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BILANCIO
REDDITO
E
D'IMPRESA
8-9
Aggregazioni aziendali: più vantaggioso
l’affrancamento
Peculiarità delle cooperative nella redazione
dei bilanci e nella gestione aziendale
Accordi preventivi per le imprese con attività
internazionale
I Transaction Cost nelle operazioni di LBO
Profili civilistici, contabili e fiscali del rent to buy
Tutte le novità attese dallo IASB
Società di capitali: stato di crisi e impossibilità
di conseguimento dell’oggetto sociale
Revoca senza giusta causa dell’amministratore
delegato
Ciclo attivo: comprensione e rappresentazione
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Mensile, Anno 7, n. 8-9, Agosto-Settembre 2016 - Direzione e Redazione: Strada 1, Palazzo F6 - 20090 Milanofiori Assago (Mi) - ISSN: 2039-5566
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2016
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n.
8-9
agosto-settembre 2016
Bilancio&imposte
Imposta sostitutiva
Aggregazioni aziendali: più vantaggioso
l’affrancamento
5
di Giulio Salvi
Bilancio d’esercizio
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Wolters Kluwer Italia S.r.l.
Strada 1, Palazzo F6
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Peculiarità delle cooperative nella redazione
dei bilanci e nella gestione aziendale
10
di Luca Fornaciari
Fiscalità internazionale
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Accordi preventivi per le imprese con attività
internazionale
di Giuseppe Buonamassa e Giovanni Gerardi
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I Transaction Cost nelle operazioni di LBO
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di Vincenzo Di Pillo e Giovanni Pistillo
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Redazione
Bilancio d’esercizio
I profili civilistici, contabili e fiscali del rent to buy
35
di Fabio Ciovati
Principi contabili
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IAS/IFRS
Amministrazione
Tutte le novità attese dallo IASB
44
di Antonella Portalupi
Aspetti societari
Crisi d’impresa
Società di capitali: stato di crisi e impossibilità
di conseguimento dell’oggetto sociale
di Raffaella Argenzio
49
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abbonamenti, numeri, arretrati,
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Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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agosto-settembre 2016
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4
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Imposta sostitutiva
Aggregazioni aziendali: più
vantaggioso l’affrancamento
Per le operazioni di aggregazione aziendale poste in essere a decorrere dall’esercizio successivo a
quello in corso al 31 dicembre 2015, l’affrancamento dei maggiori valori imputati ad avviamento e
marchi d’impresa, mediante l’assolvimento di un’imposta sostitutiva nella misura del 16%, comporta la riduzione - dal limite massimo di un decimo al limite massimo di un quinto - del periodo di
ammortamento fiscale relativo ai predetti beni immateriali. Si presenta una panoramica dell’evoluzione normativa fino a giungere ai chiarimenti forniti dalla circolare dell’Agenzia delle entrate
n. 20/E del 18 maggio 2016.
Premessa
Nell’ordinamento tributario italiano, le operazioni straordinarie di fusione, scissione e conferimento d’azienda o di ramo d’azienda sono,
come noto, caratterizzate dalla “neutralità”, in
quanto gli elementi patrimoniali attivi e passivi
oggetto delle predette operazioni sono
trasferiti dal “dante causa” all’“avente causa”
mantenendo il loro valore fiscalmente
riconosciuto e senza originare plusvalenze o
minusvalenze aventi rilevanza fiscale.
L’irrilevanza fiscale dei plusvalori contabili
emergenti in occasione delle menzionate operazioni aziendali straordinarie determina dei
disallineamenti tra il valore d’iscrizione in
bilancio e il valore fiscale dei beni ricevuti
dall’“avente causa”, con il conseguente obbligo
di effettuare apposite rettifiche, in sede di
dichiarazione annuale dei redditi, al fine di
adeguare il valore contabile degli ammortamenti e delle plus/minusvalenze al loro valore
fiscalmente riconosciuto (c.d. doppio binario).
Al descritto regime ordinario “neutrale” si
affiancano due regimi opzionali che - previo
pagamento di un’imposta sostitutiva delle
imposte dirette e dell’IRAP - consentono l’“affrancamento” dei predetti disallineamenti e,
conseguentemente, permettono di ottenere il
“riallineamento” dei valori fiscali ai maggiori
valori civilistici iscritti in bilancio.
Tali regimi sono disciplinati, rispettivamente,
dal combinato disposto degli artt. 176, comma
2-ter, 172, comma 10-bis e 173, comma 15-bis
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
del T.U.I.R. e dall’art. 15, commi 10 e seguenti,
del D.L. n. 185 del 29 novembre 2008, convertito dalla Legge n. 2 del 28 gennaio 2009, come
recentemente modificato dall’art. 1, commi 95
e 96, della Legge n. 208 del 28 dicembre 2015
(Legge di stabilità per il 2016).
Regime fiscale sostitutivo di cui
all’art. 176, comma 2-ter, del T.U.I.R.
Secondo il regime disciplinato dal combinato disposto degli artt. 176, comma 2-ter,
172, comma 10-bis e 173, comma 15-bis del
T.U.I.R., è possibile optare per il predetto
“riallineamento” con riguardo, in tutto o in
parte, ai maggiori valori attribuiti alle
immobilizzazioni materiali ed immateriali
relative all’azienda ricevuta per effetto di
operazioni di conferimento, di fusione e di
scissione.
La misura dell’imposta sostitutiva delle imposte sui redditi e dell’IRAP è differenziata per
scaglioni di maggiori valori attribuiti in bilancio agli elementi dell’attivo costituenti immobilizzazioni materiali ed immateriali che si
intendono “affrancare”. In particolare, le aliquote applicabili sono le seguenti:
• 12% sulla parte dei maggiori valori ricompresi nel limite di 5 milioni di euro;
Nota:
(*) Studio Legale Tributario EY
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Bilancio&imposte
di Giulio Salvi (*)
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Imposta sostitutiva
Bilancio&imposte
• 14% sulla parte dei maggiori valori che
eccede 5 milioni di euro e fino a 10 milioni
di euro;
• 16% sulla parte dei maggiori valori che
eccede i 10 milioni di euro.
L’opzione deve essere esercitata nella dichiarazione dei redditi relativa all’esercizio nel
corso del quale è stata posta in essere l’operazione straordinaria o, al più tardi, in quella del
periodo d’imposta successivo.
I maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva si considerano fiscalmente riconosciuti,
ai fini dell’ammortamento, a partire dal
periodo d’imposta nel corso del quale è esercitata l’opzione. In caso di realizzo dei beni
anteriormente al quarto periodo d’imposta
successivo a quello dell’opzione, il costo fiscale
degli stessi è ridotto dei maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva e dell’eventuale
maggior ammortamento dedotto e l’imposta
sostitutiva versata è scomputata dall’imposta
sui redditi.
L’imposta sostitutiva deve essere versata in
tre rate annuali, la prima delle quali pari al
30%, la seconda al 40% e la terza al 30%;
sulla seconda e sulla terza rata sono dovuti
gli interessi.
Regime fiscale sostitutivo
di cui al D.L. n. 185/2008
A norma dell’art. 15, comma 10, del citato D.L.
n. 185/2008, che deroga alle disposizioni del
comma 2-ter dell’art. 176 del T.U.I.R., le
società “aventi causa” delle operazioni straordinarie (società conferitaria, incorporante o
risultante dalla fusione e beneficiaria della
scissione) possono ottenere il riconoscimento
fiscale dei maggiori valori contabili - relativi
all’avviamento, ai marchi d’impresa e alle
altre attività immateriali - iscritti in bilancio
per effetto delle operazioni stesse. Tale
“affrancamento” è ottenibile mediante il
pagamento di un’imposta sostitutiva dell’imposta sui redditi e dell’IRAP, con aliquota del
16%, da versare in un’unica soluzione entro il
termine di versamento del saldo delle imposte
sui redditi relative all’esercizio nel corso del
quale è stata posta in essere la fusione, la
scissione o il conferimento di azienda o di
ramo d’azienda.
L’esercizio dell’opzione si perfeziona con il
versamento dell’imposta sostitutiva.
6
Per quanto concerne la decorrenza degli effetti
fiscali del regime di “affrancamento” de quo,
sia per l’avviamento e i marchi d’impresa, sia
per le altre attività immateriali, occorre effettuare la seguente distinzione:
1) momento a partire dal quale assumono rilevanza fiscale i maggiori valori assoggettati
ad imposta sostitutiva, ai fini della determinazione della plusvalenza e della minusvalenza da realizzo;
2) momento a partire dal quale assumono
rilevanza fiscale i maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva, ai fini
dell’ammortamento.
Con riguardo al primo aspetto, il secondo
periodo del comma 10 dell’art. 15 in esame
prevede che “i maggiori valori assoggettati ad
imposta sostitutiva si considerano riconosciuti
fiscalmente a partire dall’inizio del periodo
d’imposta nel corso del quale è versata l’imposta sostitutiva”.
Secondo il parere dell’Agenzia delle entrate (1),
tale disposizione deve essere interpretata
tenendo conto di quanto previsto dalla
disciplina relativa al “riallineamento” di cui
all’art. 176, comma 2-ter, del T.U.I.R., in merito
al meccanismo del recapture, secondo cui, in
presenza di atti di realizzo aventi per oggetto i
beni “affrancati”, gli effetti fiscali temporaneamente prodottisi in virtù dell’esercizio dell’opzione sono revocati ab initio. Infatti l’art. 176,
comma 2-ter, del T.U.I.R., ultimo periodo - lo si
ribadisce - dispone che “in caso di realizzo dei
beni anteriormente al quarto periodo d’imposta successivo a quello dell’opzione, il costo
fiscale è ridotto dei maggiori valori assoggettati ad imposta sostitutiva e dell’eventuale
maggior ammortamento dedotto e l’imposta
sostitutiva versata è scomputata dall’imposta
sui redditi ai sensi degli artt. 22 e 79”.
Analogamente, nei confronti dei beni e delle
attività “riallineate” ai sensi del decimo comma
dell’art. 15 del D.L. n. n. 185/2008 in disamina,
si deve ritenere che operi il predetto “periodo di
sorveglianza”, entro il quale gli atti realizzativi
aventi per oggetto le attività stesse producono,
in sostanza, il venir meno degli effetti
dell’“affrancamento”.
Nota:
(1) Cfr. circolare n. 28/E dell’11 giugno 2009, par. 5.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Imposta sostitutiva
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
2007, nonché a quelle effettuate entro il
periodo d’imposta in corso al 31 dicembre
2007 (art. 15, comma 12).
Affrancamento delle partecipazioni
di controllo incluse nel
consolidamento (cenni)
Ai sensi dei commi 10-bis e 10-ter dell’art. 15 del
D.L. n. 185/2008, il descritto regime fiscale
sostitutivo di cui al citato comma 10 è applicabile anche:
• ai maggiori valori delle partecipazioni di
controllo incluse nel consolidamento,
iscritti in bilancio a seguito dell’operazione
a titolo di avviamento, marchi d’impresa e
altre attività immateriali;
• ai maggiori valori - attribuiti ad avviamenti,
marchi di impresa e altre attività immateriali nel bilancio consolidato - delle partecipazioni di controllo acquisite nell’ambito di
operazioni di cessione di azienda ovvero di
partecipazioni.
In estrema sintesi, tale regime è volto ad
ottenere, previo versamento di un’imposta
sostitutiva delle imposte sui redditi e
dell’IRAP del 16%, il riconoscimento fiscale
dei maggiori valori relativi ad avviamento,
marchi d’impresa ed altre attività immateriali iscritti nel bilancio consolidato, anziché
nel bilancio d’esercizio, sempre che siano
riferibili ai maggiori valori contabili delle
partecipazioni di controllo acquisite ed
iscritte nel bilancio individuale per effetto
di operazioni straordinarie o traslative (3).
La predetta opzione si considera perfezionata con il versamento dell’imposta sostitutiva che deve essere effettuato, in un’unica
rata, entro il termine di scadenza del saldo
delle imposte sui redditi dovute per il
periodo d’imposta in cui l’operazione ha
avuto efficacia giuridica.
Note:
(2) In deroga al principio generale secondo cui le quote di
ammortamento del valore di avviamento e del costo dei
marchi d’impresa sono deducibili in misura non superiore ad
un diciottesimo del valore/costo di tali beni immateriali.
(3) Cfr. anche le disposizioni attuative contenute nel
Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del
6 giugno 2014.
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Bilancio&imposte
In altri termini, la disposizione di cui al
secondo periodo del comma 10 dell’art. 15
assume rilievo solamente ai fini della determinazione della plus/minusvalenza in ipotesi di
realizzo delle attività oggetto di “riallineamento” e, di conseguenza, esclusivamente ai
fini del computo della decorrenza del c.d.
“periodo di sorveglianza”. Concludendo,
anche nell’ipotesi in esame, i maggiori valori
fiscali assoggettati ad imposta sostitutiva rilevano, ai fini della determinazione della plus/
minusvalenza da realizzo, a partire dal quarto
periodo d’imposta successivo a quello di esercizio dell’opzione. Con riferimento agli
ammortamenti, la deducibilità dei maggiori
valori “affrancati” relativi all’avviamento, ai
marchi e alle altre attività immateriali è
ammessa a decorrere dal periodo d’imposta
successivo a quello nel corso del quale è versata
l’imposta sostitutiva. Sempre con riguardo agli
ammortamenti, il decimo comma dell’art. 15
del citato D.L. n. 185/2008 - prima delle modifiche di cui si tratterà nel prosieguo - prevedeva
che la deduzione di cui all’art. 103 del T.U.I.R. e
agli artt. 5, 6 e 7 del D.Lgs. 15 dicembre 1997, n.
446, del maggior valore dell’avviamento e dei
marchi d’impresa potesse essere effettuata in
misura non superiore ad un decimo, a prescindere dall’imputazione al Conto Economico (2).
Per completezza di trattazione, si rammenta
che, a norma del comma 11 dell’art. 15, primo e
secondo periodo, il regime sostitutivo in commento è applicabile anche per ottenere il “riallineamento” dei valori fiscali ai maggiori valori
attribuiti in bilancio ad attività diverse da
quelle indicate nell’art. 176, comma 2-ter del
T.U.I.R. (diverse, cioè, dai beni materiali ed
immateriali come, ad esempio le rimanenze
di magazzino). In questo caso, tali maggiori
valori sono assoggettati a tassazione con
aliquota ordinaria, ed eventuali maggiorazioni, rispettivamente dell’IRPEF, dell’IRES e
dell’IRAP, separatamente dall’imponibile complessivo, mediante versamento, in unica soluzione, dell’importo dovuto. Se i maggiori valori
sono relativi ai crediti, si applica l’imposta
sostitutiva nella misura del 20% (art. 15,
comma 11, terzo periodo).
Le disposizioni relative al descritto regime
opzionale sostitutivo si applicano alle operazioni effettuate a partire dal periodo d’imposta
successivo a quello in corso al 31 dicembre
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Imposta sostitutiva
Modifiche al regime fiscale sostitutivo
di cui al D.L. n. 185/2008
Bilancio&imposte
Nell’ambito delle disposizioni di favore per le
imprese contenute nella Legge 28 dicembre
2015, n. 208 (Legge di stabilità per il 2016), i
commi 95 e 96 dell’art. 1 hanno modificato il
regime di imposizione sostitutiva sopra
descritto. In particolare, il comma 95 dell’art.
1 della citata Legge n. 208/2015 ha modificato il
penultimo periodo del comma 10 dell’art. 15
del D.L. n. 185/2008 sostituendo le parole “non
superiore ad un decimo” con le parole “non
superiore ad un quinto”.
Per effetto di tale modifica, l’opzione per il
regime d’imposizione sostitutiva in commento
è diventata ancora più appetibile per la sua
convenienza fiscale in quanto il limite massimo della quota di ammortamento deducibile
in ciascun periodo d’imposta dei maggiori
valori “affrancati” di avviamento e marchi
d’impresa è stato aumentato da un decimo ad
un quinto. In altri termini, tale modifica normativa consente ai contribuenti che hanno
optato per il regime sostitutivo di ridurre ulteriormente il periodo di ammortamento previsto per l’avviamento e i marchi d’impresa. Le
quote di ammortamento del maggior valore
delle altre attività immateriali, invece, continuano ad essere deducibili nel limite della
quota imputata a Conto Economico.
Per quanto riguarda l’ambito temporale di
applicazione della citata modifica normativa,
il comma 96 dell’art. 1 della Legge n. 208/2015
stabilisce che essa si applica alle operazioni di
aggregazione aziendale poste in essere a decorrere dall’esercizio successivo a quello in corso
al 31 dicembre 2015.
Ciò significa che, per i soggetti con esercizio
coincidente con l’anno solare, la nuova disposizione si applica alle operazioni poste in
essere a partire dal 1° gennaio 2016. Ne consegue che, non essendo prevista la
retroattività del novellato disposto dell’art.
15, comma 10, del citato D.L. n. 185/2008,
resta immutata la misura massima della deduzione (un decimo) per quanto riguarda i maggiori valori (di avviamento e marchi
d’impresa) iscritti ed affrancati in occasione
di operazioni straordinarie poste in essere
negli esercizi precedenti.
Come ha avuto modo di precisare l’Agenzia
delle entrate nella circolare n. 20/E del 18
8
maggio 2016, la compresenza sul medesimo
asset (avviamento o marchio d’impresa) di
due regimi di “affrancamento” comporta
un’inevitabile “doppio regime” di ammortamento fiscale dello stesso. Più dettagliatamente, qualora il valore contabile di un
determinato avviamento o marchio d’impresa fosse il risultato complessivo di due
operazioni straordinarie poste in essere in
epoche diverse, la prima realizzata precedentemente alla modifica normativa e la
seconda realizzata successivamente, si genererebbe un “doppio regime” relativamente al
valore fiscalmente riconosciuto delle predette attività immateriali.
A titolo esemplificativo (4), si ipotizzi che la
società conferitaria di un’operazione di conferimento d’azienda, posta in essere nel corso
dell’esercizio 2016, iscriva maggiori valori contabili su un marchio già “affrancato” dal soggetto conferente, in base al comma 10 dell’art.
15 del D.L. n. 185/2008, per effetto di una precedente operazione straordinaria.
Qualora, con riferimento al predetto marchio
d’impresa, la società conferitaria decidesse di
optare per lo stesso regime di imposizione
sostitutiva, essa dovrebbe idealmente separare
i due seguenti diversi valori fiscali:
1) il primo, in cui la società conferitaria subentra per effetto del conferimento, continuerà
ad essere assoggettato al processo di
ammortamento fiscale per decimi, ai sensi
del previgente comma 10 dell’art. 15;
2) il secondo, derivante dall’affrancamento del
maggior valore iscritto a seguito della nuova
operazione, sarà assoggettato al processo di
ammortamento di cui al novellato comma
10 dell’art. 15 e, cioè, in misura non superiore ad un quinto.
Da ultimo, si deve ritenere che la descritta
modifica normativa trovi applicazione anche
con riferimento al regime di imposizione sostitutiva di cui ai commi 10-bis e 10-ter dell’art. 15
del D.L. n. 185/2008 disciplinanti - lo si rammenta - l’“affrancamento” delle partecipazioni
di controllo incluse nel consolidamento.
Resta inteso che la nuova disposizione si
applica alle partecipazioni di controllo
acquisite
per
effetto
di
operazioni
Nota:
(4) Cfr. circolare n. 20/E/2016, citata.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Imposta sostitutiva
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
d’impresa, nel caso in cui i predetti valori
siano stati affrancati ai sensi dei commi
10-bis e 10-ter in corrispondenza di operazioni
realizzate prima e dopo la suddetta modifica
normativa.
Per approfondimenti
Di altri autori vedi anche...
• R. Parisotto, “Ammortamento veloce delle attività
immateriali derivanti dalle riorganizzazioni aziendali”,
in il fisco, n. 26/2016, pag. 2539.
Bilancio&imposte
straordinarie e traslative poste in essere a
decorrere dall’esercizio successivo a quello
in corso al 31 dicembre 2015, ferma
restando la misura massima della deduzione di un decimo per quanto riguarda i
valori di avviamento e marchi d’impresa
fiscalmente riconosciuti per effetto di operazioni poste in essere negli esercizi
precedenti.
Valgono, anche per il regime in questione, i
chiarimenti sopra forniti con riferimento alla
necessità di tenere distinti i valori fiscali relativi ad un medesimo avviamento o marchio
9
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Bilancio d’esercizio
Peculiarità delle cooperative
nella redazione dei bilanci
e nella gestione aziendale
Bilancio&imposte
di Luca Fornaciari (*)
Il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili in aprile ha pubblicato un
quaderno in cui sintetizza le peculiarità per la redazione dei bilanci delle società cooperative. In
particolare, il documento approfondisce elementi contabili tipici delle cooperative tra cui il calcolo
della mutualità prevalente e il trattamento dei ristorni.
Introduzione
Le cooperative hanno assunto da tempo un
importante rilievo nel sistema economico italiano. Le peculiarità giuridiche ed economiche
che “esaltano” il ruolo sociale di tali imprese
hanno rappresentato, soprattutto in alcune
Regioni, i fattori di sviluppo del movimento
cooperativo. Numerose ricerche ne hanno evidenziato anche l’importante ruolo economico
dimostrando come tali forme di imprenditoria
producano benefici diffusi nel territorio di
pertinenza.
In termini generali, le cooperative non hanno
come finalità ultima la produzione di un reddito capace di remunerare il capitale investito,
ma hanno l’obiettivo di generare un valore
aggiunto sufficiente per remunerare tutti i fattori produttivi interni tra cui le risorse umane.
A questo occorre aggiungere una naturale
attenzione al contesto sociale in cui operano,
aspetto che si estrinseca attraverso iniziative
finalizzate a ridistribuire a favore del
territorio di riferimento una parte del valore
generato.
Il progressivo sviluppo del movimento cooperativo ne ha stimolato l’attenzione da parte sia
dell’università che del mondo professionale il
quale, nello svolgimento quotidiano delle proprie attività, si trova periodicamente ad esaminare le caratteristiche che qualificano le
cooperative. In tale ambito, il Consiglio
Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli
Esperti Contabili (CNDCEC) ha predisposto e
pubblicato il Quaderno “Le peculiarità delle
10
società cooperative nella redazione dei bilanci
e nella gestione aziendale” (in seguito
Quaderno), intendendo in tal modo fornire
un contributo operativo, che aspira ad essere
di facile e immediato utilizzo, da parte degli
iscritti e degli operatori. In particolare, il documento approfondisce le problematiche contabili e di bilancio tipiche delle cooperative come
ad esempio il trattamento delle riserve e del
prestito sociale, il calcolo della mutualità prevalente e la rilevazione contabile dei ristorni.
La riforma del diritto societario del 2003 ha
significativamente innovato in materia di cooperative introducendo, nel nostro ordinamento, la distinzione tra cooperative a
“mutualità prevalente” e le altre cooperative.
Tale distinzione assume preminente importanza in quanto, solo alle cooperative che possono essere definite a “mutualità prevalente”,
sono riservate le agevolazioni fiscali specificamente previste dalla normativa tributaria (art.
223-duodecies, Disposizioni per l’attuazione
del Codice civile). In particolare, l’art. 2512
c.c. definisce società cooperative a “mutualità
prevalente” quelle che, in ragione del tipo di
scambio mutualistico realizzato con i soci:
• svolgono la loro attività prevalentemente in
favore dei soci, consumatori o utenti di beni
o servizi;
Nota:
(*) Università degli Studi di Parma, partner Map Managing
Control srl
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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• si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, delle prestazioni
lavorative dei soci;
• si avvalgono prevalentemente, nello svolgimento della loro attività, degli apporti di
beni o servizi da parte dei soci.
La prevalenza dello scambio con i soci (mutualistico) rispetto allo scambio con terzi (non
mutualistico) deve essere periodicamente
accertato sulla base dei criteri disciplinati dall’art. 2513 c.c. Specificamente, tale articolo
dispone che, nella nota integrativa al bilancio
della cooperativa, gli amministratori ed i sindaci devono documentare la condizione di prevalenza descrivendo contabilmente i seguenti
parametri:
• ricavi dalle vendite dei beni e dalle prestazioni di servizi verso i soci superiori al 50%
del totale dei ricavi delle vendite e delle
prestazioni ai sensi dell’art. 2425 c.c.,
comma 1, punto A1;
• costo del lavoro dei soci superiore al 50% del
totale del costo del lavoro di cui all’art. 2425
c.c., comma 1, punto B9 computate le altre
forme di lavoro inerenti lo scopo
mutualistico;
• costo della produzione per servizi ricevuti
dai soci ovvero per beni conferiti dai soci
rispettivamente superiore al 50% del totale
dei costi dei servizi di cui all’art. 2425 del
c.c., comma 1, punto B7, ovvero al costo
delle merci o materie prime acquistate o
conferite, di cui all’art. 2425 del c.c.,
comma 1, punto B6.
L’articolo precisa inoltre che, nella circostanza
in cui siano realizzati più scambi mutualistici,
la condizione di prevalenza deve essere documentata facendo riferimento alla media ponderata delle percentuali indicate nei punti
precedenti. Con riferimento alle cooperative
agricole, la normativa ha stabilito che la prevalenza sussiste quando il rapporto fra la
quantità o il valore dei prodotti conferiti dai
soci supera il 50% della quantità o del valore dei
prodotti complessivamente acquisiti (in tale
ambito pertanto non occorre fare riferimento
al rapporto di cui alla lett. c), comma 1, dell’art.
2513 c.c.).
Oltre al rispetto dei parametri indicati, al
fine di poter usufruire delle agevolazioni
fiscali, le cooperative a “mutualità prevalente” devono prevedere nel proprio statuto
(art. 2514 c.c.):
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• il divieto di distribuire i dividendi in misura
superiore all’interesse massimo dei buoni
postali fruttiferi, aumentato di due punti e
mezzo rispetto al capitale effettivamente
versato;
• il divieto di remunerare gli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai soci cooperatori in misura superiore a due punti
rispetto al limite massimo previsto per i
dividendi;
• il divieto di distribuire le riserve fra i soci
cooperatori;
• l’obbligo di devoluzione, in caso di scioglimento della società, dell’intero patrimonio
sociale, dedotto soltanto il capitale sociale e
i dividendi eventualmente maturati, ai fondi
mutualistici per la promozione e lo sviluppo
della cooperazione.
Per le altre cooperative (art. 2545-quinquies c.c.),
invece, i limiti sopra indicati e relativi alla distribuzione dei dividendi non si applicano poiché
sussiste:
• un vincolo legale in quanto l’utile di bilancio
può essere distribuito solamente se l’indebitamento non supera un quarto del patrimonio netto, altrimenti deve essere
destinato a riserva;
• un vincolo statutario poiché lo statuto deve
indicare, oltre alle modalità di distribuzione, anche la percentuale massima
ripartibile.
