa intelligentemente le proprie risorse
e che resta funzionale e vitale 24 ore su 24.
GDB: Che tempistiche avrà Lanciano per il raggiungimento di questi obiettivi?
RM: Per quanto riguarda le tempistiche, la
road map del progetto prevede la predisposizione della strumentazione tattica entro la
fine dell’anno. L’elaborazione della variante
partirà in contemporanea, per garantire la co-
erenza complessiva dell’operazione, e sarà
portata a termine entro i primi mesi dell’anno
prossimo.
Giovanni Di Bartolomeo
Le immagini inserite nell’articolo sono tratte da:
Tesi di Laura: ”Uno sviluppo strategico della città e del territorio del Fondovalle Sangro”, Facoltà
di Architettura di Pescara, relatore Roberto Mascarucci, laureanda Francesca Garzarelli.
I A B R U Z Z I ) / R O M A : L I B R E R I A F E LT R I N E L L I ( V I A D E L C O R S O , 5 0 6 - R O M A ) / S A L E R N O : L I B R E R I A F E LT R I N E L L I ( V I A T O R R E T TA , 1 -
MU15
Università Europea del Design
DIDATTICA E SPERIMENTAZIONE
A SERVIZIO DELLE IMPRESE
Nel 1980, sotto la spinta avanguardista di
un imprenditore abruzzese, nasce l’Università Europea del Design di Pescara, con
l’intento di dare una risposta concreta alla
richiesta di personale specializzato da
parte di aziende locali impegnate a vario
titolo nel mondo del design. L’UED si
propone, oggi, come ente per la formazione
specializzata nei settori creativi del design,
della grafica e della moda. . Un corpo docenti qualificato e una programmazione didattica aperta alle esigenze di studenti e
committenti hanno creato un ambiente in
grado di auto rigenerarsi, attraverso un continuo processo di ampliamento culturale
e fisico delle strutture utilizzate per l’insegnamento. Ogni anni circa sessanta
studenti provenienti da tutta Italia, attraverso una selezione numerica molto limitata e mirata al raggiungimento delle migliori condizioni didattiche possibili, iniziano un percorso della durata di tre anni
che spesso termina con l’inserimento immediato in un’azienda del settore. Importanti industrie, di livello nazionale ed internazionale, hanno avuto modo collaborare con l’UED di Pescara, non solo con finalità didattiche, ma anche e soprattutto
per intraprendere veri e propri rapporti professionali che richiedono spesso il coinvolgimento diretto degli studenti ancor prima del conseguimento del titolo di studio.
Relazioni che vedono come protagonisti
non solo aziende europee, ma anche istituti universitari privati di tutto il mondo,
come l’Universidade De Caxia Do Sul in Brasile con oltre 65.000 iscritti. L’azienda
MuchColours, del gruppo Poligraf, da
sempre in strettissimo legame con l’Istituto,
condivide con l’Università Europea del
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Design di Pescara intenti e finalità ultime
dei singoli dipartimenti i quali cedono
creatività in cambio di continui aggiornamenti sulle tecnologie informatiche. Presente in oltre venti paesi in tutto il mondo,
ma con sede centrale in Abruzzo, MuchColours, nasce per costruire e supportare prodotti e macchine per la stampa digitale concepiti per risolvere applicazioni
industriali. Per fare questo l’azienda si
avvale del proprio dipartimento di ricerca
e sviluppo e della collaborazione con l’Università Europea del Design, la quale
persegue l’obiettivo di migliorare le performance dei sistemi di stampa ma anche
di dare un supporto costante nella ricerca
di nuove applicazioni, con un occhio sempre attento al rispetto ambientale; grazie
a questa continua ricerca, nel luglio 2005
sono stati impiegati per la prima volta nanocoloranti a basso impatto ambientale.
Lo sviluppo delle nuove tecnologie digitali e il crescente bisogno di comunicazione
in settori economici e sociali, stanno rivoluzionando da tempo i metodi di lavoro, aprendo nuovi scenari e nuove professioni. Canali culturali un tempo distinti possono, oggi, essere espressione di
un’unica comunicazione globale, a fronte
del prepotente inserimento nel settore di
fenomeni informatici in continua evoluzione. Dopo un’esperienza più che trentennale la UED di Pescara, con sede a Montesilvano (PE), rilancia con passione una
modalità differente di fare insegnamento,
tentando di coniugare didattica e sperimentazione a servizio delle imprese.
Nicla Cassino
S A L E R N O ) / S A N B E N E D E T T O D E L T R O N T O : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A L E M O R E T T I [ E X U P I M ] - S A N B E N E D E T T O D E L
L’ARTISTA
Nero di Marte 44, 2011, alchidico su tela, cm 130 x 150
Nero di Marte 44, 2011, alchidico su tela, cm 100 x 120
L’ANGELUS E IL NERO
“I miei quadri sono le ceneri della mia arte”
Yves Klein
Con il titolo ‘Nero di Marte 44’, le ultime opere di Pietro Lista documentano una nuova,
‘vertiginosa’ linea di ricerca.1 Volendo leggerle
alla luce di una ‘figura cruciale’ della modernità, questa potrebbe essere l’Angelus Novus, opera dipinta da Paul Klee nel 1920 a
Monaco. Acquistata da Walter Benjamin nel
1921, essa fu sempre considerata dallo
stesso come uno degli oggetti più importanti
e preziosi in suo possesso, tant’è che prima
della morte lo consegnò a Georges Bataille affinché la custodisse. “C’è un quadro di
Klee – dice Benjamin – che s’intitola Angelus Novus. Vi si trova un angelo che sembra
in atto di allontanarsi da qualcosa su cui fissa lo sguardo. Ha gli occhi spalancati, la bocca aperta, le ali distese. L’angelo della storia deve avere questo aspetto. Ha il viso rivolto al passato. Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe,
che accumula senza tregua rovine su rovine e le rovescia ai suoi piedi. Egli vorrebbe
trattenersi, destare i morti e ricomporre l’infranto. Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così
forte ch’egli non può più chiuderle. Questa
tempesta lo sospinge irresistibilmente nel
futuro, a cui egli volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo”.2
“L’evento della decadenza – commenta
Gershom Scholem – è diventata l’unica grande catastrofe che il passato spinge davanti agli occhi dell’angelo soltanto come un cumulo di rovine”,3 segnandone nello stesso
tempo un’inesorabile condizione d’impotenza, perché egli non ha alcuna possibilità
di distinguerle rispetto ad un ordinamento,
né tanto meno di ricomporle.
Come per l’Angelus di Klee, anche per il ‘Nero
di Marte 44’ di Pietro Lista ‘il cumulo di rovine’ si rappresenta dietro la metafora di
un’assenza: quella del soggetto che non ritrova più l’origine del proprio sé, e con essa
il proprio orizzonte di senso. Anche in tal
caso, quindi, non rimane che raccogliersi negli ‘occhi spalancati’, nella fissità dello
sguardo impotente, entrambi attraversati dai
venti delle tempeste, dai loro transiti verso
l’altrove, l’Andersdenken.
Si sbaglierebbe, però, chi volesse vedere in
tutto ciò una semplicistica catastrofe (rivolgimento, rovesciamento), più o meno interpretabile come perdita di un qualche ‘racconto-pittura’, magari filtrato sui principi di
un patto mimetico-rappresentativo. Se perdita c’è, questa riguarda la temporalità del
racconto, il continuum della trama, con o senza fuori-centri.
In realtà, con il ‘Nero di Marte 44’ Lista attua una sorta di racconto ‘in contropelo’, la
cui ‘figura’ – e a tale termine andrebbe dato,
in questo caso, soprattutto il significato di
“un tentativo di forma, contrapponendola
alla suggestione d’immagini che, se pur cariche di verità, lampeggiano e svaniscono
senza trasformarsi in un sapere”4 – è guidata
solo dalla vicenda dello sguardo che si fissa con attrazione sull’assenza.
Introverso, ripiegato nella cavità ormai vuota del sé-soggetto, lo sguardo di Lista si sospende alla sua ragione fisiologica. Come
unica proprietà, essa ha quella di un occhio
sgranato, vivisezionato a secco e pulsante
d’irregolari fibrillazioni, visibili solo nella con-
tro-luce obliqua di una frantumata memoria e delle sue rovine. Sono fibrillazioni non
solo di remota origine, proprie, cioè, di quell’indicibile Urzeit che è nell’occhio profondo di ognuno – che è il ‘retro-occhio’ di ognuno – , ma anche recenti, di un tempo-attimo, comunque dotate di un effetto bruciante,
produttivo di cenere (com’è, a volte, per una
vita pienamente consumata nel suo tratto
finale, che non necessariamente è il sinonimo dell’al di là).
Rispetto a così tante rovine e a così tanta cenere, però, è pur sempre la mano ad accompagnare lo sguardo e ad assecondarlo.
Abile ed esperta come quella di un cieco,
essa ha nel gesto la sapienza di un poiein che
si compie formando eventi di luce polarizzata, di rapida apparizione e di lunga persistenza (com’è nella patologia di un’emicrania oftalmica, o quasi). Affinché questo
avvenga, la mano – non diversamente da
quella che incerniera Der Blindensturz, dipinto
da Pieter Brueghel il Vecchio – deve condurre
lo sguardo sulle slittanti coordinate delle superfici. A partire da queste, lo sguardo
viaggia nelle microstratigrafie del loro ‘cuore di tenebra’, catramose, dense, ma anche
distinte e nitide; ne accerta le misure di
profondità, le ipotesi di uno corto-circuito
verso imprevedibili emersioni e direzioni.
