versione definitiva - Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna

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Filarmonica
del Teatro Comunale
di Bologna
n.04 maggio 2011
Orchestra europea
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Antica Profumeria
Al SACRO CUORE
Galleria “Falcone – Borsellino”, 2/E
(entrata di via de’ Fusari)
40123 Bologna
Tel. 051.23 52 11 – fax 051.35 27 80
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Lorenzo Villoresi
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Diptyque
Comptoir Sud
Pacifique
L’Artisan Parfumeur
Kiehl’s
Art of Shaving
Mathias
Amouage
Andy Tauer
Clive Christian
Puredistance I
Parfumerie
Generale
Etat Libre D'orange
Mona Di Orio
Geo F. Trumper
Robert Piguet
Parfum D'empire
The Knize
Claudie Pierlot
Gardenia Isabey
Washington Tremlett
Menard Parfum
Les Néreidés
Mark Birley
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EDITORIALE
Ricordando Gregorio, greco antico, o forse solo troppo moderno
Nel suo ultimo volume Sullo stile tardo,
Nonostante la prosa di Adorno spesso non
esempio, un percorso davvero esaustivo
rimasto incompiuto a causa di una morte
sia di immediata comprensione, trovo illu-
portava a un’ultima sala, nella quale - chi
inaspettata, Edward W. Said ricerca un pos-
minante questo breve passaggio sul tardo
l’ha visitata non può dimenticarlo - i sog-
sibile comune denominatore nello stile di
Beethoven, perché individua in modo chia-
getti delle nature morte si facevano anco-
alcuni importanti artisti, nella fase termi-
ro cosa contraddistingue un artista: il per-
ra più indefiniti, negli acquerelli gli sfondi
nale della loro esperienza creativa e di vita.
corso interiore che un genio affronta, nella
cedevano il posto al bianco del foglio e
Interessante operazione che Said conduce
fase conclusiva della sua esistenza, lo pone
tutto contribuiva a dare il senso di un
su poeti, scrittori e musicisti: Euripide,
in una dimensione di solitudine feconda
abbozzo dotato tuttavia di una compiutez-
Kavafis,
Beethoven,
eppure svincolata dalla contemporaneità,
za straordinaria.
Wagner, Britten, Richard Strauss, per dirne
intesa in senso riduttivo, facendolo appro-
solo alcuni.
dare a una forma di contemporaneità
In definitiva, viene da pensare che i grandi
sublimata, il “classico”.
artisti - anche autori che apparentemente
Mann,
Mozart,
si cimentano nello spazio “di un solo
La cosa, poi, si fa ancor più interessante
quando, con una raffinata acrobazia, Said
Questa sorta di “fuga in avanti” spesso
tema”, come Morandi o Rothko - nella
ci parla di Beethoven ascoltato da Adorno
avviene attraverso un’attenzione per la
loro inesausta ricerca, mossa da una sorta
nella sua fase tarda:
forma sempre più ridotta, quando non
di necessità vitale e creatrice, tendano a
attraverso una sua vera e propria distruzio-
concentrarsi col passare degli anni su una
Così l’arte di Beethoven aveva supera-
ne, più o meno consapevole, a vantaggio di
essenzialità che, con poche movenze, pochi
to se stessa: dalle regioni abitabili e
una maggiore concentrazione espressiva
gesti, sia in grado di esprimere il cuore di
tradizionali si era sollevata, davanti
che, secondo l’indicazione di Michelangelo
un’idea artistica. Osservare gli sforzi di
agli occhi sbigottiti degli uomini,
per la scultura, avviene “per forza di
questa ricerca, come ne scrive Adorno,
nelle sfere della pura personalità – a
levare anziché per via di porre”.
diventa un privilegio che commuove.
un io dolorosamente isolato nell’assoluto, escluso anche, causa la sordità,
Mi chiedo se quanto Adorno scrive a pro-
dal mondo sensibile: sovrano solitario
posito di Beethoven (sordità esclusa!) non
d’un regno spirituale dal quale erano
possa essere una notazione appropriata
partiti brividi rimasti oscuri persino
anche a Mahler, per rimanere in ambito
ai più devoti del suo tempo, e nei cui
musicale. In modo ancora più evidente mi
terrificanti messaggi i contemporanei
pare che si attagli a pittori come Malevič,
avevano saputo raccapezzarsi solo
Mondrian, Morandi o Rothko. Nell’ultima
per istanti, solo per eccezione.
grande mostra bolognese di Morandi, ad
Guido Giannuzzi
Direttore Responsabile
“Filarmonica Magazine”
[email protected]
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Editoriale | 03
Filarmonica Magazine
n. 4 mese maggio anno 2011
Aut. Tribunale di Bologna N. 7937 del 5 marzo 2009
Rubriche | 05
Editore
Associazione Filarmonica
del Teatro Comunale di Bologna
Via Bertoloni, 11 – Bologna
Intervista a MoniOvadia | 06
Filarmonica. Programma | 10
Sostieni la Filarmonica | 11
Redazione
Via San Vitale, 22 – Bologna
Tel. 051 19982171 – Fax. 051 19982609
email: [email protected]
Direttore responsabile
Guido Giannuzzi
[email protected]
Redazione
Michele Sciolla, Caterina Coretti,
Chiara Galli
Ultimo dei romantici | 12
o primo dei moderni?
Hanno collaborato
Valentino Corvino, Cecilia Matteucci,
Piero Rattalino, Michele Sciolla,
Alberto Spano, Tito M. Tonietti
Intervista ad Angelo Varni | 14
Progetto grafico
Punto e Virgola, Bologna
Concorso fotografico | 15
Stampa
ELIO '83
Via Marsala, 13/AB
40126 Bologna
Tito M.Tonietti | 16
Recensioni | 19
La tua Musica.
Il tuo sostegno.
Filarmonica
del Teatro Comunale
di Bologna
Orchestra europea
4
Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna
c/o Teatro Comunale di Bologna - Largo Respighi, 1
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Un particolare ringraziamento a
Stefano Cenerini
che ha donato la foto di copertina
(visita il suo album su flickr: vetmed123)
Media partner
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LE MIE DOMANDE
LE VIE DEI CANTI
di Cecilia Matteucci
a cura di Guido Giannuzzi
A PIER LUIGI PIZZI, REGISTA, SCENOGRAFO, COSTUMISTA E DIRETTORE
ARTISTICO A MACERATA
Pier Luigi Pizzi Inventore di Teatro. Di
chi è questo bellissimo titolo del
magnifico libro di Allemandi del 2006,
suo? Di Arruga o Franca Cella autori
del testo?
