Impressioni di un viaggio in Corsica

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Impressioni di un viaggio in Corsica
Impressioni di C
un viaggio in Corsica
Testo e foto di
ROBERTO
RUOZI
Professore emerito presso l’Università “L. Bocconi” in Milano
150 REPORTAGE
aro Lettore,
un viaggio in Corsica è
un’esperienza molto interessante; lo testimoniano non solo quanto ho potuto
vedere e gustare la scorsa estate
recandomi nell’isola, ma anche e
soprattutto gli scritti dei numerosissimi personaggi che l’hanno visitata nel corso dei millenni. Michel Vergé-Franceschi ne ha fatto
un’antologia i cui capitoli fondamentali riguardano i viaggiatori
dell’antichità, quelli dell’Ottocento
e quelli più vicini a noi. I loro ricordi sono diversi e concernono innanzittutto i contatti con le persone e l’incontro con la natura, che
in Corsica è straordinariamente
ricca. L’isola offre al visitatore un
mare purissimo dai colori strabilianti, che si mescolano con quelli
delle rocce là dove si infrangono le
onde e con quelli delle spiagge
sulle quali esse vanno a placarsi.
Ci sono poi i colori delle montagne
impervie, sempre verdeggianti e
cariche di alberi e di una tipicissima macchia, la quale rappresenta
la quintessenza e l’esaltazione
della vegetazione mediterranea. I
colori colpiscono i sensi in modo
violento. Dominano l’azzurro, o
meglio gli azzurri, i verdi, i rossi e i
gialli, cioè praticamente tutti i colori, che cambiano nel corso della
giornata e della stagione a seconda della luce del sole e della luna
e del filtro delle nubi. Ai colori della
natura si sommano quelli dipinti
dall’uomo, che nella natura ha inserito armonicamente le sue opere, senza fare violenza né al paesaggio né all’ambiente, rispettando la mano dell’Invisibile al cui
volere, consciamente o meno, si è
inchinato.
In quella natura e in quei colori è nato, è vissuto e vive tuttora
il popolo corso, nei riguardi del
quale Seneca, che fu esiliato
sull’isola nei primi decenni dell’era
cristiana, si espresse molto duramente affermando che la sua prima legge era la vendetta, la seconda la rapina, la terza la menzogna e la quarta la negazione degli
dei. Certo Seneca doveva avere il
dente avvelenato contro il luogo
poco ospitale nel quale era stato
confinato, ma è certo che i corsi
dovevano essere già allora un popolo duro, tanto è vero che i romani non si avventurarono mai oltre
la costa, dove peraltro fondarono
importanti città.
Aléria è una di queste e arrivò
ad ospitare oltre 20.000 abitanti.
Oggi le sue rovine sono modeste
anche se il sito in cui si trovano è
molto suggestivo e profondamente romantico. I resti dell’antico foro
riposano all’ombra di alberi verdissimi. La stragrande maggioranza
della vecchia città deve tuttavia
essere ancora scavata e scoperta
ed è possibile che possa offrire
Una baia nei pressi
sorprese di grande rilievo.
di Calvi e, nella
Unico neo della visita alla
città romana è stato l’incredibile pagina a fianco, una
torre genovese
orario di apertura del sito e l’insi- tipica
a guardia del mare.
pienza dei guardiani che ne hanno
voluto un’applicazione rigidissima The bay near Calvi
assolutamente incoerente con le and on the facing
tradizionali leggi dell’ospitalità.
page, a typical
Genoese sea
Càpita! Dato tuttavia che non tutti
watchtower.
i mali vengono per nuocere, aspettando di entrare per vedere le rovine ho passato un po’ di tempo
ammirando vecchie case nelle
quali il tempo sembra non passare
mai. Poi mi sono fermato in una
NOTIZIARIO
specie di bar dove un burbero oste
mi ha servito un ottimo panino
contenente un saporito prosciutto Reportage
corso. Lì ho fatto conoscenza con
un gruppetto di agricoltori simpaticissimi che mi hanno raccontato le Le rovine romane
loro avventure. Uno di essi, originadi Aléria.
rio di Montpellier, era finito in Algeria da dove era dovuto rientrare
Roman ruins in
Aléria.
per i noti motivi politici connessi
con la crisi franco-algerina e si era
rifugiato in Corsica, dove era stato
ben accolto e aveva ricominciato
una nuova vita di cui sembrava
molto soddisfatto. Abbiamo condiviso un buon pastis che qui non
manca mai. La Corsica ha svolto
una funzione importante nel rimpatrio dei cosiddetti pieds noirs, che
hanno modernizzato l’agricoltura
dell’isola e hanno posto le basi per
i successi che essa sta oggi ottenendo.
La Corsica ebbe una funzione
importantissima anche nella storia
della Legione straniera, che qui
installò alcune delle sue basi più
importanti. Ora queste sono state
fortemente ridimensionate, ma alla periferia di Calvi è ancora di
stanza il 2° Reggimento paracadutisti, che si è coperto di gloria in
tante occasioni. Passeggiando per
la città è normale incontrare i legionari con i loro chepì bianchi, che
tanti ricordi sollevano in coloro
che, come il sottoscritto, sono rimasti fedeli alla storia e hanno
sempre considerato i caduti per la
patria – che nella Legione assume
connotati del tutto particolari – degli eroi sfortunati di cui è doveroso
serbare memoria.
A Bonifacio i vecchi quartieri
della Legione sono invece in via di
smantellamento e lasceranno spazio a nuove costruzioni che si spera non offenderanno un ambiente
così bello come quello attuale.
Mi rendo conto che sto divagando ed è opportuno che riprenda il discorso su Aléria, la quale,
dopo secoli di oblio, è tornata d’attualità nel 1975 quando un gruppo
di indipendentisti si impadronì di
un’azienda vinicola di proprietà di
Impressions of a trip to Corsica
The nature and the character of Corsica’s inhabitants are typical.
Seneca, who was here in exile, could not stand the people here:
revengeful, thieving and liars. In addition, although today it is
considerably weaker, the pride in an independent spirit dates back
a long time. Pasquale Poli, the leader of the claim for independence
in the 18th century is a recognized hero. The other great figure
from this land is naturally Napoleon, who was more inclined
towards Corsica being annexed to France. Many leading figures of
European culture have spent time here, with different experiences:
Flaubert, Hugo, Balzac and Daudet. The splendidly rugged coastline
of Capo Corso has many watchtowers built by the Genoese to look
out for pirates and Saracens.
REPORTAGE 151
coloni francesi da poco rimpatriati
dall’Algeria, vi si asserragliò e ingaggiò una vera e propria battaglia
contro le forze dell’ordine repubblicane provocando morti e feriti.
L’episodio è dettagliatamente descritto da Jean-Paul Delors e Stéphane Muracciole nel bel libro intitolato Corse. La poudrière, rappresenta il momento più tragico della
lotta degli indipendentisti, che negli ultimi decenni si sono fortunatamente trasformati in autonomisti e hanno abbandonato la violenza scegliendo l’arma del dialogo e
dell’iniziativa politica. Sopravvivono alcuni irriducibili, come si può
constatare guardando i muri su cui
stampano i loro slogan, ma non
incutono più paura.
Il destino della Corsica, dal
punto di vista dell’indipendenza e
dell’autonomia è peraltro infelice.
Che si tratti di un popolo con caratteristiche particolari anche se
non sempre omogenee è indubbio. Che esso abbia lottato per
secoli al fine di ottenere la sospirata indipendenza contro tutti i
poteri ai quali è stato sottomesso
è altrettanto indubbio. Che i risul-
152 REPORTAGE
Una scritta
autonomista.
Autonomist
writing.
Il vecchio porto
di Bastia
visto dalla nave.
The old port
of Bastia seen from
a ship.
tati attesi siano stati modestissimi
e che ormai il discorso sia chiuso
nei princìpi e aperto solo per qualche aspetto pratico seppure importante, come l’autonomia amministrativa e la questione dell’insegnamento della lingua corsa, è la
pura verità. È comunque comprensibile ed anzi auspicabile che i
corsi facciano di tutto per valorizzare le loro tradizioni e i punti fermi
della loro civiltà. In questo senso
qualche risultato è già stato acquisito. Posso portare l’esempio della
musica e del canto, che ha fatto
rinascere numerosi gruppi e complessi polifonici tradizionali, come
il “Meridianu in giro”, che ho ascoltato mentre si esibiva nella piazza
del mercato di Bastia affollata di
gente interessata e plaudente, ma
purtroppo composta in gran parte
da persone non giovanissime. La
musica e i canti corsi ricordano il
fado e le canzoni di Ornella Vanoni
e di Fabrizio De André. Tristezza di
fondo, ricordi lontani, musica dolce che fa meditare.
Sull’indipendenza della Corsica i grandi personaggi che hanno
illustrato l’isola non sono sempre
stati d’accordo. I più importanti fra
essi, Pasquale Paoli e Napoleone
Bonaparte, hanno ad esempio affrontato il problema in modo diverso. Il primo di essi fu paladino
dell’autonomia, che sotto la sua
guida si esaltò in un breve periodo
di indipendenza nel XVIII secolo. Il
secondo fu invece deciso fautore
dell’unione della Corsica alla Francia e si adoperò a fondo per il
raggiungimento del suo obiettivo.
In Corsica tutto parla di Pasquale Paoli, di cui si conserva
anche la casa natale in Castagniccia, verdissimo borgo inserito in
lussureggianti castagneti i cui frut-
ti furono per secoli la fonte fondamentale di sostentamento dei pastori corsi. Oggi Castagniccia è
diventata famosa anche per l’acqua minerale che vi sgorga e che
è veramente eccellente sia nella
versione naturale sia in quella
frizzante. Il ricordo di Paoli è vivo
anche a Corte, che fu capitale
dello Stato corso nel periodo
dell’indipendenza e che conserva
ancora l’austero palazzo dove aveva sede il governo dell’epoca.
Corte è una bella cittadina,
rianimata dall’università recentemente costituita e frequentata da
una massa di studenti il cui numero supera quello della popolazione
residente. Situata al centro dell’isola, in un ambito tipicamente montano incontaminato, è profondamente cambiata nel corso degli
ultimi anni, ma è rimasta abbarbicata su uno sperone roccioso sormontato da una minacciosa rocca
risalente al XV secolo. Corte è
forse la città che meglio di ogni
altra rappresenta le tradizioni (anche gastronomiche) e l’animo corso. Non è un caso che mi sia stata
servita proprio qui un’eccellente
scaloppa di cinghiale con funghi e
castagne annaffiata da un aspro
vino delle verdi e impervie valli locali. Quanto invece all’animo del
popolo corso, esso è tipico delle
genti dell’interno che hanno vissuto isolate per millenni, che hanno
sempre combattuto per essere
quello che sono e che sono fatalmente diventate dure. Non per
nulla sul bianco vessillo corso è
raffigurata la testa di un capo pira-
ta moro che in una battaglia con
Una vecchia
le popolazioni locali fu sconfitto e cartolina di Corte
decapitato. La sua testa mozzata risalente agli anni
Trenta del secolo
dipinta sul vessillo è sempre stata
scorso e, a destra, il
un chiaro monito a tutti coloro che palazzo del governo
non conoscevano i corsi e che si
di Pasquale Paoli
illudevano di poterli vincere e sot- nello stesso centro.
tomettere facilmente.
An old postcard
Di Napoleone Bonaparte è
depicting Corte
invece piena di ricordi Ajaccio,
dating
back to the
moderna capitale della Corsica. La
and right, the
casa natale dell’imperatore dei 1930s
Pasquale Paoli
francesi è stata trasformata in government building
museo, che in verità avrebbe potu- in the same centre.
to essere meglio attrezzato e gestito se si fosse voluto onorare degnamente il grande corso. Non vi
sono altre sue fondamentali testimonianze sull’isola, dalla quale del
resto egli partì giovanissimo per
andare a frequentare una scuola
militare in Francia. Ritornò in Corsica a varie riprese sempre per periodi piuttosto brevi e dall’isola
fuggì precipitosamente con tutta la
famiglia quando entrò in conflitto
con Paoli e fu inseguito dai seguaci di quest’ultimo. A Calvi una targa
ricorda la casa dove, nella fuga,
egli sostò ospite del suo padrino.
Successivamente la presenza di
Napoleone in Corsica si limitò ad
una fuggevole sosta nel ritorno
dalla spedizione d’Egitto, di cui non
resta alcuna traccia concreta. Statue dell’imperatore dominano comunque le principali piazze delle
maggiori città dell’isola.
In Corsica sono giunto con un
traghetto partito dal porto di Genova. Il viaggio è stato piacevolissimo, allietato da un gran sole e da
una brezza sottile. Giusto un’espe-
rienza contraria a quella quasi
drammatica descritta in un famoso racconto di Gustave Flaubert,
passeggero infelice di una piccola
imbarcazione che da Tolone raggiunse Bastia attraversando una
sconvolgente tempesta che tormentò non poco il grande romanziere francese. Il suo soggiorno
sull’isola fu invece piacevole e curioso. Incontrò un mondo a lui
sconosciuto, con regole e costumi
originalissimi, in un’atmosfera di
grande accoglienza. L’ospitalità
corsa è stata proverbiale nei secoli. Oggi tutto è cambiato, ma il
sorriso della gente e il loro calore
non mancano quasi mai e tutti
fanno del loro meglio per accoglierti. Flaubert non fu l’unico grande
scrittore dell’Ottocento che ha
soggiornato nell’isola. Di questa
ha lasciato tracce indimenticabili
anche Prosper Mérimée, i cui scritti fecero conoscere all’Europa un
mondo che era sempre stato chiuso su se stesso e che era ignoto
ai più. Così ha fatto anche Alphonse Daudet, che ci parla del suo
soggiorno nei pressi del faro
dell’isola Sanguinaria vicino ad
Ajaccio. Pure Victor Hugo e Honoré
de Balzac soggiornarono qui. Il
primo abitò con il padre in gioventù
(1803-05) nella piazza Santa Maria di Bastia e il secondo fu ospite
veloce, nel 1838, in via Corbuccia
nella stessa città. Il giudizio di
questi scrittori sull’isola è vario.
