Impressioni di un viaggio in Corsica
Transcript
Impressioni di un viaggio in Corsica
Impressioni di C un viaggio in Corsica Testo e foto di ROBERTO RUOZI Professore emerito presso l’Università “L. Bocconi” in Milano 150 REPORTAGE aro Lettore, un viaggio in Corsica è un’esperienza molto interessante; lo testimoniano non solo quanto ho potuto vedere e gustare la scorsa estate recandomi nell’isola, ma anche e soprattutto gli scritti dei numerosissimi personaggi che l’hanno visitata nel corso dei millenni. Michel Vergé-Franceschi ne ha fatto un’antologia i cui capitoli fondamentali riguardano i viaggiatori dell’antichità, quelli dell’Ottocento e quelli più vicini a noi. I loro ricordi sono diversi e concernono innanzittutto i contatti con le persone e l’incontro con la natura, che in Corsica è straordinariamente ricca. L’isola offre al visitatore un mare purissimo dai colori strabilianti, che si mescolano con quelli delle rocce là dove si infrangono le onde e con quelli delle spiagge sulle quali esse vanno a placarsi. Ci sono poi i colori delle montagne impervie, sempre verdeggianti e cariche di alberi e di una tipicissima macchia, la quale rappresenta la quintessenza e l’esaltazione della vegetazione mediterranea. I colori colpiscono i sensi in modo violento. Dominano l’azzurro, o meglio gli azzurri, i verdi, i rossi e i gialli, cioè praticamente tutti i colori, che cambiano nel corso della giornata e della stagione a seconda della luce del sole e della luna e del filtro delle nubi. Ai colori della natura si sommano quelli dipinti dall’uomo, che nella natura ha inserito armonicamente le sue opere, senza fare violenza né al paesaggio né all’ambiente, rispettando la mano dell’Invisibile al cui volere, consciamente o meno, si è inchinato. In quella natura e in quei colori è nato, è vissuto e vive tuttora il popolo corso, nei riguardi del quale Seneca, che fu esiliato sull’isola nei primi decenni dell’era cristiana, si espresse molto duramente affermando che la sua prima legge era la vendetta, la seconda la rapina, la terza la menzogna e la quarta la negazione degli dei. Certo Seneca doveva avere il dente avvelenato contro il luogo poco ospitale nel quale era stato confinato, ma è certo che i corsi dovevano essere già allora un popolo duro, tanto è vero che i romani non si avventurarono mai oltre la costa, dove peraltro fondarono importanti città. Aléria è una di queste e arrivò ad ospitare oltre 20.000 abitanti. Oggi le sue rovine sono modeste anche se il sito in cui si trovano è molto suggestivo e profondamente romantico. I resti dell’antico foro riposano all’ombra di alberi verdissimi. La stragrande maggioranza della vecchia città deve tuttavia essere ancora scavata e scoperta ed è possibile che possa offrire Una baia nei pressi sorprese di grande rilievo. di Calvi e, nella Unico neo della visita alla città romana è stato l’incredibile pagina a fianco, una torre genovese orario di apertura del sito e l’insi- tipica a guardia del mare. pienza dei guardiani che ne hanno voluto un’applicazione rigidissima The bay near Calvi assolutamente incoerente con le and on the facing tradizionali leggi dell’ospitalità. page, a typical Genoese sea Càpita! Dato tuttavia che non tutti watchtower. i mali vengono per nuocere, aspettando di entrare per vedere le rovine ho passato un po’ di tempo ammirando vecchie case nelle quali il tempo sembra non passare mai. Poi mi sono fermato in una NOTIZIARIO specie di bar dove un burbero oste mi ha servito un ottimo panino contenente un saporito prosciutto Reportage corso. Lì ho fatto conoscenza con un gruppetto di agricoltori simpaticissimi che mi hanno raccontato le Le rovine romane loro avventure. Uno di essi, originadi Aléria. rio di Montpellier, era finito in Algeria da dove era dovuto rientrare Roman ruins in Aléria. per i noti motivi politici connessi con la crisi franco-algerina e si era rifugiato in Corsica, dove era stato ben accolto e aveva ricominciato una nuova vita di cui sembrava molto soddisfatto. Abbiamo condiviso un buon pastis che qui non manca mai. La Corsica ha svolto una funzione importante nel rimpatrio dei cosiddetti pieds noirs, che hanno modernizzato l’agricoltura dell’isola e hanno posto le basi per i successi che essa sta oggi ottenendo. La Corsica ebbe una funzione importantissima anche nella storia della Legione straniera, che qui installò alcune delle sue basi più importanti. Ora queste sono state fortemente ridimensionate, ma alla periferia di Calvi è ancora di stanza il 2° Reggimento paracadutisti, che si è coperto di gloria in tante occasioni. Passeggiando per la città è normale incontrare i legionari con i loro chepì bianchi, che tanti ricordi sollevano in coloro che, come il sottoscritto, sono rimasti fedeli alla storia e hanno sempre considerato i caduti per la patria – che nella Legione assume connotati del tutto particolari – degli eroi sfortunati di cui è doveroso serbare memoria. A Bonifacio i vecchi quartieri della Legione sono invece in via di smantellamento e lasceranno spazio a nuove costruzioni che si spera non offenderanno un ambiente così bello come quello attuale. Mi rendo conto che sto divagando ed è opportuno che riprenda il discorso su Aléria, la quale, dopo secoli di oblio, è tornata d’attualità nel 1975 quando un gruppo di indipendentisti si impadronì di un’azienda vinicola di proprietà di Impressions of a trip to Corsica The nature and the character of Corsica’s inhabitants are typical. Seneca, who was here in exile, could not stand the people here: revengeful, thieving and liars. In addition, although today it is considerably weaker, the pride in an independent spirit dates back a long time. Pasquale Poli, the leader of the claim for independence in the 18th century is a recognized hero. The other great figure from this land is naturally Napoleon, who was more inclined towards Corsica being annexed to France. Many leading figures of European culture have spent time here, with different experiences: Flaubert, Hugo, Balzac and Daudet. The splendidly rugged coastline of Capo Corso has many watchtowers built by the Genoese to look out for pirates and Saracens. REPORTAGE 151 coloni francesi da poco rimpatriati dall’Algeria, vi si asserragliò e ingaggiò una vera e propria battaglia contro le forze dell’ordine repubblicane provocando morti e feriti. L’episodio è dettagliatamente descritto da Jean-Paul Delors e Stéphane Muracciole nel bel libro intitolato Corse. La poudrière, rappresenta il momento più tragico della lotta degli indipendentisti, che negli ultimi decenni si sono fortunatamente trasformati in autonomisti e hanno abbandonato la violenza scegliendo l’arma del dialogo e dell’iniziativa politica. Sopravvivono alcuni irriducibili, come si può constatare guardando i muri su cui stampano i loro slogan, ma non incutono più paura. Il destino della Corsica, dal punto di vista dell’indipendenza e dell’autonomia è peraltro infelice. Che si tratti di un popolo con caratteristiche particolari anche se non sempre omogenee è indubbio. Che esso abbia lottato per secoli al fine di ottenere la sospirata indipendenza contro tutti i poteri ai quali è stato sottomesso è altrettanto indubbio. Che i risul- 152 REPORTAGE Una scritta autonomista. Autonomist writing. Il vecchio porto di Bastia visto dalla nave. The old port of Bastia seen from a ship. tati attesi siano stati modestissimi e che ormai il discorso sia chiuso nei princìpi e aperto solo per qualche aspetto pratico seppure importante, come l’autonomia amministrativa e la questione dell’insegnamento della lingua corsa, è la pura verità. È comunque comprensibile ed anzi auspicabile che i corsi facciano di tutto per valorizzare le loro tradizioni e i punti fermi della loro civiltà. In questo senso qualche risultato è già stato acquisito. Posso portare l’esempio della musica e del canto, che ha fatto rinascere numerosi gruppi e complessi polifonici tradizionali, come il “Meridianu in giro”, che ho ascoltato mentre si esibiva nella piazza del mercato di Bastia affollata di gente interessata e plaudente, ma purtroppo composta in gran parte da persone non giovanissime. La musica e i canti corsi ricordano il fado e le canzoni di Ornella Vanoni e di Fabrizio De André. Tristezza di fondo, ricordi lontani, musica dolce che fa meditare. Sull’indipendenza della Corsica i grandi personaggi che hanno illustrato l’isola non sono sempre stati d’accordo. I più importanti fra essi, Pasquale Paoli e Napoleone Bonaparte, hanno ad esempio affrontato il problema in modo diverso. Il primo di essi fu paladino dell’autonomia, che sotto la sua guida si esaltò in un breve periodo di indipendenza nel XVIII secolo. Il secondo fu invece deciso fautore dell’unione della Corsica alla Francia e si adoperò a fondo per il raggiungimento del suo obiettivo. In Corsica tutto parla di Pasquale Paoli, di cui si conserva anche la casa natale in Castagniccia, verdissimo borgo inserito in lussureggianti castagneti i cui frut- ti furono per secoli la fonte fondamentale di sostentamento dei pastori corsi. Oggi Castagniccia è diventata famosa anche per l’acqua minerale che vi sgorga e che è veramente eccellente sia nella versione naturale sia in quella frizzante. Il ricordo di Paoli è vivo anche a Corte, che fu capitale dello Stato corso nel periodo dell’indipendenza e che conserva ancora l’austero palazzo dove aveva sede il governo dell’epoca. Corte è una bella cittadina, rianimata dall’università recentemente costituita e frequentata da una massa di studenti il cui numero supera quello della popolazione residente. Situata al centro dell’isola, in un ambito tipicamente montano incontaminato, è profondamente cambiata nel corso degli ultimi anni, ma è rimasta abbarbicata su uno sperone roccioso sormontato da una minacciosa rocca risalente al XV secolo. Corte è forse la città che meglio di ogni altra rappresenta le tradizioni (anche gastronomiche) e l’animo corso. Non è un caso che mi sia stata servita proprio qui un’eccellente scaloppa di cinghiale con funghi e castagne annaffiata da un aspro vino delle verdi e impervie valli locali. Quanto invece all’animo del popolo corso, esso è tipico delle genti dell’interno che hanno vissuto isolate per millenni, che hanno sempre combattuto per essere quello che sono e che sono fatalmente diventate dure. Non per nulla sul bianco vessillo corso è raffigurata la testa di un capo pira- ta moro che in una battaglia con Una vecchia le popolazioni locali fu sconfitto e cartolina di Corte decapitato. La sua testa mozzata risalente agli anni Trenta del secolo dipinta sul vessillo è sempre stata scorso e, a destra, il un chiaro monito a tutti coloro che palazzo del governo non conoscevano i corsi e che si di Pasquale Paoli illudevano di poterli vincere e sot- nello stesso centro. tomettere facilmente. An old postcard Di Napoleone Bonaparte è depicting Corte invece piena di ricordi Ajaccio, dating back to the moderna capitale della Corsica. La and right, the casa natale dell’imperatore dei 1930s Pasquale Paoli francesi è stata trasformata in government building museo, che in verità avrebbe potu- in the same centre. to essere meglio attrezzato e gestito se si fosse voluto onorare degnamente il grande corso. Non vi sono altre sue fondamentali testimonianze sull’isola, dalla quale del resto egli partì giovanissimo per andare a frequentare una scuola militare in Francia. Ritornò in Corsica a varie riprese sempre per periodi piuttosto brevi e dall’isola fuggì precipitosamente con tutta la famiglia quando entrò in conflitto con Paoli e fu inseguito dai seguaci di quest’ultimo. A Calvi una targa ricorda la casa dove, nella fuga, egli sostò ospite del suo padrino. Successivamente la presenza di Napoleone in Corsica si limitò ad una fuggevole sosta nel ritorno dalla spedizione d’Egitto, di cui non resta alcuna traccia concreta. Statue dell’imperatore dominano comunque le principali piazze delle maggiori città dell’isola. In Corsica sono giunto con un traghetto partito dal porto di Genova. Il viaggio è stato piacevolissimo, allietato da un gran sole e da una brezza sottile. Giusto un’espe- rienza contraria a quella quasi drammatica descritta in un famoso racconto di Gustave Flaubert, passeggero infelice di una piccola imbarcazione che da Tolone raggiunse Bastia attraversando una sconvolgente tempesta che tormentò non poco il grande romanziere francese. Il suo soggiorno sull’isola fu invece piacevole e curioso. Incontrò un mondo a lui sconosciuto, con regole e costumi originalissimi, in un’atmosfera di grande accoglienza. L’ospitalità corsa è stata proverbiale nei secoli. Oggi tutto è cambiato, ma il sorriso della gente e il loro calore non mancano quasi mai e tutti fanno del loro meglio per accoglierti. Flaubert non fu l’unico grande scrittore dell’Ottocento che ha soggiornato nell’isola. Di questa ha lasciato tracce indimenticabili anche Prosper Mérimée, i cui scritti fecero conoscere all’Europa un mondo che era sempre stato chiuso su se stesso e che era ignoto ai più. Così ha fatto anche Alphonse Daudet, che ci parla del suo soggiorno nei pressi del faro dell’isola Sanguinaria vicino ad Ajaccio. Pure Victor Hugo e Honoré de Balzac soggiornarono qui. Il primo abitò con il padre in gioventù (1803-05) nella piazza Santa Maria di