Sperimentazione combustibili da riscaldamento

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Sperimentazione combustibili da riscaldamento
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riscaldamento
di A. Mascherpa, S. Marengo,
G. Migliavacca, S. Bertagna,
F. Hugony
Sperimentazione combustibili
da riscaldamento
Influenza del regime transitorio
sulle emissioni inquinanti
N
egli ultimi anni lo stato della qualità dell’aria in Italia ed in special modo nell’area della pianura Padana è oggetto di crescente
attenzione e preoccupazione da parte delle amministrazioni e
dell’opinione pubblica, a causa dei frequenti superamenti dei limiti imposti a livello europeo. Se da un lato si tende a trascurare la positiva
tendenza alla diminuzione dei livelli di inquinanti atmosferici, osservata con continuità da almeno due decenni a questa parte, d’altro canto
non possono essere sottovalutati i comprovati rischi per la salute umana che la situazione attuale tuttora comporta.
Le decisioni da prendersi in questo campo necessitano di informazioni
e dati precisi che consentano di definire scelte mirate ed efficaci, capaci di migliorare significativamente la qualità dell’aria senza penalizzare inutilmente questo o quel settore produttivo e l’economia nazionale
in generale. Fra le questioni più dibattute e rilevanti a livello decisionale, vi è quella relativa al peso da attribuire alle varie fonti di inquinamento nel bilancio globale delle emissioni. Quando poi l’attenzione si
concentra su taluni inquinanti, come le tanto discusse polveri sottili, il
dibattito si focalizza su due principali fonti: il traffico veicolare e il riscaldamento domestico. L’attribuzione di un peso maggiore o minore
a ciascuna di queste fonti implica modifiche consistenti nelle politiche
ambientali tanto a livello regionale quanto nazionale.
Concentrando l’attenzione sugli impianti di riscaldamento, vanno presi
in considerazione molteplici fattori che concorrono a determinare l’impatto ambientale complessivo di questo settore. In primo luogo va valutata la vasta gamma di combustibili attualmente presenti sul mercato,
che vanno dal gas naturale alla legna da ardere, passando per tutta
la famiglia dei combustibili liquidi di origine sia fossile sia biologica,
nonché le formulazioni innovative, basate su tecnologie di miscelamento ed emulsionamento. Nel contempo non si può trascurare il fatto
che gli impianti di riscaldamento hanno un tempo di vita lungo, rispetto ad esempio al parco degli autoveicoli circolanti, e che perciò ogni
considerazione non può prescindere dalle condizioni medie degli impianti esistenti. Se da un lato, infatti, la natura chimico-fisica di un
combustibile e le sue caratteristiche alla combustione ne determinato il
comportamento e ne vincolano, in parte, i fattori di emissione ottenibili
anche in condizioni ideali, d’altro canto le caratteristiche degli impianti, in termini di livello tecnologico, di grado di obsolescenza, di stato di
manutenzione e corretta gestione, possono influenzare significativamente le prestazioni dell’impianto stesso. Fra gli aspetti spesso non appieno considerati nella gestione degli impianti di riscaldamento vi è
quello della conduzione abitualmente intermittente dei medesimi, conseguenza diretta ed inevitabile della necessità di far fronte alle esigenze variabili dell’utente e dello stesso impianto. Il susseguirsi di fasi di
accensione e spegnimento è dunque una costante nell’operatività degli
impianti, mentre la frequenza e la durata di queste fasi può dipendere
Dott. Achille Mascherpa, dott. Sergio Marengo, dott. Gabriele Migliavacca,
ing. Silvia Bertagna, ing. Francesca Hugony, Stazione sperimentale per i
Combustibili, San Donato Milanese (MI)