Comunque sia, spingendo con decisione lo
sguardo, la mano si fa essa stessa sguardo,
e nel farlo applica la proiezione di una magistrale pennellata: intrisa di Nero di Marte
44, essa lo depura dalle residuali rovine del
‘fuori’.
Ed è in ciò il motivo per cui le superfici di
queste opere di Lista vibrano per molteplici sfumature, per impalpabili riverberi di materia; e tanto più se un nero si sovrappone
a un altro e a un altro ancora, facendosi spessore e verità di nero.
D’altronde, soprattutto per Pietro Lista
non potrebbe essere altrimenti, poiché il nero
è il simbolo dell’assoluto o, meglio ancora,
è il colore che esprime, in una dimensione
senza tempo, “la completa assenza di coscienza, l’affondare nell’oscurità, nel lutto,
nel buio.”5 Nell’Antichità, associato al bianco, ed esprimendo “il continuo passaggio
dalle tenebre alla luce, dalla morte alla
vita”, il nero mostrava “il mondo tellurico
come il risultato di un eterno divenire e di
un eterno perire, come un movimento senza fine.”6
Raffaele D’Andria
Dal 12 aprile fino al 12 maggio, presso la galleria ‘Margutta’ di Roma, via Margutta,
102, saranno esposte le ultime opere di Pietro Lista con il titolo “Arcana et silenta”.
1. Pietro Lista, Nero di marte 44, mostra a
cura di Alessandra Redaelli, Galleria
THE APARTMENT – Contemporary Art,
Vico Belledonne a Chiaia, 6 – Napoli –
dal 26 gennaio al 4 marzo 2012. Sito web:
www.theartapartment.com.
2. W. Benjamin, Angelus Novus, Einaudi, Torino 1962, pp. 76-77.
3. G. Scholem, Walter Benjamin E Il Suo Angelo, Adelphi, Milano 1981, p. 61.
4. F. Rella, Miti e figure del moderno, Feltrinelli, Milano 2003, p. 14.
5. H. Biedermann, Enciclopedia dei Simboli, Garzanti, Milano 1999, p. 320.
6. J. Jacob Bachofen, Il Simbolismo Funerario Degli Antichi, Guida Editore, Napoli
1989, p. 93.
T R O N T O ) / S U L M O N A : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( C O R S O O V I D I O , 1 9 0 - S U L M O N A ) / T E R A M O : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E
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AMBIENTE E TERRITORIO
I Parchi eolici
d’Abruzzo
CONTRO-VENTO: ENERGIA PULITA
E CONTESTO STORICO AMBIENTALE
Nell’estate del 2007 la regione Abruzzo approva con il D.G.R. n. 754 le linee guida che
disciplinano l’inserimento di impianti industriali di energia dal vento all’interno del
territorio regionale. Tale introduzione generale ai contenuti e alla metodologia del
documento prende, senza averne esplicita
intenzione, considerevole distanza dal suo
stesso titolo: “Linee guida per la realizzazione e la valutazione di parchi eolici in
Abruzzo”. Il primo legittimo dilemma si
pone alla nostra riflessione prima ancora di
avere il tempo di approfondire la questione, perdendosi in un mare di capitoli, paragrafi e mappe. Non è necessario essere
un urbanista e tantomeno un tecnico per
capire che un impianto industriale del
vento è cosa ben diversa da un parco eolico. I soggetti coinvolti nelle diverse fasi operative sono stati numerosi e davvero rappresentativi di tutte le categorie, indipendentemente dal tipo di interesse che tali rappresentanze avevano nei confronti del territorio abruzzese. Suscita curiosità che la “regione verde d’Europa”, nell’intento di fornire aiuto concreto allo sviluppo e alla salvaguardia del proprio territorio, finisca per
confondere l’utenza su temi generali di primaria importanza. È proprio l’art. 9 della nostra Costituzione che esprime la necessità
di tutelare il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione. Uno sforzo
in tale direzione è stato fatto proprio dal sopracitato decreto regionale che esclude naturalmente le aree protette, come parchi regionali e nazionali e zone di interesse archeologico, da possibili interventi di questo tipo. Le linee guida nazionali, forse or-
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mai anche troppo inattuali per un campo
sempre in continua evoluzione come quello della sostenibilità energetica, non danno basi solide alle regioni e alle provincie
per la redazione di piani energetici rispettosi delle diversità ambientali. L’anemometro
del consumismo indica che le aree privilegiate sono sempre quelle agricole: più facile scegliere, più vento da catturare, accordi
immediati, meno referenti, meno investimenti, più sovvenzioni, più profitto.
Ma come, il territorio si consuma? Antonello
Caporale, giornalista di “la Repubblica” dal
1989 ci direbbe che il sud ha un tesoro che
non sa di avere; che il territorio si consuma,
ma che ciò non è sempre un male. Sarebbe una buona pratica installare gli impianti eolici in aree industriali dismesse e
zone degradate da recuperare, invece di ledere e sottostimare il tessuto agricolo. La
filiera alimentare rappresenta il 15% del PIL
nazionale e produce esportazioni nell’ordine
dei ventisei miliardi annui. Un aerogeneratore ha una base di calcestruzzo che affonda nel terreno per oltre tre metri di profondità e dieci di estensione superficiale. La torre tubolare dell’aerogeneratore è resa solidale alla fondazione mediante tirafondi in
acciaio inglobati al momento del getto
per una lunghezza di circa venti metri. La
torre metallica esterna può essere dismessa, rispettando quindi il criterio di reversibilità dell’impianto previsto dalle normative di riferimento, ma la base di appoggio dell’intera struttura è permanente.
Quella porzione di suolo, che visivamente
non presenta più alcuna struttura, non è stata consumata, bensì desertificata. Il vento
soffia e produce energia pulita in quattordici virtuosi comuni abruzzesi che hanno
deciso, fin dagli anni novanta, di inserire impianti eolici sui loro territori. Una scelta forse non priva di qualche errore, ma soprattutto carica di ingenuità istituzionale. Le casse dei comuni ricevono ogni anno una cifra considerevole dalle società installatrici,
senza dover adempire ad alcun onere di controllo e manutenzione, peccato che tale cifra sia circa l’1,5% del fatturato totale prodotto dal vento che soffia sui loro campi.
Forse, creando un consorzio composto di
qualche decina di comuni, si potrebbe
pensare di chiedere un finanziamento bancario, che realisticamente parlando potrebbe essere restituito nel giro di qualche
anno. È il caso di venticinque comuni del
bresciano che nel giugno del 2010 hanno
creato un consorzio per l’istallazione di un
impianto solare, con un investimento di 23
milioni di euro. Gli introiti del vento potrebbero cosi andare davvero ai cittadini, i
quali forse potrebbero realmente capire la
differenza tra un parco e un’industria: un
parco è di tutti, un industria di pochi. Gli insediamenti eolici abruzzesi sono posti al di
sotto dei 1300 m s.l.m. e sono classificabili
in due categorie diverse: impianti su altopiani ed impianti su crinale; i primi si trovano soprattutto nel territorio della provincia
aquilana, i secondi nella provincia di Chieti. Dieci nuovi progetti sono al vaglio delle istituzioni per essere realizzati nei prossimi anni. Ibridi culturali e naturali che si
fondono in territori pieni non solo di vento, ma di storia e tradizioni.
Nicla Cassino
( C O R S O S A N G I O R G I O , 8 1 - T E R A M O ) / L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A P. TA C C O N E , 1 2 - T E R A M O ) / V A S T O : N U O VA L I B R E R I A ( P I A Z Z A
TOCCO DA CASAURIA (PE)
Turbine installate: 4 | Produzione energetica media: 4.000 MWh/anno
Installatore: Fera
Il Parco Nazionale della Majella e del Morrone ed il Parco Nazionale del Gran
Sasso e dei Monti della Laga fanno da sfondo ad un parco eolico da prima
pagina. L’autorevole rivista americana New York Times dedica al comune di
Tocco da Casauria e al suo progetto di sostenibilità un raro spazio, inserendolo
tra le poche pratiche positive del nostro territorio nazionale, spesso tristemente noto per il disinteresse nei confronti delle tematiche ambientali. I quattro impianti, di ultima generazione, installatati tra il 2005 e il 2009 producono, secondo Legambiente, il 30% in più di energia sufficiente al fabbisogno degli abitanti. Le risorse economiche cosi ottenute, hanno portato alla
realizzazione di una serie di progetti di manutenzione ordinaria e straordinaria, di assoluta importanza per il mantenimento di quella qualità di vita
cosi cara ai piccoli borghi della nostra penisola. Con la percentuale di energia da fonte rinnovabile prodotta nel suo territorio, il comune di Tocco da
Casauria supera ampiamente le percentuali indicate dal Protocollo di Kyoto e dà un contributo rilevante al raggiungimento degli obiettivi nazionali.
MONTEFERRANTE (CH)
Turbine installate: 41
Produzione energetica media: 44.473
MWh/anno
Installatore: Edison
COCULLO (AQ)
Turbine installate: 37 | Produzione energetica media: 180 GWh/anno
Installatore: Gamesa
La tradizione di San Domenico avvolto da decine di serpenti, raccolti nei campi durante la primavera, rappresenta il difficile connubio tra il mondo della natura con le sue insidie e quello dell’uomo
costretto a difendersi. Si direbbe che con trentasette turbine eoliche
entrate in esercizio nel 2005, alte non meno di 55 metri e pesanti circa 2000 Kg, sia la natura a doversi difendere dagli attacchi dell’uomo. A conti fatti, nonostante questi giganti metallici, non passino
certo inosservati, ben 60.000 tonnellate di anidride carbonica e
260.000 barili di petrolio l’anno sono stati risparmiati all’ambiente, coprendo un fabbisogno energetico medio di 10.000 famiglie. Cocullo è sede, ormai da diversi anni, del Museo della Marsica, con sede
nel castello Piccolomini, le cui due sezioni di archeologia e arte sacra sono di competenza dello SPSAE (soprintendenza per il patrimonio storico artistico ed etnoantropologico per l’Abruzzo).
