vita quotidiana e cultura materi

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Sciamani e cavalli volanti.
Riflessioni sull’arte rupestre
Il passato è terra straniera: le cose si fanno in un
altro modo, laggiù.
Leslie P. Hartley, L’età incerta.
Alberto Salza
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Bibliografia • Per una completa trattazione
del fenomeno degli SMC, vedi D. LewisWilliams, The Mind in the Cave;
Consciousness and the Origins of Art,
Thames & Hudson, Londra 2004 (in
pubblicazione da Einaudi), in cui viene
accostata l’arte rupestre europea a quella
dei San. Mantenendo come approccio il
modello SMC, l’autore esplora l’universo
mentale e i livelli di coscienza
nell’espressione materiale graffita e
monumentale del Neolitico mediorientale
ed europeo in Inside the Neolithic Mind,
Thames & Hudson, Londra 2005 (in coll.
con D. Pearce). I temi dell’origine dei segni
rupestri, con accenni alla teoria SMC, e la
cultura e l’ecologia dei San sono affrontati
in alcuni capitoli di A. Salza, Atlante delle
popolazioni, Utet, Torino 1997. Il lettore
interessato a pubblicazioni in lingua
italiana sull’arte preistorica africana, può
consultare: L’arte e l’ambiente del Sahara
preistorico: dati e interpretazioni, a cura di
G. Calegari, vol. XXVI, f. II, Memorie della
SISN e del Museo Civico di Storia
Naturale, Milano 1993; F. Mori, Le grandi
civiltà del Sahara antico, Bollati
Boringhieri, Torino 2000; U. Sansoni, Le più
antiche pitture del Sahara, Jaca Book,
Milano 1994. Sull’arte rupestre in
generale, cfr. C. Chippindale e G. Nash, The
Figured Landscapes of Rock-Art,
Cambridge University Press, Cambridge
2004.
Non esiste l’“arte rupestre”. Esistono pitture e graffiti su roccia, di cui è praticamente impossibile determinare l’epoca. Questi “manufatti” sono stati analizzati,
fino a poco tempo fa, al di fuori di contesti archeologici attendibili: esiste una
difficoltà oggettiva nell’accostare pitture e incisioni a sequenze stratigrafiche o
a manufatti databili (vedi scheda 1). Niente tempo, niente storia. Niente storia,
niente autori. Ciò nonostante, le immagini rupestri sono state fatte da qualcuno, qualcuno che si procurava da mangiare in qualche modo, che manteneva
rapporti di parentela con i progenitori, che condivideva modelli di pensiero con
i contemporanei. La storia che noi dovremmo scrivere è quella dei pittori, non
delle pitture, degli incisori, non dei graffiti. E anche di chi li guardava e perché.
Secondo il teorema della regressione infinita di von Neumann (“Ogni scienza è una neuroscienza in quanto non fa altro che studiare il cervello del ricercatore”), quello che si sa delle incisioni e delle pitture rupestri non è che l’impressione grafico-culturale che essi lasciano sul cervello dell’antropologo che
tenta di interpretarle. Per esempio, si dà per scontato che, se sono rappresentati animali selvatici o scene di caccia, la cultura degli autori dovesse essere di cacciatori-raccoglitori. Ciò si basa sul pregiudizio che si illustrassero le pareti di roccia con elementi della vita quotidiana. Chi ragiona in tal modo afferma: «Queste
persone mi hanno lasciato un messaggio:“E tutto ciò, caro antropologo, è come
si viveva ai miei tempi”». Un’assurdità, anche se la strategia di sussistenza era
probabilmente presa più sul serio allora che non oggi.A Kimberly, in Australia,
nelle opere delle tradizioni pittoriche del complesso Gwion non ci sono rappresentazioni di caccia, quasi nessun animale e non c’è una sola figura femminile. Eppure i pittori non hanno lasciato alcuna traccia di sé come agricoltori.
Né sono autorizzato a pensare che non avessero donne nella popolazione.