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in maniera molto variabile da più fattori, come il dimensionamento
dell’impianto rispetto all’edificio, le condizioni climatiche esterne e le
impostazioni dell’impianto stesso. Ciò che si tende a trascurare è come
le fasi transitorie di accensione e spegnimento, che rappresentano
l’inizio e la fine di ciascun ciclo, benché di durata estremamente ridotta rispetto al tempo di funzionamento in regime stazionario, possano
influire in maniera rimarchevole sulle emissioni complessive di un impianto in condizioni di funzionamento reale rispetto a quanto si potrebbe prevedere sulla base dei valori misurati in condizioni stazionarie ideali. Per questo motivo, il Ministero dell’Ambiente e della Tutela
del Territorio ha promosso nel 2002 un ampio programma pluriennale
di sperimentazione che ha visto coinvolti, oltre alla Stazione sperimentale per i Combustibili, soggetti appartenenti a Istituzioni ed Enti diversi
(Regione Lombardia, Regione Piemonte, Assocostieri, Unione Petrolifera Italiana e Assopetroli, Enea, CTI e Consorzio IPASS), volto alla valutazione comparativa dei combustibili e degli impianti di riscaldamento
al fine della valutazione del relativo impatto ambientale. Parte dei risultati ottenuti nell’ambito di questo studio sono già stati recentemente
pubblicati su questa stessa Rivista [1], [2]; la relazione completa è disponibile sul sito web della Stazione sperimentale per i Combustibili
[3]. Il presente articolo intende illustrare il comportamento dei sistemi
combustibile/impianto durante i cosiddetti transitori, vale a dire i cicli
ripetuti di accensione e spegnimento che costituiscono la situazione di
funzionamento più frequente degli impianti termici civili. In particolare,
si sono voluti stimare dei fattori di emissione specifici per tipologia di
combustibile e di impianto in funzione della frequenza di accensione
dei bruciatori, così da poter valutare con maggior realismo l’effettivo
contributo del riscaldamento domestico all’inquinamento atmosferico.
Inquadramento della ricerca
Scelta dei combustibili
La sperimentazione ha preso in considerazione i combustibili più diffusi sul territorio nazionale e alcuni prodotti alternativi ed innovativi, il
cui impiego è in via di sviluppo. In particolare, sono stati considerati:
gas naturale, gasolio, biodiesel, olio combustibile, emulsione gasolioacqua, emulsione olio-acqua, miscela olio-biodiesel. L’andamento generale dei consumi indica una progressiva diminuzione dei combustibili liquidi rispetto a quelli gassosi; si può osservare la predominanza dei
consumi di gas naturale, in continua e consistente crescita, la riduzione
dei consumi di gasolio e la marginalità dei consumi degli altri combustibili liquidi; considerando come anno di riferimento il 2001, infatti, il
gas naturale copre più del 72% (escludendo i consumi di energia elettrica) delle richieste energetiche del settore civile attraverso la combustione di 26,4 miliardi di metri cubi; circa il 14,4% è coperto dal gasolio, il 7,1% dal GPL e il 4,1% da biomassa. Il rimanente 2,3% è diviso
tra olio combustibile (1,1%), solidi (0,43%), fonti rinnovabili (0,33%),
petrolio (0,21%) e biodiesel (0,17%) [1-2]. I consumi dei combustibili
di più recente introduzione sul mercato, cioè le emulsioni, il biodiesel e
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la relativa miscela con olio combustibile, e la loro
previsione al 2015 denotano un’evidente crescita,
ma le quantità e la loro incidenza sul totale sono talmente basse che risulta difficile poter effettuare delle
valide considerazioni sul trend in atto. I riferimenti
normativi che fissano le caratteristiche dei combustibili studiati sono riportati in Tabella 1.