Alcuni se ne sono veramente innamorati e ne parlano in modo entusiasta. Balzac scrisse invece in
proposito frasi feroci.
REPORTAGE 153
Ma ritorniamo a Bastia per
ricordare che, vista dalla nave,
appare tranquilla, mollemente
adagiata sulle pendici delle colline
che si innalzano dal mare verso
l’interno. La cittadella domina la
parte vecchia della città e l’antico
porto oggi è diventato rifugio di
piccoli natanti. Attorno al porto si
trovano numerosi ristoranti in cui
si possono gustare eccellenti vini
corsi (bianchi, rosati e rossi) insie-
La rocca di Corte;
in basso, la casa
di Napoleone
ad Ajaccio.
The Corte fort;
below, Napoleon’s
house in Ajaccio.
me con delicati piatti di pesce che
comprendono le aragoste, che qui
si pescano facilmente, ma anche i
più tradizionali pesci mediterranei
che popolano le acque corse come quelle di tutte le altre località
del vecchio Mare Nostrum. Quanto
alla produzione vinicola corsa, colgo l’occasione per ricordare che si
tratta di un’attività antica, per la
quale l’isola fu famosa in Europa
già nel Medioevo quando i suoi
vini cominciarono ad essere esportati nel continente soprattutto per
il beneficio dei raffinati palati italiani e francesi. Le vigne sono del
resto parte integrante del paesaggio corso e sono disseminate un
po’ dappertutto. Sono molto belle
soprattutto quelle digradanti verso
il mare.
Ma ritorniamo a Bastia dove,
al tramonto, la cattedrale di San
Giovanni Battista, patrono della
città, assume toni dorati e dà al
porto uno sfondo molto suggestivo. Una bella visione del porto si
ha anche dalla cittadella, in cui è
stato recentemente aperto un piccolo museo: vi si trova una curiosa
statua lignea di sant’Erasmo, protettore dei marinai, raffigurato infatti a cavallo di una nave.
A Bastia non c’è molto altro
da vedere. È comunque interessante il vecchio negozio stile liber-
ty della prestigiosa casa vinicola
Mattei, il cui proprietario inventò il
Cap Corse, aperitivo simile al nostro vermout, che ebbe in passato
un grande successo e che è attualmente in fase di rilancio. Le
bevande alcoliche, che comprendono anche la produzione di eccellenti grappe, fra le quali spiccano
quelle di mirto e quelle di castagne, sono uno dei punti forti della
produzione agroalimentare corsa.
Vi si produce anche il whisky, introdotto nell’isola negli anni Novanta del secolo scorso. Si tratta
di una produzione limitata, ma di
qualità, che si basa sull’ottima
acqua locale e su orzo francese.
L’invecchiamento avviene in botti
di rovere che danno morbidezza e
aromaticità al distillato. Non so
quanto successo potrà avere il
whisky corso sul mercato mondiale, ma è certamente buono e la
sua qualità può ancora migliorare
anche per il previsto utilizzo di
cereali autoctoni.
Da Bastia si parte per un giro
di eccezionale interesse panoramico, quello del Capo Corso, cioè
della parte più settentrionale
dell’isola, che va a formare il cosiddetto “dito” proteso verso le coste
della nostra riviera. Una tortuosissima strada, non sempre in perfette condizioni e poco adatta al traffico odierno, consente di fare l’intero giro della penisola, offrendo
visioni da sogno. Qui trovano grande soddisfazione i motociclisti e gli
amanti della bicicletta, i quali sono
numerosissimi, così come sono
numerosissimi anche i giovani
che, muniti di buone scarpe, di un
sacco a pelo e di uno zaino pieno
di chissà che cosa, girano la Corsica in lungo e in largo assaporandola meglio degli automobilisti
frettolosi, fra i quali purtroppo devo mettermi anch’io. Il Capo non è
molto popolato e le sue coste sono separate da rilievi montuosi
selvaggi che emanano una straordinaria sensazione di pace. Tali
coste sono ricche di torri d’avvistamento facenti parte di un complesso ed efficiente sistema di difesa
costruito dai genovesi nei diversi
secoli in cui combatterono i corsari e i saraceni che cercavano in
Bastia: la cattedrale
di San Giovanni
Battista, la statua
di Napoleone
e il vecchio porto.
Bastia: the cathedral
of Saint John the
Baptist, the statue
of Napoleon and the
old port.
ogni modo di saccheggiare i villaggi dell’isola. La natura è intatta. I
colori e i profumi intensi. Incontri
poca gente anche perché la popolazione corsa, qui e nel resto
dell’isola, o si è inurbata nelle
grandi città o rimane confinata nei
villaggi persi nel verde, isolati gli
uni dagli altri, dove la vita ha se-
REPORTAGE 155
gnato per secoli gli stessi ritmi a
dispetto di tutto quello che è accaduto nel mondo. Dopo la salita
verso nord, si ammira l’isola della
Giralda, che sembra dialogare con
Capraia sdraiata ad oriente, e si
scende sul lato occidentale del
capo per fare una sosta al simpatico villaggio di Saint Florent, tipico
antico borgo marinaro che conserva intatto il suo stile originario.
Nella parte alta del borgo vi è una
grande piazza sul cui sfondo spicca una cittadella di forma circolare
con due grandi torrioni concentrici,
fondata dai genovesi nel XV secolo. Dalle mura della cittadella si
domina il borgo marinaro adagiato
sulle acque azzurre del golfo.
Alla periferia di Saint Florent
si può visitare un eccezionale monumento romanico giunto miracolosamente intatto fino ai nostri
giorni, almeno nelle sue strutture
esterne. Elegante e austera allo
stesso tempo, la cattedrale del
Nebbio ha origini romanico-pisane
e presenta quel colore giallo dorato della pietra calcarea di queste
parti, messa ancor più in risalto
dalla luce del sole nel luogo solitario in cui è stata costruita.
Ancora più isolato è un altro
monumento, forse il più bello e il
più appassionante dell’isola. Alludo alla chiesa di San Michele di
Murato, località che si raggiunge
facendo una piccola deviazione
sulla strada del ritorno verso Bastia. È una piccola chiesa medievale bicolore come quelle pisane alla
cui architettura è sicuramente ispirata. Ha bellissime finestre goti-
156 REPORTAGE
che, uno slanciato campanile quadrato che domina l’ingresso, dove
appaiono alcune sculture tipiche
dell’epoca effigianti personaggi
sulla cui identità esistono ancora
molti dubbi. Al momento della mia
visita sul vasto prato verde che la
circonda vagava qualche asino e
pascolavano alcune pecore.
Accanto a San Michele, all’ombra di un grande albero, c’è
una fontana da cui sgorga un’acqua freschissima. La Corsica è
ricca di fontane di questo genere
che incontri un po’ dappertutto e
che ristorano i viaggiatori, specie
nelle calde giornate estive.
Da Bastia a Calvi le strade
non sono molto diverse da quelle
del Capo Corso. Si attraversano
ambienti insieme marini e montani, fra i quali il cosiddetto deserto
delle Agriates, chiamato deserto
non per la sua natura geologica ma
perché, per lunga e ignota tradizione, non è mai stato abitato dall’uomo. Ci devono invece essere molti
animali visto che vi ho incontrato
numerosi gruppi di cacciatori che
lasciavano le loro automobili per
avventurarsi nella macchia.
A proposito di animali, si vedono tanti falchi, che dall’alto del
cielo volano scrutando terra e maLa cittadella
re per precipitarsi sulle prede madi Saint Florent e,
laugurate che non hanno la minisotto, la cattedrale ma possibilità di difendersi. Due
del Nebbio.
bellissimi falchi giravano anche su
San Michele di Murato accentuanThe Saint Florent
do il ricordo del Medioevo in cui
citadel and below,
the Nebbio cathedral. forse sarebbero stati utilizzati dai
signori locali per un tipo di caccia
indubbiamente più intrigante di
quella di oggi.
Calvi è un vasto borgo in riva
al mare, con un grande porto e
una importante cittadella che lo
sovrasta. La sera c’è grande animazione e le mille luci del lungomare si specchiano nell’acqua insieme con i riflessi della luna.
Calvi è profondamente mutata nel
corso degli anni e ha dedicato un
monumento a Cristoforo Colombo
che la tradizione locale vuole sia
nato qui. Sui natali del grande navigatore esistono del resto le storie più incredibili e questa non è
molto più strana delle altre.
Da Calvi si riparte verso Ajaccio. Il viaggio è ancora bellissimo.
Le strade sono sempre più o meno uguali, ma il paesaggio muta in
continuazione e i colori sono forse
ancora più vivi che nel resto
dell’isola. Si sale e si scende sempre fra mare e montagna. Si superano vari colli come quelli della
Palmarella, della Lava e della Croce. Si ammira il golfo della Girolata
con sponde rocciose color rosso
vivo, lo stesso colore che domina
i calanchi di Piana, che vengono
subito dopo. I calanchi sono scoscese rocce granitiche forgiate
nelle forme più strane, quasi sempre in verticale, dall’opera millena-
ria del vento e del mare. Alcune di
esse ricordano immagini misteriose, come quelle che si intravedono quando si guardano le rocce o
le nubi e si interpretano le loro
forme secondo ciò che passa per
la mente. Si vedono così cose che
non esistono affatto e che soprattutto gli altri non vedono per nulla.
La vista dei calanchi è comunque
un vero e proprio spettacolo, non
sempre gustabile appieno per la
troppa gente che vi si trova. È
forse l’unico posto in cui ho incon-
trato folle di persone trasportate
da giganteschi autobus che non
sono certo il veicolo più adatto a
queste strade nelle quali sostano
con difficoltà creando ingorghi fastidiosissimi.
Ajaccio è anch’essa una città
marinara caratterizzata dalla solita cittadella e offre al visitatore,
oltre alla casa dell’imperatore e
alla chiesa in cui egli fu battezzato, un edificio imperiale ideato da
Napoleone III come cappella funeVeduta d’insieme
raria per la famiglia Bonaparte. È
e un dettaglio
da tempo chiuso per restauri e
architettonico
quindi non visitabile. È invece visidella chiesa di San
tabile e vale la visita il Museo
Michele di Murato.
Fesch, voluto dal cardinale zio di
An overall view and Napoleone che fu uno straordinaarchitectural detail of rio collezionista soprattutto di
the church of Saint opere italiane. Vi figurano, fra gli
Michel in Murato.
altri, dipinti di Giovanni Bellini,
Cosmé Tura, Jacopo del Sellaio,
Sandro Botticelli, Pietro da Cortona e Tiziano. Di quest’ultimo il
museo ospitava una mostra temporanea che esibiva un certo numero di interessanti ritratti.
Nella città ho potuto gustare
l’essenza della cucina corsa, basata fondamentalmente su carne di
Calvi
maiale e di agnello e su formaggi
si presentava così
di latte bovino, caprino e ovino. Il
nei primi decenni
maiale è assai diffuso nell’interno
del Novecento.
dell’isola, dove ancora oggi vive
allo stato libero nutrendosi di
Calvi as it once
appeared in the first ghiande, castagne e bacche aromatiche. La sua carne è trasfordecades of the
mata in insaccati di pregio, come
1900s.
il prosciutto, dolce e secco nel
contempo, la lonza con stagionatura minima di tre mesi, la coppa
più o meno uguale alla nostra e
numerose varietà di salsicce speziate con erbe della macchia.
Quanto ai formaggi, a parte il famoso brocciu, che dovrebbe essere prodotto solo in determinate
stagioni e che invece viene servito
sempre non si sa bene come, vi
sono dei buoni pecorini anche di
tipo dolce.
Da Ajaccio inizia la discesa
verso Bonifacio, gioiello fortificato
dal quale si vedono le coste della
Sardegna. Possiede un romanticissimo cimitero dei pescatori dal
quale si può ammirare una straordinaria vista del mare sottostante.
Bonifacio è molto affollata e conti-
REPORTAGE 157
nuamente percorsa da un fastidiosissimo trenino carico di turisti che
diventa per il pedone una vera
ossessione.
Il panorama che si vede nel
trasferimento è meno entusiasmante rispetto a quello incontra-
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Calvi: la cittadella
fortificata
e il monumento a
Cristoforo Colombo.
Calvi: a fortified
citadel and a
monument to
Christopher
Columbus.
to fino ad Ajaccio, ma comunque
sempre bello. Ho fatto due fermate. La prima per vedere da vicino il
villaggio di Sollacaro, tipico borgo
corso isolato immerso nel verde,
in cui è stato ambientato il fantastico romanzo I fratelli corsi di Alexandre Dumas, una delle più interessanti e appassionanti narrazioni di vita corsa. Esso offre un’immagine indelebile di quello che
doveva essere l’isola nell’Ottocento, così come è stata ritratta anche da Prosper Mérimée nel racconto Mateo Falcone e nella novella Colomba.
Quanto tempo è passato e
come è cambiata la Corsica, che
oggi si presenta (almeno ad un
osservatore esterno come il sottoscritto) in veste assai meno ispirata alla sua tradizione e in via di
omogeneizzazione spinta con altri
popoli e altre genti nonostante i
molti e reiterati tentativi di conser-
vare l’identità storica. È comunque strano che per conoscere la
Corsica occorra in ogni caso ricorrere ad autori francesi. La letteratura dell’isola infatti è piuttosto
avara e mancano i grandi scrittori.
Gli autori corsi non hanno del resto mai raggiunto una vera audience internazionale. È tuttavia vero
che, sapendo leggere attentamente i loro scritti, come quelli di Anna
Maria Corbara (Je saurai vivre
sans toi) e di Marie Susini (Je
m’appelle Anna Livia), lasciano intendere assai bene l’essenza
dell’animo corso e il modo di sentire e di pensare della gente
dell’isola.
La seconda fermata del mio
percorso ha avuto luogo vicino a
Sollacaro ed è stata dedicata alla
visita dello straordinario complesso archeologico preistorico di Filitosa, il più ricco dell’isola. Qui le
scoperte degli studiosi stanno ri-
portando alla luce molti siti che
testimoniano le diffuse antichissime origini della civiltà corsa. Quello di Filitosa è un parco archeologico molto grande, costellato di
stele su alcune delle quali sono
scolpiti visi umani. Vi sono vari allineamenti di tali stele e anche
qualche altare complesso perfettamente integrato nella natura circostante. Luogo pieno di fascino e
di mistero, interpretabile con difficoltà anche per gli studiosi, Filitosa accompagna il visitatore con un
eccellente impianto audio situato
lungo tutto l’itinerario consigliato.