Bastia e il secondo fu ospite veloce, nel 1838, in via Corbuccia nella stessa città. Il giudizio di questi scrittori sull’isola è vario. Alcuni se ne sono veramente innamorati e ne parlano in modo entusiasta. Balzac scrisse invece in proposito frasi feroci. REPORTAGE 153 Ma ritorniamo a Bastia per ricordare che, vista dalla nave, appare tranquilla, mollemente adagiata sulle pendici delle colline che si innalzano dal mare verso l’interno. La cittadella domina la parte vecchia della città e l’antico porto oggi è diventato rifugio di piccoli natanti. Attorno al porto si trovano numerosi ristoranti in cui si possono gustare eccellenti vini corsi (bianchi, rosati e rossi) insie- La rocca di Corte; in basso, la casa di Napoleone ad Ajaccio. The Corte fort; below, Napoleon’s house in Ajaccio. me con delicati piatti di pesce che comprendono le aragoste, che qui si pescano facilmente, ma anche i più tradizionali pesci mediterranei che popolano le acque corse come quelle di tutte le altre località del vecchio Mare Nostrum. Quanto alla produzione vinicola corsa, colgo l’occasione per ricordare che si tratta di un’attività antica, per la quale l’isola fu famosa in Europa già nel Medioevo quando i suoi vini cominciarono ad essere esportati nel continente soprattutto per il beneficio dei raffinati palati italiani e francesi. Le vigne sono del resto parte integrante del paesaggio corso e sono disseminate un po’ dappertutto. Sono molto belle soprattutto quelle digradanti verso il mare. Ma ritorniamo a Bastia dove, al tramonto, la cattedrale di San Giovanni Battista, patrono della città, assume toni dorati e dà al porto uno sfondo molto suggestivo. Una bella visione del porto si ha anche dalla cittadella, in cui è stato recentemente aperto un piccolo museo: vi si trova una curiosa statua lignea di sant’Erasmo, protettore dei marinai, raffigurato infatti a cavallo di una nave. A Bastia non c’è molto altro da vedere. È comunque interessante il vecchio negozio stile liber- ty della prestigiosa casa vinicola Mattei, il cui proprietario inventò il Cap Corse, aperitivo simile al nostro vermout, che ebbe in passato un grande successo e che è attualmente in fase di rilancio. Le bevande alcoliche, che comprendono anche la produzione di eccellenti grappe, fra le quali spiccano quelle di mirto e quelle di castagne, sono uno dei punti forti della produzione agroalimentare corsa. Vi si produce anche il whisky, introdotto nell’isola negli anni Novanta del secolo scorso. Si tratta di una produzione limitata, ma di qualità, che si basa sull’ottima acqua locale e su orzo francese. L’invecchiamento avviene in botti di rovere che danno morbidezza e aromaticità al distillato. Non so quanto successo potrà avere il whisky corso sul mercato mondiale, ma è certamente buono e la sua qualità può ancora migliorare anche per il previsto utilizzo di cereali autoctoni. Da Bastia si parte per un giro di eccezionale interesse panoramico, quello del Capo Corso, cioè della parte più settentrionale dell’isola, che va a formare il cosiddetto “dito” proteso verso le coste della nostra riviera. Una tortuosissima strada, non sempre in perfette condizioni e poco adatta al traffico odierno, consente di fare l’intero giro della penisola, offrendo visioni da sogno. Qui trovano grande soddisfazione i motociclisti e gli amanti della bicicletta, i quali sono numerosissimi, così come sono numerosissimi anche i giovani che, muniti di buone scarpe, di un sacco a pelo e di uno zaino pieno di chissà che cosa, girano la Corsica in lungo e in largo assaporandola meglio degli automobilisti frettolosi, fra i quali purtroppo devo mettermi anch’io. Il Capo non è molto popolato e le sue coste sono separate da rilievi montuosi selvaggi che emanano una straordinaria sensazione di pace. Tali coste sono ricche di torri d’avvistamento facenti parte di un complesso ed efficiente sistema di difesa costruito dai genovesi nei diversi secoli in cui combatterono i corsari e i saraceni che cercavano in Bastia: la cattedrale di San Giovanni Battista, la statua di Napoleone e il vecchio porto. Bastia: the cathedral of Saint John the Baptist, the statue of Napoleon and the old port. ogni modo di saccheggiare i villaggi dell’isola. La natura è intatta. I colori e i profumi intensi. Incontri poca gente anche perché la popolazione corsa, qui e nel resto dell’isola, o si è inurbata nelle grandi città o rimane confinata nei villaggi persi nel verde, isolati gli uni dagli altri, dove la vita ha se- REPORTAGE 155 gnato per secoli gli stessi ritmi a dispetto di tutto quello che è accaduto nel mondo. Dopo la salita verso nord, si ammira l’isola della Giralda, che sembra dialogare con Capraia sdraiata ad oriente, e si scende sul lato occidentale del capo per fare una sosta al simpatico villaggio di Saint Florent, tipico antico borgo marinaro che conserva intatto il suo stile originario. Nella parte alta del borgo vi è una grande piazza sul cui sfondo spicca una cittadella di forma circolare con due grandi torrioni concentrici, fondata dai genovesi nel XV secolo. Dalle mura della cittadella si domina il borgo marinaro adagiato sulle acque azzurre del golfo. Alla periferia di Saint Florent si può visitare un eccezionale monumento romanico giunto miracolosamente intatto fino ai nostri giorni, almeno nelle sue strutture esterne. Elegante e austera allo stesso tempo, la cattedrale del Nebbio ha origini romanico-pisane e presenta quel colore giallo dorato della pietra calcarea di queste parti, messa ancor più in risalto dalla luce del sole nel luogo solitario in cui è stata costruita. Ancora più isolato è un altro monumento, forse il più bello e il più appassionante dell’isola. Alludo alla chiesa di San Michele di Murato, località che si raggiunge facendo una piccola deviazione sulla strada del ritorno verso Bastia. È una piccola chiesa medievale bicolore come quelle pisane alla cui architettura è sicuramente ispirata. Ha bellissime finestre goti- 156 REPORTAGE che, uno slanciato campanile quadrato che domina l’ingresso, dove appaiono alcune sculture tipiche dell’epoca effigianti personaggi sulla cui identità esistono ancora molti dubbi. Al momento della mia visita sul vasto prato verde che la circonda vagava qualche asino e pascolavano alcune pecore. Accanto a San Michele, all’ombra di un grande albero, c’è una fontana da cui sgorga un’acqua freschissima. La Corsica è ricca di fontane di questo genere che incontri un po’ dappertutto e che ristorano i viaggiatori, specie nelle calde giornate estive. Da Bastia a Calvi le strade non sono molto diverse da quelle del Capo Corso. Si attraversano ambienti insieme marini e montani, fra i quali il cosiddetto deserto delle Agriates, chiamato deserto non per la sua natura geologica ma perché, per lunga e ignota tradizione, non è mai stato abitato dall’uomo. Ci devono invece essere molti animali visto che vi ho incontrato numerosi gruppi di cacciatori che lasciavano le loro automobili per avventurarsi nella macchia. A proposito di animali, si vedono tanti falchi, che dall’alto del cielo volano scrutando terra e maLa cittadella re per precipitarsi sulle prede madi Saint Florent e, laugurate che non hanno la minisotto, la cattedrale ma possibilità di difendersi. Due del Nebbio. bellissimi falchi giravano anche su San Michele di Murato accentuanThe Saint Florent do il ricordo del Medioevo in cui citadel and below, the Nebbio cathedral. forse sarebbero stati utilizzati dai signori locali per un tipo di caccia indubbiamente più intrigante di quella di oggi. Calvi è un vasto borgo in riva al mare, con un grande porto e una importante cittadella che lo sovrasta. La sera c’è grande animazione e le mille luci del lungomare si specchiano nell’acqua insieme con i riflessi della luna. Calvi è profondamente mutata nel corso degli anni e ha dedicato un monumento a Cristoforo Colombo che la tradizione locale vuole sia nato qui. Sui natali del grande navigatore esistono del resto le storie più incredibili e questa non è molto più strana delle altre. Da Calvi si riparte verso Ajaccio. Il viaggio è ancora bellissimo. Le strade sono sempre più o meno uguali, ma il paesaggio muta in continuazione e i colori sono forse ancora più vivi che nel resto dell’isola. Si sale e si scende sempre fra mare e montagna. Si superano vari colli come quelli della Palmarella, della Lava e della Croce. Si ammira il golfo della Girolata con sponde rocciose color rosso vivo, lo stesso colore che domina i calanchi di Piana, che vengono subito dopo. I calanchi sono scoscese rocce granitiche forgiate nelle forme più strane, quasi sempre in verticale, dall’opera millena- ria del vento e del mare. Alcune di esse ricordano immagini misteriose, come quelle che si intravedono quando si guardano le rocce o le nubi e si interpretano le loro forme secondo ciò che passa per la mente. Si vedono così cose che non esistono affatto e che soprattutto gli altri non vedono per nulla. La vista dei calanchi è comunque un vero e proprio spettacolo, non sempre gustabile appieno per la troppa gente che vi si trova. È forse l’unico posto in cui ho incon- trato folle di persone trasportate da giganteschi autobus che non sono certo il veicolo più adatto a queste strade nelle quali sostano con difficoltà creando ingorghi fastidiosissimi. Ajaccio è anch’essa una città marinara caratterizzata dalla solita cittadella e offre al visitatore, oltre alla casa dell’imperatore e alla chiesa in cui egli fu battezzato, un edificio imperiale ideato da Napoleone III come cappella funeVeduta d’insieme raria per la famiglia Bonaparte. È e un dettaglio da tempo chiuso per restauri e architettonico quindi non visitabile. È invece visidella chiesa di San tabile e vale la visita il Museo Michele di Murato. Fesch, voluto dal cardinale zio di An overall view and Napoleone che fu uno straordinaarchitectural detail of rio collezionista soprattutto di the church of Saint opere italiane. Vi figurano, fra gli Michel in Murato. altri, dipinti di Giovanni Bellini, Cosmé Tura, Jacopo del Sellaio, Sandro Botticelli, Pietro da Cortona e Tiziano. Di quest’ultimo il museo ospitava una mostra temporanea che esibiva un certo numero di interessanti ritratti. Nella città ho potuto gustare l’essenza della cucina corsa, basata fondamentalmente su carne di Calvi maiale e di agnello e su formaggi si presentava così di latte bovino, caprino e ovino. Il nei primi decenni maiale è assai diffuso nell’interno del Novecento. dell’isola, dove ancora oggi vive allo stato libero nutrendosi di Calvi as it once appeared in the first ghiande, castagne e bacche aromatiche. La sua carne è trasfordecades of the mata in insaccati di pregio, come 1900s. il prosciutto, dolce e secco nel contempo, la lonza con stagionatura minima di tre mesi, la coppa più o meno uguale alla nostra e numerose varietà di salsicce speziate con erbe della macchia. Quanto ai formaggi, a parte il famoso brocciu, che dovrebbe essere prodotto solo in determinate stagioni e che invece viene servito sempre non si sa bene come, vi sono dei buoni pecorini anche di tipo dolce. Da Ajaccio inizia la discesa verso Bonifacio, gioiello fortificato dal quale si vedono le coste della Sardegna. Possiede un romanticissimo cimitero dei pescatori dal quale si può ammirare una straordinaria vista del mare sottostante. Bonifacio è molto affollata e conti- REPORTAGE 157 nuamente percorsa da un fastidiosissimo trenino carico di turisti che diventa per il pedone una vera ossessione. Il panorama che si vede nel trasferimento è meno entusiasmante rispetto a quello incontra- 158 REPORTAGE Calvi: la cittadella fortificata e il monumento a Cristoforo Colombo. Calvi: a fortified citadel and a monument to Christopher Columbus. to fino ad Ajaccio, ma comunque sempre bello. Ho fatto due fermate. La prima per vedere da vicino il villaggio di Sollacaro, tipico borgo corso isolato immerso nel verde, in cui è stato ambientato il fantastico romanzo I fratelli corsi di Alexandre Dumas, una delle più interessanti e appassionanti narrazioni di vita corsa. Esso offre un’immagine indelebile di quello che doveva essere l’isola nell’Ottocento, così come è stata ritratta anche da Prosper Mérimée nel racconto Mateo Falcone e nella novella Colomba. Quanto tempo è passato e come è cambiata la Corsica, che oggi si presenta (almeno ad un osservatore esterno come il sottoscritto) in veste assai meno ispirata alla sua tradizione e in via di omogeneizzazione spinta con altri popoli e altre genti nonostante i molti e reiterati tentativi di conser- vare l’identità storica. È comunque strano che per conoscere la Corsica occorra in ogni caso ricorrere ad autori francesi. La letteratura dell’isola infatti è piuttosto avara e mancano i grandi scrittori. Gli autori corsi non hanno del resto mai raggiunto una vera audience internazionale. È tuttavia vero che, sapendo leggere attentamente i loro scritti, come quelli di Anna Maria Corbara (Je saurai vivre sans toi) e di Marie Susini (Je m’appelle Anna Livia), lasciano intendere assai bene l’essenza dell’animo corso e il modo di sentire e di pensare della gente dell’isola. La seconda fermata del mio percorso ha avuto luogo vicino a Sollacaro ed è stata dedicata alla visita dello straordinario complesso archeologico preistorico di Filitosa, il