TABELLA 1 - Combustibili esaminati e loro caratteristiche
Combustibile
Caratteristiche
Gas naturale
Conformità della fornitura al contratto
stipulato tra utente e società distributrice,
in termini di potere calorifico UNI-EN 437
Gasolio
Secondo quanto indicato nel DLGS 152/06
Biodiesel
Secondo quanto indicato nel DLGS 152/06
Emulsione gasolio e acqua
Secondo quanto indicato nel DLGS 152/06
Scelta delle apparecchiature di prova
Olio
combustibile
BTZ
Secondo
quanto indicato nel DLGS 152/06
Le apparecchiature utilizzate nelle prove di laboraEmulsione olio combustibile BTZ e acqua
Secondo quanto indicato nel DLGS 152/06
torio sono state selezionate in modo da evitare apparecchi di combustione tecnologicamente molto
Miscela olio combustibile BTZ e biodiesel
I costituenti la miscela devono essere
avanzati, poco rappresentativi degli impianti in uso
conformi al DLGS 152/06
in Italia e da orientare piuttosto la scelta verso apparecchi che corrispondano in modo significativo al
classe II; per le prove con olio combustibile puro, emulsionato e in migrado di diffusione sul territorio nazionale. Analizzando in dettaglio
scela con biodiesel è stato impiegato il medesimo bruciatore utilizzato
la disponibilità del riscaldamento, emerge che il tipo di impianto di risull’impianto di classe II. In Tabella 2 sono riportate le tipologie di calscaldamento più diffuso in Italia è quello fisso autonomo (58,4% delle
daie e di bruciatori impiegate per ciascuna classe e ciascun combustiabitazioni occupate), il 20,2% delle abitazioni occupate da persone
bile. Per l’effettuazione delle misure delle emissioni prodotte dal riscalresidenti è servito da un impianto centralizzato e una quota residuale
damento civile sono stati appositamente realizzati presso la Stazione
di abitazioni è priva di qualsiasi impianto (5,6%); una percentuale risperimentale per i Combustibili due distinti impianti sperimentali:
levante (24,5%) è dotata di apparecchi singoli fissi che riscaldano tut- un impianto termico per generatori a combustibili liquidi (Classi I, II
ta, la maggior parte o alcune parti dell’abitazione. Le tipologie di ime III) e gassosi (Classi II e III);
pianto sulle quali si è articolata la fase sperimentale sono state indica- un impianto per le prove con caldaie murali a gas (Classe I) finativamente distinte in tre classi di potenza: classe I: )75 kW; classe II:
lizzato allo studio delle prestazioni di apparecchi con potenzialità
75-200 kW; classe III: *200 kW. Tali potenzialità corrispondono a
termiche comprese tra 17 kW e 35 kW.
impianti che vanno da un tipico sistema autonomo monofamiliare, ad
Entrambi gli impianti consentono la conduzione delle prove in condiuna unità idonea al riscaldamento di una palazzina da 20-30 apparzioni analoghe a quelle di reale funzionamento di un impianto di ritamenti. Le caldaie murali a gas utilizzate nelle prove appartengono
scaldamento, mantenendo una temperatura costante dell’acqua di
alle due principali categorie tecnologiche in commercio e precisamenmandata mediante l’utilizzo di opportuni scambiatori. Gli impianti di
te: al tipo B, comprendente caldaie a camera di combustione aperta e
prova consentono anche la contabilizzazione del rendimento termico
al tipo C, comprendente caldaie a camera stagna. La caldaia Tipo C,
delle caldaie impiegate.
WOLF RP 20 TopCom, di tecnologia più avanzata, è dotata di bruciatore a microfiammelle. Per la caldaia di classe II è stato scelto un impianto termico a due giri di fumo, adatto all’impiego di combustibili
Misure
diversi; esso rappresenta una variante largamente adottata rispetto ai
Le misure delle emissioni prodotte dagli impianti termici e i rilievi di tisistemi a fiamma inversa. I bruciatori individuati per l’impiego del gas
po termotecnico, condotti secondo le metodologie indicate da docunaturale e dei combustibili liquidi (gasolio, biodiesel e emulsione gamenti tecnici UNI-ISO e normativi, hanno riguardato i seguenti parasolio/acqua) sono di tipo standard, mentre per la combustione di olio
metri: termotecnici: Temperatura acqua ingresso caldaia [4]; TempeBTZ è stato scelto un bruciatore adatto all’impiego sia del combustibile
ratura uscita caldaia [4]; Portata acqua in caldaia [ 4]; Portata compuro, sia delle emulsioni e miscele con biodiesel.