Una dolcissima musica minimalista è diffusa nel percorso in modo
discreto e rende il luogo ancora più
affascinante.
Dopo aver fatto sosta a Bonifacio il viaggio è proseguito per
Corte e finalmente per Bastia, da
dove il solito traghetto veloce, ancora con un mare calmissimo e un
cielo assolato, mi ha riportato a
Genova e quindi a casa.
Quello che ho raccontato è
ciò che ho visto, non ha certo la
pretesa di offrire un’immagine
completa di quest’isola, la cui visita richiederebbe un tempo assai
più ampio di quello di cui disponevo io. Due cose soprattutto non ho
ammirato con la necessaria tranquillità: le spiagge disseminate
praticamente lungo tutta la costa,
che ho visto solo fuggevolmente, e
le montagne dell’interno, dove esistono eccellenti percorsi per gli
Sopra: roccia
a forma di testa
di cane nei calanchi
di Piana e uno dei
grandi altari di
Filitosa. Sotto: la
baia e il cimitero dei
pescatori a Bonifacio.
amanti del trekking, che portano
fin oltre i 2.500 metri di altezza fra
boschi, rocce ed acque che pare
siano di sogno. Il rimpianto per
quanto non sono riuscito a vedere
può tuttavia essere lo stimolo per
riprendere il traghetto, magari con
attrezzature e amici diversi, per
Above: a rock
scoprire altre meraviglie.
resembling a dog’s
Nell’attesa di ritornare e dehead in the Piana
scrivere un nuovo viaggio in Corsicalanques and one of
Filitosa’s great altars. ca, ti ringrazio della solita attenzioBelow: the bay and ne e ti abbraccio con vivissima
cordialità.
the fishermen’s
cemetery in Bonifacio.
Il tuo Roberto Ruozi
REPORTAGE 159
Allevare correttamente
una tartarughina acquatica
Medico veterinario
I RETTILI “DA COMPAGNIA” IN ITALIA
Nel gruppo degli animali cosiddetti da compagnia o d’affezione che vivono nelle case degli italiani
sono compresi anche i rettili (inclusi nella categoria
degli “animali da terrario”), che assommano – secondo quanto indicano le ultime stime demografiche
(soggetti ufficialmente denunciati) – a 1.000.000/
1.500.000 individui. A questo proposito, vale la pena
di sottolineare come, secondo fonti ufficiose, le tartarughe non denunciate siano in Italia addirittura sei
milioni di esemplari.
I rettili più allevati nel nostro Paese sono le
iguane, i camaleonti e i gechi (tutti appartenenti
all’ordine zoologico degli Squamati, sottordine dei
Sauri), taluni serpenti (ordine degli Squamati, sottordine degli Ofidi) e – soprattutto – numerose specie
di tartarughe terrestri e acquatiche.
I rettili sono vertebrati eterotermi (più comunemente detti “a sangue freddo”) che, attualmente
presenti in tutte le regioni temperate e tropicali del
pianeta su cui viviamo, si sono, dal punto di vista
evolutivo, sviluppati sul finire del Paleozoico (cioè
alcune centinaia di milioni di anni orsono) a partire
da un gruppo di anfibi primordiali.
La scelta di un rettile come animale d’appartamento implica senza dubbio non solo l’allestimento
dell’habitat ideale (generalmente ricostruibile nell’ambito di strutture note come terrari oppure – nel
caso delle tartarughine acquatiche – acquaterrari o
Correctly raising a turtle
According to statistics, there are well over a million terrarium
animals, including as pets, in Italy. There is a particular preference
for tortoises or turtles, but it is very important to know how to
prepare an ideal habitat for them: this is the only way to ensure
that they can enjoy a life of up to a couple of decades in the best
conditions. It must not be forgotten that turtles are so intelligent
that they can recognise the person looking after them.
Their diet is mainly vegetarian, although periodically they should
be given some proteins: perhaps in the form of live prey,
to stimulate the animals’ hunting instinct.
160 GLI AMICI DELL’UOMO
terracquari), ma anche l’acquisizione di tutta una
serie di conoscenze sul loro allevamento domestico,
NOTIZIARIO
inclusi gli aspetti anatomici, fisiologici, etologici, alimentari, riproduttivi e così via.
Si tratta, infatti, di specie per certi versi alquanGli amici
to
delicate,
che risentono in maniera determinante
dell’uomo
degli errori gestionali dovuti all’inesperienza o all’improvvisazione.
Ciò vale a maggior ragione per le tartarughine
acquatiche, troppo spesso vendute frettolosamente
a ignari acquirenti, cui viene fatto credere che per
mantenerle a lungo in buona salute sia più che sufficiente alloggiarle in una vaschetta di plastica (maLe tartarughine del gari con tanto di palma finta posizionata nel centro)
genere Trachemys si parzialmente riempita di acqua del rubinetto e somadattano molto bene ministrare loro esclusivamente gamberetti essiccati
alla vita all’aperto
o congelati.
anche alle nostre
Per questo motivo non è mai eccessivo o fuori
latitudini.
luogo ricordare ancora una volta che ospitare in casa
un animale (soprattutto nel caso di un rettile) non
Trachemys turtles
costituisce una scelta da affrontare a cuor leggero,
adapt very well to
in quanto implica sempre e comunque dei doveri e
outdoor life in our
delle responsabilità nei suoi confronti.
latitudes.
Massimo Tognolini
PIERO M. BIANCHI
Fotolia
ZOOLOGIA DELLE TARTARUGHE:
UN SOLO NOME PER TANTE SPECIE
Paleontologi e
zoologi hanno
evidenziato come le
tartarughe
rappresentino forme
di vita molto antiche.
Convenzione di Berna (ambito europeo) si occupano
della tutela di molte delle famiglie precedentemente
citate, tant’è vero che la detenzione di numerose
specie, così come la nascita dei nuovi esemplari,
vanno notificate al Corpo Forestale dello Stato.
Tra le specie acquatiche comunemente allevate
Palaeontologists and in appartamento, le più diffuse in Italia sono quelle
che fanno parte del genere Trachemys, originario
zoologists have
emphasized how
delle regioni sud-orientali degli Stati Uniti d’America.
Fotolia
Il termine “tartaruga” comprende in realtà circa
250 differenti specie zoologiche, tutte appartenenti
alla classe dei rettili e all’ordine dei Testudines.
Quest’ultimo è a sua volta suddiviso in due
sottordini: i Criptodiri (animali che ritirano la testa nel
guscio con un movimento telescopico del collo) e i
Pleurodiri (animali che ritirano la testa nel guscio turtles represent very
ancient life forms.
piegando il collo lateralmente).
CENNI DI ANATOMIA,
Al primo sottordine, poi, appartengono quattro
FISIOLOGIA ED ETOLOGIA
superfamiglie: i Testudinoidi (di cui fanno parte le
famiglie degli Emydidi – che comprende da sola circa
La tartarughina dalle orecchie rosse (Trachemys
la metà delle specie totali –, dei Testudinidi – che
scripta elegans), la specie più rappresentativa del
raggruppa la maggior parte delle tartarughe terrestri
genere Trachemys, ha colorazione verde/gialla su cui
– e dei Betaguridi), i Tryonicoidi (di cui fanno parte le
La vista di questi
spiccano due chiazze allungate di colore rosso tra
famiglie d’acqua dolce dei Carettochelidi e dei Tryoanimali è
occhi e collo. Nel nostro Paese è altresì comune la
nichidi o “tartarughe dal guscio molle”), i Chelonioidi
particolarmente
Trachemys scripta scripta, che è del tutto simile alla
(di cui fanno parte le due famiglie di tartarughe maacuta, mentre le
rine dei Chelonidi e dei Dermochelidi) e dei Kinoster- orecchie mancano precedente, fatta salva la mancanza delle macchie
sia di padiglione
rosse ai lati della testa. Questi animali, nel momennoidi (di cui fanno parte le famiglie dei Dermatemydiauricolare sia di
to in cui vengono acquistati dai rivenditori, hanno
di e dei Kinosternidi o “tartarughe del fango”).
condotto uditivo
approssimativamente la dimensione di una grossa
Al secondo sottordine, invece, appartengono
esterno e la bocca,
moneta, ma nel corso della loro vita crescono protre famiglie di tartarughe d’acqua dolce: i Pelomedupriva di denti, è
gressivamente fino a raggiungere i 30 cm di lunghezsidi, i Chelidi e i Podocnemididi.
foggiata a becco
za e i 25 cm di diametro.
Esiste, inoltre, la famiglia dei Chelydridi o “tard’uccello.
La morfologia, al pari di quella di tutte le tartatarughe azzannatrici”, che viene considerata a sé
The animal’s sight is rughe, è caratterizzata dalla presenza di un guscio
stante.
particularly keen,
coriaceo (in questo caso di colore verde/giallo) che
I risultati delle ricerche intraprese da paleontologi e zoologi hanno messo in evidenza come le while the ears lack racchiude gli organi interni e che all’occorrenza funge
pinna as well
da riparo per testa, zampe e coda. La parte superiotartarughe rappresentino forme di vita molto antiche, both
as ear canal. The
al punto da essere ormai universalmente ritenuto mouth is toothless re della suddetta corazza, di forma più o meno
bombata, viene chiamata carapace, mentre quella
che si tratti dei vertebrati esistenti sulla Terra da più
yet shaped like a
inferiore – appiattita – prende nome di piastrone.
tempo: lo dimostra anche il fatto che i primi fossili
bird’s beak.
Tali elementi, saldati tra loro medianidentificati risalgono al Triassico,
te un ponte osseo laterale, sono in
cioè a circa duecento milioni di anni
realtà appendici scheletriche esterorsono. Presumibilmente, quindi, le
ne, collegate alle vertebre e alle cotartarughe vivevano già prima
ste. Lo strato più esterno della corazdell’avvento dei dinosauri e nonoza è formato da singoli scudi (ciascustante tutto sono riuscite, dopo
no dei quali ha un proprio nome, a
avere superato intere ere geologiseconda della sede anatomica in cui
che, ad arrivare a noi senza evidenè localizzato) disposti a mosaico,
ti cambiamenti fisiologici e morfolomentre la parte più interna è costituigici. Molte specie di tartarughe sota da vere e proprie placche ossee.
no oggi considerate a rischio di
Nella testa spiccano gli occhi
estinzione: la Convenzione di Wa(da ricordare come la vista di questi
shington (ambito internazionale) e la
GLI AMICI DELL’UOMO 161
Fotolia
animali sia particolarmente acuta), le orecchie (che
mancano sia di padiglione auricolare che di condotto
uditivo esterno) e la bocca. Quest’ultima, priva di
denti, è foggiata a becco d’uccello (con margini alquanto taglienti) e si continua con esofago, stomaco
e intestino, per confluire infine nella cloaca, una
struttura che accoglie le terminazioni degli apparati
digerente, escretore e riproduttore.
La maturità sessuale viene raggiunta tra i sei e
gli otto anni di vita. Le gonadi (ovaie e testicoli) sono
interne. Le femmine possono conservare gli spermatozoi nel proprio corpo per lunghi periodi e deporre
uova fecondate anche a distanza di anni. L’organo
copulatore maschile è alloggiato nella cloaca e può
talora palesarsi all’esterno (erezione) indipendentemente dalla presenza di una femmina. La determinazione dei sessi non è semplice (specie nei giovani), in quanto i caratteri secondari non sempre sono
evidenti. In linea di principio, tuttavia, i maschi hanno
taglia corporea inferiore a quella delle femmine, ma
possiedono unghie e coda più sviluppate, oltre a una
più accentuata concavità del piastrone.
Tutti i rettili, come già accennato all’inizio, sono
animali eterotermi. Non sono, cioè, capaci di mantenere costante la propria temperatura interna e subiscono pertanto l’influenza delle variazioni climatiche
ambientali. Ciò si ripercuote invariabilmente sul loro
metabolismo e può condizionare, nella stagione invernale, il ricorso a fenomeni di ibernazione e/o letargo.
Le zampe sono provviste di unghie ben sviluppate e la coda, di piccole dimensioni, è di forma
triangolare. Le tartarughine acquatiche, se correttamente allevate, possono vivere anche un paio di
decenni e più.
Gli etologi non mancano di sottolineare come
le tartarughe, insieme ai coccodrilli, siano i rettili più
intelligenti: proprio per questo, spesso le tartarughine acquatiche d’appartamento sono in grado di riconoscere chi le accudisce.
Si tratta, inoltre, di animali dal carattere abbastanza “forte”. Pur se abituate a vivere in gruppo,
infatti, è buona norma – al fine di evitare fenomeni
162 GLI AMICI DELL’UOMO
di aggressività e problemi di convivenza – ospitarle
in un acquaterrario dalle dimensioni adeguate al
numero di animali presenti.
L’ALLOGGIO IDEALE
L’aspetto forse più importante per allevare al
meglio una tartarughina acquatica è la scelta di un
habitat il più simile possibile a quello naturale, anche
nel rispetto delle esigenze fisiologiche ed etologiche
dell’animale.
Questi rettili possono essere ospitati in un
idoneo acquaterrario (altresì detto terracquario, collocabile in casa o all’aperto) oppure in un’area predisposta del proprio giardino.
Nel primo caso occorre acquistare una vasca
In natura le
per pesci con pareti trasparenti (ideale è il vetro,
tartarughe e tutti gli
anche perché più facile da pulire) e di dimensioni
altri rettili trovano
adeguate (in funzione del numero di tartarughine da
facilmente un
alloggiarvi all’interno), da posizionare in un luogo
equilibrio
nutrizionale.
accessibile ma al tempo stesso tranquillo, luminoso
(preferibilmente dove arrivi la luce diretta del sole) e
aerato, al riparo da fumi e vapori nocivi, lontano dagli
elettrodomestici e non soggetto a sbalzi climatici.