più ricco dell’isola. Qui le scoperte degli studiosi stanno ri- portando alla luce molti siti che testimoniano le diffuse antichissime origini della civiltà corsa. Quello di Filitosa è un parco archeologico molto grande, costellato di stele su alcune delle quali sono scolpiti visi umani. Vi sono vari allineamenti di tali stele e anche qualche altare complesso perfettamente integrato nella natura circostante. Luogo pieno di fascino e di mistero, interpretabile con difficoltà anche per gli studiosi, Filitosa accompagna il visitatore con un eccellente impianto audio situato lungo tutto l’itinerario consigliato. Una dolcissima musica minimalista è diffusa nel percorso in modo discreto e rende il luogo ancora più affascinante. Dopo aver fatto sosta a Bonifacio il viaggio è proseguito per Corte e finalmente per Bastia, da dove il solito traghetto veloce, ancora con un mare calmissimo e un cielo assolato, mi ha riportato a Genova e quindi a casa. Quello che ho raccontato è ciò che ho visto, non ha certo la pretesa di offrire un’immagine completa di quest’isola, la cui visita richiederebbe un tempo assai più ampio di quello di cui disponevo io. Due cose soprattutto non ho ammirato con la necessaria tranquillità: le spiagge disseminate praticamente lungo tutta la costa, che ho visto solo fuggevolmente, e le montagne dell’interno, dove esistono eccellenti percorsi per gli Sopra: roccia a forma di testa di cane nei calanchi di Piana e uno dei grandi altari di Filitosa. Sotto: la baia e il cimitero dei pescatori a Bonifacio. amanti del trekking, che portano fin oltre i 2.500 metri di altezza fra boschi, rocce ed acque che pare siano di sogno. Il rimpianto per quanto non sono riuscito a vedere può tuttavia essere lo stimolo per riprendere il traghetto, magari con attrezzature e amici diversi, per Above: a rock scoprire altre meraviglie. resembling a dog’s Nell’attesa di ritornare e dehead in the Piana scrivere un nuovo viaggio in Corsicalanques and one of Filitosa’s great altars. ca, ti ringrazio della solita attenzioBelow: the bay and ne e ti abbraccio con vivissima cordialità. the fishermen’s cemetery in Bonifacio. Il tuo Roberto Ruozi REPORTAGE 159 Allevare correttamente una tartarughina acquatica Medico veterinario I RETTILI “DA COMPAGNIA” IN ITALIA Nel gruppo degli animali cosiddetti da compagnia o d’affezione che vivono nelle case degli italiani sono compresi anche i rettili (inclusi nella categoria degli “animali da terrario”), che assommano – secondo quanto indicano le ultime stime demografiche (soggetti ufficialmente denunciati) – a 1.000.000/ 1.500.000 individui. A questo proposito, vale la pena di sottolineare come, secondo fonti ufficiose, le tartarughe non denunciate siano in Italia addirittura sei milioni di esemplari. I rettili più allevati nel nostro Paese sono le iguane, i camaleonti e i gechi (tutti appartenenti all’ordine zoologico degli Squamati, sottordine dei Sauri), taluni serpenti (ordine degli Squamati, sottordine degli Ofidi) e – soprattutto – numerose specie di tartarughe terrestri e acquatiche. I rettili sono vertebrati eterotermi (più comunemente detti “a sangue freddo”) che, attualmente presenti in tutte le regioni temperate e tropicali del pianeta su cui viviamo, si sono, dal punto di vista evolutivo, sviluppati sul finire del Paleozoico (cioè alcune centinaia di milioni di anni orsono) a partire da un gruppo di anfibi primordiali. La scelta di un rettile come animale d’appartamento implica senza dubbio non solo l’allestimento dell’habitat ideale (generalmente ricostruibile nell’ambito di strutture note come terrari oppure – nel caso delle tartarughine acquatiche – acquaterrari o Correctly raising a turtle According to statistics, there are well over a million terrarium animals, including as pets, in Italy. There is a particular preference for tortoises or turtles, but it is very important to know how to prepare an ideal habitat for them: this is the only way to ensure that they can enjoy a life of up to a couple of decades in the best conditions. It must not be forgotten that turtles are so intelligent that they can recognise the person looking after them. Their diet is mainly vegetarian, although periodically they should be given some proteins: perhaps in the form of live prey, to stimulate the animals’ hunting instinct. 160 GLI AMICI DELL’UOMO terracquari), ma anche l’acquisizione di tutta una serie di conoscenze sul loro allevamento domestico, NOTIZIARIO inclusi gli aspetti anatomici, fisiologici, etologici, alimentari, riproduttivi e così via. Si tratta, infatti, di specie per certi versi alquanGli amici to delicate, che risentono in maniera determinante dell’uomo degli errori gestionali dovuti all’inesperienza o all’improvvisazione. Ciò vale a maggior ragione per le tartarughine acquatiche, troppo spesso vendute frettolosamente a ignari acquirenti, cui viene fatto credere che per mantenerle a lungo in buona salute sia più che sufficiente alloggiarle in una vaschetta di plastica (maLe tartarughine del gari con tanto di palma finta posizionata nel centro) genere Trachemys si parzialmente riempita di acqua del rubinetto e somadattano molto bene ministrare loro esclusivamente gamberetti essiccati alla vita all’aperto o congelati. anche alle nostre Per questo motivo non è mai eccessivo o fuori latitudini. luogo ricordare ancora una volta che ospitare in casa un animale (soprattutto nel caso di un rettile) non Trachemys turtles costituisce una scelta da affrontare a cuor leggero, adapt very well to in quanto implica sempre e comunque dei doveri e outdoor life in our delle responsabilità nei suoi confronti. latitudes. Massimo Tognolini PIERO M. BIANCHI Fotolia ZOOLOGIA DELLE TARTARUGHE: UN SOLO NOME PER TANTE SPECIE Paleontologi e zoologi hanno evidenziato come le tartarughe rappresentino forme di vita molto antiche. Convenzione di Berna (ambito europeo) si occupano della tutela di molte delle famiglie precedentemente citate, tant’è vero che la detenzione di numerose specie, così come la nascita dei nuovi esemplari, vanno notificate al Corpo Forestale dello Stato. Tra le specie acquatiche comunemente allevate Palaeontologists and in appartamento, le più diffuse in Italia sono quelle che fanno parte del genere Trachemys, originario zoologists have emphasized how delle regioni sud-orientali degli Stati Uniti d’America. Fotolia Il termine “tartaruga” comprende in realtà circa 250 differenti specie zoologiche, tutte appartenenti alla classe dei rettili e all’ordine dei Testudines. Quest’ultimo è a sua volta suddiviso in due sottordini: i Criptodiri (animali che ritirano la testa nel guscio con un movimento telescopico del collo) e i Pleurodiri (animali che ritirano la testa nel guscio turtles represent very ancient life forms. piegando il collo lateralmente). CENNI DI ANATOMIA, Al primo sottordine, poi, appartengono quattro FISIOLOGIA ED ETOLOGIA superfamiglie: i Testudinoidi (di cui fanno parte le famiglie degli Emydidi – che comprende da sola circa La tartarughina dalle orecchie rosse (Trachemys la metà delle specie totali –, dei Testudinidi – che scripta elegans), la specie più rappresentativa del raggruppa la maggior parte delle tartarughe terrestri genere Trachemys, ha colorazione verde/gialla su cui – e dei Betaguridi), i Tryonicoidi (di cui fanno parte le La vista di questi spiccano due chiazze allungate di colore rosso tra famiglie d’acqua dolce dei Carettochelidi e dei Tryoanimali è occhi e collo. Nel nostro Paese è altresì comune la nichidi o “tartarughe dal guscio molle”), i Chelonioidi particolarmente Trachemys scripta scripta, che è del tutto simile alla (di cui fanno parte le due famiglie di tartarughe maacuta, mentre le rine dei Chelonidi e dei Dermochelidi) e dei Kinoster- orecchie mancano precedente, fatta salva la mancanza delle macchie sia di padiglione rosse ai lati della testa. Questi animali, nel momennoidi (di cui fanno parte le famiglie dei Dermatemydiauricolare sia di to in cui vengono acquistati dai rivenditori, hanno di e dei Kinosternidi o “tartarughe del fango”). condotto uditivo approssimativamente la dimensione di una grossa Al secondo sottordine, invece, appartengono esterno e la bocca, moneta, ma nel corso della loro vita crescono protre famiglie di tartarughe d’acqua dolce: i Pelomedupriva di denti, è gressivamente fino a raggiungere i 30 cm di lunghezsidi, i Chelidi e i Podocnemididi. foggiata a becco za e i 25 cm di diametro. Esiste, inoltre, la famiglia dei Chelydridi o “tard’uccello. La morfologia, al pari di quella di tutte le tartatarughe azzannatrici”, che viene considerata a sé The animal’s sight is rughe, è caratterizzata dalla presenza di un guscio stante. particularly keen, coriaceo (in questo caso di colore verde/giallo) che I risultati delle ricerche intraprese da paleontologi e zoologi hanno messo in evidenza come le while the ears lack racchiude gli organi interni e che all’occorrenza funge pinna as well da riparo per testa, zampe e coda. La parte superiotartarughe rappresentino forme di vita molto antiche, both as ear canal. The al punto da essere ormai universalmente ritenuto mouth is toothless re della suddetta corazza, di forma più o meno bombata, viene chiamata carapace, mentre quella che si tratti dei vertebrati esistenti sulla Terra da più yet shaped like a inferiore – appiattita – prende nome di piastrone. tempo: lo dimostra anche il fatto che i primi fossili bird’s beak. Tali elementi, saldati tra loro medianidentificati risalgono al Triassico, te un ponte osseo laterale, sono in cioè a circa duecento milioni di anni realtà appendici scheletriche esterorsono. Presumibilmente, quindi, le ne, collegate alle vertebre e alle cotartarughe vivevano già prima ste. Lo strato più esterno della corazdell’avvento dei dinosauri e nonoza è formato da singoli scudi (ciascustante tutto sono riuscite, dopo no dei quali ha un proprio nome, a avere superato intere ere geologiseconda della sede anatomica in cui che, ad arrivare a noi senza evidenè localizzato) disposti a mosaico, ti cambiamenti fisiologici e morfolomentre la parte più interna è costituigici. Molte specie di tartarughe sota da vere e proprie placche ossee. no oggi considerate a rischio di Nella testa spiccano gli occhi estinzione: la Convenzione di Wa(da ricordare come la vista di questi shington (ambito internazionale) e la GLI AMICI DELL’UOMO 161 Fotolia animali sia particolarmente acuta), le orecchie (che mancano sia di padiglione auricolare che di condotto uditivo esterno) e la bocca. Quest’ultima, priva di denti, è foggiata a becco d’uccello (con margini alquanto taglienti) e si continua con esofago, stomaco e intestino, per confluire infine nella cloaca, una struttura che accoglie le terminazioni degli apparati digerente, escretore e riproduttore. La maturità sessuale viene raggiunta tra i sei e gli otto anni di vita. Le gonadi (ovaie e testicoli) sono interne. Le femmine possono conservare gli spermatozoi nel proprio corpo per lunghi periodi e deporre uova fecondate anche a distanza di anni. L’organo copulatore maschile è alloggiato nella cloaca e può talora palesarsi all’esterno (erezione) indipendentemente dalla presenza di una femmina. La determinazione dei sessi non è semplice (specie nei giovani), in quanto i caratteri secondari non sempre sono evidenti. In linea di principio, tuttavia, i maschi hanno taglia corporea inferiore a quella delle femmine, ma possiedono unghie e coda più sviluppate, oltre a una più accentuata concavità del piastrone. Tutti i rettili, come già accennato all’inizio, sono animali eterotermi. Non sono, cioè, capaci di mantenere costante la propria temperatura interna e subiscono pertanto l’influenza delle variazioni climatiche ambientali. Ciò si ripercuote invariabilmente sul loro metabolismo e può condizionare, nella stagione invernale, il ricorso a fenomeni di ibernazione e/o letargo. Le zampe sono provviste di unghie ben sviluppate e la coda, di piccole dimensioni, è di forma triangolare. Le tartarughine acquatiche, se correttamente allevate, possono vivere anche un paio di decenni e più. Gli etologi non mancano di sottolineare come le tartarughe, insieme ai coccodrilli, siano i rettili più intelligenti: proprio per questo, spesso le tartarughine acquatiche d’appartamento sono in grado di riconoscere chi le accudisce. Si tratta, inoltre, di animali dal carattere abbastanza “forte”. Pur se abituate a vivere in gruppo, infatti, è buona norma – al fine di evitare fenomeni 162 GLI AMICI DELL’UOMO di aggressività e problemi di convivenza – ospitarle in un acquaterrario dalle dimensioni adeguate al numero di animali presenti. L’ALLOGGIO IDEALE L’aspetto forse più importante per allevare al meglio una tartarughina acquatica è la scelta di un habitat il più simile possibile a quello naturale, anche nel rispetto delle esigenze fisiologiche ed etologiche dell’animale. Questi rettili possono essere ospitati in un idoneo acquaterrario (altresì detto terracquario, collocabile in casa o all’aperto) oppure in un’area predisposta del proprio giardino. Nel primo caso occorre acquistare una vasca In natura le per pesci con pareti trasparenti (ideale è il vetro, tartarughe e tutti gli anche perché più facile da pulire) e di dimensioni altri rettili trovano adeguate (in funzione del