CASTIGLIONE MESSER MARINO (CH)
Turbine installate: 68 | Produzione energetica media: 106.845
MWh/anno
Installatore: Edison
Tra il 2001 e il 2002 il comune di Castiglione Messer Marino si dota
di quarantaquattro aerogeneratori ai quali se ne aggiungono altri ventiquattro due anni dopo. Con un totale di sessantotto torri del vento
è il comune d’Abruzzo con il maggior numero di impianti installati.
All’impianto eolico è associata la stazione elettrica di Monteferrante
(CH) che trasforma e consegna l’energia elettrica alla rete pubblica.
In attesa della presentazione del rapporto 2012, Legambiente lo inserisce tra i cinquanta comuni rinnovabili per produzione di energia
eolica del 2011. Il progetto del centro tecnologico CETE, nato dalla collaborazione della società installatrice e degli enti pubblici, potrebbe
dare nuovi scenari di ricerca sul territorio, oltre a divulgare e promuovere
le energie alternative alle nuove generazioni.
Le case e il castello di Monteferrante sono
aggrappati alla roccia, il crinale li divide
dal fiume Sangro e dal lago di Bomba. È
lo stesso crinale sul quale si innalza uno
dei parchi eolici più grandi della regione,
entrato in marcia nel settembre 2002. 41
turbine e 400 abitanti che durante la stagione estiva si raddoppiano. Al parco eolico è associata una stazione di trasformazione dell’energia elettrica in alta tensione che serve anche il comune di Castiglione Messer Marino.
Antonello Caporale, Controvento
Nella vita di Antonio Colucci entrano un giorno, ospiti scomode e inattese, le pale eoliche. Nel suo mondo arcaico quelle pale si muovono senza un
perché. Del resto è una ricchezza improvvisa e sconosciuta apparsa nel Sud dell’Italia, dove le pianure non danno da vivere. I capannoni sono oramai detriti della civiltà industriale, l’agricoltura è povera, i contadini pochi e per lo più morti di fame.
Ai sindaci il vento piace perché rappresenta una piccola pensione sociale collettiva. Pochi soldi, ma cash, ora che le casse sono vuote. E grazie a quegli
industriali che fittano terreni (e coscienze) c’è una fatica in meno da fare: pensare, organizzarsi, cercare il partner, produrre in proprio. È troppo complicato, troppo impegnativo sviluppare un’economia locale fondata sull’energia sostenibile e rinnovabile. Meglio appaltare tutto in cambio di un obolo.
Lo Stato ha semplicemente abdicato al suo dovere. Senza mai indicare, valutare, ammettere o respingere, proporre e magari mitigare l’impatto ambientale, dire no qualche volta alle pale. No, qui no. Lì invece sì. Senza cura per il bene di tutti, senza amore per il territorio. Lo Stato ha semplicemente chiuso gli occhi davanti al più grande scandalo di questo inizio secolo.
Antonello Caporale, uno dei più seguiti giornalisti di inchiesta, attraverso alcune storie esemplari, in cui si alternano duri toni di denuncia e accenti
lirici, ci propone una ricostruzione lontana da ogni forzatura ideologica, dove le vicende dell’eolico finiscono per rivelare la malattia endemica dell’Italia e più ancora il destino a cui è condannato il Sud: bruciare la propria ricchezza senza nemmeno averla riconosciuta. (www.librimondadori.it)
Editore: Mondadori | Anno: 2011 | Collana: Strade blu saggistica italiana | Pagine: 132 | Prezzo: 17.00 euro | ISBN: 978880461298
B A R B A C A N I , 9 - VA S T O ) / W W W. R I V I S TA M U 6 . I T / D O V E T R O V A R E M U 6 : M U S E I D E L L A R E G I O N E A B R U Z Z O / A L B A A D R I A T I C A : L I B R E -
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ARCHEOLOGIA
Alba Fucens
Veduta di Alba Fucens
IL FUTURO POSSIBILE
Il ricordo degli avventurosi viaggi attraverso l’Abruzzo, effettuati da appassionati e studiosi,
quasi sempre hanno toccato un luogo che, anche per il semplice effetto di un nome ereditato dal passato, attirava l’attenzione, suscitava emozioni e attivava molteplici corrispondenze: Alba Fucens.
Leon Battista Alberti, nel 1556, descrive la grandiosa cinta muraria: “… pure si veggono alcune parti di mura meze sfasciate fatte di gran pietre quadrate, per le quali facilmente si può però
conoscere la sontuosità dell’antidetto edificio”.
Stendhal visita l’Abruzzo nel 1832 ed esprime grande ammirazione per le mura di Alba; A. Dumas rievoca, tra le rovine della città, le storie di Siface e Perseo che, prigionieri di Roma, vi
trascorsero parte della loro vita.
Agli inizi dell’Ottocento proprio le mura, tra i pochi resti ancora visibili, divennero un argomento di ricerca e di dibattito di respiro internazionale; numerosi studiosi italiani e stranieri
- Petit Radel, Simelli, Dowell, Gerhard, Cendrier, Vespignani, Promis, Fernique - animarono
una stagione di ricerche, lavori e documentazioni che costituiscono tuttora un fondamentale supporto per la conoscenza del sito e del circuito difensivo.
Nel tempo, pertanto, si forma, nell’immaginario collettivo, l’idea di un luogo che le fonti antiche avevano contribuito a plasmare come una “roccaforte”, compresa tra le tre colline che
cingono il Piano di Civita; il colle di S. Pietro, di S. Nicola e il Pettorino erano naturalmente
posti a sentinella di una colonia di diritto latino, che trovava la sua natura e il suo ruolo nella salvaguardia di un ambito territoriale esteso nello spazio pianeggiante circostante, ordinato
secondo lo schema regolare della centuriazione.
Stessa regolarità, fusa armonicamente con il contesto naturale, è rispettata anche nel centro
della città, dove si sono concentrati gli scavi archeologici della missione belga tra il 1949 e il
1979, ripresi dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Abruzzo e da università italiane e straniere a partire dal 2006.
Nell’estate 2011, dopo la sospensione nel 2010, sono state completate le ricerche in un iso-
lato lungo via del Miliario e nel piazzale del santuario di Ercole; nel primo è stato portato a
termine lo scavo di una bottega nella quale, ancora in epoca tarda, si lavorava l’osso, secondo un’antica tradizione che nella regione aveva già dato prova di grande capacità e raffinatezza.
Nel settore meridionale del piazzale di Ercole, invece, numerosi materiali attribuibili al III sec.
a.C. hanno attestato indirettamente la presenza del luogo di culto più antico, pur in assenza
di tracce della relativa struttura architettonica. E come spesso accade nelle campagne archeologiche, un ultimo sondaggio, effettuato in prossimità del sacello nel quale fu rinvenuta la statua colossale dell’Ercole Epitrapezios, ha riservato l’inaspettata sorpresa: un grande
bacino circolare, posto immediatamente al di sotto degli strati di abbandono del piazzale.
La cisterna, del diametro di 4,13 m, è stata scavata fino a ca. 5 metri, ma le indagini di tomografia elettrica, a cura dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, hanno consentito
di stabilire una profondità complessiva di ca. 6 metri. L’asportazione del superficiale strato
di riempimento, composto essenzialmente di tegole e materiali lapidei, in particolare cubilia
provenienti delle murature del santuario, ha subito messo in luce rocchi di colonne, basi e capitelli, frutto di un accumulo volontario di elementi architettonici, mescolati a numerosi frammenti ceramici, di vetro, marmo e decorazioni architettoniche. Le particolari caratteristiche
dell’ambiente umido hanno consentito anche la conservazione di vari manufatti in legno: piedi di mobili, piccoli oggetti, cucchiai e quattro lunghe travi di legno, ancora da rimuovere.
Varie porzioni di statue in marmo e bronzo sono state recuperate a profondità differenti, mentre è riemerso integro un ritratto di anziano (prima metà del I sec. a.C.), caratterizzato da incisivi tratti veristici, e una mano in bronzo che impugna un’asta.
Il riempimento della cisterna fu effettuato nei primi decenni del VI sec. d.C., in gran parte con
i materiali derivati dalla distruzione del santuario di Ercole, avvenuta tra fine V- inizi VI d.C.;
un evento sismico di grandi proporzioni, paragonabile a quello del 1915, coinvolse la regione
marsicana, tanto che i suoi effetti si avvertirono anche a Roma, dove due epigrafi poste all’ingresso
Colosseo testimoniano i danni riportati dall’anfiteatro.
La coinvolgente esperienza, vissuta nell’estate del 2011, testimonia che Alba Fucens ha ancora molto da mostrare e consegnare al presente e al futuro, reclamando, allo stesso tempo,
una cura straordinaria: per mantenere le sue trame murarie, per consentire ai visitatori, sempre numerosi, di percepire la possibilità di comprendere e di integrare se stessi in una dimensione
storica e naturale, qui mirabilmente compenetrata.
Con tale consapevolezza, occorre che venga intrapreso l’ultimo virtuoso tratto di un percorso avviato decenni fa, che ha coinvolto centinaia di persone, italiane e straniere, in un confronto serrato di ricerche che è doveroso restituire a un pubblico allargato.
