il cavaliere pallido

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il cavaliere pallido
STEPHEN HUNTER
Un invito alla lettura
I L C AVA L I E R E
PA L L I D O
LONGANESI
M I L A N O
&
C.
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A metà del 1947 Jefferson Barnes, pubblico ministero della contea di Polk, in Arkansas, perse la vita. In seguito a quella tragedia
– il vecchio cadde da uno di quei nuovi golf cart durante una vacanza a Hot Springs, rotolò per un burrone imprecando per tutta la caduta e si ruppe il collo su una tubatura – Sam Vincent, il
suo fido vice, fece il grande passo. L’anno seguente, il ’48, Sam fu
reclutato dal partito democratico (non ne esistevano altri nell’Arkansas occidentale), che lo inserì nella stessa lista di Harry S.
Truman e Fred C. Becker. Come quei due illustri signori, anche
lui vinse di larga misura. Per Sam rappresentava la meta cui ambiva da molti anni. Aveva sempre desiderato servire la Legge e
adesso, meglio ancora, lui era la Legge.
Sam era alto un metro e ottantasei, aveva quarantaquattro anni, una folta massa di capelli e un comportamento austero che
per anni non sarebbe stato definito « amabile ». Fissava le persone in un modo che rasentava l’indiscrezione e non tollerava gli
stupidi, gli idioti, quasi tutti quelli del Nord, gli avventurieri della politica, i poveri di spirito e chi infrangeva volentieri la legge.
Indossava abiti cascanti sporchi di cenere di pipa, occhiali dalla
montatura spessa, e aveva un’andatura dinoccolata. In autunno
andava a caccia; in estate quando aveva tempo – e non accadeva
quasi mai – seguiva i St. Louis Browns e, quelle rare volte che si
concedeva una giornata di pesca, lo faceva con la mosca. Per il
resto del suo tempo si dedicava al lavoro con una dedizione maniacale. Nutriva la classica insana passione dell’uomo americano
in carriera, quella di porre la vita professionale al di sopra di
quella personale tanto che quella personale non esisteva e, nel
farlo, allontanava moglie e figli con la propria indifferenza, esasperava le segretarie con le sue richieste, irritava i sottoposti con
continue pretese di efficienza. Nel poco tempo libero che gli ri-
maneva, lavorava per la commissione di leva (si era guadagnato
la Stella di Bronzo durante l’offensiva delle Ardenne), viaggiava
in cinque Stati per scrutinare i promettenti diplomati alle scuole
superiori che avevano presentato domanda alla sua beneamata
Princeton, una volta alla settimana giocava a golf al country club
con i pezzi grossi della contea e beveva troppo bourbon invecchiato otto anni. Conosceva tutti ed era rispettato da tutti. Era
un grand’uomo, un grande americano. Aveva ottenuto il numero
di condanne più alto di qualsiasi pubblico ministero di contea
dell’Arkansas, dell’Oklahoma, del Missouri e, se è per quello,
anche del Tennessee.
Non fu rieletto. Per dirla tutta, subì una schiacciante sconfitta
da parte di una nullità di avvocato di nome Febus Bookins, uno
scaltro politicante da quattro soldi che puzzava sempre di gin e il
cui unico scopo era quello di derubare a man bassa la contea nel
corso del proprio mandato. Si definiva un riformista e, in effetti,
era sua intenzione riformare il proprio conto in banca per renderlo più rispettabile.
Sam aveva commesso un solo errore, ma uno di quelli la cui
gravità pochi nel suo Stato natale – e in verità non molti in qualunque altro luogo – potevano ignorare. Nel 1949 aveva sostenuto l’accusa contro un uomo di nome Willis Beaudine per lo stupro di una giovane di nome Nadine Johnson. Si sarebbe trattato
di un caso irrilevante se Willis non fosse stato bianco e Nadine
nera. È vero, lei era una ragazza piuttosto « facile », qualcuno l’avrebbe definita una « gatta in calore », si comportava in modo
provocante e, forse, non era tanto innocente come sembrava
quando comparve di fronte alla corte. Ma i fatti erano fatti, e la
legge era legge. Alcuni indizi erano stati raccolti dall’ex investigatore di Sam, Earl Swagger, adesso sergente di polizia, celebre
per la prestigiosa medaglia che aveva ottenuto in guerra. Earl, in
ogni caso, non rischiava nulla a testimoniare contro Willis, perché era noto che Earl era un uomo orgoglioso e testardo, impossibile da controllare e temuto da molti. Sam, dal canto suo, rischiava tutto, così perse tutto, anche se Willis fu condannato e
trascorse sei mesi nella prigione nota come « Fattoria Tucker ».
Quanto a Nadine, si vide costretta a lasciare la città perché anche
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nella sua comunità era ormai considerata quella che le donne nere definiscono ’ho, una puttana, e si trasferì a St. Louis, dove presto le sue inclinazioni la portarono a perdere la vita in un caso
privo d’interesse per chiunque.
Sam incassò amaramente la sconfitta. Se la sua famiglia pensava che l’avrebbe visto più spesso, si sbagliava di grosso. Invece di
ritirarsi, Sam affittò un piccolo ufficio sulla piazza principale di
Blue Eye, al centro della contea, e cominciò a trascorrere la maggior parte dei giorni e delle notti chiuso lì dentro. Lavorava ai
pochi casi che gli capitavano ma, soprattutto, studiava una strategia che gli avrebbe consentito di ottenere un altro mandato.
Andava ancora a caccia con Earl. Era amico anche di Connie
Longacre, una donna dell’Est di un’intelligenza brillante che
aveva strappato il rampollo più insignificante e facoltoso della
contea alla sua formazione ad Annapolis nel ’30 e, successivamente, alla carriera fallita in marina. Connie aveva capito subito
quanto il suo Rance fosse ambizioso e, mentre cercava di tirar su
quello scavezzacollo del figlio Stephen, aveva stretto amicizia
con Sam, l’unico in quella zona dell’Arkansas ad aver assistito a
una rappresentazione a Broadway, a essersi incontrato con una
donna sotto l’orologio del Biltmore e a non credere che il vicepresidente Henry Wallace fosse una pedina del Cremlino.
Sam non era mai stato uno sciocco, neppure per un giorno della sua vita. E aveva ben chiaro in mente che, per prima cosa, doveva riguadagnarsi la fiducia dei bianchi. Ecco perché rifiutava
categoricamente di accettare casi in cui fossero coinvolti dei neri,
anche se si trattava di un nero che ne citava un altro. C’era un avvocato nero in città, un certo Theopolis Simmons, e di quelle faccende poteva occuparsi lui; nel frattempo, Sam lavorava sodo,
s’impegnava in politica in maniera aggressiva, teneva gli occhi
aperti, cercava d’ingraziarsi la gente che lo aveva cortesemente
deposto e tentava di non perdere di vista il suo obiettivo.
Poi, nel giugno del 1951, successe un evento insolito, benché
nulla quel giorno, tantomeno il giorno o la settimana precedente,
avesse lasciato presagire che sarebbe accaduto. Sam era in ufficio
da solo e lavorava sui documenti relativi alla successione di un
agricoltore di nome Lewis, morto senza aver redatto un testa-
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mento, e la cui proprietà era stata reclamata dallo Stato per una
faccenda di tasse arretrate, il che avrebbe portato la vedova e i
quattro figli a essere cacciati dalla loro casa con la prospettiva
di... insomma, del nulla. Sam non avrebbe lasciato che ciò accadesse, se solo fosse riuscito a trovare il modo di...
Sentì la porta aprirsi. Quando lavorava per la contea disponeva di una segretaria; adesso che lavorava in proprio, doveva cavarsela da solo. Si alzò, attraversò la fitta nebbia di fumo e aprì la
porta per sbirciare nell’anticamera. Sul divanetto era seduto un
uomo elegante che scorreva distrattamente le pagine di una vecchia copia di Look.
« Ha un appuntamento, signore? » domandò Sam.
L’uomo alzò lo sguardo.