Sul fondo della vasca può essere auspicabile
stratificare del ghiaietto di fiume a grana non troppo
piccola (i singoli sassolini devono cioè avere una dimensione superiore a quella della bocca delle tartarughine) e delle pietre di più grandi dimensioni, il
tutto disposto magari seguendo un gusto estetico
ornamentale. Nell’allestire il fondo è importante fare
in modo che vi siano una zona asciutta e una zona
riempita con acqua: la prima deve essere a sua
volta caratterizzata sia dalla presenza di aree ombrose, fresche e riparate da quella di aree in cui gli
animali possano restare fermi a riposare e/o prendere bagni di sole; nella seconda, più esposta alla
luce e a una temperatura maggiore, è preferibile che
In nature, turtles
l’acqua abbia profondità differenti.
and all other reptiles
La struttura deve essere dotata di impianti di ilare able to find a
luminazione (è fondamentale la presenza della luce
nutritional balance
solare diretta o di quella emanata da lampade a raggi
easily.
UVA – necessari per una corretta visione e per regolarizzare l’attività riproduttiva – e UVB – indispensabili
per la sintesi della vitamina D e il conseguente corretto metabolismo del calcio), di riscaldamento (cavetti e
tappetini riscaldanti o lampade in vetro-ceramica da
collegare a un termostato e da far funzionare nel rispetto dei ritmi circadiani stagionali naturali, tenendo
conto che la temperatura ideale – da controllare mediante un termometro – deve essere compresa tra 20
e 30 gradi centigradi), di aerazione (per impedire il ristagno di umidità) e di filtraggio (è consigliabile l’uso
di filtri esterni meccanici da pulire una volta alla settimana, tenendo comunque presente che ogni sette
giorni è bene sostituire un terzo dell’acqua totale).
Nel caso in cui, invece, si opti per una soluzione
outdoor (giardino), è utile sapere che le tartarughine
del genere Trachemys si adattano molto bene alla
Massimo Tognolini
I vegetali freschi (necessari soprattutto per il
loro contenuto in fibre, vitamine e fruttosio), sotto
forma di verdura e frutta di stagione, sono molto
importanti: la scelta può essere ampia e comprende
radicchio, catalogna, scarola, rucola, zucchina, carota, mela, pera, uva, ciliegia, albicocca e così via.
Anche le proteine sono utili e vanno fornite con
regolarità (pur se non con continuità) sia sotto forma
di prede vive (ciò serve anche a stimolare l’istinto
venatorio e a favorire l’esercizio fisico) che di ingredienti a pezzettini: pesciolini, molluschi, crostacei,
lombrichi, insetti adulti e larve sono tutti adatti allo
Le tartarughine
scopo.
acquatiche, se
Da non scordare che il cibo va sempre dispencorrettamente
sato in acqua e che deve essere fornito in quantità
allevate, possono
consumabili nel giro di pochi minuti al massimo,
vivere anche un paio
poiché eventuali residui possono inquinare l’habitat.
di decenni e più.
Tutti gli alimenti offerti, infine, devono avere
dimensioni adeguate alla bocca dei piccoli rettili.
If raised properly,
LE TARTARUGHINE ACQUATICHE
SONO CARNIVORE?
In natura le tartarughine acquatiche sono prevalentemente vegetariane (si nutrono infatti per lo
più di alghe e piante acquatiche di vario genere), ma
si cibano occasionalmente anche di piccoli pesci e
altri animaletti d’acqua dolce, così come larve d’insetti. La loro dieta, pertanto, non deve essere esclusivamente proteica o carnivora, come invece molti
negozianti suggeriscono ai loro clienti. La regola
della varietà necessita di assoluto rispetto, perché
ciò aiuta a mantenere un buono stato di salute e
getta le basi per una lunga sopravvivenza.
I mangimi preconfezionati
per tartarughe acquatiche sono
facilmente reperibili nei negozi
specializzati, ma non devono
essere somministrati in maniera
esclusiva: l’ideale è che i prodotti liofilizzati, essiccati e pellettati
rappresentino non più di circa un
quarto della razione totale.
aquatic turtles can
live two decades
and more.
LE PRINCIPALI MALATTIE
DELLA TARTARUGHINA ACQUATICA
Anche le tartarughine acquatiche, come tutti gli
esseri viventi, possono, nel corso della loro esistenza,
andare incontro a problemi patologici più o meno seri.
La maggior parte di tali affezioni deriva da errori gestionali cui le bestiole sono sottoposte e ai
quali spesso si somma l’aggravante di squilibri immunitari derivanti dalle condizioni di stress conseguenti alle operazioni di cattura, trasporto e vendita.
Una delle più comuni patologie delle tartarughine (e dei rettili in generale) è la cosiddetta MOM
(Malattia Osseo Metabolica) o MBD (Metabolic Bone
Il termine “tartaruga” Disease), un’alterazione del metabolismo di calcio,
comprende in realtà fosforo e vitamina D che, provocata da una dieta
circa 250 differenti
inadeguata associata all’insufficiente esposizione
specie zoologiche,
alle radiazioni solari, si ripercuote negativamente
tutte appartenenti
alla classe dei Rettili sulle ghiandole paratiroidi, sullo scheletro, sui reni e
e all’ordine dei
sul sistema nervoso.
Testudinati.
Sebbene qualche tempo fa si ritenesse che le
tartarughine acquatiche potessero essere portatrici
The term “turtle”
sane di Salmonelle (e come tali considerate un evencovers approximately tuale pericolo per la trasmissione della salmonellosi
250 different
all’uomo), recenti studi hanno smentito tale ipotesi.
zoological species,
Anche le forme respiratorie si presentano nelle
all belonging to the
Reptile class and the tartarughine acquatiche con relativa frequenza e si
Testudinata order.
manifestano con scolo nasale e orale, associato a
difficoltà di galleggiamento e scarso appetito.
In ogni caso, se il rettile
mostra segni di malattia (evento
già di per se stesso predittivo di
una problematica di non trascurabile importanza), è buona norma
rivolgersi quanto prima a un medico veterinario esperto nella cura degli animali cosiddetti “esotici” o “non convenzionali”.
Massimo Tognolini
vita all’aperto anche alle nostre latitudini. L’importante è fornire loro un ambiente di vaste dimensioni, al
riparo da eventuali predatori, recintato e a prova di
fuga (non dimentichiamo che le tartarughine sono
ottime scavatrici), dove sia ovviamente presente un
corso d’acqua, un laghetto (anche artificiale) o uno
stagno. La luce e il calore del sole, le modificazioni
della temperatura ambientale, l’alternarsi del giorno
e della notte e tutti gli eventi atmosferici naturali
consentiranno alle bestiole di condurre un’esistenza
del tutto simile a quella libera. Anche l’alimentazione,
in questi casi, non costituisce un problema: i rettili,
infatti, sapranno cavarsela egregiamente in maniera
del tutto spontanea.
Un breve accenno merita l’ibernazione, cioè
quello stato di rallentamento delle funzioni vitali cui
in natura le tartarughine sottostanno quando la temperatura ambientale si abbassa e cui è utile sottoporre tutti gli animali (siano essi ospitati in casa o
fuori) mantenendo la temperatura tra 3 e 8 gradi
centigradi e fornendo loro un rifugio coibentato, contenente due dita d’acqua.
GLI AMICI DELL’UOMO 163
© Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci
Honoré II,
premier Seigneur
de Monaco
à porter
le titre de Prince
RENÉ NOVELLA
Consigliere privato di S. A. S. il Principe Alberto II di Monaco
D
epuis le 8 janvier 1297, date à laquelle le
guelfe Francesco Grimaldi, dit Malizia,
s’était emparé de la forteresse du Rocher,
alors occupée par les gibelins, et après
une courte interruption, douze membres de la dynastie des Grimaldi de Monaco ont régné sur ce pays
avec le titre de “Seigneur”, trois avec le titre de
“Coseigneur” (dont un devenu “Seigneur” par la suite)
et un avec le titre de “Seigneur Viager” (en l’occurrence Augustin I er, ancien évêque de Grasse, qui a
succédé à son frére Lucien, assassiné sur ordre de
l’amiral Andrea Doria).
En 1589, Hercule I er était devenu Seigneur de
Monaco, après le décès de son frère Charles II. Il
était l’époux de Maria Landi di Val di Taro, comtesse
de Compiano. A l’instigation du duc de Savoie, il fut
assassiné le 21 novembre 1604, dans la rue du
Milieu (aujourd’hui rue Comte Félix Gastaldi), non loin
de son château. Il laissait un enfant mineur, prénommé Honoré, qui fut placé sous la tutelle de son
oncle maternel, le Prince Federico Landi di Val di
Taro.
Ritratto del
Principe Onorato II
opera di Philippe
de Champaigne
(Collezioni del
Palazzo dei
Principi).
Portrait of Prince
Honoré II,
a work by Philippe
de Champaigne
(Collections
of the Princes’
Palace).
Honoré II, the first Lord of Monaco
to give himself the title of Prince
At the end of the 1500s, Hercule I Grimaldi became Lord of Monaco.
But for a lord to demand the title of prince required resolution and
determination: Honoré possessed all of these qualities. To grace his
court, he transformed the old castle into a palace, filling it with
prestigious furnishings and paintings by the great masters. Honoré II
vowed to deliver himself from the Spanish protectorate, and ratified a
pact of assistance in favour of the Principality of Monaco with
Louis XIII, King of France. A splendid period then began in which
Honoré embellished his tiny state with new architectural works of the
like of the Chapel of Mercy. This undertaking earned him the name
“Louis XIV of the Principality”.
164 OLTRE LA VALLE
Onorato II,
primo Signore
di Monaco
a fregiarsi del
titolo di Principe
D
NOTIZIARIO
Oltre
la Valle
opo l’8 gennaio 1297, data in cui il guelfo
Francesco Grimaldi, detto Malizia, si era
impadronito della fortezza della Rocca,
allora in mano ai ghibellini, e dopo una
breve interruzione, dodici membri della dinastia dei
Grimaldi di Monaco hanno regnato su questo Paese
con il titolo di “Signore”, tre con il titolo di “Cosignore”
(di cui uno divenuto “Signore” in seguito) e uno con il
titolo di “Signore a vita” (è il caso di Agostino I, già
vescovo di Grasse, che succedette al fratello Luciano,
assassinato per ordine dell’ammiraglio Andrea Doria).
Nel 1589 Ercole I era divenuto Signore di Monaco, dopo il decesso del fratello Carlo II. Egli era lo
Left: a shield
sposo di Maria Landi di Val di Taro, contessa di Com- with the image
piano. Su istigazione del duca di Savoia fu assassiof Honoré II
nato il 21 novembre 1604 in rue du Milieu (oggi rue (Collections of the
Comte Félix Gastaldi), non lontano dal suo castello. Princes’ Palace).
Lasciò un figlio in età minore, di nome Onorato, che Below: portrait
of Hercule,
fu messo sotto la tutela dello zio materno, il Principe
marquis of
Federico Landi di Val di Taro.
Campagna, on
Come Etienne le Gubernant, tutore di Onorato I,
horseback
e contro le aspettative dei Monegaschi, Federico (Collections of the
governò di buona intesa con gli Spagnoli che, dopo il Princes’ Palace).
1525, data della firma del trattato di Burgos, perfezionato a Tordesillas, esercitavano il loro protettorato
su Monaco.
Federico di Val di Taro fece dare un’eccellente
educazione al suo pupillo. In lui inculcò il gusto delle
arti e delle lettere e soprattutto il senso della “grandeur”, tanto è vero che, allorché Onorato fu in condizioni di esercitare pienamente il potere, decise di rinunciare al titolo di “Signore” e prendere quello di
“Principe” che parecchie corti d’Europa non tardarono a riconoscergli.
Egli allora trasformò il suo vecchio castello in un
vero e proprio Palazzo, dove raccolse mobili pregiati,
ricche tappezzerie, soprammobili, libri preziosi, opere
d’arte, pitture e sculture. Possedeva più di settecento quadri di maestri che rivaleggiavano con i più
grandi musei d’Europa. Tutti questi tesori sfortunatamente furono oggetto di un saccheggio all’epoca
della Rivoluzione francese che ebbe, a Monaco, l’effetto nefasto risaputo, e il Palazzo venne allora trasformato in rifugio per mendicanti, successivamente
in prigione. Dopo la sua salita al trono dei Grimaldi,
la principale preoccupazione di Onorato II fu quella di
sottrarsi al protettorato spagnolo, che era lungi dall’aver rispettato gli impegni promessi.
Per questo fece intraprendere delle trattative
segrete con il Cardinal Richelieu ma, impaziente di
venirne a capo, decise di non aspettare l’aiuto della
Francia per sbarazzarsi della guarnigione spagnola.
Riunì in un’ala del Palazzo un consistente gruppo di
Mentonesi, che fece passare, agli occhi dell’occupante, come prigionieri politici, i quali, ad un segnale
convenuto, attaccarono di sorpresa gli Spagnoli.
Questi capitolarono dopo un breve scontro, il 17 novembre 1641.
Due mesi prima, esattamente il 14 settembre,
l’accordo firmato a Péronne dal re di Francia Luigi XIII,
Comme Etienne le Gubernant, tuteur d’Honoré Ier,
et contre l’attente des Monégasques, Federico gouverna en bonne entente avec les Espagnols, qui,
depuis 1525, date de la signature du traité de Burgos, amendé à Tordesillas, exerçaient leur protectorat sur Monaco.
Federico di Val di Taro fit donner à son pupille
une excellente éducation. Il lui inculqua le goût des
arts et des lettres et surtout le sens de la grandeur,
si bien que, lorsqu’Honoré fut en état d’exercer pleinement le pouvoir, il décida de renoncer au titre de
“Seigneur” et prit celui de “Prince” que ne tardèrent
pas à lui reconnaître plusieurs Cours d’Europe.
Il transforma alors son vieux château en véritable Palais, où il réunit meubles de prix, riches tapisseries, bibelots, livres précieux, oeuvres d’art, peintures et sculptures. Il possédait plus de sept cents
tableaux de maîtres, de quoi rivaliser avec les plus
grands musées d’Europe. Tous ces trésors furent
malheureusement l’objet d’un pillage, à l’époque de
la Révolution française qui eut, à Monaco, le rôle
néfaste que l’on sait, le Palais ayant été alors transformé en dépôt de mendicité, puis en prison.
© Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci
A sinistra: uno
scudo con l’effigie
di Onorato II
(Collezioni del
Palazzo dei
Principi).
Sotto: ritratto di
Ercole, marchese
di Campagna, a
cavallo (Collezioni
del Palazzo dei
Principi).
OLTRE LA VALLE 165
Un’altra moneta
di Onorato II
(Collezioni del
Palazzo dei
Principi).
166 OLTRE LA VALLE
Lo stemma dei
Grimaldi
campeggia sul
Palazzo dei
Principi.
The Grimaldi coat
of arms in relief
on the Princes’
Palace.
Photo Oilime
Dès son accession au trône des Grimaldi, Honoré II eut pour principal souci de se soustraire au
protectorat espagnol, qui était loin d’avoir respecté
les engagements promis. Pour cela, il fit entreprendre des négociations secrètes avec le Cardinal
Richelieu, mais, impatient d’aboutir, il décida de ne
pas attendre le secours de la France pour se débarrasser de la garnison espagnole. Il réunit dans une
pièce du Palais un groupe important de Mentonnais,
qu’il fit passer, aux yeux de l’occupant pour des prisonniers politiques, qui, à un signal donné, attaquèrent les Espagnols par surprise. Ceux-ci capitulèrent après un court combat, le 17 novembre 1641.
Deux mois plus tôt, très exactement le 14 septembre, le traité signé à Péronne par le roi de France
Louis XIII, avait été ratifié, après avoir reçu l’approbation d’Honoré II.
Aux termes de ce traité,
– le roi accordait sa protection à Monaco «à la
prière du Prince», dont il reconnaissait les droits
souverains;
– une garnison française de cinq cents
hommes serait établie sur le Rocher aux frais de la
France, et dont les officiers seraient nommés par
le roi, mais la garnison serait placée sous les
ordres du Prince, auquel les officiers prêteraient
serment;
– la garnison ne devrait s’immiscer dans aucune affaire intérieure de la Principauté;
– le Prince serait compris dans tous les traités
de paix signés par le roi;
– en compensation des fiefs qui lui seraient
confisqués par l’Espagne, le Prince recevrait une
rente annuelle de 75.000 livres garantie par des
fiefs français dont l’un serait érigé en duché-pairie,
un autre en marquisat pour son fils et un troisième
en comté.
C’est en application de ce dernier paragraphe
que le Prince reçut le duché-pairie de Valentinois; le
comté de Carladez et, en faveur du Prince Héréditaire, le marquisat des Baux et la seigneurie de SaintRémy, en Provence.
Honoré II fréquenta la Cour, où il comptait de
nombreux amis. Il obtint du roi Louis XIII que celui-ci
fût le parrain de son petit-fils, Louis. Mais Louis XIII
mourut peu de temps après et avec l’accord du Cardinal Mazarin, Premier Ministre du royaume de
France, ce fut Louis, le futur Louis XIV, alors à peine
era stato ratificato, dopo aver ricevuto l’approvazione
di Onorato II.
Nelle condizioni di questo trattato:
– il re accordava la sua protezione a Monaco «su
richiesta del Principe», al quale riconosceva i diritti sovrani;
Another coin
– una guarnigione francese di cinquecento uomibearing the image
ni verrà insediata sulla Rocca a spese della Francia, e
of Honoré II
(Collections of the i cui ufficiali verranno nominati dal re, ma la guarnigioPrinces’ Palace). ne sarà agli ordini del Principe, al quale gli ufficiali
presteranno giuramento;
– la guarnigione non dovrà intromettersi in alcun
affare interno del Principato;
– il Principe sarà inserito in tutti i trattati di pace
firmati dal re;
– in compenso dei feudi che gli verranno confiscati dalla Spagna, il Principe otterrà una rendita annua di 75.000 libbre, garanzia per dei feudi francesi
dei quali uno verrà eretto in pari-ducato, un altro in
marchesato per suo figlio ed un terzo in contea.
Fu in applicazione di quest’ultimo paragrafo che
il Principe ricevette il pari-ducato di Valentinese; la
contea di Carladez e, a favore del Principe Ereditario,
il marchesato di Les Baux e la signoria di Saint-Rémy,
in Provenza.
Onorato II frequentò la Corte, nella quale contava molti amici. Egli ottenne da re Luigi XIII che facesse da padrino al nipote Luigi. Ma Luigi XIII morì poco
tempo dopo e, d’accordo con il Cardinale Mazarino,
Primo Ministro del regno di Francia, fu Luigi, il futuro
Luigi XIV, all’epoca di soli cinque anni di età, a fare
1)
Attraverso la nonna materna, Dévote Cantone, l’autore
di questo artipMaria Guarnera, nata a Monaco il 10 agosto
1626.
âgé de cinq ans, qui fut le
parrain de notre futur
Louis Ier de Monaco. Plus
tard, grâce à ses relations
à la Cour, Honoré II attirera
de plus en plus de
membres de la noblesse
française et européenne
aux fêtes brillantes qu’il
organisera à Monaco, dans
son Palais, transformé par
les frères Giacomo et
Tadeo Cantone,1 “mastri
muratori”, venus de Gênes
pour l’occasion. On doit
notamment à ceux-ci la
construction de l’actuelle
Chapelle palatine, la réfection de la grande citerne
sous la Cour d’honneur et
le pavillon des bains, fortement endommagé pendant la Révolution française et détruit par la suite.
Ce sont eux qui ont
construit aussi la Chapelle
de la Miséricorde, siège de
l’Archiconfrérie des Pénitents.
Pour marquer sa
souveraineté, Honoré II
avait créé, dès 1640, un
atelier monétaire où l’on fabriquait, entre autres des
“Talari”, pièces d’argent imitant le “Thaler” et sur
lesquelles figure l’écu écartelé des Grimaldi et des
Landi. Après le traité de Péronne, il fut autorisé par
le royaume de France, à frapper des pièces, admises
à circuler sur le territoire français, à condition d’avoir
le même poids, titre et module que les monnaies
françaises, ce qui demeurait le cas, avant la naissance de l’euro.
Alors qu’il se trouvait à Paris, le 2 août 1651,
Honoré II eut la douleur de perdre son fils Hercule,
marquis des Baux, époux d’Aurelia Spinola, mort
accidentellement, en s’exerçant au tir, lors d’une fête
champêtre, dans un jardin de Carnolès. Ce sera donc
son petit-fils, Louis, qui lui succédera.
Mais, avant de quitter notre monde, Honoré II eut
encore la joie de voir le mariage de Louis avec Charlotte-Catherine de Gramont, fille du célèbre Maréchal
de Gramont et, un an plus tard, de connaître son arrière-petit-fils, Antoine, le futur Antoine Ier. Honoré II
décéda quelque temps après, le 10 janvier 1662.
L’historien de Monaco, Gustave Saige a écrit
qu’«Honoré II a été le Louis XIV de la Principauté».
© Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci
da padrino al nostro futuro
Luigi I di Monaco.
Più tardi, grazie alle
sue relazioni a Corte, Onorato II attirerà sempre più
numerosi membri della
nobiltà francese ed europea alle brillanti feste che
organizzerà nel suo Palazzo, trasformato dai fratelli
Giacomo e Tadeo Cantone,1 “mastri muratori” venuti apposta da Genova.
Si deve specialmente a
costoro la costruzione
dell’attuale Cappella palatina, il rifacimento della
grande cisterna sotto il
Cortile d’onore e il padiglione dei bagni, fortemente danneggiato durante la
Rivoluzione francese e
successivamente distrutto. Sono loro che hanno
costruito anche la Cappella della Misericordia, sede
dell’Arciconfraternita dei
Penitenti.
Per contrassegnare
la propria sovranità, Onorato II aveva creato, dal
1640, una zecca ove si
fabbricavano tra gli altri dei “Talari”, monete d’argento imitanti il “Tallero” e sulle quali figura lo scudo inquartato dei Grimaldi e dei Landi. Dopo il trattato di
Péronne, venne autorizzato dal regno di Francia a
coniare monete, ammesse a circolare sul territorio
francese, a condizione che avessero lo stesso peso,
titolo e modulo delle monete francesi, e così è stato
fino alla nascita dell’euro.
Durante il soggiorno a Parigi, il 2 agosto 1651,
Onorato II ebbe il dolore di perdere il figlio Ercole,
marchese di Les Baux, marito di Aurelia Spinola,
morto accidentalmente, esercitandosi al tiro, durante
una festa campestre, in un giardino di Carnolès. Sarà
dunque suo nipote Luigi a succedergli.
Ma prima di lasciare questa terra, Onorato II
ebbe ancora la gioia di vedere il matrimonio di Luigi
con Carlotta Caterina de Gramont, figlia del celebre
Maresciallo de Gramont e, un anno più tardi, di conoscere il suo pronipote, Antonio, il futuro Antonio I.
Onorato II morì qualche tempo dopo, il 10 gennaio
1662.
Lo storico di Monaco Gustave Saige ha scritto
che «Onorato II è stato il Luigi XIV del Principato».
Ritratto del
Principe Luigi I, di
François de Troy
(Collezioni del
Palazzo dei
Principi).
Portrait of Prince
Louis I, by
François de Troy
(Collections of the
Princes’ Palace).
1)
Par sa grand-mère maternelle, Dévote Cantone, l’auteur
de ces lignes est un descendant direct de Tadeo, qui avait
épousé en 1643, Anna-Maria Guarnera, née à Monaco le 10
août 1626.
OLTRE LA VALLE 167
Da un mondo contadino al turismo in Riviera
MARCO DORIA
Docente di Storia economica
presso l’Università di Genova
p
Le trasformazioni
economiche e sociali del Chiavarese
dall’Unità d’Italia al 1914
P
Matteo Vinzoni,
Chiavari, 1773.
ortofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo. Nomi
noti di località del circondario di Chiavari che richiamano alla mente immagini di
mare, di vacanze, di turismo, legando indissolubilmente questo
tratto della riviera ligure all’idea di
una certa dimensione del tempo
libero, che alimenta (ed è sostenuta) un insieme di attività economiche, una varietà di iniziative imprenditoriali che rendono una significativa porzione della Liguria
vivace e ricca, oltre che dal paesaggio e dalla natura suggestivi e
affascinanti. Ciò è il risultato di un
processo che, avviatosi dopo l’Unità d’Italia, ha trasformato e pla-
smato l’economia e la società del
Chiavarese, arretrate all’inizio
dell’Ottocento e divenute alla vigilia della Prima Guerra mondiale
ben più prospere e dinamiche.
di pietre e di zolle erbose. In questo paesaggio, come si scrive su
Il Politecnico nel 1860, «il contadino (…) si strenua in erculei lavori, ed è cosa che fa stupore e
ad un tempo stringe miseramente il cuore vederlo ad ogni acquazzone andarsene appiè della
collina e con ceste apportar pazientemente sui denudati fianchi
il terreno che l’acqua rapiva». Gli
strumenti dei contadini (i «più
diffusi… anzi quasi i soli adoperati») sono la zappa, il piccone, la
falce oltre agli attrezzi necessari
per rimuovere e spaccare le pietre; non si usa l’aratro né è possibile avvalersi della ruota; i trasporti si effettuano a dorso d’uo-
Prima dell’Unità:
un’economia preindustriale
L’agricoltura. Alla metà dell’Ottocento il circondario di Chiavari versa in
una condizione di arretratezza.
La grande maggioranza della popolazione vive in aree poco
o nulla urbanizzate e l’agricoltura
è l’attività economica centrale.
Un’agricoltura povera, praticata
da contadini piegati dalla fatica
sulle “fasce”, sostenute da muri
a secco costruiti alternando file
Archvio Sagep, Genova
The economical and social
transformations in the Chiavari
region from the Unification
of Italy to 1914
168 OLTRE LA VALLE
Before the Unification of Italy, a “heroic”
agricultural economy prevailed made possible
by enormous sacrifices and primordial
instruments. During pauses from working the
land, the loom was always a prominent
feature: silk, satin and damask fabrics. A
single form of industry: extracting slate, but
the “chiapparolo disease” (silicosis) mowed
down its victims ruthlessly. Indeed the major
lines of communication were the driving force
behind progress. No longer just the coast
road and a mule track, but the GenoaChiavari railroad line. The local economic
system shifted into a different gear. Workers
migrated to the Po Valley, to the Maremma
area and to Sardinia. In the early 1900s they
returned with their fortunes to invest in new
activities, giving rise to tourism, the
“ foreigner industry”.
Archivio Storico del Banco di Chiavari
mo: così viaggiano il letame, in
1882 - Immagine
dell’attività
ceste di vimini facili da rovesciare,
cantieristica: un
e le patate, il mais, le castagne,
alimenti fondamentali delle popo- brigantino goletta
(a sinistra) e una
lazioni rurali.
goletta gabbiola
Si producono cereali, patate, poco prima del varo.
legumi, castagne, ortaggi, vino,
olio, frutta. Questi ultimi sono più 1882 - Image of the
tipici dell’agricoltura costiera, più shipbuilding activity:
a brigantine
prospera di quella miserrima delschooner
l’interno e oggetto verso la metà
(on the left) and a
dell’Ottocento di investimenti che topsail schooner just
favoriscono la diffusione degli ulive- before the launch.
ti nei terreni prossimi al mare. La
proprietà fondiaria è assai polverizzata (a fine Ottocento due ettari di
terreno coltivato in media) e rari
sono i tentativi di migliorare produzione e produttività.
L’attività manifatturiera ed estrattiva. Nel settore manifatturiero domina l’industria tessile, praticata a
domicilio nelle campagne. In uno
studio del 1846 si afferma che
«specialmente ne’ comuni di Chiavari, di Fontanabuona, di Rapallo,
non vi è casa di popolo che non
abbia un telaio»; la tessitura, cui è
adibita una manodopera prevalentemente femminile, si svolge nelle
«ore superflue alle cure agricole,
con gran vantaggio dell’igiene e
della morale, evitando i mali cui
soggiacciono [madri e sorelle] nelle fabbriche».