bustibile [5]; Pressione in c.c. [5]; Portata fumi [6]; Temperatura fumi
La caldaia relativa alla classe III è del tipo a fiamma inversa, di buona
[6]; Ossigeno nei fumi [7]; e i seguenti parametri analitici: Anidride
tecnologia ma di costruzione non recente (anni Ottanta), rappresentacarbonica (CO2) [7]; Monossido di carbonio (CO) [8]; Ossidi di azoto
tiva di una buona parte degli impianti esistenti. I bruciatori per il gas
(NO-NO2) [9]; Composti organici totali (COT) [10, 15]; Anidride
naturale e i combustibili liquidi (gasolio, biodiesel e emulsione gasosolforosa (SO2) [11]; Particolato totale* [12]; PM 10* [13]; IPA* [14];
lio/acqua) sono stati scelti sulla base degli stessi criteri adottati per la
Composti carbonilici* (metodo interno); Numero di Bacharach* [4]
TABELLA 2 - Apparecchiature di prova utilizzate durante la sperimentazione
classe I: )75 kW
Gas
naturale
classe II: 75 - 200 kW
Caldaia
Tipo B, WOLF RP 24 Kamino
Tipo C, Beretta MIX RSI 24
Gas naturale
Gasolio,
Biodiesel
classe III: *200 kW
Caldaia
RAVASIO TRM 150
Bruciatore
F.B.R. Gas X4/2 CE
Gas naturale
Tipo C ,
WOLF RP 20 TopCom
Gasolio, Biodiesel,
Gasolio emulsionato
CUENOD C24 H 201
Gasolio, Biodiesel,
Gasolio emulsionato
Caldaia
CUENOD, GT 480
Bruciatore
F.B.R. GI S 2001
O.C, O.C. emuls.
O.C./Biodiesel
ELCO KLOCKNER
EK 3.50 SZA TZ
O.C,
O.C. emuls.
O.C./Biodiesel
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Caldaia
BIKLIM PR1-H250
Bruciatore
CUENOD C34 G 207/8
CUENOD C30 H 201
ELCO KLOCKNER
EK 3.50 SZA TZ
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(*determinati solo in prove a regime stazionario). Relativamente alle
specie oggetto di questo studio sono stati utilizzati analizzatori automatici continui basati sui seguenti principi operativi:
- paramagnetismo per O2;
- spettrometria infrarossa non dispersiva per CO e CO2;
- ionizzazione di fiamma (FID) per il COT;
- chemiluminescenza per NOx;
- fluorescenza UV pulsata per SO2.
Prove in transitorio
Il regime di funzionamento discontinuo è caratterizzato da tre fasi ben
distinte: accensione, regimazione e spegnimento, relativamente ravvicinate nel tempo. Le prove sono state condotte imponendo cicli periodici di accensione e spegnimento agli impianti sotto esame, mantenendo la fase di accensione per un periodo sufficiente a garantire il raggiungimento di condizioni stazionarie e che, al tempo stesso, potesse
simulare una situazione di funzionamento reale. La durata della fase
di accensione è stata impostata per 14 minuti, seguita da un periodo
di spegnimento approssimativamente di 6 minuti.