Era leggermente abbronzato, quasi fosse tornato da una costosa vacanza al mare, stempiato, e sembrava tenersi bene; dimostrava un’età che poteva andare dai trenta ai cinquant’anni. Era
di sicuro facoltoso, come lasciavano intuire l’abito gessato blu di
ottimo taglio, la camicia color crema e la cravatta nera dell’uomo
distinto. Sulla poltrona accanto a lui era posato un cappello di
feltro grigio perla; le sue scarpe erano delle Blucher nere con la
mascherina, probabilmente fatte su misura, e le calze erano impreziosite da un disegno di fiorellini o baghette. Sam notò che le
scarpe erano state lucidate fino alla suola, segno che l’uomo si
era affidato a un professionista in una stazione ferroviaria, nella
hall di un albergo o presso un barbiere.
« A essere sinceri, no, signor Vincent. Ma sarei lieto di fissarne
uno o, se preferisce, l’attenderò finché non avrà tempo per ricevermi. »
« Mi faccia pensare », disse Sam. Sapeva riconoscere l’odore
del denaro. « Al momento sono oberato di casi, signor... »
« Trugood. »
« Signor Trugood. Può attendere qualche minuto mentre sistemo la scrivania? »
« Faccia con comodo. Non era mia intenzione interromperla. »
Sam tornò nell’ufficio. Radunò di corsa i documenti di Lewis,
li infilò in una cartellina e la ripose in un cassetto. La scrivania era
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un disastro; la sistemò alla bell’e meglio e ciò significava che,
quando quell’uomo se ne fosse andato, lui avrebbe dovuto rimetterla in disordine. Ma Sam aveva bisogno di un onorario, non
aveva problemi ad ammetterlo, visto che i ritorni economici per
assistere i poveri Lewis, o Jennings, Jones, Smith, Beaupré, Deacon, Huston e compagnia erano di là da venire. Quando fu più o
meno pronto, estrasse dall’armadietto un nuovo blocco di carta
legale gialla e vi scrisse sopra Trugood con la data del giorno.
Quindi aprì la porta.
« Prego, ora può accomodarsi. »
« Grazie, signor Vincent. »
Trugood si alzò con eleganza, gli sorrise, camminò verso la
porta fingendo di non notare il disordine, la confusione, i documenti sparsi alla rinfusa, la testa di cervo divorata dalle falene e
neppure la nube di fumo di pipa di radica che aleggiava, quasi
solidificata, a mezz’aria.
Sam lo precedette nella stanza, gli fece cenno di sedersi e,
mentre si avvicinava alla scrivania per prendere posto sulla poltrona, osservò l’uomo posare un biglietto da visita di fronte a sé.
« Allora lei è un collega », notò Sam.
« Esatto », ribatté l’altro. Il biglietto lo presentava come il signor Davis Trugood, dello studio legale Mosely, Vacannes &
Destin, 777 North Michigan Avenue, Chicago, Illinois, Hillcrest
3080.
« Signor Trugood, sono al suo servizio. »
« La ringrazio, signor Vincent. Devo ammettere che ho sentito molto parlare di lei, e ho fatto altrettanta fatica a trovarla. »
« Sono sempre stato qui, signore. Non sapevo che la mia fama
avesse varcato i confini del nostro piccolo e sconosciuto Stato. E
mai avrei immaginato che avesse raggiunto una città grande e sofisticata come Chicago. »
« A essere sinceri, non si è spinta così lontano. Ma si è diffusa
in tutto il Sud o, per meglio dire, in un certo Sud. »
« E a quale Sud si riferisce, signore? »
« Al Sud abitato dalla nostra popolazione di colore, signore. I
nostri neri. Si dice che lei sia uno dei pochi avvocati bianchi a comportarsi con giustizia nei confronti degli uomini di razza nera. »
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« Signor Trugood », ribatté Sam, colto alla sprovvista, « se con
questo intendono dire che come pubblico ministero ho applicato la legge in ugual modo contro neri e bianchi, allora non sbagliano. Credo nella legge. Ma non salti troppo rapidamente alle
conclusioni. Non sono quello che potrebbe definirsi un ’difensore della razza’. Non sono un eroe dei neri, e non ho intenzione di
esserlo. Ritengo che la Storia abbia servito una mano di carte
sfortunata ai nostri neri americani, come a molti altri, del resto.
Ma sono anche persuaso che a questa mano sfortunata occorra
rimediare gradualmente. Non ho intenzione di scardinare tutto a
causa di dubbi sentimenti morali, poiché farebbe rivoltare la mia
razza contro di me, scatenerebbe la violenza dei molti bianchi
amareggiati del Sud contro i poveri neri, e potrebbe solo condurre alla rovina ovunque. Pertanto, signor Trugood, se lei ha
pensato che io possa guidare una crociata, cambiare o infrangere
la legge, lanciare il guanto della sfida, bruciare un granaio, cantare un inno o cose di questo genere, allora devo deluderla, perché
io non sono l’uomo che cerca. »
« Signor Vincent, la ringrazio per la franchezza. Devo ammettere che la maggior parte degli avvocati del Sud preferisce parlare in codice e, per riuscire a decifrarlo, occorre aver frequentato
o l’Ole Miss, il vecchio Mississippi, o l’Alabama. Almeno lei, signore, ha parlato senza mezzi termini. »
« La cosa mi fa molto piacere. Probabilmente è frutto della
formazione ricevuta nell’Est. »
« Ottimo, signor Vincent. Arrivo al punto, mi occorre un rappresentante che raggiunga una certa città nel profondo Sud e
svolga delle indagini private per me. L’uomo di cui ho bisogno
dev’essere estremamente intelligente, dotato di discreto fascino,
ostinato come un mulo e di assoluta onestà. Deve essere in un
certo senso coraggioso o, almeno, uno che non si spaventi di
fronte a dimostrazioni di palese ostilità. Deve pure sentirsi a proprio agio in mezzo a gente di sangue diverso, bianchi e neri. E
anche in mezzo a un certo tipo di rappresentanti delle forze dell’ordine, quelli che non ci pensano due volte ad alzare le mani
contro qualcuno che gli parla in modo civile. L’onorario per questo servizio, la cui durata sarà probabilmente di una settimana,
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sarà piuttosto alto, vista la complessità degli aspetti diplomatici
della questione. Suppongo che lei non abbia nessuna obiezione
etica di fronte a un cospicuo onorario, signor Vincent. »
« Cospicuo onorario. Di rado nella mia carriera ho sentito
queste due parole nella stessa frase. Continui, signor Trugood.
Ha tutta la mia attenzione, non mi distrarrò neppure un istante. »
« La ringrazio. Sono stato incaricato di omologare il testamento di una persona piuttosto facoltosa di Chicago, ora defunta.
Per molti anni ha avuto alle proprie dipendenze un nero di nome
Lincoln Tilson. »
Sam scrisse sul suo voluminoso blocco di carta gialla: Nero,
Lincoln Tilson.
« Lincoln era il fido custode delle proprietà del mio cliente,
una sorta di tuttofare – guardia del corpo, giardiniere, autista –,
dotato di un carattere gioviale con cui ha sempre rallegrato il suo
datore di lavoro, un uomo che ha portato avanti una carriera di
grande successo negli affari e di una certa notorietà. »
« La seguo, signor Trugood. »
« Cinque anni fa, Lincoln è andato in pensione. Il mio cliente
lo ha liquidato con una somma, diciamo, considerevole, e gli ha
detto addio. Lo ha persino accompagnato al capolinea ferroviario della Illinois Central per prendere il City of New Orleans e
compiere a ritroso il cammino lungo il quale era giunto al Nord
molti anni prima, poiché il desiderio di Lincoln era quello di tornare alla vita semplice del Sud in cui era venuto alla luce. Lincoln si è trasferito nella propria città natale, una città chiamata
Tebe, nella contea di Tebe, Mississippi. »
Sam prese nota e commentò: « Si tratta della parte più profonda del profondo Sud, mi pare ».
« Esatto, signor Vincent. »
A Sam la parola « Tebe » suonava familiare. Ricordò che la Tebe originaria era una città greca, per la quale si era combattuto
strenuamente nell’antichità. Per qualche ragione gli venne in
mente anche il numero « sette ».