La maggior parte dei paradigmi sull’arte rupestre (anche la parola “arte” è
deviante) è problematica, se non falsa. Il problema è che, a riguardo di opere in
qualche modo “comprensibili” secondo il nostro universo percettivo, si dimenticano i massicci effetti che la tafonomia (origine, abbandono, nascondimento,
eventuale copertura, trasformazioni diagenetiche) ha su pitture e incisioni rupestri. Ogni interpretazione archeologica si basa su informazioni qualitative e
quantitative a riguardo di tipologie e distribuzioni delle prove materiali. Questa
informazione viene usata statisticamente per dimostrare ogni sorta di cose (dalle tecnologie alle unità etniche, dai sistemi sociali alla mancinità dell’individuo,
per arrivare a religioni e gruppi linguistici). Per la logica tafonomica, tutti questi concetti sono statisticamente irrilevanti. La tafonomia si limita a descrivere
ciò che ancora esiste, che è stato trovato e analizzato, e che è stato diffuso e acclarato tra la comunità scientifica.A distorcere le variabili originarie e la loro distribuzione hanno pensato la geografia (clima e conservazione) e il tempo (distanza dei processi mentali).
Pitture e incisioni esistono, oggi, sulle pareti di quasi tutta la Terra. Questo è
un fatto. La cosiddetta “arte rupestre” è la più antica trasformazione del paesag-
ale
md
gio (esterno e/o interno) fatta dall’uomo. Due pezzi di ocra incisa sono stati trovati a Blombos Cave, in Sudafrica. I segni sono intrecci organizzati di linee, secondo un modello logico di pensiero astratto. La datazione ci porta a 77. 000
anni fa. Christopher Henshilwood, lo scopritore, afferma che i segni ricordano
quelli, molto più recenti, rinvenuti nelle grotte europee. Un modello sintattico
di pensiero, la cui origine è biologica, si è concretizzato in un oggetto, su una
superficie minerale. L’algoritmo logico-creativo si è diffuso per un arco di tempo lunghissimo, in luoghi molto lontani, tra popolazioni presumibilmente differenti per genetica e cultura. I numerosissimi segni simbolici (la spiegazione “quotidiana” è scartata nel 90% dei casi noti) sul paesaggio antropizzato del Paleolitico (e oltre) restano la traccia più evidente della percezione e uso dello spazio
da parte delle comunità che le hanno prodotte.
Fatto 1
Testimonianze fossili ben datate dimostrano come, a partire dall’Africa di centomila anni fa, popolazioni della nuova specie di ominide Homo sapiens colonizzino il mondo.Arrivano in Vicino Oriente ed Europa attorno ai 60. 000 anni
fa. Qui sostituiscono la specie Homo neanderthalensis. In Asia si sovrappongono a residue popolazioni di Homo erectus.
Fatto 2
I più antichi segni su roccia risalgono a meno di 80. 000 anni fa, ma un significativo sviluppo di immagini su ossa, sassi e pareti si ha a partire da 40. 000 anni fa, quando l’unico ominide sulla Terra è Homo sapiens (Homo floresiensis,
recentemente scoperto, è una frode antropologica). Cultura ed economia sono
quelle del cacciatore-raccoglitore.
Fatto 3
L’architettura cerebrale (rete neuronale) di Homo sapiens, evolutasi 100. 000 anni fa, è rimasta inalterata fino al giorno d’oggi, come testimoniato dai calchi endocranici. Di particolare rilevanza sono due caratteristiche: la sinestesia (esperienza estetica plurisensoriale) e la capacità eidetica (memorizzazione e riproduzione dell’oggetto per punti), tipiche dell’artista nel senso moderno del termine.
Fatto 4
I cacciatori-raccoglitori dell’etnografia moderna manifestano per la grande maggioranza forme di “sciamanesimo”, un metodo per specialisti (Chukchi) o interi gruppi (Boscimani) di raggiungere il mondo dello spirito attraverso “viaggi”
e/o “trasformazioni”, connessi a stati modificati di coscienza (SMC). Descrizioni
di tali percorsi attraverso i paesaggi mentali sono spesso accostabili all’iconografia rupestre, soprattutto nelle componenti formali (puntini, zigzag, griglie, catenarie, spirali, ecc.: vedi scheda 2) e simboliche (grafismi, teriantropi, uomini
volanti, animali alieni).