È un’idea dell’autore, Franco Lorenzo
Arruga, approvata da Umberto Allemandi,
l’editore, e da me.
L»hanno chiamata ≈Principe del
BaroccoΔ ma ha fatto anche produzioni minimaliste. Cosa ci dice a riguardo?
Se per Barocco si intende eccesso e se
Minimalismo è uguale a pauperismo, non
sto né dall’una né dall’altra parte. Di ogni
stile cerco di cogliere l’essenza adattandola alla mia estetica, sempre con rigore ed
ironia.
Ricordando la produzione tv in cinque
puntate, L»Orlando Furioso nel «75, ha
nostalgia di tempi in cui c»erano grandi mezzi per produzioni sontuose?
Quella è stata una meravigliosa avventura
durata due anni, al fianco di Luca Ronconi,
tutta nel segno dell’immaginazione e del
puro divertimento. Ma non creda: di mezzi
a disposizione ne avevamo pochi, anche
allora. Esperienza irripetibile, ma non
provo nostalgie del passato. vivo nel presente guardando al futuro.
In giro per il mondo (Italia esclusa)
quale Teatro l»affascina di più?
Non ho tenuto il conto dei teatri in cui ho
lavorato. Forse, fra i tanti, il più fascinoso è
il teatro Gabriel del Chateau de Versailles.
Posso tornare in Italia e dire lo Sferisterio
di Macerata è unico al mondo?
Scenografie per grandi antiquari ed
esposizioni: ci dica l»ultima e se ne sta
progettando per il prossimo futuro.
“Anticomania“ per la galleria Kugel di
Parigi è la più recente. Ora sto progettando due musei: la Galleria dell’Accademia a
Venezia, con Vittorio Sgarbi, e il Museo
degli Strumenti Musicali a Roma con
Rossella Vodret.
Pier Luigi Pizzi collezionista:
ci racconti questo amore.
Ci vuole molto tempo a spiegare il collezionismo come passione, che è il mio caso.
Rimando il lettore a una recente edizione
di Rosellina Archinto, con prefazione di
Mina Gregori, intitolata: “Quei maniaci
chiamati collezionisti”. Gli autori sono
Guido Rossi e Pier Luigi Pizzi.
“
L’anno scorso ho
fatto numerose conferenze su
“L’Intelligenza e la Musicalità
degli Animali”. Oggi vi parlerò
de “L’Intelligenza e la
Musicalità dei Critici”. È quasi
lo stesso tema, con qualche
variante, si capisce.
Erik Satie
”
Quaderni di un mammifero
Un allestimento che è costato poco e
al tempo stesso ha avuto grande successo?
Il “Don Giovanni” mozartiano, che ha
segnato nel 1977 il mio debutto come
regista: costò 11 milioni di lire ed ebbe
unanime successo di pubblico e di critica.
A titolo di confronto, contemporaneamente firmavo l’allestimento del “Nabucco”
verdiano al Maggio Musicale Fiorentino,
che costò mezzo miliardo.
Prime Donne: quale cantante o attrice
è stata più capricciosa e quale ha vestito con maggior piacere?
Ho avuto il privilegio di passare una vita
intera tra Prime Donne, devo dire in perfetta armonia. I capricci ho cercato di arginarli. Farei torto alla lunga lista di Signore
della scena, che ho diretto e vestito, se
dessi qui qualche preferenza.
Pier Luigi Pizzi
Cecilia Metteucci
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MONI OVADIA
© Lionel Pasquon
di Valentino Corvino
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Moni Ovaia è uno scrittore, attore, compositore e cantautore. Il suo teatro musicale, ispirato alla cultura
yiddish, che ha contribuito a far conoscere e di cui ha dato un’interpretazione contemporanea, è unico nel suo
genere, in Italia e in Europa.
Come nasce la tua grande passione per la
musica classica?
La musica classica è sempre stata presente
nella mia vita. Mia mamma era violinista
“amateur” ma aveva studiato 15 anni violino, era stata in orchestre giovanili bulgare, poi è arrivata la guerra proprio mentre
iniziava la sua carriera professionale, ma
ricordo che studiava sempre un po’ tutto il
repertorio violinistico: dai grandi concerti
per violino e orchestra, alle sonate come la
Kreutzer, o le sonate di Bach, e quindi ho
sentito queste cose dalla primissima infanzia e mi sono entrate nelle orecchie e nel
cuore. Nulla ti forma come quando queste
cose arrivano da bambino.
Poi ho coltivato questa passione andando
ai concerti e poi, quando sono arrivati i
dischi, ho formato la mia discoteca personale. Ho avuto anche una parentesi di 7/8
anni come studente di chitarra classica, ma
poi ho capito che non era la mia strada,
perché il teatro era una passione più forte.
Di certo ne provo un notevole rammarico,
perché per me poter suonare la musica
classica è una delle esperienze più formative di una vita.
Non potendo eseguirla come tieni viva questa tua passione per la musica nel tuo percorso artistico?
La musica classica fa parte del mio bagaglio culturale, non sarei Moni Ovadia se
nella mia formazione non ci fosse la musica classica. Nei miei spettacoli ho fatto
spessissimo riferimento ai brani classici che
preferisco, ne ho fatto un uso un po’ eterodosso e personale. A volte ho inserito nei
miei spettacoli passaggi di celebri incisioni,
ma più spesso ho fatto eseguire dei brani
salienti dalla mia orchestrina, anche rielaborandoli in esecuzioni un po’ sgangherate.
La mia Stage Orchestra è costruita un po’
come quelle orchestrine dei lager nazisti,
che suonava il repertorio senza averne l’organico ed inseriva qualsiasi musicista abile
arrivasse nel campo.
So che hai una grande passione anche per la
musica contemporanea, di cui sei stato spesso e con notevoli risultati ottimo interprete.