numero di tartarughine da facilmente un alloggiarvi all’interno), da posizionare in un luogo equilibrio nutrizionale. accessibile ma al tempo stesso tranquillo, luminoso (preferibilmente dove arrivi la luce diretta del sole) e aerato, al riparo da fumi e vapori nocivi, lontano dagli elettrodomestici e non soggetto a sbalzi climatici. Sul fondo della vasca può essere auspicabile stratificare del ghiaietto di fiume a grana non troppo piccola (i singoli sassolini devono cioè avere una dimensione superiore a quella della bocca delle tartarughine) e delle pietre di più grandi dimensioni, il tutto disposto magari seguendo un gusto estetico ornamentale. Nell’allestire il fondo è importante fare in modo che vi siano una zona asciutta e una zona riempita con acqua: la prima deve essere a sua volta caratterizzata sia dalla presenza di aree ombrose, fresche e riparate da quella di aree in cui gli animali possano restare fermi a riposare e/o prendere bagni di sole; nella seconda, più esposta alla luce e a una temperatura maggiore, è preferibile che In nature, turtles l’acqua abbia profondità differenti. and all other reptiles La struttura deve essere dotata di impianti di ilare able to find a luminazione (è fondamentale la presenza della luce nutritional balance solare diretta o di quella emanata da lampade a raggi easily. UVA – necessari per una corretta visione e per regolarizzare l’attività riproduttiva – e UVB – indispensabili per la sintesi della vitamina D e il conseguente corretto metabolismo del calcio), di riscaldamento (cavetti e tappetini riscaldanti o lampade in vetro-ceramica da collegare a un termostato e da far funzionare nel rispetto dei ritmi circadiani stagionali naturali, tenendo conto che la temperatura ideale – da controllare mediante un termometro – deve essere compresa tra 20 e 30 gradi centigradi), di aerazione (per impedire il ristagno di umidità) e di filtraggio (è consigliabile l’uso di filtri esterni meccanici da pulire una volta alla settimana, tenendo comunque presente che ogni sette giorni è bene sostituire un terzo dell’acqua totale). Nel caso in cui, invece, si opti per una soluzione outdoor (giardino), è utile sapere che le tartarughine del genere Trachemys si adattano molto bene alla Massimo Tognolini I vegetali freschi (necessari soprattutto per il loro contenuto in fibre, vitamine e fruttosio), sotto forma di verdura e frutta di stagione, sono molto importanti: la scelta può essere ampia e comprende radicchio, catalogna, scarola, rucola, zucchina, carota, mela, pera, uva, ciliegia, albicocca e così via. Anche le proteine sono utili e vanno fornite con regolarità (pur se non con continuità) sia sotto forma di prede vive (ciò serve anche a stimolare l’istinto venatorio e a favorire l’esercizio fisico) che di ingredienti a pezzettini: pesciolini, molluschi, crostacei, lombrichi, insetti adulti e larve sono tutti adatti allo Le tartarughine scopo. acquatiche, se Da non scordare che il cibo va sempre dispencorrettamente sato in acqua e che deve essere fornito in quantità allevate, possono consumabili nel giro di pochi minuti al massimo, vivere anche un paio poiché eventuali residui possono inquinare l’habitat. di decenni e più. Tutti gli alimenti offerti, infine, devono avere dimensioni adeguate alla bocca dei piccoli rettili. If raised properly, LE TARTARUGHINE ACQUATICHE SONO CARNIVORE? In natura le tartarughine acquatiche sono prevalentemente vegetariane (si nutrono infatti per lo più di alghe e piante acquatiche di vario genere), ma si cibano occasionalmente anche di piccoli pesci e altri animaletti d’acqua dolce, così come larve d’insetti. La loro dieta, pertanto, non deve essere esclusivamente proteica o carnivora, come invece molti negozianti suggeriscono ai loro clienti. La regola della varietà necessita di assoluto rispetto, perché ciò aiuta a mantenere un buono stato di salute e getta le basi per una lunga sopravvivenza. I mangimi preconfezionati per tartarughe acquatiche sono facilmente reperibili nei negozi specializzati, ma non devono essere somministrati in maniera esclusiva: l’ideale è che i prodotti liofilizzati, essiccati e pellettati rappresentino non più di circa un quarto della razione totale. aquatic turtles can live two decades and more. LE PRINCIPALI MALATTIE DELLA TARTARUGHINA ACQUATICA Anche le tartarughine acquatiche, come tutti gli esseri viventi, possono, nel corso della loro esistenza, andare incontro a problemi patologici più o meno seri. La maggior parte di tali affezioni deriva da errori gestionali cui le bestiole sono sottoposte e ai quali spesso si somma l’aggravante di squilibri immunitari derivanti dalle condizioni di stress conseguenti alle operazioni di cattura, trasporto e vendita. Una delle più comuni patologie delle tartarughine (e dei rettili in generale) è la cosiddetta MOM (Malattia Osseo Metabolica) o MBD (Metabolic Bone Il termine “tartaruga” Disease), un’alterazione del metabolismo di calcio, comprende in realtà fosforo e vitamina D che, provocata da una dieta circa 250 differenti inadeguata associata all’insufficiente esposizione specie zoologiche, alle radiazioni solari, si ripercuote negativamente tutte appartenenti alla classe dei Rettili sulle ghiandole paratiroidi, sullo scheletro, sui reni e e all’ordine dei sul sistema nervoso. Testudinati. Sebbene qualche tempo fa si ritenesse che le tartarughine acquatiche potessero essere portatrici The term “turtle” sane di Salmonelle (e come tali considerate un evencovers approximately tuale pericolo per la trasmissione della salmonellosi 250 different all’uomo), recenti studi hanno smentito tale ipotesi. zoological species, Anche le forme respiratorie si presentano nelle all belonging to the Reptile class and the tartarughine acquatiche con relativa frequenza e si Testudinata order. manifestano con scolo nasale e orale, associato a difficoltà di galleggiamento e scarso appetito. In ogni caso, se il rettile mostra segni di malattia (evento già di per se stesso predittivo di una problematica di non trascurabile importanza), è buona norma rivolgersi quanto prima a un medico veterinario esperto nella cura degli animali cosiddetti “esotici” o “non convenzionali”. Massimo Tognolini vita all’aperto anche alle nostre latitudini. L’importante è fornire loro un ambiente di vaste dimensioni, al riparo da eventuali predatori, recintato e a prova di fuga (non dimentichiamo che le tartarughine sono ottime scavatrici), dove sia ovviamente presente un corso d’acqua, un laghetto (anche artificiale) o uno stagno. La luce e il calore del sole, le modificazioni della temperatura ambientale, l’alternarsi del giorno e della notte e tutti gli eventi atmosferici naturali consentiranno alle bestiole di condurre un’esistenza del tutto simile a quella libera. Anche l’alimentazione, in questi casi, non costituisce un problema: i rettili, infatti, sapranno cavarsela egregiamente in maniera del tutto spontanea. Un breve accenno merita l’ibernazione, cioè quello stato di rallentamento delle funzioni vitali cui in natura le tartarughine sottostanno quando la temperatura ambientale si abbassa e cui è utile sottoporre tutti gli animali (siano essi ospitati in casa o fuori) mantenendo la temperatura tra 3 e 8 gradi centigradi e fornendo loro un rifugio coibentato, contenente due dita d’acqua. GLI AMICI DELL’UOMO 163 © Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci Honoré II, premier Seigneur de Monaco à porter le titre de Prince RENÉ NOVELLA Consigliere privato di S. A. S. il Principe Alberto II di Monaco D epuis le 8 janvier 1297, date à laquelle le guelfe Francesco Grimaldi, dit Malizia, s’était emparé de la forteresse du Rocher, alors occupée par les gibelins, et après une courte interruption, douze membres de la dynastie des Grimaldi de Monaco ont régné sur ce pays avec le titre de “Seigneur”, trois avec le titre de “Coseigneur” (dont un devenu “Seigneur” par la suite) et un avec le titre de “Seigneur Viager” (en l’occurrence Augustin I er, ancien évêque de Grasse, qui a succédé à son frére Lucien, assassiné sur ordre de l’amiral Andrea Doria). En 1589, Hercule I er était devenu Seigneur de Monaco, après le décès de son frère Charles II. Il était l’époux de Maria Landi di Val di Taro, comtesse de Compiano. A l’instigation du duc de Savoie, il fut assassiné le 21 novembre 1604, dans la rue du Milieu (aujourd’hui rue Comte Félix Gastaldi), non loin de son château. Il laissait un enfant mineur, prénommé Honoré, qui fut placé sous la tutelle de son oncle maternel, le Prince Federico Landi di Val di Taro. Ritratto del Principe Onorato II opera di Philippe de Champaigne (Collezioni del Palazzo dei Principi). Portrait of Prince Honoré II, a work by Philippe de Champaigne (Collections of the Princes’ Palace). Honoré II, the first Lord of Monaco to give himself the title of Prince At the end of the 1500s, Hercule I Grimaldi became Lord of Monaco. But for a lord to demand the title of prince required resolution and determination: Honoré possessed all of these qualities. To grace his court, he transformed the old castle into a palace, filling it with prestigious furnishings and paintings by the great masters. Honoré II vowed to deliver himself from the Spanish protectorate, and ratified a pact of assistance in favour of the Principality of Monaco with Louis XIII, King of France. A splendid period then began in which Honoré embellished his tiny state with new architectural works of the like of the Chapel of Mercy. This undertaking earned him the name “Louis XIV of the Principality”. 164 OLTRE LA VALLE Onorato II, primo Signore di Monaco a fregiarsi del titolo di Principe D NOTIZIARIO Oltre la Valle opo l’8 gennaio 1297, data in cui il guelfo Francesco Grimaldi, detto Malizia, si era impadronito della fortezza della Rocca, allora in mano ai ghibellini, e dopo una breve interruzione, dodici membri della dinastia dei Grimaldi di Monaco hanno regnato su questo Paese con il titolo di “Signore”, tre con il titolo di “Cosignore” (di cui uno divenuto “Signore” in seguito) e uno con il titolo di “Signore a vita” (è il caso di Agostino I, già vescovo di Grasse, che succedette al fratello Luciano, assassinato per ordine dell’ammiraglio Andrea Doria). Nel 1589 Ercole I era divenuto Signore di Monaco, dopo il decesso del fratello Carlo II. Egli era lo Left: a shield sposo di Maria Landi di Val di Taro, contessa di Com- with the image piano. Su istigazione del duca di Savoia fu assassiof Honoré II nato il 21 novembre 1604 in rue du Milieu (oggi rue (Collections of the Comte Félix Gastaldi), non lontano dal suo castello. Princes’ Palace). Lasciò un figlio in età minore, di nome Onorato, che Below: portrait of Hercule, fu messo sotto la tutela dello zio materno, il Principe marquis of Federico Landi di Val di Taro. Campagna, on Come Etienne le Gubernant, tutore di Onorato I, horseback e contro le aspettative dei Monegaschi, Federico (Collections of the governò di buona intesa con gli Spagnoli che, dopo il Princes’ Palace). 1525, data della firma del trattato di Burgos, perfezionato a Tordesillas, esercitavano il loro protettorato su Monaco. Federico di Val di Taro fece dare un’eccellente educazione al suo pupillo. In lui inculcò il gusto delle arti e delle lettere e soprattutto il senso della “grandeur”, tanto è vero che, allorché Onorato fu in condizioni di esercitare pienamente il potere, decise di rinunciare al titolo di “Signore” e prendere quello di “Principe” che parecchie corti d’Europa non tardarono a riconoscergli. Egli allora trasformò il suo vecchio castello in un vero e proprio Palazzo, dove raccolse mobili pregiati, ricche tappezzerie, soprammobili, libri preziosi, opere d’arte, pitture e sculture. Possedeva più di settecento quadri di maestri che rivaleggiavano con i più grandi musei d’Europa. Tutti questi tesori sfortunatamente furono oggetto di un saccheggio all’epoca della Rivoluzione francese che ebbe, a Monaco, l’effetto nefasto risaputo, e il Palazzo venne allora trasformato in rifugio per mendicanti, successivamente in prigione. Dopo la sua salita al trono dei Grimaldi, la principale preoccupazione di Onorato II fu quella di sottrarsi al protettorato spagnolo, che era lungi dall’aver rispettato gli impegni promessi. Per questo fece intraprendere delle trattative segrete con il Cardinal Richelieu ma, impaziente di venirne a capo, decise di non aspettare l’aiuto della Francia per sbarazzarsi della guarnigione spagnola. Riunì in un’ala del Palazzo un consistente gruppo di Mentonesi, che fece passare, agli occhi dell’occupante, come prigionieri politici, i quali, ad un segnale convenuto, attaccarono di sorpresa gli Spagnoli. Questi capitolarono dopo un breve scontro, il 17 novembre 1641. Due mesi prima, esattamente il 14 settembre, l’accordo firmato a Péronne dal re di Francia Luigi XIII, Comme Etienne le Gubernant, tuteur d’Honoré Ier, et contre l’attente des Monégasques, Federico gouverna en bonne entente avec les Espagnols, qui, depuis 1525, date de la signature du traité de Burgos, amendé à Tordesillas, exerçaient leur protectorat sur Monaco. Federico di Val di Taro fit donner à son pupille une excellente éducation. Il lui inculqua le goût des arts et des lettres et surtout le sens de la grandeur, si bien que, lorsqu’Honoré fut en état d’exercer pleinement le pouvoir, il décida de renoncer au titre de “Seigneur” et prit celui de “Prince” que ne tardèrent pas à lui reconnaître plusieurs Cours d’Europe. Il transforma alors son vieux château en véritable Palais, où il réunit meubles de prix, riches tapisseries, bibelots, livres précieux, oeuvres d’art, peintures et sculptures. Il possédait plus de sept cents tableaux de maîtres, de quoi rivaliser avec les plus grands musées d’Europe. Tous ces trésors furent malheureusement l’objet d’un pillage, à l’époque de la Révolution française qui eut, à Monaco, le rôle néfaste que l’on sait, le Palais ayant été alors transformé en dépôt de mendicité, puis en prison. © Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci A sinistra: uno scudo con l’effigie di Onorato II (Collezioni del Palazzo dei Principi). Sotto: ritratto di Ercole, marchese di Campagna, a cavallo (Collezioni del Palazzo dei Principi). OLTRE LA VALLE 165 Un’altra moneta di Onorato II (Collezioni del Palazzo dei Principi). 