Deduzione (Fatti 1-4): La mente nella caverna
Incisioni e pitture rupestri sono opera esclusiva di Homo sapiens. Originariamente rappresentano l’interpretazione dei mondi esterni e interni (ecosistema
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13 • Alberto Salza • Sciamani e cavalli volanti. Riflessioni sull’arte rupestre
e mente) dei cacciatori-raccoglitori, ancora oggi gli unici a continuare la pratica, dall’Australia all’America Centrale, dal Tibet alla Siberia. Dato che l’architettura cerebrale dell’uomo è equivalente e comparabile nel tempo e nello spazio,
è possibile utilizzare le neuroscienze attuali e l’etnografia per interpretare modelli di pensiero del passato remoto. Si può ragionevolmente presumere che il
modo di vedere le cose delle persone in SMC (allucinazioni indotte) o in esperienza trascendente (grafismi simbolici) sia simile a quello che oggi possiamo
analizzare sulle rocce incise e dipinte in tutto il mondo.
Questo collega pitture e incisioni rupestri a forme di “religione”, in cui le
esperienze a dimensione “euforica” e trascendente dell’individuo (derivate dal
sistema nervoso tipico dell’umanità) generano tentativi di codificazione in credenze condivise dal gruppo (rappresentazioni per immagini visibili a tutti). La
caverna del Paleolitico, per mezzo di assenza di luce, mancanza d’aria, pericolosità, forma ctonia, diviene l’ambiente dell’esperienza trascendente e/o degli SMC,
e della loro rappresentazione graffita o dipinta. Le immagini portano con sé significati sia simbolici sia metaforici; il significato di pitture e incisioni è concettuale e rituale, piuttosto che riduttivamente aneddotico. La parete di roccia è
l’interfaccia a due vie con il mondo dello spirito visitato durante le esperienze
SMC e cerimoniali. La caverna con immagini è un’espansa rappresentazione “roccia-arte” della mente di autori e spettatori (meglio: partecipanti).
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Paleolitico e/o Neolitico
Le raffigurazioni complesse su pareti di roccia, dipinte o graffite, appartengono
in massima parte al periodo definito Paleolitico. La tradizione è continuata, a livello etnografico, fino ai giorni nostri: gli autori sono popolazioni di cacciatoriraccoglitori. Il Neolitico, infatti, non è uno stadio di tempo lineare, ma un sistema complesso di tecnologia e strategie di sussistenza. Cacciatori-raccoglitori e
domesticatori del territorio sono convissuti fino a oggi, anche in microregioni.
A quanto pare, però, allevatori e agricoltori, protagonisti della transizione neolitica a partire da 10. 000 anni fa (in fasi differenziate nelle varie parti del mondo e anche all’interno delle diverse aree geografiche), hanno abbandonato lo
sfondo mentale e l’esperienza SMC tipica di chi usava la parete rocciosa come
“velo di trascendenza”. Le popolazioni della transizione neolitica si dedicarono
a trasformare il paesaggio attraverso architetture (megaliti, allineamenti di rocce), land-art (disegni e tumuli visibili solo dall’alto), testimonianze della morte
(tombe, cunicoli), oltre all’intervento su fiumi e laghi (civiltà idrauliche) o sulle
aree di pascolo. La pittura su roccia scompare quasi del tutto, sostituita dalla decorazione delle case, mentre permane il graffito, come elemento simbolico delle rocce-architettura dei luoghi religiosi e magici. Ovviamente, le tradizioni “artistiche” del Neolitico sono ricchissime per quel riguarda l’oggettistica (ceramiche, tessuti e metalli lavorati degli agricoltori) e la decorazione corporea (pastori nomadi), che non rientrano nella nostra analisi.
Paleolitico e Neolitico sono distinzioni degli storici, non delle persone. Per
lunghissimi periodi, popolazioni a diversa strategia di sussistenza, con livelli tecnologici radicalmente differenti convissero in modo integrato. In Sudafrica, una
provincia culturale in cui pitture e graffiti rupestri hanno livelli di antichità e
qualità analoghi a quelli d’Europa, c’è stata una potenziale sovrapposizione di
1. 200-1. 600 anni tra i presunti pittori (cacciatori-raccoglitori san) e i pastori
khoi-khoi (ottentotti) della zona del capo di Buona Speranza. Qualche pecora
dalla coda grassa è stata dipinta, ma perché le mucche siano così poche nelle
immagini dell’area del Capo è impossibile a spiegarsi.
ale
md
Nota di campo A
Jackal Spits, a ovest di Ghanzi, deserto del Kalahari, Botswana, 28 luglio
1990.