La straordinaria quantità e qualità dei materiali provenienti da decenni di scavi deve ora trovare adeguata collocazione negli ambienti ormai restaurati dell’ex-convento, posto a lato della chiesa di S. Pietro, a sua volta sorta su un tempio di epoca romana: il futuro possibile dell’antica colonia e del moderno centro, intesi unitariamente nelle forme congiunte dell’area archeologica e del piccolo abitato sorto dopo il terremoto del 1915, si costruisce anche in un luogo condiviso – museo - in cui la narrazione archeologica diventi protagonista e la comunità
locale si senta affidataria e promotrice delle proprie e delle altrui aspettative.
Emanuela Ceccaroni
Riempimento della cisterna
R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( L U N G O M A R E M A R C O N I , 2 7 0 - A L B A A D R I AT I C A ) / A S C O L I P I C E N O : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( P I A Z -
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CULTURA E IMPRESA
Arrivare a Caprafico
è come viaggiare
con la macchina del tempo
Arrivare sull’altopiano di Caprafico, in agro di Guardiagrele, è come viaggiare con la macchina
del tempo. Lasciata la Statale 81 a pochi km da Casoli, di colpo il paesaggio si fa solitario e
la strada si inerpica tra gli olivi ordinati verso i contrafforti della Majella. Agli ultimi tornanti, nel pietrisco di una parete a strapiombo si nascondono, ma non tanto, resti fossili di conchiglie e pesci. E quando il pianoro si allarga di fronte alla montagna, ci si accorge di essere su quello che era il fondo di un lago o del mare che milioni di anni fa ricopriva tutto (Majella compresa) e che ora è il sedimento di pietruzze, fossili e limo che rende fertile questa terra. Qui oggi coltiva il farro Giacomo Santoleri, l’ingegnere nato a Roma da famiglia guardiese
e tornato negli anni ’80 nella sua terra, alle sue radici. L’altopiano di Caprafico (da una parte la Majella, dall’altra il mare all’orizzonte) è raggiunto dalla brezza dell’Adriatico poco lontano che crea un microclima unico per i cereali minori, i legumi e gli olivi (farro, orzo mondo, lenticchie, ceci) che l’ingegnere coltiva con successo e per scelta di vita. “Il mio progetto era realizzare un’attività di agricoltura compatibile in questo ambiente incontaminato –
spiega Giacomo Santoleri, accarezzando con gli occhi il farro che sta nascendo e che qualche inesperto potrebbe confondere con il grano – certo mi ha aiutato la natura del territorio vocato per i cereali che non hanno bisogno di chimica, proprio come il farro che è il più
selvatico. Pochi lo sanno, ma io ho recuperato una memoria storica: questo cereale si coltivava nell’alta Valle del Sangro a pochi km da qui.” Nascosto tra libri di agricoltura biologica e faldoni di fatture, spunta a sorpresa un quadretto con una stampa del ‘900: è la copertina
dell’Illustrazione abruzzese firmata Basilio Cascella che ritrae una donna alle prese con una
piccola macina in pietra per decorticare il farro. In realtà la passione di Santoleri per l’agricoltura tradizionale di qualità e per l’innovazione non dipende solo dai suoi studi di ingegneria: nasce direttamente in famiglia, dal padre Giovanni, che è stato un illustre uomo politico liberale ed un proprietario terriero illuminato. Le sue idee di progresso e le iniziative
anticipatrici in agricoltura hanno lasciato un segno ancora oggi visibile nel territorio pedemontano di Guardiagrele, sul versante di Crognaleto che declina dolcemente verso il mare.
Non siamo nelle Langhe, ma alla fine degli anni ‘60 la sua intuizione di piantare su queste
colline 22 ettari di Montepulciano d’Abruzzo e 2 di Trebbiano ha anticipato l’esplosione successiva e recente dei vini Doc abruzzesi nel panorama vinicolo italiano. L’interesse di Santoleri junior si è invece rivolto ai cereali minori e all’olivo, nelle sue cultivar locali: la Gentile di Chieti – che sta prendendo il sopravvento sul Leccino, che è di “importazione” toscana - e l’Intosso, una varietà autoctona da frutta che il mercato richiede sempre più anche come
oliva da olio per i profumi che sviluppa. “È una lotta continua con le mode del mercato. Spesso vengono imposte scelte non legate alle qualità organolettiche dell’olio per le quali mi sono
sempre battuto – racconta Santoleri – io insisto con la Gentile di Chieti che è una varietà tar-
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diva, mediamente profumata, ma anche un pò amara e che “pizzica” in gola. Segno della
presenza di polifenoli che sono l’oro dell’olio, il valore aggiunto, la qualità che nessun altro
prodotto industriale può vantare.” E non è un caso che quest’olio, spremuto a Caprafico da
olive sane appena raccolte, non solo è stato uno dei primi ad essere imbottigliato, ma oggi
sta mietendo successi nel mercato degli intenditori. “La stessa eccellenza la cerco nelle lenticchie piccolissime che produco su questo terreno alluvionale ed il cui sapore è nascosto
nella buccia - continua Santoleri - oppure nei ceci di una varietà antica e recuperata, che sono
più “duri”, ma solo perché mantengono la cottura, ed infine nel farro e nell’orzo che sono
la mia produzione di punta.” E forse è stata proprio “l’integralità” del farro a farlo diventare la passione segreta di Santoleri, la traduzione in agricoltura di una visione filosofica del
mondo. “Il farro è da sempre un alimento perfetto e soprattutto buono, visto che è un cereale integrale naturale, con una crusca equilibrata che ne addolcisce il sapore. È un alimento
che serve a vivere bene proprio per le sue caratteristiche nutrizionali, ci sono minerali importanti ed un amido che nell’intestino ha effetti probiotici, come sostengono alcuni studi.”
La stessa passione per la qualità Giacomo Santoleri la cerca nella trasformazione dei suoi
prodotti affidata ad artigiani scelti con cura. Così nascono le sue paste di farro, di farro ed
orzo e di semola ed orzo (“mi raccomando sempre di scolarle molto al dente” aggiunge),
ma anche l’orzo mondo tostato per il caffè e quello “corretto” all’anice che ricorda antiche
consuetudini contadine. Fuori, nel campo che ha come sfondo naturale la Majella ancora innevata, stanno nascendo le prime pianticelle di lenticchia. Santoleri le sfiora: “Si, questa primavera piove, ma non quanto si crede. Per fortuna questa terra è fresca naturalmente.” Un
sole pallido annuncia una primavera un pò tardiva. È ora di tornare nel tempo. La strada che
scende verso la Statale 81 stavolta è un’altra ed è poco più di una mulattiera, tra passaggi
in frana e siepi di rosmarino. La presenza di resti romani nella zona spiega meglio di tante
altre leggende che anche anticamente questo isolamento era ricercato ed apprezzato. Ne resta traccia nel toponimo Caprafico, che alcuni fanno risalire ai riti della fertilità, quando a Roma,
sotto la grotta del Palatino, le vergini venivano battute con pelli di capra durante i riti Lupercali.
O forse il nome di questa località rimanda all’impollinazione del fico selvatico, un’etimologia che Santoleri preferisce nella sua visione dell’agricoltura e dell’alimentazione con i prodotti naturali della terra. Per lui anche il mito di Romolo e Remo che preferisce è quello che
li vede nutriti con il latte del fico selvatico piuttosto che dalla lupa capitolina. Dunque una
leggenda pacifista, che rimanda alla natura ed alla frugalità degli Etruschi e non alla Roma
imperialista. Resta comunque il fatto che gli antichi romani sapevano scegliere bene i posti
dove godersi la vita. Anche con un’agricoltura filosofica.
Sebastiano Calella
Z A D E L P O P O L O , 2 6 - A S C O L I P I C E N O ) / L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( C E N T R O C O M M E R C I A L E “A L B AT T E N T E ” , V I A D E L C O M M E R C I O , 5
CULTURA E IMPRESA
EARTH
MATER
SULLE TRACCE DELL’UOMO
“Ove la pietra è figlia della luce”, lì la terra tocca il cielo e spirano venti millenari. Earth Mater,viaggio reale e spirituale dalle fascinose montagne senza nome dell’Himalaya alle nevose vette del Gran Sasso. Gemellaggio tra pietre e popoli, fra storia,cultura e memoria. Questo lo spirito con cui la Perigeo International People Community onlus ha messo in scena la “Earth
Mater- sulle tracce dell’uomo” all’Aurum di Pescara dal 24 febbraio al 4 marzo, in collaborazione
con la Presidenza del Consiglio Regionale d’Abruzzo. Evento multidisciplinare: un’esposizione
fotografica descrittiva -illustrativa delle missioni Perigeo nel mondo, per affrontare il tema della cooperazione internazionale ed un convegno su mutamenti climatici, esplorazione ed attività di ricerca dei Laboratori Nazionali del Gran Sasso- passando per il forte legame d’identità
culturale fra l’Abruzzo ed il suo Vate. I versi di Gabriele d’Annunzio sono immortalati sulla pietra miliare del Vittoriale degli Italiani, collocata simbolicamente dagli esploratori fra le montagne senza nome dell’Himalaya. Partendo dalla creazione di Madre Terra, si approcciano lungo il percorso espositivo diverse discipline scientifiche. Il fascinoso mondo della geologia ha
consentito un’illustrazione esauriente delle origini del pianeta, poi si è passati al campo della biologia per approdare infine alla genetica umana ed all’antropologia, analizzando l’influsso
del clima su queste discipline. Pannelli e tavole descrittive hanno illustrato anche le attività
di ricerca multidisciplinare svolte dai Laboratori Nazionali del Gran Sasso (LNGS). La mostra
è stata articolata in quattro macroaree geografiche. Il viaggio virtuale è partito dal continente africano, per poi approdare nel cuore della ricerca esplorativa: l’Asia (Himalaya), fino ad arrivare alla culla del Vecchio Continente (l’Europa), proseguendo verso l’America, per concludersi nell’Artico- mettendo in luce la vocazione alla cooperazione della Perigeo, rivolta alle aree
della terra in maggior difficoltà. L’idea è stata quella di mettere in scena quattro gigantografie, ogni immagine ad aprire il sipario su scenari diversi. Accanto a queste, scatti in formato
più piccolo e brevi testi per illustrare le varie tappe dell’esplorazione, prendendo per mano il
visitatore nel compimento di un viaggio attraverso la fotografia. Oltre agli scatti, l’esposizione di una preziosa raccolta di oggetti emblematici,dalla forte rilevanza simbolica della “Earth
Mater Expedition” e delle altre missioni Perigeo nel mondo.