« Leggo qualche perplessità nei suoi occhi, signore », osservò
Trugood. « Lei è una persona istruita e, senza dubbio, sta pensando ai Sette contro Tebe del greco Eschilo. Le assicuro che, in
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questo caso, non è necessario un esercito condotto da sette uomini. La Tebe del Mississippi è assai diversa dalla città della
guerra descritta da Eschilo nella sua tragedia. È una remota città
di neri sul fiume Yaxahatchee, un affluente del Pascagoula. E
ospita una famosa, o forse famigerata, colonia penale per detenuti neri chiamata ’Fattoria di Tebe’. »
« Ma certo », esclamò Sam. « È leggendaria fra i criminali neri
con cui, come pubblico ministero, ho avuto molto a che fare.
’Alla larga da Tebe’, dicono, ’perché da Tebe non si torna più.’ O
qualcosa del genere. »
« Sembra quasi che, nella loro semplicità, la confondano con
l’Ade. Ma hanno ragione, Tebe non è un luogo piacevole. Alla
larga da Tebe. »
« Eppure lei vuole che io ci vada. È questa la ragione del cospicuo onorario? »
« Per prima cosa, è difficile raggiungerla. Deve affittare una
barca a Pascagoula, e la traversata sul fiume è sgradevole. Quel
fiume, per quel che ne so, è scuro e profondo, e la palude che lo
circonda inospitale. Solo una strada conduceva a Tebe, tagliando
per quella palude proibitiva, ma si è allagata qualche anno fa e la
contea di Tebe, una contea non esattamente ricca di mezzi, deve
ancora disporne il ripristino. »
« Capisco. »
« E gli alloggi sarebbero primitivi. »
« Nell’ultimo conflitto in Europa ho dormito più volte in un
tugurio, signor Trugood. Posso dormirci di nuovo; non mi farà
male. »
« Eccellente. Ora giungerò al punto. Il patrimonio del mio
cliente, che definirei ’considerevole’, è bloccato poiché il signor
Lincoln Tilson sembra essere scomparso. Ho tentato di mettermi
in contatto con le autorità della contea di Tebe, ma con scarsi risultati. Non riesco a parlare al telefono con nessuno se non con
dei sempliciotti, sempre che il loro apparecchio funzioni, cosa
che accade solo a intermittenza. Le mie lettere non hanno avuto
risposta. Il destino di Lincoln è sconosciuto e di conseguenza
una cospicua somma di denaro è bloccata, amara delusione per
gli eredi avidi e indegni del mio cliente. »
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« Capisco. Il mio compito è quello di trovare Lincoln o la prova che è defunto. Qualcosa che documenti la sua morte. »
« Esatto. E ottenerlo dalla gente omertosa del Sud con la bocca cucita. In realtà, mi occorre qualcuno che parli quella lingua,
o piuttosto che abbia il loro accento. Nella mia voce avvertirebbero l’inflessione di Chicago, e la loro faccia si farebbe di pietra.
Gli occhi perderebbero luminosità. Il loro udito svanirebbe. Manifesterebbero all’istante una regressione al Neolitico. »
« Forse sì, ma la gente del Sud è fatta anche di persone giuste
e oneste e, se voi nordisti non li guardaste con la vostra aria di superiorità e vi fermaste invece ad ascoltare e a capire la loro cadenza rallentata, vi ricompenserebbero con la loro amicizia. Mi
sembra di capire che esiste un altro genere di impedimento. »
« In effetti, sì. » Fece cenno al suo abito, alle scarpe eleganti,
alla cravatta inglese. I gemelli d’oro con un piccolo zaffiro costavano, con ogni probabilità, più di quanto Sam avesse raggranellato negli ultimi sei mesi. « Sono un uomo distinto e in certe zone
del Sud, diciamo ad esempio Tebe, la mia raffinatezza non passerebbe inosservata. »
« Ha dei modi eccentrici, è vero. Ma sono quelli dell’uomo di
mondo. »
« Temo che sia esattamente questo che potrebbe irritarli. E, se
devo dirla tutta, non sono un uomo coraggioso. Sono un tipo da
scrivania. Il battibecco, la disputa, il conflitto di volontà: tutto
ciò non è tanto il mio genere, temo. Un uomo di buon senso è
consapevole dei propri limiti. Fin da ragazzo non sono mai stato
manesco e non mi sono mai piaciute le dimostrazioni di forza. »
« Capisco. »
« Ecco perché intendo acquistare il suo coraggio, oltre al suo
cervello. »
« Lei mi sopravvaluta. Io sono un uomo come tanti. »
« Un eroe decorato nell’ultima guerra. »
« In guerra erano quasi tutti eroi. Ho visto del coraggio autentico; se mai l’ho avuto, il mio era ordinario. »
« Sono sicuro di aver fatto un’ottima scelta. »
« Se lo dice lei, signor Trugood. »
« La ringrazio, signor Vincent. Ecco l’onorario cui avevo pen-
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sato. » Scrisse qualcosa sul retro del biglietto da visita e lo spinse
in avanti. Sam rimase senza fiato.
« Sembra che mi stia inviando come suo campione all’inferno », osservò Sam. « Ma mi paga bene per la lotta. »
« Si guadagnerà ogni centesimo, gliel’assicuro. »
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Ci volle qualche giorno perché Sam depositasse l’acconto in banca, riorganizzasse i propri piani, prenotasse un posto sul treno
City of New Orleans e trascorresse un pomeriggio alla biblioteca
municipale di Fort Smith per documentarsi su Tebe e sulla colonia penale. Quel che apprese lo sconvolse.
La sera precedente la partenza si decise ad affrontare l’inquietudine dei propri pensieri. Alla fine, salì sull’auto e viaggiò per
dodici miglia verso ovest lungo l’Arkansas Route 8, diretto alla
piccola cittadina di Board Camp; dalla statale svoltò a sinistra e
percorse mezzo miglio di strada dissestata alla volta di un’immensa casa bianca in cima a una collina, che dominava la proprietà. La casa padronale era dipinta di fresco così come il vicino
granaio, e qualcuno aveva curato scrupolosamente il giardino;
era giugno, e il luogo era un tripudio dei fiori scelti per prosperare nel torrido sole dell’Arkansas. Sui prati in lontananza pascolavano delle mucche, ma quasi tutta la proprietà consisteva di boschi, dove in autunno Sam e il proprietario andavano a caccia di
cervi, se non si spingevano più lontano.
Sam parcheggiò nei pressi della casa, consapevole che qualcuno lo stava osservando. Era il figlioletto di Earl, Bob Lee, di quasi cinque anni. Bob Lee era un bambino serio e all’occorrenza
aveva il dono dell’immobilità. Era un ottimo osservatore, quel
bambino. Aveva già partecipato a qualche battuta di caccia con
loro e possedeva un certo talento per gli sport che prevedevano
lo spargimento di sangue, nonché l’abilità di comprendere la natura del terreno, di decifrare il gioco di luci e ombre nei boschi e
di fiutare i cambiamenti climatici nel vento, anche se ci sarebbe
voluto ancora qualche anno prima che potesse sparare. Eppure,
a caccia era una presenza posata, non un bambino irrequieto. In
qualità di suo padrino, Sam si era ripromesso di lanciarlo nel
mondo professionale; Earl era stato adamantino sul fatto che il
figlio avrebbe avuto una vita migliore della sua e che non sarebbe diventato un marine senza meta, uno che riusciva a sopravvivere per miracolo sui campi di battaglia, un assassino, com’era
stato lui. Earl voleva qualcosa di più per il suo unico figlio, una
laurea in legge o in medicina e, grazie alla sua forza di volontà,
quando riteneva che qualcosa fosse importante riusciva a far sì
che si realizzasse.
« Come stai, Bob Lee? » gridò Sam.
« Signor Sam, signor Sam », esclamò il bambino seduto nel
portico, da dove osservava la tenuta al tramonto.