La notte è gelida (una settimana fa
siamo scesi a – 5 °C). Una cinquantina di !kung San (Boscimani) sono venuti a danzare. Sono praticamente nudi. Le donne hanno acceso due fuochi
e si sono messe in circolo. Stanno cantando da un’ora: voci di testa. Il ritmo
è tenuto dal battito secco delle mani,
con sfasature poliritmiche. Il flusso sonoro è modulato e di intensità variabile in funzione dell’eccitazione crescente. Gli uomini danzano in tondo,
uno in coda all’altro, tra il fuoco e le
donne. Il passo è lento e strascicato. I
talloni segnano il tempo sulla sabbia,
lasciando una traccia. Hanno sonagli
alle caviglie, fabbricati con semi sec- Fig. 1
chi riempiti di frammenti di uovo di
struzzo e sassolini. Due ore dopo, la maggior parte dei danzatori comincia a
contrarre violentemente il plesso solare: i muscoli ventrali sembrano aggrovigliarsi. Il corpo si piega in avanti, come per un crampo allo stomaco. Le braccia tendono in alto, ma all’indietro. Se possibile, l’intensità di musica e danza
aumenta di molto. I danzatori (ora si sono unite pure alcune donne) sudano. Il
volto è distorto, gli occhi chiusi. Paiono in gran pena.Alcuni barcollano. I danzatori mi appaiono, di volta in volta, come uccelli in procinto di spiccare il volo (postura di molte danze africane, soprattutto femminili), animali feriti, cacciatori impazziti. L’espressione di un volto mi ricorda la distorsione di chi sta
per svanire sott’acqua. Le spalle si proiettano all’indietro. I muscoli della schiena sembrano corde tese. Il ballerino si muove come se lo stessero pugnalando
alla schiena. Quindi comincia a roteare su se stesso, come un epilettico. Perde
sangue dal naso. Per la velocità sembra un vortice derviscio.Altri ballerini lo affiancano, impedendogli di cadere al suolo. Gli massaggiano le gambe. Puliscono il sangue, detergono il sudore. Al centro del cerchio, vicino al fuoco, appare una donna di corporatura immensa (i San sono piccoli e gracili). Il ballerino
stravolto, perduto nel suo viaggio, viene trascinato davanti alla donna. Lei rimane immobile e priva di espressione. Impone le mani sulle zone contratte del
danzatore, del tutto esausto. Lo tocca ripetutamente. Pare trarre qualcosa dal
ventre teso dell’uomo a terra.
Dodici ore dopo: è mattina. La danza è finita. Ho assistito a una “danza di medicina”, in cui la metà degli uomini e un quarto delle donne ha raggiunto lo stato modificato di coscienza (trance) ottenuto dalla semplice iperventilazione
(danza e canto) e dalla contrazione del plesso solare (ricco di un fitto reticolo
di nervi e vasi sanguigni) e delle strutture neurali della schiena. L’effetto finale
è una iperossigenazione cerebrale, con alterazioni della percezione e del controllo motorio.A detta dei San, si tratta di !kia, una sorta di satori,“un viaggio
stato-di conoscenza nel mondo dello spirito per recuperare elementi vitali di
cura”. Ho visto una pittura che riproduce una scena analoga a Lonyana, nei monti Kamberg del Natal, in Sudafrica (fig. 1).
Fig. 1 Località di Lonyana, monti Kamberg,
Sudafrica. Danza di trance e cura di un
malato da parte di un gruppo di Boscimani
(notare la tipica steatopigia). Le frecce
avvelenate sono lo strumento che gli
sciamani indicano simbolicamente come
portatore di “malattia”. L’impostazione dei
corpi e la raffigurazione stessa sono
paragonabili all’illustrazione 2 (da
Contested Images, a cura di T. Dowson, D.
Lewis-Williams, Witwatersrand University
Press, Johannesburg 1994).