Isabella Marianacci
“Earth Mater”- sulle tracce dell’uomo è un progetto di Davide Peluzzi e Gianluca Frinchillucci.
5 2 - A S C O L I P I C E N O ) / A V E Z Z A N O : L I B R E R I A M O N D A D O R I ( V I A M O N S I G N O R B A G N O L I , 8 6 - AV E Z Z A N O ) / L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E
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Come
è nata
FARE L’AQUILA
Avevamo un desiderio comune quando è nata
FARE L’Aquila. Quel desiderio era rivedere la
nostra città.
Non ci bastava sapere che di lì ad altri due,
cinque, dieci anni il territorio colpito dal sisma sarebbe uscito da sotto i ferri, noi volevamo fare qualcosa di concreto. Volevamo
offrire il nostro contributo per riavere la nostra città più bella, ma soprattutto più forte
che mai. Non c’è stato un solo momento in
cui abbiamo pensato a tornaconti personali, volevamo essere noi un inestimabile contributo per L’Aquila e gli aquilani.
Ci siamo chiesti cosa potevamo “fare” noi.
La risposta un giorno è arrivata e rispondeva, appunto, al nome di “FARE L’Aquila”.
FARE L’Aquila si chiama infatti il desiderio
concretizzato in un impegno che abbiamo
scelto di assumerci, impegno che nel corso
dell’anno tornerà a proporre numerose iniziative in collaborazione con i suoi partner.
In questi ultimi mesi abbiamo lavorato molto e duramente, e adesso, orgogliosi di non
esserci fatti allettare da nessuna operazione
commerciale, finalmente siamo giunti al
nostro primo evento dinamico sulla Ricostruzione, aperto al contributo di tutti, dove
partecipare significa cogliere un’opportunità di crescita e contribuire alla rinascita del
territorio.
FARE L’AQUILA
Dall’8 al 10 giugno, cittadini, istituzioni e imprese si incontrano a L’Aquila, precisamente nei locali ex Agriformula di Monticchio, in
una grande manifestazione senza finalità di
lucro, intorno ai temi del Futuro, dell’Ambiente, della Ricostruzione e dell’Economia
(eh già, anche qui ricorre la parola che tanto ci piace... “fare”).
Più di 10.000 mq di area espositiva ospitano
circa 300 stand dove le imprese presentano progetti, tecnologie, materiali, prodotti
e mezzi per la Ricostruzione mentre una
grande sala conferenze e un’area relax ga-
rantiscono comfort e fruibilità dei contenuti
dando spazio ad ogni esigenza dei visitatori.
Ma la nostra non è una semplice fiera di materiali edili e la partecipazione attiva di
ognuno è resa possibile grazie a workshop
e interessanti dibattiti che vedranno protagonisti i più grandi esperti coinvolti nella Ricostruzione. Molte e preziose sono le occasioni di confronto e arricchimento personale ospitate presso un’ampia sala conferenze, mentre un’area relax garantisce
comfort e spazio a ogni esigenza dei visitatori. Per la prima volta in assoluto, in un
ampio padiglione dedicato, gli oltre 1.000
consorzi (soggetti giuridici che rappresentano
singoli aggregati di immobili danneggiati)
possono partecipare ad un workshop esclusivo per confrontarsi con imprese e progettisti al là delle semplici offerte economiche.
FARE L’Aquila mira infatti a rendere trasparente la comunicazione tra committenti ed
imprese, creando occasioni di contatto diretto. Le istituzioni potranno contare sulla
massima divulgazione delle informazioni riguardanti le opere pubbliche da realizzare e
le imprese avranno modo di presentarsi ai
decisori della ricostruzione privata.
Per noi l’opinione degli aquilani conta molto ed è per questo che abbiamo deciso di allestire dei punti di ascolto per i visitatori che
possono così partecipare offrendo la loro opinione diventando protagonisti del processo
di riappropriazione degli spazi.
Il nostro più grande orgoglio, però, risiede
nel fatto che a differenza di altre iniziative simili, la nostra è nata dagli aquilani per gli aquilani e anche per questo abbiamo scelto di destinare interamente gli utili a progetti di interesse sociale e culturale del territorio
come Isa, L’Aquila calcio, Amici dei Musei e
L’Aquila per la vita.
Ricordando che l’ingresso per tutti e tre i giorni alle esposizioni, ai seminari, ai workshop
e a ogni altro evento della manifestazione è
completamente gratuito, mentre per chi
vuole prenotare uno stand, a partire da 600
euro, basta chiamare il numero verde
800 97 44 22, invitiamo tutti a partecipare.
Date: 8, 9 e 10 Giugno
Orari: 10:00 - 21:00
Luogo: Ex Agriformula via Rodolfo Volpe in
località Monticchio (L’Aquila). Il sito è facilmente raggiungibile, nelle immediate vicinanze dell’uscita L’Aquila est, ha ampi parcheggi ed è collaudato all’afflusso di visitatori, dato che ospita gli uffici ARTA (Agenzia
Regionale per la Tutela dell’Ambiente) ed è
quindi aperto al pubblico tutti i giorni. È una
location perfettamente sicura che garantisce
una soluzione ideale e non una forzatura dettata dall’interesse commerciale.
CHI SIAMO
Siamo uno staff giovane che vive e lavora a
L’Aquila. Ci occupiamo di Innovazione e
Marketing ed è la prima volta che organizziamo un evento di questo genere. Per questo ci siamo avvalsi della collaborazione dell’Ente Fiera di Lanciano e di altri partner molto prestigiosi, così da poter contare su
competenza e professionalità senza cercare queste qualità fuori Regione. Abbiamo però
la competenza, la volontà e la forza per raggiungere l’obiettivo dei 10.000 visitatori.
( C O R S O D E L L A L I B E R T À , 1 1 0 - AV E Z Z A N O ) / B O L O G N A : L I B R E R I A F E LT R I N E L L I ( P I A Z Z A R AV E G N A N A . 1 - B O L O G N A ) / L I B R E R I A
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LMUSEONUOVOLETTEREINBREVECONVEGN
CONVEGNI
DENUNCIA
MOSTRE
TRA NAPOLI
E FIRENZE
VILLA PRETAROLI
OGNI COSA A SUO
TEMPO
MOSTRE
Fausto Melotti, Senza titolo, 1983
SILVI MARINA (TE)
A seguito della conquista angioina del Regno di Sicilia
(1266), l’asse viario che collegava Napoli, la nuova capitale, con Firenze attraverso l’Appennino centrale abruzzese divenne rapidamente una delle principali arterie commerciali e militari della penisola italiana fino al Risorgimento.
Attraverso L’Aquila, Popoli, Sulmona, Castel di Sangro nonché, in Molise, Isernia e Venafro, il percorso metteva in comunicazione le succitate città – racchiuse dalle montagne, ma oltremodo produttive e ricche di materie prime
quali lana e zafferano – con i centri toscani e umbri al nord,
campani al sud: oltre a Firenze, Arezzo (ma anche Siena), Perugia, Spoleto; oltre a Napoli, Capua e Teano.
L’obiettivo del convegno, che rientra nelle giornate di studi “La Via degli Abruzzi e le arti nel Medioevo” – inaugurate il 26 aprile da conferenze di Francesco Sabatini e
Ferdinando Bologna – è quello di favorire l’incontro fra
gli storici delle arti in Abruzzo, onde verificare la ricaduta che il continuo traffico sulla grande strada di accesso
al Regno di Napoli ebbe anche sul piano della circolazione
degli artisti nonché dei repertori formali e iconografici fra
i secoli XIII e XV. Attraverso i contributi presentati si intende offrire non soltanto un quadro aggiornato degli studi storico-artistici sulle relazioni intercorse fra i centri situati lungo uno dei percorsi più importanti nella storia
della Penisola, ma anche suggerire spunti per ulteriori iniziative di ricerca.
Nell’ambito del convegno si segnala la visita guidata – a
cura della Soprintendenza BSAE dell’Abruzzo – alla Sala
della pittura tardogotica del Museo d’Arte Sacra della Marsica a Celano, dove sono esposte anche due tavole della
custodia di Sant’Eustachio trafugate dalla parrocchiale di
Campo di Giove e recentemente recuperate.
Sedi: L’Aquila, Facoltà di Lettere e Filosofia, Aula A, venerdì 11 maggio, dalle ore 9.30;
Castelvecchio Subequo, Sala p. Pio Grannonio, sabato 12
maggio, dalle ore 9.30;
Celano, Museo d’Arte Sacra della Marsica, Castello Piccolomini, sabato 12 maggio, ore 15.30
Info: [email protected]
MOSTRE
Silvi Marina: nuove palazzine dovrebbero andare a
sostituire l’antico edificio di Villa Pretaroli e la chiesetta ad esso connessa, chiesetta nata agli inizi de
Novecento come prima e unica chiesa nella marina
della cittadina nella cittadina di Silvi.