Le cooperative si caratterizzano per un
regime fiscale “agevolato” che risulta differente a seconda della tipologia di attività
svolta (ad esempio le cooperative di consumo, cooperative agricole, altre cooperative) e se sono o meno a mutualità
prevalente. Per esempio le cooperative a
mutualità prevalente a partire dall’esercizio
2012 presentano un’imponibilità IRES come
segue:
• cooperative di consumo, totale utili tassati
pari al 68% (di cui quota utile imponibile
65% e 3% a riserva minima obbligatoria) e
quota non imponibile pari al 32%;
• cooperative agricole, totale utili tassati pari
al 23% (di cui quota utile imponibile 20% e
3% a riserva minima obbligatoria) e quota
non imponibile pari al 77%;
• altre cooperative, totale utili tassati pari al
43% (di cui quota utile imponibile 40% e 3%
a riserva minima obbligatoria) e quota non
imponibile pari al 57%.
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Bilancio&imposte
Bilancio d’esercizio
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Bilancio d’esercizio
Giova infine osservare che l’art. 2518 c.c. ha
disposto che “nelle società cooperative per le
obbligazioni sociali risponde soltanto la
società con il suo patrimonio” e che, pertanto,
il legislatore riformatore ha eliminato la
responsabilità illimitata.
L’informativa di bilancio
delle cooperative
Bilancio&imposte
Anche le cooperative redigono il bilancio sulla
base della normativa prevista dal Codice civile
per le società di capitali.
Le peculiarità di tali entità incidono anche
sul contenuto del bilancio. Tale documento,
infatti, al fine di rappresentare in modo
fedele la situazione patrimoniale, economica e finanziaria delle cooperative, deve
indicare una serie di ulteriori informazioni
specifiche soprattutto con riferimento alla
distinzione tra valori conseguiti in dipendenza di rapporti di scambio mutualistico
e non, alla destinazione mutualistica interna
ed esterna di carattere obbligatorio e facoltativo, evidenziando i valori relativi all’accumulazione e formazione del patrimonio
indivisibile e non disponibile.
La normativa che disciplina le informazioni
specifiche di bilancio delle cooperative è
“sparsa” all’interno del Codice civile. I redattori
non seguono pertanto un preciso indirizzo
nell’adempiere a tali disposizioni ma si comportano in modo disomogeneo, “talvolta inserendo dati e informazioni eccessivi, talvolta
omettendo dati e informazioni richieste dalla
legislazione vigente” (Quaderno pag. 15).
L’art. 2545 c.c., rubricato “Relazione
annuale sul carattere mutualistico della cooperativa”, impone ad amministratori e sindaci di indicare nelle relazioni previste dagli
artt. 2428 (relazione sulla gestione) e 2429
(relazione dei sindaci) c.c. i criteri seguiti
nella gestione sociale per il conseguimento
dello scopo mutualistico. Il Quaderno precisa che nella relazione sulla gestione, l’organo amministrativo deve indicare il
carattere mutualistico delle cooperative e
le politiche associative perseguite dall’ente,
dando particolare attenzione alla procedura
di ammissione dei soci e al carattere aperto
dell’ente stesso. In particolare, il documento
dell’Ordine sintetizza nei seguenti punti i
suddetti adempimenti informativi:
12
a) in presenza di una variegata tipologia di
soci, occorre dettagliare la composizione
del capitale sociale;
b) descrizione dei criteri applicati nella
gestione sociale per il conseguimento dei
rapporti inerenti lo scambio mutualistico,
di cui all’art. 2545 c.c.;
c) occorre specificare il rispetto o il mancato
rispetto dei criteri necessari alla definizione
della prevalenza mutualistica, di cui al
comma 1, dell’art. 2513 c.c.;
d) con riferimento all’ammissione di nuovi
soci, occorre specificare le ragioni delle
determinazioni assunte di cui all’ultimo
comma, dell’art. 2528 c.c.;
e) descrizione della modalità di formazione e
di assegnazione dei ristorni, di cui al comma
2 dell’art. 2545-sexies c.c.;
f) specificazione dell’entità dei prestiti sociali
e la relativa remunerazione;
g) indicazione dei rapporti sviluppati nel corso
dell’esercizio con le varie categorie di soci
(con particolare riferimento alla categoria
dei soci cooperatori e dei soci finanziatori);
h) descrizione dei rapporti economici e finanziari intrattenuti con il sistema cooperativo
(compresi quelli intrattenuti con altre cooperative e con consorzi), con l’indicazione
degli oneri sostenuti e dei proventi
realizzati;
i) illustrazione delle operazioni eseguite con
parti correlate, di cui al n. 22-bis, del comma
1, dell’art. 2427 c.c.
Il Quaderno approfondisce le informazioni di
cui ai punti b), d) e f) da inserire nella relazione
sulla gestione fornendo alcune esemplificazioni. Tali dettagli sono infatti fondamentali
per adempiere alle disposizioni contenute nell’art. 2545 c.c. Si ricorda che le informazioni di
cui ai precedenti punti b) e d) sono da inserire
nella nota integrativa qualora si ometta la relazione sulla gestione e qualora si rediga il bilancio in forma abbreviata.
In primis la relazione sulla gestione deve
descrivere la tipologia e le modalità di gestione
dei ristorni poiché rappresentano lo strumento
con cui le cooperative realizzano lo scambio
mutualistico. Inoltre, il documento propone
specifiche informazioni sull’evoluzione della
compagine sociale, attraverso una descrizione
analitica delle domande di ammissione e di
recesso e della loro valorizzazione in termini
di variazione del capitale sociale.
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La composizione alla data di riferimento del
bilancio dovrebbe poi trovare descrizione sintetica nella Tavola 1.
Infine, il Quaderno si sofferma sui dettagli
da fornire in merito ai “prestiti sociali”. In
tale ambito occorrerebbe suddividerli per
scadenze e tassi d’interesse applicati, fornendo inoltre indicazioni sull’eventuale presenza della postergazione del rimborso
rispetto al pagamento dei crediti sociali,
nonché sul rispetto della soglia massima di
raccolta per le persone fisiche. Il documento
in oggetto propone di sintetizzare queste
informazioni attraverso quanto indicato
nella Tavola 2.
L’informativa sul prestito sociale si dovrebbe
poi integrare di dettagli sulla gestione e sull’impiego dei fondi raccolti.
Con il D.M. 23 febbraio 2015, il Ministero
dello Sviluppo economico ha approvato il
nuovo verbale di revisione inclusivo di uno
specifico schema per la verifica della prevalenza mutualistica. Nel Quaderno il
CNDCEC suggerisce di utilizzare tale
schema (Tavola 3) all’interno del bilancio
d’esercizio al fine di agevolare i soci e i
terzi nella verifica del mantenimento dei
requisiti suddetti (art. 2545-octies c.c.).
Con riferimento alle cooperative a mutualità
prevalente di “diritto”, si suggerisce di fornire
in bilancio tutte le informazioni utili a confermare tale status, piuttosto di quanto indicato
nella Tavola 3. In merito alle cooperative
sociali, ad esempio, il Quaderno suggerisce di
riportare gli estremi di iscrizione all’Albo
regionale, indicando la tipologia di cooperativa sociale, l’attività effettivamente ed efficacemente esercitata, il tipo di rapporto
mutualistico tra la cooperativa e i soci, l’eventuale utilizzo di soci - volontari, con indicazione del numero e del loro apporto ai fini
del perseguimento dello scopo sociale e dell’oggetto sociale, la dichiarazione del rispetto delle
condizioni di prevalenza e, infine, per le cooperative sociali di tipo “B”, la dimostrazione
del possesso di quanto richiesto, dal comma 2,
dell’art. 4, della Legge n. 381/1991 (1).
Anche le cooperative devono fornire informazioni effettuate con le parti correlate
nella nota integrativa applicando l’art.
2427 del c.c. punto 22-bis). Qualora il conseguimento dello scopo sociale avvenga
anche attraverso queste operazioni, il
Nota:
(1) Cfr. Quaderno, pag. 20.
Tavola 1 - Assetto societario per categoria alla data di riferimento del bilancio*
Data di
riferimento
Soci
cooperatori –
persone fisiche
Soci
cooperatori –
persone
giuridiche
Soci finanziatori
(persone
fisiche)
e sottoscrittori
di titoli di debito
Soci finanziatori
(persone
giuridiche)
e sottoscrittori
di titoli di debito
Soci ammessi
alle categorie
speciali
Esercizio
attuale
Esercizio
precedente
* Fonte: Quaderno CNDCEC, “Le peculiarità delle società cooperative nella redazione dei bilanci e nella gestione aziendale”, pag. 17
Tavola 2 - L’informativa di bilancio in merito al prestito sociale*
Prestito sociale – Prospetto informativo
Importo
Tasso di interesse Data di raccolta
applicato
Scadenza
Postergazione
nel rimborso
* Fonte: Quaderno CNDCEC, “Le peculiarità delle società cooperative nella redazione dei bilanci e nella gestione aziendale”, pag. 18
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Bilancio&imposte
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
dettato normativo rimane vincolante con
l’obbligo di specificare anche queste nella
nota integrativa. Tuttavia esistono circostanze in cui il Quaderno suggerisce di
non fornire l’informativa di cui al suddetto
articolo. Si pensi ad esempio ai dirigenti e
agli amministratori che sono anche soci. In
tal caso, il documento del CNDCEC suggerisce di non applicare la disciplina in
oggetto e, di conseguenza, nemmeno le
relative indicazioni in bilancio, giacché
risulta preminente la qualifica di socio,
rispetto a quella di amministratore.
Infatti, non si tratta di un’operazione “individuale” influenzabile dall’amministratore
per realizzare una propria utilità, poiché
sussiste una disciplina che prevede il
“principio di parità di trattamento” tra
soci (art. 2516 c.c.).
I ristorni
I ristorni rappresentano una peculiarità
delle cooperative (2) in quanto costituiscono lo strumento con cui si trasforma
in termini monetari il vantaggio mutualistico. L’incremento delle remunerazioni o il
risparmio di spesa nell’acquisto di prodotti
o servizi rappresentano le modalità
Nota:
(2) Si veda a cura dello stesso autore “La gestione dei ristorni
nelle cooperative”, in questa Rivista, n. 10/2015, pag. 13.
Tavola 3 - Verbale di revisione per la verifica della prevalenza mutualistica*
*Fonte: D.M. 23 febbraio 2015 - Ministero dello Sviluppo economico
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Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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operative con cui i ristorni sono realizzati
nelle differenti tipologie di cooperative.
Tuttavia, il legislatore ha lasciato ampi
spazi di autonomia statutaria, consentendo
di determinare liberamente i criteri di
ripartizione dei ristorni nei limiti della
proporzionalità rispetto allo scambio
mutualistico, dell’equità e della parità di
trattamento. È comunque usuale disciplinare tale istituto in appositi regolamenti
approvati dall’assemblea dei soci con le
maggioranze previste per le assemblee
straordinarie. La determinazione delle
somme da attribuire come ristorni spetta
agli amministratori, poiché “rappresentano
un beneficio economico che può essere
riconosciuto solo dopo aver quantificato
le necessità della gestione e come tale
viene determinato dal CdA, tenendo presente, caso per caso, i piani strategici
della cooperativa e le sue esigenze di finanziamento e di capitalizzazione” (3).
L’assemblea ordinaria che approva il bilancio invece rappresenta l’organo deputato a
deliberare il ristorno, sulla base di quanto
proposto dal consiglio di amministrazione
(sia ai fini della determinazione della
misura che ai fini delle possibili modalità
di attribuzione).
Nonostante anche i ristorni consistano in
somme di denaro attribuite ai soci, questi
non devono essere associati agli utili. Questi
ultimi, infatti, rappresentano la remunerazione del capitale investito in un’iniziativa
imprenditoriale e sono ripartiti in proporzione
alla quota di capitale sociale posseduta. I
ristorni, invece, sono attribuiti ai soci delle
cooperative in proporzione alla qualità e/o
quantità degli scambi mutualistici compiuti
tra soci e cooperativa, ed hanno la finalità di
ripartire, tra i soci, il vantaggio mutualistico
emerso dalla gestione della cooperativa:
• dividendi, remunerazione del capitale
apportato dai soci proporzionale alla
quota conferita;
• ristorni, quantificazione monetaria del vantaggio mutualistico proporzionale al rapporto mutualistico.
La natura economica dei ristorni dipende
dalle modalità di erogazione degli stessi. In
particolare, questi possono rappresentare
maggiori costi per le cooperative di lavoro
poiché
il
vantaggio
mutualistico
si
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
estrinseca in maggiori remunerazioni per i
soci cooperatori oppure possono rappresentare minori ricavi come nelle cooperative di
consumo in cui il vantaggio mutualistico
avviene attraverso la cessione di beni o la
prestazione di servizi ai soci a prezzi minori
rispetto alla media di mercato. Il ristorno
costituisce pertanto un componente del
Conto Economico che dovrà essere esposto
tra i costi o a riduzione dei ricavi a seconda
della modalità con cui la cooperativa ripartisce il vantaggio mutualistico a favore dei
soci.
La gestione mutualistica assume pertanto un
ruolo essenziale per generare un flusso informativo-contabile sufficiente per valorizzare
l’avanzo di gestione derivante dalle transazioni
intercorse con i soci. Tale avanzo rappresenta
infatti il limite massimo per la determinazione
delle somme da distribuire a titolo di ristorno a
cui, tuttavia, vanno aggiunti i limiti derivanti
dalla capienza dell’utile determinato prima
della contabilizzazione del ristorno e dalla
necessità di altri accantonamenti per garantire
la continuità aziendale.
Infatti, l’attribuzione del ristorno non può
compromettere il segno del risultato finale di
bilancio poiché questo comporterebbe una
distribuzione surrettizia di patrimonio non
giuridicamente consentita attraverso tale
istituto.
Il comma 2 dell’art. 2545-sexies c.c. dispone che
le cooperative devono riportare separatamente
nel bilancio i dati relativi all’attività svolta con i
soci, distinguendo eventualmente le diverse
gestioni mutualistiche. Il documento pubblicato nel 2004 (Raccomandazione riguardo
l’attività di controllo del collegio sindacale
nelle cooperative e schemi di relazione) dal
CNDCEC propone una traccia di integrazione
degli schemi del bilancio d’esercizio coerente
al dettato normativo. Tuttavia il legislatore non
imponendo una contabilità separata per
l’attività effettuata con i soci legittima la determinazione extra-contabile del risultato della
gestione mutualistica. Il calcolo pertanto può
avvenire in sede di chiusura dell’esercizio
attraverso prospetti extra-contabili da descrivere in un apposito paragrafo della nota
Nota:
(3) Quaderno, pag. 28.
15
Bilancio&imposte
Bilancio d’esercizio
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
integrativa al fine di illustrare al lettore del
bilancio il processo di determinazione dell’avanzo della gestione mutualistica.
Al fine della separazione tra gestione mutualistica e quella non mutualistica, risulta significativa la circolare n. 37 pubblicata
dall’Agenzia delle entrate il 9 luglio 2003.
Nel documento si suggerisce di determinare
il vantaggio mutualistico come rapporto tra
valore dell’attività svolta con i soci e il valore
dell’attività svolta complessivamente dalla
cooperativa. Con riferimento alle cooperative
di lavoro, il valore massimo distribuibile a
titolo di ristorno viene definito dal Quaderno
come rapporto tra il costo del lavoro dei soci e
il costo del lavoro complessivo. Si precisa tuttavia che in tale ambito la normativa (4)
impone un limite massimo del 30% dei trattamenti retributivi complessivi per l’erogazione dei ristorni. Per le cooperative di
produzione o conferimento occorre rapportare l’ammontare dei costi relativi agli
acquisti da soci con quello relativo ai costi
complessivi con uguale natura. In merito,
infine, il Quaderno calcola la percentuale
di prevalenza come rapporto tra i ricavi
derivanti dall’attività svolta con i soci e il
totale dei ricavi.
L’attribuzione dei ristorni, come in precedenza
anticipato, deve essere deliberata dall’assemblea dei soci in forma liquida, mediante
aumento delle rispettive quote, emissione di
nuove azioni ovvero mediante l’emissione di
strumenti finanziari.
Con riferimento alla rappresentazione contabile
dell’erogazione dei ristorni, il Quaderno fornisce
alcune esemplificazioni, distinguendo tra i due
seguenti metodi alternativi:
• contabilizzazione del ristorno nel bilancio
d’esercizio tra i costi (diretto incremento
delle voci di costo B.6 costi d’acquisto, per
le cooperative di conferimento, B.7 e B.9
costi per servizi o personale, per le cooperative di produzione o di lavoro) o a riduzione
dei ricavi (nella voce A.5 altri ricavi e proventi, per le cooperative di consumo o
utenza);
• contabilizzazione in sede di destinazione
dell’utile d’esercizio.
Il primo metodo è stato proposto dal CNDCEC
nel documento dal titolo “Il ristorno nelle cooperative di utenza. Integrazione della raccomandazione contabile sui ristorni” del 2006 e
16
condiviso da numerose organizzazioni di categoria come ad esempio Confcooperative e Lega
Coop. Il secondo è invece espressamente consentito dall’Agenzia delle entrate nella circolare n. 53 del 18 giugno 2002.
Il prestito sociale e i finanziamenti
con capitale di rischio
Una forma di finanziamento tipica delle cooperative è il prestito sociale. Tale fattispecie si
manifesta nell’apporto da parte dei soci
(persone fisiche) di capitali rimborsabili a
medio-lungo termine (che generalmente
maturano un interesse periodico) consentito
sia nelle cooperative a mutualità prevalente
che nelle altre. L’assemblea dei soci della
cooperativa deve deliberare un regolamento
in cui sono disciplinate le procedure con cui
avvengono depositi e prelievi. Giuridicamente
il prestito sociale si configura come un contratto atipico di deposito da classificare in
bilancio nella voce D3 “Debiti verso soci per
finanziamento”.
Il prestito sociale non è espressamente disciplinato dal nostro ordinamento e pertanto
occorre fare riferimento alla normativa
generale che richiama, in parte quella dettata per le società cooperative e in parte
quella che disciplina la raccolta del risparmio tra il pubblico e presso i soci.
Il Quaderno suggerisce di specificare le condizioni del prestito sociale sul foglio informativo
da esporre nei locali dove si svolge la raccolta.
In particolare, propone a fini esemplificativi il
documento proposto nella Tavola 4.
Un aspetto importante evidenziato nel documento del CNDCEC riguarda le condizioni da
rispettare per la raccolta del prestito. In particolare si tratta:
• dell’esplicita previsione nello statuto sociale
della possibilità di raccogliere il prestito
sociale;
• della raccolta del prestito sociale solo dai
soci con divieto di raccogliere finanziamenti tra il pubblico e con i soci onorari;
• dell’adozione di un apposito regolamento
interno che regoli la raccolta del prestito
Nota:
(4) Cfr. art. 3, comma 2 lett. b, Legge n. 142/2001.
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sociale, predisposto dall’organo amministrativo e approvato dall’assemblea dei soci;
della
sottoscrizione di un contratto in forma
•
scritta con il socio prestatore;
• dell’impiego del prestito raccolto unicamente per il conseguimento dell’oggetto
sociale;
• del rispetto dei limiti massimi per il deposito
da parte del singolo socio persona fisica (5);
• del rispetto del limite massimo del tasso di
interesse da corrispondere posto a 2,5 punti
in più rispetto al tasso dei buoni fruttiferi
postali.
A tali condizioni si aggiungono gli obblighi
previsti dalla Deliberazione del CICR del 3
marzo 1994 finalizzata a disciplinare la raccolta del risparmio da parte dei soggetti non
bancari. Specificamente, affinché la raccolta
dai soci non costituisca raccolta tra il pubblico
occorre che:
• sia effettuata presso soggetti iscritti nel
libro dei soci da almeno 3 mesi, che detengono una partecipazione di almeno il 2% del
capitale (6);
• sia prevista anche solo come facoltà dallo
statuto;
• i limiti patrimoniali sopra imposti non si
applicano alle società cooperative con
meno di 50 soci;
• la raccolta del prestito sociale non è consentita alle cooperative di credito, vale a dire
alle banche popolari ed a quelle di credito
cooperativo.
La suddetta forma di finanziamento deve
trovare descrizione nella nota integrativa.
Il Quaderno infatti specifica la necessità di
offrire informazioni sull’ammontare dei prestiti raccolti, sulla presenza di eventuali garanzie di soggetti terzi e sul rapporto tra
l’ammontare complessivo del prestito sociale
e il patrimonio netto della cooperativa.
Ultima fattispecie da considerare riguarda i
finanziamenti con capitale di rischio. Ai soci
cooperatori, in queste entità si aggiungono
figure di soci che le finanziano con capitale di
rischio anche se non partecipano allo scambio
mutualistico. Si tratta dei soci finanziatori, dei
soci sovventori e degli azionisti di partecipazione cooperativa.
Qualora lo statuto lo preveda, la base sociale
delle cooperative può essere composta anche
da soci finanziatori (sia persone fisiche che
giuridiche) non partecipanti all’attività mutualistica ma che sottoscrivono strumenti finanziari allo scopo di ottenere una remunerazione.
Figura introdotta dalla riforma del diritto
societario, i soci finanziatori rispondono alla
Note:
(5) Si tratta dei limiti rivalutati ogni tre anni dal Ministero dello
Sviluppo economico.
(6) Si precisa che il suddetto limite del 2% può essere superato
qualora: l’ammontare complessivo dei prestiti sociali non
ecceda il limite del triplo del patrimonio risultante dall’ultimo
bilancio approvato. Il predetto limite è elevabile al quintuplo
del patrimonio qualora il complesso dei prestiti sociali sia
assistito, in misura almeno pari al 30%, da idonee garanzie
rilasciate alla cooperativa da banche, da società finanziarie,
da società ed enti di assicurazione autorizzati, o mediante
adesione della cooperativa a uno schema di garanzia dei
prestiti sociali che fornisca un’adeguata tutela agli investitori.
Tavola 4 - Il foglio informativo*
* Fonte: Quaderno CNDCEC, “Le peculiarità delle società cooperative nella redazione dei bilanci e nella gestione aziendale”
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Bilancio&imposte
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necessità di apportare risorse finanziarie per
stimolare lo sviluppo delle cooperative. I conferimenti devono essere imputati in una specifica sezione del capitale sociale e a tale
categoria di soci non può essere attribuito
più di un terzo dei voti spettanti all’insieme
dei soci presenti in ogni assemblea generale e
il diritto di eleggere più di un terzo degli amministratori e dei componenti dell’organo di controllo. I privilegi dei possessori degli strumenti
finanziari in sede di ripartizione degli utili e di
rimborso del capitale non possono estendersi
alle riserve indivisibili. Infine, la figura di socio
finanziatore può essere assunta anche dal
socio cooperatore. Il Quaderno fa l’esempio
del socio lavoratore a cui siano attribuiti
ristorni sotto forma di azioni di sovvenzione
o di partecipazione cooperativa. In questi casi,
lo statuto delle cooperative deve specificare
che la remunerazione delle azioni sottoscritte
dai soci cooperatori in qualità di soci finanziatori non può essere superiore di 2 punti rispetto
ai limiti previsti per i dividendi a norma dell’art. 2514, comma 1, lett. a), c.c. Inoltre, l’atto
costitutivo deve specificare i limiti ai diritti di
voto degli strumenti finanziari offerti in sottoscrizione ai cooperatori secondo il comma 2
dell’art. 2538 c.c.
I soci sovventori sono quelli che effettuano
speciali conferimenti per la costituzione di
fondi per lo sviluppo tecnologico, per la
ristrutturazione o il potenziamento aziendale.
Nelle cooperative differenti da quelle del settore dell’edilizia abitativa, l’atto costitutivo
può prevedere tale tipologia di soci che non
deve superare in ogni caso un terzo dei voti
spettanti a tutti i soci.
Infine, ai soci titolari di azioni di partecipazione cooperativa spetta una remunerazione
maggiorata del 2% rispetto alle quote/azioni
dei soci cooperatori. Possono emettere “azioni
di partecipazione cooperativa” le cooperative
che hanno adottato, nei modi e termini previsti
dallo statuto, procedure di programmazione
pluriennale volte allo sviluppo o all’ammodernamento aziendale. In ogni caso, questa tipologia di azioni non può essere emessa per un
ammontare superiore al valore contabile delle
riserve indivisibili o del patrimonio netto
risultante dall’ultimo bilancio certificato e
depositato.
18
Conclusioni
Il crescente ruolo economico svolto dalle cooperative nel contesto imprenditoriale italiano
ha spinto il Consiglio Nazionale dei Dottori
Commercialisti e degli Esperti Contabili a pubblicare un documento che approfondisce le
problematiche gestionali e di rilevazione contabile per tali entità.
Il Quaderno dopo aver evidenziato le differenze tra cooperative a mutualità prevalente
e non, analizza l’informativa di bilancio, i profili fiscali, la gestione anche contabile dei
ristorni, le riserve divisibili ed indivisibili, il
prestito sociale e i finanziamenti con capitale
di rischio. L’intervento vuole essere un utile
supporto operativo per quegli operatori che si
trovano a collaborare con cooperative. Il contributo ne sintetizza il contenuto evidenziando
gli aspetti peculiari di tali entità.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Fiscalità internazionale
Accordi preventivi
per le imprese con attività
internazionale
Con il D.Lgs. n. 147 del 14 settembre 2015 (c.d. Decreto Internazionalizzazione), il legislatore ha
rivisitato la disciplina degli accordi tra imprese aventi attività internazionale ed Amministrazione
finanziaria, precedentemente dettata dall’(abrogato) art. 8 del D.L. n. 269/2003. Nel presente lavoro
sarà esaminata la nuova regolamentazione dei predetti accordi, anche alla luce di quanto prescritto
dal provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle entrate del 21 marzo 2016, prot. n. 2016/42295,
emanato al fine di dare concreta attuazione alle novità in questione.
Natura dell’istituto e ratio sottesa
alle modifiche apportate dal Decreto
Internazionalizzazione
Il ruling internazionale, introdotto nell’ordinamento tributario italiano dall’(abrogato) art. 8
del D.L. n. 269/2003 si rivolge, sin dalla sua
prima formulazione, alle “imprese con
attività internazionale” che intendano definire
preventivamente con l’Amministrazione finanziaria italiana determinate questioni fiscali a
carattere transnazionale.
Assimilabile ad un Advance Pricing Agreement
(1), la procedura volta alla finalizzazione dell’accordo preventivo si svolge in contraddittorio con il contribuente e si conclude con un
accordo tra le parti.
Le recenti modifiche all’istituto del ruling internazionale traggono origine dall’art. 12 della
Legge n. 23/2014 (Legge delega fiscale): sebbene
detta legge non richiedesse espressamente al
Governo di rivedere la disciplina del ruling internazionale, le modifiche apportate dal D.Lgs.
n. 147/2015 (Decreto Internazionalizzazione)
si inseriscono nel più generale intento volto a
favorire, anche attraverso provvedimenti di
natura fiscale (si pensi alla neo-introdotta
Patent Box), da un lato, l’attività di rilievo internazionale delle imprese italiane, e, dall’altro, la
realizzazione di investimenti esteri in Italia.
Sulla base di tali presupposti, la disciplina del
ruling internazionale contenuta nell’art. 8 del
D.L. 30 settembre 2003, n. 269 (già modificato
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
ad opera dell’art. 7 del D.L. n. 145/2013) è stata
integralmente sostituita dalle previsioni di cui
all’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973.
Come evidenziato nella Relazione Illustrativa
al Decreto Internazionalizzazione (Relazione
Illustrativa), la collocazione sistematica
del ruling internazionale all’interno dell’art.