Ho sempre seguito e sono sempre stato
vicino alla musica del ‘900 e contemporanea, ho sempre guardato con attenzione ai
nuovi compositori e alcuni sono diventati
miei amici, dopo averci collaborato come
voce recitante. Ad esempio alla Scala ho
eseguito “Il sopravvissuto di Varsavia” di
Schoenberg, così come ho registrato “La
morte di Borromini” di Sciarrino. Sono fermamente convinto che si debba sostenere i
compositori viventi. Se pensiamo al successo dei grandi compositori minimalisti o ai
grandi delle avanguardie del 900, o a quelli attuali, bisogna che gli artisti e il pubbli-
co si misurino con il progresso del linguaggio. Ad oggi si fa ancora fatica a pensare
che la musica di Schoenberg abbia un linguaggio “accettabile”, c’è ancora un problema nel proporre ed aiutare l’evoluzione
del linguaggio. Questo a mio avviso avviene perché il pubblico non è stato formato e
guidato. Si potrebbero fare delle lezioni
sulla musica del novecento sulla falsariga
di quelle famose di Bernstein sulla musica
classica. Magari in un primo momento
potrebbe esserci un po’ di disagio, ma poi il
pubblico apprezzerebbe di essere trattato
“da adulto” e non da bambino (anche se i
bambini sono quelli che accettano e capiscono meglio certe cose).
Moni Ovadia
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L»ascolto della musica classica pone una questione ad un artista che crea sempre opere
nuove: il rapporto con la tradizione. Che rapporto ha la tua creazione con la tradizione.
Secondo me non si crea nulla dal nulla. Le
grandi forme di creazione si nutrono sempre di ciò che è venuto prima. Dario Fo dice
sempre una battuta straordinaria: “Non fai
in tempo a scrivere qualcosa che i classici ti
hanno citato”. E poi le grandi creazioni dell’uomo nel suo variegato cammino non
diventano mai vecchie. Non si può proprio
dire che Bach appartenga al passato,
appartiene a passato, presente e futuro: le
Suites per violoncello solo sono un assoluto. Le puoi mettere in uno spettacolo che
sia il più folle e trasgressivo, e Bach sarà
sempre più moderno di te. Bach per la mia
sensibilità è il vertice assoluto nella storia
della musica, secondo me la musica scritta
prima e dopo di Bach è sempre ad un livello po’ inferiore. Mi diceva Lorenzo Arruga:
“Quando ascolti un disco di Bach e stacchi
improvvisamente la puntina, lui continua”.
Nella sua musica c’è qualcosa di inesorabile, stupefacente, assoluto, misticamente
inafferrabile. Anche se fai qualcosa di estremamente moderno e innovativo, ci sono dei
musicisti da cui non si può prescindere.
Mahler, ad esempio, o Stravinsky sono in
qualche misura sempre presenti in me e
nella parte musicale dei miei spettacoli. Il
significato culturale che hanno assunto, il
rapporto che hanno stabilito tra il linguaggio con cui si sono misurati e il modo in cui
hanno usato quel linguaggio è continua
fonte creativa.
affetto e partecipazione dal suo pubblico.
Secondo te che valore può assumere
un»esperienza come questa oggi?
Io credo che ogni nuova orchestra che
comincia è un dono per il Paese, per la
nostra Europa, è un dono per gli esseri
umani, per la qualità della vita. Quindi ogni
orchestra che si forma è una cosa grande.
La nostra Italia conosce un periodo terribile
di depressione nel rapporto con la sua cultura, per cui questo è un segno in controtendenza e non si può che salutarlo in
modo positivo. Le orchestre non dovrebbero mai chiudere, ma continuamente aprire.
Il repertorio classico può ancora proporre un
modello intellettuale e culturale che va aldilà dell»ambito musicale e che si perpetui
nella formazione sia di un musicista o artista
che di qualsiasi persona?
Tutta la formazione musicale in generale è
un passaggio fondamentale in una società.
Mancare di questa formazione è un deficit.
L’esperienza di Abreu dimostra qual è il valore sociale e formativo di questa esperienza.
Prima di salutarci: l»Orchestra Filarmonica
del Teatro Comunale è nata da poco tempo
ma sta riscuotendo testimonianze di grande
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FILARMONICA. I CONCERTI 2011. CICLO RACHMANINOV
Teatro Auditorium Manzoni, Bologna | Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna
Giovedì 9 Giugno 2011
ore 21
direttore
Gavriel Heine
direttore
Alberto Veronesi
pianoforte
Alberto Nosè
pianoforte
Enrico Pace
programma
Sergej Rachmaninov
Concerto per pianoforte e orchestra n. 2
in Do minore op. 18
Johannes Brahms
Sinfonia n. 3 in Fa maggiore op. 90
programma
Sergej Rachmaninov
Concerto per pianoforte e orchestra n. 4
in Sol minore op. 40
Antonín Dvorák
Sinfonia n. 9 in Mi minore
op. 95 "Dal nuovo mondo"
© Rocco Casaluci
Martedì 3 Maggio 2011
ore 21
Filarmonica
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Filarmonica
del Teatro Comunale
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2
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che l'amore per la musica e la cultura hanno, in ogni
tempo e in ogni luogo, migliorato il livello di aggregazione sociale, rafforzato il senso di appartenenza alla
comunità, sviluppato la sensibilità umana a beneficio
dell'intera società nella sua crescita civile e sociale.
Per questo, l’Associazione si prodiga nel sviluppare
una fitta rete di adesioni alla Filarmonica e promuove continuamente iniziative mecenatistiche in suo
favore.
Inoltre sostiene e organizza attività a carattere culturale e musicale che contribuiscano alla crescita
del prestigio e dell’importanza della Filarmonica del
Teatro Comunale di Bologna.
Presidente
INIZIATIVE DI CO-MARKETING
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ORGANIGRAMMA
FTCB
Consiglio Direttivo
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Davide Dondi, Organizzazione
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Raniero Sanpaoli, Produzione
Giacomo Scarponi, Tesoriere
Commissione Artistica
Gabriele Buffi
Enrico Celestino
Paolo Grazia
Paolo Mancini
Luca Milani
Francesco Maria Parazzoli
Presidente Giorgio Zagnoni
Direttore Artistico Alberto Veronesi
Segretario Generale Michele Sciolla
Biglietteria Annamaria Ercolano
Logistica Alfredo Covili
Coordinamento dei Volontari
Mauro Drago
Ingrid Zingerle
Liuba Fontana
Enrico Baldotto
Vittorio Barbieri
Alessandro Bravin
Franco Parisini
11
© Rocco Casaluci
I CIRCOLI
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ULTIMO DEI ROMANTICI O PRIMO DEI MODERNI?