166 OLTRE LA VALLE Lo stemma dei Grimaldi campeggia sul Palazzo dei Principi. The Grimaldi coat of arms in relief on the Princes’ Palace. Photo Oilime Dès son accession au trône des Grimaldi, Honoré II eut pour principal souci de se soustraire au protectorat espagnol, qui était loin d’avoir respecté les engagements promis. Pour cela, il fit entreprendre des négociations secrètes avec le Cardinal Richelieu, mais, impatient d’aboutir, il décida de ne pas attendre le secours de la France pour se débarrasser de la garnison espagnole. Il réunit dans une pièce du Palais un groupe important de Mentonnais, qu’il fit passer, aux yeux de l’occupant pour des prisonniers politiques, qui, à un signal donné, attaquèrent les Espagnols par surprise. Ceux-ci capitulèrent après un court combat, le 17 novembre 1641. Deux mois plus tôt, très exactement le 14 septembre, le traité signé à Péronne par le roi de France Louis XIII, avait été ratifié, après avoir reçu l’approbation d’Honoré II. Aux termes de ce traité, – le roi accordait sa protection à Monaco «à la prière du Prince», dont il reconnaissait les droits souverains; – une garnison française de cinq cents hommes serait établie sur le Rocher aux frais de la France, et dont les officiers seraient nommés par le roi, mais la garnison serait placée sous les ordres du Prince, auquel les officiers prêteraient serment; – la garnison ne devrait s’immiscer dans aucune affaire intérieure de la Principauté; – le Prince serait compris dans tous les traités de paix signés par le roi; – en compensation des fiefs qui lui seraient confisqués par l’Espagne, le Prince recevrait une rente annuelle de 75.000 livres garantie par des fiefs français dont l’un serait érigé en duché-pairie, un autre en marquisat pour son fils et un troisième en comté. C’est en application de ce dernier paragraphe que le Prince reçut le duché-pairie de Valentinois; le comté de Carladez et, en faveur du Prince Héréditaire, le marquisat des Baux et la seigneurie de SaintRémy, en Provence. Honoré II fréquenta la Cour, où il comptait de nombreux amis. Il obtint du roi Louis XIII que celui-ci fût le parrain de son petit-fils, Louis. Mais Louis XIII mourut peu de temps après et avec l’accord du Cardinal Mazarin, Premier Ministre du royaume de France, ce fut Louis, le futur Louis XIV, alors à peine era stato ratificato, dopo aver ricevuto l’approvazione di Onorato II. Nelle condizioni di questo trattato: – il re accordava la sua protezione a Monaco «su richiesta del Principe», al quale riconosceva i diritti sovrani; Another coin – una guarnigione francese di cinquecento uomibearing the image ni verrà insediata sulla Rocca a spese della Francia, e of Honoré II (Collections of the i cui ufficiali verranno nominati dal re, ma la guarnigioPrinces’ Palace). ne sarà agli ordini del Principe, al quale gli ufficiali presteranno giuramento; – la guarnigione non dovrà intromettersi in alcun affare interno del Principato; – il Principe sarà inserito in tutti i trattati di pace firmati dal re; – in compenso dei feudi che gli verranno confiscati dalla Spagna, il Principe otterrà una rendita annua di 75.000 libbre, garanzia per dei feudi francesi dei quali uno verrà eretto in pari-ducato, un altro in marchesato per suo figlio ed un terzo in contea. Fu in applicazione di quest’ultimo paragrafo che il Principe ricevette il pari-ducato di Valentinese; la contea di Carladez e, a favore del Principe Ereditario, il marchesato di Les Baux e la signoria di Saint-Rémy, in Provenza. Onorato II frequentò la Corte, nella quale contava molti amici. Egli ottenne da re Luigi XIII che facesse da padrino al nipote Luigi. Ma Luigi XIII morì poco tempo dopo e, d’accordo con il Cardinale Mazarino, Primo Ministro del regno di Francia, fu Luigi, il futuro Luigi XIV, all’epoca di soli cinque anni di età, a fare 1) Attraverso la nonna materna, Dévote Cantone, l’autore di questo artipMaria Guarnera, nata a Monaco il 10 agosto 1626. âgé de cinq ans, qui fut le parrain de notre futur Louis Ier de Monaco. Plus tard, grâce à ses relations à la Cour, Honoré II attirera de plus en plus de membres de la noblesse française et européenne aux fêtes brillantes qu’il organisera à Monaco, dans son Palais, transformé par les frères Giacomo et Tadeo Cantone,1 “mastri muratori”, venus de Gênes pour l’occasion. On doit notamment à ceux-ci la construction de l’actuelle Chapelle palatine, la réfection de la grande citerne sous la Cour d’honneur et le pavillon des bains, fortement endommagé pendant la Révolution française et détruit par la suite. Ce sont eux qui ont construit aussi la Chapelle de la Miséricorde, siège de l’Archiconfrérie des Pénitents. Pour marquer sa souveraineté, Honoré II avait créé, dès 1640, un atelier monétaire où l’on fabriquait, entre autres des “Talari”, pièces d’argent imitant le “Thaler” et sur lesquelles figure l’écu écartelé des Grimaldi et des Landi. Après le traité de Péronne, il fut autorisé par le royaume de France, à frapper des pièces, admises à circuler sur le territoire français, à condition d’avoir le même poids, titre et module que les monnaies françaises, ce qui demeurait le cas, avant la naissance de l’euro. Alors qu’il se trouvait à Paris, le 2 août 1651, Honoré II eut la douleur de perdre son fils Hercule, marquis des Baux, époux d’Aurelia Spinola, mort accidentellement, en s’exerçant au tir, lors d’une fête champêtre, dans un jardin de Carnolès. Ce sera donc son petit-fils, Louis, qui lui succédera. Mais, avant de quitter notre monde, Honoré II eut encore la joie de voir le mariage de Louis avec Charlotte-Catherine de Gramont, fille du célèbre Maréchal de Gramont et, un an plus tard, de connaître son arrière-petit-fils, Antoine, le futur Antoine Ier. Honoré II décéda quelque temps après, le 10 janvier 1662. L’historien de Monaco, Gustave Saige a écrit qu’«Honoré II a été le Louis XIV de la Principauté». © Photo Archives du Palais Princier de Monaco - G. Luci da padrino al nostro futuro Luigi I di Monaco. Più tardi, grazie alle sue relazioni a Corte, Onorato II attirerà sempre più numerosi membri della nobiltà francese ed europea alle brillanti feste che organizzerà nel suo Palazzo, trasformato dai fratelli Giacomo e Tadeo Cantone,1 “mastri muratori” venuti apposta da Genova. Si deve specialmente a costoro la costruzione dell’attuale Cappella palatina, il rifacimento della grande cisterna sotto il Cortile d’onore e il padiglione dei bagni, fortemente danneggiato durante la Rivoluzione francese e successivamente distrutto. Sono loro che hanno costruito anche la Cappella della Misericordia, sede dell’Arciconfraternita dei Penitenti. Per contrassegnare la propria sovranità, Onorato II aveva creato, dal 1640, una zecca ove si fabbricavano tra gli altri dei “Talari”, monete d’argento imitanti il “Tallero” e sulle quali figura lo scudo inquartato dei Grimaldi e dei Landi. Dopo il trattato di Péronne, venne autorizzato dal regno di Francia a coniare monete, ammesse a circolare sul territorio francese, a condizione che avessero lo stesso peso, titolo e modulo delle monete francesi, e così è stato fino alla nascita dell’euro. Durante il soggiorno a Parigi, il 2 agosto 1651, Onorato II ebbe il dolore di perdere il figlio Ercole, marchese di Les Baux, marito di Aurelia Spinola, morto accidentalmente, esercitandosi al tiro, durante una festa campestre, in un giardino di Carnolès. Sarà dunque suo nipote Luigi a succedergli. Ma prima di lasciare questa terra, Onorato II ebbe ancora la gioia di vedere il matrimonio di Luigi con Carlotta Caterina de Gramont, figlia del celebre Maresciallo de Gramont e, un anno più tardi, di conoscere il suo pronipote, Antonio, il futuro Antonio I. Onorato II morì qualche tempo dopo, il 10 gennaio 1662. Lo storico di Monaco Gustave Saige ha scritto che «Onorato II è stato il Luigi XIV del Principato». Ritratto del Principe Luigi I, di François de Troy (Collezioni del Palazzo dei Principi). Portrait of Prince Louis I, by François de Troy (Collections of the Princes’ Palace). 1) Par sa grand-mère maternelle, Dévote Cantone, l’auteur de ces lignes est un descendant direct de Tadeo, qui avait épousé en 1643, Anna-Maria Guarnera, née à Monaco le 10 août 1626. OLTRE LA VALLE 167 Da un mondo contadino al turismo in Riviera MARCO DORIA Docente di Storia economica presso l’Università di Genova p Le trasformazioni economiche e sociali del Chiavarese dall’Unità d’Italia al 1914 P Matteo Vinzoni, Chiavari, 1773. ortofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo. Nomi noti di località del circondario di Chiavari che richiamano alla mente immagini di mare, di vacanze, di turismo, legando indissolubilmente questo tratto della riviera ligure all’idea di una certa dimensione del tempo libero, che alimenta (ed è sostenuta) un insieme di attività economiche, una varietà di iniziative imprenditoriali che rendono una significativa porzione della Liguria vivace e ricca, oltre che dal paesaggio e dalla natura suggestivi e affascinanti. Ciò è il risultato di un processo che, avviatosi dopo l’Unità d’Italia, ha trasformato e pla- smato l’economia e la società del Chiavarese, arretrate all’inizio dell’Ottocento e divenute alla vigilia della Prima Guerra mondiale ben più prospere e dinamiche. di pietre e di zolle erbose. In questo paesaggio, come si scrive su Il Politecnico nel 1860, «il contadino (…) si strenua in erculei lavori, ed è cosa che fa stupore e ad un tempo stringe miseramente il cuore vederlo ad ogni acquazzone andarsene appiè della collina e con ceste apportar pazientemente sui denudati fianchi il terreno che l’acqua rapiva». Gli strumenti dei contadini (i «più diffusi… anzi quasi i soli adoperati») sono la zappa, il piccone, la falce oltre agli attrezzi necessari per rimuovere e spaccare le pietre; non si usa l’aratro né è possibile avvalersi della ruota; i trasporti si effettuano a dorso d’uo- Prima dell’Unità: un’economia preindustriale L’agricoltura. Alla metà dell’Ottocento il circondario di Chiavari versa in una condizione di arretratezza. La grande maggioranza della popolazione vive in aree poco o nulla urbanizzate e l’agricoltura è l’attività economica centrale. Un’agricoltura povera, praticata da contadini piegati dalla fatica sulle “fasce”, sostenute da muri a secco costruiti alternando file Archvio Sagep, Genova The economical and social transformations in the Chiavari region from the Unification of Italy to 1914 168 OLTRE LA VALLE Before the Unification of Italy, a “heroic” agricultural economy prevailed made possible by enormous sacrifices and primordial instruments. During pauses from working the land, the loom was always a prominent feature: silk, satin and damask fabrics. A single form of industry: extracting slate, but the “chiapparolo disease” (silicosis) mowed down its victims ruthlessly. Indeed the major lines of communication were the driving force behind progress. No longer just the coast road and a mule track, but the GenoaChiavari railroad line. The local economic system shifted into a different gear. Workers migrated to the Po Valley, to the Maremma area and to Sardinia. In the early 1900s they returned with their fortunes to invest in new activities, giving rise to tourism, the “ foreigner industry”. Archivio Storico del Banco di Chiavari mo: così viaggiano il letame, in 1882 - Immagine dell’attività ceste di vimini facili da rovesciare, cantieristica: un e le patate, il mais, le castagne, alimenti fondamentali delle popo- brigantino goletta (a sinistra) e una lazioni rurali. goletta gabbiola Si producono cereali, patate, poco prima del varo. legumi, castagne, ortaggi, vino, olio, frutta. Questi ultimi sono più 1882 - Image of the tipici dell’agricoltura costiera, più shipbuilding activity: a brigantine prospera di quella miserrima delschooner l’interno e oggetto verso la metà (on the left) and a dell’Ottocento di investimenti che topsail schooner just favoriscono la diffusione degli ulive- before the launch. ti nei terreni prossimi al mare. La proprietà fondiaria è assai polverizzata (a fine Ottocento due ettari di terreno coltivato in media) e rari sono i tentativi di migliorare produzione e produttività. L’attività manifatturiera ed estrattiva. Nel settore manifatturiero domina l’industria tessile, praticata