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13 • Alberto Salza • Sciamani e cavalli volanti. Riflessioni sull’arte rupestre
Elemento etnografico 1
Attorno al 1870, un informatore san/xam del linguista Wilhelm Bleek, di nome
Qing, descrisse lo stato di !kia come propedeutico alla stesura delle pitture rupestri, definite «metafore dello spirito»). Le informazioni etnografiche degli ultimi duecento anni sono alla base della teoria SMC tra i Boscimani: il metodo potrebbe essere invalido perché le popolazioni erano già state in contatto non solo con gli allevatori e agricoltori bantu, ma anche con gli Europei.Tali interconnessioni e scambi culturali verranno qui trascurati per semplicità e oggettiva impossibilità di separazione in sottosistemi coerenti.
Note di campo B
Fig. 2
Fig. 2 Attività sciamanica di cura (?) in una
pittura di un riparo sottoroccia in Ciad,
depressione del Murdi. Disegno del riparo
visto da Salza in Ciad.
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Depressione del Murdi (17° 53’ 56” N – 20° 54’ 28” E), deserto del Sahara,
Ciad, 15 marzo 1998.
Tarda mattinata. Mi sono allontanato a piedi dalla pista. Per ripararmi dal sole entro in un riparo sottoroccia protetto da un masso. Su di esso vedo un certo
numero di rozze coppelle. Devo strisciare nella sabbia per entrare nello spazio
tra masso e parete. Mi corico in qualche modo sulla schiena, a occhi chiusi per
proteggermi dalla luce.Apro gli occhi. Davanti a me appaiono delle figure color
ocra. In una ventina di centimetri di estensione, da destra a sinistra: una figura di
semplici puntini con una sorta di aureola; una figura più definita, sempre di puntini, in ginocchio, con in mano qualcosa di curvo e diritto (arco e frecce?), con
la “testa a becco” tipica delle pitture sahariane (forse si tratta di un’acconciatura
dei capelli, ancora visibile in Ciad); una figura dalla strana acconciatura (testa a
forma di uccello?) prospetticamente preminente, ben campita in ocra, in ginocchio a braccia larghe, che tiene un qualcosa (un otre?) nella mano destra; Un essere accovacciato, dalla testa esplosa in una nebuloso di puntini (ho visto una simile testa in una giraffa graffita al Turkana, in Kenya), con due archi di cerchio ai
fianchi; tra la figura accovacciata e quella maggiore che le sta davanti scorre un
flusso di tre linee ondulate, che connette il braccio di una al ventre dell’altra; in
evanescenza dal riparo si intravede il posteriore di un animale (un felino?). Mi
pare di essere di nuovo davanti alla danza boscimane del !kia (fig. 2).
Elemento etnografico 2
A Khartoum, in Sudan, ho esaminato al museo un cranio dalla forma tipicamente boscimanoide. Un analogo cranio è stato rinvenuto in Marocco (non ancora
pubblicato). In Tanzania, un popolo di cacciatori-raccoglitori parla una lingua a
click come quella dei San (si chiamano Sandawe, in somiglianza linguistica anche nel nome: tra i San, kwe significa “persone”). Pitture e graffiti rupestri stilisticamente indistinguibili da quelle dei San sudafricani si trovano in Tanzania,
Eritrea e Somalia.