Piero Rattalino
Sono passati cinquant'anni dalla scomparsa di Serghei Rachmaninov, morto a Beverly
Hills il 28 marzo 1943. Cinquant'anni. Sono
molti. In cinquant’anni si presentano nel
mondo due generazioni. E siccome
Rachmaninov aveva cominciato a comporre
all'inizio degli anni Novanta dell'Ottocento,
ed aveva ottenuto il suo primo grande successo con il Preludio op. 3 n. 2 “Le campane di Mosca”, composto nel 1892, possiamo aggiungere altre due generazioni ed
arrivare ad un totale di cent’anni. Da cent’anni Rachmaninov è un compositore di
successo, di un successo ribadito da quattro
generazioni di ascoltatori delle sue musiche. Dunque, piaccia o no, Rachmaninov è
un "classico" , un artista che supera il suo
tempo. Si può ancora classificare
Rachmaninov come ultimo dei romantici o
epigono tardoromantico, come padre del
sentimentalismi incarnatosi nel nostro
secolo in Hollywood, teatro planetario di
quella ideologia piccolo-borghese in cui si
era identificato nell'Ottocento? Credo proprio di no. Credo che bisogni chiedersi se
Rachmaninov non sia per caso un grande
compositore o, per lo meno, che compositore sia. Qui, in questa rivista che si occupa
prima di tutto di pianoforte, possiamo e
dobbiamo vedere che cosa rappresenti la
musica di Rachmaninov nella letteratura
pianistica. I nostri lettori hanno trovato il
mese scorso una vecchia intervista di
Backhaus, il quale parlava di Rachmaninov
come di un “gigante” del Novecento. È
un'opinione sorprendente, che merita una
riflessione. Rachmaninov apparteneva alla
generazione che per prima si trovò di fronte, senza essersi formata sul pianoforte
romantico, il pianoforte moderno e, fatto
ancora più importante, con enormi potenzialità timbriche accompagnate della mancanza di differenze di timhro strutturali tra
i vari registri. Il campo di possibilità che si
apriva andava in due direzioni: da una
parte lo sfruttamento, la scoperta delle
potenzialità ignote del nuovo strumento e,
dall'altra, la necessità di salvaguardare su
di esso – perché la cultura di fine Ottocento
era storicistica – la letteratura del passato.
Rachmaninov è il primo compositore che
mette a punto una nuova tecnica della
sonorità. La mette a punto nei sei
12
Momenti musicali op. 16, composti nel
1896, cioè a ventitrè anni. Suono cantabile
intenso, mutuato dalla estetica della vocalità che verso la fine dell’Ottocento si evolve
con il passaggio, tanto per intenderci, da
Fernando De Lucia ad Enrico Caruso, da
Mattia Battistini a Titta Ruffo, da Adelina
Patti a Gemma Bellincioni. Se confrontiamo
il cantabile degli Intermezzi op. 118 n. 2
e 6 e op. 119 n. 2 di Brahms (1892) e dei
Momenti musicali n. 3 e 5 di
Rachmaninov (1896) ci accorgiamo subito
della novità: novità che non ritroviamo nel
cantabile della Sarabande di Pour le piano
(1894) e del Clair de lune della Suite bergamasque di Debussy e della Pavane
pour une infante defunte di Ravel
(1899); né lo troviamo in Scriabin, in
Busoni, in Reger, in Albéniz, in Granados.
Nessuno, naturalmente, ha l’obbligo di
creare un cantabile alla Rachmaninov. E
nessuno ha l’obbligo di creare una sonorità
per la coloratura come quella che troviamo
nel Momento musicale n. 2, nessuno ha
l’obbligo di trovare il modo per ottenere
due diverse sonorità inespressive sovrapposte nello stesso registro, come nel
Momento musicale n. l, nessuno ha l’obbligo di render possibile sul pianoforte
moderno l’agilità drammatica, come nel
Momento musicale n. 4, o di trascorrere
fulmineamente tra diversi tipi di tocco, cioè
tra diversi atteggiamenti muscolari, come
nel n. 6. Debussy, Busoni, Ravel, si occuperanno di questi problemi nel decennio successivo, e li risolveranno, da artisti, in modi
diversi da quelli di Rachmaninov.
Rachmaninov è tuttavia il primo. E non
solo: grazie alla didattica russa, che subito
se ne impadronisce, delle sue scoperte
Rachmaninov fa un mezzo per l'interpretazione novecentesca di certo Bach, di certo
Beethoven, di Schumann, di Liszt, di
Brahms. Si consideri il peso sonoro che
Busoni attribuisce alla melodia del corale
nella sua trascrizione di Nun freude
euch, lieben Christen, e al peso che le
attribuisce Vladimir Horowitz: Horowitz
applica al Bach-Busoni – e poco importa
valutare la legittimità del suo modo di agire
– una concezione rachmaninoviana del
cantabile e del rapporto tra il cantabile, il
basso e la coloratura. Non sarebbe difficile,
ma lo lascio fare al lettore, trovare altri casi,
molto frequenti tra pianisti russi e americani, di applicazioni delle sonorità di
Rachmaninov ad autori che sviluppano il
cantabile, preferibilmente, nel registro centrale del pianoforte. Il confronto tra l'ultima
raccolta di pezzi di Brahms, op. 119 (1892),
e i Fantasie-Tableaux op. 5 per due pianoforti di Rachmaninov (1893), ci fa capire
che con Rachmaninov nasce una poetica
simbolista. L'acqua, le campane, il canto
dell'usignolo, la marcia come simbolo eroico-macabro. Debussy e Ravel, in quegli
anni, cercano di resuscitare un'antica classicità francese e al simbolismo approderanno all'inizio del nuovo secolo. Scriabin
comincerà a definire gli elementi del suo
simbolismo nella Sonata n. 3 (1897-98), e
Busoni nel Concerto op. 39 (1904). Anche
in questo caso Rachmaninov è il primo che
individua una poetica nuova. Quanto al linguaggio, il Quartetto in re maggiore
(1897) di Schönberg, che era di un solo
anno più giovane di Rachmaninov, ci dice
che le avanguardie erano ancora di là da
venire. Rachmaninov, dicevo, è il primo che
imbocca una strada su cui si avvieranno poi
gli altri. È più importante essere il primo, o
avere il più ampio campo di interessi, l’orizzonte più vasto? Non saprei dire, e in fondo
non mi importa, qui, di stabilirlo.