« Tuo padre è ancora in servizio, vedo. Tornerà? »
« Non lo so. Papà va e viene, lo sa. »
« Sì, lo so. Come faccia tuo padre a lavorare tanto non lo capirò mai, e con un figlio così pigro che se ne sta sempre seduto lì
come un ranocchio su un ceppo. »
« Sto memorizzando. »
« Non mi sorprende. Immagino che tu stia memorizzando il
terreno. Gli uccelli. Il cielo e le nubi. »
« Qualcosa del genere. »
« Sei intelligente. Hai ereditato tutto il cervello della famiglia,
ne sono sicuro. Diventerai molto ricco. La mamma è in casa? »
« Sì, signor Sam. La chiamo subito. »
Il bambino corse via e Sam rimase ad aspettare. Sarebbe potuto entrare da solo, era di casa dagli Swagger. Ma il suo stato
d’animo lo spinse in qualche modo a restare lì, fermo e vigile.
Junie Swagger uscì. Dio, quanto era ancora bella! Ma Junie
era... insomma, chi poteva dirlo? Si diceva che il parto fosse stato
una prova terribile per lei, e Earl non era lì ad assisterla, almeno
non all’inizio, sicché quella povera ragazza aveva dovuto affrontare quindici ore di travaglio da sola. E si diceva pure che non
fosse mai tornata quella di prima. In un certo senso era sempre
distante, come se non sentisse ciò che le si diceva. La sua più
grande gioia erano quegli stramaledetti fiori, e trascorreva ore e
ore nel caldo più torrido a seminare, coltivare e annaffiare. Si diceva infine che non avrebbe avuto altri figli.
Si fermò a poca distanza da lui.
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« Salve, signor Sam. Si accomodi in casa. »
« Grazie molte, Junie, ma non voglio crearle disturbo. Desideravo solo fare quattro chiacchiere con Earl. Non deve considerarla una visita e non c’è necessità di scomodarsi. »
« Oh, non dica sciocchezze. Si sieda, e le porterò un bel bicchiere di limonata. E insisto che si trattenga a cena. »
« No, grazie. Non posso. Sto per partire per New Orleans in
viaggio d’affari. Domani devo guidare fino a Memphis per prendere il treno. »
« Lo sa, signor Sam, a volte Earl è così occupato che rientra
solo a tarda sera. »
« Sì, lo so. È vergognoso che dopo tutto quello che ha passato
non riesca a concedersi un’esistenza tranquilla. »
Per un istante Junie non parlò, ma il suo viso divenne sorprendentemente intenso, come se si fosse accesa una scintilla. Poi disse: « Temo che abbia qualche pensiero che lo preoccupa. So che
Earl è turbato per la situazione in Corea. Temo che si sia convinto di dover andare a combattere un’altra guerra. Ne ha combattute abbastanza. Ma lo vedo malinconico. È nella sua natura andare dove si spara, con l’idea di portare aiuto ma, forse, anche
con propositi più oscuri ».
« Sono d’accordo con lei, Junie, Earl è un uomo nato per la
guerra. Ma credo pure che questa la combatterà seduto all’ombra del suo portico. Soffre ancora per le ferite, e di sicuro non
vuole rinunciare a questa casa e alle cose meravigliose che lei fa
per lui e per il bambino. »
« Oh, signor Sam, a volte lei è un tale adulatore. Non credo a
una parola di quello che dice, non ci ho mai creduto e mai ci crederò. » Scoppiò a ridere e il suo viso s’illuminò. « Ora si accomodi, prima o poi Earl tornerà, quando deciderà di aver finito. Le
porterò quella limonata e non voglio sentire una parola. »
Così Sam si sedette a guardare il tramonto. Sarebbe potuto rimanere lì tutta la sera, ma quel giorno Earl aveva deciso di tornare a casa in anticipo e, qualche minuto più tardi, Sam vide l’auto
bianca e nera della pattuglia autostradale dell’Arkansas imboccare il vialetto sollevando dietro di sé una cortina di polvere.
Da anni Earl aveva intenzione di asfaltare quella strada, o al-
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meno di cospargerla di ghiaia, ma non poteva permetterselo.
Sam si era offerto di anticipargli il denaro ma, come sempre, Earl
era ostinato e non voleva debiti sulla coscienza, né tantomeno lasciarli ai propri eredi qualora la sua malinconica consapevolezza
riguardo la vera natura del mondo avesse preso il sopravvento su
di lui e l’avessero ritrovato con un colpo in testa in un campo desolato.
Earl scese dall’auto con un sorriso, perché aveva visto Sam da
lontano. Adorava tre cose al mondo: la propria famiglia, il corpo
dei marine degli Stati Uniti d’America e Sam.
« Signor Sam, perché non mi ha avvertito che sarebbe venuto? Junie, porta a quest’uomo qualcosa di più forte di una limonata e apparecchia un posto in più. »
Earl s’incamminò dall’auto al portico. Era un uomo robusto,
alto più di un metro e ottanta e, dopo tutti quegli anni, era ancora abbronzato dal sole del Pacifico, tanto che qualcuno avrebbe
potuto scambiarlo per un indiano. Aveva una voce tonante, solenne, che tutti nella contea conoscevano, e i suoi capelli folti e
ispidi – adesso si era tolto lo Stetson – cominciavano a ingrigirsi.
Aveva trentasei anni e il suo corpo era un reticolato di ferite e suture improvvisate sul campo di battaglia. Era stato ricucito molte
volte e più che un essere umano era una trama di cicatrici, a testimonianza del fatto che un paio di guerre potevano incidere il loro ricordo sulla carne degli uomini. Aveva mani possenti e muscoli tonici per il duro lavoro alla fattoria nei week-end, ma aveva ancora in viso la stessa calma che ispirava gli uomini in battaglia o terrorizzava i criminali. Aveva l’aspetto di chi sapeva il fatto suo. E lui lo sapeva.
« Dice che non vuole trattenersi », gridò Junie dall’interno.
« Dio solo sa quanto ho insistito perché rimanesse. Legalo a una
sedia e tutto sarà sistemato. »
« Bob Lee sarebbe deluso se stasera il vecchio Sam non gli leggesse una favola », disse semplicemente Swagger.
« D’accordo, Earl, resterò per leggergli la favola. » Con la sua
voce stentorea da tribunale, Sam sapeva rendere una favola più
emozionante della radio. « E vorrei tanto che fosse una semplice
visita di piacere. Ma devo discutere di una faccenda con te. »
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« Oh, Dio. Mi sono cacciato in qualche guaio? »
« No, Earl. Ma forse ci sono finito io. »
Era una specie di inversione di ruoli. Per qualche inspiegabile
motivo, Sam era divenuto una sorta di padre per Earl, visto che il
suo si era rivelato una delusione e, per carattere, lui aveva bisogno di qualcuno in cui credere. Così Earl aveva ufficiosamente
adottato Sam per quel ruolo e aveva lavorato con lui per due anni come investigatore, prima che il colonnello Jenks riuscisse ad
averlo con sé in pattuglia. Il legame fra i due uomini si era rafforzato e Sam era l’unico ad aver sentito Earl, che di solito non parlava mai di sé, discutere di argomenti come il conflitto nel Pacifico o la rivolta di Hot Springs.
I due si sedettero; Junie portò al marito un bicchiere di limonata e in cambio lui le porse il cinturone Sam Browne con la Colt
calibro 357, le manette, le cartucce di ricarica e il resto, e lei
portò in casa il tutto per riporlo al sicuro.
Earl allentò la cravatta e posò il cappello Stetson su una sedia
vuota. Gli stivali da cowboy, lucidati con cura, erano ora ricoperti da un velo di polvere.
« D’accordo », disse. « Sono tutto orecchi. »
Sam gli raccontò rapidamente dell’incarico ricevuto di raggiungere Tebe, Mississippi, del collega abbronzato, dei discorsi
persuasivi con cui gli era stato commissionato il lavoro e del cospicuo acconto.
« Mi pare che non faccia una piega », commentò Earl.