Praticata è ancora la lavorazione della seta. Già nel XV secolo
si erano trasferiti nel Chiavarese
da Genova numerosi aspiranti apprendisti, desiderosi di emanciparsi dal controllo della corporazione
cittadina. Sul finire del Settecento
sono rinomati i velluti di Zoagli e i
rasi e i damaschi della Fontanabuona. Anche questa attività col
tempo diviene appannaggio delle
donne. Il ciclo della seta è completo: si coltiva il gelso, anche se la
seta greggia localmente prodotta
è abbondantemente integrata con
quella messa a disposizione dai
mercanti, sono attive le filande
(una trentina nel 1818, tra Rapallo, Chiavari e Sestri Levante, con
circa 400 addetti).
Nel circondario si producono
inoltre sedie, una lavorazione che
interessa mezzo migliaio di artigiani, e naviglio in legno di limitato
tonnellaggio, costruito sugli arenili
di Chiavari e Lavagna.
Un ruolo particolare ha l’industria estrattiva dell’ardesia –
Cogorno ne è il centro principale
– i cui prodotti sono lastre da
tetto e da pavimento, ripiani per
mobili di lusso e vasche per liquidi. Nel 1834 in 70 cave attive lavorano 400 cavatori, organizzati
in piccole compagnie, salariati da
uno di loro o più frequentemente
associati. Essi, armati di picconi,
leve in ferro, scalpelli e dotati di
lumi ad olio, distaccano i blocchi
dai quali si ricavano le lastre. Il
lavoro è pesante e, come scrive
un osservatore nel 1809, «coloro
che travagliano sotterra… son
vecchi passati che abbiano li 40
o al più i 50 anni». Miete vittime il
«male del chiapparolo» che solo
alla fine dell’Ottocento sarà più
correttamente definito silicosi. Le
lastre, trasportate a Lavagna,
sono rifinite da scalpellini o caricate su piccoli bastimenti che attendono in rada. La commercializzazione del prodotto è saldamente nelle mani dei mercanti di Lavagna e di Genova.
Le condizioni sociali del circondario.
Povere sono le abitazioni dei contadini e la loro alimentazione, scarsa di proteine animali e grassi, a
base di castagne e polenta. Egualmente misero è il pasto dei cavatori d’ardesia che consumano un
po’ di minestra di verdura accompagnata da focaccia di mais.
Le epidemie sono ricorrenti.
Nel 1829 si tratta del vaiolo, poi
debellato dall’uso del vaccino. Più
duratura è la presenza del colera
che colpisce nel triennio 1835-37
e nel 1854, con centinaia di vittime. Alta è la mortalità infantile e
bassa la speranza di vita alla nascita, inferiore ai 40 anni agli inizi
degli anni Ottanta.
Si riduce solo verso la fine
del secolo il fenomeno dell’abbandono dei neonati alla Ruota o davanti alle chiese. Gli infanti così
raccolti vengono inviati all’ospedale di Chiavari; se sopravvivono sono in genere affidati a balia alle
donne contadine, che ricevono
una somma in denaro dall’amministrazione sino al compimento del
dodicesimo anno d’età del fanciullo e possono disporre presto di un
aiuto per il disbrigo delle più umili
mansioni, a cominciare dal controllo delle bestie.
OLTRE LA VALLE 169
I trasporti e i commerci. I commerci
sono ostacolati dalle condizioni
delle vie di comunicazione. La sola
“carrettiera” esistente nel circondario alla metà del secolo è la litoranea che collega Genova con la
Toscana. Per l’entroterra si percorrono le “strade delle mule”, tradizionali tracciati che partendo dalla
costa si spingono verso la Pianura
Padana. Importante è la navigazione di cabotaggio, più conveniente
del trasporto su strada.
Lungo queste linee di comunicazione arrivano derrate alimentari necessarie al consumo locale,
materie prime per l’attività manifatturiera e manufatti, mentre si
“esportano” specifici prodotti agricoli, artigianali e industriali.
La rottura dei vecchi equilibri
e il cambiamento
Spinte endogene e sollecitazioni
dall’esterno. Si propone di “migliorare l’agricoltura, le arti e il commercio” nel circondario la Società
Economica, costituita a Chiavari
nel 1791 per iniziativa di una cinquantina di liberi professionisti,
alcuni proprietari, diversi ecclesiastici. Il sodalizio incentiva ad
170 OLTRE LA VALLE
Archivio Storico del Banco di Chiavari
Lentamente migliorano i livelli d’istruzione. Nel 1848 quasi
l’87% degli abitanti sono analfabeti, percentuale che declina grazie
alla diffusione dell’insegnamento
elementare. I comuni destinano
all’istruzione risorse consistenti
dei loro peraltro contenuti bilanci
ma, soprattutto nelle zone rurali,
larga è l’inosservanza dell’obbligo
scolastico e spesso insoddisfacente la condizione dei locali adibiti a scuole.
Diversa è la realtà delle cittadine costiere. Sono qui attivi un
ceto mercantile, che controlla i
traffici da e per l’entroterra, una
borghesia delle professioni attenta a quanto matura nel Paese e
all’estero, così come – e si tratta
del gruppo socio-economico più
dinamico – un nucleo di famiglie di
commercianti-armatori impegnati
nei commerci di più ampio respiro,
che posseggono, alla metà del
secolo, velieri sulle 500 tonnellate
che solcano gli oceani.
esempio, sul finire del Settecento,
la coltivazione della patata e sostiene le innovazioni nella manifattura, ma non riesce a incidere in
profondità sulle pratiche e la mentalità dei soggetti economici. Resta refrattaria alle novità la proprietà terriera locale e pesa la
“pigrizia” di un ambiente provinciale; soprattutto mancano le condizioni strutturali idonee a favorire
accumulazione di capitale e investimenti.
Il fattore decisivo per il cambiamento è la costruzione di un
moderno sistema di trasporti. Nel
1868 entra in esercizio la linea
ferroviaria Genova-Chiavari; nel
1870 viene ultimato il tratto sino a
Sestri Levante e nel 1874 il treno
giunge sino alla Spezia: sono possibili nuovi collegamenti, non solo
con Genova ma anche con la Pianura Padana, via Genova, e con la
Toscana. Si riducono, grazie al
treno, tempi e costi del trasporto:
il tragitto di 36 chilometri da Chiavari a Genova viene percorso in
1890 - Sulla spiaggia
di Chiavari donne al
lavoro, intente a
imbarcare su di un
leudo lastre di
ardesia provenienti
dalle cave della
Val Fontanabuona.
1890 - On the beach
at Chiavari, women
at work, busy
loading slabs of slate
from the quarry of
Val Fontanabuona on
to a “leudo” (boat
for coastal trading).
un’ora e venti minuti. Si articola e
si irrobustisce inoltre la rete stradale. Inserito in un mondo che rapidamente cambia, anche il Chiavarese avvia la sua graduale trasformazione.
Nel 1889-90, si contano
8.740 addetti all’industria (6.901
nel settore tessile), ancora largamente tradizionale, includendo
4.647 donne che, specie a Rapallo
e Santa Margherita, fabbricano a
domicilio pizzi e merletti di seta e
cotone. È di fatto inesistente l’occupazione nei comparti tecnologicamente più avanzati. La lavorazione dei tessuti di seta conserva il
suo spazio di nicchia: nel 90 sono
circa 1.200 i telai casalinghi di
Zoagli soprattutto e poi di Chiavari,
Lorsica e Rapallo. La cantieristica
in legno, nel volgere di pochi anni,
è letteralmente spazzata via dalla
scena e la sua crisi precede di
poco l’irreversibile declino della
marineria velica. Per quanto riguarda l’ardesia, infine, proprio a partire dagli anni Sessanta-Settanta
inizia la decadenza delle cave di
Cogorno, a causa degli alti costi di
escavazione del materiale e della
loro arretrata organizzazione.
Si avvertono però anche segnali positivi. Nello stesso campo
dell’ardesia, ad esempio, decolla
l’attività estrattiva in Fontanabuona. Favorita dalla realizzazione
della strada, un’imprenditoria locale d’origine commerciale – nessuno tra i fondatori delle nuove ditte
ha un passato da cavatore – avvia
nel territorio dei comuni di Moconesi, Lorsica e Orero lo sfruttamento delle cave, collegate con
teleferiche alla strada carrabile; il
processo lavorativo, con l’introduzione di macchine mosse da motori elettrici, è almeno in parte
“industriale”.
Nella zona di Sestri Levante
sono attive alcune miniere di rame
gestite da una società inglese,
mentre una ditta francese estrae
manganese nei giacimenti della
Val Graveglia. Capitali e imprenditori stranieri affiancano gli operatori locali. Nel settore industriale la
presenza di maggior rilievo è quella della Esercizio Bacini, specializzata in Genova nel lavoro delle ri-
Archivio Sagep, Genova
parazioni navali, che a fine Ottocento costruisce un moderno cantiere navale a Riva Trigoso. Sono
stati introdotti nel frattempo nuovi
macchinari mossi da energia meccanica per la tessitura del lino e
per la filatura della seta, così come
in alcuni oleifici e in filande cotoniere.
La grande emigrazione. La prova
più evidente dell’integrazione del
Chiavarese in un sistema economico globale è rappresentata dal
fenomeno migratorio, che interessa decine di migliaia di persone.
Quella dell’emigrazione è storia antica per il circondario. Emigrazione stagionale, che si ripete regolare nel tempo, di uomini che si
recano a lavorare nella Pianura
Padana, nelle risaie, per la raccolta delle foglie del gelso e anche
per essere impegnati nelle opere
di irrigazione, o che raggiungono
località più lontane, come la Maremma e la campagna romana; i
montanari si recano a tagliare boschi e a lavorare per la produzione
di carbone in Corsica, Sardegna e
lungo l’arco appenninico. Il primo
censimento generale del Regno
d’Italia del 1861 ricorda questa
emigrazione «di zappa, di falce e di
scure», destinata peraltro a ridursi
progressivamente con la crescita
e l’esplosione dell’emigrazione
transoceanica.
A partire dalla seconda metà
degli anni Quaranta si assiste infatti a un cambiamento quantitativo e qualitativo dei flussi migratori.
Le crisi agricole, il miraggio dell’oro
californiano, l’istituzione nel 1854
della ferma quinquennale per i coscritti nel Regno di Sardegna, rispetto alla quale altissima è la renitenza, incoraggiano le partenze.
Emigrano soprattutto i contadini. Leone Carpi, autore negli anni
Settanta dell’Ottocento di un approfondito studio sul tema, riferendosi agli emigranti del Genovesato
– e gli abitanti del Chiavarese ne
sono di gran lunga la maggioranza
– dice che «essendo operosi e industriosi fanno più facilmente degli altri un poco di fortuna, ma per
lo più anch’essi finiscono male.
Tutti i nostri consoli ci fanno rapporti […] e tutti ripetono la stessa
cosa […] che ci sono tanti affamati, tanti saltimbanchi, tanti giocolieri, tanti che suonano l’organetto».
La miseria è la ragione prima
della scelta di partire, cui la volon-
Fine ´ 800 - L’imbarco
nel porto di Genova.
Il fenomeno interessa
pesantemente il
territorio di Chiavari.
Una parte delle
rimesse di emigrati
originari del
circondario confluirà
nel Banco di Sconto.
Late 19th century.
Boarding in the port
of Genoa.
The phenomenon
greatly affected the
Chiavari area. Part of
the remittances from
emigrants from the
region went into the
Banco di Sconto.
tà di evitare il servizio militare offre
non di rado il pretesto. La meta è
l’America. Gli abitanti delle fasce
costiere e quelli dell’entroterra seguono percorsi migratori diversi: i
primi, che animano i flussi iniziali
dalla metà del secolo, si dirigono
di preferenza nelle terre del Rio de
la Plata; i secondi prendono più
spesso la via degli Stati Uniti.
L’emigrazione, necessaria
valvola di sfogo per una altrimenti
insostenibile pressione demografica, frena la crescita della popolazione nell’ultimo trentennio del
secolo; in talune aree dell’entroterra si registrano saldi demografici
negativi e anche nei comuni costieri l’incremento della popolazione, almeno sino agli anni Ottanta,
è praticamente nullo.
Sono inoltre duraturi gli effetti del “ritorno a casa” di persone e
capitali accumulati all’estero. Chi
ritorna decide in genere di risiedere nelle cittadine costiere, a Chiavari, Lavagna, Rapallo, e nella
stessa Genova. I capitali accumulati all’estero sono investiti soprattutto nell’edilizia o comunque nel
mercato immobiliare. Si acquistano edifici già esistenti, se ne costruiscono di nuovi: a Riva Trigoso
sarà soprannominata “via Dollari”
(“dollari” è la definizione di qualsivoglia somma di denaro di provenienza estera) una strada i cui
edifici sono tutti realizzati coi soli
risparmi degli emigrati.
Altri “dollari” sono investiti
nell’agricoltura: si diffonde un poco la vite, accanto alle colture di
cereali e ortaggi, a spese del bosco; sono più curati i castagneti;
meno selvaggio diviene il paesaggio agrario. Protagonisti di queste
micro-trasformazioni sono emigranti che, tornati in patria, diventano agricoltori-possidenti capaci
finalmente di vivere di rendita. Infine, i “dollari” alimentano la crescita del sistema bancario locale.
Il primo Novecento. Una realtà in
movimento. Diverse sono le evoluzioni dell’entroterra e della fascia
costiera. Il primo è teatro della
crisi e della scomparsa delle vecchie esperienze manifatturiere,
non rimpiazzate da significative
OLTRE LA VALLE 171
Archivio Storico del Banco di Chiavari
iniziative (il decollo del bacino
dell’ardesia della Fontanabuona
rappresenta un’eccezione), e diventa sempre più area da cui attingere forza lavoro. Migliore è la
condizione della costa: la possibilità di percorrere in un’ora e venti
minuti di treno il percorso da Chiavari a Genova crea nuove relazioni
tra il Tigullio e il capoluogo ligure
che diviene un fortissimo polo
d’attrazione per il Chiavarese.