Deduzione (Note di campo A e B + Elementi etnografici
1 e 2)
Tra i Boscimani dell’Africa meridionale, pittori e incisori su roccia, i fenomeni
SMC sono direttamente connessi con l’arte rupestre. Il trance, visto sul campo
e sperimentato dallo scrivente (fino alla percezione di annegamento) segue il
modello neurologico della scheda 2. Nonostante le mancanza di una ricerca estesa a tutto il territorio del Sahara, appaiono evidenti le somiglianze stilistiche e
di contenuti tra pitture e graffiti delle due province di arte rupestre. Individuan-
md
ale
do testimonianze sparse di permanenze boscimanoidi (fisiche e culturali) tra
l’Africa meridionale e il Sahara, non appare improbabile che i cacciatori-raccoglitori del “Sahara verde” (Boscimani o meno) siano stati gli autori della più antica arte rupestre sahariana (periodo delle “teste rotonde”). Quando le popolazioni dedite alla pastorizia (sistema di produzione neolitico) arrivarono nel Sahara, tra il 5000 a.C. (sepoltura di vacche a Nabta) e il 2000 a.C. (Adrar Bous), si
suppone non possedessero alcuna abilità per l’arte parietale, dato che non c’è
traccia di tale attività nei luoghi di origine asiatica (oltre a non far parte di nessuna tradizione degli attuali pastori). Ricerche archeologiche e linguistiche indicano come le popolazioni che oggi parlano il Niger-Congo in tutta l’Africa occidentale, si siano insediate al seguito delle loro mandrie nella cosiddetta “Mezzaluna fertile sahariana”: i massicci dell’Air, del Tibesti, dell’Hoggar, dell’Ennedi
(dove ho recentemente assistito alla raccolta del miglio selvatico da parte dei
pastori, una pratica neolitica pre-agricola). Questi luoghi, sedi di autentiche “pinacoteche” di arte rupestre, garantivano acqua e pascolo: i pastori li colonizzarono alla svelta (ci sono tracce di gruppi nilo-sahariani, ciadici, egizi). La fauna
selvatica, già in fase di diminuzione, venne decimata dalla competizione con i
1 • La datazione dell’arte rupestre
Esistono molte tecniche di datazione
applicabili all’arte rupestre, ma nessuna
fornisce accettabili certezze.
1) Iconografia: la soggettività della
percezione visiva esclude
l’attendibilità scientifica delle
interpretazioni delle immagini aliene
da parte degli scienziati; non
necessariamente false, ma non
confutabili.
2) Stili e tecniche: come sopra, il
raggruppamento di immagini
secondo codici fissi (“stili”
comparabili nel tempo per ottenere
datazioni relative) si basa sul
modello di pensiero del ricercatore,
così come la ricostruzione di
tecniche; l’archeologia sperimentale
è utile, ma non vincolante per
datazioni relative.
3) Scavo archeologico e prossimità:
sono rari i casi in cui le pitture si
siano conservate in depositi
archeologici; si è cercato di correlare
i pigmenti con i minerali circostanti,
ma ossidi e idrossidi si alterano
chimicamente anche nel colore; la
conservazione dei petroglifi è
maggiore, ma i depositi non sono
direttamente collegabili alle
immagini.
4) Patine e trasformazioni ambientali:
entrambi i processi sono altamente
variabili, in quanto dipendono da
petrografia, clima, topografia,
ambiente chimico, ecc.; i
cambiamenti temporali a riguardo
non sono quantificabili, anche se
qualche risultato si sta ottenendo
analizzando i microrganismi che si
nutrono di cationi nei solchi delle
incisioni insieme a processi di riciclo
di materiali di accrescimento.
5) Sovrapposizione di immagini: per
quanto utile per datazioni relative (in
analogia con la stratigrafia
geologica), il metodo è difficile,
soprattutto per i petroglifi;
nanostratigrafie di pitture successive
hanno avuto discreti risultati in
Australia, con anche 44 strati di
pittura sovrapposti.
6) Analisi al radiocarbonio di accrezioni
minerali: tale datazione, possibile in
circostanze eccezionali, offre risultati
troppo incerti con le tecniche attuali.
7) Analisi al radiocarbonio di inclusioni
nelle accrezioni: le inclusioni
contengono polline, spore e
microrganismi; altre derivano da
alghe o funghi sulle superfici (meglio
conservate nelle regioni aride); le
variazioni ambientali locali possono
però alterare considerevolmente
l’attendibilità delle datazioni.
8) Lichenometria: basato sulla
misurazione della crescita dei licheni,
il metodo è preciso solo per gli ultimi
cinquecento anni, anche se
considerato praticabile fino ai 9. 000
anni fa; il fatto esclude buona parte
dell’arte rupestre, soprattutto in
ambienti privi di licheni; il metodo è
però altamente affidabile e non
intrusivo.
9) Analisi di microerosioni: il metodo si
basa sul fatto che, dopo che agenti
atmosferici o antropici hanno creato
una nuova superficie rocciosa, i
processi climatici lasciano tracce
misurabili; i tempi di tali
trasformazioni, però, sono altamente
dipendenti dalle condizioni locali.