« Ma tu hai sentito parlare della prigione di Tebe. »
« Mai da un bianco. I bianchi preferiscono credere che luoghi
del genere non esistano. Ma dai neri sì, qualche volta. »
« Ha una reputazione tremenda. »
« Può ben dirlo. Una volta ho arrestato un corriere che viaggiava sulla 71 a velocità sostenuta verso Kansas City. Aveva il camion pieno di quell’erba che fumano a volte i jazzisti. Era terrorizzato che lo spedissi a Tebe. Talmente spaventato che credevo
sarebbe morto d’infarto. Non ho mai visto nulla del genere, mi ci
è voluta un’ora per calmarlo e un’altra per fargli capire che eravamo in Arkansas e non nel Mississippi, e che non potevo spedirlo a Tebe, anche se avessi voluto. Invece l’ho mandato a
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Tucker, dove sono certo che non è stata una scampagnata. Ma al
processo sembrava quasi felice. Tucker non era Tebe, almeno
non nella mentalità dei neri. »
« I neri vivono in un universo differente », osservò Sam. « Per
noi è privo di senso. È infestato da spiriti, in sintonia con la natura e legato alla terra. La loro mente funziona in modo diverso.
Non si riesce a capire, alle volte, perché si comportano come si
comportano. Sono come eravamo noi un milione di anni fa. »
« Può darsi », disse Earl. « Anche se quelli che ho visto a Tarawa sanguinavano e morivano come i bianchi. »
« Ecco perché sono un po’ preoccupato », confessò Sam.
« L’altro giorno sono andato a Fort Smith, per vedere cosa potevo scoprire su quel posto. Laggiù sta accadendo qualcosa che mi
ha alquanto spaventato. »
« Mi chiedo cosa possa spaventare Sam Vincent. »
« Ascolta, cinque anni fa, secondo la guida Standard & Poor’s
degli Stati Uniti, a Tebe, Mississippi, esistevano un mulino a vento, una lavanderia, una drogheria e un grande magazzino, un cinema, due ristoranti, due bar con tavola calda, un dottore, un
dentista, un sindaco, uno sceriffo, un negozio di alimentari e un
veterinario. »
« E allora? »
« Adesso non c’è più nulla. Tutti i negozi hanno chiuso e tutti i
commercianti hanno fatto fagotto e se ne sono andati. »
« I neri sono in partenza in tutto il Sud. Il Mississippi vive sul
cotone e il cotone non la fa più da padrone da nessuna parte. Si
sono messi in viaggio sulla Illinois Central verso nord in cerca di
un lavoro più dignitoso e di una vita più serena. »
« Lo so e anch’io, all’inizio, ho pensato la stessa cosa. Per questo ho dato un’occhiata a caso a cinque città del Mississippi. E,
benché in alcune sia in atto una riduzione di legami sociali e un
considerevole crollo demografico, tuttavia rimangono vitali. Ecco perché mi suonava strano. »
Earl non disse nulla.
Sam continuò. « Poi c’è quella faccenda della strada. Per molti anni Tebe è stata attraversata da una statale che sosteneva le attività commerciali e la vita della città. Pompe di benzina, risto-
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ranti, aree per barbecue, quel genere di cose. Ma tempo fa la
strada si è allagata, tagliando a tutti gli effetti la città e quella parte della zona paludosa e dei boschi di pini fuori dalla civiltà, sempre che ne esista una in Mississippi. In genere una struttura amministrativa avrebbe profuso ogni impegno per riaprire quella
strada, poiché la strada rappresenta il fiume delle opportunità,
soprattutto nel Sud povero e rurale. Eppure, da quel che ho potuto scoprire, ancora oggi dopo tanti anni essa rimane allagata, e
nessuno ha mai tentato di riaprirla. Il solo modo di raggiungere
ciò che resta di Tebe è una lunga e lenta traversata in barca su
quel fiume scuro. E non ci sono neanche più negozi. Le lance
della prigione si mettono in viaggio una volta alla settimana per
fare provviste e raccogliere i detenuti ma, per il resto, quel luogo
è completamente isolato. Non lo si raggiunge e non lo si lascia
con facilità, e a tutti sembra andar bene così. Ora dimmi, non ti
sembra strano? »
« In effetti, come si suol dire, ’niente strada, niente città’. Ed è
forse per questo che laggiù sta andando tutto a rotoli. »
« Così sembrerebbe. Ma il declino di Tebe era già cominciato
tre anni prima. È come se l’allagamento della strada fosse stato
solo la goccia che ha fatto traboccare il vaso. »
« Insomma, signor Sam, se è tanto preoccupato sarebbe forse
meglio che lei non ci andasse », osservò Earl.
« Non posso. Ho accettato un acconto e sono legato da un obbligo professionale che non posso e non voglio declinare. »
« Vuole che venga con lei, nel caso laggiù ci fossero brutte sorprese? »
« No, no, Earl, certo che no. Voglio solo che tu sappia cosa sta
succedendo. Ho qui una busta che contiene la documentazione
sul caso, ciò che ho scoperto, il mio piano di viaggio e tutto il resto. Parto domattina da Memphis con il treno delle dieci e quarantacinque e per le cinque dovrei essere a New Orleans. Trascorrerò la notte laggiù e ho noleggiato un’auto per il mattino
successivo che mi porterà a Pascagoula. Là troverò un barcaiolo
e raggiungerò la città nel tardo pomeriggio di dopodomani.
Chiamerò te oppure mia moglie e ogni giorno lascerò dei mes-
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saggi. Se non riuscissi a trovare un telefono, finirò il mio lavoro e
tornerò a casa. »
« D’accordo, fissiamo una scadenza e, se per quella data lei
non sarà di ritorno, allora m’impegnerò a capire cos’è successo. »
« Grazie, Earl. Grazie infinite. Hai capito perfettamente dove
volevo arrivare. »
« Signor Sam, sa che può contare su di me. »
« Earl, so che la tua parola vale oro. »
« Se fossi in lei mi porterei un’arma. Non uno dei suoi fucili
da caccia, ma una pistola. Immagino che abbia conservato la calibro 45 dell’esercito. »
« No, Earl. Io sono un uomo di ragione, non di armi. Sono un
avvocato. Giocare con le pistole non fa parte della mia natura.
Logica, correttezza, umanità e soprattutto il rispetto della legge:
sono questi i miei principi guida. »
« Signor Sam, forse nel luogo dove sta andando quelle cose
non significano nulla. Parlando sinceramente, se dovessi venire
anch’io mi porterei una pistola. »
« Tu sei libero di fare a modo tuo, e io a modo mio. E così sia.
Ora leggiamo questa favola a Bob Lee. »
« Credo che ne sarà entusiasta. Va pazzo per quelle che fanno
paura. »
« Hai ancora quel libro dei fratelli Grimm? »
« È il suo preferito. »
« So che lì dentro ci sono un paio di storie macabre. »
« Una storia macabra andrà bene. »
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3
Sam adorava New Orleans, ma la notte che vi trascorse tenne un
comportamento sobrio e professionale ed evitò le tentazioni.
Prese una stanza in un ostello per turisti, consumò la cena in una
tavola calda e andò a letto dopo aver registrato meticolosamente
tutte le spese per il suo cliente. Il mattino successivo incontrò
l’autista con la macchina a noleggio e cominciò il viaggio lungo la
costa del golfo sulla US 90, passando in breve tempo dalla Louisiana al Mississippi.
Fu un viaggio piacevole, almeno all’inizio, in compagnia di un
autista di nome Eddie, che sapeva tenere la bocca chiusa, e a
bordo della sua spaziosa e confortevole La Salle.
« È un modello del 1940 », osservò Eddie. « L’ultimo e il migliore. » E questo fu tutto ciò che disse.
Sam si tolse la giacca, la piegò, si arrotolò le maniche della camicia, posò il panama sul sedile accanto e lasciò che l’aria fresca
filtrasse dai finestrini della maestosa auto nera. Naturalmente
non allentò la cravatta; certe cose non si facevano. Esistevano dei
limiti. Estrasse la pipa, l’accese e si limitò a godersi il panorama.
A destra, la distesa azzurra del golfo lambiva la sabbia bianca
mentre scorrevano graziose e caratteristiche cittadine che vivevano su un’attività turistica che cominciava a prendere piede. Le
piccole città lungo la strada erano bianche, soleggiate, come
Gulfport e Biloxi, prese letteralmente d’assalto dai vacanzieri.