In Figura 1 sono riportati i tipici profili di concentrazione di ossido di
carbonio e carbonio organico totale così come misurati nei fumi di
combustione all’uscita di una caldaia, a cavallo dello spegnimento e
della successiva riaccensione della medesima. Viene riportata anche la
concentrazione di ossigeno, al fine di meglio identificare lo stato di
funzionamento del bruciatore. Si osserva chiaramente come all’atto
dell’accensione si produca un picco accentuato tanto nella concentrazione del COT quanto in quella del CO, che risulta però leggermente
ritardato e maggiormente allargato. È facile spiegare questo comportamento sulla base del meccanismo di accensione tipico dei bruciatori
delle prove di laboratorio) o per il raggiungimento delle condizioni richieste (nel caso del funzionamento reale), fino al momento dello spegnimento, quando la cessazione dell’alimentazione interrompe bruscamente la combustione. Anche in questo caso, il venir meno della fiamma così come avviene per la sua accensione è causa di una incompleta combustione con conseguente rilascio di prodotti parzialmente o per
nulla ossidati. Va sottolineato, però, che lo spegnimento del bruciatore
comporta anche la cessazione della spinta forzata dei fumi responsabile della portata al camino, in special modo nella caldaie dotate di
bruciatori ad aria soffiata. Ne consegue, pertanto, che quanto prodotto negli ultimi istanti della combustione si trova a ristagnare nella camere di combustione dalla quale viene evacuato molto lentamente per
tiraggio naturale. Ciò spiega l’andamento del picco di COT e dell’assai meno evidente picco di CO nella fase di spegnimento. Per entrambi
va considerato che essi non sono rappresentativi della concentrazione
di un flusso gassoso di portata fissa come quando il bruciatore è acceso, ma al contrario indicano la concentrazione all’interno del volume
morto della camera di combustione che si diluisce molto lentamente nel
tempo. Per quanto concerne la valutazione dei picchi di accensione è
stato necessario procedere ad una integrazione numerica dei dati sperimentali discreti. L’intervallo di tempo utilizzato per il calcolo dell’area
sottesa alla curva è stato scelto pari a 1 minuto, tempo sufficiente affinché il picco di concentrazione raggiungesse il suo massimo e si riportasse ai valori tipici della fase stazionaria.
Dalle quantità assolute degli inquinanti calcolate con questo procedimento si è provveduto a ricavare i fattori di emissione dell’intero ciclo
(accensione-regimazione-spegnimento), espressi in termini di quantità
di inquinante prodotta per unità di energia prodotta dalla caldaia e
relativi alle combinazioni impianto-combustibile esaminate.
Risultati sperimentali
FIGURA 1 - Andamento di O2, CO e COT in un tipico
ciclo di accensione e spegnimento della caldaia
che prevede la presenza di una fonte di innesco localizzata, dalla quale la combustione si propaga poi a tutto il combustibile, generando una
fiamma stabile. Nei primissimi istanti però è facile comprendere come
parte del combustibile, solo parzialmente vaporizzato, se liquido, oppure direttamente rilasciato se gassoso, possa sfuggire ad una completa combustione, andandosi a disperdere nei fumi. In maniera analoga,
ma per un tempo relativamente più lungo, il CO tende a formarsi in
misura più abbondante di quanto non avvenga in condizioni di regime
per effetto della non omogenea miscelazione con il comburente e della
temperatura inizialmente non elevata della camera di combustione.
Questi fenomeni transitori, in generale, si annullano entro 1-2 minuti
dall’istante di accensione con una dinamica che dipende molto dalla tipologia di combustibile e di caldaia. La combustione procede quindi in
maniera stazionaria e controllata per tutto il tempo impostato (nel caso
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I risultati ottenuti nella sperimentazione di laboratorio, sulle diverse tipologie di caldaia e con i differenti combustibili analizzati, sono riportati in Figura 2 in termini di mg di CO e COT prodotti in ciascuna fase
di un ciclo di accensione della durata di 14 min, seguita da una periodo di spegnimento di 6 min. In ciascun istogramma sono riportati i
contributi stimati per ognuna delle fasi individuate e valutate del processo, vale a dire l’accensione (in azzurro), la conduzione stazionaria
(in viola) e lo spegnimento (in giallo). Si osserva una notevole variabilità di comportamento da caso a caso: il contributo della fase stazionaria è quello prevalente nella maggior parte delle condizioni analizzate,
ma il peso dell’emissione in fase di accensione è quasi sempre paragonabile e in alcuni casi maggiore.