10) Termoluminescenza: come nel caso
affidabile delle ceramiche, il metodo
per emissione di fotoni postriscaldamento potrebbe fornire
datazioni affidabili, ma è invasivo e
poco calibrabile in situ.
Per ulteriori informazioni, vedi il sito internet
http://mc2.vicnet.net.au/home/date/web/
index.html
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vita quotidiana e cultura materi
13 • Alberto Salza • Sciamani e cavalli volanti. Riflessioni sull’arte rupestre
bovini e gli ovini (il dromedario è di recente acquisizione, in Africa, attorno al
periodo di Cristo). La “stanzialità di sicurezza” trasformò i nomadi in popolazioni agropastorali, come testimoniato dalla presenza di macine in tutto il Sahara
del cosiddetto periodo “pastorale”: in questo caso sarebbe appropriato il termine “Neolitico”, il sistema integrato tra pastorizia e agricoltura.Tale invasione ridusse a poche sacche i cacciatori-raccoglitori (abili artisti in SMC), ma non interruppe lo sviluppo di pitture e graffiti rupestri. Ci fu una progressiva diffusione di soggetti di animali domestici: vacche (in grandissimo numero e con stilemi cerimoniali, non naturalistici: in Ciad si possono osservare vacche dipinte
sulle pareti alte delle caverne, con grandi sacche bianche, forse latte come principio mistico, pitturate sul corpo), pochi ovini e caprini, per poi arrivare in tempi recenti a cavalli e cammelli (entrambi all’impossibile “galoppo volante”, immagine riconducibile al “volo” sciamanico delle allucinazioni SMC). La qualità di
rappresentazione non subisce che impercettibili variazioni, come se il sistema
pastorale venisse assorbito dai pittori SMC e non viceversa.
Scenario
162
L’ipotesi che se ne ricava è uno scenario in cui i pastori neolitici penetrano in
territori di caccia e raccolta, eliminando le faune selvatiche e isolando i cacciatori-raccoglitori (falsamente considerati dagli storici come “preistoria vivente”
e, quindi, paleolitici) in santuari inaccessibili al bestiame (montagne, pareti rocciose, enclave a difficile accesso). In qualche modo, le popolazioni neolitiche riconobbero il valore di “custodi del territorio” a pitture e graffiti rupestri, un concetto simbolico presente nelle architetture del paesaggio neolitico. Per poter interferire attivamente con tali potenti simboli di controllo del territorio, i neolitici fecero uso degli “specialisti rituali”: i cacciatori-raccoglitori sopravvissuti. Fenomeni simili sono riscontrabili nella moderna etnografia:
• in Kenya ho potuto verificare come i pastori Samburu, arrivati dal Nilo in tempi storici, affidino a un clan “inferiore” l’apertura della circoncisione maschile sul monte Nyiro, considerato territorio sacro; questo clan (Masula) è composto da discendenti dei cosiddetti Ndorobo (“senza bestiame”, sinonimo di
“povero”, ma anche di “cacciatore-raccoglitore”). Senza questi operatori rituali, originariamente di popolazione Okiek (parola a click), nessuna generazione maschile può essere circoncisa: nessuno diventa uomo. Gli Okiek sono anche fabbri, disprezzati ma temuti per il loro controllo di fuoco e minerali.
• In Rwanda, il re dei Tutsi (pastori) non si alzava senza l’apporto dell’orchestra di tamburi suonata dai pigmei Twa; dopo di che verificava il controllo
sul bestiame nei confronti dei sottoposti Hutu (agricoltori). La musica dei
pigmei africani è uno dei massimi esempi di polifonia.
• In Sudafrica, le popolazioni Nguni di lingua bantu hanno spesso fatto dipingere i loro rituali ai Boscimani sottomessi, cedendo a loro non solo l’abilità
pittorica, ma anche il controllo sulle forze contenute nel cerimoniale.
• In Ciad, le popolazioni agropastorali dell’Ennedi (islamizzate) si trovano ancora oggi a pregare e a danzare in caverne dove si trovano strumenti bifacciali (amigdale) paleolitici (comunicazione personale di Rocco Ravà, guida
sahariana).