31-ter del D.P.R. n. 600/1973, oltre a confermare
la valenza della disciplina degli accordi preventivi anche ai fini dell’IRAP, è in linea con la
volontà del legislatore di ritenere il controllo
di tipo tradizionale (autoritativo) come una
fase eventuale del rapporto tra Fisco e contribuente; controllo da sostituire, ove possibile,
con una pretesa erariale che si eserciti mediante
strumenti consensuali e partecipativi.
Note:
(*) Dottore Commercialista, Studio Associato Legale
Tributario - Member firm di BDO
(**) Avvocato, Studio Associato Legale Tributario - Member
firm di BDO
(1) Come precisato dall’Agenzia delle entrate nel “Bollettino
del Ruling di standard internazionale - II edizione”, un APA
consiste generalmente in un accordo tra il contribuente e
l’Amministrazione finanziaria del Paese di residenza del contribuente che consente, in via preventiva e per un determinato periodo di tempo, di individuare il metodo di calcolo del
prezzo di libera concorrenza riferibile alle operazioni oggetto
dell’accordo. Nella prassi internazionale sono presenti APA a
carattere “unilaterale”, “bilaterale” o “multilaterale”. Il ruling
internazionale è assimilabile ad un APA “unilaterale” in
quanto rappresenta un accordo che vincola esclusivamente
il contribuente e l’Amministrazione finanziaria italiana.
19
Bilancio&imposte
di Giuseppe Buonamassa (*) e Giovanni Gerardi (**)
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Fiscalità internazionale
Entrata in vigore
Bilancio&imposte
L’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973 è
formalmente entrato in vigore a decorrere dal
7 ottobre 2015.
A partire da tale data, in base a quanto prescritto dal comma 7 della medesima disposizione, qualunque riferimento all’art. 8 del D.L.
n. 269/2003 - ossia alla disposizione che regolamentava precedentemente il ruling internazionale - deve intendersi effettuato all’art.
31-ter del D.P.R. n. 600/1973.
Ciò nonostante, la concreta applicabilità della
nuova disciplina, per espressa previsione
legislativa (2), è stata resa possibile solo dopo
l’emanazione del Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate, prot. n. 2016/42295
(3) (Provvedimento), avvenuta in data 21
marzo 2016.
Detto Provvedimento integra quanto previsto
nell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973 e disciplina gli aspetti concreti della procedura degli
accordi preventivi.
Per quanto concerne la fase transitoria, riguardante la gestione dei procedimenti già instaurati ai sensi dell’art. 8 del D.L. n. 269/2003 ed
ancora pendenti alla data di entrata in vigore
del predetto art. 31-ter, il Provvedimento ha
previsto che ad essi debbano essere applicate
le nuove regole ivi recate.
Dunque, tali regole, a partire dal 21 marzo
2016, troveranno applicazione per tutti i
procedimenti non ancora conclusi, a prescindere dalla data della loro attivazione.
Ambito soggettivo e oggettivo
di applicazione
Ai sensi dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973,
dal punto di vista soggettivo, possono accedere
alla procedura finalizzata alla stipula di
accordi preventivi le “imprese con attività
internazionale”.
La genericità della terminologia adoperata è
astrattamente idonea a ricomprendere ogni
tipologia di impresa che sia caratterizzata da
elementi di transnazionalità, senza distinzione
tra imprese italiane ed estere, o tra imprese
individuali ed imprese collettive (4).
Il Provvedimento ha identificato le “imprese
con attività internazionale” nelle imprese residenti nel territorio dello Stato, qualificabili
come tali ai sensi delle disposizioni vigenti in
20
materia di imposte sui redditi, che, alternativamente o congiuntamente:
1) si trovino, rispetto a società non residenti, in
una o più delle condizioni indicate nel
comma 7 dell’art. 110 del T.U.I.R. (5);
2) il cui patrimonio, fondo o capitale sia partecipato da soggetti non residenti, ovvero
che partecipino al patrimonio, fondo o capitale di soggetti non residenti;
3) abbiano corrisposto a, (o percepito da) soggetti non residenti: dividendi, interessi,
royalties o altri componenti reddituali;
4) esercitino la propria attività attraverso una
stabile organizzazione in un altro Stato.
Inoltre, il medesimo Provvedimento, estende la
possibilità di chiedere l’attivazione della procedura di accordo preventivo anche alle
imprese non residenti che esercitino la propria
attività nel territorio dello Stato attraverso una
stabile organizzazione (qualificabile come tale
ai sensi delle disposizioni vigenti in materia di
imposte sui redditi).
Sotto il profilo oggettivo, l’art. 31-ter del D.P.R.
n. 600/1973 dispone che l’accesso alla procedura de qua è consentito “con principale riferimento” (6) ad una serie di ambiti, così
individuati:
Note:
(2) L’art. 1 del Decreto Internazionalizzazione, al comma 3,
prescrive che: “Le disposizioni del presente articolo si applicano a decorrere dalla data fissata dal Provvedimento del
Direttore dell’Agenzia delle entrate di cui all’art. 31-ter,
comma 6, del Decreto del Presidente della Repubblica 29
settembre 1973, n. 600, da emanarsi, in sostituzione del
Provvedimento del 23 luglio 2004, entro novanta giorni dalla
data di entrata in vigore del presente Decreto legislativo.”.
(3) Il Provvedimento sostituisce il Provvedimento del Direttore
dell’Agenzia delle entrate del 23 luglio 2004, che disciplinava
le concrete modalità applicative del ruling internazionale di
cui all’art. 8 del D.L. n. 269/2003.
(4) Si veda, in tal senso, A. Tomassini, A. Martinelli, “Il nuovo
‘ruling’ internazionale”, in Corr. Trib., n. 24/2015.
(5) L’art. 110, comma 7, del T.U.I.R. disciplina la valutazione al
valore normale dei componenti di reddito derivanti da operazioni con società non residenti che, direttamente o indirettamente: controllano l’impresa italiana; sono controllate
dall’impresa italiana; o sono controllate dalla stessa società
che controlla l’impresa italiana.
(6) Il significato letterale della locuzione “con principale riferimento”, già contenuta nell’art. 8 del D.L. 30 settembre 2003,
n. 269 (e ss. mm. e ii.), lascia intendere che l’elencazione delle
fattispecie per le quali sia possibile attivare la procedura in
analisi sia meramente esemplificativa e non tassativa. Il
medesimo significato non pare, tuttavia, potersi ricavare
(segue)
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Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
normativa (9), la procedura di cui all’art.
31-ter del D.P.R. n. 600/1973 è l’unica attivabile da parte del contribuente, atteso che,
in tali ipotesi, non è possibile presentare
istanza di interpello “ordinario” di cui
all’art. 11 della Legge n. 212/2000 (Statuto
del contribuente).
Iter procedurale
Novità degne di rilievo hanno riguardato la
procedura che conduce (o che dovrebbe condurre) alla sottoscrizione degli accordi
preventivi.
Prima di esaminare le fasi attraverso cui si
snoda la procedura in commento, merita di
essere segnalato che il Provvedimento, al
punto 2.9, confermando il precedente orientamento dell’Agenzia delle entrate (10), ammette
il c.d. pre-filing.
Il pre-filing consiste nella facoltà per i contribuenti di richiedere un incontro con i rappresentanti dell’Amministrazione finanziaria,
al fine di ottenere, anche per il tramite di
propri procuratori ed in forma anonima,
chiarimenti o indicazioni in merito alla
procedura.
Ciò posto in base a quanto specificato nel
Provvedimento, l’istanza di accesso alla procedura, da redigere in carta libera, va presentata mediante raccomandata a.r. o consegna
diretta - all’Ufficio Accordi preventivi e controversie internazionali dell’Agenzia delle entrate,
Note:
(continua nota 6)
dal linguaggio utilizzato nel Provvedimento, da cui sembra
desumersi una sorta di tipicità delle fattispecie oggetto
dell’accordo preventivo.
(7) Gli artt. 166 e 166-bis del T.U.I.R. regolamentano, rispettivamente, la c.d. exit tax ed entry tax.
(8) In tal senso v. circolare Assonime n. 10 del 1° aprile 2016,
par. 2.
(9) L’art. 11 della Legge 212/2000 consente la presentazione
dell’interpello ordinario a condizione che si versi in fattispecie
in cui non siano “[…] attivabili le procedure di cui all’art. 31-ter
del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, introdotto dall’art. 1 del
D.Lgs. 14 settembre 2015, n. 147 […]”. Sul punto, si veda anche
la circolare dell’Agenzia delle entrate del 1° aprile 2016, n. 9/E.
(10) Con riferimento all’ammissibilità del pre-filing, si veda il
“Bollettino del Ruling di standard internazionale - II edizione”
del 19 marzo 2013.
21
Bilancio&imposte
1) preventiva definizione in contraddittorio
dei metodi di calcolo del valore normale
delle operazioni di cui al comma 7 dell’art.
110 del T.U.I.R.;
2) applicazione ad un caso concreto di norme,
anche di origine convenzionale, concernenti l’attribuzione di utili o perdite alla
stabile organizzazione in un altro Stato di
un’impresa residente ovvero alla stabile
organizzazione in Italia di un soggetto non
residente;
3) applicazione ad un caso concreto di norme,
anche di origine convenzionale, concernenti l’erogazione o la percezione di dividendi, interessi, royalties e altri componenti
reddituali a (oppure da) soggetti non
residenti;
4) preventiva definizione in contraddittorio
dei valori di uscita o di ingresso, in caso di
trasferimento della residenza. In tal caso,
l’accesso alla procedura è consentito alle
imprese che si trovino nelle condizioni
indicate rispettivamente agli artt. 166 e
166-bis (7) del T.U.I.R.;
5) valutazione preventiva della sussistenza dei
requisiti che configurano una stabile organizzazione situata nel territorio dello Stato,
tenuti presenti i criteri previsti dall’art. 162
del T.U.I.R., nonché dalle vigenti convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate
dall’Italia. In tale ipotesi, secondo il
Provvedimento, la procedura può essere
attivata da imprese non residenti che
abbiano intenzione di esercitare la propria
attività per il tramite di una stabile organizzazione in Italia, entro il periodo d’imposta
successivo a quello di presentazione dell’istanza. Al riguardo, è stato osservato che
“sarebbe auspicabile implementare ulteriormente l’ambito applicativo della disciplina, prevedendo, altresì, un’estensione
generalizzata del nuovo ruling internazionale alle imprese estere a prescindere dall’esistenza futura di una loro stabile
organizzazione in Italia, in relazione a qualsiasi tipologia di provento prodotto, o che si
intenda produrre nel territorio italiano” (8).
La possibilità di presentare istanza di ruling
per le materie indicate nei precedenti punti 2
e 4 rappresenta una novità rispetto all’impianto normativo ante riforma.
Per le questioni connesse agli ambiti sopra
richiamati, in virtù di espressa previsione
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Bilancio&imposte
alternativamente alla sede di Roma o di
Milano (11).
Quanto al contenuto, il Provvedimento specifica una serie di elementi che devono essere
indicati dall’istante a pena di inammissibilità,
ossia:
• denominazione dell’impresa, sede legale,
codice fiscale e/o la partita IVA, l’eventuale
domiciliatario nazionale per la procedura,
diverso dall’impresa, presso il quale si
richiede di inoltrare le comunicazioni attinenti alla procedura;
• indirizzo della stabile organizzazione nel
territorio dello Stato, qualora l’istanza sia
presentata da un’impresa non residente, ed
eventualmente il domiciliatario nazionale
per la procedura (tali requisiti non sono
richiesti nel caso in cui l’istanza sia presentata ai fini della valutazione preventiva circa
la sussistenza di una stabile organizzazione
in Italia);
• chiara indicazione dell’oggetto dell’accordo preventivo, oltre che una sintetica
descrizione degli elementi richiesti dal
Provvedimento ai punti 2.4 e seguenti (12);
• sottoscrizione da parte del legale rappresentante o di altra persona munita dei poteri di
rappresentanza.
Sempre a pena di inammissibilità, all’istanza
deve essere allegata la documentazione atta a
comprovare il possesso dei requisiti relativi
all’impresa con attività internazionale.
Attività istruttoria preliminare
Nel caso in cui l’Ufficio reputi l’istanza correttamente formulata, ne dichiara l’ammissibilità
entro 30 giorni dalla sua ricezione.
Qualora, invece, l’Amministrazione finanziaria non sia posta nella condizione di verificare
la sussistenza degli elementi richiesti a pena di
inammissibilità, dichiara l’istanza improcedibile, entro lo stesso termine di 30 giorni.
In tal caso, l’Ufficio comunica all’istante
l’improcedibilità, concedendo un termine
(non inferiore a 30 giorni) per l’integrazione
dell’istanza; i 30 giorni previsti per la dichiarazione di ammissibilità inizieranno a decorrere
dalla data di ricezione della documentazione
integrativa richiesta.
L’istanza può anche essere dichiarata inammissibile, nel caso in cui:
• sia priva delle indicazioni richieste a pena di
inammissibilità;
22
• l’istante non provveda ad integrare l’istanza
entro il termine concesso dall’Ufficio;
• la documentazione integrativa prodotta sia
ritenuta non idonea ad integrare gli elementi richiesti a pena di inammissibilità.
È ragionevole ritenere che la dichiarazione di
inammissibilità non sia impugnabile, in
quanto all’impresa non è impedito di riproporre una nuova istanza (13).
Fase del contraddittorio
Terminata l’istruttoria preliminare di cui al
punto precedente, si apre il contraddittorio
tra contribuente e Ufficio; in tale occasione,
le parti potranno definire i termini di svolgimento del procedimento e l’Amministrazione
finanziaria potrà verificare la completezza
delle informazioni fornite ed, eventualmente, formulare richiesta di ulteriore
documentazione.
Durante questa fase procedimentale, che può
anche espletarsi in più incontri, l’Ufficio ha
facoltà di accesso presso le sedi di svolgimento
dell’attività dell’impresa (o della stabile organizzazione), nei tempi con questa concordati,
allo scopo di prendere diretta cognizione di
elementi istruttori.
Il Provvedimento introduce anche delle ipotesi
di estinzione del procedimento de quo, che può
determinarsi quando:
• l’impresa istante non produca entro i termini stabiliti, e senza giustificato motivo, la
documentazione e/o i chiarimenti necessari
ai fini della prosecuzione dell’istruttoria;
l’Ufficio
venga a conoscenza di elementi e
•
notizie relativi a fatti e circostanze che
fanno venir meno il “rapporto di trasparenza, fiducia e collaborazione” con il
contribuente.
Analogamente a quanto già previsto nel sistema
previgente, la durata del procedimento viene
fissata nel termine massimo di 180 giorni;
detto termine può essere sospeso nel caso in
Note:
(11)
Prima
della
riforma
operata
dal
Decreto
Internazionalizzazione, l’Ufficio competente a cui presentare
l’istanza era individuato in base alla Regione da cui proveniva
la richiesta di accesso alla procedura.
(12) L’istanza di accesso, infatti, oltre al contenuto “minimo”
prescritto al punto 2.3 del Provvedimento, deve riportare le
ulteriori indicazioni richieste dai successivi punti 2.4, 2.5, 2.6,
2.7, 2.8, in base all’oggetto dell’accordo preventivo.
(13) In tal senso, si veda circolare Assonime, par. 5, cit.
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cui l’Ufficio richieda l’attivazione degli strumenti di cooperazione internazionale tra Amministrazioni fiscali sino a quando non ottenga
le informazioni richieste all’Amministrazione
fiscale del Paese a cui si è chiesta la collaborazione. Per ogni attività svolta in contraddittorio
viene redatto processo verbale, copia del quale è
rilasciata al soggetto istante.
In merito alla natura del predetto termine di
180 giorni, l’Agenzia delle entrate, già nella
vigenza del vecchio ruling internazionale, nel
silenzio della legge, ha sempre ritenuto che si
tratti di un termine meramente ordinatorio.
Se, all’esito del contraddittorio, Ufficio e contribuente addivengono ad una soluzione condivisa, la procedura si perfeziona con la
sottoscrizione di un accordo, vincolante per
entrambe le parti, nel quale vengono “individuati e definiti gli elementi oggetto dell’istanza”.
Se, invece, l’accordo non è raggiunto, ne viene
dato atto mediante processo verbale (14).
Nel caso in cui la procedura abbia ad oggetto la
valutazione sulla sussistenza dei requisiti che
configurano una stabile organizzazione nel
territorio dello Stato, la fase del contraddittorio prevista dal Provvedimento è regolata differentemente (15).
Copia dell’accordo è inviata dall’Amministrazione finanziaria, sulla base della normativa
comunitaria, alla competente autorità fiscale
degli Stati di residenza o di stabilimento delle
imprese con le quali i contribuenti pongono in
essere le relative operazioni.
Per i periodi d’imposta di validità dell’accordo,
l’Amministrazione finanziaria può esercitare i
propri poteri (16) soltanto in relazione a questioni diverse da quelle oggetto dell’accordo
medesimo.
Durata dell’accordo e roll-back
In linea generale, l’accordo concluso tra Ufficio
e contribuente rimane in vigore per il periodo
di imposta nel corso del quale è stipulato e per i
quattro successivi, salvo mutamenti delle circostanze di fatto o di diritto rilevanti ai fini
dell’accordo medesimo.
A differenza di quanto previsto nella regolamentazione del previgente ruling internazionale, l’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973
contempla due ipotesi in cui l’accordo raggiunto spiega efficacia retroattiva (c.d. rollback); retroattività che, in ogni caso, non può
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andare oltre il periodo d’imposta in cui è stata
presentata l’istanza di accesso alla procedura.
La prima ipotesi è prevista dal comma 2 dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973, ed è relativa
alla fattispecie in cui l’accordo sottoscritto tra
Ufficio e contribuente discenda da altri accordi
conclusi con le autorità competenti di Stati
esteri, a seguito delle procedure amichevoli
previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni.
In tal caso, l’accordo “vincola” le parti, “secondo
quanto convenuto con dette autorità, a decorrere da periodi di imposta precedenti purché
non anteriori al periodo d’imposta in corso alla
data di presentazione della relativa istanza da
parte del contribuente”.
La Relazione Illustrativa, al riguardo, ha specificato che i contenuti degli “accordi amichevoli”, conclusi a seguito di procedure
amichevoli attivate tra le Amministrazioni
fiscali degli Stati partner dei trattati, costituiscono la base dei conseguenti accordi preventivi unilaterali conclusi su istanza presentata
dal contribuente alla propria amministrazione. Per tale ragione, “si è reso necessario
inserire una specifica previsione relativa alla
decorrenza del periodo di validità degli accordi
che discendano da altri accordi bilaterali o
multilaterali conclusi nell’ambito di una procedura amichevole ai sensi di una o più convenzioni, prevedendo che i primi vincolino le
Note:
(14) In merito all’impugnabilità del processo verbale di cui alla
procedura in commento, la dottrina è divisa.
(15) In particolare, viene previsto uno sdoppiamento della
procedura, in una fase documentale ed in una operativa.
Nel corso della fase documentale, l’istruttoria viene svolta
sulla base dei dati e delle informazioni disponibili in capo
all’Ufficio. Nel corso della fase operativa, invece, l’Ufficio,
allo scopo di prendere diretta cognizione di elementi utili ai
fini istruttori, effettua, nei tempi concordati con l’impresa
istante, uno o più accessi presso le sedi di svolgimento
dell’attività o presso qualunque altro luogo di esercizio
dell’attività medesima. Sia la fase documentale che quella
operativa, si concludono con la redazione di un processo
verbale. Analogamente a quanto previsto per le altre fattispecie, in caso di esito positivo della procedura, quest’ultima
si conclude con la sottoscrizione di un accordo che individua
e descrive le specifiche condizioni e definisce i termini sulla
base dei quali è stata riscontrata o è stata esclusa la sussistenza di una stabile organizzazione situata nel territorio dello
Stato. Se l’accordo non viene raggiunto, ne viene dato atto
mediante processo verbale.
(16) Si vedano gli artt. 32 ss. del D.P.R. n. 600/1973.
23
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parti, secondo quanto convenuto con le
autorità competenti di tali Stati”.
La seconda ipotesi di roll-back è contenuta nel
comma 3 dell’art. 31-ter del D.P.R. n. 600/1973,
e concerne la fattispecie in cui le circostanze di
fatto e di diritto sottostanti all’intervenuto
accordo tra Ufficio e contribuente ricorrano
per uno o più dei periodi di imposta precedenti
alla stipula.
In tal caso, al contribuente è concessa la
“facoltà” di far valere retroattivamente l’accordo stesso, purché non oltre il periodo d’imposta in cui è stata presentata l’istanza; ove
necessario, potrà avvalersi del ravvedimento
operoso, ovvero della presentazione della
dichiarazione integrativa, senza l’applicazione, in entrambi i casi, delle relative sanzioni.
Controlli successivi e violazione
degli accordi
Intervenuta la sottoscrizione dell’accordo,
l’Amministrazione finanziaria conserva il
potere di verificare se:
• il contribuente rispetti le condizioni fissate
nell’accordo;
siano
intervenuti mutamenti delle condi•
zioni “di fatto e di diritto costituenti presupposto delle conclusioni raggiunte in sede di
accordo”.
A tal fine, l’Ufficio può richiedere documentazione integrativa, invitare l’impresa a fornire
chiarimenti e/o elementi informativi, effettuare accessi concordati presso la sede in cui
l’impresa esercita la propria attività.
Di ogni attività svolta in contraddittorio viene
redatto e rilasciato processo verbale.
Il Provvedimento indentifica nelle seguenti fattispecie le circostanze che, se apprese
dall’Ufficio in sede di controllo (o di cui ne
venga comunque a conoscenza), costituiscono
ipotesi di violazione dell’accordo:
• uno o più episodi di inosservanza dell’accordo in grado di produrre effetti sostanzialmente incompatibili con le finalità
dell’accordo stesso;
• uno o più episodi di mancata collaborazione o trasparenza, che, apprezzati complessivamente, non consentano di poter
efficacemente verificare il rispetto dell’accordo nei tempi e nei modi previsti; quest’ultima
fattispecie
costituisce
un
elemento di novità rispetto alla precedente
24
regolamentazione ed è indicativa della
volontà del legislatore di impostare il rapporto tra Fisco e contribuente sulla base di
una leale collaborazione.
Nel caso in cui sia accertata una violazione
dell’accordo, l’Ufficio lo comunica all’impresa
con atto motivato, da inoltrare “con lettera
raccomandata” ovvero attraverso posta elettronica certificata, invitandola a produrre,
entro 30 giorni “dalla data della comunicazione”, eventuali memorie a difesa del proprio
operato.
Tale punto del Provvedimento desta qualche
perplessità nella parte in cui la raccomandata
semplice (senza avviso di ricevimento) viene
equiparata alla posta elettronica certificata,
visto che la seconda modalità di comunicazione, a differenza della prima, garantisce di
sapere se il destinatario ha effettivamente ricevuto l’atto.
A tal riguardo, occorre considerare che il
decorso vano del termine di 30 giorni assegnato
al contribuente per la presentazione delle proprie difese rappresenta una delle cause di risoluzione (17) (totale o parziale) dell’accordo,
unitamente all’infondatezza delle difese stesse.
In considerazione di ciò, sarebbe quindi opportuno che il contribuente fosse posto nella condizione di avere conoscenza effettiva di
eventuali contestazioni da parte dell’Ufficio.
Ulteriori perplessità sorgono con riferimento
al termine concesso al contribuente per predisporre le proprie memorie difensive, decorrente non già dalla data di ricezione della
comunicazione, bensì dalla data riportata
dalla comunicazione dell’Ufficio.
L’intervenuta risoluzione dell’accordo viene
anch’essa comunicata all’impresa con lettera
raccomandata, o con posta elettronica
certificata.
Nel silenzio normativo, permangono dubbi in
merito alla possibilità per il contribuente di
impugnare tale comunicazione per contestarne eventuali vizi formali (es. notifica) o
sostanziali. È quindi auspicabile che intervengano dei chiarimenti al proposito.
Note:
(17) La risoluzione decorre dalla data in cui risulta accertato il
comportamento integrante violazione dell’accordo;
quando non sia possibile accertare tale data, la cessazione
di efficacia decorre dalla data di efficacia originaria dell’accordo medesimo.
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Modifica e rinnovo dell’accordo
Anche i termini e le modalità di modifica dell’accordo sono disciplinati dal Provvedimento.
La richiesta di modifica può avvenire sia ad
istanza dell’Ufficio che del contribuente, ed il
procedimento deve avere, anche in questo
caso, una durata massima di 180 giorni.
Nel primo caso, l’Amministrazione finanziaria
invita il contribuente al contraddittorio, qualora, anche a seguito dell’attività di verifica
esercitata dopo la stipula dell’accordo, riscontri un “mutamento delle condizioni di fatto o di
diritto” su cui si basa l’accordo stesso. A tal
proposito, si auspica che l’Agenzia delle entrate
chiarisca quali siano le circostanze in grado di
legittimare una richiesta di modifica delle
intese raggiunte con il contribuente; ciò
anche in considerazione delle conseguenze a
cui si perviene nel caso in cui il procedimento
di modifica attivato dall’Ufficio non si concluda con esito positivo.
Nel secondo caso, viceversa, è il contribuente
che inoltra all’Ufficio un’istanza di modifica
“motivata e circostanziata”, quando, durante
il periodo di vigenza dell’accordo, intervengano
“circostanze non prevedute né altrimenti prevedibili” suscettibili di spiegare efficacia sulle
pattuizioni prese; detta istanza deve altresì
recare “in maniera completa e dettagliata le
modifiche proposte e le ragioni di fatto e di
diritto poste a base delle modifiche stesse”.
Le modalità di invio ed il contenuto dell’istanza
di modifica sono le stesse previste per l’instaurazione della procedura di accordo preventivo;
anche durante il procedimento di modifica,
l’Ufficio potrà esercitare i medesimi poteri di
accesso, di richiesta di informazioni o invitare
il contribuente a comparire. Di ogni attività
svolta in contraddittorio è redatto processo
verbale, la cui copia è rilasciata al
contribuente.
Se il procedimento di modifica si conclude con
un esito negativo, l’accordo si intenderà privo
di efficacia a partire dalla data in cui il mutamento delle condizioni di fatto e/o di diritto
risulta intervenuto, ovvero, quando non sia
possibile accertare tale data, da quella di comunicazione dell’invito al contraddittorio da
parte dell’Ufficio.
Se, invece, il procedimento di modifica si conclude con esito positivo, l’Ufficio invita
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
l’impresa per la sottoscrizione della modifica
dell’accordo.
Sostanzialmente immutate rispetto all’assetto
normativo precedente sono rimaste le
modalità previste per l’ipotesi di rinnovo dell’accordo preventivo. A tal riguardo, il contribuente deve, a pena di decadenza, presentare
apposita istanza all’Amministrazione finanziaria almeno 90 giorni prima della scadenza
dell’accordo da rinnovare, seguendo le medesime modalità previste per l’istanza di accesso
alla procedura.