Rachmaninov, per lo meno nella musica per
pianoforte, non presenta grandi evoluzioni
ma piuttosto, sia in senso tecnico che poetico, un lungo approfondimento di ciò che
ha messo a fuoco tra i venti e i ventitré
anni. Ciò significherà qualcosa, in una valutazione complessiva della sua arte. Pero in
quel che ho detto c’è già quanto basta per
farci vedere in lui non l'ultimo dei romantici, e tanto meno l’epigono tardoromantico,
ma il primo dei moderni.
da Piano Time n. 117 aprile 1993
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INTERVISTA AD ANGELO VARNI
di Michele Sciolla
Angelo Varni, professore universitario, organizzatore di convegni,
produttore culturale e responsabile
progetti culturali per la Fondazione
del Monte.
stati segnati da particolari richiami, echi
,suggestioni musicali. Riflettendoci,
anche nelle epoche precedenti, penso ai
canti di guerra che hanno accompagnato le popolazioni antiche.
Come nasce la sua passione per la musica?
La mia è una passione relativa. Non mi
posso definire un esperto. Ho studiato
musica da ragazzo con l’aiuto di insegnanti privati, spinto da una curiosità
personale verso un linguaggio universale. Poi ho cercato di coltivare questo
interesse per favorire la diffusione di
questa arte tra i giovani.
Un personaggio storico con una forte
passione musicale?
Per restare sui temi risorgimentali, ricordo Giuseppe Mazzini; era poco incline
allo svago ma nei momenti di relax, nei
Alcuni esempi?
La Bottega Musicale , creata a inizio
secolo insieme a Giovanni Lindo
Ferretti. Si è occupata di formazione
attraverso l’uso di linguaggi moderni,
dalla musica on-line ai video e alla
comunicazione multimediale. Ora è una
viva realtà che produce, promuove e
organizza grandi eventi. Un’altra iniziativa a cui tengo particolarmente nasce
da una collaborazione con l’Antoniano:
Casa Musica, è un progetto musicale e
un luogo di ritrovo rivolto ai ragazzi tra
i 14 e i 24 anni - band - dove si possono trovare strutture e attrezzature professionali per “fare le prove” e al tempo
formarsi alla musica entrando in contatto con professionisti del settore con
incontri e seminari sui generi musicali e
sulle tecniche. Ci tengo a precisare che
io adoro la musica come strumento protagonista di spettacolarizzazione colta,
una commistione tra letture, immagini e
musica.
Quali sono stati i momenti più significativi nel corso della storia dove la musica
è stata soggetto attivo, attraverso la sua
forza creativa o emotiva, nel contribuire
alla nascita o all»evoluzione di particolari momenti storici?
Io credo che nel mondo contemporaneo, intendo dalla rivoluzione francese
in poi, tutti i momenti importanti siano
14
‘
ho sempre svolto questo ruolo anche
senza essere consigliere della
Fondazione.
Quali sono i criteri che predilige nel scegliere i progetti?
Siamo molto attenti alla formazione dei
giovani per far sì che la cultura sia fruita, popolare, inclusiva e non aristocratica. Uno dei nostri obiettivi principali è
favorire e incentivare i progetti validi,
Io adoro la musica come strumento
protagonista di spettacolarizzazione colta
ritagli di tempo, adorava suonare la sua
chitarra.
Uno Stato che, almeno in Italia, sembra
stia cercando di sottrarsi al suo ruolo di
soggetto finanziatore principale. Quali
sono le tendenze per il futuro?
Stiamo vivendo in un’epoca di profondi
cambiamenti, non è possibile immaginare con fedeltà il futuro. Pensi alle
nuove tecnologie, di quanto abbiano
profondamente cambiato il mondo culturale. Le riporto l’esempio di Amanda
Hocking, una ventiseienne americana
che nel suo tempo libero scriveva
romanzi che nessuno voleva pubblicare.
Ha deciso di pubblicarne uno solamente
on-line e, attraverso Amazon, ha guadagnato un milione di dollari in pochissimo tempo.
Ora vorrei rivolgermi a lei in qualità di
responsabile attività culturali della
Fondazione del Monte. Cosa l»ha fatta
avvicinare al mondo delle Fondazioni?
Le Fondazioni hanno l’obbligo di sostenere attività culturali e di conservazione
dei beni artistici, necessitano di persone
che sappiano valutare i progetti di valore. Io mi ritengo un esperto, un promotore di eventi culturali; si può dire che
’
intercettando le domande che arrivano
dalla società.
La Fondazione preferisce incentivare il
settore totalmente privato o quello a
commistione pubblico-privato?
Noi cerchiamo di spingerci là dove il
pubblico non può arrivare. A esempio
sei anni fa, insieme alla Carisbo, abbiamo investito sei milioni di euro per sviluppare un lavoro di archiviazione sulla
enorme quantità di documenti storici
riguardanti Bologna. E’ un nostro obiettivo primario finanziare progetti sulla
formazione e la memoria dei luoghi in
cui operiamo. Poi i vari settori si toccano
reciprocamente e con il pubblico vi è
una proficua collaborazione.
Ci dica un luogo culturale bolognese a
cui tiene particolarmente.
Sono uno storico, sicuramente le nostre
magnifiche biblioteche.
Come giudica l»attività culturale
bolognese?
C’è questo luogo comune del “a
Bologna non si fa nulla” ma ci sono
molte iniziative che non vengono doverosamente prese in considerazione.
Bologna, grazie all’Università, è una città
molto vivace che gode di una creatività
invidiata dal mondo.
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CONCORSO FOTOGRAFICO “APRI GLI OCCHI E ASCOLTA”
La Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna offre l’opportunità a tutti gli amanti della fotografia di partecipare a un concorso per la realizzazione della copertina del prossimo numero del Magazine. Attraverso il canale Flickr della Filarmonica, a partire dal 1 giugno, verrà dato spazio a tutti i fotografi per condividere e dare visibilità alle proprie opere a tema musicale. Chi tra i fotografi volesse partecipare alla competizione dovrà spedire la domanda di partecipazione all’indirizzo email [email protected] insieme alla liberatoria per l’utilizzo delle
fotografie. A un mese dalla pubblicazione del prossimo numero del Magazine verranno pubblicate sul profilo Facebook della Filarmonica le fotografie ammesse al concorso (non più di tre per persona, di 300 dpi di grandezza), e le dieci più votate dagli utenti nell’arco di tre settimane verranno ammesse alla selezione finale, effettuata dalla redazione del magazine. L’Associazione Filarmonica del Teatro Comunale di Bologna si riserva il diritto, previa approvazione degli autori, di utilizzare le immagini pubblicate sul proprio canale per promozione e pubblicazione.