In tutti questi casi, si vede come ai cacciatori-raccoglitori sia lasciata sia l’
“arte” (pittura, ritmo, canto, danza, metallurgia, medicina) sia il rituale di controllo delle forze spirituali del territorio. Uomini del Paleolitico e del Neolitico non
hanno solamente convissuto nello stesso luogo: le caratteristiche abilità menta-
md
ale
li dei cacciatori-raccoglitori (modellate dagli SMC) sono state sfruttate prima, e
integrate poi, dalle popolazioni di domesticatori, permettendo all’arte rupestre
una continuità (seriale o meno, in funzione degli eventi storico-ambientali, come la desertificazione del Sahara) fino ai giorni nostri. Un osservatore europeo
vide nell’Ottocento un San dipingere una gazzella per punti, come nel giochino della settimana enigmistica. Studi neurologici hanno dimostrato come tale
capacità eidetica sia trasmissibile geneticamente. Le popolazioni Nguni dell’area
hanno, oggi, una bassa capacità di rappresentazione sul piano, tipica degli africani neri, peraltro straordinari scultori. Niente eidetica. In compenso, le nostre
costellazioni (mostri, miti, mezzi uomini e mezzi animali, bestiario allucinatorio)
sembrano derivare dalla medesima capacità eidetica: dai puntini luminosi prodotti dal cervello alle forme delle stelle.
Riconoscendo alle pitture rupestri il ruolo di intermediazione con il mondo
dello spirito contenuto dalle pareti rocciose occupate dagli Nguni, questi agropastori affidarono agli operatori rituali boscimani il compito di “inserirli” nel
paesaggio attraverso la sostituzione dell’antilope eland (metafora della pioggia)
con la vacca. Nel Sahara della transizione neolitica avvenne qualcosa di analogo: i cacciatori-raccoglitori con i loro sciamani-pittori rielaborarono le loro “Cattedrali nel Deserto”. Fecero volare cavalli e dromedari, ma mantennero il controllo dell’“arte rupestre”. Sotto padrone, come Michelangelo.
2 • Gli stati modificati di coscienza
Gli stati modificati di coscienza (SMC)
possono essere indotti da: ingestione di
sostanze psicotrope (allucinogeni);
ipnagogia; esperienze pre-morte; ritmo
e danza intensivi; esperienza uditiva
(musica, canto, battito di mani,
percussioni); stimolazione elettrica, luce
stroboscopica o intermittente (fuoco);
fatica; fame; deprivazione sensoriale;
dolore estremo; concentrazione e
meditazione; emicrania; epilessia
temporanea; schizofrenia o altre
patologie cerebrali.
L’esperienza SMC passa attraverso tre
stadi e un intermezzo (fig. 3):
1) endottiche: la chimica del cervello
produce segni luminosi (griglie,
linee parallele, puntini luminosi,
zigzag, onde, filigrane, spirali); tali
segni sono presenti in tutte le
province dell’arte rupestre, con
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maggiore o minore frequenza;
2) construali: il cervello organizza le
endottiche assemblandole in forme
meno geometriche, collegandole
alle esperienze delle diverse
popolazioni (“uomini-fiammifero”
con gambe a zigzag, giraffe
reticolate, teste a puntini); anche
queste forme sono riconoscibili
nelle varie epoche e luoghi dell’arte
rupestre;
3) intermezzo: si ha l’esperienza di
entrare in un vortice (spirale) con la
sensazione di annegamento; la
spirale connette più di ogni altro
segno il Paleolitico al Neolitico;
4) allucinazioni iconiche: all’uscita dal
vortice endottiche e construali si
elaborano in immagini percepite
come “reali”, collegate alla cultura
di riferimento.
Fig. 2.1
Fig. 2.1 Raffigurazione di ciò che si vede durante i tre stadi del modello percettivo SMC, per le popolazioni San del Sudafrica, Coso del
Centroamerica e del Paleolitico europeo e sahariano:
stadio 1: endottiche
stadio 2: construali
stadio 3: allucinazioni iconiche costruite a partire dalle endottiche
(da D. Lewis-Williams, T. Dawson, Images of Power, Southern Books, Johannesburg 1989).