Al contrario, la fase di spegnimento rappresenta un apporto trascurabile nella maggior parte dei casi, con l’unica significativa eccezione delle
emissioni di COT da caldaie alimentate a gas naturale. In quest’unico
caso, il contributo dello spegnimento è paragonabile a quello del picco
di accensione ed è di gran lunga superiore all’emissione in fase stazionaria. Ciò è da attribuirsi direttamente alla natura fisica del combustibile e alle caratteristiche costruttive dei bruciatori a gas; in effetti, è facile
comprendere come un gas possa, molto più facilmente di un liquido, liberarsi per un tempo molto breve sia prima dell’accensione, che dopo
lo spegnimento del bruciatore. I dati riportati in Figura 2 rappresentano
una fotografia di una particolare condizione di funzionamento di un
generico impianto che, benché in generale abbastanza rappresentativa
del comportamento reale di un generatore, può variare in funzione delle condizioni di funzionamento, che dipendono fortemente dalle caratteristiche della caldaia e dalla domanda termica dell’impianto nel suo
complesso. Quest’ultima, a sua volta, dipende da fattori costruttivi, climatici ed ambientali. Al fine di tener conto più realisticamente di questa
notevole variabilità di condizioni di esercizio, che può verificarsi sugli
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impianti reali, si è condotta una più accurata elaborazione
dei dati raccolti, utilizzando i fattori di emissione specifici
stimati per ciascuna fase allo scopo di valutare il fattore di
emissione complessivo in un impianto in funzione della frequenza di accensione dell’impianto medesimo. I risultati di
questa analisi sono riassunti in Figura 3 dove, in funzione
della frequenza oraria di accensione del bruciatore, sono riportati gli andamenti dei fattori di emissione (mg/kWh) per
ciascuna classe di impianto e per ciascun combustibile.
L’andamento rigorosamente lineare di questi fattori è determinato dal fatto che all’aumentare della durata di ciascun
ciclo di accensione il contributo della fase stazionaria cresce
linearmente con il tempo di accensione, mentre al crescere
del numero di cicli il contributo delle fasi di accensione e
spegnimento cresce linearmente con il numero dei cicli stessi. È perciò evidente che laddove il contributo della fase stazionaria è preponderante rispetto ai picchi di accensione e
spegnimento le rette risultano quasi orizzontali, mentre la loro pendenza cresce insieme all’importanza relativa delle fasi transitorie. L’intervallo considerato copre le condizioni ragionevoli di possibile conduzione di un impianto di riscaldamento, con una frequenza massima pari a 10 cicli/ora, corrispondente ad un tempo di accensione del bruciatore per
ciclo di poco più di 4 min, avendo mantenuto fisso il rapporto fra tempo di accensione e spegnimento, pari a 0,7.
L’estrapolazione a tempo di accensione infinito delle rette riportate consente di stimare visivamente il fattore di emissione per un sistema stazionario. Anche da questa analisi
emerge una notevole variabilità di comportamenti, tanto rispetto alla natura del combustibile utilizzato, quanto in relazione alla tipologia di impianto. Le emissioni di COT vedono prevalere gli impianti alimentati a gas naturale soprattutto al crescere della frequenza di accensione, come ovvia
conseguenza della già citata prevalenza dei picchi di accensione e spegnimento sulle emissioni stazionarie. Per il
CO la situazione appare invece poco definita, ma comunque in generale meno influenzata dalla frequenza dei cicli.