Sam vide delle coppiette sulla spiaggia, alcune bellissime, altre
meno. Gli ombrelloni si richiudevano per la brezza del golfo e alcune case offrivano stanze in affitto, molte con la TELEVISIONE
GRATIS, come annunciavano orgogliosamente le insegne.
Ma, dopo Biloxi, tutto cambiò. Nessuno si spingeva fin laggiù
per il sole o per le spiagge, che non erano state ripulite. C’erano
solo manghi, felci, pini nani e altra vegetazione – la cui unica ca-
ratteristica era la generica natura di rampicante – lungo una striscia di terra bagnata dall’acqua che, pensò Sam (ma forse era solo la sua immaginazione), aveva cambiato tonalità dall’azzurro
cielo al marrone scuro. In quel luogo sperduto i sedimenti galleggiavano disordinatamente sull’acqua e le conferivano l’aspetto di una fogna immensa. Esalavano inoltre un odore penetrante
di sostanze chimiche.
Pascagoula si rivelò una città industriale. Dominavano le cartiere e, in seconda battuta, i cantieri navali, ed era una città che
un tempo aveva profuso ogni sforzo nella produzione. Ma adesso erano tempi duri. Con l’industria cartiera in declino e la fine
del conflitto, i cantieri navali avevano interrotto la produzione.
Era un luogo triste; il boom degli anni di guerra si era esaurito
pian piano, anche se a tutti piaceva fare soldi facilmente come
prima.
Forse Sam correva di nuovo con la fantasia, ma gli sembrava
di vedere sconforto e desolazione ovunque. Le strade deserte, le
insegne sbiadite da tempo, il commercio non più fiorente. Tutto
cuoceva sotto un sole torrido, con il fetore delle cartiere che bastava a far venire un mal di testa lancinante.
« Deve andare da qualche parte di preciso, signore? Vuol fermarsi in un albergo? »
Sam diede un’occhiata all’orologio. Erano solo le undici del
mattino e, sì, aveva una voglia matta di scendere in un albergo,
consumare un buon pranzo, sdraiarsi sul letto di una camera con
un potente ventilatore o magari con l’aria condizionata e concedersi un sonnellino. Ma una cosa simile non era da lui. Era ligio
in ogni cosa, ma soprattutto nei confronti del dovere e degli obblighi.
« No, Eddie, devo proseguire. Conosci la città? »
« Non molto, signore. Io sono di New Orleans. Non mi piace
visitare queste piccole città insignificanti. »
« Suppongo allora che sia meglio cominciare dal municipio o
dalla centrale di polizia. Prima di proseguire vorrei parlare con
dei pubblici ufficiali. »
« Capisco, signore. In questo credo di poterla aiutare. »
Eddie trovò gli edifici municipali piuttosto in fretta, in una
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strada il municipio e nell’altra la centrale di polizia, con tanto di
motociclette e auto di pattuglia parcheggiate di fronte.
Sam optò per l’edificio amministrativo prima di quello delle
forze dell’ordine. Si rimise la giacca, raddrizzò tutto ciò che poteva essere raddrizzato e s’infilò il panama ad angolo retto sulla
testa come si addiceva alla sua posizione e dignità. Eddie lo lasciò di fronte all’ampia scalinata che conduceva a un portone di
media grandezza; Sam salì i gradini ed entrò passando in mezzo
a due statue di eroi nazionali che si affacciavano sul golfo.
Si ritrovò in un atrio, consultò un impiegato al bancone, ricevette istruzioni sulla direzione da prendere e percorse una serie
di corridoi in cerca dell’ufficio del pubblico ministero della città.
Non gli fu difficile trovarlo e, quando varcò le porte dai vetri
opachi, sbucò in una sala d’attesa con poltrone di pelle e riviste,
che recava l’insegna SOLO BIANCHI. Oltre una porta con l’insegna
SOLO NERI intravide un’altra stanza, più spoglia e arredata con
mobili logori, gremita da neri in miseria. Si rivolse alla segretaria
bianca dietro il bancone, una donna ben pettinata che governava
per diritto di un viso severo e troppo truccato.
Le mostrò il suo biglietto da visita.
« Desidera, signore? »
« Mi chiedevo se fosse possibile scambiare una parola con il
signor... » Si sforzò di ricordare il nome scritto sulla porta e ci
riuscì. « Carruthers. »
« Riguardo a cosa? » ribatté lei, con un sorriso del Sud che
non lasciava trapelare nulla.
« Signora, sono un pubblico ministero anch’io, da poco tempo a riposo per via di un capriccio elettorale. E desidererei parlare con il mio collega. »
« Lei è del Mississippi? »
« No, signora. Un po’ più a nord. Arkansas, contea di Polk,
nell’Ovest. È scritto sul biglietto da visita. »
« Sì, vedo. »
Non fu Carruthers a raggiungerlo ma un certo signor Redfield, un assistente del pubblico ministero, che ignorò ostentatamente i neri sfortunati nella stanza sul retro e gli strinse la mano
con calore, scortandolo in un ufficetto lindo. Mentre cammina-
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vano, Sam frugò nella memoria e alla fine capì perché era stato
Redfield ad accoglierlo: si erano incontrati nel 1941 a una convention ad Atlantic City, con un gruppo di pubblici ministeri,
trascorrendo gli ultimi momenti spensierati prima che la guerra
cambiasse la loro vita.
« Lieto che ce l’abbia fatta a tornare, signor Redfield », disse
Sam.
« Non ho mai avuto l’occasione di partire, purtroppo », ribatté l’altro facendo strada nel bugigattolo. « Riformato. Mentre
voi altri vi divertivate, io sono rimasto qui a perseguire i renitenti
alla leva. Dove l’hanno mandata? In Europa, vero? »
« Sì, verso la fine. Ero in artiglieria. »
« Ha ottenuto qualcosa d’importante? »
« No, ho fatto solo il mio dovere. E sono felice di essere ritornato tutto intero. »
Redfield estrasse il bourbon e ne versò un generoso bicchierino per Sam e uno per sé. Aveva un sapore squisito. Presero posto
sulle poltrone, discussero di questioni senza importanza sui presenti a quella convention di tanto tempo prima: chi era morto,
chi divorziato, chi aveva abbandonato la carriera, chi era ricco,
chi povero. Redfield continuò senza sosta con la politica e con i
pettegolezzi del luogo, parlò delle sue possibilità di ottenere una
carica importante alle successive elezioni e aggiunse che forse sarebbe stato meglio attendere fino al ’56. Lo informò sull’economia locale, non certo fiorente, a parte – rise di cuore – quell’impresa di bare impermeabili di proprietà di un pazzo del Nord
trasferitasi nel Sud per impiegare i carpentieri navali prima di
fallire, com’era logico che accadesse, a meno che il governo non
avesse perso tanti incrociatori in Corea da aver bisogno di costruirne altri. A Sam quei discorsi non interessavano granché, ma
lì al Sud era così che si gestivano gli affari e, alla fine, quando una
pausa di dieci secondi del suo interlocutore e un altro drink gli
annunciarono che era giunto il momento, prese la parola.
Spiegò ogni cosa e concluse manifestando le proprie riserve
sull’imminente viaggio.