Ricevuta la richiesta di rinnovo, l’Ufficio,
almeno 15 giorni prima della scadenza dell’accordo oggetto di rinnovazione, comunica l’avvio dell’istruttoria volta al suo rinnovo, ovvero
rigetta la richiesta con provvedimento
motivato.
Il procedimento di rinnovo si conclude con la
firma di un accordo il cui contenuto è determinato in funzione delle risultanze dell’istruttoria espletata.
Conclusioni
La riforma dell’istituto del ruling internazionale è da valutare con favore, anche in considerazione della ratio ad essa sottesa, volta ad
attrarre investimenti esteri in Italia ed a cambiare i termini del rapporto tra Fisco e contribuente. È auspicabile che le modifiche
apportate rispetto alla vecchia normativa conferiscano maggiore appetibilità all’istituto.
A tal fine, la fase di pre-filing, potendo attuarsi
anche in forma anonima, rappresenta un
incentivo per le imprese a confrontarsi con
l’Amministrazione finanziaria: è innegabile,
infatti, che, per quanto le intenzioni del legislatore convergano sempre più verso una maggiore collaborazione con il contribuente, la
procedura, una volta attivata, comporta una
completa disclosure verso il Fisco.
Sotto altro profilo, la riforma de qua poteva
rappresentare l’occasione per dipanare alcuni
dubbi e criticità che si erano determinati già
nel sistema previgente. In particolare, sarebbe
stato opportuno che il legislatore avesse preveduto dei termini certi per il completamento
della procedura e che, onde evitare inutili contenziosi, avesse stabilito se i verbali o le comunicazioni resi dall’Ufficio potessero essere
oggetto di impugnazione.
25
Bilancio&imposte
Fiscalità internazionale
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
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Operazioni straordinarie
I Transaction Cost
nelle operazioni di LBO
Il tema del trattamento contabile e fiscale dei transaction cost sostenuti nell’ambito delle operazioni
di Leverage Buy Out ha rappresentato e continua tuttora a rappresentare un argomento d’indiscusso interesse per gli addetti ai lavori. Il presente contributo si propone di fornire un inquadramento dei transaction cost per poi analizzarne le metodologie di contabilizzazione ed i relativi profili
fiscali con riferimento ai soggetti non IAS adopter.
Premessa
Come noto, fusioni e acquisizioni (M&A)
costituiscono un’ampia classe di operazioni,
finalizzate alla crescita dimensionale ed al
riprogettamento degli assetti organizzativi
dell’azienda. Si tratta, tuttavia, di operazioni complesse che richiedono il sostenimento di ingenti costi (c.d. transaction
cost), quali, ad esempio, i compensi corrisposti per la valutazione dell’azienda e le
altre attività consulenziali direttamente collegate al perfezionamento della compravendita, i compensi corrisposti per l’attività di
mediazione, i compensi pagati per l’ottenimento delle risorse finanziarie, le spese dei
legali e le spese notarili per la redazione
dell’atto d’acquisto. La contabilizzazione di
tali costi nonché il relativo trattamento
fiscale si presenta non agevole dal punto
di vista operativo, in mancanza nei principi
contabili emessi dall’OIC, nonché nel T.U.I.
R., di una chiara ed esaustiva definizione
degli stessi. Sulla base di tali premesse,
dopo una breve disamina degli aspetti
salienti delle operazioni di Leverage Buy
Out (LBO), si illustra il trattamento contabile e fiscale - ai fini delle imposte dirette dei costi riferiti all’acquisto di partecipazioni nell’ambito di tali operazioni con riferimento ai soggetti non IAS adopter.
operazioni finanziarie preordinate all’acquisto
di una società, comunemente definita Target,
ricorrendo alla capacità di indebitamento della
stessa: tale espressione riassume in sé una
pluralità di pratiche economiche che, nella
loro molteplicità di realizzazione, trovano
come elemento comune lo sfruttamento dell’effetto di leva finanziaria.
Il soggetto acquirente, solitamente una
società appositamente costituita (NewCo),
reperisce la maggior parte della finanza necessaria attraverso il ricorso a finanziamenti
esterni, ottenuti dando in garanzia le attività
dell’impresa acquisita e le sue azioni.
L’esborso di capitale proprio è ridotto al
minimo. Dopo l’acquisizione si procede usualmente ad una fusione tra la Target e la NewCo
ed il debito contratto viene quindi traslato
sulla prima che, attraverso i suoi flussi di
cassa, o, talvolta, con l’alienazione di rami
d’azienda o cespiti, fa fronte al servizio ed al
rimborso dei prestiti. In alcuni casi, debito e
cassa vengono compensati non già tramite
una fusione ma mediante i dividendi che la
società Target, entità distinta ma controllata
dalla NewCo, distribuisce di anno in anno ai
suoi soci. Un’operazione di Leverage Buy Out
può assumere una serie infinita di varianti,
“partorite” da una sempre più sofisticata ingegneria finanziaria, ma nel complesso, le fasi in
cui solitamente si articola sono le seguenti:
Brevi cenni sul Leverage Buy Out
Con il termine di Leverage Buy Out (LBO) si
suole designare una complessa serie di
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Note:
(*) Avvocato in Milano
(**) Dottore commercialista in Milano
27
Bilancio&imposte
di Vincenzo Di Pillo (*) e Giovanni Pistillo (**)
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Operazioni straordinarie
Bilancio&imposte
• iniziativa: la proposta parte di solito dagli
acquirenti. Può trattarsi di imprenditori ed
investitori individuali, grandi società, investitori finanziari tipo società di venture
capital, merchant bank, investment bank,
fondi di private equity, amministratori
della stessa società bersaglio (management
buy out) o ad essa estranei (management
buy-in). L’obiettivo degli investitori finanziari, usualmente anche consulenti ed
organizzatori del deal, è la realizzazione
di un capital gain da conseguire con la
rivendita della partecipazione dopo un
processo della durata di 3/5 anni, in cui
viene realizzata la ristrutturazione dell’impresa Target con razionalizzazioni ed
efficientamenti;
• consulenza: individuata l’impresa obiettivo, di norma, viene demandata ad una
merchant bank l’organizzazione dell’intera operazione, compresa la struttura
finanziaria. Si tratta di una fase molto
delicata ed importante poiché dall’analisi
puntuale dei dati economico-finanziari
della Target e delle sue prospettive discendono le ipotesi di sostenibilità del debito
e quindi il mix di mezzi finanziari da
apportare;
• costituzione della NewCo: gli acquirenti
costituiscono il veicolo per l’acquisizione
e la capitalizzano in relazione a quanto
necessario per l’operazione. Il successo di
un’operazione di LBO dipende anche da
un’adeguata corporate governance, ossia
dalla conciliazione degli interessi dei soci
della NewCo. Quest’obiettivo si realizza tramite un’attenta redazione dello statuto e dei
patti parasociali che lo integrano: di particolare rilevanza sono le clausole relative alla
gestione della società con la suddivisione
delle competenze tra amministratori e
assemblea nonché dei quorum previsti per
determinati tipi di delibera (1);
• due diligence: si tratta di una complessa
e prolungata indagine che ha per oggetto
l’impresa Target. Il risultato di questi
approfondimenti determina la fattibilità
dell’operazione, anche perché al buon
esito delle indagini viene vincolato il
proseguimento dell’affare e l’erogazione di
finanza;
• offerta di acquisto: la fase successiva consiste nella determinazione del prezzo di
28
•
•
•
•
•
•
acquisto e nella formulazione di un’offerta
vincolante;
assunzione dei finanziamenti: la NewCo
contrae un finanziamento ponte a breve
termine (bridge) con gli istituti finanziari (2);
acquisto della Target: la NewCo acquisisce la
Target pagando ai venditori il prezzo delle
partecipazioni;
rilascio garanzie: l’acquirente concede in
pegno le partecipazioni della NewCo alle
banche a garanzia del finanziamento
bridge;
pagamento dei costi di transazione: la
NewCo corrisponde i costi di transazione
e le imposte connesse all’operazione
(ad esempio l’imposta sulle transazioni
finanziarie);
fusione: la NewCo e la Target si fondono per
incorporazione (diretta o inversa) di una
nell’altra dando vita a MergeCo con lo
scopo principale di riunire nello stesso
patrimonio l’indebitamento e i flussi di
cassa prodotti dalla Target (3);
estinzione finanziamento bridge: il finanziamento bridge viene estinto utilizzando
un nuovo finanziamento a medio-lungo
termine (detto senior financing) concesso
dalle banche (solitamente per il medesimo importo, ovvero maggiorato di
eventuali necessità di operatività corrente) a favore di MergeCo ed assistito
da garanzie su quello che era il patrimonio della Target;
Note:
(1) Ad esempio, il finanziamento della società con obblighi di
conferimenti da parte dei soci in determinate situazioni; diritti
ed obblighi dei soci, soprattutto in tema di distribuzione dei
dividendi o di clausole di lock-up in capo al management
onde garantirsi preventivamente per un congruo lasso temporale l’apporto tecnico degli amministratori; la stabilità della
compagine sociale e la puntuale regolamentazione dello
smobilizzo della partecipazione con eventuali clausole di
prelazione.
(2) Ulteriori variabili possono prevedere l’indebitamento
diretto verso i venditori (attraverso vendor loan ovvero l’emissione da parte di NewCo e sottoscrizione da parte dei venditori di un bond a fronte del differimento del prezzo, da
compensare con la porzione di corrispettivo non pagato).
(3) È da notare che solitamente sono gli stessi istituti finanziatori
a richiedere detto impegno poiché vorranno, quanto prima,
beneficiare di garanzie più consistenti del mero pegno sulle
partecipazioni, quali ad esempio l’ipoteca su beni immobili
della Target o il pegno sui marchi della stessa.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Operazioni straordinarie
I transaction cost
Il processo di investimento che caratterizza le
operazioni di LBO, comporta il sostenimento
di costi principalmente riferiti a:
• compensi per l’organizzazione delle attività
preparatorie all’acquisizione;
• costi di due diligence sulla società Target,
generalmente sostenuti prima dell’acquisizione al fine di approfondire specifiche
tematiche (ad esempio legali, fiscali,
contabili, finanziarie, di business,
ambientali) di interesse dell’investitore
nonché degli istituti finanziari coinvolti
nell’operazione;
• commissioni per l’attività di intermediazione
relativa all’acquisto della partecipazione;
commissioni
per l’ottenimento delle risorse
•
finanziarie (up front fee) e per la disponibilità
delle stesse a prescindere dall’effettivo utilizzo (commitment fee);
compensi
per la predisposizione dei con•
tratti necessari per la formalizzazione dell’acquisizione e relativi finanziamenti;
oneri
tributari connessi all’acquisto della
•
partecipazione nonché all’erogazione dei
finanziamenti connessi all’operazione.
Trattamento contabile
Il Codice civile non prevede un trattamento
specifico dei suddetti costi, pertanto,
occorrerà fare riferimento ai principi generali
di redazione del bilancio ed ai chiarimenti forniti dai principi contabili emessi dall’OIC. In
generale, il trattamento contabile (4) dei transaction cost è riconducibile ad una delle
seguenti metodologie:
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
• capitalizzazione degli stessi ad incremento
del costo della partecipazione;
• autonoma capitalizzazione e ripartizione
su più esercizi in base alla relativa utilità
pluriennale;
• rilevazione sulla base del criterio del costo
ammortizzato (5);
• integrale imputazione a Conto Economico.
Capitalizzazione ad incremento del costo
della partecipazione
L’art. 2426, comma 1, n. 1, c.c., stabilisce che le
immobilizzazioni sono iscritte al costo di
acquisto computando anche gli oneri accessori. Detto principio è applicabile anche con
riferimento all’acquisizione di partecipazioni;
conseguentemente gli oneri accessori afferenti
la partecipazione acquisita non possono essere
spesati nell’esercizio di sostenimento ma
vanno imputati ad incremento del costo della
partecipazione. In assenza di una definizione
normativa di oneri accessori, occorre far riferimento all’ OIC 21 (partecipazioni ed azioni
proprie), che, seppur non fornisce un’elencazione esaustiva, definisce accessori, tutti quei
costi direttamente imputabili all’operazione
(6), quali, ad esempio, i costi di intermediazione bancaria e finanziaria, le
Note:
(4) Sull’argomento si veda G. E. Colombo, “Bilancio d’esercizio e consolidato”, in G.E. Colombo - G.B. Portale (diretto da),
Trattato delle società per azioni, Torino, 1994, pag. 251 ss.;
E.Guffanti, La disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, a
cura di L.A. Bianchi, Milano, 2001, pag. 527 ss.; R. Talarico, La
disciplina giuridica del bilancio d’esercizio, a cura di L.A.
Bianchi, Milano, 2001, pag. 653; G. Vasapolli - A. Vasapolli,
Dal bilancio d’esercizio al reddito d’impresa, Milano, 2006,
pag. 887; E.Colucci - F. Riccomagno, Il bilancio d’esercizio ed
il bilancio consolidato, Padova, 1995, pag. 31; P. Congiu, Le
spese di impianto ed ampliamento nel bilancio d’esercizio,
Padova, 1994, pag. 87.
(5) Questa metodologia dovrebbe sostituire la rilevazione
contabile della capitalizzazione su base autonoma dei costi
afferenti ai finanziamenti per le operazioni che verranno poste
in essere dal 2016.
(6) Si puntualizza che lo stesso principio contabile, che al
momento di andare in stampa risulta in consultazione, non
specifica cosa debba intendersi per costi direttamente imputabili all’operazione. In tal senso, giova richiamare la definizione di costi di transazione riportata nel par. 9 dello IAS 39
(definizione richiamata anche nella recente bozza per la
consultazione del principio contabile 19, pubblicata
dall’OIC) che considera tali tutti quei costi che risultano
necessari
al
perfezionamento
dell’acquisto
della
partecipazione.
29
Bilancio&imposte
• way out: l’exit strategy è una fase del LBO
particolarmente sentita soprattutto da
quanti intervengono nella transazione in
qualità di meri investitori finanziari. Il
timing dell’uscita è quasi sempre funzione
dello sviluppo della società. Sempre più
spesso, tuttavia, gli investitori cercano di
prevedere al momento dell’acquisto della
partecipazione gli eventuali canali di uscita
ed i tempi di realizzo: per quanto riguarda i
primi, le tipiche way out sono la quotazione
in borsa con una Initial Public Offering (IPO),
la vendita dei titoli ad un’altra impresa industriale o ad un altro fondo di private equity.
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Operazioni straordinarie
Bilancio&imposte
commissioni, le spese e le imposte.
Possono, inoltre, rientrare nell’ambito
degli oneri accessori i costi di consulenza
corrisposti a professionisti per la predisposizione di contratti e di studi di fattibilità
(7) e/o di convenienza all’acquisto (8). Con
riferimento ai costi di consulenza sostenuti
(9) andrà, tuttavia, verificato se gli stessi si
riferiscono esplicitamente ad attività di
assistenza all’acquisto (come tali imputabili
ad incremento del costo della partecipazione) piuttosto che ad attività di carattere
più generale quale consulenza preventiva
all’acquisto
(da
spesare
a
Conto
Economico). In dottrina (10) si è affermato
che possono rientrare tra i costi di acquisizione anche i compensi professionali corrisposti a consulenti per le attività di due
diligence (11), le spese per la predisposizione del memorandum d’intesa (memorandum of understanding), le spese legali per la
predisposizione dei contratti di cessione
(share purchase agreement) e le spese
notarili.
Autonoma capitalizzazione dei transaction
cost tra gli oneri pluriennali ante
D.L. n. 139/2015
Al ricorrere di determinate condizioni, alcuni
costi connessi all’acquisizione delle partecipazioni, quali le spese afferenti ai finanziamenti, possono essere oggetto di autonoma
iscrizione nello Stato Patrimoniale, tra gli
oneri pluriennali (12), con successiva imputazione a Conto Economico delle relative quote
di ammortamento. Per costi afferenti ai finanziamenti, secondo quanto previsto nel paragrafo 76 dell’OIC 24, edizione gennaio 2015
(13), devono ricomprendersi le spese di istruttoria, l’imposta sostitutiva su finanziamenti a
medio-lungo termine e tutti gli altri costi iniziali. In aggiunta, andrebbero ricompresi in
questa categoria anche gli altri costi strettamente connessi e necessari all’ottenimento
dei finanziamenti quali:
• le spese di due diligence ove espressamente
richieste da parte dei finanziatori;
• le spese di consulenza per il reperimento,
la negoziazione e la strutturazione del
finanziamento;
• le spese legali per la stesura del contratto di
finanziamento;
• le spese notarili e
30
• ogni altro costo strettamente correlato
e
necessario
all’ottenimento
del
finanziamento.
L’ammortamento dei suddetti costi, come
suggerito nel paragrafo 94 dell’OIC 24, è determinato sulla durata dei relativi finanziamenti
in base a quote calcolate preferibilmente
secondo modalità finanziarie, oppure a quote
costanti, se gli effetti non divergono in modo
significativo rispetto al metodo finanziario.
Di converso, nel caso in cui i finanziamenti
non fossero erogati, tutti i costi iniziali
sostenuti devono essere imputati a Conto
Economico tranne nel caso in cui gli
stessi (o parte di essi) possano essere
Note:
(7) In data 13 giugno 2016, l’OIC ha pubblicato la bozza del
nuovo principio contabile OIC 21, il quale esclude dall’elencazione degli oneri accessori la voce studi di fattibilità.
(8) A parere degli autori tale possibilità va intesa non in senso
discrezionale ma nel senso che, nel caso in cui non fosse
ravvisabile una stretta correlazione e necessità tra costo
sostenuto e acquisto della partecipazione, dovrebbe essere
privilegiata l’imputazione a Conto Economico, quale conseguenza del principio di prudenza di cui all’art. 2423-bis,
comma 1, n. 1, c.c.
(9) Tra i costi di consulenza, oltre alle spese per servizi resi da
soggetti terzi, potrebbero rientrare anche gli eventuali costi
riaddebitati da altre società del gruppo alla società che effettua l’investimento (NewCo) con riferimento alle attività propedeutiche e funzionali all’investimento (ad esempio attività di
scouting, valutazione investimento, structuring, etc.).
(10) Cfr. L. De Angelis, La valutazione delle partecipazioni costituenti immobilizzazioni finanziarie nel bilancio d’esercizio,
Milano, 2007, pag. 130. Con espresso riferimento ai costi di
due diligence cfr. Angelo Rocco Bonissoni in Transaction costs
e le fusioni nelle operazioni di leverage buy out, Milano, 2009,
pag. 85.
(11) Secondo la sentenza della Comm. trib. prov. di Torino n. 46
del 10 marzo 2010, i costi sostenuti per due diligence legale,
fiscale e ambientale non debbono essere necessariamente
portati ad incremento del costo della partecipazione acquisita ma possono essere iscritti tra gli oneri pluriennali.
(12) Gli oneri pluriennali possono essere iscritti nell’attivo dello
stato patrimoniale solo se: è dimostrata la loro utilità futura;
esiste una correlazione oggettiva con i relativi benefici futuri di
cui godrà la società; è stimabile con ragionevole certezza la
loro recuperabilità da stimare dando prevalenza al principio
della prudenza.
(13) A seguito delle disposizioni contenute nel D.Lgs. n. 139/
2015, di recepimento della Direttiva 34/2013/UE, che hanno
introdotto, inter alia, il concetto di costo ammortizzato per la
rappresentazione in bilancio dei titoli immobilizzati, dei crediti
e dei debiti, l’Organismo Italiano di Contabilità ha pubblicato
la bozza del principio contabile OIC 24, che esclude la
possibilità di classificare i costi accessori ai finanziamenti
nella voce “Altre Immobilizzazione Immateriali”, eliminando,
di conseguenza, il paragrafo 76.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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propedeutici per l’erogazione di un nuovo
finanziamento, o comunque avere una
diversa utilità (14).
Criterio del costo ammortizzato
Il recente D.Lgs. n. 139/2015, in attuazione
della Direttiva comunitaria 2013/34/UE, ha
introdotto sostanziali modifiche alla disciplina
del bilancio di esercizio prevista dal Codice
civile, con applicazione ai bilanci relativi agli
esercizi aventi inizio a partire dal 1° gennaio
2016. Tra le principali novità apportate dal
citato Decreto, si evidenzia l’introduzione del
concetto di costo ammortizzato per la rappresentazione in bilancio dei titoli immobilizzati,
dei crediti e dei debiti.
In particolare, con riferimento ai debiti, il
novellato art. 2426, comma 1, n. 8, c.c. dispone
che “i debiti sono rilevati in bilancio secondo il
criterio del costo ammortizzato, tenendo conto
del fattore temporale”. Ai fini della comprensione e dell’interpretazione del concetto di
“costo ammortizzato”, il legislatore rimanda
ai principi contabili internazionali.
Al riguardo, occorre far riferimento allo IAS
39 (15), che definisce il costo ammortizzato
come “il valore a cui l’attività o passività
finanziaria è stata valutata al momento
della rilevazione iniziale al netto dei rimborsi di capitale, aumentato o diminuito
dall’ammortamento cumulato utilizzando il
criterio dell’interesse effettivo su qualsiasi
differenza tra il valore iniziale e quello a
scadenza e dedotta qualsiasi riduzione (operata direttamente o attraverso l’uso di
accantonamento) a seguito di una riduzione
di valore o di irrecuperabilità”.
In sostanza, secondo tale metodologia, il
valore di iscrizione iniziale di un finanziamento è rappresentato dal valore nominale
dello stesso al netto dei costi di transazione
direttamente derivanti dall’operazione che ha
generato il debito. Negli esercizi successivi
devono poi essere imputati gli interessi
(secondo il criterio dell’interesse effettivo)
(16) che andranno ad aumentare la posta
patrimoniale del debito inizialmente iscritto
fino a ricomporre il valore nominale dello
stesso. Con specifico riferimento ai costi di
transazione, lo stesso IAS 39 definisce gli
stessi quali “costi marginali direttamente
attribuibili all’acquisizione, all’emissione o
alla dismissione di una attività finanziaria.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Un costo marginale è un costo che non sarebbe
stato sostenuto se l’entità non avesse acquisito, emesso o dismesso lo strumento finanziario” (17).
La principale conseguenza derivante dall’adozione del suddetto criterio del costo
ammortizzato è che i costi afferenti ai finanziamenti non saranno più capitalizzati quali
oneri pluriennali ed annualmente ammortizzati, ma andranno contabilizzati a riduzione
del valore nominale del debito inziale e successivamente imputati a Conto Economico
Note:
(14) Al riguardo, cfr. Angelo Rocco Bonissoni op. cit., pag. 76, in
cui l’autore sostiene che i costi di due diligence, nel caso in cui
il finanziamento non sia erogato, possono costituire degli oneri
pluriennali capitalizzabili ed ammortizzabili secondo un
periodo di tempo che gli amministratori ritengono congruo
e coerente con le prospettive economiche di recupero dello
stesso.
(15) In base a quanto riportato nel paragrafo 99 della bozza
del principio contabile OIC 24, “Qualora la società applichi il
criterio del costo ammortizzato esclusivamente ai debiti sorti
successivamente all’esercizio avente inizio a partire dal 1°
gennaio 2016 (cfr. par. 89 OIC 19 rivisto nel 2016), continua a
classificare i costi accessori ai finanziamenti tra le ‘altre’
immobilizzazioni immateriali e ad ammortizzare tali costi in
conformità al precedente principio […]”.
(16) Il tasso di interesse effettivo è il tasso che attualizza
esattamente i pagamenti o gli incassi futuri stimati lungo
la vita attesa dello strumento finanziario o, ove opportuno, un periodo più breve al valore contabile netto
dell’attività o passività finanziaria. Quando si calcola il
tasso di interesse effettivo, un’entità deve valutare i flussi
finanziari tenendo in considerazione tutti i termini contrattuali dello strumento finanziario (per esempio, il pagamento anticipato, un’opzione call e simili), ma non deve
considerare perdite future su crediti. Il calcolo include tutti
gli oneri e punti base pagati o ricevuti tra le parti di un
contratto che sono parte integrante del tasso di interesse
effettivo, i costi di transazione e tutti gli altri premi o sconti.
Si presume che i flussi finanziari e la vita attesa di un
gruppo di strumenti finanziari similari possano essere valutati in modo attendibile. Tuttavia, in quei rari casi in cui
non è possibile determinare in modo attendibile i flussi
finanziari o la vita attesa di uno strumento finanziario (o
gruppo di strumenti finanziari), l’entità deve utilizzare i flussi
finanziari contrattuali per tutta la durata del contratto
dello strumento finanziario (o gruppo di strumenti
finanziari).
(17) Nello specifico lo IAS 39, considera, a titolo esemplificativo, quali costi di transazione (paragrafo AG13) “(…) gli onorari e le commissioni pagati ad agenti (inclusi i dipendenti che
svolgono la funzione di agenti di commercio), consulenti,
mediatori e operatori, i contributi prelevati da organismi di
regolamentazione e dalle Borse valori, le tasse e oneri di
trasferimento”, precisando altresì che non si comprendono
tra tali costi “(…) premi o sconti, costi di finanziamento, o costi
interni amministrativi o di gestione”.
31
Bilancio&imposte
Operazioni straordinarie
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Operazioni straordinarie
quali interessi passivi secondo il criterio del
tasso d’interesse effettivo.
Bilancio&imposte
Iscrizione dei transaction cost nel Conto
Economico
Tutti i costi residuali relativi all’investimento
non riconducibili alle suddette categorie (i.e.
management fee e other fee), devono essere integralmente spesati a Conto Economico nell’esercizio in cui sono sostenuti nel rispetto dei
principi di prudenza e di competenza di cui
all’art. 2423-bis c.c.
Detti costi devono, di conseguenza, essere contabilizzati nell’esercizio in cui maturano economicamente e giuridicamente e non in quello
in cui si manifestano i relativi movimenti
finanziari.
La nozione fiscale di oneri accessori
La deducibilità ai fini IRES ed IRAP di un costo
o di una spesa è subordinata, oltre che al soddisfacimento del requisito di inerenza, al rispetto
delle previsioni recate dall’art. 110, comma 1,
del T.U.I.R., il quale sancisce la nozione di
“costo” rilevante ai fini delle imposte sui redditi. La lett. b) del menzionato comma 1
dispone quanto segue: “si comprendono nel
costo anche gli oneri accessori di diretta imputazione, esclusi gli interessi passivi e le spese
generali. (...)”. Ai fini delle imposte sui redditi,
dunque, gli oneri accessori che si considerano
“di diretta imputazione” all’acquisizione di un
bene, “si comprendono” nel costo riferibile a
detto bene. L’utilizzo di tale locuzione sembra
rivelare l’intenzione del legislatore di non concedere al contribuente una facoltà, bensì di
disporre l’obbligo di includere gli oneri accessori di diretta imputazione nella formazione
del costo dei beni.
La norma sopra richiamata prescrive, quindi,
in capo al contribuente un obbligo di capitalizzazione degli oneri accessori, dal quale
discende - si noti - l’indeducibilità dei costi
capitalizzabili
ed
imputati
a
Conto
Economico; resta ferma ovviamente, la rilevanza fiscale dei costi capitalizzabili in relazione all’ammortamento del costo al quale
ineriscono e/o ai fini della determinazione
della relativa plusvalenza o minusvalenza in
caso di successiva cessione del relativo bene.