PER PARTECIPARE AL CONCORSO È RICHIESTO IL RISPETTO DELLE SEGUENTI NORME:
• Le fotografie presentate devono essere state scattate dai partecipanti, che ne devono avere tutti i diritti;
• È necessario che le fotografie non contengano immagini inappropriate e/o offensive;
• Il comportamento all’interno della community deve essere improntato al massimo rispetto verso gli altri utenti e il loro lavoro;
chiunque si dimostri aggressivo o maleducato verrà espulso dalla competizione e dai canali di comunicazione della Filarmonica;
• Sono ammesse al concorso fotografie rielaborate a patto che l’immagine principale e le sue rielaborazioni siano frutto di lavoro originale.
L’autore della fotografia risultata vincitrice verrà contattato via email dalla segreteria della Filarmonica e la sua foto verrà utilizzata come
copertina per il numero successivo del magazine. Avrà inoltre diritto a una Blue Card gratuita del valore di 25 euro e due biglietti omaggio
per il prossimo concerto della Filarmonica.
Seguici su:
Per informazioni scrivete a [email protected]
oppure visitate il sito www.filarmonicabologna.it
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TITO M.TONIETTI
Brahms, l’accordatura cosiddetta ‘naturale’ e gli scienziati tedeschi della sua epoca.
“Una volta [Joseph] Joachim ed io
[Johannes Brahms] eravamo da [Hermann
von] Helmholtz, il quale ci presentava le
sue scoperte e le armonie ‘pure’ sugli strumenti da lui inventati. Egli sosteneva che la
settima dovesse suonare un po’ più alta, la
terza più bassa dell’usuale. Joachim, il
quale è certo una persona molto cortese,
doveva aver ricevuto dagli intervalli un’impressione del tutto particolare e faceva
sembiante così come se li udisse al pari di
Helmholtz. Allora gli dissi che la cosa fosse
tuttavia troppo seria perché qui si potesse
decidere con la gentilezza; io udivo sempre
l’opposto di quanto affermasse Helmholtz.
Allora egli dunque ammetteva che ciò propriamente fosse il caso anche per lui.
Helmholtz aveva più tastiere ed io gli facevo su ciò rimarcare che le note della seconda suonassero molto più acute delle altre;
lui lo doveva ammettere. Nelle faccende
musicali lui stesso è proprio un terribile
dilettante.”
Il biografo Max Kalbeck riportava l’incontro
di due musicisti come il violinista Joachim
ed il compositore Brahms con lo scienziato
tedesco più famoso di fine ‘800: Helmholtz.
Quest’ultimo aveva scritto il libro La dottrina delle sensazioni sonore come
fondamento fisiologico per la teoria
della musica. Alla luce delle sue teorie in
acustica, basate sugli armonici e sui battimenti, in esso sosteneva che gli strumenti
musicali dovessero venir accordati secondo
scale di note risalenti all’ellenista alessandrino Claudio Tolomeo ed al veneziano
Gioseffo Zarlino. Infatti, secondo il fisico
tedesco, gli intervalli in frequenza avrebbero dovuto uniformarsi ai rapporti tra numeri interi come 2:1 l’ottava, 3:2 la quinta, 4:3
la quarta, 5:4 la terza maggiore e così via.
Ma ormai, dai tempi di Johann Sebastian
Bach, per poter trasporre e modulare liberamente tra le tonalità seguendo le esigen16
ze espressive i musicisti avevano scelto il
temperamento equabile basato sull’orecchio ed i numeri irrazionali come 2. Tale
temperamento era diventato indispensabile
sui pianoforti e gli organi a suono fisso.
L’episodio riportato sopra ci ricorda come
un musicista di primo piano e pianista
quale era Brahms non si fosse lasciato intimidire ed avesse continuato a fidarsi del
proprio orecchio. Nel suo libro, Helmholtz
aveva invece cercato il consenso dei compositori e degli esecutori come Joachim. In
una nota scriveva infatti che, sentito suonare il celebre violinista: “Egli faceva terze e
seste perfettamente giuste.” Per ‘giuste’ o
‘naturali’, il fisico intendeva quelle sue note
basate sugli armonici del suono e quindi
non temperate. Per i suoi esperimenti si era
fatto costruire un armonium particolare
intonato a quel modo. Tuttavia Brahms lo
smentiva, nonostante l’interlocutore fosse
particolarmente potente. Helmholtz rappresentava per le scienze tedesche quello che
Otto von Bismarck stava compiendo per il
predominio della Germania in Europa. Il
conflitto non era nuovo, anzi antichissimo.
Un musicista greco di Taranto come
Aristosseno aveva millenni prima rifiutato i
rapporti numerici per la musica seguiti
dalle sette pitagoriche della sua epoca. Per
motivi analoghi Vincenzio Galilei, il compositore e suonatore di liuto padre di Galileo,
si era scontrato con Zarlino e così via. Nei
secoli, molti matematici e fisici avevano
proposto teorie le quali non coincidevano
con quanto facessero i musicisti durante i
concerti. L’orecchio ed il piacere di ascoltare la musica avevano esigenze diverse da
quanto pensassero i teorici i quali seguissero antichi pregiudizi pitagorici o più recenti
esperimenti sui suoni.
Nonostante le ultime invenzioni elettroacustiche, alla fine dell’800 ed agli inizi del
‘900, il problema era rimasto sul tavolo. Lo
affrontava persino un fisico molto famoso
come Max Planck, proprio quello dei
quanti e tra gli inventori della Meccanica
Quantistica. Già ci potremmo preparare ad
una soluzione nel solco tracciato da
Helmholtz. Ma la storia sarebbe andata
altrimenti. Diversamente dai colleghi,
Planck conosceva la musica dall’interno.
Non desiderava applicarci sopra a posteriori le proprie teorie fisico-matematiche
per dimostrane potenza e ‘verità’.
Su di lui abbiamo i ricordi di alcuni colleghi.
“Egli da bambino in avanti fu un musicista
entusiasta, suonava il pianoforte in modo
eccellente e cantava in gruppo all’occasione in privato. Perciò, e di sicuro sotto l’influenza di H. v. Helmholtz, che egli aveva
frequentato durante i di lui ultimi anni a
Berlino, si occupava con i fondamenti fisico-fisiologici della musica. Da qui nasceva il
lavoro (...) sopra un grande armonium intonato in modo ‘naturale’, cioè non temperato, il quale veniva costruito intorno al 1893
e suonato un tempo sempre di nuovo da
Planck, finché poi cadde sacrificato nelle
fiamme della Seconda guerra mondiale.”