All’inizio del XX secolo si completa la trasformazione avviatasi
nell’ultimo terzo dell’Ottocento.
Il peso dell’agricoltura si riduce progressivamente anche se
nella zona costiera, verso la fine
dell’Ottocento, si sviluppa la floricoltura e prendono campo nuove
coltivazioni di ortaggi e frutta.
Per quanto riguarda l’industria, nel settore dell’ardesia si
effettuano ulteriori investimenti
Massimo Mandelli
L A CA P I TA L E D E L G O L F O D E L T I G U L L I O: I L S U O VO LTO O G G I
172 OLTRE LA VALLE
Primi anni ´ 30. Estate.
Turismo a Chiavari:
stabilimenti balneari
e vele da diporto.
Nella pagina a
fianco: 1913.
Chiavari vista dalle
Grazie. Si riconosce
in basso la
deviazione a monte
della ferrovia per
Genova, appena
realizzata.
Archivio Storico del Banco di Chiavari
nella Fontanabuona: si utilizza l’energia elettrica e si erigono a fondovalle moderni stabilimenti per la
lavorazione del materiale estratto.
Tanto le quantità estratte che il
fatturato crescono considerevolmente in età giolittiana, anche
grazie alle esportazioni di lastre in
Francia, Inghilterra e Germania.
Ardesia, sete e sedie: lavorazioni di nicchia che tengono e talvolta crescono. Nel complesso
prevalgono le aziende di medie e
Early 1930s. Summer. piccole dimensioni accanto alle
Tourism in Chiavari:
quali si segnalano poche intraprebathing
establishments and se davvero industriali. Tra queste
la Fabbrica Nazionale Tubi, nata
pleasure craft.
On the facing page: nel 1905, con stabilimento a Se1913. Chiavari seen stri Levante, il citato cantiere navafrom Le Grazie.
le di Riva Trigoso, il Cotonificio
At the bottom the
deviation upstream Entella, la cui fabbrica a Lavagna
of the railway line for entra in esercizio nel 1908.
Si assiste poi proprio in queGenoa, recently built,
can be recognized. sti anni al sorgere di quella “indu-
Massimo Mandelli
Massimo Mandelli
S
ono 27.000 (il 6% dei quali stranieri) gli abitanti di
Chiavari, terza città della provincia di Genova dopo
il capoluogo e Rapallo per popolazione. Guardando
ancora alla demografia si rileva come l’età media degli
abitanti sfiori i 48 anni e i nuclei familiari siano oltre
13.000. L’agglomerato urbano è situato alla destra del
fiume Entella che qui sfocia al termine della sua piana
alluvionale, dividendo ad est la città dall’attigua Lavagna.
Il centro storico chiavarese appare ben conservato
e caratterizzato dalla presenza dei portici lungo il Caruggio Dritto – (via Martiri della Liberazione) – su cui sin
dalla seconda metà del XIV secolo si affacciavano le dimore delle borghesia cittadina. Non mancano dimore che
ricordano negli stili architettonici magioni sudamericane,
edificate da coloro che emigrati per lunghi anni in Paesi
quali l’Argentina e quindi tornati a casa ne avevano assimilato il gusto. La pur consistente attività turistica, fondata sulle seconde case che rappresentano una parte
cospicua del patrimonio abitativo del comune, non ha
portato a stravolgimenti urbanistici, che hanno invece
segnato negativamente il territorio di alcuni centri vicini.
Sede dell’attività giudiziaria nel Levante della provincia genovese e, dal 1892, della locale diocesi, Chiavari si presenta oggi con un’economia solida e spiccatamente terziaria. Resistono ancora antiche attività quali
la pesca e la rinomata fabbricazione delle famose sedie
di Chiavari (le chiavarine) ideate da artigiani locali a
inizio Ottocento riprendendo modelli francesi. La chiavarina, realizzata con legno di ciliegio e acero bianco e
con la seduta in sottili fili di salice intrecciati a spiga,
non supera i sette etti di peso.
Gravita su Chiavari l’entroterra retrostante la costa
della cittadina, un’area compresa tra la media e bassa
val Fontanabuona, la valle Sturla e la val Graveglia e
storicamente legata al Capitanato di Chiavari, istituito
nel XIII secolo dalla Repubblica di Genova nel Levante
ligure. Sono poi stretti i legami con Genova, facilitati
dalla presenza di un efficiente sistema di collegamenti
infrastrutturali.
Massimo Mandelli
174 OLTRE LA VALLE
Banca Popolare
di Sondrio
AGENZIA
di
CHIAVARI (GE)
Piazza
Nostra Signora dell’Orto
angolo via Doria - 42/B
Tel. 0185 18.78.300
Fax 0185 59.95.25
Massimo Mandelli
stria del forestiero” che in un breve
volgere di tempo assume una notevole importanza. Anche la riviera
ligure di Levante viene scoperta
dal turismo dopo che hanno già
raggiunto una fama internazionale
località del Ponente quali Sanremo
e Bordighera: l’immagine e la realtà di un mondo più appartato e
“genuino”, meno mondano delle
non lontane Costa Azzurra e Liguria occidentale, fanno preferire il
Levante a viaggiatori più sofisticati
e per certi aspetti più elitari. Anche
in questa riviera cominciano a risiedere in modo più o meno stabile sia turisti stranieri sia emigrati
ritornati arricchiti dalle Americhe.
Seguendo il tracciato della linea
ferroviaria da Genova alla Spezia,
il Manual du voyageur di Karl Baedeker illustra i pregi di Portofino,
Santa Margherita Ligure, Rapallo e
Sestri Levante. Il turismo diviene
dunque sempre più “industria”
che produce reddito.
In età giolittiana la Liguria figura al primo posto tra le regioni
d’Italia per ricchezza media per
abitante, con un indice quasi doppio rispetto a quello medio nazionale. Il dato regionale è certo influenzato dal peso di Genova, ma
anche il circondario di Chiavari, col
suo entroterra contribuisce a tale
risultato.
Sono stati fondamentali al
riguardo i capitali provenienti
dall’esterno – le rimesse degli
emigranti e i denari che molti di
essi, tornando, portano con sé;
gli investimenti effettuati da alcuni significativi gruppi imprenditoriali – che si sono affiancati al risparmio locale nella promozione
di iniziative interessanti, prevalentemente il settore terziario:
tutto ciò ha impresso dinamismo
a un territorio ormai uscito da
una condizione di arretratezza e
pienamente inserito in un mondo
in movimento.
Tutti all’appello
a 3.000 metri
per assistere alle lezioni... e non solo di sci
NOTIZIARIO
Momenti
Pirovano
UNIVERSITÀ IULM, QUATTRO
MODI PER DIRE FUTURO
Inserito nella splendida cornice del Parco Nazionale dello Stelvio, l’Hotel
Quarto diventa la sede di workshop e percorsi formativi promossi in partnership dall’università IULM di Milano e Pirovano, la nota Università dello sci
re per mediatori linguistici Carlo Bo, corsi per
l’insegnamento a livello professionale delle lingue straniere.
«Questo accordo con l’Università IULM
rafforza e amplia la missione d’insegnamento
che da sempre ci prefiggiamo: da oltre 50 anni i
nostri istruttori sono, infatti, impegnati a trasmettere ai propri allievi l’apprendimento della
tecnica dello sci sapientemente unito ai principi
morali ed educativi dello sport. Da oggi, qualificati corsi di lingue e comunicazione affiancheranno i nostri tradizionali corsi di sci, in un ateneo esclusivo posto nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio e del Parco Svizzero», afferma
Renato Sozzani, presidente di Pirovano Stelvio.
Quattro Facoltà, cinque corsi di Laurea
triennale, quattro corsi di Laurea magistrale, numerosi Master. L’Università IULM è il polo di
eccellenza italiano per la formazione nei settori
delle lingue, della comunicazione, del turismo e
della valorizzazione dei beni culturali, ambiti
professionali oggi molto ricettivi, oltreché particolarmente stimolanti. A tutti i suoi studenti
l’Ateneo garantisce un imprinting culturale davvero completo e una solida preparazione, elementi fondamentali per inserirsi con successo
nel mondo del lavoro e, cosa non meno importante, per realizzarsi nella vita come persona.
Come? Proponendo percorsi didattici innovativi,
offrendo servizi all’avanguardia, attivando contatti con il mondo del lavoro, incentivando le esperienze di studio all’estero. Ma anche stimolando
gli studenti a frequentare le lezioni, a partecipare
attivamente alla vita universitaria e alle attività
Il rettore dell’Università IULM e il presidente di Pirovano Stelvio spa siglano il Protocollo d’Intesa.
The IULM University rector and chairman of Pirovano
Stelvio spa signing the Protocol agreement.
Turismo, marketing, comunicazione
aziendale. E ancora, pubblicità, nuove tecnologie, lingue straniere. Questi gli ambiti di riferimento dei corsi di formazione proposti dall’Università IULM di Milano in partnership con Pirovano Stelvio (società controllata dal Gruppo
Banca Popolare di Sondrio e nota ai molti come
l’Università dello sci) sulla base di un Protocollo d’intesa firmato il 21 marzo scorso. Assolutamente incantevole lo scenario di riferimento: i
corsi si terranno infatti presso l’Hotel Quarto,
un’attrezzata struttura alberghiera di proprietà di
Pirovano e ubicata nel mezzo del Parco dello
Stelvio, crocevia di lingue, culture e tradizioni.
«Offrire formazione di qualità in un contesto assolutamente straordinario dal punto di
vista paesaggistico: questo l’obiettivo che, in
sintonia con Pirovano, vogliamo centrare. Con
la stipula di questo Protocollo il nostro Ateneo
trova un nuovo partner con il quale condividere,
ad alta quota mi viene da aggiungere, importanti obiettivi formativi», sottolinea Giovanni Puglisi, rettore dell’Università IULM.
Ampia e articolata l’offerta formativa: sono
in via di definizione corsi di specializzazione
della durata di 7 giorni (30 ore) o di 14 giorni (60
ore) focalizzati sui temi della Comunicazione e
della Pubblicità per il non profit, del Tourism
Management e della comunicazione digitale, ma
anche workshop di 2 giorni (formula weekend –
12 ore) centrati sulla gestione della reputazione
online o sulle tecniche per l’ottimizzazione dei
contenuti sui motori di ricerca. In programma,
inoltre, percorsi formativi destinati a manager
del settore turistico e della Pubblica Amministrazione e, in collaborazione con la Scuola Superio-
Archivio IULM
FORMAZIONE AD ALTA QUOTA
MOMENTI PIROVANO 175
The Milanese branch of the IULM University is an
extremely modern and technologically advanced
complex.
dell’Ateneo, offrendo loro adeguate strutture logistiche e garantendo un ottimale rapporto numerico studente-docente.
Quattro Facoltà, si è detto, addentriamoci
in ognuna di esse.
Turismo, eventi e territorio. Di una Facoltà come
questa (e del suo omonimo corso di Laurea
triennale) il sistema turistico italiano ha grande
bisogno. I mercati connessi al turismo hanno
infatti vissuto in questi ultimi anni profonde
trasformazioni, crescendo e palesando potenziali occupazionali enormi. Occorrono però nuove
figure professionali dai profili ben definiti in
possesso di conoscenze (non solo linguistiche)
adeguate. Gli studenti IULM sono chiamati ad
acquisire i saperi e le tecniche per lavorare nella
grande industria del turismo e per valorizzare al
meglio le straordinarie bellezze del nostro Paese.
Interpretariato, traduzione, studi linguistici e culturali. Si rivolge a tutti coloro che hanno un forte
interesse per lo studio delle lingue straniere e che
puntano ad affermarsi nei campi della mediazione
linguistica orale (diventando ad esempio interpreti di conferenza) o scritta (affermandosi ad
esempio come traduttori). Inglese, francese, tedesco e spagnolo, ma anche lingue e culture
nordiche, russo cinese e arabo. Per lavorare
ovunque nel mondo. A questa Facoltà fanno capo
il corso di Laurea triennale in Interpretariato e
comunicazione e il corso di Laurea magistrale in
Traduzione specialistica e interpretariato di conferenza.
Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità.
Gli studenti vengono coinvolti in un percorso
formativo che ha l’obiettivo di fare di loro dei
professionisti della comunicazione. Un’eccellente
e approfondita preparazione teorica nelle aree di
riferimento è completata e integrata da attività
pratiche in laboratorio che consentono allo studente di verificare sul campo ciò che va apprendendo. La Facoltà si articola in più corsi di Laurea, due triennali (in Comunicazione, media e
pubblicità e in Relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa) e due corsi di Laurea magistrale
(in Marketing, consumi e comunicazione e in
Televisione, cinema e new media).
176 MOMENTI PIROVANO
Arti, mercati e patrimoni della cultura. I suoi due
percorsi didattici (il corso di Laurea triennale in
Comunicazione nei mercati dell’arte e della
cultura e il corso di Laurea magistrale in Arti,
patrimoni e mercati, sviluppato in partnership
con La Triennale di Milano) mirano a coniugare
l’interesse per l’arte con due ambiti che caratterizzano l’intera Università ossia quello della comunicazione e quello gestionale. Rispetto alle
lauree tradizionali nel campo artistico e della
conservazione dei beni culturali, questa Facoltà
rappresenta un unicum nel quadro universitario
italiano.
UN CAMPUS ALL’AVANGUARDIA
Sul modello dei campus americani, la sede
milanese dell’Università IULM si presenta come
un complesso modernissimo, tecnologicamente
avanzato e dotato di strutture pensate per dare
spazio allo studio, alla ricerca, ma anche ai momenti di aggregazione. Progettato da Roberto e
Archivio IULM
La sede milanese dell’Università IULM si presenta
come un complesso modernissimo e tecnologicamente avanzato.