Per quanto concerne i criteri da utilizzarsi per
individuare la nozione di “oneri accessori di
32
diretta imputazione”, occorre preliminarmente rilevare che, ai fini tributari, non è possibile rinvenire un’espressa definizione di tale
tipologia di costi.
In termini generali, rientrano in tale nozione
tutte quelle spese che vengono sopportate in
connessione all’acquisto del bene (sia nella sua
fase propriamente negoziale, sia nella sua fase
esecutiva), ovvero che sono collegate al bene
principale da un nesso di consequenzialità,
come di causa ad effetto o ad un rapporto di
dipendenza fra esborsi accessori e spesa principale (18).
Ciò premesso, ai fini dell’individuazione degli
oneri di cui si tratta sembra innanzitutto possibile fare riferimento alla nozione di costi
accessori contenuta nei documenti OIC nn.
21 (paragrafo 18) (19) nonché la bozza
dell’OIC19 (paragrafo 19), come sopra meglio
diffusamente descritti.
Utili indicazioni per l’individuazione della
nozione di onere accessorio si rinvengono,
inoltre, nei chiarimenti forniti dalla prassi e
dalla giurisprudenza in merito alla determinazione del valore fiscalmente rilevante
delle
plusvalenze
(20).
Sul
punto
l’Amministrazione finanziaria (21) ha chiarito che deve farsi riferimento a “tutte le
spese e gli oneri strettamente inerenti all’acquisto delle attività finanziarie della cui cessione si tratta (ad esempio: l’imposta di
successione e donazione, le spese notarili, le
commissioni di intermediazione, la tassa sui
contratti di borsa, eccetera), ad eccezione
degli interessi passivi e delle spese generali,
dei quali il legislatore ha espressamente sancito l’esclusione”. Successivamente nella circolare n. 36/E del 4 agosto 2004 (paragrafo 3)
i tecnici dell’Agenzia, con specifico riferimento ai costi specificamente inerenti alla
cessione delle partecipazioni, hanno ricompreso le spese per le perizie tecniche ed
Note:
(18) In tal senso G. Falsitta, “Plusvalenze e minusvalenze patrimoniali (dir. Trib.)”, in Enciclopedia Giuridica, 1990, pag. 6 e in
La tassazione delle plusvalenze e sopravvenienze nelle imposte sui redditi, Padova, 1986, pag. 7.
(19) Come specificato in nota 7 in data 13 giugno 2016, l’OIC
ha rilasciato la bozza del nuovo OIC 21, che ha eliminato
dall’elencazione oneri accessori la voce studi di fattibilità.
(20) Cfr. Angelo Rocco Bonissoni, op. cit.
(21) Cfr. circolare n. 165/E del 24 giugno 1998.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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estimative, le provvigioni dovute agli intermediari nonché altri eventuali oneri
specificamente e non solo “indistintamente”
collegati alla realizzazione della plusvalenza
esente (22).
Neppure la giurisprudenza che si è occupata
della materia ha dato contributi dirimenti,
infatti da una parte (23) ha qualificato come
oneri accessori i costi per le consulenze legali e
notarili relativi all’acquisto di un immobile
nonché i costi sostenuti da un’azienda per le
spese di consulenza a sostegno delle strategie
di acquisizione di società atte a favorire il rafforzamento nei mercati internazionali; dall’altra (24) ha escluso l’accessorietà delle spese per
servizi professionali sostenute in relazione
all’acquisto di terreni.
Trattamento dei transaction cost
ai fini dell’imposizione diretta
In ossequio al principio di derivazione sancito
dall’art. 83, comma 1, del T.U.I.R., il trattamento fiscale dei costi di acquisizione delle
partecipazioni è strettamente correlato alla
loro corretta classificazione civilistica e contabile. Al fine di agevolare il lettore, di seguito, si
analizza la disciplina fiscale di tali costi in
considerazione delle diverse modalità di contabilizzazione come sopra descritte.
Costi di acquisizione capitalizzati
ad incremento del costo delle partecipazioni
Gli oneri accessori all’acquisizione delle partecipazioni, quali, ad esempio, i costi di
intermediazione bancaria e finanziaria, le
spese notarili, le spese per perizie tecniche
ed estimative, le provvigioni dovute agli
intermediari sono, come sopra illustrato,
considerate costi che, in sede di redazione
del bilancio, integrano i valori di iscrizione
delle partecipazioni (25).
Questo aspetto assume diretta rilevanza anche
ai fini della disciplina fiscale, nel senso che
l’impresa che acquisisce la partecipazione
dovrebbe, coerentemente, imputare fiscalmente le suddette spese ad incremento del
valore della partecipazione.
Da ciò deriva, dunque, che solo in sede di realizzo delle partecipazioni, i costi in questione
assumeranno rilevanza fiscale concorrendo
alla determinazione della plusvalenza (o minusvalenza) da cessione (26).
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Costi di acquisizione capitalizzati su base
autonoma
Dal punto di vista fiscale, i costi di acquisizione contabilizzati autonomamente sono
disciplinati dalle disposizioni recate dal
comma 3 dell’art. 108 del T.U.I.R., ai sensi
del quale “Le altre spese relative a più esercizi,
diverse da quelle considerate nei commi 1
(spese relative a studi e ricerche) e 2 (spese
di pubblicità, di propaganda e di rappresentanza) sono deducibili nei limiti della quota
imputabile a ciascun esercizio”.
Tale interpretazione trova conferma nelle precisazioni fornite dall’Amministrazione finanziaria
nella risoluzione n. 240/E del 19 luglio 2002 ove
viene specificato che gli oneri sostenuti per un’istruttoria finalizzata all’erogazione di un finanziamento, se dal punto di vista civilistico, sono
correttamente qualificati come pluriennali, tale
inquadramento assume rilevanza anche dal
punto di vista fiscale (27), rientrando, dunque,
nell’ambito di applicazione dell’art. 74 (ora 108)
del T.U.I.R. Diversamente, se sono inquadrati
come costi dell’esercizio, seguono il medesimo
trattamento anche dal punto di vista fiscale in
quanto l’art. 74, comma 3, (ora 108) del T.U.I.R.,
non individua autonomamente una categoria di
spese da considerare di carattere pluriennale
(28). Ciò premesso, le quote di ammortamento
Note:
(22) Su punto cfr. L. Gaiani, “I costi al bivio del trattamento”, in Il
Sole - 24 Ore del 6 agosto 2004. Secondo l’autore con riferimento a detti oneri si ritiene che potrebbe trattarsi, ad esempio, “di spese per consulenze legali, contabili e fiscali
specifiche sulla partecipata o, ancora, di oneri per due diligence effettuate in sede di trattative di vendita”.
(23) Cfr. sent. Cass. n. 14477, depositata il 29 settembre 2003 e
sent. Comm. trib. prov. di Milano n. 582 del 28 novembre 2011.
(24) Cfr. sent. Comm. trib. prov. di Treviso n. 81 del 31 marzo
1998.
(25) Tali considerazioni non valgono con riferimento alla tassa
sulle transazioni finanziarie (c.d. Tobin Tax). L’iscrizione della
Tobin Tax quale costo accessorio crea, infatti, un disallineamento tra il valore civilistico iscritto in stato patrimoniale (che
comprende il costo della tassa) e il valore fiscale (che non
comprende il costo della tassa in quanto indeducibile).
(26) Facciamo notare che, nel caso di cessione di partecipazioni che qualificano ai fini della participation exemption, la
deduzione effettiva di detti costi (portati ad incremento del
costo fiscale della partecipazione) sarebbe di fatto limitata al
5% (in caso di plusvalenza) o nulla (in caso di minusvalenza).
(27) Contra Cass. n. 6172 del 24 gennaio 2001.
(28) Cfr. L. De Federico, “Spese relative alla concessione di un
finanziamento ed imputazione in bilancio tra competenza
civilistica e fiscale”, in il fisco, I, n. 33/2002, pag. 5288 ss.
33
Bilancio&imposte
Operazioni straordinarie
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Operazioni straordinarie
degli oneri accessori, sostenuti per l’ottenimento
dei finanziamenti finalizzati all’acquisto della
partecipazione, assumono piena rilevanza
fiscale e sono deducibili per la quota imputata
a Conto Economico.
Bilancio&imposte
Costi di acquisizione contabilizzati secondo
il criterio del costo ammortizzato
A partire dal bilancio 2016, l’art. 2426, n. 8, c.c.
prevede che i debiti siano rilevati in bilancio
secondo il criterio del costo ammortizzato.
La principale conseguenza, come sopra
descritto, è che i costi sostenuti per l’istruttoria
di un finanziamento per i quali, fino al 2015, vi
era l’obbligo di autonoma capitalizzazione, dal
2016 dovranno essere portati a diretta riduzione del debito per finanziamento e successivamente imputati a Conto Economico nella
voce interessi passivi.
Tale criterio, traducendo in quota di interesse i
menzionati costi di transazione, dovrebbe
comportare da un punto di fiscale che gli stessi
non saranno più deducibili per la quota di
ammortamento
imputata
a
Conto
Economico ma soggiaceranno alle regole di
deducibilità previste dall’art. 96 del T.U.I.R.
Come sottolineato da autorevole dottrina (29)
“La conseguenza è certamente rilevante. Se
infatti prima detti costi rientravano nella
gestione ordinaria ora verranno rilevati nell’area finanziaria. Di conseguenza, ai fini della
norma sulla deduzione degli interessi (art. 96
del T.U.I.R.), si dovrà rilevare un peggioramento delle condizioni fiscali delle imprese,
che vedranno togliersi dalla gestione caratteristica (e quindi dal ROL) un componente di
reddito, peraltro ininfluente nella determinazione della grandezza reddituale sulla quale
viene parametrato il limite di deducibilità
degli interessi, per trasformarla in interessi
sui quali (salvo precisazioni del legislatore
fiscale) si applicherà il limite dell’articolo in
esame”.
Rebus sic stantibus, è auspicabile l’introduzione di disposizioni fiscali specifiche, volte a
coordinare la normativa fiscale con le nuove
disposizioni civilistiche, analogamente a
quanto avvenuto in passato con riferimento
ai soggetti IAS adopter.
34
Imputazione integrale dei transaction cost
a Conto Economico
I costi diversi da quelli sopra menzionati (i.e.
success fee, management fee e other fee) non
portati ad incremento del costo delle partecipazioni o contabilizzati come oneri pluriennali devono essere imputati al Conto
Economico dell’esercizio in cui sono sostenuti
nel rispetto dei principi generali di redazione
del bilancio. Sotto il profilo fiscale tali costi
sono integralmente deducibili sulla base dei
principi generali di determinazione del reddito d’impresa di cui all’art. 109 del T.U.I.R.
Da ciò ne discende che il giudizio di deducibilità
di un costo per inerenza deve riguardare la
natura del bene o servizio e il proprio rapporto
con l’attività d’impresa, da valutarsi in relazione
allo scopo perseguito al momento in cui la spesa
è stata sostenuta, e con riferimento a tutte le
attività tipiche dell’impresa, e non semplicemente ex post in relazione ai risultati ottenuti
in termini di produzione del reddito.
In considerazione del fatto che i costi sostenuti
per l’acquisizione della partecipazione non
sono strettamente connessi al successivo realizzo della stessa, essi, in quanto collegati alla
produzione di proventi fiscalmente rilevanti
(i.e. dividendi) - sebbene parzialmente esclusi
da tassazione - sono da considerarsi inerenti e,
dunque, interamente deducibili (30).
Giova segnalare che con riferimento alle management fee e alle other fee, nella circolare n. 6/E
del 30 marzo 2016, l’Agenzia delle entrate ha
chiarito che, al fine di riconoscerne l’inerenza e
la conseguente deducibilità, occorrerà valutare con attenzione se trattasi di prestazioni
effettuate nell’interesse della società che realizza direttamente l’investimento ovvero nell’interesse esclusivo degli investitori.
Note:
(29) Cfr. S. Guidantoni “Il costo ammortizzato nella riforma
del bilancio”, in La Gestione Straordinaria Delle Imprese,
n. 6/2015, pag. 144.
(30) Diversamente gli oneri connessi alla cessione delle partecipazioni rilevano esclusivamente ai fini della determinazione della plusvalenza/minusvalenza da realizzo. Tali costi,
quando direttamente connessi con la dismissione di partecipazioni che qualificano per la participation exemption sono,
invece, da considerarsi non deducibili.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Bilancio d’esercizio
I profili civilistici, contabili
e fiscali del rent to buy
In considerazione della forte crisi nel settore immobiliare e delle crescenti difficoltà ad ottenere
finanziamenti bancari si è diffusa in Italia una prassi contrattuale, già sviluppata nei Paesi anglosassoni, nota come rent to buy. Tale prassi è stata ora codificata dal nostro legislatore che ha
introdotto, nell’ordinamento italiano, la disciplina del contratto di godimento in funzione della
successiva alienazione di immobili, prevedendo specifiche regole riguardo la trascrizione, la
risoluzione per inadempimento, le ipotesi di fallimento delle parti contrattuali e le norme applicabili.
Partendo dalla definizione e dall’oggetto del contratto di rent to buy, si illustra la disciplina civilistica,
soffermandosi sugli effetti contabili di tale istituto e sui rapporti che intercorrono tra i diversi istituti
relativi al trasferimento immobiliare; se ne darà anche un opportuno inquadramento fiscale di
sintesi.
Definizione
Il Decreto “Sblocca Italia” (1), ha introdotto nel
nostro ordinamento una disciplina specifica
per i contratti di godimento in funzione della
successiva alienazione di immobili, il c.d. rent
to buy.
Lo schema contrattuale del rent to buy si
sostanzia in una sorta di incentivo alla compravendita immobiliare, caratterizzata oggi da
una forte crisi del settore e dalle crescenti
difficoltà ad ottenere finanziamenti bancari,
in quanto dà la possibilità di rinviare, ad un
momento futuro, l’impegno finanziario del
conduttore/promissario acquirente che, non
avendo a disposizione le risorse finanziarie
per l’acquisto dell’immobile, può averne subito
la disponibilità in godimento, corrispondendo
al proprietario i canoni mensili che poi
recupererà (in tutto o in parte) imputandoli
al prezzo finale come acconto.
Il futuro venditore può invece ottenere una
redditività immediata dall’immobile, in attesa
della vendita e può inoltre individuare da
subito il futuro acquirente.
Il comma 1 dell’art. 23 del D.L. 12 settembre
2014, n. 133 (Sblocca Italia) definisce tali tipologie contrattuali come “contratti, diversi dalla
locazione finanziaria, che prevedono l’immediata concessione del godimento di un
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
immobile, con diritto per il conduttore di
acquistarlo entro un termine determinato
imputando al corrispettivo del trasferimento
la parte di canone indicata nel contratto”.
Il contratto di leasing si differenzia dal contratto in esame, in quanto si configura come
fattispecie socialmente tipica con causa di
finanziamento, in cui il concedente è qualificato professionalmente come intermediario
finanziario: l’utilizzatore chiede ad una
società di leasing di acquistare da un fornitore
la proprietà di un bene, per poi concederlo in
godimento al primo a fronte del versamento di
un corrispettivo periodico. Nel leasing, il capitale viene di solito restituito a quote crescenti e
non a rate costanti e solitamente il maxicanone iniziale è molto elevato, mentre, nel
rent to buy, l’anticipo è in genere limitato e
gran parte del prezzo viene pagato al termine
del contratto di godimento.
L’operazione di rent to buy si articola in due
fasi: nella prima (rent), si realizza il godimento
immediato dell’immobile a fronte del
Note:
(*) Professore a contratto di Contabilità e Bilancio, Economia
Aziendale e Temi Speciali di Bilancio presso l’Università
Cattaneo - LIUC - di Castellanza, Dottore Commercialista
e Revisore Contabile
(1) Cfr. art. 23 del D.L. 12 settembre 2014, n. 133.
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Bilancio&imposte
di Fabio Ciovati (*)
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
pagamento di un canone; nella seconda (buy),
il conduttore ha la facoltà di esercitare il diritto
di acquisto del bene, imputando al prezzo di
vendita dell’immobile, una quota parte del
canone indicata nel contratto. Dalla disposizione in esame si evince che la successione tra
le due fasi non è né obbligatoria né automatica,
ma soltanto eventuale dato che l’acquisto dell’immobile è un diritto per il conduttore ma
non un obbligo.
Il contratto di godimento in esame è finalizzato al trasferimento dell’immobile, in
quanto attribuisce al conduttore il diritto
di acquistare il bene concesso in godimento; il conduttore ha infatti il diritto di
manifestare, entro un determinato termine,
la propria volontà di acquistare l’immobile
oggetto della locazione.
Si deduce che il locatore ha di conseguenza
l’obbligo di cedere l’immobile al prezzo stabilito, mentre il conduttore ha inizialmente il
diritto di godimento e solo successivamente,
previa dichiarazione d’acquisto al concedente,
può manifestare la volontà di acquistare il
diritto di proprietà.
La compravendita dell’immobile si realizza,
pertanto, solo nel momento in cui il conduttore
decide di esercitare il diritto di acquisto. Il
termine per esercitare il diritto di acquistare
l’immobile è stabilito dalle parti, entro un massimo di dieci anni.
Nel contratto viene poi stabilita quale sia la
parte di canone che va a remunerare il godimento del bene e quale quella da imputare al
corrispettivo del trasferimento come anticipazione del corrispettivo del trasferimento. È
pertanto rimessa all’autonomia contrattuale
la determinazione del quantum della parte di
canone da imputarsi al corrispettivo.
Come previsto dal comma 1-bis dell’art. 23, le
parti definiscono in sede contrattuale la quota
dei canoni imputata al corrispettivo che il concedente deve restituire qualora non venga esercitato il diritto di acquistare la proprietà
dell’immobile nel termine stabilito.
Forma e trascrizione del contratto
di rent to buy
I contratti di godimento in funzione della
successiva alienazione di immobili sono trascritti nei registri immobiliari ai sensi dell’art.
2645-bis c.c.; dato il rinvio all’art. 2645-bis
36
c.c., tali contratti sono soggetti agli obblighi
di trascrizione propri dei contratti preliminari di compravendita.
La trascrizione rende il contratto opponibile
ai terzi garantendo il futuro acquirente da
eventuali atti di disposizione del bene che il
proprietario può porre in essere successivamente alla conclusione del contratto, quali
ad esempio la vendita dell’immobile ad un
altro soggetto o l’iscrizione di un’ipoteca sul
bene o la trascrizione di un pignoramento o
la costituzione di qualsiasi altro diritto
pregiudizievole.
Le parti contraenti e la tipologia
di immobili oggetto del rent to buy
L’art. 23 del D.L. n. 133/2014 non contiene
alcun riferimento alla qualità delle parti contraenti né alla natura dell’immobile, né prevede
alcuna limitazione in merito.
Da un punto di vista soggettivo la norma non
pone vincoli particolari e, pertanto, tale contratto può essere stipulato da qualunque soggetto in qualità di parte contraente, sia esso
privato, professionista, esercente attività d’impresa (imprenditori individuali o società).
Anche da un punto di vista oggettivo la
norma non pone preclusioni, riguardando in
modo generico il concetto di immobile, che
può quindi essere abitativo o strumentale,
inclusi i terreni.
Inadempimento e risoluzione
del contratto
In caso di inadempimento si applica l’art. 2932
c.c. in forza del rinvio compiuto dal comma 3
dell’art. 23; pertanto, se colui che è obbligato a
concludere un contratto non adempie l’obbligazione, la parte adempiente potrà chiedere al
giudice una sentenza che produca gli effetti del
contratto non concluso.
Si pensi, ad esempio, all’ipotesi di inadempimento del concedente relativamente
all’obbligo di stipulare il contratto di compravendita alla scadenza del periodo di godimento, nel caso in cui il conduttore abbia
espresso la volontà di esercitare il diritto di
acquisto.
In tale ipotesi, non potendo quest’ultimo acquistare l’immobile, potrà esperire l’azione di esecuzione in forma specifica potendo ottenere
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Bilancio d’esercizio
Il fallimento delle parti
Fallimento del concedente
In caso di fallimento del concedente il contratto prosegue, fatta salva l’applicazione
dell’art. 67, comma 3 lett. c), del R.D.
n. 267/1942 in base al quale è esclusa da
revocatoria la vendita e il preliminare di
vendita trascritti ai sensi dell’art. 2645-bis
c.c., conclusi a giusto prezzo ed aventi ad
oggetto immobili ad uso abitativo destinati
a costituire l’abitazione principale dell’acquirente o di suoi parenti e affini entro il
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
3° grado, ovvero immobili a uso non
abitativo destinati a costituire la sede principale dell’attività d’impresa dell’acquirente.
Fallimento del conduttore
In caso di fallimento del conduttore, si applica
l’art. 72 R.D. n. 267/1942, in base al quale è
rimessa al curatore, con l’autorizzazione del
comitato dei creditori, la valutazione relativa
all’opportunità di continuare il rapporto; se il
curatore si scioglie dal contratto, si applicano
le disposizioni di cui all’art. 72, comma 5 del
R.D. n. 267/1942.
Alcuni aspetti particolari
Secondo l’Associazione italiana dottori commercialisti (2), il contratto denominato rent
to buy produce, ai fini IVA, dell’imposta di
registro e delle imposte dirette, gli effetti
della cessione del bene dal momento della stipula del relativo contratto, ove sia contestualmente convenuto il trasferimento a favore del
locatario/acquirente del pieno possesso e godimento del bene e l’automatico trasferimento,
vincolante per ambedue le parti, del diritto di
proprietà al momento del pagamento integrale
del prezzo.
Ove la clausola di trasferimento della proprietà
al momento dell’integrale pagamento del
prezzo non sia vincolante per entrambe le
parti ma solo per una di esse, gli effetti fiscali
del trasferimento del bene si manifestano successivamente alla stipula del contratto rent to
buy, cioè al momento della formale cessione
del bene. La fattispecie contrattuale prospettata all’Agenzia delle entrate prevede la stipula
di tre negozi giuridici, costituiti da:
• locazione operativa, per i periodi precedenti
l’esercizio dell’opzione di acquisto da parte
del conduttore;
• preliminare di compravendita con obbligo
unilaterale a carico del proprietario/locatore e con facoltà del conduttore di acquistare l’immobile durante o al termine della
locazione;
• vendita, nel momento in cui è eventualmente esercitata l’opzione di acquisto dal
conduttore.
Nota:
(2) Norma di comportamento n. 191/2014.
37
Bilancio&imposte
dal giudice una sentenza produttiva degli
effetti del contratto non concluso, purché
non sia stato inadempiente all’obbligo di corresponsione dei canoni.
Qualora invece, il conduttore opti per il rimedio della risoluzione del contratto per inadempimento ai sensi dell’art. 1453 c.c., l’art. 23, al
comma 5, prevede che il concedente/proprietario, debba restituire al conduttore la quota
parte dei canoni che è stata contrattualmente
imputata al prezzo di vendita, maggiorata degli
interessi legali.
Va sottolineato che il credito del conduttore
gode del privilegio speciale che si origina con
la trascrizione del contratto nei registri
immobiliari.
Nell’opposta ipotesi di inadempimento del
conduttore, qualora il concedente non ritenga
conveniente esperire l’azione esecutiva ai sensi
dell’art. 2932 c.c., specie nel caso in cui quest’ultimo non abbia le risorse finanziarie necessarie all’acquisto dell’immobile oggetto del rent
to buy, questi può optare per la risoluzione del
contratto per inadempimento del conduttore.
In tal caso il concedente/proprietario, ha
diritto alla restituzione dell’immobile ed acquisisce i canoni, per intero, a titolo di indennità,
se non è stato diversamente convenuto nel
contratto.
Una specifica ipotesi di risoluzione del contratto per inadempimento del conduttore è
poi prevista in caso di mancato pagamento,
anche non consecutivo, da parte del medesimo,
di un numero minimo di canoni stabilito dalle
parti al momento della sottoscrizione del contratto e che comunque non deve essere inferiore ad 1/20 del loro numero complessivo, vale
a dire pari al 5% del totale dei canoni.
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
Il preliminare di vendita collegato alla locazione prevede l’obbligo di addivenire alla compravendita dell’immobile esclusivamente a
carico del promittente venditore, laddove,
invece, al promissario acquirente è riconosciuta la mera facoltà di procedere all’acquisto
dello stesso bene.
Ai sensi dell’art. 6, comma 4, del D.P.R.
n. 633/1972, il versamento di acconti di prezzo
rappresenta l’anticipazione del corrispettivo
pattuito e, pertanto, assume rilevanza ai fini
IVA, con il conseguente obbligo per il
promittente venditore di emettere la relativa
fattura con addebito dell’imposta. L’aliquota
applicabile è quella vigente al momento del
pagamento dell’acconto.
La base imponibile relativa alla cessione dell’immobile sarà data dal prezzo della cessione,
così come determinato nel contratto preliminare, al netto degli acconti sul prezzo versati
dal conduttore fino al momento della stipula
del contratto definitivo.
Le altre ipotesi di trasferimento
immobiliare
Le diverse tipologie contrattuali ad oggi presenti sul mercato sono:
• contratto di locazione con opzione di acquisto a titolo gratuito e a titolo oneroso;
• contratto di locazione con patto di futura
vendita;
• vendita con patto di riservato dominio;
• contratto preliminare.
La diversa combinazione contrattuale adottata avrà effetto sulle tutele giuridiche delle
Tavola 1 - Contratto di locazione: disciplina fiscale
Tipologia
Caratteristiche della locazione
IVA
Registro
Imponibile per
Imposta fissa
Locatore impresa di costruzione
o ristrutturazione
Fabbricato
abitativo
Locatore diverso dall’impresa
di costruzione
Locatore soggetto non Iva
opzione (10%)
Esente in assenza
di opzione
2%
Esente
2%
Fuori campo
2%
Imponibile per
opzione (10%)
Fissa
Esente in assenza
di opzione
2%
Fuori campo
2%
Imponibile per
opzione (22%)
1%
Esente in assenza
di opzione
1%
Fuori campo
2%
Chiunque
Alloggi sociali
DM 22.4.2008
Locatore soggetto non Iva
Chiunque
Fabbricati
strumentali
Locatore soggetto non Iva
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Bilancio d’esercizio
Tavola 2 - Contratto di cessione: disciplina fiscale
Iva
Imposta
ipotecaria e
catastale
Condizione
Impresa che ha
costruito il
fabbricato o lo ha
ristrutturato
Cessione
effettuata prima
dell'ultimazione
dei lavori
Imponibile
200 €
200 € ciascuna
Impresa che ha
costruito il
fabbricato o lo ha
ristrutturato
Cessione
effettuata entro
5 anni
dall'ultimazione
dei lavori
Imponibile
200 €
3% ipotecaria
1% catastale
Impresa che ha
costruito il
fabbricato o lo ha
ristrutturato
Cessione
effettuata oltre
5 anni
dall'ultimazione
dei lavori
Imponibile
su opzione;
se acquirente è
soggetto IVA
si applica il
reverse charge
200 €
3% ipotecaria
1% catastale
Soggetti diversi
Il venditore
esercita
nel contratto
l'opzione per
l'imponibilità
Imponibile;
se acquirente è
soggetto IVA
si applica il
reverse charge
200 €
3% ipotecaria
1% catastale
Soggetti diversi
Il venditore non
esercita opzione
per l'imponibilità
IVA
200 €
3% ipotecaria
1% catastale
Esente
parti interessate, sulla contabilizzazione e
rappresentazione in bilancio dell’accadimento aziendale e sulla tassazione diretta
e indiretta.