“Planck amava le piccole riunioni domestiche. Negli anni precedenti la Prima guerra
mondiale, nella sua casa di Berlino
Grunewald ogni quindici giorni si riuniva un
certo numero di giovani signore e signori
amanti del canto ai quali appartenevo
anch’io [Otto Hahn]. Formavamo un coro a
quattro voci sotto la direzione di Planck,
cantavamo Brahms ed altri. Con uno dei
Brahmsiani Zigeunerlieder [Canti zingareschi] potevo addirittura cantare una
piccola parte da solista. Una volta Planck
mi consigliò di prendere regolari lezioni di
canto; per quanto la mia tecnica per respirare fosse cattiva, come tenore potevo però
diventare buono. Così, nel luglio del 1914,
cominciai con le lezioni di canto; nell’agosto venne la guerra. Il canto se n’era anda-
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to via. Il circolo per cantare sotto Planck
non si riunì più dopo la guerra, ma i suoi
inviti personali furono accolti di nuovo.” Il
fisico tedesco in gioventù si era impegnato
molto con la musica. Aveva composto
Lieder e piccoli pezzi, persino un operetta:
Die Liebe im Walde [L’amore nel
bosco]. Più volte aveva cantato parti femminili in altre rappresentazioni liriche.
All’inizio titubava se dedicarsi alla musica,
ma un “... musicista maggiore ...” lo avrebbe sconsigliato. Possedeva l’orecchio assoluto. Planck ogni tanto suonava il pianoforte in trio o persino col violinista Joseph
Joachim. Il nostro fisico faceva un esperimento che pubblicava nel 1893 su di una
rivista musicale: “L’intonazione naturale
nella musica vocale moderna”. Per meglio
indagare il fenomeno, Planck si era allora
scritto lui stesso una successione di accordi
in do maggiore che faceva cantare a cappella sotto la propria direzione ad un gruppetto di amici cantanti, nelle circostanze
ricordate sopra. Così scopriva che, rispetto
al do iniziale, il do finale fosse cantato più
basso: essi calavano più di mezzo tono
temperato. Il celebre fisico con doti musicali ne concludeva. “Quando allora nel finale
il coro dovesse di nuovo approdare al do
iniziale, ciò sarebbe una dimostrazione
stringente che per esso l’intonazione ‘naturale’ non avesse il pur minimo significato
pratico. Dunque, considerato dal punto di
vista dell’arte moderna, sarebbe solo oziosa speculazione occuparsi ancora un
momento di più con la teoria dell’intonazione ‘naturale’.” Infatti riprovava più volte
ed il rigoroso Planck eseguiva persino un
contro esperimento. Se faceva cantare la
successione di accordi all’incontrario, dall’ultimo al primo, avrebbe infine ottenuto
un do più alto? “Il risultato finale non forniva alcun abbassamento, ma neanche l’atteso elevarsi della nota in altezza. ... Questi
casi dimostrano che, in certe circostanze, le
differenze tra l’intonar ‘temperato’ e quello
‘naturale’ decisamente oltrepassano le
oscillazioni dell’intervallo concesse nella
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© Rocco Casaluci
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Filarmonica
musica pratica e perciò ad ogni direttore
presentano il compito di farsi su questo un
giudizio.” Dava la parola decisiva al compositore e, quando ciò non fosse possibile per
forza maggiore, si rimetteva all’effetto artistico (soggettivo?). “Perché l’arte trova il
proprio fondamento in sé stessa e nessun
sistema teorico della musica, fosse pur fondato tanto logicamente e sviluppato in
modo conseguente, è in condizione di fissare una volta per tutte ogni richiesta dell’arte, la quale in eterno cambia contemporaneamente allo spirito umano. In relazione a
questo, il sistema ‘naturale’ non ha affatto
alcun vantaggio sul ‘temperato’, ...”. Nella
sua autobiografia, finiva addirittura per
scrivere le frasi seguenti. “... ebbi il compito di fare su questo strumento [armonium]
studi riguardo l’accordatura ‘naturale’. Poi
li facevo anche con grande interesse, riferendomi particolarmente alla questione
circa il ruolo giocato dall’accordatura ‘naturale’ nella nostra musica vocale moderna
senza accompagnamento strumentale. Su
questo arrivai al risultato, in certo qual
modo per me inatteso, che il nostro orecchio preferisce quella ‘temperata’ all’accordatura ‘naturale’ in tutte le circostanze
[proprio così!]. Persino in un accordo con
l’armonia in tonalità maggiore, la terza
‘naturale’ contrapposta alla ‘temperata’
suona fiacca e senza espressione. In ultima
analisi senza dubbio, questo fatto va ricondotto all’abitudine [dell’ascolto] durata
anni e generazioni. Perché, soprattutto
prima di J.S. Bach, l’accordatura ‘temperata’
non era generalmente conosciuta.” Persino
con Planck, l’aveva avuta vinta l’orecchio
del musicista.
([email protected])
Dipartimento di matematica - Università di Pisa.
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RECENSIONI
di Alberto Spano
TREDICI ANNI BENEDETTI
FRYDERYK CHOPIN: I 2 Concerti per pianoforte
e orchestra. Jan Lisiecki, pianoforte.
Sinfonia Varsovia, Howard Shelley, direttore.
(cd NIFCCD-200, euro 16.90)
Il pianista canado-polacco Jan Lisiecki oggi ha 16 anni,
essendo nato a Calgary il 23 marzo 1995 da genitori
polacchi. Ne aveva dunque solo 13 quando ha inciso
dal vivo il Concerto n. 2 op. 21 di Chopin alla
Filarmonica di Varsavia il 21 agosto 2008, e 14 quando ha inciso (sempre live) il primo op. 11 (che però
Chopin ha composto un anno più tardi) nello stesso
luogo esattamente un anno dopo, il 20 agosto 2009.