a domicilio nelle campagne. In uno studio del 1846 si afferma che «specialmente ne’ comuni di Chiavari, di Fontanabuona, di Rapallo, non vi è casa di popolo che non abbia un telaio»; la tessitura, cui è adibita una manodopera prevalentemente femminile, si svolge nelle «ore superflue alle cure agricole, con gran vantaggio dell’igiene e della morale, evitando i mali cui soggiacciono [madri e sorelle] nelle fabbriche». Praticata è ancora la lavorazione della seta. Già nel XV secolo si erano trasferiti nel Chiavarese da Genova numerosi aspiranti apprendisti, desiderosi di emanciparsi dal controllo della corporazione cittadina. Sul finire del Settecento sono rinomati i velluti di Zoagli e i rasi e i damaschi della Fontanabuona. Anche questa attività col tempo diviene appannaggio delle donne. Il ciclo della seta è completo: si coltiva il gelso, anche se la seta greggia localmente prodotta è abbondantemente integrata con quella messa a disposizione dai mercanti, sono attive le filande (una trentina nel 1818, tra Rapallo, Chiavari e Sestri Levante, con circa 400 addetti). Nel circondario si producono inoltre sedie, una lavorazione che interessa mezzo migliaio di artigiani, e naviglio in legno di limitato tonnellaggio, costruito sugli arenili di Chiavari e Lavagna. Un ruolo particolare ha l’industria estrattiva dell’ardesia – Cogorno ne è il centro principale – i cui prodotti sono lastre da tetto e da pavimento, ripiani per mobili di lusso e vasche per liquidi. Nel 1834 in 70 cave attive lavorano 400 cavatori, organizzati in piccole compagnie, salariati da uno di loro o più frequentemente associati. Essi, armati di picconi, leve in ferro, scalpelli e dotati di lumi ad olio, distaccano i blocchi dai quali si ricavano le lastre. Il lavoro è pesante e, come scrive un osservatore nel 1809, «coloro che travagliano sotterra… son vecchi passati che abbiano li 40 o al più i 50 anni». Miete vittime il «male del chiapparolo» che solo alla fine dell’Ottocento sarà più correttamente definito silicosi. Le lastre, trasportate a Lavagna, sono rifinite da scalpellini o caricate su piccoli bastimenti che attendono in rada. La commercializzazione del prodotto è saldamente nelle mani dei mercanti di Lavagna e di Genova. Le condizioni sociali del circondario. Povere sono le abitazioni dei contadini e la loro alimentazione, scarsa di proteine animali e grassi, a base di castagne e polenta. Egualmente misero è il pasto dei cavatori d’ardesia che consumano un po’ di minestra di verdura accompagnata da focaccia di mais. Le epidemie sono ricorrenti. Nel 1829 si tratta del vaiolo, poi debellato dall’uso del vaccino. Più duratura è la presenza del colera che colpisce nel triennio 1835-37 e nel 1854, con centinaia di vittime. Alta è la mortalità infantile e bassa la speranza di vita alla nascita, inferiore ai 40 anni agli inizi degli anni Ottanta. Si riduce solo verso la fine del secolo il fenomeno dell’abbandono dei neonati alla Ruota o davanti alle chiese. Gli infanti così raccolti vengono inviati all’ospedale di Chiavari; se sopravvivono sono in genere affidati a balia alle donne contadine, che ricevono una somma in denaro dall’amministrazione sino al compimento del dodicesimo anno d’età del fanciullo e possono disporre presto di un aiuto per il disbrigo delle più umili mansioni, a cominciare dal controllo delle bestie. OLTRE LA VALLE 169 I trasporti e i commerci. I commerci sono ostacolati dalle condizioni delle vie di comunicazione. La sola “carrettiera” esistente nel circondario alla metà del secolo è la litoranea che collega Genova con la Toscana. Per l’entroterra si percorrono le “strade delle mule”, tradizionali tracciati che partendo dalla costa si spingono verso la Pianura Padana. Importante è la navigazione di cabotaggio, più conveniente del trasporto su strada. Lungo queste linee di comunicazione arrivano derrate alimentari necessarie al consumo locale, materie prime per l’attività manifatturiera e manufatti, mentre si “esportano” specifici prodotti agricoli, artigianali e industriali. La rottura dei vecchi equilibri e il cambiamento Spinte endogene e sollecitazioni dall’esterno. Si propone di “migliorare l’agricoltura, le arti e il commercio” nel circondario la Società Economica, costituita a Chiavari nel 1791 per iniziativa di una cinquantina di liberi professionisti, alcuni proprietari, diversi ecclesiastici. Il sodalizio incentiva ad 170 OLTRE LA VALLE Archivio Storico del Banco di Chiavari Lentamente migliorano i livelli d’istruzione. Nel 1848 quasi l’87% degli abitanti sono analfabeti, percentuale che declina grazie alla diffusione dell’insegnamento elementare. I comuni destinano all’istruzione risorse consistenti dei loro peraltro contenuti bilanci ma, soprattutto nelle zone rurali, larga è l’inosservanza dell’obbligo scolastico e spesso insoddisfacente la condizione dei locali adibiti a scuole. Diversa è la realtà delle cittadine costiere. Sono qui attivi un ceto mercantile, che controlla i traffici da e per l’entroterra, una borghesia delle professioni attenta a quanto matura nel Paese e all’estero, così come – e si tratta del gruppo socio-economico più dinamico – un nucleo di famiglie di commercianti-armatori impegnati nei commerci di più ampio respiro, che posseggono, alla metà del secolo, velieri sulle 500 tonnellate che solcano gli oceani. esempio, sul finire del Settecento, la coltivazione della patata e sostiene le innovazioni nella manifattura, ma non riesce a incidere in profondità sulle pratiche e la mentalità dei soggetti economici. Resta refrattaria alle novità la proprietà terriera locale e pesa la “pigrizia” di un ambiente provinciale; soprattutto mancano le condizioni strutturali idonee a favorire accumulazione di capitale e investimenti. Il fattore decisivo per il cambiamento è la costruzione di un moderno sistema di trasporti. Nel 1868 entra in esercizio la linea ferroviaria Genova-Chiavari; nel 1870 viene ultimato il tratto sino a Sestri Levante e nel 1874 il treno giunge sino alla Spezia: sono possibili nuovi collegamenti, non solo con Genova ma anche con la Pianura Padana, via Genova, e con la Toscana. Si riducono, grazie al treno, tempi e costi del trasporto: il tragitto di 36 chilometri da Chiavari a Genova viene percorso in 1890 - Sulla spiaggia di Chiavari donne al lavoro, intente a imbarcare su di un leudo lastre di ardesia provenienti dalle cave della Val Fontanabuona. 1890 - On the beach at Chiavari, women at work, busy loading slabs of slate from the quarry of Val Fontanabuona on to a “leudo” (boat for coastal trading). un’ora e venti minuti. Si articola e si irrobustisce inoltre la rete stradale. Inserito in un mondo che rapidamente cambia, anche il Chiavarese avvia la sua graduale trasformazione. Nel 1889-90, si contano 8.740 addetti all’industria (6.901 nel settore tessile), ancora largamente tradizionale, includendo 4.647 donne che, specie a Rapallo e Santa Margherita, fabbricano a domicilio pizzi e merletti di seta e cotone. È di fatto inesistente l’occupazione nei comparti tecnologicamente più avanzati. La lavorazione dei tessuti di seta conserva il suo spazio di nicchia: nel 90 sono circa 1.200 i telai casalinghi di Zoagli soprattutto e poi di Chiavari, Lorsica e Rapallo. La cantieristica in legno, nel volgere di pochi anni, è letteralmente spazzata via dalla scena e la sua crisi precede di poco l’irreversibile declino della marineria velica. Per quanto riguarda l’ardesia, infine, proprio a partire dagli anni Sessanta-Settanta inizia la decadenza delle cave di Cogorno, a causa degli alti costi di escavazione del materiale e della loro arretrata organizzazione. Si avvertono però anche segnali positivi. Nello stesso campo dell’ardesia, ad esempio, decolla l’attività estrattiva in Fontanabuona. Favorita dalla realizzazione della strada, un’imprenditoria locale d’origine commerciale – nessuno tra i fondatori delle nuove ditte ha un passato da cavatore – avvia nel territorio dei comuni di Moconesi, Lorsica e Orero lo sfruttamento delle cave, collegate con teleferiche alla strada carrabile; il processo lavorativo, con l’introduzione di macchine mosse da motori elettrici, è almeno in parte “industriale”. Nella zona di Sestri Levante sono attive alcune miniere di rame gestite da una società inglese, mentre una ditta francese estrae manganese nei giacimenti della Val Graveglia. Capitali e imprenditori stranieri affiancano gli operatori locali. Nel settore industriale la presenza di maggior rilievo è quella della Esercizio Bacini, specializzata in Genova nel lavoro delle ri- Archivio Sagep, Genova parazioni navali, che a fine Ottocento costruisce un moderno cantiere navale a Riva Trigoso. Sono stati introdotti nel frattempo nuovi macchinari mossi da energia meccanica per la tessitura del lino e per la filatura della seta, così come in alcuni oleifici e in filande cotoniere. La grande emigrazione. La prova più evidente dell’integrazione del Chiavarese in un sistema economico globale è rappresentata dal fenomeno migratorio, che interessa decine di migliaia di persone. Quella dell’emigrazione è storia antica per il circondario. Emigrazione stagionale, che si ripete regolare nel tempo, di uomini che si recano a lavorare nella Pianura Padana, nelle risaie, per la raccolta delle foglie del gelso e anche per essere impegnati nelle opere di irrigazione, o che raggiungono località più lontane, come la Maremma e la campagna romana; i montanari si recano a tagliare boschi e a lavorare per la produzione di carbone in Corsica, Sardegna e lungo l’arco appenninico. Il primo censimento generale del Regno d’Italia del 1861 ricorda questa emigrazione «di zappa, di falce e di scure», destinata peraltro a ridursi progressivamente con la crescita e l’esplosione dell’emigrazione transoceanica. A partire dalla seconda metà degli anni Quaranta si assiste infatti a un cambiamento quantitativo e qualitativo dei flussi migratori. Le crisi agricole, il miraggio dell’oro californiano, l’istituzione nel 1854 della ferma quinquennale per i coscritti nel Regno di Sardegna, rispetto alla quale altissima è la renitenza, incoraggiano le partenze. Emigrano soprattutto i contadini. Leone Carpi, autore negli anni Settanta dell’Ottocento di un approfondito studio sul tema, riferendosi agli emigranti del Genovesato – e gli abitanti del Chiavarese ne sono di gran lunga la maggioranza – dice che «essendo operosi e industriosi fanno più facilmente degli altri un poco di fortuna, ma per lo più anch’essi finiscono male. Tutti i nostri consoli ci fanno rapporti […] e tutti ripetono la stessa cosa […] che ci sono tanti affamati, tanti saltimbanchi, tanti giocolieri, tanti che suonano l’organetto». La miseria è la ragione prima della scelta di partire, cui la volon- Fine ´ 800 - L’imbarco nel porto di Genova. Il fenomeno interessa pesantemente il territorio di Chiavari. Una parte delle rimesse di emigrati originari del circondario confluirà nel Banco di Sconto. Late 19th century. Boarding in the port of Genoa. The phenomenon greatly affected the Chiavari area. Part of the remittances from emigrants from the region went into the Banco di Sconto. tà di evitare il servizio militare offre non di rado il pretesto. La meta è l’America. Gli abitanti delle fasce costiere e quelli dell’entroterra seguono percorsi migratori diversi: i primi, che animano i flussi iniziali dalla metà del secolo, si dirigono di preferenza nelle terre del Rio de la Plata; i secondi prendono più spesso la via degli Stati Uniti. L’emigrazione, necessaria valvola di sfogo per una altrimenti insostenibile pressione demografica, frena la crescita della popolazione nell’ultimo trentennio del secolo; in talune aree dell’entroterra si registrano saldi demografici negativi e anche nei comuni costieri l’incremento della popolazione, almeno sino agli anni Ottanta, è praticamente nullo. Sono inoltre duraturi gli effetti del “ritorno a casa” di persone e capitali accumulati all’estero. Chi ritorna decide in genere di risiedere nelle cittadine costiere, a Chiavari, Lavagna, Rapallo, e nella stessa Genova. I capitali accumulati all’estero sono investiti soprattutto nell’edilizia o comunque nel mercato immobiliare. Si acquistano edifici già esistenti, se ne costruiscono di nuovi: a Riva Trigoso sarà soprannominata “via Dollari” (“dollari” è la definizione di qualsivoglia somma di denaro di provenienza estera) una strada i cui edifici sono tutti realizzati coi soli risparmi degli emigrati. Altri “dollari” sono investiti nell’agricoltura: si diffonde un poco la vite, accanto alle colture di cereali e ortaggi, a spese del bosco; sono più curati i castagneti; meno selvaggio diviene il paesaggio agrario. Protagonisti di queste micro-trasformazioni sono emigranti che, tornati in patria, diventano agricoltori-possidenti capaci finalmente di vivere di rendita. Infine, i “dollari” alimentano la crescita del sistema bancario locale. Il primo Novecento. Una realtà in movimento. Diverse sono le evoluzioni dell’entroterra e della fascia costiera. Il primo è teatro della crisi e della scomparsa delle vecchie esperienze manifatturiere, non rimpiazzate da significative OLTRE LA VALLE 171 Archivio Storico del Banco di Chiavari iniziative (il decollo del bacino dell’ardesia della Fontanabuona rappresenta un’eccezione), e