Contratto di locazione con opzione
di acquisto
Di fronte ad un contratto di locazione con
opzione d’acquisto si è in presenza di un vero
e proprio contratto di locazione, al quale si
innesta un patto di opzione, ex art. 1331 c.c.,
in forza del quale il locatore formula una proposta di vendita al conduttore e si impegna a
mantenerla ferma per un certo periodo di
tempo, con facoltà del conduttore di accettare
o meno tale proposta di vendita entro il tempo
prestabilito.
Se il conduttore accetta la proposta il contratto
di locazione si trasforma in compravendita.
In questa ipotesi, in primo luogo si applica la
disciplina fiscale relativa al contratto di locazione (di cui se ne propone una sintesi nella
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Bilancio&imposte
Imposta di
Registro
Venditore
Tavola 1), e successivamente quella della cessione (Tavola 2).
Pertanto, in sede di pagamento del prezzo di
vendita, si pone il problema, dell’eventuale rilevanza e/o recupero delle imposte corrisposte
sulle somme già pagate nel corso della locazione come i canoni.
Nella fase del godimento dell’immobile il concedente dovrà rilevare i canoni di locazione e
gli acconti sul prezzo, pertanto supponendo
che il canone mensile stabilito tra le parti sia
pari a euro 1.600,00 (non si tiene conto dell’IVA
che può variare in base a diversi requisiti 4%,
10%, 22%) e che, di questa cifra, euro 600,00
rappresentino il canone per il godimento ed
euro 1.000,00 costituiscano anticipi in conto
prezzo, la registrazione contabile sarà la
seguente:
Crediti v/conduttore società x
Fitti attivi
Debiti v/conduttore società x
1.600
600
1.000
39
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
La quota parte relativa all’acconto sul prezzo di
acquisto costituirà, nel corso del godimento,
solo un debito verso il conduttore e diverrà una
componente di reddito esclusivamente al
momento del passaggio di proprietà.
Al contrario il conduttore registrerà un credito
verso il concedente per la quota di godimento
(euro 1.000,00 mese) e i canoni di locazione
passivi per euro 600,00.
Nel momento in cui viene definito il diritto di
acquisto si definirà il passaggio della proprietà
del bene e il concedente dovrà rilevare il sorgere di un componente positivo di reddito, che
avrà la veste di ricavo o plusvalenza, a seconda
che il bene sia un bene merce o un bene
strumentale.
Nel primo caso, cessione di bene merce, supponendo che il prezzo di vendita sia di
200.000,00 euro e che il godimento sia durato
5 anni, occorrerà rilevare:
Crediti v/società x
Debiti v/conduttore società x*
140.000
60.000
Merce c/vendite
200.000
Debito v/conduttore società x
60.000
Sopravvenienza attiva
40.000
Debito v/società x per restituzione acconto
20.000
In caso di risoluzione per inadempimento del
concedente questi dovrà restituire l’intero
ammontare del canone oltre gli interessi legali:
Interessi passivi
60.000
Debito v/conduttore società x
600
Debito v/società x per restituzione acconto
v/conduttore società x
60.600
Nel caso invece di risoluzione per inadempimento del conduttore la norma prevede che il
conduttore potrà trattenere per intero (se non
diversamente stabilito nel contratto), l’ammontare dei canoni ricevuti quale acconto
prezzo. La registrazione contabile sarà:
* 1.000 x 12 mesi x 5 anni
Debito v/conduttore società x
Nel secondo caso, bene strumentale, riprendendo le cifre dell’esempio precedente, si
rileverà la plusvalenza sulla cessione dell’immobile come differenza tra il prezzo di cessione e il costo dell’immobile determinato ex
comma 2, art. 86 del T.U.I.R. (si supponga, nel
caso in esame, pari a 55.000,00):
Crediti v/società x
Debiti v/conduttore società x
Plusvalenza
Immobilizzazione
140.000
60.000
145.000
55.000
Di contro il conduttore iscriverà nel proprio
Stato Patrimoniale, tra le immobilizzazioni
materiali, il fabbricato acquisito.
Nell’ipotesi poi di mancato acquisto per
volontà del conduttore, si rileverà come componente positivo di reddito la quota dei canoni
versata in acconto e trattenuta (si supponga
pari a 40.000,00):
40
Sopravvenienza attiva
60.000
60.000
Contratto di vendita con riserva di proprietà
La fattispecie in esame è disciplinata dagli artt.
1523 ss. c.c.
La natura giuridica dell’istituto in parola è
discussa. Secondo una prima tesi, si è in presenza di un negozio sottoposto alla condizione
sospensiva dell’integrale pagamento del
prezzo da parte del compratore. Secondo un’altra opinione, l’acquirente acquista la proprietà
del bene sin dal momento della conclusione del
contratto, mentre il venditore resta soltanto
titolare di un diritto di garanzia.
L’opinione prevalente ritiene che l’istituto in
oggetto rientri nelle ipotesi di vendita obbligatoria, trattandosi, in particolare, di un negozio
con effetti obbligatori immediati e con effetti
reali differiti.
Gli effetti obbligatori immediati consistono, da
parte del venditore, nell’anticipato adempimento dell’obbligo di consegna del bene, e, da
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Bilancio d’esercizio
Crediti v/clienti
189.100
Immobile (valore contabile
residuo)
105.350
Plusvalenza da alienazione
49.650
IVA c/vendite
34.100
• Incasso della rata
Banca c/c ordinario
9.455
Crediti v/clienti
9.455
• Emessa fattura cliente per cessione di bene
merce, con incasso dilazionato in 20 rate
Crediti v/clienti
Merci c/vendite
IVA c/vendite
189.100
155.000
34.100
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
• Incasso della rata
Banca c/c ordinario
Crediti v/clienti
9.455
9.455
Contratto di locazione con patto di futura
vendita
È questa una tipologia contrattuale non espressamente contemplata dal nostro ordinamento
giuridico, a meno che non si faccia riferimento
al disposto di cui all’ultimo comma dell’art.
1526 c.c., relativo alla risoluzione del contratto
di vendita con riserva di proprietà, ai sensi del
quale “la stessa disposizione si applica nel caso
in cui il contratto sia configurato come locazione, e sia convenuto che, al termine di esso, la
proprietà della cosa sia acquisita al conduttore
per effetto del pagamento dei canoni pattuiti”.
La fattispecie in esame si configura come un
contratto nel quale si paga un corrispettivo
periodico per il godimento di un bene, con
successivo ed automatico acquisto dello stesso
bene in coincidenza con il momento in cui si
verifica il pagamento dell’ultima frazione di
corrispettivo.
L’opinione prevalente in dottrina ritiene che si
è in presenza di un unico contratto, nello specifico del contratto di compravendita con
riserva di proprietà piuttosto che del contratto
di locazione, in considerazione sia della causa
del contratto, sia dell’intento delle parti, che,
sin dal momento della stipula del contratto
medesimo, si prefiggono l’intento di trasferire
la proprietà una volta che siano stati pagati
tutti i corrispettivi periodici pattuiti.
Le parti, quindi, nella fattispecie in parola,
concepiscono principalmente l’erogazione
periodica dei canoni non tanto quali canoni
di locazione, bensì quale corrispettivo rateale
del prezzo, fermo restando che il trasferimento
del diritto di proprietà potrà aversi solo al
momento in cui l’intero corrispettivo sia stato
pagato.
Le scritture contabili del concedente saranno
le medesime del contratto di vendita con
riserva di proprietà ma nel caso della locazione
la fattura comprenderà una parte di costo relativo all’immediato utilizzo del bene.
Contratto preliminare
Il contratto preliminare è un contratto con il
quale le parti si obbligano reciprocamente alla
41
Bilancio&imposte
parte del compratore, nell’obbligo del pagamento del prezzo.
L’effetto reale del contratto è differito al
momento in cui si avrà il pagamento dell’ultima rata di prezzo.
La particolarità dell’istituto in esame è quindi
costituita dal fatto che il venditore resta proprietario del bene sino a che l’acquirente non
avrà assolto integralmente l’obbligo relativo al
pagamento del prezzo, e che l’acquirente
acquista immediatamente il potere di disposizione dello stesso bene sopportando tutti i
rischi relativi al perimento dello stesso.
Se alle scadenze pattuite, il compratore non
paga le rate del prezzo, il venditore può ottenere la risoluzione del contratto. Non può però
ottenerla per il mancato pagamento di una sola
rata che non superi l’ottava parte del prezzo,
nonostante ogni patto contrario. Risolto il contratto il venditore esigerà la restituzione della
cosa, ma dovrà a sua volta restituire le rate già
riscosse, salvo il diritto a trattenerne una quota
a titolo di compenso per l’uso che il compratore
ha fatto della cosa.
Le scritture contabili del concedente nel caso di
locazione e/o cessione di bene strumentale con
incasso dilazionato saranno le medesime, con
l’unica differenza che nel caso della locazione
la fattura comprenderà una parte di costo relativo all’immediato utilizzo del bene; nello
specifico:
• Emessa fattura cliente per cessione di
bene strumentale, con incasso dilazionato
in 20 rate
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Bilancio d’esercizio
Bilancio&imposte
stipula di un successivo contratto definitivo di
cui indicano da subito i contenuti e gli aspetti
essenziali.
Il preliminare deve rivestire forma scritta e,
indipendentemente da quella in concreto adottata (scrittura privata, scrittura privata autenticata o atto pubblico), è soggetto a
registrazione in termine fisso, entro 20 giorni
dalla stipula o dalla formazione o autentica.
Se redatto per atto pubblico o scrittura privata
autenticata, il contratto deve essere trascritto
ed in questo caso è soggetto ad imposta ipotecaria in misura fissa (euro 200,00), anche
quando è relativo alla cessione o alla costituzione di altri diritti reali sugli immobili.
L’imposta di registro è dovuta in maniera proporzionale o fissa a seconda che siano o meno
dovute delle somme a titolo di caparra, caparra
confirmatoria o acconto e a seconda che queste
somme siano imponibili IVA o meno.
La dazione anticipata di una somma di denaro
al momento della conclusione del preliminare,
costituisce caparra confirmatoria qualora
risulti che le parti abbiano inteso attribuire al
versamento non solo la funzione di anticipazione della prestazione, ma anche quella di
rafforzamento e garanzia dell’esecuzione dell’obbligazione contrattuale, costituendo la
caparra funzione di liquidazione convenzionale del danno da inadempimento.
Nel caso in cui è dubbia l’intenzione delle parti,
le somme versate anteriormente alla stipula
dell’atto definitivo devono ritenersi corrisposte
a titolo di acconto.
Pertanto, qualora il preliminare preveda il versamento di una somma di denaro mediante
imputazione al prezzo, a titolo sia di caparra
confirmatoria che di acconto, la somma
assumerà la natura di acconto di prezzo. La
fiscalità applicabile all’istituto del contratto
preliminare è equiparabile a quella della cessione evidenziata nella Tavola 2.
In conclusione si vogliono analizzare le due
ipotesi di rent to buy trattate nell’articolo
ricorrendo anche ad un’esemplificazione
contabile.
Contratto di rent to buy con vincolo
di trasferimento obbligatorio
per entrambe le parti
Tale ipotesi comporta il trasferimento della
proprietà in modo automatico, senza
42
necessità di un ulteriore atto di consenso.
Dal punto di vista degli effetti contrattuali, il
diritto di proprietà rimane nella sfera giuridica del locatore, fino al momento dell’effettivo suo trasferimento, all’avverarsi della
condizione determinata dal pagamento integrale del corrispettivo di vendita, composto
dai canoni periodici e dal corrispettivo
finale.
Dal punto di vista degli effetti fiscali, l’effetto economico del trasferimento della
proprietà s’intende anticipato al momento
della stipula del contratto di locazione, considerando che tale fattispecie contrattuale è
disciplinata in modo univoco ai fini IVA,
dell’imposta di registro e delle imposte
dirette.
Ai fini fiscali inoltre, non si tiene conto delle
clausole di riserva della proprietà: quindi, la
cessione produce effetti sin dal momento della
stipula del contratto di locazione con clausola
di trasferimento della proprietà vincolante per
ambedue le parti.
I medesimi effetti fiscali si manifestano nel
caso del contratto preliminare ad effetti
anticipati, quando le pattuizioni nello
stesso convenute prevedono, in modo vincolante per ambedue le parti, sia l’immissione immediata del promittente acquirente
nel pieno possesso e nel godimento del
bene, come ne fosse proprietario, sia il
pagamento del saldo prezzo al momento
della stipula dell’atto notarile di compravendita, senza la previsione di condizioni
contrattuali causali che ne determinino
l’esecuzione.
Esempio
L’impresa costruttrice FATA S.r.l. concede in
godimento al Sig. F.C. un immobile nuovo
come prima casa mediante contratto rent
to buy.
Il contratto ha durata di 6 anni, con 72 rate
mensili di euro 1.000,00 ciascuna, da computare in acconto sul prezzo con vincolo per
entrambe le parti.
Il prezzo dell’immobile al momento del riscatto
è fissato pari a euro 180.000,00.
Il corrispettivo finale è pari a euro 108.000,00 =
[180.000 - (1.000 x 72)].
Il contratto decorre dal 1° gennaio 2016.
Sulla base di tali presupposti, si avranno le
seguenti scritture contabili.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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• Stipula contratto con vincolo d’acquisto
Cliente F.C.
187.200
Ricavi cessione immobile
180.000
IVA a debito (4%)
7.200
• Incasso canone mensile (euro 1.000+
IVA 4%)
Banca x c/c
1.040
Cliente F.C.
1.040
• Incasso corrispettivo finale (euro 108.000+
IVA 4%)
Banca x c/c
Cliente F.C.
112.320
Il contratto ha durata di 6 anni, con 72 rate
mensili di euro 1.000, di cui euro 500,00 in
conto godimento e euro 500,00 in acconto sul
prezzo, senza vincolo per le parti.
Il prezzo dell’immobile al momento del riscatto
è fissato pari a euro 180.000,00.
Il contratto decorre dal 1° gennaio 2016.
Sulla base di tali presupposti, si avranno le
seguenti scritture contabili.
• Emessa fattura per godimento immobile e
acconto sul prezzo
Cliente F.C.
1.100
Canoni di locazioni (3)
500
Canoni in acconto (4)
500
IVA a debito (10%)
100
112.320
• Incassata fattura
Banca x c/c
Contratto di rent to buy con patto
di futura vendita non vincolante
per ambedue le parti
Le parti stabiliscono che la clausola di successivo trasferimento della proprietà del bene sia
vincolante non per entrambe ma per una sola
di esse, generalmente individuata nel locatore/
cedente.
Il trasferimento non diviene rilevante in ogni
caso nel momento della stipula del contratto
ma successivamente, ossia nel momento in cui
l’opzione per l’acquisto (o per la vendita) è
esercitata.
Oltre all’opzione dell’acquisto (o della vendita), le parti possono preventivamente
accordarsi riguardo alla determinazione
del corrispettivo della successiva cessione,
prevedendo che le somme versate dal locatario al locatore durante il periodo di locazione siano considerate, in tutto o in parte,
come quota del corrispettivo dovuto in caso
di esercizio dell’opzione di acquisto (o di
vendita).
Esempio
L’impresa costruttrice FATA S.r.l. concede in
godimento al Sig. F.C. un immobile nuovo
come prima casa mediante contratto rent to buy.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
1.100
Cliente F.C.
1.100
• Riscatto dell’immobile
Cliente F.C.
Canoni in acconto (5)
149.760
36.000
Ricavi cessione immobile
180.000
IVA a debito (4%) (6)
5.760
• Nota di accredito per rettifica diminuzione
IVA (7)
IVA a debito (4%)
2.160
Cliente F.C.
2.160
• Incasso a seguito dell’opzione d’acquisto
dell’immobile
Banca x c/c
Cliente F.C.
147.600
147.600
Note:
(3) La quota dei canoni potrebbe essere esente da IVA per
obbligo e/o per facoltà.
(4) Canoni in acconto sul prezzo fatturati e incassati: euro 500
x 72 = 36.000.
(5) Si veda nota 3.
(6) Riscatto con ipotesi di opzione IVA: (180.000 - 36.000) x 4% =
5.760.
(7) Dal 10% al 4% [500 x 72 x (10%-4%)].
43
Bilancio&imposte
Bilancio d’esercizio
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IAS/IFRS
Tutte le novità attese
dallo IASB
di Antonella Portalupi (*)
Principi contabili
L’intensa attività di aggiornamento dei principi contabili internazionali è una caratteristica che
contraddistingue lo IASB: nel corso del 2016 sono state introdotte numerose novità nel campo degli
IFRS e i progetti attesi potranno comportare novità rilevanti per i prepares. La maggior parte delle
novità entrerà in vigore a partire dal 2017 ma le imprese non possono aspettare l’entrata in vigore
obbligatoria dei nuovi principi contabili, ma devono invece già essere parte attiva nel valutare gli
impatti delle novità attese. Le modifiche più rilevanti deriveranno dai due nuovi standard sui leasing
(IFRS 16) e sulla rilevazione dei ricavi (IFRS 15), ma anche gli emendamenti ad alcuni principi contabili
potrebbero comportare impatti significativi nella predisposizione dei prossimi bilanci e nella
rappresentazione delle performances economico-finanziarie.
Data di entrata in vigore dell’IFRS 15
L’IFRS 15, “Revenue from contracts with customers” è uno dei più recenti principi contabili
emessi dallo IASB ed è il risultato di un lavoro
congiunto tra lo IASB e il FASB che è durato un
periodo di tempo piuttosto lungo. L’area relativa ai ricavi è stata oggetto di analisi da parte
dello IASB e del FASB e, già dal 2006, è stato
uno dei temi prioritari del progetto di convergenza IFRS/US GAAP per eliminare le differenze tra i due framework contabili e per
emettere un nuovo principio contabile che
disciplinasse in modo unitario il riconoscimento dei ricavi in bilancio.
Il nuovo standard ha sostituito lo IAS 18
“Ricavi”, lo IAS 11 “Contratti di costruzione”,
l’IFRIC 13 “Programmi di fidelizzazione della
clientela”, IFRIC 15 “Accordi per la costruzione di immobili” e l’IFRIC 18 “Cessioni di
attività da parte della clientela”.
Il principio sarà applicabile in Europa dopo
l’omologazione, e cioè quando sarà ottenuto
il via libera da parte della Commissione
Europea e il nuovo principio, tradotto in tutte
le lingue dell’Unione, sarà pubblicato con
Regolamento sulla Gazzetta Ufficiale Europea.
In merito alla data di entrata in vigore, tuttavia,
i tempi si sono allungati rispetto alle dichiarazioni iniziali da parte dello IASB, che in un
primo momento, aveva rilasciato il documento
con una data prevista di entrata in vigore
44
“obbligatoria” a partire dagli esercizi amministrativi con inizio il 1° gennaio 2017. Tuttavia,
anche in considerazione dei rilevanti impatti
che le imprese hanno segnalato allo IASB a
seguito delle nuove norme di rappresentazione
dei ricavi, il Board ha modificato la data di
entrata in vigore delle nuove norme. A settembre 2015 è stato pubblicato un amendment
all’IFRS 15 con il quale lo IASB ha differito di
un anno l’“effective date” del nuovo principio.
Pertanto l’IFRS 15 dovrebbe entrare in vigore a
partire dagli esercizi amministrativi che inizieranno dal 1° gennaio 2018, sempre che la
Commissione Europea omologhi lo standard
entro i tempi previsti.
L’IFRS 15 si basa su di un modello di rilevazione dei ricavi che cambia l’approccio rispetto
al passato, perché il principio di base contenuto nel nuovo standard per la rilevazione dei
ricavi fa riferimento all’individuazione delle
obbligazioni contrattuali contenute nel contratto e al momento nel quale ogni obbligazione è soddisfatta. Pertanto, l’IFRS 15 non
opera una distinzione tra le diverse tipologie
di beni o servizi resi ma considera esclusivamente il fatto che l’obbligazione nei confronti
del cliente sia resa in un determinato momento
piuttosto che nel corso del tempo.
Nota:
(*) Dottore commercialista e revisore contabile
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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In linea di principio il ricavo viene rilevato
quando un bene o un servizio è trasferito ad
un cliente; da un punto di vista pratico si pone
l’accento sulla nozione di “controllo”, che sostituisce il principio dello IAS 18 che invece
poneva l’accento sui rischi e benefici relativi
alla prestazione per definire se il ricavo dovesse
essere rilevato. Nello IFRS 15 si fa riferimento
ai rischi e ai benefici ma solo come possibili
indicatori di un passaggio del controllo.
Uno dei più significativi cambiamenti è dato
dal fatto che l’IFRS 15 include una guida applicativa molto estesa e pratica; ad esempio fornisce dettagli ed esempi relativi agli accordi
multipli, alle variabili del prezzo ed include
una specifica guida sulle regole di contabilizzazione delle licenze.
Il nuovo framework di riferimento
per i leasing
In data 13 gennaio 2016 lo IASB ha pubblicato
il nuovo principio contabile IFRS 16 “Leasing”
(1) che entrerà in vigore a partire dai bilanci
che inizieranno il 1° gennaio 2019. Il nuovo
principio sostituisce lo IAS 17 e modifica in
maniera rilevante le modalità di rappresentazione in bilancio dei contratti di affitto e di
locazione.
La nuova definizione di “lease” contenuta
nell’IFRS 16 individua il contratto o una
parte di un contratto che esprime il diritto
d’uso di un’attività per un periodo di tempo
in cambio di un corrispettivo. Con questa
nuova definizione il Board sposta il punto di
vista dei contratti di locazione verso il “diritto
di utilizzo del bene” introducendo un rilevante
cambiamento rispetto al passato. Infatti, d’ora
in poi i contratti di affitto non saranno più
rappresentati valutando il bene oggetto di locazione; l’elemento rilevante nella rappresentazione dei leasing sarà invece il “diritto di
utilizzo” del bene, a prescindere dalla durata
del contratto. In questo modo sparisce la
distinzione tra “leasing finanziari” o e “leasing
operativo”. In realtà il Board ha cambiato in
modo rilevante la disciplina di rappresentazione per gli utilizzatori, mentre ha apportato
delle modifiche minori alla rappresentazione
dei contratti di locazione per i locatori.
L’IFRS 16, infatti, introduce un unico modello
contabile per il locatario: il nuovo principio
supera l’attuale impostazione dello IAS 17 e
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
non fa distinzione tra un leasing operativo e
un leasing finanziario. Il locatario infatti deve
rappresentare in bilancio il diritto di utilizzo
dell’attività, con una valutazione corrente del
valore d’uso. Il nuovo standard, dunque, è
basato sui presupposti generali per l’iscrizione
di un’attività: il “controllo” e l’identificabilità.
Con riferimento al controllo, l’IFRS 16 contiene le linee guida applicabile ai contratti
di locazione: un bene è controllato quando
se ne ha la “direzione dell’uso”, intesa come
“gestione operativa del bene” e quando si è
in grado di ottenere i benefici derivanti
dall’uso.
Con riferimento all’identificabilità dell’attività,
generalmente nel contratto è individuabile in
modo facile il bene o l’attività soggetta al diritto
d’uso: l’IFRS 16 chiarisce che anche qualora
l’attività fosse implicita nel contratto è necessario utilizzare il giudizio del management per
l’identificazione. Tuttavia queste non sono presunzioni assolute: anche se specificata in un
contratto, un’attività non è da considerarsi identificata se esiste un diritto di sostituzione
sostanziale nel periodo contrattuale.
Pertanto, secondo il Board, si devono tenere in
considerazione:
• la capacità pratica di sostituire l’asset;
• il beneficio economico per il locatore derivante dalla sostituzione.
Sulla base di tali presupposti sono esclusi dall’ambito di applicazione dell’IFRS 16:
• i leasing di valore non significativo;
• i leasing di durata pari o inferiore a 12 mesi.
Il nuovo standard si applicherà a partire dal
1° gennaio 2019, ma solo dopo l’omologazione dell’Unione europea. È consentita
un’applicazione anticipata per le entità che
applicano anche l’IFRS 15 Revenue from
Contracts with Customers.
IAS 12 - Income Taxes: Recognition
of Deferred Tax Assets for
Unrealised Losses
Dopo la modifica allo IAS 12 tramite l’amendment omologato con il Reg. 1255/2102 che prevedeva l’entrata in vigore a partire dai bilanci
Nota:
(1) Si veda a cura dello stesso autore “IFRS 16: Leasing”, in
questa Rivista, n. 4/2016 e “IFRS 16: gli impatti sui bilanci dei
locatari”, in questa Rivista, n. 5/2016.
45
Principi contabili
IAS/IFRS
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IAS/IFRS
Principi contabili
degli esercizi che avevano avuto inizio dal 1°
gennaio 2012, l’IFRIC aveva sollecitato il Board
di fornire ulteriori chiarimenti, per tenere in
considerazione i 68 commenti ricevuti dagli
osservatori internazionali. In particolare
l’IFRIC chiedeva di aggiungere degli esempi
illustrativi, soprattutto per spiegare quali elementi sono da tenere in considerazione
quando la società, per iscrivere un credito per
imposte anticipate in bilancio, ritiene probabile che il valore recuperabile di un bene sia
maggiore del suo valore contabile.
Quando nel 2012 il Board aveva aggiunto i
paragrafi 51 A-E allo IAS 12 aveva chiarito
che quando il valore ai fini fiscali di
un’attività o di una passività non è immediatamente evidente, la società può rilevare una
passività (attività) fiscale differita se il recupero o l’estinzione del valore contabile di
un’attività o di una passività incrementa
(riduce) i pagamenti di imposte futuri rispetto
a quelli che si sarebbero verificati se tale recupero o estinzione non avesse avuto effetti
fiscali.
A marzo 2015 l’IFRIC chiedeva tuttavia che:
• l’esempio illustrativo del paragrafo 26.d
doveva essere accorciato chiarendo anche
come identificare la base imponibile;
• l’applicazione retroattiva del principio fosse
limitata, perché erano state segnalate
alcune evidenti criticità per le somme che
successivamente devono essere riciclate ad
Other Comprehensive Income (OCI) nei
periodi successivi;
• era necessario rivedere l’orientamento proposto in materia di recupero di un bene per
più del suo valore di carico;
• cosa si intendeva per “reddito imponibile
escluse le detrazioni fiscali”. Questo indicatore, richiesto dallo IAS 12, è quello da utilizzare per valutare l’utilizzo delle differenze
temporanee attive. L’IFRIC richiedeva di
spiegare se si trattava del reddito imponibile
sul quale si conteggiano le imposte oppure no;
• venisse chiarito come contabilizzare le
imposte differite attive relative agli strumenti di debito misurati a fair value.
A luglio 2015 il Board dello IASB decise:
• che non era necessario una riesposizione
del precedente amendment perché i contenuti restano validi e facilmente applicabili;
• di emettere uno specifico amendment per
chiarire il trattamento delle imposte
46
differite attive relative agli strumenti di
debito valutati a fair value;
• di definire la data di entrata in vigore al
1° gennaio 2017.