« A dire la verità, io non ne so molto di Tebe », ammise Redfield. « È a due contee da qui lungo il fiume, e laggiù ci sono solo
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paludi, neri selvaggi e indiani Choctaw che vivono di alligatori e
pesci gatto, e poi quei pini, fitti come l’inferno. Troppo fitti per i
bianchi. »
« Capisco. »
« Non so perché dovrebbe avventurarsi laggiù senza un valido
motivo. »
« D’accordo, Redfield, io non vorrei farlo. Ma ho accettato
quel lavoro. Speravo che lei potesse scrivermi una lettera di presentazione o suggerirmi il nome di un collega ai cui buoni uffici
potermi appellare. »
« Nella maggior parte delle contee, un’idea del genere funzionerebbe, sarebbe la maniera giusta di agire. Ma per Tebe è diverso. È una colonia penale, nient’altro. Deve addentrarsi nella burocrazia degli istituti penali dello Stato e so che quelli amministrano il proprio territorio con assoluta riservatezza. Non amano
i forestieri, specialmente del Nord... »
« Nord? Sta parlando dell’Arkansas? »
« Mi ascolti, non dico di essere d’accordo, ma quella gente ragiona così. Le sto solo spiegando la situazione. Fanno parte di un
clan ristretto. E hanno per le mani una contea di neri, alcuni dei
quali possono essere su di giri per l’erba, altri per l’alcol, altri ancora per le agitazioni comuniste a nord, tutto questo in aggiunta
alla naturale tendenza dei neri al caos, all’irrazionalità e al ’vecchio Billy che di sabato pesta Billy solo per passatempo’. Perciò
hanno un sacco di cose di cui occuparsi, capisce? Io non andrei a
curiosare in quel posto. »
« Capisco », disse Sam.
« Se fossi in lei, scusi se mi permetto, girerei i tacchi e me ne
tornerei al Nord. Proprio così. Poi scriverei a quel tipo di Chicago per dirgli che va tutto a meraviglia, che non deve preoccuparsi, che il certificato di morte sta per arrivare. In fondo si tratta solo di un’omologazione, giusto? E mi dimenticherei di tutto. In
seguito riceverà qualche lettera indignata ma, Cristo, quello è
uno yankee, uno del Nord, no? Tutto ciò che sanno fare gli
yankee è indignarsi. »
« La sua analisi è chiara, Redfield, ma non posso farlo. Ho intascato il denaro e devo portare a termine il lavoro. »
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« Avanti, Vincent. Non sarebbe la prima volta che qualcuno
ritira un acconto, scrive una lettera e poi se ne dimentica. Se fossi
in lei non andrei a ficcare il naso a Tebe. Laggiù gestiscono le cose a modo loro e non vogliono che qualcuno s’immischi nei loro
affari, nossignore. Io sarei disposto a scriverle una lettera di presentazione, ma indirizzata a cosa? »
« A chi », lo corresse Sam.
« Chi, cosa, fa lo stesso, laggiù. A Tebe, lungo quel fiume scuro, non c’è nessuno cui scrivere, non ci sono persone gentili e
educate sedute a una scrivania sotto un ventilatore, persone con
cui bere un sorso di bourbon e fare quattro chiacchiere. Quelli
sono seduti su una stramaledetta polveriera, ecco dove sono seduti. Una polveriera negra. Devono fare in modo che non esploda e, a mio avviso, è un lavoro da eroi. »
« Redfield, sono stato in diverse prigioni, bianche e nere. Gli
uomini che le gestiscono possono essere definiti in vari modi, ma
’eroi’ è l’ultima parola che userei. ’Pratici’ è quanto più lontano
oserei spingermi. »
« D’accordo, per voi del Nord è tutto chiaro e giusto e avete
sempre una risposta pronta. Quaggiù, dove non nevica mai e le
cose cambiano a rilento, tranne quando cambiano in fretta e con
violenza, è tutto molto meno chiaro e cristallino. È una gran confusione, alle volte. Ecco perché è giusto che esista un luogo come
Tebe. I negri devono sapere che esiste un luogo come Tebe e, per
Dio, se alzano la testa, Tebe è il posto dove verranno spediti. Così, a modo suo, Tebe è più importante di Jackson, di Biloxi, di
Oxford o di Pascagoula. Senza Tebe, il Mississippi diventa il
Congo e l’America diventa l’Africa. Tebe è come un coperchio.
Non vorrei che lei storcesse il naso perché ha visto una guardia
pestare un negro, e ne facesse un affare di Stato. Non è così che
funziona. Glielo dico da bianco a bianco: è meglio che se ne stia
alla larga da Tebe. A Tebe non succede nulla che lei debba vedere o sentire, chiaro? »
« D’accordo, Redfield, mi dispiace che la pensi così. Mi rendo
conto che lei è un uomo con i propri principi, ma io ho i miei.
Ho un lavoro da svolgere, tutto qui. Sono un avvocato, ho accet-
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tato l’incarico da un cliente e, per Dio, questo è quello che farò.
Quindi che Dio mi aiuti, Tebe o non Tebe. »
Abbandonò la poltrona e uscì dalla stanza senza voltarsi.
Viaggiarono per un po’ e Eddie percepì il cattivo umore di Sam.
« Signore, ha qualche preferenza? Posso portarla ovunque. »
« Dovrei cercare un porto, un distretto marittimo o qualcosa
del genere. Devo noleggiare una barca e cavarmela da solo. »
« Capisco, signore. Cercherò di trovargliela io, ci riuscirò di
sicuro. »
Si scoprì che tutte le imbarcazioni di Pascagoula erano riservate alla pesca nelle acque profonde del golfo; quello che cercavano loro si trovava risalendo il fiume di qualche miglio, in una
piccola città satellite chiamata Moss Point, da cui partivano le
barche per avventurarsi nelle paludi che si stendevano a nord.
Alla fine, dopo varie peripezie, trovarono un vecchio cantiere
navale gestito da una baracca scrostata vicino all’acqua. Le barche erano ormeggiate lungo i moli e galleggiavano avanti e indietro per i capricci della marea e della corrente, sbattendo l’una
contro l’altra. Erano piuttosto in disarmo. Sam era arrivato in Inghilterra sulla Queen Elizabeth e in occasione del D-Day aveva
attraversato la Manica a bordo di una corazzata. Anche quando
quest’ultima era stata bersagliata dal fuoco mentre si avvicinava
alle pericolose spiagge su cui lui, i suoi uomini e i suoi sei obici
da 105 mm sarebbero sbarcati, gli era sembrata più sicura di
quanto non gli apparisse quella flotta di legni che marciva sotto il
sole.
Le barche erano tutte pescherecci: motori entrobordo, cabine
basse a prua, assenza totale di comodità.
PESCA, diceva l’insegna.
Tutta la zona odorava di quel commercio, con sartie dappertutto, reti appese ad asciugare, la sabbia che sgusciava sotto i piedi, carcasse di granchi e lische di pesce abbandonate ovunque, i
gabbiani che svolazzavano sopra di loro in cerca di carne o briciole, oppure immobili come poiane sul molo.
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Sam entrò nella baracca e trovò un vecchio lupo di mare, con
gli occhi spenti e una faccia simile a una prugna secca.
« Salve », disse Sam, ottenendo come unica risposta uno
sguardo arcigno. « Vorrei noleggiare una barca. »
« Non è vestito per andare a pesca. »
« Non sono qui per pescare. »
« Vuole farsi un giretto nei dintorni? Vedere i panorami? »
« No. Vorrei risalire il fiume e raggiungere una città chiamata
Tebe. »
« Tebe. In quel posto non ci va mai nessuno, a parte la barca
della prigione che fa provviste una volta alla settimana. »
« Potrei chiedere un passaggio gratis o a pagamento su quella
barca? »
« Ne dubito. Quelli sono freddi con i forestieri. Si fanno gli affari loro. E poi per quale motivo vuole andare a Tebe? »
« È una questione riservata. »
« Non ne vuol parlare, vero? »
« Ascolti, io non devo rispondere alle domande di nessuno,
d’accordo? Mi trovi solo una barca che risalga il fiume. Non è
questo il suo lavoro? Gestisce lei questo posto? Io non sono uno
di quei perdigiorno del Mississippi che si trastullano al sole invece di lavorare. »
« Ma sentitelo, ora facciamo la voce grossa. E, da come parla,
è anche un forestiero. Ascolti, io posso trovarle una barca e un
uomo che la accompagni in mezzo alla palude alla ricerca di
enormi pesci gatto, di spigole marroni o qualunque altra cosa;
conosco degli uomini che possono portarla lontano sul golfo dove nuotano i pesci azzurri, e forse ne abboccherà uno e lei sarà
fiero di appenderselo alla parete. Magari vuole sdraiarsi al sole e
sentire che il suo viso bianco si abbronza, mentre lei sorseggia un
Dixie ghiacciato. Ma qui non c’è nessuno che risalirà con lei la
palude verso lo Yaxahatchee e poi fino a Tebe. Lassù non c’è nulla a parte dei negri con le gengive blu che le mangeranno il fegato con la milza attaccata, mentre le sorridono e la chiamano ’signore’. E se uno di quei musi neri dalle gengive blu le dà un morso, signore, sicuro come l’inferno, lei tirerà le cuoia prima che
tramonti il sole. »
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« Posso pagare. »
« Non i barcaioli qui intorno, signore, ed è un dato di fatto.