diventa sempre più area da cui attingere forza lavoro. Migliore è la condizione della costa: la possibilità di percorrere in un’ora e venti minuti di treno il percorso da Chiavari a Genova crea nuove relazioni tra il Tigullio e il capoluogo ligure che diviene un fortissimo polo d’attrazione per il Chiavarese. All’inizio del XX secolo si completa la trasformazione avviatasi nell’ultimo terzo dell’Ottocento. Il peso dell’agricoltura si riduce progressivamente anche se nella zona costiera, verso la fine dell’Ottocento, si sviluppa la floricoltura e prendono campo nuove coltivazioni di ortaggi e frutta. Per quanto riguarda l’industria, nel settore dell’ardesia si effettuano ulteriori investimenti Massimo Mandelli L A CA P I TA L E D E L G O L F O D E L T I G U L L I O: I L S U O VO LTO O G G I 172 OLTRE LA VALLE Primi anni ´ 30. Estate. Turismo a Chiavari: stabilimenti balneari e vele da diporto. Nella pagina a fianco: 1913. Chiavari vista dalle Grazie. Si riconosce in basso la deviazione a monte della ferrovia per Genova, appena realizzata. Archivio Storico del Banco di Chiavari nella Fontanabuona: si utilizza l’energia elettrica e si erigono a fondovalle moderni stabilimenti per la lavorazione del materiale estratto. Tanto le quantità estratte che il fatturato crescono considerevolmente in età giolittiana, anche grazie alle esportazioni di lastre in Francia, Inghilterra e Germania. Ardesia, sete e sedie: lavorazioni di nicchia che tengono e talvolta crescono. Nel complesso prevalgono le aziende di medie e Early 1930s. Summer. piccole dimensioni accanto alle Tourism in Chiavari: quali si segnalano poche intraprebathing establishments and se davvero industriali. Tra queste la Fabbrica Nazionale Tubi, nata pleasure craft. On the facing page: nel 1905, con stabilimento a Se1913. Chiavari seen stri Levante, il citato cantiere navafrom Le Grazie. le di Riva Trigoso, il Cotonificio At the bottom the deviation upstream Entella, la cui fabbrica a Lavagna of the railway line for entra in esercizio nel 1908. Si assiste poi proprio in queGenoa, recently built, can be recognized. sti anni al sorgere di quella “indu- Massimo Mandelli Massimo Mandelli S ono 27.000 (il 6% dei quali stranieri) gli abitanti di Chiavari, terza città della provincia di Genova dopo il capoluogo e Rapallo per popolazione. Guardando ancora alla demografia si rileva come l’età media degli abitanti sfiori i 48 anni e i nuclei familiari siano oltre 13.000. L’agglomerato urbano è situato alla destra del fiume Entella che qui sfocia al termine della sua piana alluvionale, dividendo ad est la città dall’attigua Lavagna. Il centro storico chiavarese appare ben conservato e caratterizzato dalla presenza dei portici lungo il Caruggio Dritto – (via Martiri della Liberazione) – su cui sin dalla seconda metà del XIV secolo si affacciavano le dimore delle borghesia cittadina. Non mancano dimore che ricordano negli stili architettonici magioni sudamericane, edificate da coloro che emigrati per lunghi anni in Paesi quali l’Argentina e quindi tornati a casa ne avevano assimilato il gusto. La pur consistente attività turistica, fondata sulle seconde case che rappresentano una parte cospicua del patrimonio abitativo del comune, non ha portato a stravolgimenti urbanistici, che hanno invece segnato negativamente il territorio di alcuni centri vicini. Sede dell’attività giudiziaria nel Levante della provincia genovese e, dal 1892, della locale diocesi, Chiavari si presenta oggi con un’economia solida e spiccatamente terziaria. Resistono ancora antiche attività quali la pesca e la rinomata fabbricazione delle famose sedie di Chiavari (le chiavarine) ideate da artigiani locali a inizio Ottocento riprendendo modelli francesi. La chiavarina, realizzata con legno di ciliegio e acero bianco e con la seduta in sottili fili di salice intrecciati a spiga, non supera i sette etti di peso. Gravita su Chiavari l’entroterra retrostante la costa della cittadina, un’area compresa tra la media e bassa val Fontanabuona, la valle Sturla e la val Graveglia e storicamente legata al Capitanato di Chiavari, istituito nel XIII secolo dalla Repubblica di Genova nel Levante ligure. Sono poi stretti i legami con Genova, facilitati dalla presenza di un efficiente sistema di collegamenti infrastrutturali. Massimo Mandelli 174 OLTRE LA VALLE Banca Popolare di Sondrio AGENZIA di CHIAVARI (GE) Piazza Nostra Signora dell’Orto angolo via Doria - 42/B Tel. 0185 18.78.300 Fax 0185 59.95.25 Massimo Mandelli stria del forestiero” che in un breve volgere di tempo assume una notevole importanza. Anche la riviera ligure di Levante viene scoperta dal turismo dopo che hanno già raggiunto una fama internazionale località del Ponente quali Sanremo e Bordighera: l’immagine e la realtà di un mondo più appartato e “genuino”, meno mondano delle non lontane Costa Azzurra e Liguria occidentale, fanno preferire il Levante a viaggiatori più sofisticati e per certi aspetti più elitari. Anche in questa riviera cominciano a risiedere in modo più o meno stabile sia turisti stranieri sia emigrati ritornati arricchiti dalle Americhe. Seguendo il tracciato della linea ferroviaria da Genova alla Spezia, il Manual du voyageur di Karl Baedeker illustra i pregi di Portofino, Santa Margherita Ligure, Rapallo e Sestri Levante. Il turismo diviene dunque sempre più “industria” che produce reddito. In età giolittiana la Liguria figura al primo posto tra le regioni d’Italia per ricchezza media per abitante, con un indice quasi doppio rispetto a quello medio nazionale. Il dato regionale è certo influenzato dal peso di Genova, ma anche il circondario di Chiavari, col suo entroterra contribuisce a tale risultato. Sono stati fondamentali al riguardo i capitali provenienti dall’esterno – le rimesse degli emigranti e i denari che molti di essi, tornando, portano con sé; gli investimenti effettuati da alcuni significativi gruppi imprenditoriali – che si sono affiancati al risparmio locale nella promozione di iniziative interessanti, prevalentemente il settore terziario: tutto ciò ha impresso dinamismo a un territorio ormai uscito da una condizione di arretratezza e pienamente inserito in un mondo in movimento. Tutti all’appello a 3.000 metri per assistere alle lezioni... e non solo di sci NOTIZIARIO Momenti Pirovano UNIVERSITÀ IULM, QUATTRO MODI PER DIRE FUTURO Inserito nella splendida cornice del Parco Nazionale dello Stelvio, l’Hotel Quarto diventa la sede di workshop e percorsi formativi promossi in partnership dall’università IULM di Milano e Pirovano, la nota Università dello sci re per mediatori linguistici Carlo Bo, corsi per l’insegnamento a livello professionale delle lingue straniere. «Questo accordo con l’Università IULM rafforza e amplia la missione d’insegnamento che da sempre ci prefiggiamo: da oltre 50 anni i nostri istruttori sono, infatti, impegnati a trasmettere ai propri allievi l’apprendimento della tecnica dello sci sapientemente unito ai principi morali ed educativi dello sport. Da oggi, qualificati corsi di lingue e comunicazione affiancheranno i nostri tradizionali corsi di sci, in un ateneo esclusivo posto nel cuore del Parco Nazionale dello Stelvio e del Parco Svizzero», afferma Renato Sozzani, presidente di Pirovano Stelvio. Quattro Facoltà, cinque corsi di Laurea triennale, quattro corsi di Laurea magistrale, numerosi Master. L’Università IULM è il polo di eccellenza italiano per la formazione nei settori delle lingue, della comunicazione, del turismo e della valorizzazione dei beni culturali, ambiti professionali oggi molto ricettivi, oltreché particolarmente stimolanti. A tutti i suoi studenti l’Ateneo garantisce un imprinting culturale davvero completo e una solida preparazione, elementi fondamentali per inserirsi con successo nel mondo del lavoro e, cosa non meno importante, per realizzarsi nella vita come persona. Come? Proponendo percorsi didattici innovativi, offrendo servizi all’avanguardia, attivando contatti con il mondo del lavoro, incentivando le esperienze di studio all’estero. Ma anche stimolando gli studenti a frequentare le lezioni, a partecipare attivamente alla vita universitaria e alle attività Il rettore dell’Università IULM e il presidente di Pirovano Stelvio spa siglano il Protocollo d’Intesa. The IULM University rector and chairman of Pirovano Stelvio spa signing the Protocol agreement. Turismo, marketing, comunicazione aziendale. E ancora, pubblicità, nuove tecnologie, lingue straniere. Questi gli ambiti di riferimento dei corsi di formazione proposti dall’Università IULM di Milano in partnership con Pirovano Stelvio (società controllata dal Gruppo Banca Popolare di Sondrio e nota ai molti come l’Università dello sci) sulla base di un Protocollo d’intesa firmato il 21 marzo scorso. Assolutamente incantevole lo scenario di riferimento: i corsi si terranno infatti presso l’Hotel Quarto, un’attrezzata struttura alberghiera di proprietà di Pirovano e ubicata nel mezzo del Parco dello Stelvio, crocevia di lingue, culture e tradizioni. «Offrire formazione di qualità in un contesto assolutamente straordinario dal punto di vista paesaggistico: questo l’obiettivo che, in sintonia con Pirovano, vogliamo centrare. Con la stipula di questo Protocollo il nostro Ateneo trova un nuovo partner con il quale condividere, ad alta quota mi viene da aggiungere, importanti obiettivi formativi», sottolinea Giovanni Puglisi, rettore dell’Università IULM. Ampia e articolata l’offerta formativa: sono in via di definizione corsi di specializzazione della durata di 7 giorni (30 ore) o di 14 giorni (60 ore) focalizzati sui temi della Comunicazione e della Pubblicità per il non profit, del Tourism Management e della comunicazione digitale, ma anche workshop di 2 giorni (formula weekend – 12 ore) centrati sulla gestione della reputazione online o sulle tecniche per l’ottimizzazione dei contenuti sui motori di ricerca. In programma, inoltre, percorsi formativi destinati a manager del settore turistico e della Pubblica Amministrazione e, in collaborazione con la Scuola Superio- Archivio IULM FORMAZIONE AD ALTA QUOTA MOMENTI PIROVANO 175 The Milanese branch of the IULM University is an extremely modern and technologically advanced complex. dell’Ateneo, offrendo loro adeguate strutture logistiche e garantendo un ottimale rapporto numerico studente-docente. Quattro Facoltà, si è detto, addentriamoci in ognuna di esse. Turismo, eventi e territorio. Di una Facoltà come questa (e del suo omonimo corso di Laurea triennale) il sistema turistico italiano ha grande bisogno. I mercati connessi al turismo hanno infatti vissuto in questi ultimi anni profonde trasformazioni, crescendo e palesando potenziali occupazionali enormi. Occorrono però nuove figure professionali dai profili ben definiti in possesso di conoscenze (non solo linguistiche) adeguate. Gli studenti IULM sono chiamati ad acquisire i saperi e le tecniche per lavorare nella grande industria del turismo e per valorizzare al meglio le straordinarie bellezze del nostro Paese. Interpretariato, traduzione, studi linguistici e culturali. Si rivolge a tutti coloro che hanno un forte interesse per lo studio delle lingue straniere e che puntano ad affermarsi nei campi della mediazione linguistica orale (diventando ad esempio interpreti di conferenza) o scritta (affermandosi ad esempio come traduttori). Inglese, francese, tedesco e spagnolo, ma anche lingue e culture nordiche, russo cinese e arabo. Per lavorare ovunque nel mondo. A questa Facoltà fanno capo il corso di Laurea triennale in Interpretariato e comunicazione e il corso di Laurea magistrale in Traduzione specialistica e interpretariato di conferenza. Comunicazione, relazioni pubbliche e pubblicità. Gli studenti vengono coinvolti in un percorso formativo che ha l’obiettivo di fare di loro dei professionisti della comunicazione. Un’eccellente e approfondita preparazione teorica nelle aree di riferimento è completata e integrata da attività pratiche in laboratorio che consentono allo studente di verificare sul campo ciò che va apprendendo. La Facoltà si articola in più corsi di Laurea, due triennali (in Comunicazione, media e pubblicità e in Relazioni pubbliche e comunicazione d’impresa) e due corsi di Laurea magistrale (in Marketing, consumi e comunicazione e in Televisione, cinema e new media). 176 MOMENTI PIROVANO Arti, mercati e patrimoni della cultura. I suoi due percorsi didattici (il corso di Laurea triennale in Comunicazione nei mercati dell’arte e della cultura e il corso di Laurea magistrale in Arti, patrimoni e mercati, sviluppato in partnership con La Triennale di Milano) mirano a coniugare l’interesse per l’arte con due ambiti che caratterizzano l’intera Università ossia quello della comunicazione e quello gestionale. Rispetto alle lauree tradizionali nel campo artistico e della conservazione dei beni culturali, questa Facoltà rappresenta un unicum nel quadro universitario italiano. UN CAMPUS ALL’AVANGUARDIA Sul modello dei campus americani, la sede milanese dell’Università IULM si presenta come un complesso modernissimo, tecnologicamente avanzato e dotato di strutture pensate per dare spazio allo studio, alla ricerca, ma anche ai momenti di aggregazione. Progettato da Roberto e Archivio IULM La sede milanese dell’Università IULM si presenta come un complesso modernissimo e tecnologicamente avanzato. Lorenzo Guiducci e ultimato nel 1993, l’edificio principale di via Carlo Bo costituisce il nucleo centrale dell’Ateneo. Nel corso degli anni il campus si è allargato: sono nati un giardino e cinque nuovi edifici che ospitano aule, istituti di ricerca, la libreria universitaria, la mensa e la residenza studentesca. Un mosaico di spazi che si completerà con il progetto Knowledge Transfer Centre, una struttura post-moderna in via di realizzazione e pensata per favorire lo scambio e la contaminazione di culture e saperi con la città. Al suo interno sorgeranno, tra l’altro, la Torre di Cristallo (destinata a diventare la sede degli archivi delle iniziative e delle attività IULM nel campo della moda, del cinema, della comunicazione) un Auditorium (luogo preposto a ospitare congressi e eventi culturali). Via Carlo Bo, 1 20143 Milano Tel.