Un`occasione mancata?

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Un`occasione mancata?
N. 1 – gennaio/aprile 2016
Un’occasione mancata?
di Giuseppe Calore
Fino a tutti gli anni 70 Padova si identificava con la “sua” Fiera, così come si identificava con
il “suo” Santo. Non è un caso se la Campionaria si svolgeva a cavallo dei mesi di maggio e di
giugno, per concludersi proprio il giorno 13, ricorrenza di S. Antonio. Il presidente della Fiera
veniva scelto con cura ed attenzione, dovendo svolgere un ruolo di prestigio e di rappresentanza di
livello nazionale ed internazionale.
Il giorno dell'inaugurazione della Campionaria era giorno di grande festa per tutta la città,
che vedeva in quell'evento la conferma ed il riconoscimento del suo successo economico di cui
andava appunto “fiera”. Una personalità politica importante, un ministro, qualche volta un
presidente del Consiglio, veniva a tagliare il nastro a sottolineare che i riflettori e gli interessi
nazionali erano sempre puntati su quella manifestazione e sulla nostra comunità economica.
Poi l'incanto si è rotto.
La concorrenza di altri saloni fieristici ma anche (o soprattutto) l'affievolirsi dell'interesse
politico locale e i contrasti tra le diverse forze politiche hanno determinato l'avvio del declino.
Dapprima impercettibile per la capacità manageriale dei dirigenti di allora, poi sempre più evidente
fino alle serie difficoltà di oggi.
Un colpo mortale fu il mancato trasferimento programmato ed avviato dall’amministrazione
Bentsik negli anni 70, fermato da ricorsi contro l'esito dell'appalto per la realizzazione dei nuovi
padiglioni in zona S. Lazzaro e da sotterranee manovre politiche cui non erano estranei i rapporti
difficili fra il Sindaco e gli esponenti socialisti della sua Giunta.
Seguirono anni difficili (il terrorismo e gli anni di piombo, equilibri politici nuovi) e la fiera fu
dimenticata. Si parlò nuovamente di trasferimento negli anni 80, ma se ne riparlò e basta, senza
una conclusione concreta per via di ostacoli economici e politici apparentemente insuperabili. Fu
persa così la seconda grande occasione di rilancio, con una classe politica ed economica distratta
da altre priorità, alle prese con mille beghe di tutt’altra natura.
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N. 1 – gennaio/aprile 2016
La Fiera già allora sopravviveva a fatica in un immobile sempre più obsoleto ed in un clima
esterno sempre più ostile. Il trasferimento del mercato ortofrutticolo offrì l'occasione di
accantonare definitivamente lo spostamento della Fiera a S. Lazzaro: con la decisione di costruire
due nuovi padiglioni accanto a quelli vecchi il “trasferimento” si tramutò in “allargamento”.
Si parlò quindi di Fiera Urbana, da considerarsi un valore aggiunto rispetto ad altre fiere
emigrate nelle periferie, ma oggi il risultato è sotto gli occhi di tutti.
Si può obiettare che la qualità di un 'immobile non è di certo il fattore dominante per il
successo di una manifestazione fieristica, e così la sua collocazione, ma per Padova è stato il
segnale della scarsa considerazione della sua classe dirigente, ed il segnale è arrivato forte e chiaro
dove doveva arrivare. La sopravvenuta privatizzazione della gestione ha solo completato un
quadro già di per sé desolante.
Questa breve riflessione, affatto nostalgica ma amaramente realistica, vuole contribuire ad
una miglior comprensione delle cause di un declino che, a torto o ragione, oggi molti ritengono
fosse inevitabile. Ma se è vero che la storia non si ripete, può tuttavia riproporsi, e sarebbe meglio
non ripetere gli errori del passato.