Un altro inquinante, sempre più critico per il suo impatto
sulla qualità dell’aria, la cui produzione è indubbiamente
influenzata dal regime di conduzione intermittente dei generatori di calore, è senza dubbio il particolato fine. È ben
noto che le fasi di accensione dei bruciatori, specialmente
se alimentate con combustibili densi, possono dare origine
ad una certa fumosità; ne consegue che una elevata frequenza di accensione di questi impianti non può non essere
accompagnata da una analoga crescita dei fattori di emissione delle polveri. La misura diretta delle emissioni di particolato totale e di PM10 su impianti condotti in regime intermittente non è risultata tecnicamente fattibile o comunque
affidabile con il metodo di misura qui adottato, in quanto
un corretto campionamento del particolato richiede il mantenimento di condizioni isocinetiche fra il flusso di gas da
campionare e la portata aspirata dalla sonda di campionamento. Tali condizioni non possono essere garantite nelle
fasi di accensione e di spegnimento, laddove la portata dei
fumi varia istantaneamente. Una valutazione puramente
qualitativa ed indicativa può però essere dedotta dai dati
acquisiti, considerando la stretta correlazione esistente fra
le emissioni di particolato e quelle di CO e COT; questi tre
inquinanti derivano da una incompleta combustione che,
invece di portare alla formazione di CO2, genera prodotti
intermedi che possono rappresentare i precursori chimici
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FIGURA 2 - CO e COT prodotti in ciascuna fase di un ciclo
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per la formazione del particolato carbonioso. In Figura 4 sono riportati
i fattori di emissione misurati in condizioni stazionarie di polveri totali e
PM10 per i combustibili e gli impianti analizzati; i valori misurati per il
gas naturale e per il gasolio risultano, nella maggior parte dei casi, inferiori ai limiti di rivelabilità, contrariamente a quanto osservato per
l’olio combustibile nelle sue diverse formulazioni. Per quanto concerne
il prevedibile comportamento dei diversi combustibili in relazione alle
emissioni di particolato durante le fasi di accensione e spegnimento va
considerato che, benché una relazione generalmente valida esista fra
la presenza di elevate concentrazioni di CO e COT nei fumi e la formazione di particolato, alcuni fattori specifici devono essere accuratamente considerati. In primo luogo, si deve valutare l’intrinseca differenza del prevedibile comportamento del sistema all’atto dello spegnimento rispetto a quanto avviene in fase di accensione: se, infatti, in
quest’ultimo caso le condizioni termiche e chimiche dell’ambiente di
reazione sono tali da permettere il procedere delle reazioni di formazione del particolato, al contrario nello spegnimento non è ragionevole
prevedere una significativa formazione di particelle carboniose a partire dagli idrocarburi rilasciati dopo l’estinzione della fiamma. Se ne deduce, quindi, che la componente attribuibile alla fase di spegnimento
non contribuisce alla formazione del particolato. È invece in fase di ac-
censione che la maggior presenza di prodotti della combustione incompleta favorisce la formazione del particolato. Anche in questo caso si
deve, però, distinguere la diversa reattività che alcune specie chimiche
hanno rispetto ad altre; in particolare, è noto come alcuni idrocarburi
insaturi, più di altri, siano i principali precursori nella sintesi del soot,
come ad esempio l’acetilene ed altri idrocarburi a catena lunga [16].
Al contrario, solo un contributo ridotto e indiretto è da attribuirsi a specie stabili come il metano. Sulla base di queste considerazioni, si spiega l’apparente contraddizione fra l’elevata concentrazione di COT
prodotto dalla combustione del gas naturale nelle fasi di accensione e
spegnimento e la mancanza di evidenze di una corrispondente emissione di particolato anche in condizioni non stazionarie.
Conclusioni
Sulla base dell’ampio studio condotto, qui riportato nelle parti essenziali, si evince l’importanza sinergica che molti differenti fattori esercitano sulle emissioni complessive degli impianti di riscaldamento. Fra
questi, la natura del combustibile rappresenta il punto di partenza che
determina dei valori di soglia difficilmente riducibili senza sistemi di
abbattimento a valle dell’impianto. Il caso degli ossidi di zolfo è il più
evidente in quanto determinato univocamente dalla concentrazione di zolfo nel combustibili. Anche per altri inquinanti, come le
polveri sottili, la natura chimica del combustibile gioca un ruolo importante.
Per altri ancora è invece più rilevante il livello tecnologico dell’impianto di combustione
adottato, come nel caso degli ossidi di azoto
la cui produzione può essere notevolmente
limitata con l’adozione delle più moderne
tecnologie (low-NOx); d’altro canto, non
vanno trascurati neppure gli aspetti gestionali, con particolare riferimento alla messa
a punto e alla manutenzione degli impianti.