Da qui la mobilitazione di Legambiente; certo c’è da
riconoscere che gli edifici si trovano oggi in uno stato
di abbandono e degrado, ma «È inconcepibile pensare che Villa Pretaroli, una bellissima villa costruita agli
inizi dell’Ottocento, possa essere demolita con tanta
facilità per costruire ancora nuove palazzine – queste
le parole di Michele Cassone, presidente del circolo
Legambiente di Silvi, che sostiene ancora che – si
andrebbe così a distruggere per sempre un patrimonio
di inestimabile valore, rappresentato proprio dalle
ville storiche di Silvi che costituiscono l’espressione
migliore dell’architettura e dell’edilizia prodotta negli
ultimi due secoli dalle famiglie nobiliari e della ricca
borghesia locale per la costruzione delle cosiddette
“residenze estive” lungo la costa adriatica abruzzese».
Ciò che Legambiente inoltre richiede è di porre un vincolo per salvaguardare e tutelare gli edifici storici che,
come Villa Pretaroli e la chiesa ad essa connessa,
costituiscono dei beni artistici, storici e architettonici
del comune di Silvi.
Ad oggi infatti, questi edifici non risultano assolutamente vincolati, nella totale indifferenza del Comune
e della Soprintendenza e dunque per questo soggetti
a qualsivoglia intervento, come appunto la demolizione. (S.C.)
MOSTRE
L’AQUILA
MU.SP.A.C. Museo Sperimentale d’Arte Contemporanea, L’Aquila - 30 maggio/12 giugno 2012
mostra dell’artista ecuadoriana MARIA ROSA JIJÓN.
Terza mostra di arte contemporanea all’interno del
progetto “Percorsi Migranti” promosso dal Coordinamento “Ricostruire Insieme” della città dell’Aquila.
Artista e attivista per i diritti degli immigrati, l’ecuadoriana Maria Rosa Jijón, in Italia da dieci anni, ha
saputo sintetizzare nella sua opera le due realtà che
ha vissuto. Le sue fotografie e i suo video sono l’incontro di due mondi, quello dell’arte e quello dell’immigrazione. Per il MU.SP.A.C. presenterà una serie
dei suoi ultimi lavori tra foto, video e installazioni,
tutti incentrati sul tema dell’immigrazione.
MU.SP.A.C. MUSEO SPERIMENTALE D’ARTE
CONTEMPORANEA
Via Ficara, Piazza d’Arti, L’Aquila
www.museomuspac.com
[email protected]
tel: +39 338 2374725 /+39 349 6365670
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FAUSTO MELOTTI NEL RITRATTO DEGLI AMICI
Tre collezioni, formatesi tra il 1951 e il 1985, rendono omaggio a un grande scultore del Novecento
12 maggio – 7 luglio 2012
Al Museo della Scultura Contemporanea di Matera si
inaugura la mostra “Fausto Melotti nel ritratto degli
amici”, una singolare esposizione che accoglie 30 sculture, 45 disegni, 10 ceramiche, 50 opere grafiche, 12
libri d’artista, oltre a immagini e documenti dal 1928
al 1985, dalle collezioni di quattro amici: l’editore e
critico d’arte Vanni Scheiwiller, il pittore-poeta Toti
Scialoja e sua moglie, la scrittrice-critico d’arte
Gabriella Drudi, lo storico dell’arte con grandi curiosità per l’editoria, Giuseppe Appella. La mostra rilegge la vita di Fausto Melotti (Rovereto, 1901 – Milano,
1986), raccontando l’arte a Milano e a Roma nella
seconda metà del secolo appena trascorso, attraverso
l’omaggio di quattro amici che hanno visto segnare la
loro esistenza dalla grazia, dall’intelligenza, dal rigore
di un artista irripetibile e autentico, che scriveva la
propria vita con i doni, spesso personalizzati, che compongono la mostra. Ne emerge una costante frequentazione, uno scambio generazionale che copre quasi
tutto il secolo, una assoluta fedeltà nata dalla convinta considerazione di un lavoro unico nel panorama
artistico italiano, un intreccio di incontri, passeggiate,
cene, viaggi, libri realizzati e da realizzare, mostre,
che coinvolgevano numerosi artisti tra i quali Andrea
Cascella e De Libero, Rotella e Sinisgalli, Carlo Belli e
De Chirico, Magnani e Raboni, Perilli e Dorazio,
Rotella e Franchina e numerosi altri.
Evento promosso da
Fondazione Mia – Congregazione della Misericordia
Maggiore / www.operapiamia.it
In collaborazione con
The Blank Bergamo Contemporary Art / www.theblank.it
GAMeC – Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea,
Bergamo / www.gamec.it
MUSMA
Museo della Scultura Contemporanea. Matera
Palazzo Pomarici - Via San Giacomo (Sasso Caveoso)
Tel. 366 9357768
[email protected]
www.musma.it
MUSICA
MOSTRE
Gino De Dominicis, Piramide invisibile, 1969
GINO DE DOMINICIS
E SIGMAR POLKE
Accademia Tedesca Roma, Villa Massimo
GINO DE DOMINICIS E SIGMAR POLKE
MARIA ROSA JIJÓN
Ogni cosa a suo tempo | Capitolo IV
NAVID NUUR | ALIS/FILLIOL
2 giugno – 8 luglio 2012
Basilica di Santa Maria Maggiore, Piazza Duomo
Bergamo
Ogni cosa a suo tempo, da omnia cum tempore -secondo la fonte originale dal Qoelet o Ecclesiaste, uno
dei testi contenuti nella Bibbia Cristiana ed Ebraica -significa ogni cosa ha il suo tempo ed è nel suo tempo.
Da questa riflessione nasce il progetto di arte contemporanea nei matronei della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, che vede per il secondo anno la partecipazione di artisti rappresentativi del panorama internazionale chiamati per rispondere a un processo di
continuità storica, artistica e interpretativa. Ogni cosa
a suo tempo rinnova e riattualizza il dialogo tra il grande e maestoso cantiere della Basilica, durato oltre sette secoli, e l’arte contemporanea. Dopo il primo ciclo
di tre mostre, l’appuntamento con l’arte torna con un
nuovo capitolo espositivo organizzato in forma di doppia personale. I matronei della Basilica di Santa Maria Maggiore normalmente chiusi al pubblico, ospiteranno Navid Nuur e Alis/Filliol, che continueranno il
processo di dialogo, interpretazione e restituzione dell’attualità in un contesto carico di storia, arte e spiritualità. L’installazione di opere d’arte contemporanea
all’interno dell’architettura medioevale dei matronei risponde alla volontà curatoriale di aprire un confronto
tra l’arte del passato e quella del presente e di presentare a un vasto pubblico opere appositamente realizzate
da alcuni dei più significativi artisti del nostro tempo.
[email protected]
ROMA
Lo sciamano, 2011
MATERA
BERGAMO
CASTELVECCHIO SUBEQUO (AQ)
TRA NAPOLI E FIRENZE. PERCORSI STORICO-ARTISTICI LUNGO L’APPENNINO CENTRALE ABRUZZESE (SECC. XIII-XV)
a cura di Cristiana Pasqualetti
Università degli Studi dell’Aquila, Dipartimento di Storia
e Metodologie Comparate - Comune di Castelvecchio Subequo | Con il patrocinio della Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi | 11-12 maggio 2012
FAUSTO MELOTTI
La oramai nota rassegna espositiva Soltanto un quadro al massimo, curata da Ludovico Pratesi e dal Direttore dell’Accademia Tedesca, Joachim Blüher, mette a confronto l’opera di un artista tedesco con quella
di un artista italiano; in questa edizione Sigmar Polke
e Gino De Dominicis.
In passato si sono confrontate le opere di artisti quali
Enzo Cucchi e Georg Baselitz (2003), Jannis Kounellis
e Jörg Immendorff (2004), Emilio Vedova e Markus Lüpertz (2004), Marisa Merz e Rebecca Horn (2005), Domenico Bianchi e Sean Scully (2005), Mario Merz e Wolfgang Laib (2006), Michelangelo Pistoletto e Rosemarie Trockel (2007), Grazia Toderi e Tobias Rehberger
(2008), Vanessa Beecroft e Wolfgang Tillmans (2008),
Paola Pivi e Jonathan Meese (2009), Mimmo Jodice e
Andreas Gursky (2009), Nico Vascellari e Christian Pilz
(2010), Giulio Paolini e Candida Höfer (2010), Ettore
Spalletti e Imi Knoebel (2010), Rossella Biscotti e Björn
Braun (2011), Alfredo Pirri e Gerhard Merz (2011) e infine Vittorio Messina e Thomas Schütte (2011).