Lorenzo Guiducci e ultimato nel 1993, l’edificio
principale di via Carlo Bo costituisce il nucleo
centrale dell’Ateneo. Nel corso degli anni il campus si è allargato: sono nati un giardino e cinque
nuovi edifici che ospitano aule, istituti di ricerca,
la libreria universitaria, la mensa e la residenza
studentesca. Un mosaico di spazi che si completerà con il progetto Knowledge Transfer Centre,
una struttura post-moderna in via di realizzazione
e pensata per favorire lo scambio e la contaminazione di culture e saperi con la città. Al suo interno sorgeranno, tra l’altro, la Torre di Cristallo
(destinata a diventare la sede degli archivi delle
iniziative e delle attività IULM nel campo della
moda, del cinema, della comunicazione) un Auditorium (luogo preposto a ospitare congressi e
eventi culturali).
Via Carlo Bo, 1
20143 Milano
Tel.+ 39 02 891411
www.iulm.it
At 3,000 metres altitude,
all present for the lessons…
and not just ski lessons
A great season, with an “academic” flavour” is
anticipated at the Pirovano.
From 28th May, the Skiing University will have the
great honour of hosting workshops and high-level
training courses with the lecturers of the IULM
(University Institute for Modern Languages) of
Milan. This is thanks to an agreement signed
between the Rector of the prestigious Milanese
University, Giovanni Puglisi, and the Chairman of
Pirovano Stelvio, Renato Sozzani. This excellent
training at a high altitude is an extra something
that is highly qualified and qualifying for clients.
Alongside this important achievement, other
interesting innovations are lined up. The road of
the Stelvio is also to become... a gourmet
chocolate, thanks to the inventiveness of Giovanni
Pilatti, owner and superb pastry chef of the
Valtellina confectionery company ChocoAlpi, whilst
at the Quarto Hotel, sophisticated laser treatment
will be available (for all the athletes) of the
Piantedo Health Centre, directed by Dr. Ezio
Corbellini. There will also be the fantastic descents
in fresh snow, in the Valle dei Vitelli and along the
Madaccio, and the exhilarating adventure of the
“Mapei day”, in mid-July. We look forward to seeing
you on the Pass at 3000 metres above sea level!
Archivio Pirovano
Celerina, Engadina. Tutti in posa per la
X edizione del “Gigantissimo Pirovano”.
Nelle foto piccole: felicità dopo
la discesa... e grinta e determinazione
mentre si “attacca” una porta.
In basso: eleganti “firme” lungo i pendii
immacolati del Ghiacciaio del Madaccio.
IL GIGANTISSIMO
SPEGNE LE PRIME 10 CANDELINE
Celerina, Engadina. Everyone in pose
for the tenth edition of the
“Gigantissimo Pirovano” (the Pirovano
Super Giant). In the small photos:
happiness after the downhill run…
and guts and determination while
“attacking” a gate. Below: elegant
“signatures” along the immaculate
slopes of the Madaccio Glacier.
IN NEVE FRESCA,
INSEGUENDO LA LIBERTÀ
All’apertura dei battenti dell’Università dello Sci (e della prestigiosissima Università IULM,
con i suoi corsi d’eccellenza in alta quota, come
descritto nell’ampio servizio alle pagine precedenti) seguirà, dall’1 al 5 giugno, la “White Fee-
ling”. Un’avventura mozzafiato ed esilarante per
gli amanti del freeride e del fuoripista. Tante
emozioni da vivere a 360 gradi: lunghe discese
fuoripista alla scoperta dei pendii immacolati
della Valle dei Vitelli e del ghiacciaio del Madaccio, naturalmente “in sicurezza”, al seguito dei
maestri Pirovano... sulla scia della libertà!
Archivio Pirovano
Grande festa di compleanno per il “Gigantissimo Pirovano”, gara di slalom gigante svoltasi sabato 12 marzo nello splendido palcoscenico
engadinese. Dieci fulgide candeline, una per ogni
edizione, rilucevano idealmente sulla “torta”
della manifestazione, entrata nell’albo degli appuntamenti sciistici più attesi non solo della
stazione turistica di Celerina ma dell’intera Engadina. Una gara che è anche un’occasione per ritrovarsi e che richiama, di anno in anno, un
pubblico sempre più numeroso e appassionato.
Nell’appuntamento del 2011, poi, si sono toccati
numeri da record. Quasi 300 gli atleti presenti –
tutti frementi e senza distinzione d’età – al cancelletto di partenza per contendersi la vittoria
sulle magnifiche piste della rinomata località
sciistica.
Il miglior tempo femminile l’ha fatto registrare Maria Laura Brancato con 26”52, mentre
Nicolò Pedercini ha tagliato il traguardo con
25”31.
Alla premiazione, svoltasi nel primo pomeriggio, erano presenti quasi 400 persone, fra cui
un’allegra compagine della BPS (SUISSE) composta dal direttore generale Brunello Perucchi, da
Roberto Crameri, responsabile dell’area engadinese, e da Filippo Forcella, direttore di Celerina.
Il sole, purtroppo, si è fatto desiderare (il freddo,
invece, si è fatto sentire, eccome), ma la cosa non
ha certo rallentato o spento l’entusiasmo che l’ha
fatta da padrone per l’intera giornata. La perfetta
organizzazione messa in campo dalla Snow and
Fun Engadin School e dalla Banca Popolare di
Sondrio (SUISSE) SA – e da Pirovano Stelvio,
naturalmente... – ha permesso, ancora una volta,
l’ottima riuscita dell’evento. Allegra, ci si rivede a
inizio 2012.
Archivio Pirovano
della Cima Coppi, la generale atmosfera festosa
che si respira a grandi polmoni, animano questa
giornata così particolare che vede campioni,
amatori, giovani e meno giovani, uomini e donne
– e tutti con differenti preparazioni atletiche –
frementi all’idea di raggiungere “il traguardo” per
antonomasia, il valico, e di celebrarlo. Nell’edizione del 2010 si è pedalato – anche se erano molti
i partecipanti che hanno disputato la mezza maratona – ricordando “Ballero” (al secolo Franco
Ballerini, scomparso tragicamente nel febbraio
2010), che sui tornanti della Grande Montagna si
cimentava da grande campione quale in realtà
era, provando sempre le emozioni della “prima
volta” (scalare lo Stelvio è davvero qualcosa di
mitico). Nella manche del 2011 il pensiero correrà a uno dei registi del Mapei day, anzi, a uno dei
suoi “papà” (insieme al patron Giorgio Squinzi e
alla dinamica Adriana Spazzoli, vera regina
dell’evento): il dottor Aldo Sassi, “il professore”,
direttore generale del Centro Mapei Sport di
Castellanza, tecnico di ciclismo dal 1982 e allenatore di Basso e di Evans. L’amico Aldo, sempre
presente, sempre prodigo di consigli, competente e rassicurante, purtroppo non è riuscito a ta-
ROMBI IN ALTA QUOTA
Domenica 3 luglio il Passo gran protagonista... I rombi dei bolidi a due ruote – e i loro
centauri – torneranno ad animare e a “colorare” i
tornanti della Strada Imperiale dello Stelvio. Organizzato dal Moto Club Sondalo, dopo due anni
di pausa e la parentesi 2010 “aperta” dal Moto
Club Storico Alta Valtellina – che ha fatto registrare la bellezza di circa 2.000 iscritti –, la XXXV
edizione del “Motoraduno Stelvio International” è
attesissimo appuntamento per migliaia di motociclisti provenienti da tutta Europa. Ai 3.000 metri
del valico e all’Albergo Quarto, si accettano già
scommesse, ci sarà un gran bel movimento.
20 chilometri di percorrenza. È una prova per
“duri”, nutrita e condita da forti motivazioni ...che
il Mapei day fornisce sempre, e puntualmente. La
bruciante ansia di ritrovarsi lassù, ai 2.760 metri
VII MAPEI DAY,
AL VIA GLI ALLENAMENTI
178 MOMENTI PIROVANO
In alto: il Passo in uno degli ultimi “Motoraduni”.
Nelle altre foto: alcune immagini riferite al VI Mapei
day, svoltosi l’11 luglio 2010.
Top: the Pass in one of the last “Motorcycle rallies”.
In the other photos: some images from the VIth Mapei
Day, which took place on July 11, 2010.
Mauro Lanfranchi
Il Mapei day, l’evento sportivo (ma non
solo) “clou” della grande stagione Pirovano, andrà in onda, con la sua settima puntata, domenica 17 luglio. La manifestazione è entrata ormai
nel cuore di tutti gli sportivi valtellinesi (ma non
solo di loro) e nella più viva tradizione dello sport
all’insegna dell’amicizia, del divertimeno, della
coralità. È per questo – e per tanti altri motivi –
che l’irrinunciabile kermesse vede accrescere, di
anno in anno, il numero dei suoi aficionados. E
molti fra questi, certamente, staranno già “scaldando i motori” (chi sulle bici, chi correndo, chi
con gli ski-roll e chi praticando il nordic walking)
o programmando severi allenamenti per poter poi
affrontare l’ambita performance che ha come
palcoscenico i quasi 1.600 metri di dislivello che
separano Bormio dal Passo, per un totale di oltre
Archivio Pirovano
A sinistra: Giovanni Pilatti e Renato Sozzani mostrano la squisita tavoletta “Pirovano”. A destra: il dr. Ezio Corbellini e il presidente di Pirovano Stelvio insieme
per il “centro laser più alto d’Europa”.
gliare il traguardo più arduo del suo percorso
terreno. Se ne è andato nel dicembre del 2010,
lasciando nel cuore di tutti coloro che hanno
avuto la fortuna di conoscerlo un sentimento di
grande tristezza, temperato però dal bellissimo
ricordo per quello che Aldo è stato e per quello
che ha saputo fare, con grandi passione, forza,
rigore e, soprattutto con tanta umiltà. Su quei
tornanti che i “suoi” campioni hanno saputo affrontare negli anni con tanta grinta e con una
conquistata – grazie ai suoi preziosi consigli e
alla sua meticolosa “messa a punto” – nonchalance, Aldo sarà presente anche in questa settima
edizione. E spronerà tutti, verso la Cima Coppi.
Grazie, Aldo, per i tuoi insegnamenti e per
quello che hai saputo donare, con amicizia e
professionalità, al folto popolo del Mapei day.
Left: Giovanni Pilatti and Renato Sozzani showing the exquisite “Pirovano” board.
Right: Dr. Ezio Corbellini and the Pirovano chairman together for “Europe’s highest
laser centre”.
UNA STRADA SPECIALE IN UNA
MONTAGNA DI... DOLCEZZA
È proprio la Strada dello Stelvio, con i suoi
arditi e perfetti tourniquets, quella che si snoda
aggrappandosi alla cima della Montagna, sino a
toccarne la sommità, per poi sfociare nel cielo...
Una strada “del sapore e del gusto”, la si potrebbe definire, che campeggia nella tavoletta “Pirovano”, artistica quanto golosissima creazione
che il gran Maestro cioccolataio “Gigi” Pilatti di
ChocoAlpi (So) ha realizzato, ispirandosi allo
Stelvio e all’Università dello Sci.
Il nastro d’asfalto si è così trasformato in
una scia di prelibato cioccolato fondente, mentre
la Grande Montagna che fa da sfondo è fatta di
cioccolato bianco; il cielo sopra, invece, ha il
sapore e il colore del cioccolato al latte. Che
squisitezza!
Il presidente di Pirovano Stelvio, Renato
“Tato” Sozzani, da buon gourmet e goloso quale
è, con sorpresa ed entusiasmo ha accolto questa
invitante e curiosa novità che contribuirà ad ampliare – allietando il palato... – la già ricca offerta
gastronomica che Pirovano offre alla sua clientela.
LASER, QUASI
UN ANAGRAMMA DI RELAX
Aldo Sassi a Bormio nel 2005, sul podio del Mapei day
con Adriana Spazzoli (a sinistra) e Anna Calcaterra.
Doctor Aldo Sassi a Bormio in 2005, on the Mapei
day podium with Adriana Spazzoli (left) and Anna
Calcaterra.
Per chi volesse già mettersi in gioco, si
rammenta di effettuare un click sui seguenti siti:
www.winningtime.com - www.mapei.it
www.popso.it - www.usbormiese.com
Importante novità, sotto il profilo medico e
scientifico, all’interno dell’Albergo Quarto ove
verrà creata una speciale area che ospiterà un
innovativo “centro laser”. Che sarà, senza alcuna
ombra di dubbio, il “centro laser più alto d’Europa”, seguito da uno specialista del settore: il
dottor Ezio Corbellini del “Centro Salute” di
Piantedo (SO), che utilizza attrezzature marcate
“ASALaser”.
Con questa sorta di gemellaggio a tre, la
laserterapia e la carbossiterapia, metodologie
mediche all’avanguardia, nella stagione estiva
2011 saranno quindi al servizio di atleti e di
tutti coloro che desiderano vedere migliorate non
solo le proprie condizioni fisiche e atletiche, ma
anche quelle mentali (chi non ricorda il famoso
detto: mens sana in corpore sano?). La tecnologia laser e la pratica della carbossiterapia, i cui
effetti benefici erano già noti ai tempi di Giulio
Cesare, vanno così ad arricchire il ventaglio di
proposte “extra-sci” che l’Università Pirovano
offre alla sua affezionata clientela. Clientela che
ama lo sport ma che, attraverso nuovi stimoli,
desidera rigenerarsi ad alta quota. In due parole:
soggiorni all’insegna anche (e soprattutto) del
relax.
Positiva l’accoglienza da parte di Renato
“Tato” Sozzani, presidente della Pirovano il quale
ha affermato che «è molto importante per noi
essere in grado di offrire a tutti gli sportivi che
vengono quassù (siano essi sciatori, ciclisti,
surfisti della neve, motociclisti, podisti o amanti
del trekking) l’opportunità di prendersi cura di sé,
di coccolarsi quasi e di migliorare anche le proprie performance grazie all’utilizzo del laser [...]
Pirovano è un centro di eccellenze e [...] questo
accordo arrecherà importanti benefici nel campo
medico-sportivo».
E ne siamo certi. Pirovano da sempre fa
rima con benessere fisico e psichico, sin dalla sua
nascita. Eravamo alla fine degli anni Quaranta del
XX secolo.
Sondrio, via Delle Prese 8
Visitate il nostro sito: www.pirovano.it
[email protected] - [email protected]
Per informazioni e prenotazioni
Tel. +39 0342 210040 - 515450
Fax +39 0342 514685
http://webcam.popso.it