Stiamo parlando dunque di due prove di un poco più
che fanciullo, biondo e bello come un attore viscontiano il cui curriculum fa ben sperare. Ci si aspetterebbe
dunque una prova buona di un grande talento in erba,
ma nulla di più. Il CD è uscito in Italia nel febbraio
2010, in pieno anno chopiniano, e ovviamente si è
"scontrato" con nuove incisioni degli stessi concerti
con i campioni del concertismo internazionale, in primis Lang Lang, Yundi Li, Rafal Blechatz, tutti più "vecchi" di 15 o 20 anni di lui. Mirabile dictu, anzi auditu,
il 13enne Lisiecki ne esce vincitore, ponendosi sulla
stessa strada di Evgeny Kissin, che gli stessi concerti
registrò ad appena 12 anni per l'etichetta di Stato
Melodiya, commuovendo pubblico e critica. È pur vero
che qui il giovane è coadiuvato da un'orchestra che ha
queste opere nel sangue come la Sinfonia Varsovia, ed
è vero che a dirigere c'è un signor direttore, intelligente, sensibile, duttile e disponibile quale Howard
Shelley, che è anche un eccellente pianista (notevole il
suo Chopin e il suo Rachmaninov) e quindi Lisiecki si
trova ipercoccolato da orchestrali e direttore-pianista.
Ma diamine! Questo è il più bel suonare Chopin che
sia dato ascoltare da un po'. In genere non amiamo
sbilanciarci sui fanciulli prodigio: quante delusioni da
tanti 13-14enni pompati dai media. Stavolta però sentiamo di dire che non ci troviamo di fronte ad un talento che chissà quali sviluppi potrà avere, ma davanti ad
una realtà ben definita. Il perfetto stacco dei tempi di
tutti i movimenti (merito del direttore?) gli dà la possibilità di scandire le note con la giusta brillantezza e
nel contempo di essere sempre lirico, anche nei passaggi più brillanti. Che dire? Che meglio di così è quasi
impossibile suonare? Certamente no, perché c'è chi ha
saputo trovare molto di più in questo Chopin giovanile, lo stesso Kissin dodicenne era, per così dire, più
"completo", sia in peso sonoro che in idee musicali.
Ma senza dubbio Jan Lisiecki ha tutte le carte in regola per una grande carriera e diventare uno dei protagonisti del pianismo mondiale di domani.
QUEI SOTTILI LEGAMI
BRAHMS: 7 Fantasies op. 116, Händel
Variations; SCHONBERG: 6 Little Piano Pieces,
Suite op. 25. Shai Wosner, pianoforte
(cd ONIX 4055, euro 19.90)
Giunge finalmente in Italia distribuito da Milano
Dischi uno dei CD più interessanti degli ultimi
tempi, protagonista un pianista israeliano di 35
anni che vive a New York che si sta imponendo
come uno degli interpreti più bravi e più intelligenti della sua generazione. Il suo nome, che
sentiremo sempre più spesso nei prossimi anni, è
difficile da imprimersi nella mente, Shai Wosner,
ma non certo la sua arte pianistica e la sua personalità. Quella di un intellettuale raffinatissimo,
un pensatore della musica, dotato di una tecnica
irreprensibile e di una musicalità fuori dall'ordinario. Insomma, per intenderci, un Serkin redivivo. Questo suo primo CD accosta musiche pianistiche arcinote di Brahms all'opera 19 e 25 di
Schönberg, ma lo fa intrecciandole: le sette
Fantasie brahmsiane sono infatti intersecate dai
sei Piccoli Pezzi di Schönberg. Idea non nuova,
ma in questo caso, felice. Tempo fa c'è chi aveva
mescolato i Preludi di Bach a quelli di Chopin, o
i Preludi e Fughe di Bach a quelli di Shostakovich.
Si vuole mettere in evidenza le parentele, le assonanze, le differenze. Brahms e Schönberg sembrano distanti anni luce, e invece suonandoli
mescolati tutto appare logico, naturale, consequenziale. Merito senz'altro di Wosner che trova
in Brahms piccole durezze e spunti modernissimi
e in Schönberg accenti e morbidezze quasi
brahmsiane. Il risultato è miracoloso, e siamo
certi che in concerto l'effetto sarà ancora migliore. Ci sbilanciamo: Wosner è un grande pianista e
la sua versione delle Variazioni e Fuga su un
Tema di Händel op. 24 che chiude il disco è esemplare per possanza pianistica, rigore, tenuta. La
registrazione effettuata alla Friedberg Hall di
Baltimora nel gennaio 2010 grazie al sostegno
del "Borletti-Buitoni Trust Artist" è di una naturalezza e di una pastosità eccezionali.
IL BACH DI WALTER
JOHANN SEBASTIAN BACH: Opere per
chitarra. Walter Zanetti, chitarra
(cd walterzanetti.com, euro 19.90)
Ecco un disco esemplare, che tutti i bolognesi
amanti della chitarra dovrebbero possedere: è il
nuovo album del chitarrista Walter Zanetti, un
silenzioso musicista trentino, da alcuni anni
docente al Conservatorio G. B. Martini. Un eccellente musicista che al valore della propria arte
aggiunge un tratto di classe raro da trovare oggigiorno. Quasi un uomo d'altri tempi, che con la
forza delle proprie convinzioni musicali, con la
volontà, col talento e con uno studio costante ha
conquistato traguardi assoluti. Come il suo Bach,
affrontato alla chitarra con uno spirito assolutamente ascetico. Non ci era noto ma Zanetti, che
in anni giovanili si impose sulla scena internazionale grazie ad un'elegante interpretazione del
Concerto d'Aranjuez di Rodrigo e che in seguito
si immerse con dedizione all'esplorazione dei
repertori più vasti, da solo e in varie formazioni,
ha però sempre coltivato l'antico amore per
Bach, che in anni ormai lontani poté frequentare
con Alberto Ponce e, più recentemente, con un
musicista a tutto tondo quale Rolf Lisveland. Un
lento processo interiore, corroborato da ascolti di
grandi maestri, hanno fatto il resto. Oggi il Bach
di Zanetti si rivela come una delle più intense
esperienze musicali degli ultimi anni. Registrato
nelle notti del 23-25 novembre 2009 nella Sala
Ginevra della Rocca di Bazzano (immaginiamo in
un freddo pungente ma forse "ispirante") il CD
presenta Zanetti alle prese con tre fra le opere
più conosciute scritte originariamente per il liuto
barocco: il Preludio, Fuga e Allegro in mi bemolle
maggiore BWV 998, la Partita in do minore BWV
998 e la Suite in sol minore BWV BWV 995. Da
gran maestro Zanetti vi sfoggia un bellissimo
suono, una profondità di eloquio che conquista
battuta dopo battuta e una tenuta musicale sempre misurata ma profonda.
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