Èl`unica porta superstite della cinta. Poi
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Èl`unica porta superstite della cinta. Poi
La Porta Superiore o di Francia 1820. Panorama di Bussoleno: sulla destra la Porta Superiore o di Francia (riproduzione da un disegno a colori eseguito da Lorenzo Gianone) È l’unica porta superstite della cinta. Poiché serviva un percorso minore che in sponda destra lungo la direttrice occidentale risaliva la valle verso Susa, percorrendo le campagne di S. Petronilla, Coldimosso e Traduerivi, con i nuovi tracciati napoleonici fu relegato a itinerario locale che investiva esclusivamente il versante vallivo meridionale tra Mattie e Susa. Escluso dal grande traffico internazionale che si svolgeva sull’altra sponda del fiume, non necessitò di una riplasmazione dei manufatti né dei percorsi, né dei piani d’uso. Diversamente nel medioevo, quando il traffico locale e internazionale coincidevano per larghi tratti e l’area di strada si strutturava per fasci paralleli di vie più o meno importanti ma tutte frequentate, attraverso la porta di Francia scorreva un traffico moderatamente intenso: era, ad esempio, l’itinerario seguito da quanti si muovevano attraverso il colle delle Finestre che metteva in comunicazione la valle di Susa con il Delfinato subalpino, con il Pinerolese e, da qui, con il Piemonte meridionale. Altri colli minori nel massiccio dell’Orsiera e sullo spartiacque Dora-Chisone erano usualmente frequentati dai montanari su scala locale ma con una continuità apprezzabile come risulta dai resoconti di riscossione dei pedaggi. Importanza maggiore la Porta rivestiva per quel collegamento tra l’area adibita allo spazio fieristico e mercatale e il cuore commerciale del borgo chiuso durante la settimana di san Luca. Lo sviluppo del quartiere fuori porta fu così intenso a ridosso dell’area di fiera che in età tardomedievale e particolarmente per tutto il Quattrocento si andarono formando piccoli insediamenti e agglomerati rustici con ampi stallaggi, fienili e tettoie, nonché aree di servizio prima con una localizzazione e installazione temporanea, poi con un impianto permanente. D’altronde lo stoccaggio di forti scorte foraggiere non poteva avvenire all’interno del borgo sia per la mancanza di spazio nel Quattrocento terminale, sia per il pericolo d’incendio che grosse scorte di fieno rischiavano d’alimentare in modo incontrollato nel cuore stesso del borgo chiuso con effetti comprensibilmente devastanti. L’attuale struttura superstite si addice a una realizzazione tardotrecentesca del manufatto secondo il modello della torre-porta fiancheggiata da una cortina muraria con torri angolari a tiro radente. Si consideri che la torre-porta è stata decurtata dell’ultimo piano con il crollo della piombatoia a presenta ancora il doppio andito con volta a crociera e una sezione sufficiente al passaggio di un carro o di un traino voluminoso: i carri potevano nel medioevo risalire la valle fino a Susa, da dove si sarebbe dovuto obbligatoriamente proseguire solo con trasporti su basto e attraverso itinerari mulattieri. Per quanto i carri valligiani fossero perlopiù charriots dalle piccole dimensioni e dal basso baricentro in grado di percorrere anche le mulattiere più attrezzate e meno erte, quasi tutto il traffico era però prevalentemente mulattiero anche nei comodi fondivalle per evitare di spezzettare troppo le soste e i ricambi tecnici. Si tendeva comunque a ottimizzare il traffico per tratte omogenee trattandosi di un traffico a cui provvedevano i veiturerii che operavano tra Saint-Jean-de-Maurienne e Rivoli. Bussoleno aveva inoltre un discreto mercato di muli e bestie da basto in genere, con acquirenti che giungevano fin dalla Val d’Aosta. I traini a strascico erano inoltre assai diffusi e vi si provvedeva non solo con il giogo di