Opere in mostra:
Gino De Dominicis, Piramide invisibile, 1969
courtesy: Collezione Calabresi, Roma
Sigmar Polke, Kartoffelmaschine, 1969
legno, metallo, gomma, motore elettrico con batteria
di 4,5 V, due patate - cm 79,5 x 40,5 x 39,5
courtesy: Collezione La Gaia, Busca (CN)
Soltanto un quadro al massimo:
Gino De Dominicis – Sigmar Polke
Accademia Tedesca Roma Villa Massimo
Largo di Villa Massimo 1-2, 00161 Roma
dal 4 maggio al 7 giugno 2012
INFO: www.villamassimo.de
Ufficio Stampa: Loredana Marzano, 06-44259340, [email protected] - Maria Bonmassar, 335-490311,
[email protected]
Jože Cesar: Il Ponte di Salcano, olio su tela, cm 30 x 40
FESTA EUROPEA
DELLA MUSICA
ORIZZONTI DISCHIUSI
TRIESTE
L’AQUILA
Festa Europea della Musica
Cartiera del Vetoio, L’Aquila
Location di straordinario fascino per l’edizione 2012
della Festa Internazionale della Musica che si svolgerà in tutta Europa il 21 giugno: la storica Cartiera
del Vetoio del 1400, situata all’interno di un parco
naturale, luogo incontaminato situato all’ingresso
ovest della città dell’Aquila. A sottolineare la preziosità del luogo concorrono le parole di Andrea Tatafiore, rappresenta del FAI, che in occasione della
inaugurazione della Cartiera si espresse così: “ Non
posso che essere felice per il recupero di questo
immobile che raggruppa beni architettonici e paesaggistici tutti insieme. Il lago poi è un’oasi incantata, visto che ci vivono specie di animali non presenti
in Abruzzo, come il cormorano che transita in questo lago prima di emigrare in Africa…” In questa
“oasi incantata” I Solisti Aquilani e la Società Aquilana dei Concerti B.Barattelli propongono un canovaccio intessuto di note, racconti naturalistici, a cura
di Anna Rita Frattaroli e Piero Tetè, ricercatori e professori aggregati di botanica e zoologia presso l’Università degli Studi dell’Aquila e degustazioni.
Ad aprire le danze sarà il Trio Mariozzi, Servilio, Chimini, con Kaegelstadt, il Trio dei birilli, di Mozart,
così chiamato perchè sembra che la sua prima esecuzione fosse avvenuta in una casa viennese dove
pare si svolgessero parecchi giochi di società, uno dei
più apprezzati dei quali si effettuasse proprio con gli
oggetti che oggi si trovano al bowling.
Orizzonti dischiusi. Arte del Novecento tra Italia e
Slovenia
La trattativa della KB1909 per riportare le opere a
Trieste, che fino a questo momento era stata difficile,
ha visto quindi una rapida soluzione con Banca Monte
dei Paschi di Siena; ora, fermo il fatto che esse restano
patrimonio esclusivo della banca senese la KB1909,
istituto economico di riferimento degli sloveni in Italia,
è titolare del deposito di questo importante nucleo di
opere di artisti sloveni.
Una scelta non casuale, dato che la società KB1909 negli
anni ha costituito una propria collezione d’arte. In questo
modo viene ad essere costituita una raccolta completa,
rappresentativa dei più interessanti artisti sloveni di tutto il secolo scorso.
Alle opere provenienti dalle raccolte Banca Monte dei
Paschi di Siena e KB1909 vengono qui affiancate altre
concesse da istituzioni pubbliche e private dei territori
triestini e goriziano.
INFO: [email protected]
Trieste, Salone degli Incanti, Riva Nazario Sauro 1
21 aprile - 17 giugno 2012
Informazioni e prenotazioni: tel. +39 040 3226862
[email protected]
www.triestecultura.it
Il Salone degli Incanti accoglie così la mostra che tutti attendevano da anni. Ad essere esposte sono circa 150
opere, dai primi agli ultimi decenni del Novecento. La
collezione KB1909 raccoglie anche opere degli artisti
sloveni d’oggi e di artisti locali del territorio, essendo annualmente aggiornata con il meglio della produzione
contemporanea.
La scelta dei curatori ha però voluto privilegiare ciò che
è ormai storicizzato, rinviando, eventualmente, ad una
futura esposizione l’attualità più vicina.
PICKWICK (GALLERIA 2 AGOSTO 1980, 3/2 - BOLOGNA) / C H I E T I : LIBRERIA DE LUCA (VIA C. DE LOLLIS, 12/14 - CHIETI) / F I R E N Z E : LIBR
NOMOSTREATTIVITÀLIBRIANNIVERSARIOCO
WORKSHOP
MOSTRE
MOSTRE
IT’S MINE
EXPERIMENTS
RADICI
E CARLA ACCARDI
AI CONFINI
DEL CREATO
PORTICI (NA)
CASTELBASSO (TE)
TERAMO
La cultura del progetto di Design in Italia si contraddistingue per il suo carattere organico; dal movimento moderno in poi, il progetto è della città, della casa,
ma anche e soprattutto dell’arredo, degli oggetti di
uso comune che animano la scena urbana e domestica. Premessa indispensabile per capire gli ambiti di
interesse del Design che diventa, in breve, l’espressione sintetica della capacità ideativa e produttiva di
quella data cultura in quel momento storico, in quel
territorio, determinandone progressivamente la cifra
stilistica.
L‘evento-mostra “It’s Mine Experiments” si presta,
dunque, ad un sostanziale ampliamento disciplinare
che guarda al Design come generatore di dinamiche
evolutive, trainanti economie e idee.
La Call for Proposal registra un dato rilevato sull’intero territorio campano attraverso i percorsi creativi
dei designer che incrociano la componente produttiva
delle aziende e formativa di Scuole ed Università. In
particolare, la ricognizione di ADI Campania e SUDLAB delinea le diverse trame del design contemporaneo in Campania come riflesso di configurazioni produttive autonome o tradizionali. L’azione è riferita
alle connessioni tra creativi, artigiani ed imprese, rappresentando un passo decisivo per la comunicazione e
la conoscenza del sistema design campano capace di
esprimere progetti e produzioni di alto profilo, in uno
scenario di mercato globale.
La metodologia segue l’idea di proporre (Call for Proposal) un progetto, la fase successiva prevede la selezione avvalendosi di un periodo di tempo nel quale si
definirà meglio il progetto per poi passare ad una presentazione in pubblico durante l’evento It’s Mine
Experiments che si terrà presso la sede SudLab. Infine i progetti, prodotti-servizi e comunicazione, più
interessanti saranno premiati secondo i criteri propri a
ciascuna sezione.
Sudlab - viale Melina, 4 - Portici (NA)
Ingresso libero
Doppio appuntamento contemporaneo in Abruzzo,
per l’estate 2012. Ad offrirli è la Fondazione Malvina
Menegaz che si situa nella splendida cornice del borgo
di Castelbasso, in provincia di Teramo. Entrambi
inaugurano nella sede dello spazio, nato per la promozione dell’arte e della cultura, il 30 giugno, promettendo per la calda stagione un programma emozionante e transdisciplinare. Per le arti visive, Eugenio
Viola ci propone una mostra collettiva, intitolata
Radici:protagonisti internazionali della scena contemporanea, tra gli artisti più significativi del panorama
mondiale, si confrontano con un emozionante concept tra tradizione, origine, passato e futuro. Nel frattempo, si svolge, sempre in fondazione, una mostra
personale, a cura di Laura Cherubini, dedicata a
Carla Accardi. Tra le signore più originali ed indipendenti dell’arte italiana emersa dalle ceneri della
Seconda Guerra Mondiale, la Accardi ha saputo elaborare la nuova astrazione in forme calde e libere,
lavorando sulle superfici e rendendo umano, attraverso il suo stile, un linguaggio al tempo stesso sofisticatissimo e senza tempo. Colori e geometrie, opacità e
trasparenze si intersecano e si sovrappongono nell’opera di un’autrice che ha seguito l’evoluzione dell’arte contemporanea anticipandone molto spesso esiti e
soluzioni. Le due mostre sposano perfettamente la
mission della fondazione che è, infatti, come si legge
nel sito, favorire l’incontro di persone e di idee, il confronto tra le arti, il dialogo tra le culture, le occasioni
di conoscenza delle espressioni attuali del pensiero e
del sapere, attraverso il confronto intellettuale.
Bruno Di Pietro. Ai confini del creato
Dopo Milano, Parigi e Bruxelles, Bruno Di Pietro
torna ad esporre nella sua terra d’origine, l’Abruzzo.
Trenta opere organizzate sulla base dei lavori dell’ultimo periodo artistico (VII periodo), dal 2005 al 2012,
tra sculture, oli su tela e trittici con una mostra dal
titolo Ai confini del creato, dal 5 maggio al 9 giugno
2012 presso la BCC di Teramo. Nell’ultimo ciclo, dal
2008 al 2012, l’artista rielabora le più significative
opere degli anni Settanta e Ottanta, illustrando la
nuova serie dei Confini, fisici o metaforici, dei trittici
con tecnica mista e una pittura ampiamente gestulae-segnica-materica, con lunghi tempi di realizzazione. In mostra anche i lavori che riguardano la più
recente intuizione intitolata L’arca di Noé, la rigenerazione dal mondo sommerso. La definizione più corretta per Di Pietro non è quella di pittore, ma piuttosto di un ricercatore dell’arte, un sensibile, instancabile e poliedrico artista, la cui intensa attività ha portato alla classificazione di sette periodi ben definiti, dal
1965 fino al 2012.
Presentazione sabato 5 maggio 2012 ore 18:00, Banca
di Teramo di Credito Cooperativo - BCC, Sala C.
Gambacorta, interventi di On.le Antonio Tancredi,
Presidente della Banca BCC di Teramo, Simona Clementoni, critica d’arte, Simone Gambacorta, critico
letterario, Franca Di Carlo Giannella, Presidente FAI
Teramo. Modera il giornalista RAI Nino Germano.
Apertura dal 5 maggio al 9 giugno 2012, dal martedì
al sabato 10:00-13:00 / 16:00-19:00. Catalogo Ianieri Edizioni, testi in italiano e inglese di Armando
Ginesi, Corrado Gizzi, Cristina Ricciardi, Simona Clementoni.
Ingresso gratuito.
Raffaella Cordisco
MOSTRE
APPUNTAMENTI
APPUNTAMENTI
Bruno Di Pietro, Creazione 2009 (particolare)
EVENTI
STELLA D’ITALIA
L’AQUILA
Stella d’Italia. Un cammino a piedi per ricucire l’Italia con i nostri passi
Da maggio a luglio 2012: Cinque strade, cinque
gruppi di camminatori raggiungeranno l’Aquila a
piedi da diversi luoghi dell’Italia.