Di certo la fase discendente della Fiera ha coinciso con il venir meno di un forte supporto
politico, dovuto al formarsi di nuovi equilibri, a nuovi modi di concepire lo sviluppo economico. Un
progetto di rilancio deve quindi partire innanzitutto da una precisa volontà politica, condivisa da
tutti (o quasi tutti) i soggetti interessati e cioè il Comune di Padova, la Provincia e la Camera di
Commercio. Parimenti necessario appare il confronto con le categorie produttive, per capire se la
Fiera è ancora - o può nuovamente diventare - uno strumento efficace di promozione come lo era
un tempo: senza questa sintonia con i portatori d’interesse ogni tentativo sarebbe destinato al
fallimento.
Alcuni sostengono che con il passare del tempo la Fiera ha perso la sua peculiare funzione
rappresentativa . A questo proposito appare evidente che nella cosiddetta “era della conoscenza”
un salone fieristico non deve necessariamente essere espressione di un territorio inteso
unicamente come distretto industriale, manifatturiero o agroalimentare: la dimensione territoriale
si lega sempre più al luogo di produzione delle idee e del know-how e sempre meno a quello delle
sue applicazioni pratiche, e in un mondo globalizzato non potrebbe essere altrimenti. Così come
avvenne per i campioni, sui quali la nostra Fiera fondò la sua reputazione, anche i prodotti
immateriali sviluppati dai centri di ricerca legati all'Università o dalle imprese del terziario avanzato
attive a Padova possono trovare adeguate forme di valorizzazione in un contenitore come la Fiera,
di certo con modalità totalmente diverse rispetto ad allora.
Dati quindi i presupposti, cioè la costruzione di una volontà politica condivisa e la verifica
dell'interesse dei potenziali investitori, una strategia di rilancio deve passare attraverso un'accurata
progettazione affidata agli esperti del settore - una volta si chiamava studio di fattibilità - e la scelta
di un management all'altezza dei tempi nuovi.
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N. 1 – gennaio/aprile 2016
Possono sembrare considerazioni quasi ovvie, ma se ci guardiamo indietro poco di questo è
stato fatto, e di certo non in questo ordine.
Non c'è di che stupirsi. Quello che il passato prossimo ci insegna è che nella nostra città
nulla di importante è stato fatto - e sarà possibile fare in futuro - se non c'è una forte convergenza
di vedute, intenti e programmi tra tutti gli attori coinvolti. Così è stato per l'Interporto, per la
grande viabilità, per il Mercato Ortofrutticolo, per il Nuovo Museo e via elencando.
Così non è stato fino ad ora per la Fiera e per molte altre opere o infrastrutture, come
l'Idrovia il cui completamento è “naufragato” per le stesse motivazioni.
Nel migliore dei casi, restando sul piano strettamente politico, le posizioni contrarie delle
opposizioni che in passato hanno frenato lo sviluppo della città senza saper proporre modelli nuovi
o alternativi hanno solo ritardato decisioni che andavano prese molto tempo prima, con minori
costi e più vantaggi.
Si dirà che occorre avere pazienza, aspettare la maturazione dei tempi e delle opinioni. Ed è
così: l'esperienza amministrativa ci dice che spesso sono proprio i vecchi oppositori giunti al potere
a realizzare le opere che avevano un tempo avversato, convinti neofiti della passata dottrina cui si
sono rapidamente convertiti al momento di assumersi responsabilità di gestione. Ma non sempre è
possibile, talvolta il ritardo accumulato o i cambiamenti di scenario non consentono azioni di
recupero.
Per quanto mi riguarda, ritengo che ci sia ancora spazio per fare della Fiera un rinnovato
strumento di sviluppo e di prestigio per Padova. Ad altri più competenti spetta il compito di fare
proposte operative ed alcune sono contenute, e sono interessanti, in questo numero del magazine
La Specola. Nei tempi andati sostenni con scarsissimo successo la necessità e l'opportunità di
portare la Fiera a S. Lazzaro, operazione oggi improponibile perché su quell'area - acquistata 40
anni fa dal Comune secondo una precisa strategia di sviluppo proprio per spostarci la Fiera - si sta
progettando la realizzazione del nuovo Ospedale. Non so se augurare a quest'opera maggiore
successo.
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