Il 12 gennaio 2016 lo IASB ha emesso un emendamento allo IAS 12 che chiarisce come contabilizzare le imposte differite attive relative agli
strumenti di debito valutati al fair value. Lo IAS
12 fornisce i requisiti per il riconoscimento e la
misurazione delle passività o delle attività per
imposte correnti e differite e l’emendamento
chiarisce i requisiti in materia di riconoscimento di imposte differite attive per perdite
non realizzate.
Il nuovo amendment entra in vigore a partire
dagli esercizi che hanno inizio dal 1° gennaio
2017 (anche se è consentita l’applicazione anticipata), ma solo dopo l’omologazione
dell’Unione europea.
Annual improvement 2012-2014
Le modifiche contenute nel ciclo di miglioramenti 2012-2014 ai principi contabili esistenti
sono le seguenti:
• IFRS 5: chiarisce che quando un’attività
non corrente (o gruppo in dismissione)
viene riclassificata da “posseduta per la vendita” (IFRS 5 paragrafi 7-9) a “posseduta per
la distribuzione” (IFRS 5 paragrafo 12A) o
viceversa, questa riclassifica non costituisce
una modifica ad un piano di vendita o di
distribuzione. Inoltre è stato chiarito che i
principi dell’IFRS 5 sulle variazioni ad un
piano di vendita, si applicano ad un’attività
(o gruppo in dismissione) che cessa di essere
“posseduta per la distribuzione”, ma non è
riclassificata come “posseduta per la
vendita”;
• IFRS 7 “Service contracts”: se un’entità trasferisce un’attività finanziaria a terzi e vengono rispettate le condizioni dello IAS 39
per l’eliminazione contabile dell’attività, la
modifica all’IFRS 7 richiede che venga fornita informativa sull’eventuale coinvolgimento residuo che l’entità potrebbe
ancora avere in relazione all’attività trasferita. In particolare, la modifica fornisce
indicazioni su cosa si intende per “coinvolgimento residuo” ed aggiunge una guida
specifica per aiutare la direzione aziendale
a determinare se i termini di un accordo per
la prestazione di servizi che riguardano
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l’attività trasferita, determinano oppure no
un coinvolgimento residuo;
• IFRS 7 “Interim financial statements”: si
chiarisce che l’informativa richiesta dalla
precedente modifica all’IFRS 7 “Disclosure
- Offsetting financial assets and financial liabilities” non deve essere fornita nei bilanci
intermedi a meno che non sia espressamente richiesta dallo IAS 34;
• IAS 19: il principio richiede che il tasso di
sconto per attualizzare le obbligazioni per
benefici successivi al rapporto di lavoro,
deve essere determinato con riferimento ai
rendimenti di mercato dei titoli obbligazionari di aziende primarie e nei Paesi dove
non esiste un “mercato spesso” (deep market) di tali titoli devono essere utilizzati i
rendimenti di mercato dei titoli di enti pubblici. La modifica stabilisce che nel valutare
se vi è un “mercato spesso” di obbligazioni
di aziende primarie, occorre considerare il
mercato a livello di valuta e non a livello di
singolo Paese;
• IAS 34: la modifica chiarisce il concetto di
informativa illustrata “altrove nel bilancio
intermedio”.
Il ciclo di miglioramenti è entrato in vigore
per gli esercizi amministrativi iniziati dal
1° gennaio 2016 ed è stato omologato
dall’Unione Europea con il Reg. 2343/2015.
Amendment allo IAS 1 - Presentation
of financial statements
on the disclosure initiative
Le novità contenute nell’amendment riguardano, da un lato come considerare “completa”
l’informazione fornita da un bilancio redatto ai
sensi dello IAS 1 e, dall’altro, che tipo di informazioni qualitative sono considerate minime
per una corretta rappresentazione dei fatti
intervenuti in un esercizio. L’amendment precisa che con riferimento alla “classe rilevanti di
voci simili” si devono presentare distintamente
anche le voci di natura o destinazione dissimile
a meno che queste non siano irrilevanti.
L’emendamento inoltre modifica le richieste di
informazioni aggiuntive per la Sezione delle
altre componenti di Conto Economico complessivo. Ora il paragrafo 82A dello IAS 1
richiede esplicitamente di indicare anche la
quota di OCI di pertinenza di società collegate
e joint venture contabilizzate con il metodo del
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patrimonio netto, indicando anche per questi
ammontari quali saranno o non saranno successivamente riclassificati nell’utile (perdita)
d’esercizio.
Infine con riferimento alle disclosure generali,
le novità riguardano le seguenti informazioni:
• le note devono presentare le informazioni
sui criteri di redazione del bilancio e i
principi contabili specifici utilizzati indicando anche le informazioni richieste
dagli IFRS che non sono presentate altrove
nel bilancio;
• l’entità deve, nei limiti del possibile, presentare le note in modo sistematico. Nel determinare un modo sistematico, l’entità deve
valutare l’effetto sulla comprensibilità e la
comparabilità del suo bilancio;
• l’entità deve indicare i propri principi contabili rilevanti, tra cui il criterio base di
valutazione adottato nella preparazione
del bilancio e gli altri principi contabili
utilizzati che sono rilevanti per la comprensione del bilancio. Nel decidere se
uno specifico principio contabile debba
essere illustrato, la direzione aziendale
considera se tale informativa aiuterebbe
gli utilizzatori nel comprendere come le
operazioni, altri fatti e condizioni sono
riflessi nella rappresentazione del risultato
economico e della situazione patrimoniale-finanziaria.
• unitamente ai principi contabili rilevanti o
ad altre note, l’entità deve indicare le decisioni, ad eccezione di quelle che riguardano
le stime, che la direzione aziendale ha
assunto durante il processo di applicazione
dei principi contabili dell’entità che hanno
gli effetti più significativi sugli importi rilevati in bilancio.
Il progetto è stato omologato con Regolamento
2015/2406 del 18 dicembre 2015 ed è entrato in
vigore per i bilanci degli esercizi amministrativi iniziati dal 1° gennaio 2016.
Disclosure Initiative: amendment
allo IAS 7
Nell’ambito del progetto di miglioramento
delle disclosure del bilancio il Board ha pubblicato a gennaio 2016 un emendamento allo IAS
7 “Rendiconto finanziario”. Il documento
richiede di fornire delle specifiche disclosures
per consentire agli utilizzatori del bilancio di
47
Principi contabili
IAS/IFRS
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IAS/IFRS
Principi contabili
valutare i cambiamenti nelle passività che derivano dalle attività di finanziamento. Pertanto è
richiesto di indicare nelle note al bilancio:
• i cambiamenti nelle passività per finanziare
i flussi di cassa;
• i cambiamenti nelle passività che derivano
dall’ottenimento o dalla perdita di controllo
di controllate o di altri business;
• l’effetto dei cambiamenti dei tassi di cambio;
• i cambiamenti di fair value.
Le passività che derivano dall’attività di finanziamento sono quelle passività relative ai flussi
di cassa che sono state (o saranno in futuro)
classificate come “attività di finanziamento”
nel rendiconto finanziario redatto ai sensi
dello IAS 7. Le disclosure richieste dall’emendamento riguardano tuttavia anche quelle
attività finanziarie, per esempio attività che
coprono passività derivanti da attività di finanziamento, se i cash flow di tali attività finanziarie sono state (o lo saranno in futuro)
classificate
nei
cash
flow
derivanti
dall’attività di finanziamento.
L’emendamento non è ancora stato omologato: il Board ha previsto che entrerà in vigore
per i bilanci degli esercizi amministrativi che
inizieranno dal 1° gennaio 2017.
I progetti attesi
Il work-plan dello IASB prevede una serie di
nuovi progetti ai quali il Board sta lavorando e
che potrebbero in futuro cambiare il panorama
di riferimento per taluni settori.
Entro la fine del 2016 è prevista la pubblicazione di due nuovi principi contabili:
• Insurance contracts. Si tratta di un progetto
dedicato agli operatori del settore delle
assicurazioni che dà risposte operative
alle incertezze nelle obbligazioni a lungo
termine. Attualmente la contabilizzazione
dei contratti assicurativi non consente agli
stakeholder di comprendere la posizione
finanziaria dell’assicurazione, le performance realizzate e la copertura dei rischi.
Lo IASB pubblicò una prima versione dell’exposure draft del nuovo principio contabile il 30 novembre 2010 ed un secondo
exposure draft il 30 giugno 2013. A febbraio
2016 il Board ha pubblicato il documento
finale nel quale riassume il due process per
la realizzazione del principio contabile e si
48
aspetta di pubblicare il nuovo principio
contabile entro la fine del 2016;
• Conceptual framework. Il “quadro normativo di riferimento” dello IASB contiene gli
obiettivi del bilancio, le caratteristiche
qualitative che determinano l’utilità delle
informazioni contenute nel bilancio e i
postulati generali per la predisposizione
di un’informativa finanziaria di qualità.
Il framework è stato oggetto di un rilevante
lavoro di rivisitazione da parte del Board
per migliorare la presentazione del bilancio e predisporre un fascicolo con una
completa informazione economico-finanziaria. Il discussion paper fu pubblicato a
gennaio 2014 ed ottenne numerosi consensi dagli osservatori. L’exposure draft è
stato pubblicato il 28 maggio 2015 e a giugno 2016 il Board ha condotto una serie di
incontri con diversi stakeholder per presentare le novità contenute nel nuovo
documento. Ufficialmente lo IASB ha
dichiarato che si aspetta di pubblicare il
nuovo standard entro la fine del 2016.
Attualmente il Board è impegnato anche in altri
progetti, che sono in una fase meno avanzata
nella stesura dei principi contabili. I
Discussion paper che il Board ha pubblicato
già da qualche tempo e che sono disponibili
sul sito dello IASB (2) sono:
• Financial Instruments: Accounting for
Dynamic Risk Management: a Portfolio
Revaluation Approach to Macro Hedging;
• Rate-regulated Activities: Rate Regulation;
• Principles of Disclosure.
Nota:
(2) Cfr. www.ifrs.org.
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Crisi d’impresa
di Raffaella Argenzio (*)
Lo scritto affronta, prendendo le mosse da un studio pubblicato dal Consiglio Nazionale del
Notariato, il tema dei rapporti tra l’accertamento della causa di scioglimento per impossibilità di
conseguimento dell’oggetto sociale e lo stato di crisi della società ed, in particolare, se le difficoltà
economiche, più o meno gravi, in cui versi la società, possano integrare un’ipotesi di impossibilità di
conseguimento dell’oggetto sociale rilevante ai fini della configurabilità della causa di scioglimento
prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.
Accertamento delle cause
di scioglimento: atto prodromico
alla messa in liquidazione e alla
cancellazione delle società di capitali
La cancellazione delle società di capitali costituisce l’atto finale del procedimento di
liquidazione.
Ai sensi dell’art. 2495 c.c., approvato il bilancio
finale di liquidazione, gli amministratori
devono richiedere al Registro delle Imprese la
cancellazione della società.
Prodromico alla cancellazione è lo svolgimento della fase di liquidazione, la quale, a
sua volta, è preceduta dallo scioglimento
della società, in presenza di una delle ipotesi
indicate dall’art. 2484 c.c.
L’accertamento della sussistenza di una causa
di scioglimento è demandata all’organo amministrativo, il quale, ai sensi dell’art. 2485 c.c.,
deve senza indugio prenderne atto ed iscrivere
presso il Registro delle Imprese la relativa
dichiarazione (1).
La violazione di tale obbligo, da parte degli
amministratori, ne determina responsabilità
solidale e personale verso i soci, i creditori ed
i terzi.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
Impossibilità di conseguimento
dell’oggetto sociale quale causa
di scioglimento
Tra le cause di scioglimento delle società di
capitali, così come delle società di persone, è
previsto il conseguimento o la sopravvenuta
l’impossibilità di conseguimento dell’oggetto
sociale (2).
È stata di recente oggetto di attenzione la questione della configurabilità dello stato di crisi
Note:
(*) Avvocato in Napoli - Studio Astolfo Di Amato e Ass.ti
(1) L’obbligo di accertamento della causa di scioglimento è
escluso solo nell’ipotesi prevista dal n. 6 dell’art. 2484, comma 1,
c.c., laddove prevede la deliberazione assembleare quale
causa di scioglimento. In tal caso non vi è un obbligo di
accertamento, ma esclusivamente quello di deposito della
deliberazione assembleare presso il Registro delle Imprese.
(2) In particolare, l’art. 2484, comma 1, prevede che le società
per azioni, in accomandita per azioni e a responsabilità limitata si sciolgono: (…); 2) per il conseguimento dell’oggetto
sociale o per la sopravvenuta impossibilità di conseguirlo,
salvo che l’assemblea, all’uopo convocata senza indugio,
non deliberi le opportune modifiche statutarie. Analoga
previsione è prevista per le società di persone dall’art. 2.
Analoga previsione è prevista per le società di persone
dall’art. 2272 c.c.
49
Aspetti societari
Società di capitali: stato
di crisi e impossibilità
di conseguimento
dell’oggetto sociale
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Crisi d’impresa
Aspetti societari
economica, in cui versi una società, quale
impossibilità di conseguire l’oggetto sociale,
con l’adozione dei provvedimenti di cui agli
artt. 2484 c.c. e, dunque, sulla legittimità
della cancellazione della società disposta proprio in ragione della sussistenza di una delibera che accerti, quale causa di scioglimento la
crisi dell’ente, lo stato di crisi (3).
Per affrontare la questione occorre prendere le
mosse da una disamina della causa di scioglimento prevista dall’art. 2482 c.c., la quale fa
espresso riferimento alla nozione di “oggetto
sociale”, onde verificare se lo stato di crisi, da
intendersi comprensivo anche dello stato di
insolvenza, possa costituire il presupposto
per l’accertamento della causa di scioglimento
prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 2 c.c.
Secondo la dottrina e la giurisprudenza prevalenti tale causa di scioglimento si riferisce a
quelle ipotesi in cui vi sia un’impossibilità irreversibile di prosecuzione dell’attività, individuata attraverso la definizione, contenuta
nell’atto costitutivo, dell’oggetto sociale:
l’impossibilità deve essere cagionata da un
evento che abbia un’incidenza tale sulla
gestione dell’impresa da essere idonea a rendere obiettivamente non più conveniente la
continuazione dell’attività sociale e conseguentemente inutile e improduttiva la permanenza del vincolo sociale.
L’oggetto sociale, quindi, va identificato
nell’attività svolta dalla società e distinto
dallo scopo di lucro, ovvero dallo scopo della
produzione degli utili che è tipico delle società
commerciali.
I repertori di giurisprudenza, invero, non forniscono una casistica nutrita in merito al verificarsi della causa di scioglimento costituita
dall’impossibilità di perseguimento dell’oggetto sociale.
Tra le ipotesi possibili, si pensi ad esempio alla
revoca in via definitiva di una concessione
amministrativa necessaria per lo svolgimento
dell’attività, al caso in cui venga dichiarato
fuori legge l’unico materiale utilizzato per la
produzione di beni.
Viene osservato che nell’ipotesi in cui l’oggetto
sociale indicato nell’atto costitutivo sia generico o costituito da molteplici attività, la
possibilità che possa verificarsi la causa di
scioglimento in discorso è piuttosto difficile,
in quanto l’impossibilità dovrebbe riguardare
tutte le varie attività contemplate quale oggetto
50
sociale nello statuto. È stato, tuttavia, affermato che anche nel caso in cui lo statuto contenga, come spesso accade, una descrizione
dell’oggetto sociale particolarmente ampia, la
circostanza che la società abbia sempre svolto
un’unica attività, tra quelle indicate, possa
essere interpretata come rinuncia implicita a
svolgere le altre attività e che, dunque, il verificarsi di una circostanza di fatto o di un impedimento di tipo giuridico in relazione
all’attività effettivamente svolta, possa costituire causa di scioglimento (4).
Si deve trattare, in ogni caso, di cause (materiali o giuridiche) che in modo assoluto, irreversibile e definitivo, impediscano la
prosecuzione dell’attività volta al perseguimento dell’oggetto sociale ed il permanere del
vincolo societario (5).
Solo in presenza di tali presupposti, quindi, vi è
l’obbligo, da parte dell’organo amministrativo,
di convocare l’assemblea allo scopo di deliberare le opportune modifiche statutarie e la
conseguente messa in liquidazione.
Obblighi degli amministratori in
presenza della causa di scioglimento
Come rilevato, in presenza della causa di scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1 n. 2,
c.c. gli amministratori devono, preliminarmente, convocare l’assemblea affinché la
stessa sia messa in grado di adottare, se del
caso, le opportune modifiche statutarie.
La causa di scioglimento, quindi, è integrata
soltanto quando, a seguito della convocazione
dell’assemblea, la stessa non abbia adottato le
Note:
(3) Il riferimento è allo studio n. 237-2014/I del Consiglio
Nazionale del Notariato, “In tema di impossibilità di conseguimento dell’oggetto sociale e scioglimento delle società di
capitali”, in www.notariato.it, il quale esclude, in tutti i casi,
che lo stato di crisi possa integrare, di per sé, la causa di
scioglimento prevista dall’art. 2484, comma 1, n. 2, c.c.,
facendone conseguire la illegittimità della dichiarazione
eventualmente adottata dagli amministratori e la loro conseguente responsabilità.
(4) In tal senso, G. Tarantino, “Scioglimento della società:
inattività dell’assemblea e impossibilità di perseguire l’oggetto sociale”, in Le Società, n. 4/2012, pag. 387.
(5) In dottrina, per tutti, G. Campobasso, Diritto commerciale,
Diritto delle società, 2012, 549. In giurisprudenza, Cass. civ.,
15 luglio 1996, n. 6410, in Giur.it., 1996, I, 1, pag. 1432; Cass. civ.,
6 aprile 1991, n. 3602, in Giur. it., 1992, I, 1, pag. 748; Trib. Napoli,
25 maggio 2011, in Le Società, n. 4/2012.
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opportune modifiche statutarie che rimuovano l’impossibilità di proseguire l’attività
sociale.
Solo dove l’assemblea non deliberi in tal senso,
quindi, potrà dirsi verificata la causa di scioglimento e sorto l’obbligo dell’organo amministrativo di accertarla “senza indugio” e
provvedere all’iscrizione presso il Registro
delle Imprese della relativa dichiarazione.
Nel caso di mancato adempimento dell’obbligo
di accertare la causa di scioglimento, ai sensi
dell’art. 2485, comma 2 c.c., è previsto che i soci
o i sindaci possano fare istanza al Tribunale
affinché adotti un provvedimento che accerti la
causa di scioglimento, provvedimento che fa le
veci della dichiarazione degli amministratori
inerti (6).
Stato di crisi e impossibilità
di conseguimento dell’oggetto sociale
Se si accoglie la nozione di oggetto sociale
come sinonimo di attività programmata e
svolta dall’ente è evidente che l’impossibilità
economica (che si concretizzi in un mero stato
di crisi o nel più grave stato di insolvenza) non
può essere equiparata, di per sé, ad una
impossibilità di conseguimento dell’oggetto
sociale.
Difatti, viene correttamente messo in evidenza
che anche una società in crisi o addirittura
insolvente può continuare in concreto ad esercitare la propria attività tipica.
L’impossibilità di conseguimento dell’oggetto
sociale, secondo questa impostazione, è piuttosto una impossibilità materiale (di fatto o
giuridica) a proseguire nel perseguimento
dell’attività che costituisce l’oggetto sociale,
ma non una impossibilità economica.
È anche vero, tuttavia, che lo stato di crisi,
quando diventa irreversibile, traducendosi in
una carenza assoluta di adeguati mezzi finanziari tali da consentire di proseguire l’attività,
può assumere caratteri tali da essere impeditiva, da un punto di vista materiale, della prosecuzione dell’attività che costituisce l’oggetto
sociale.
In altri termini, non sembra del tutto azzardato
affermare che anche una crisi economica, che
assuma quei caratteri di assolutezza,
definitività ed irreversibilità che si ritengono
dover connotare la causa di scioglimento prevista dal n. 2 dell’art. 2484 c.c., possa essere
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posta a fondamento dello scioglimento, e conseguente messa in liquidazione, della società.
Tale orientamento sembrerebbe coerente con
la circostanza che la messa in liquidazione, a
seguito della riforma del 2003, non è più irreversibile, ma può essere revocata ai sensi dell’art. 2487-ter c.c., non rappresentando, quindi,
una via di estinzione della società dalla quale
non è possibile tornare indietro. In tale contesto, in presenza di una crisi economica tale da
far venir meno la c.d. continuità aziendale,
potrebbe essere doveroso per gli amministratori applicare con rigore l’art. 2485 c.c. e procedere all’accertamento della causa di
scioglimento costituita dall’impossibilità di
perseguire l’oggetto sociale, in tal modo
dando notizia ai terzi ed al mercato in generale
della situazione patologica in cui versa la
società (7).
Affermare, quindi, in maniera definitiva che lo
stato di crisi non possa mai essere un impedimento, di tipo materiale, al conseguimento
dell’oggetto sociale, non sembra esente da
dubbi.
Di contro, va osservato che il dato testuale
sembra confermare la tesi più rigorosa, che
esclude lo stato di crisi dal novero delle circostanze che impediscono il perseguimento dell’oggetto sociale. Il fatto che l’art. 2484, comma
2 preveda, quale elemento impeditivo del verificarsi della causa di scioglimento, la circostanza che l’assemblea, all’uopo convocata,
non abbia deliberato le “opportune modifiche
statutarie”, lascia intendere che l’evento impeditivo della prosecuzione dell’attività che costituisce l’oggetto sociale debba poter essere
rimosso solo attraverso una modifica statutaria. Con la conseguenza che tutti gli eventi che
riguardino aspetti finanziari non dovrebbero
poter essere ricompresi nell’ipotesi prevista
dal n. 2 dell’art. 2484 c.c., trattandosi, in ogni
caso, di impedimenti che possono essere,
quantomeno teoricamente, rimossi attraverso
Note:
(6) Per quanto riguarda i sindaci, è più corretto ritenere che, in
caso di inerzia degli amministratori, incomba agli stessi un vero
e proprio obbligo, una volta rilevata la sussistenza della causa
di scioglimento e sollecitato l’organo amministrativo a porre in
essere i relativi adempimenti, di richiedere l’accertamento
giudiziale del verificarsi della causa di scioglimento.
(7) G. Racugno, “Venir meno della continuità aziendale e
adempimenti pubblicitari”, in Giur. comm., 2010, I, pag. 224.
51
Aspetti societari
Crisi d’impresa
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Crisi d’impresa
provvedimenti che non necessariamente
richiedono una modifica statutaria (8).
Conseguenze dell’iscrizione presso
il Registro delle Imprese di cause
di scioglimento non sussistenti
Aspetti societari
Alla luce di quanto sin qui evidenziato, emergono quantomeno forti dubbi sulla legittimità
dell’iscrizione presso il Registro delle Imprese
di una dichiarazione ai sensi dell’art. 2484,
comma 1 n. 2 e 2485 c.c. che si fondi sullo
stato di crisi della società (9).
Occorre, quindi, domandarsi quali siano le
conseguenze in tali ipotesi e se, in particolare,
il Conservatore del Registro delle Imprese sia
legittimato a rifiutare la relativa iscrizione.
Ai sensi dell’art. 2189, comma 2, c.c. “prima di
procedere all’iscrizione, l’Ufficio del registro
deve accertare l’autenticità della sottoscrizione
e il concorso delle condizioni richieste dalla
legge per l’iscrizione”.
Si ritiene che il controllo del Conservatore non
sia di tipo sostanziale, ma limitato ad un mero
controllo di legalità concernente la documentazione allegata alla domanda di iscrizione. Il
Conservatore, quindi, dovrà limitarsi a verificare che, nel caso di cui all’art. 2484, comma 1,
n. 2, vi sia stata la convocazione assembleare
prevista dalla predetta norma e che l’assemblea
non abbia adottato le opportune modifiche
statutarie.
Inoltre, si deve ritenere che il controllo del
Conservatore debba riguardare anche il raffronto tra quanto accertato dagli amministratori nella dichiarazione ai sensi dell’art. 2485
c.c. e quanto previsto in sede statuaria in riferimento all’oggetto sociale. Il Conservatore,
quindi, potrà rifiutare l’iscrizione allorquando
da tale raffronto emerga in maniera lampante
l’incompatibilità tra il verificarsi della causa di
scioglimento e le previsioni statutarie, ad esempio nel caso di oggetto sociale generico (10).
Trattandosi di un controllo di tipo formale, è
ipotizzabile che, nonostante l’intermediazione
del Conservatore, possa trovare concreta pubblicazione, mediante iscrizione nel Registro
delle Imprese, una causa di scioglimento per
impossibilità dell’oggetto sociale motivata con
la crisi della società, con l’apertura di una fase
di liquidazione fondata su un presupposto illegittimo, che si concluda con la cancellazione
della società.
52
In tale ipotesi, se si accetta la tesi più rigorosa,
della illegittimità di una simile iscrizione,
ferma restando la responsabilità degli amministratori per l’abusivo accertamento della
causa di scioglimento, occorre domandarsi
quali siano i rimedi a disposizione dei soci
e dei terzi che dissentano rispetto a tale
iscrizione.
Nel caso in cui il procedimento di liquidazione
non si sia ancora concluso, è ipotizzabile il
ricorso al giudice del Registro, ai sensi dell’art.
2191 c.c. avverso l’iscrizione della dichiarazione
di accertamento della causa di scioglimento.
Analogamente, nel caso in cui il procedimento
di liquidazione si sia già concluso e sia stata
disposta la cancellazione della società, sembra
possibile il ricorso al giudice del Registro per
ottenere la “cancellazione della cancellazione”,
essendo la stessa fondata su presupposti
illegittimi.
Note:
(8) D. Mari, “Perdita di continuità aziendale e impossibilità di
conseguimento dell’oggetto sociale: i doveri dell’organo
giratorio”, in Riv. Not., n. 3/2014, pag. 487.
(9) Lo studio del Consiglio Nazionale del Notariato, che come
si è detto, conclude in maniera decisa per la illegittimità di una
dichiarazione di accertamento della causa di scioglimento
per impossibilità di conseguire l’oggetto sociale nel caso di risi
della società, afferma anche, contrariamente a quanto ipotizzato in dottrina, che la dichiarazione in questione, se preceduta dalla convocazione assembleare, possa essere
“salvata” considerandola quale una implicita deliberazione
di scioglimento ai sensi del n. 6 dell’art. 2484 c.c.
(10) Così, lo Studio n. 237-2014/I del Consiglio Nazionale del
Notariato, cit., pag. 12.
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Organi sociali
Revoca senza giusta causa
dell’amministratore delegato
La sentenza in commento sancisce un principio di diritto in virtù del quale anche la revoca
dell’amministratore delegato deve essere assistita da giusta causa. In assenza, il revocato ha diritto al
risarcimento del danno, e ciò anche in virtù dell’applicazione analogica dell’art. 2383, comma 3, c.c.,
dettato in materia di revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea.