L’Associazione culturale “Il primo amore” –
www.ilprimoamore.com – organizza “Stella d’Italia”:
un grande spostamento a piedi, di menti e di corpi,
che partirà da diverse zone geografiche del nostro
Paese: dal nord, dal centro e dal sud, con percorsi che
assumeranno la forma dei bracci di una stella e che
convergeranno su L’Aquila. Città che, oltre a trovarsi
in una posizione centrale nel nostro Paese, rappresenta anche il nostro bisogno e desiderio di ricostruzione.
L’idea è dello scrittore Antonio Moresco e l’obiettivo è
quello di “far vivere tutta la forza antica e nuova del
nostro Paese per una ricostruzione della nostra vita su
basi nuove”. Il cammino, patrocinato anche dall’ANCI, muoverà da Messina, da Reggio Calabria, da
Venezia, da Genova, da Santa Maria di Leuca e da
Roma secondo un preciso calendario che prevede una
marcia distribuita su circa 60 giorni tra la primavera e l’estate 2012. Questa impresa fa seguito al precedente “Cammina cammina: un viaggio a piedi da
Milano a Napoli” nell’ambito delle celebrazioni per i
150 anni del’Unità d’Italia. Si parte: l’11 maggio da
Messina, il 12 da Reggio Calabria, il 25 da Venezia,
il 27 da Genova, il 2 giugno da Santa Maria di
Leuca, il 30 da Roma.
Serena Gaudino
Per informazioni e iscrizioni:
http://camminacammina.wordpress.com
MOSTRE
Carlo Zauli, Vasi sconvolti
SONEMI & SONOTIPIE
PESCARA
Sonemi & Sonotipie
Dall’espressione sonora all’originale musicale
Museo Casa Natale di Gabriele d’Annunzio
Corso Manthonè 116 - 65127 Pescara - PE (Italia)
www.casadannunzio.beniculturali.it
Tel. 085 - 60391 / Fax 085 - 4503590
dal 14 Aprile al 14 Maggio 2012
Le Sonotipie sono espressioni sonore estemporanee
che attingono al repertorio classico strutture, forme,
sviluppi melodico-armonici e modalità interpretative
nel rispetto della tradizione e nella naturale e coerente evoluzione storica legata al corpus letterario occidentale. Si tratta di un nuovo percorso di ricerca, frutto di un serio e costante lavoro durato oltre venti anni,
che utilizza modalità e tecniche mutuate dal mondo
della letteratura, della poesia e della grafica, realizzando inediti elaborati musicali in forma di opere uniche originali o multipli firmati e numerati. Le sonografie, partiture grafiche ad esatta rappresentazione,
permettono di coglierne l’insieme strutturale rivelando allo stesso tempo le complesse architetture, in
stretta simbiosi, ma senza alcuna dipendenza né alcuna necessità o volontà di supporto o commento reciproco. Il legame superiore che ne presiede l’intelligibilità fornendone le chiavi di lettura è la forma, e l’interpretazione dei contenuti ne costituisce la sostanza.
Piero T. de Berardinis (1954), pianista e compositore,
laureato in Musicologia, si occupa da oltre trent’anni
di ricerca musicale. Da sempre appassionato di arte
contemporanea e affascinato dalla geometria razionale dei dipinti di Vassily Kandinsky, ha applicato le
teorie formali del pittore russo allo sviluppo delle partiture grafiche (sonografie) che integrano e visualizzano la struttura complessa delle sonotipie, opere uniche
musicali.
L’ACQUA È IL SANGUE
DELLA TERRA
GLI ANNI SETTANTA E
CARLO ZAULI
GENERI / ARTEKNE
2012
POPOLI
MILANO / FAENZA (RA)
CASTELMEZZANO (PZ)
“L’acqua per la vita” è il titolo della mostra, presso il
M.U.S.P. in Contrada Capo Pescara, dove vengono
esposte le fotografie vincitrici dell’omonimo concorso
voluto dalla Riserva Naturale Regionale “Sorgenti del
Pescara” di Popoli in collaborazione con l’Istituto
Abruzzese per le Aree Protette WWF e l’Associazione
Aternum Fotoamatori Abruzzesi, con l’intervento
delle Autorità e della dott.ssa Pierlisa Di Felice, Direttrice della Riserva.
La mostra fa parte di una serie di iniziative del Progetto R, promosse nell’ambito della progettazione
straordinaria “Emergenza Abruzzo”: iniziative che
prevedevano anche un incontro informativo sull’importanza dell’acqua e del sangue, perché “L’acqua è il
sangue della Terra”; un incontro rivolto ai ragazzi
delle scuole medie e che ha visto intervenire il dottor
Silvino Marino, responsabile del Centro Trasfusionale
di Popoli, e Corrado Di Sante, uno dei collaboratori
del Progetto R.
Altra iniziativa è il corso, completamente gratuito, per
accompagnatori di disabili in joelettes, speciali carrozzelle da fuori-strada che permettono ai disabili di
poter partecipare a visite guidate lungo i sentieri naturalistici. Il corso è organizzato dall’associazione “Il
Cammino Possibile” è stato tenuto dal dott. Leonardo Paleari, nel punto informativo Oasi WWF Sorgenti del Pescara nelle giornate del 28 e 29 aprile.
Sara Cavallo
Storia come Natura: gli anni Settanta e Carlo Zauli
Un ciclo di incontri a cura di Christian Caliandro
Galleria Bianconi, Milano - Museo Carlo Zauli, Faenza
maggio – settembre 2012
Da un’idea di Christian Caliandro nasce il ciclo di incontri
“Storia come natura: gli anni Settanta e Carlo Zauli”, realizzato in collaborazione tra il Museo Carlo Zauli e la Galleria Bianconi di Milano. Il progetto è tra le
iniziative che accompagnano la ricorrenza del decennale
della scomparsa dell’artista, tra i più importanti scultori italiani del Novecento, e della nascita del Museo a lui
dedicato a Faenza.
Punto di partenza, uno studio sui “Vasi Sconvolti” che Zauli inizia nel 1976. Mentre l’Italia attraversa una mutazione
traumatica, gli “Sconvolti” testimoniano la volontà dell’artista di esprimere tutta la portata del capovolgimento di una società. Spiega Caliandro, “gli anni Settanta sono
il decennio della recente storia italiana che più è stato oggetto di rimozione storica […] e sono così diventati, nel
corso degli ultimi trent’anni, una sorta di buco nero in grado di risucchiare gran parte delle produzioni creative di
quell’epoca, e anche un’idea di identità collettiva”. Per
recuperare questo filo interrotto, gli incontri formano un
percorso tra storia, letteratura, arte, cinema, musica e società in cui si alternano le voci di protagonisti di quegli
anni e della riflessione contemporanea su di essi.
Dopo l’introduzione con lo scrittore Antonio Scurati e il
saggista Massimiliano Panarari, alla Galleria Bianconi di Milano, il secondo appuntamento è il 5 giugno con
gli scrittori Marcello Fois e Alberto Masala, moderati da
Christian Caliandro, per Letteratura. Ricostruzioni narrative. (Sala Oriani, Ex Convento di San Francesco, Bagnacavallo - RA).
Emanazione di ARTEKNE 2012- art business & exhibition forum è Il progetto espositivo a cura di Lucia Spadano, frutto della selezione di quattro artisti emergenti scelti tra i progetti presentati dalle gallerie partecipanti
alla scorsa edizione della fiera ARTEKNE 2011.
Gli artisti selezionati sono: Mimmo Di Dio (Il ritrovo di
Rob Shazar, Sant’Agata dei Goti), Armando Fanelli (Galleria Marconi, Cupra Marittima), Mimmo Rubino
(Associazione Zoe, Potenza), Giulio Telarico (Vertigo Arte,
Cosenza). Il titolo della mostra – GENERI - rimanda
al termine di “genere” come concetto afferente la costruzione delle rappresentazioni sociali e delle identità
di genere ed è utilizzato per descrivere il genere in cui
una persona s’identifica (cioè, se si percepisce uomo, donna, o in qualcosa di diverso da queste due polarità). Tuttavia il concetto nel tempo si è arricchito assumendo il
significato di politiche a tutela dei diritti fondamentali connesse anche ad altri fattori di rischio-discriminazione. Ma il genere può essere anche una delle tradizionali
divisioni delle forme artistiche in varie tipologie, in base
a criteri di quella particolare forma (il genere religioso,
mitologico, storico, allegorico, il ritratto, il paesaggio, la
natura morta, …)
Da questa ambivalenza del termine il progetto espositivo GENERI parte per strutturare una mostra tesa ad
un’interpretazione del termine e dei duplici preziosi spunti teorici che ne derivano, messi in relazione con la produzione artistica più attuale e con i processi sociali contemporanei, cercando nuove modulazioni semiotiche,
formali, concettuali.
Generi, a cura di Lucia Spadano
Palazzo Coiro / Castelmezzano, PZ
28 aprile > 15 maggio, ingresso libero
Info: 0971/52662 - [email protected]
www.artekne.com
Info: [email protected]
Info: 02 91767926 - www.galleriabianconi.com;
0546 22123 - www.museozauli.it
R E R I A L A F E LT R I N E L L I ( V I A D E ' C E R R E TA N I , 3 0 / 3 2 R - F I R E N Z E ) / G I U L I A N O V A : L I B R E R I A L A N U O VA E D I T R I C E ( V I A N . S A U R O , 3 5 - G I U -
MU27