+ 39 02 891411 www.iulm.it At 3,000 metres altitude, all present for the lessons… and not just ski lessons A great season, with an “academic” flavour” is anticipated at the Pirovano. From 28th May, the Skiing University will have the great honour of hosting workshops and high-level training courses with the lecturers of the IULM (University Institute for Modern Languages) of Milan. This is thanks to an agreement signed between the Rector of the prestigious Milanese University, Giovanni Puglisi, and the Chairman of Pirovano Stelvio, Renato Sozzani. This excellent training at a high altitude is an extra something that is highly qualified and qualifying for clients. Alongside this important achievement, other interesting innovations are lined up. The road of the Stelvio is also to become... a gourmet chocolate, thanks to the inventiveness of Giovanni Pilatti, owner and superb pastry chef of the Valtellina confectionery company ChocoAlpi, whilst at the Quarto Hotel, sophisticated laser treatment will be available (for all the athletes) of the Piantedo Health Centre, directed by Dr. Ezio Corbellini. There will also be the fantastic descents in fresh snow, in the Valle dei Vitelli and along the Madaccio, and the exhilarating adventure of the “Mapei day”, in mid-July. We look forward to seeing you on the Pass at 3000 metres above sea level! Archivio Pirovano Celerina, Engadina. Tutti in posa per la X edizione del “Gigantissimo Pirovano”. Nelle foto piccole: felicità dopo la discesa... e grinta e determinazione mentre si “attacca” una porta. In basso: eleganti “firme” lungo i pendii immacolati del Ghiacciaio del Madaccio. IL GIGANTISSIMO SPEGNE LE PRIME 10 CANDELINE Celerina, Engadina. Everyone in pose for the tenth edition of the “Gigantissimo Pirovano” (the Pirovano Super Giant). In the small photos: happiness after the downhill run… and guts and determination while “attacking” a gate. Below: elegant “signatures” along the immaculate slopes of the Madaccio Glacier. IN NEVE FRESCA, INSEGUENDO LA LIBERTÀ All’apertura dei battenti dell’Università dello Sci (e della prestigiosissima Università IULM, con i suoi corsi d’eccellenza in alta quota, come descritto nell’ampio servizio alle pagine precedenti) seguirà, dall’1 al 5 giugno, la “White Fee- ling”. Un’avventura mozzafiato ed esilarante per gli amanti del freeride e del fuoripista. Tante emozioni da vivere a 360 gradi: lunghe discese fuoripista alla scoperta dei pendii immacolati della Valle dei Vitelli e del ghiacciaio del Madaccio, naturalmente “in sicurezza”, al seguito dei maestri Pirovano... sulla scia della libertà! Archivio Pirovano Grande festa di compleanno per il “Gigantissimo Pirovano”, gara di slalom gigante svoltasi sabato 12 marzo nello splendido palcoscenico engadinese. Dieci fulgide candeline, una per ogni edizione, rilucevano idealmente sulla “torta” della manifestazione, entrata nell’albo degli appuntamenti sciistici più attesi non solo della stazione turistica di Celerina ma dell’intera Engadina. Una gara che è anche un’occasione per ritrovarsi e che richiama, di anno in anno, un pubblico sempre più numeroso e appassionato. Nell’appuntamento del 2011, poi, si sono toccati numeri da record. Quasi 300 gli atleti presenti – tutti frementi e senza distinzione d’età – al cancelletto di partenza per contendersi la vittoria sulle magnifiche piste della rinomata località sciistica. Il miglior tempo femminile l’ha fatto registrare Maria Laura Brancato con 26”52, mentre Nicolò Pedercini ha tagliato il traguardo con 25”31. Alla premiazione, svoltasi nel primo pomeriggio, erano presenti quasi 400 persone, fra cui un’allegra compagine della BPS (SUISSE) composta dal direttore generale Brunello Perucchi, da Roberto Crameri, responsabile dell’area engadinese, e da Filippo Forcella, direttore di Celerina. Il sole, purtroppo, si è fatto desiderare (il freddo, invece, si è fatto sentire, eccome), ma la cosa non ha certo rallentato o spento l’entusiasmo che l’ha fatta da padrone per l’intera giornata. La perfetta organizzazione messa in campo dalla Snow and Fun Engadin School e dalla Banca Popolare di Sondrio (SUISSE) SA – e da Pirovano Stelvio, naturalmente... – ha permesso, ancora una volta, l’ottima riuscita dell’evento. Allegra, ci si rivede a inizio 2012. Archivio Pirovano della Cima Coppi, la generale atmosfera festosa che si respira a grandi polmoni, animano questa giornata così particolare che vede campioni, amatori, giovani e meno giovani, uomini e donne – e tutti con differenti preparazioni atletiche – frementi all’idea di raggiungere “il traguardo” per antonomasia, il valico, e di celebrarlo. Nell’edizione del 2010 si è pedalato – anche se erano molti i partecipanti che hanno disputato la mezza maratona – ricordando “Ballero” (al secolo Franco Ballerini, scomparso tragicamente nel febbraio 2010), che sui tornanti della Grande Montagna si cimentava da grande campione quale in realtà era, provando sempre le emozioni della “prima volta” (scalare lo Stelvio è davvero qualcosa di mitico). Nella manche del 2011 il pensiero correrà a uno dei registi del Mapei day, anzi, a uno dei suoi “papà” (insieme al patron Giorgio Squinzi e alla dinamica Adriana Spazzoli, vera regina dell’evento): il dottor Aldo Sassi, “il professore”, direttore generale del Centro Mapei Sport di Castellanza, tecnico di ciclismo dal 1982 e allenatore di Basso e di Evans. L’amico Aldo, sempre presente, sempre prodigo di consigli, competente e rassicurante, purtroppo non è riuscito a ta- ROMBI IN ALTA QUOTA Domenica 3 luglio il Passo gran protagonista... I rombi dei bolidi a due ruote – e i loro centauri – torneranno ad animare e a “colorare” i tornanti della Strada Imperiale dello Stelvio. Organizzato dal Moto Club Sondalo, dopo due anni di pausa e la parentesi 2010 “aperta” dal Moto Club Storico Alta Valtellina – che ha fatto registrare la bellezza di circa 2.000 iscritti –, la XXXV edizione del “Motoraduno Stelvio International” è attesissimo appuntamento per migliaia di motociclisti provenienti da tutta Europa. Ai 3.000 metri del valico e all’Albergo Quarto, si accettano già scommesse, ci sarà un gran bel movimento. 20 chilometri di percorrenza. È una prova per “duri”, nutrita e condita da forti motivazioni ...che il Mapei day fornisce sempre, e puntualmente. La bruciante ansia di ritrovarsi lassù, ai 2.760 metri VII MAPEI DAY, AL VIA GLI ALLENAMENTI 178 MOMENTI PIROVANO In alto: il Passo in uno degli ultimi “Motoraduni”. Nelle altre foto: alcune immagini riferite al VI Mapei day, svoltosi l’11 luglio 2010. Top: the Pass in one of the last “Motorcycle rallies”. In the other photos: some images from the VIth Mapei Day, which took place on July 11, 2010. Mauro Lanfranchi Il Mapei day, l’evento sportivo (ma non solo) “clou” della grande stagione Pirovano, andrà in onda, con la sua settima puntata, domenica 17 luglio. La manifestazione è entrata ormai nel cuore di tutti gli sportivi valtellinesi (ma non solo di loro) e nella più viva tradizione dello sport all’insegna dell’amicizia, del divertimeno, della coralità. È per questo – e per tanti altri motivi – che l’irrinunciabile kermesse vede accrescere, di anno in anno, il numero dei suoi aficionados. E molti fra questi, certamente, staranno già “scaldando i motori” (chi sulle bici, chi correndo, chi con gli ski-roll e chi praticando il nordic walking) o programmando severi allenamenti per poter poi affrontare l’ambita performance che ha come palcoscenico i quasi 1.600 metri di dislivello che separano Bormio dal Passo, per un totale di oltre Archivio Pirovano A sinistra: Giovanni Pilatti e Renato Sozzani mostrano la squisita tavoletta “Pirovano”. A destra: il dr. Ezio Corbellini e il presidente di Pirovano Stelvio insieme per il “centro laser più alto d’Europa”. gliare il traguardo più arduo del suo percorso terreno. Se ne è andato nel dicembre del 2010, lasciando nel cuore di tutti coloro che hanno avuto la fortuna di conoscerlo un sentimento di grande tristezza, temperato però dal bellissimo ricordo per quello che Aldo è stato e per quello che ha saputo fare, con grandi passione, forza, rigore e, soprattutto con tanta umiltà. Su quei tornanti che i “suoi” campioni hanno saputo affrontare negli anni con tanta grinta e con una conquistata – grazie ai suoi preziosi consigli e alla sua meticolosa “messa a punto” – nonchalance, Aldo sarà presente anche in questa settima edizione. E spronerà tutti, verso la Cima Coppi. Grazie, Aldo, per i tuoi insegnamenti e per quello che hai saputo donare, con amicizia e professionalità, al folto popolo del Mapei day. Left: Giovanni Pilatti and Renato Sozzani showing the exquisite “Pirovano” board. Right: Dr. Ezio Corbellini and the Pirovano chairman together for “Europe’s highest laser centre”. UNA STRADA SPECIALE IN UNA MONTAGNA DI... DOLCEZZA È proprio la Strada dello Stelvio, con i suoi arditi e perfetti tourniquets, quella che si snoda aggrappandosi alla cima della Montagna, sino a toccarne la sommità, per poi sfociare nel cielo... Una strada “del sapore e del gusto”, la si potrebbe definire, che campeggia nella tavoletta “Pirovano”, artistica quanto golosissima creazione che il gran Maestro cioccolataio “Gigi” Pilatti di ChocoAlpi (So) ha realizzato, ispirandosi allo Stelvio e all’Università dello Sci. Il nastro d’asfalto si è così trasformato in una scia di prelibato cioccolato fondente, mentre la Grande Montagna che fa da sfondo è fatta di cioccolato bianco; il cielo sopra, invece, ha il sapore e il colore del cioccolato al latte. Che squisitezza! Il presidente di Pirovano Stelvio, Renato “Tato” Sozzani, da buon gourmet e goloso quale è, con sorpresa ed entusiasmo ha accolto questa invitante e curiosa novità che contribuirà ad ampliare – allietando il palato... – la già ricca offerta gastronomica che Pirovano offre alla sua clientela. LASER, QUASI UN ANAGRAMMA DI RELAX Aldo Sassi a Bormio nel 2005, sul podio del Mapei day con Adriana Spazzoli (a sinistra) e Anna Calcaterra. Doctor Aldo Sassi a Bormio in 2005, on the Mapei day podium with Adriana Spazzoli (left) and Anna Calcaterra. Per chi volesse già mettersi in gioco, si rammenta di effettuare un click sui seguenti siti: www.winningtime.com - www.mapei.it www.popso.it - www.usbormiese.com Importante novità, sotto il profilo medico e scientifico, all’interno dell’Albergo Quarto ove verrà creata una speciale area che ospiterà un innovativo “centro laser”. Che sarà, senza alcuna ombra di dubbio, il “centro laser più alto d’Europa”, seguito da uno specialista del settore: il dottor Ezio Corbellini del “Centro Salute” di Piantedo (SO), che utilizza attrezzature marcate “ASALaser”. Con questa sorta di gemellaggio a tre, la laserterapia e la carbossiterapia, metodologie mediche all’avanguardia, nella stagione estiva 2011 saranno quindi al servizio di atleti e di tutti coloro che desiderano vedere migliorate non solo le proprie condizioni fisiche e atletiche, ma anche quelle mentali (chi non ricorda il famoso detto: mens sana in corpore sano?). La tecnologia laser e la pratica della carbossiterapia, i cui effetti benefici erano già noti ai tempi di Giulio Cesare, vanno così ad arricchire il ventaglio di proposte “extra-sci” che l’Università Pirovano offre alla sua affezionata clientela. Clientela che ama lo sport ma che, attraverso nuovi stimoli, desidera rigenerarsi ad alta quota. In due parole: soggiorni all’insegna anche (e soprattutto) del relax. Positiva l’accoglienza da parte di Renato “Tato” Sozzani, presidente della Pirovano il quale ha affermato che «è molto importante per noi essere in grado di offrire a tutti gli sportivi che vengono quassù (siano essi sciatori, ciclisti, surfisti della neve, motociclisti, podisti o amanti del trekking) l’opportunità di prendersi cura di sé, di coccolarsi quasi e di migliorare anche le proprie performance grazie all’utilizzo del laser [...] Pirovano è un centro di eccellenze e [...] questo accordo arrecherà importanti benefici nel campo medico-sportivo». E ne siamo certi. Pirovano da sempre fa rima con benessere fisico e psichico, sin dalla sua nascita. Eravamo alla fine degli anni Quaranta del XX secolo. Sondrio, via Delle Prese 8 Visitate il nostro sito: www.pirovano.it [email protected] - [email protected] Per informazioni e prenotazioni Tel. +39 0342 210040 - 515450 Fax +39 0342 514685 http://webcam.popso.it