buoi, ma altresì con l’impiego di 1883. Il vecchio ponte sulla Dora fotografato dal lato ovest; sulla destra si intravedono la torre medievale di piazza IV Novembre e parte delle mura di cinta poi demolite all’inizio del ‘900. che per fluitazione avrebbero raggiunto lo scalo di Alpignano. Così, ad esempio, furono trasportati i marmi per il cantiere del Duomo di Torino a fine Quattrocento o le ingombranti capriate per le fabbriche torinesi d’età filibertina. La torre individuava un preciso settore difensivo - l’occidentale - alla cui difesa dovevano provvedere i borghigiani secondo la vicinanza d’appartenenza detta appunto vicinitas Porte superioris che corrispondeva a un cantone o ruata. Qui tutti i maschi tra i 14 e 60 anni dovevano all’allarme assumere le posizioni di difesa muniti delle loro armi individuali tra cui vi erano fionde (caçafrusta), archi e balestre a gancio da polso. Solo nel quarto decimo del Quattrocento furono introdotte piccole colubrine che lanciavano palle di stagno della grossezza di una noce (unius nucis), e una devastante balestra da posizione a manovella (ad girellum) che lanciava verrettoni ferrei e proietti incendiari. Ma l’arma più a buon mercato e nondimeno più devastante restavano i pillori di fiume accumulati ordinatamente lungo gli spalti per essere scaricati a getto continuo sugli assalitori che in quel caso, senza la copertura di mantelli lignei o belfredi mobili, non potevano tentare alcun approccio alla base delle mura. Originariamente la porta era difesa da un fossato che si apriva su una bocca di lupo e da un parareni a falsabraga verso il fiume: un condotto d’acqua attinto dai bocchettoni a paratoia della ruata de Bargis derivando dal canale dei mulini riempiva il fossato per poi disperdersi nel fiume: l’acqua però spesso non veniva introdotta per non diminuire la portata ottimale dei mulini stessi e nei mesi estivi si lamentava l’uso poco igienico del fossato come discarica di prodotti organici maleodoranti. Superata la porta, risalendo verso i colli tra Italia e Borgogna un lungo rettifilo indicava al forestiero la via e, all’incrocio del lato meridionale del prato della fiera, si ergeva un monito esplicito ma poco rassicurante: la forca da cui pendevano i condannati a morte. sporto che ancora conservava nel 1821. mucche da lavoro: i traini del pesante Quanto ci resta della struttura in elevato legname d’opera non potevano in genere avvicina questo manufatto ad altre consimili attraversare il centro abitato al fine di evitastrutture di area valsusina e savoiarda: re il degrado dei selciati, ma normalmente apparecchi murari a scapoli di pietra le forniture del principe ignoravano il diviedisposti su filari regolari e annegati in un to per raggiungere sotto la cappella di S. manto di calce piuttosto resistente, massicci Antonio il porto dove si formavano i radelli orizzontamenti in legno di larice, scarse aperture protette sull’esterno con progressiva sostituzione delle arcere verticali con orbicoli difensivi per piccole artiglierie manesche. Si tratta di forme estremamente semplici di torre-porta quali quelle che si trovavano negli insediamenti di strada a Sant’Ambrogio, S. Giorio o Exilles, nonché nei borghi periferici quali il Borgo inferiore a Susa o il Borgo Paglierino ad Avigliana. Controllata da un porterius, che aveva l’incarico di aprire il massiccio portone all’alba e di chiu- Anni ‘10. Sulla sinistra il Prato della Fiera dove si svolgeva il mercato del bestiame; sullo sfondo il ponte fatto costruire dalla famiglia Ferro ai derlo al tramonto, la porta primi del ‘900 per accedere più comodamente alla loro villa Provincia di Torino, Assessorato alla Cultura • Associazione “Centro Storico” • Comune di Bussoleno Testi di Luca Patria • Materiale illustrativo Centro Studi V. Bellone • Fotografie attuali studio Commisso