L’aspetto legato alla conduzione dei medesimi mostra però un’importanza non trascurabile se non preponderante in taluni casi. Il
presente studio ha evidenziato il rilevante
contributo che il funzionamento non stazionario degli impianti ha sulle emissioni complessive di taluni inquinanti. Da tutto ciò si
deduce come una corretta politica di prevenzione e indirizzo finalizzata al più proficuo impiego dei combustibili, garantendo il
contenimento delle emissioni insieme alla
economicità della gestione del settore del riscaldamento civile, non possa trascurare
nessuno dei fattori qui analizzati.
Bibliografia
FIGURA 3 - Andamenti dei fattori di emissione (mg/kWh) in funzione
della frequenza oraria di accensione del bruciatore
78
[1] F. Cotana, C. Buratti, E. Moretti, Analisi
comparativa di combustibili per uso civile, Contenuti e risultati dell’indagine bibliografica. La
Termotecnica, 6, 2006, pag. 50.
[2] F. Cotana, C. Buratti, E. Moretti, Analisi
comparativa di combustibili per uso civile, Contenuti e risultati di una campagna sperimentale.
La Termotecnica, 7, 2006, pag.54.
[3] http://www.ssc.it/pdf/2006/Relazione%
20Conclusiva_amb.pdf
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FIGURA 4 - Fattori di emissione di polveri totali e PM10
per i diversi combustibili e gli impianti analizzati
[4] UNI 10389:1994 Generatori di calore. Misurazione in opera del rendimento di combustione.
[5] UNI 7936:1979 Generatori di calore ad acqua calda con potenza termica fino a 2,3 MW, funzionanti con combustibile liquido e/o gassoso e
bruciatori ad aria soffiata. Prova termica.
[6] UNI 10169: 2001 Misure alle emissioni - Determinazione della velocità
e della portata di flussi gassosi convogliati per mezzo del tubo di Pitot.
[7] ISO 12039:2001 Stationary source emissions - Determination of carbon
monoxide, carbon dioxide and oxygen - Performance characteristics and calibration of automated measuring system.
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[8] UNI 9969:1992 Misure alle emissioni. Determinazione del monossido
di carbonio in flussi gassosi convogliati. Metodo spettrometrico all’infrarosso.
[9] UNI 10878:2000 Misure alle emissioni - Determinazione degli ossidi
di’ azoto (NO e NO2) in flussi gassosi convogliati - Metodi mediante spettrometria non dispersiva all’infrarosso (NDIR) e all’ultravioletto (NDUV) e chemiluminescenza.
[10] UNI EN 12619:2002 Emissioni da sorgente fissa - Determinazione
della concentrazione in massa del carbonio organico totale in forma gassosa
a basse concentrazioni in effluenti gassosi - Metodo in continuo con rivelatore a ionizzazione di fiamma.
[11] UNI 10393:1995 Misure alle emissioni - Determinazione del biossido
di zolfo nei flussi gassosi convogliati. Metodo strumentale con campionamento estrattivo diretto.
[12] UNI EN 13284-1:2003 Emissioni da sorgente fissa - Determinazione
della concentrazione in massa di polveri in basse concentrazioni - Metodo
manuale gravimetrico.
[13] EPA 201A Method Determination of PM10 emissions (Constant Sampling Rate Procedure).
[14] ISO/DIS 11388 Stationary source emissions - Determination of the
mass concentration of polycyclic aromatic hydrocarbons.
[15] UNI EN 13526-1:2002 Emissioni da sorgente fissa - Determinazione
della concentrazione in massa del carbonio organico totale in forma gassosa
in effluenti gassosi provenienti da processi che utilizzano solventi. Metodo in
continuo con rivelatore a ionizzazione di fiamma.
[16] H. Richter, T.G. Benish, O.A. Mazyar, W.H. Green, J.B Howard, Formation of policyclic aromatic hydrocarbons and their radicals in a nearly soo■
ting premixed benzene flame. Proc. Comb. Inst. 28, 2000, 2609-2618.
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