Alla larga da Tebe. »
« Maledizione, in questa città di pazzi nessuno fa quello che
gli si dice di fare. Da dove viene la vostra testardaggine? È congenita o l’avete imparata? Perché il Mississippi è così pieno di
idioti? »
« Signore, non infangherei il nome del nostro Stato. »
Sam era sul punto di esplodere, ma il vecchio testardo si limitò a guardarlo, per abitudine radicata nel tempo, e lui capì che
era inutile gridare contro un vecchio sdentato, neanche per la
semplice soddisfazione di mettere a posto un idiota.
Girò i tacchi e tornò all’auto.
« Sfortunato, signore? »
« Puoi dirlo. Questi del Mississippi sono di un’altra razza. »
« Ha ragione. Dev’essere tutta quell’acqua di palude e quel liquore di mais che bevono. Li rende stupidi e ostinati. »
« Guida, Eddie. Guida lungo questa palude. Forse mi verrà in
mente qualcosa. »
La scintillante La Salle viaggiò costeggiando le baracche sul
fiume, superando i resti di barche marcite che urtavano contro i
moli logori. Sopra di loro i gabbiani piroettavano e ruotavano
mentre il sole caldo si abbatteva spietato. Ben presto Sam si dimenticò di essere in America. Era un luogo strano, soprattutto
quando il colore della gente diventava nero, e dei bambini straccioni con i pannolini e i pantaloncini sdruciti scorrazzavano a
piedi nudi accanto all’auto che procedeva lenta e maestosa, chiedendo l’elemosina. Sam sapeva che, se avesse dato un penny a
uno di quei bambini, avrebbe dovuto darlo a tutti, quindi non
diede niente a nessuno.
Poi i neri scomparvero, e loro si ritrovarono da soli; l’asfalto
rotto della strada cedette alla polvere, il fiume scomparve dietro
un canneto e tutto sembrò perduto.
Ma poi fu Eddie ad avvistare la strada.
« C’è una casa, laggiù », esclamò. « Guardi. »
« Allora continua. Forse ci sarà anche un barcaiolo. »
Alla fine della strada, infatti, sorgeva una baracca costruita
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con resti di materiale di salvataggio abbandonato, aveva il tetto
di carta catramata ed era circondata da pneumatici sparsi ovunque. Lo scheletro a forma di scatola di una berlina Nash dei primi anni ’30 arrugginiva poco lontano. Centinaia di migliaia di
gusci di gambero e ostriche erano sparse tutt’intorno come
ghiaia. L’edificio era rozzo e sudicio ma sul retro a pochi metri di
distanza, sul fiume ampio e marrone, era ancorata una barca.
« C’è nessuno? » gridò Sam.
Qualche minuto dopo fece capolino una donna anziana, lanciò un’occhiata all’uomo con l’abito marroncino, seduto sul sedile posteriore della lussuosa La Salle nera, quindi raccolse una
pallottola gelatinosa dai polmoni, la espulse dalla bocca sdentata
con un grottesco movimento delle labbra carnose e questa volò
come uno dei precisi 105 di Sam, atterrando con un tale tonfo
che, per l’impatto, si formò un cratere fra i gusci di gamberi e la
sporcizia.
« Cosa vuole? » domandò. L’accento era più o meno francese
o, meglio, la versione cajun dell’accento francese.
« Parlare con un barcaiolo. »
« Ha sbagliato posto, signore. Chi le ha detto di venire qui? »
« Nessuno mi ha detto di venire qui, signora, gliel’assicuro.
Ho visto una barca. Quindi dev’esserci un barcaiolo. Posso parlare con lui, per favore? »
« È un agente delle tasse? »
« No di certo. »
« È della polizia? Uno sbirro? »
« Nossignora. Né dell’FBI, né dello Stato in ogni sua manifestazione. »
« Non si muova. »
Sbatté la porta.
« Ottimo, almeno è un inizio », disse Sam a Eddie. « Non è
granché, ma chissà? »
Trascorse qualche minuto. Dall’interno della baracca si udì
un tramestio e finalmente fece capolino un vecchio. Aveva la pelle color nocciola, indossava una salopette, una camicia fuori misura e logora e un paio di calzature che anni prima potevano essere state scarpe da tennis ma adesso erano ruderi senza lacci. In
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una scarpa le dita dei piedi spuntavano da un buco tra la suola e
la tomaia. Tatuaggi grossolani inchiostravano i bicipiti. I capelli
erano un groviglio di viticci grigi e radi. Aveva tutti i denti, o
quasi tutti. La faccia era un’accozzaglia di rughe e solchi dovuti
agli anni trascorsi sotto il sole e all’espressione con cui squadrava
le persone.
« Cosa cerca? » domandò con cipiglio.
« Un barcaiolo. Posso rivolgermi a lei? »
« No, qui non ci sono barcaioli. Se ne vada. Non c’è nessun
barcaiolo. »
« A me lei sembra un barcaiolo. »
« Cosa vuole? »
« Lazear », gridò la donna anziana dall’interno, « se ci parli, lo
saprai. Ha i soldi. »
Il vecchio lo squadrò da capo a piedi.
« Voglio risalire il fiume. Attraversare la palude, su per il Pascagoula e lo Yaxahatchee. Nei boschi di pini. Fino alla città che
chiamano Tebe. »
« Alla larga da Tebe, signore. Laggiù ci sono solo negri e cani.
E mi creda: se non la prendono i negri, lo faranno i cani. I cani la
sbraneranno come si deve. Chiunque la prenda per primo, gli altri verranno dopo a ripulire. »
« So che laggiù sorgono una città di neri e una colonia penale.
Ho degli affari da sbrigare sul posto. E gradirei noleggiare una
barca. »
« Di sicuro ha chiesto a tutti. E nessuno vuole portarla. E così
è venuto dal vecchio Lazear. »
« Dove sono stato non ha importanza. Mi serve che lei mi porti là, mi aspetti un’ora o un giorno e poi mi riporti indietro: tutto
qui. Sono pronto a pagare il prezzo corrente, più un piccolo extra. »
« Milioni di dollari. Ha dei milioni di dollari per Lazear? »
« No di certo. Mi dica quanto prende di solito alla giornata. Io
lo raddoppierò. »
« Signore », mormorò Eddie, « io prima gli offrirei una somma e lo lascerei negoziare su quella. »
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Ma Lazear disse subito: « Per risalire la palude prendo cento
dollari al giorno ».
« Dubito che abbia mai visto cento dollari in vita sua », commentò Eddie a bassa voce.
« Allora facciamo duecento », rilanciò Sam. « Duecento andata e ritorno. »
« Quattrocento. Duecento per andare, duecento per tornare.
È pericoloso. Ci si può smarrire nella palude, lo sa, essere divorati dai coccodrilli. Non è certo una passeggiata. Facciamo quattrocento. »
« Può scordarselo. Un centone è il salario di un mese. Duecento o prendo un’altra barca. »
« Allora d’accordo. Due. Mi paghi ora e torni domani sera. »
« Gliene pagherò cinquanta subito, ma non me ne andrò da
nessuna parte. Partiamo subito. Immediatamente. »
« No, è un viaggio lungo. Ci vuole una giornata, forse anche
una giornata e mezzo. Lazear deve fare il pieno alla barca. »
« Adesso che sono arrivato, di qui non mi sposto », ribatté
Sam. « Ed è la mia ultima parola. »
« Pazzo uomo del Nord. Pazzo yankee. È di New York o di
Boston, signore? »
Com’è ignorante questa gente, pensò Sam.
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© 2001 Stephen Hunter
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