Premessa
Con sentenza n. 7587 del 15 aprile 2016, la
Corte di cassazione ha statuito il seguente
principio di diritto: “In tema di società
di capitali, la revoca della delega all’amministratore delegato, decisa dal Consiglio di
Amministrazione, deve essere assistita da
‘giusta causa’, anche in applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., comma 3, sussistendo,
in caso contrario, il diritto del revocato al
risarcimento dei danni eventualmente patiti”.
Con la decisione commentata viene cassata la
sentenza con la quale la Corte d’Appello di
Brescia, in riforma della sentenza di primo
grado emessa dal Tribunale di Bergamo,
aveva respinto tutte le domande proposte dall’amministratore delegato di una s.c.a.r.l.
(si ritiene si trattasse di una società cooperativa
a responsabilità limitata, e non di una società
consortile a responsabilità limitata) al quale
le deleghe, comprensive del potere di rappresentanza e di firma sociale, erano state
revocate dal Consiglio di Amministrazione
“sulla base di dissonanze intervenute tra il
medesimo e la restante parte del Consiglio di
Amministrazione della società”.
Si apprende dalla stessa sentenza (non avendo
rinvenuto il testo delle decisioni di primo e
secondo grado) che i giudici di secondo grado
avevano “accolto l’appello della società sulla
base della considerazione che il potere fiduciario che unisce, e deve unire, il Consiglio di
Amministrazione al singolo amministratore,
a cui sono conferiti i poteri delegati, sarebbe
tale da giustificare anche quello di revocare ‘in
qualsiasi momento’ (nel che si può individuare
un regime parallelo a quello della revoca
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assembleare) senza che (e qui sta la differenza)
ne scaturiscano pretese al risarcimento, se ciò
sia avvenuto senza giusta causa”.
A detta, invece, dei giudici ermellini “contrariamente a quanto opina la Corte distrettuale
.... l’unica disposizione positiva che viene
in considerazione è proprio l’art. 2383, c.c.,
comma 3” e “vi è - tra i due casi [di revoca
assembleare e di revoca della delega, N.d.R.]
quella identità di ratio che, in difetto di una
disciplina positiva, giustifica il ricorso analogico alla disposizione richiamata, con il ricorso
alla previsione astratta ... della risarcibilità del
danno, anche in caso di revoca della delega
(non solo della qualità di amministratore) in
difetto di ‘giusta causa’”.
Fa specie notare come la Suprema Corte,
ancorché la questione sub iudice non riguardasse
una società per azioni ma una s.c.a.r.l., abbia
fatto riferimento ad una disposizione invero dettata in materia di società per azioni, senza in
alcun modo affrontare la questione (preliminare) dell’applicabilità dell’art. 2383, comma 3,
c.c., alle società a responsabilità limitata.
La revoca dell’amministratore
da parte dell’assemblea: conseguenze
dell’assenza di giusta causa
È opportuno premettere che, ai sensi dell’art. 2383, comma 3, c.c. la revoca dell’amministratore da parte dell’assemblea deve
essere sorretta da una giusta causa, pena
Note:
(*) Avvocato - Partner, Legalitax Studio Legale e Tributario
(**) Avvocato - Associate, Legalitax Studio Legale e Tributario
53
Aspetti societari
di Andrea Rescigno (*) e Chiara Petrelli (**)
Numero Demo - Copyright Wolters Kluwer Italia s.r.l.
Organi sociali
Aspetti societari
il diritto dell’amministratore revocato al
risarcimento del danno.
La giusta causa può riguardare elementi di
natura soggettiva od oggettiva, invero “la giusta causa che giustifica la revoca dell’amministratore può essere sia soggettiva, sia oggettiva,
e cioè consistere anche in situazioni estranee
alla persona dell’amministratore, non riconducibili a condotte di quest’ultimo, che siano tali
da impedire la prosecuzione del rapporto” (1).
In particolare, la revoca dell’assemblea è legittima quando deriva da fatti integranti inadempimento ed anche da fatti e circostanze
estranee all’amministratore “ma richiede pur
sempre un quid pluris, rispetto al mero dissenso alla radice di ogni recesso ad nutum,
ossia esige situazioni sopravvenute (provocate
o meno dall’amministratore stesso) che
minino il pactum fiduciae, elidendo l’affidamento inizialmente riposto sulle attitudini e
le capacità dell’organo di gestione” (2).
In particolare, per quanto riguarda i motivi di
natura soggettiva, si fa normalmente riferimento a casi in cui l’amministratore si sia
reso responsabile della violazione degli obblighi di diligenza o a casi di contrarietà alla legge
o all’atto costitutivo (3). È stata, ad esempio,
riconosciuta la sussistenza di giusta causa di
revoca in presenza di irregolarità, dei bilanci
della società, riconducibili all’amministratore (4).
Un’ipotesi di revoca per giusta causa è quella
tipizzata dall’art. 2390, comma 2, c.c., che prevede la revoca dell’amministratore che eserciti
un’attività concorrente con quella esercitata
dalla società per conto proprio o di terzi in
violazione del divieto di concorrenza.
Tra le cause oggettive di giusta causa di revoca,
la giurisprudenza ha avuto modo di chiarire
che “possono integrare una giusta causa di
revoca anche eventi estranei all’amministratore, diversi da comportamenti non corretti e
non espressivi della negligenza di quest’ultimo,
sicché essa non può essere identificata con
l’inadempimento e neanche è condizionata
dal dolo o dalla colpa del medesimo” (5).
Si tratta invero di fatti sopravvenuti alla costituzione del rapporto di amministrazione che
“operano dall’esterno sulle vicende negoziali
dello stesso incidendo sul rapporto fiduciario
che deve sussistere tra le parti. Occorre peraltro che gli elementi intrinseci sopravvenuti
incidano sull’apporto effettivo che il socio
54
può concretamente attendersi dall’amministratore, in modo tale da poter fondatamente
ritenere che siano venuti meno in capo allo
stesso quei requisiti di avvedutezza, capacità
e diligenza di tipo professionale che dovrebbero sempre contraddistinguere l’amministratore di una società di capitali” (6).
In applicazione di tali principi di diritto, la
giurisprudenza di merito e di legittimità è unanime nel ritenere che non costituiscono giusta
causa di revoca ad esempio “il dissenso
espresso” o “dissenso manifestato” nei confronti di decisioni gestionali dei soci (7). Né
ricorre giusta causa allorché la revoca dell’amministratore sia dovuta a motivi di “convenienza economica” (8).
In caso di revoca senza giusta causa, ai sensi
dell’art. 2383, comma 3, c.c., l’amministratore
revocato ha diritto al risarcimento del danno,
ferma restando la validità ed l’efficacia della
revoca.
Il danno risarcibile è parametrato al guadagno
che l’amministratore revocato avrebbe percepito fino alla naturale scadenza dell’incarico (9).
Note:
(1) Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, in www.pluriscedam.utetgiuridica.it.
(2) Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, cit.
Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, cit. In senso
conforme, Cass. civ., Sez. I, 5 agosto 2005, n. 16526, in www.
pluris-cedam.utetgiuridica.it; Cass. civ., Sez. Lavoro, 7 agosto
2004, n. 15322, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it; Cass.
civ., Sez. I, 21 novembre 1998, n. 11801, in www.pluriscedam.utetgiuridica.it. In dottrina, F. Bonelli, Gli amministratori
di S.p.A. (dopo la riforma delle Società), Giuffrè, 2004, pag. 98.
(3) Cass. civ, 17 gennaio 1956, n. 103, in Foro it. Mass., I, 1, 1956,
col. 18.
(4) Trib. Napoli, 9 gennaio 2002, in Le Società, n. 10/2002, pag.
1274 ss., con nota di A. Figone.
(5) Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, cit.
(6) Cass. civ., Sez. I, 5 agosto 2005, n. 16526, cit.; Cass. civ., Sez. I,
21 novembre 1998, n. 11801, cit. In dottrina, M. Cupido, in Le
Società, op. cit.
(7) Cass. civ., Sez. I, 5 agosto 2008, n. 16526, cit.; Cass. civ., Sez. I,
21 novembre 1998, n. 11801, cit. In giurisprudenza di merito, Trib.
Napoli, 21 maggio 2001, in Le Società, n. 8/2001, pag. 951 ss.
(8) Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, in www.pluriscedam.utetgiuridica.it.; Cass. civ., 2 novembre 1957, n. 4240.
(9) Cass. civ., Sez. I, 12 settembre 2008, n. 23557, cit.; Cass. civ.,
Sez. I, 7 maggio 2002, n. 6526, in www.pluris-cedam.utetgiuridica.it. Tribunale di Bologna, 6 agosto 2015, in www.pluriscedam.utetgiuridica.it. Tribunale di Napoli, 21 maggio 2001,
cit. In Dottrina, Bonelli, op. cit., pag. 99; Cottino, Trattato di
diritto commerciale, CEDAM, 2010, pag. 596.
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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I diversi orientamenti sulla revoca
delle deleghe da parte del Consiglio di
Amministrazione
Come ricordato nella stessa sentenza in commento, il nostro ordinamento non contiene
alcuna disposizione positiva che riguardi
l’ipotesi di revoca delle delega all’amministratore delegato da parte del Consiglio di
Amministrazione.
Il caso non è scolastico, dal momento che la
permanenza in carica dell’amministratore
delegato può assumere rilievo a sé nella dinamica di una società di capitali. Può infatti
accadere che, per dissonanza all’interno dell’organo amministrativo collegiale, il Consiglio
di Amministrazione decida di revocare le deleghe conferite ad un consigliere, e che cionondimeno quest’ultimo rimanga in carica come
componente del Consiglio.
È opportuno rammentare che, ai sensi dell’art.
2381, comma 2, c.c., se lo statuto o l’assemblea
lo consentono, il Consiglio di Amministrazione
può delegare proprie attribuzioni ad un comitato esecutivo o ad uno o più dei suoi componenti. Il successivo comma precisa poi che il
Consiglio di Amministrazione determina il
contenuto, i limiti e le eventuali modalità di
esercizio della delega.
Ora, la decisione di “avvalersi dello strumento
della delega (previo, naturalmente il consenso
dei soci espresso in sede statutaria o assembleare) costituisce una facoltà discrezionale
del consiglio” (10). La facoltà di revoca spetta
pertanto al Consiglio di Amministrazione (11),
ma, come giustamente rileva Bonelli (12)
“lo stesso risultato può essere conseguito dall’assemblea, attraverso l’eliminazione del consenso dei soci alla delega ... oppure revocando
dalla carica di amministratore il membro del
consiglio investito delle attribuzioni delegate”.
Il Consiglio di Amministrazione, poi, stabilisce
“la rimunerazione degli amministratori investiti di particolari cariche”, come previsto dall’art. 2389, comma 3, c.c.
Assume pertanto rilievo anche economico la
questione relativa alla revoca della delega. La
cessazione della delega avrà infatti come corollario abituale il venir meno del diritto, da parte
del delegato, a percepire la remunerazione eventualmente collegata all’esercizio della delega.
Si tratta, quindi, di stabilire se una revoca delle
deleghe senza giusta causa sia ammissibile e
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
se, in assenza di giusta causa, il revocato abbia
diritto o meno al risarcimento del danno.
La sentenza in esame si è espressa a favore del
riconoscimento del diritto del revocato al risarcimento del danno, in difetto di giusta causa di
revoca, e quindi, implicitamente, ha riconosciuto la revocabilità delle deleghe anche in
assenza di giusta causa.
La stessa sentenza, dopo aver precisato che la
riforma del diritto societario non ha introdotto
alcun “nuovo dato normativo”, ha però richiamato l’esistenza di un contrasto giurisprudenziale e dottrinale riguardo alle conseguenze
della mancanza di una giusta causa di revoca.
Ed infatti “anche la revoca da parte del consiglio del delegato, se deliberata in assenza di
giusta causa, importa il diritto di quest’ultimo
al risarcimento dei danni eventualmente
subiti” secondo Cagnasso (13), il quale però
precisa che ciò non sarebbe tanto in virtù di
applicazione analogica dell’art. 2383, comma
3, c.c., problema questo che “assume scarso
rilievo”, quanto piuttosto perché è “ammessa
l’applicabilità all’ipotesi in esame del disposto
contenuto nell’art. 1725 c.c.”.
L’art. 1725 c.c. prevede infatti che “la revoca del
mandato oneroso, conferito per un tempo
determinato o per un determinato affare,
obbliga il mandante a risarcire i danni, se è
fatta prima della scadenza del termine o del
compimento dell’affare, salvo che ricorra una
giusta causa”.
In senso favorevole al diritto del consigliere
delegato di ottenere il risarcimento del danno
in assenza di giusta causa di revoca si segnalano
le sentenze del Tribunale di Milano del 14 febbraio 2004 (14) e del 12 maggio 2010.
Quest’ultima sentenza, in particolare, richiama
l’art. 2383, comma 3, c.c., precisando che si
tratta di “norma che si pone in sintonia con la
regola relativa al mandato oneroso”. I giudici
del capoluogo lombardo aggiungono che “salvo
che la delega sia stata conferita per un tempo
minore, la durata di essa debba coincidere con
Note:
(10) O. Cagnasso, “La delega di potere amministrativo”, in
Colombo Portale (a cura di), Trattato delle Società per Azioni,
vol. 4, 1991, pag. 313.
(11) O. Cagnasso, op. cit. pag. 314.
(12) F. Bonelli, op. cit., pag. 46.
(13) O. Cagnasso, op. cit. pag. 315.
(14) In Giur. it., 2004, pag. 1209 ss.
55
Aspetti societari
Organi sociali
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Organi sociali
Aspetti societari
la durata della permanenza in carica del delegato come amministratore” evidenziando che
“siffatta soluzione non solo appare corretta dal
punto di vista tecnico-giuridico, ma vale anche a
realizzare un contemperamento equilibrato tra
interessi contrapposti ... Da un lato è così rispettato il diritto del delegante di sciogliersi dal
vincolo che lo lega al soggetto verso il quale ha
perso fiducia; dall’altro si tutela anche il diritto
dell’amministratore delegato ad essere risarcito
per l’interruzione della continuità della delega,
se dovuta a un fatto a lui non imputabile”.
Di diverso orientamento è apparso Bonelli (15) e,
in giurisprudenza, tra le decisioni più recenti,
quella del Tribunale di Napoli del 9 gennaio
2002 (già citata in precedenza) (16), ove si
legge che “La delibera con cui il Consiglio di
Amministrazione revoca i poteri conferiti ad
uno degli amministratori costituisce atto di organizzazione insindacabile, sicché non può riconoscersi alcun risarcimento, ove detta revoca sia
priva di giusta causa”. Il Tribunale campano si
era peraltro premurato di evidenziare che, nel
caso di specie, sussisteva comunque una giusta
causa di revoca “in relazione all’irregolarità dei
bilanci” accertata in corso di causa.
Va segnalata, infine, una “terza via”, espressa
in particolare da Borgioli (17), per il quale
“quando la revoca della delega avvenga
insieme o in dipendenza della revoca della
carica di amministratore è la disciplina di quest’ultimo rapporto [i.e., l’art. 2383, comma 3, c.
c., N.d.R.] che dovrà applicarsi”, mentre
allorché “venga revocata la sola delega, non
sarà dovuto, in via di principio, alcun risarcimento, salvo che alla delega sia stato apposto
un termine autonomo, ipotesi nella quale essa
assumerà il carattere di rapporto a tempo
determinato. In tal caso, la revoca anticipata,
se priva di giusta causa, importerà anche il
ristoro dei danni” (18).
Conclusioni
alla base dell’art. 2383, comma 3, c.c., che
“detta una norma che afferma un rilevante
principio, quello dell’esistenza non già di un
potere illimitato dell’assemblea, ma di una
facoltà discrezionale e controllata, che è limitata ... solo in considerazione del rispetto della
posizione sociale ed economica dell’amministratore di società. Ossia in ragione della
dignità e del sacrificio economico imposto
alle persone che rivestono la carica amministrativa e che, in ragione dell’atto di revoca,
vedono sacrificata, in misura più o meno
ampia, la propria posizione” e ciò “tanto
più quando ... [le] deleghe [oggetto di
revoca, N.d.R.] comportino un’attività
amministrativa a termine, impegnativa e
remunerata, suscettibile di valutazioni e
considerazioni professionali in un ambito
riconducibile al mercato dei manager”.
Così identificata la ratio, la Cassazione ritiene
quindi che vi sia identità di ratio che giustifica il
ricorso analogico all’art. 2383, comma 3, c.c.
non avendo “valore il ragionamento svolto in
alcune decisioni di merito, volte a sottolineare
... le diversità esistenti” tra le due fattispecie
(revoca dell’amministratore e revoca delle
deleghe).
La sentenza in commento, dopo aver precisato
che la sussistenza della “giusta causa” deve
essere valutata in concreto dal giudice di
merito, non interviene però sulla definizione
di un concetto, qual è quello di “giusta causa”,
invero particolarmente rilevante ai fini dell’applicazione della normativa sulla quale è stato
espresso il principio di diritto. In assenza di
diverse indicazioni, si deve ritenere che a tali
fini non si possa che fare riferimento al concetto di “giusta causa” elaborato in sede di
interpretazione dell’art. 2383, comma 3, c.c. e
dell’art. 1725 c.c., anche in considerazione dell’inciso “anche in applicazione analogica dell’art. 2383 c.c., comma 3 “ contenuto nel
principio di diritto enunciato dai giudici di
legittimità nella decisione qui commentata.
Come già accennato in premessa, con la sentenza n. 7587 del 15 aprile 2016 la Suprema
Corte ha sancito un principio di diritto che
dovrebbe risolvere il contrasto illustrato nelle
pagine precedenti.
Oltre a detto principio di diritto, la sentenza de
qua contiene anche un’analisi della ratio posta
Note:
(15) F. Bonelli, Gli amministratori di società per azioni, 1985,
pag. 50.
(16) Vedi nota 5.
(17) Borgioli, L’amministrazione delegata, Firenze, 1982, pag.
147 ss.
(18) Borgioli, op. cit., pag. 148.
56
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Revisione&Controllo
Comprensione
e rappresentazione
del ciclo attivo
di Federica Cordova (*)
Revisione&controllo
I revisori generalmente dividono il sistema informativo aziendale in cicli di operazioni ottenendo, in
questo modo, evidenza circa l’elaborazione delle operazioni relative ai singoli cicli dal momento in
cui le stesse hanno origine a quello in cui avviene la registrazione contabile a libro giornale. Il ciclo
attivo, in particolare, comprende tutte le operazioni di cessioni di beni e servizi prodotti/erogati
dall’impresa, nonché i correlati movimenti finanziari ad esse riconducibili. Il ruolo del ciclo attivo in
un’azienda industriale/commerciale o di servizi è di primaria importanza, proprio perché è l’area che
genera le risorse e consente il raggiungimento degli obiettivi aziendali. L’articolo sintetizza le
principali fasi del lavoro di revisione da svolgere sul ciclo dei ricavi.
Il ciclo delle vendite: una visione
di insieme
Attraverso il ciclo attivo o ciclo delle vendite
vengono elaborate tre tipologie classiche di
operazioni:
• vendita di beni o erogazioni di servizi in
cambio di un corrispettivo;
• incasso di moneta dal cliente come pagamento dei beni o dei servizi;
• resi di merci da parte del cliente in cambio di
moneta o di credito.
Il ciclo attivo comprende sia l’area dei ricavi e
dei crediti commerciali, sia l’area che genera
ricavi dalle gestioni accessorie ed i relativi crediti. Questo ciclo può assumere un ruolo chiave
nell’espressione del giudizio sul bilancio del
revisore sia perché comprende un significativo
numero di operazioni e transazioni, sia perché
generalmente rappresenta una parte rilevante
del patrimonio aziendale. Il primo passo dunque da compiere nella revisione del ciclo attivo
è l’individuazione delle principali classi di transazioni che generano conti significativi.
I conti tipici del ciclo dei “ricavi commerciali” e
dei relativi “crediti” sono:
• per il Conto Economico:
- ricavi per vendite di beni;
- ricavi per prestazioni di servizi;
- abbuoni passivi e sconti;
58
- resi su vendite;
- premi su vendite;
- accantonamenti per rischi: svalutazione
crediti;
- accantonamenti per rischi: resi su
vendite;
- accantonamenti fondi rischi e spese:
premi a clienti;
per
lo Stato Patrimoniale:
•
- crediti verso clienti;
- altri crediti commerciali;
- beni in viaggio;
- fondi rischi e spese (premi, contenziosi e
claim ....);
- crediti verso controllate per crediti
commerciali;
- ricevute bancarie, cambiali attive e altri
diritti all’incasso.
Le transazioni tipiche del ciclo
delle vendite
Il ciclo dei ricavi e dei crediti commerciali
comprende tutte le operazioni che riguardano
Nota:
(*) Dottore commercialista e revisore contabile
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Revisione&Controllo
Ricevimento dell’ordine di acquisto
del cliente
L’ordine d’acquisto del cliente contiene i dettagli della tipologia e della quantità di prodotti o
servizi ordinati dal cliente. Gli ordini dei clienti
possono essere predisposti e consegnati da un
addetto alle vendite, inviati per posta o per fax,
o anche essere ricevuti tramite internet. Spesso
la fase di inserimento dell’ordine, specie se si
tratta di un nuovo cliente, viene anticipata da
una procedura formalizzata per determinare
se il cliente è meritevole di credito. La stessa
procedura viene di solito utilizzata per stabilire
i limiti di credito accessibili al cliente stesso.
L’ammontare del limite di credito viene in
genere documentato sul modulo c.d. di autorizzazione di credito.
Spedizione dei beni o erogazione del servizio
Ogniqualvolta le merci sono inviate al cliente,
deve essere predisposto un documento di trasporto che funge da documento di carico/
scarico e contiene informazioni sul tipo e
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
sulla quantità di merce spedita. In alcuni
sistemi di vendita, il documento di trasporto
e il documento di carico/scarico sono materialmente distinti e una copia del documento di
trasporto è inviata al cliente, mentre un’altra è
utilizzata per attivare il processo di
fatturazione.
Emissione della fattura
La fattura di vendita è generalmente la fonte
documentale che autorizza il riconoscimento
del ricavo in contabilità. Una volta che la
fattura è stata emessa, la vendita deve essere
contabilizzata. Si usa il registro vendite per
registrare le informazioni utili alla transazione avvenuta e si alimenta allo stesso
tempo sia il Conto Economico nella voce
ricavi, che il partitario dei clienti che contiene
un conto, dettagliato per operazione e per
ciascun cliente.
Scadenziario clienti e incasso della fattura
Questo documento, normalmente predisposto
su base mensile, raccoglie tutti i saldi clienti
contenuti nel partitario. I saldi sono elencati
per categorie (come ad esempio a scadere, scaduti da oltre 90 gg., scaduti da oltre 120 gg. e via
dicendo) in base al numero di giorni trascorsi
dalla data di pagamento riportata in genere in
fattura. Lo scadenzario clienti è uno strumento
utilissimo per monitorare gli incassi dei clienti
assicurandosi allo stesso tempo che i dettagli
del partitario quadrino con l’importo totale del
mastro clienti. L’analisi dello scadenziario
clienti è, normalmente, la base del lavoro di
sostanza svolto dal revisore sul saldo clienti ed
sugli incassi.
Lo schema proposto nella Tavola 1 riepiloga le
funzioni che normalmente compongono un
tipico ciclo vendite (1).
Stima del rischio inerente
sul ciclo vendite
Come primo approccio di analisi del ciclo vendite, il revisore dovrebbe considerare i fattori,
connessi al rischio inerente, che potrebbero
influenzare sia le operazioni di vendita e di
incasso, sia i conti coinvolti in queste
Nota:
(1) Le informazioni sono riepilogate con la tecnica di flow
chart o diagramma di flusso.
59
Revisione&controllo
i rapporti con i clienti e pertanto coinvolge
anche il reparto commerciale dell’impresa.
Le principali fasi e le transazioni che caratterizzano il ciclo attivo sono le seguenti:
1) ricerca del cliente e contatto del cliente,
inclusa autorizzazione al credito;
2) ordine del cliente;
3) evasione dell’ordine e spedizione della
merce o erogazione del servizio;
4) fatturazione;
5) eventuali resi;
6) incasso/solleciti.
Normalmente queste fasi sono disciplinate da
procedure amministrative che consentono di
monitorare e soprattutto mantenere traccia
delle operazioni effettuate allo scopo di salvaguardare il patrimonio aziendale, consentire la
rilevazione contabile delle operazioni connesse alle varie fasi del ciclo, gestire il processo
in modo ordinato e automatico ed infine,
evitare errori o frodi.
I principali sotto-processi di base in cui il ciclo
attivo si compone sono:
• il ricevimento dell’ordine;
• la spedizione dei beni o l’erogazione del
servizio;
• l’emissione della fattura;
• la sua contabilizzazione e la gestione
dell’incasso.
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Revisione&Controllo
Tavola 1 - Flow chart ciclo delle vendite
Flow chart di
processo
Revisione&controllo
Ufficio commerciale
Ricevimento e
ordini di acquisto
Ricevimento e processamento ordini
Gli ordini pervengono in azienda attraverso diversi mezzi: e-mail, fax o
EDI, mezzo posta o al telefono o attraverso la rete commerciale. Il mezzo
di trasmissione può dipendere dal tipo di prodotto e dello stabilimento a
cui l’ordine è destinato.
La Logistica prende in carico gli ordini inseriti e processati nel sistema
informativo aziendale mediante apposito software di gestione dall’ufficio
commerciale allo scopo di pianificare la spedizione della merce e
organizzare la produzione.
Ufficio commerciale /
Amministrazione
Approvazione
crediti
Approvazione del credito
Nel caso di ordini con regolamento differito l’ufficio commerciale esegue
un controllo di solvibilità del cliente. A tale scopo la società effettua delle
analisi di solvibilità (ricorrendo in taluni casi alla consulenza di agenzie
specializzate esterne) oppure, nel caso di soggetti economici già noti alla
società, si limita a considerare la situazione finanziaria del cliente e ad
eseguire un’analisi sulla performance storica di regolarità nei pagamenti.
In caso di esito positivo viene approvato il credito da parte del credit
manager sig XY. Successivamente l’ufficio commerciale provvede alla
stampa dell’ordine di vendita autorizzato e all’inserimento nel sistema
gestionale , che rende i dati visibili a tutti gli uffici competenti.
Magazzino
Spedizione e
consegna
Spedizione e consegna
Gli addetti del magazzino stampano con frequenza predeterminata la lista
degli ordini da evadere, preparano il materiale per la spedizione e lo
scarico contabile (etichetta, imballo) che dovrebbe essere contestuale alla
stampa del Documento di trasporto. La merce è prelevata dal magazzino
e trasferita alla zona destinata allo carico/scarico in attesa della
spedizione. Quando la merce è spedita si effettua lo scarico della merce
dl magazzino tramite apposito software
Ufficio Contabilità
Fatturazione
Fatturazione
La fattura, contenente tutte le condizioni relative alla vendita (prezzo,
quantità clausole di consegna e pagamento, generalità del compratore e
del venditore, ecc.) viene emessa in duplice copia e inviata al cliente. La
contabilità clienti provvede e alla archiviazione delle fatture secondo un
ordine numerico progressivo.
Ufficio contabilità
Registrazione
vendite
Registrazione vendite
Una volta emessa la fattura la Contabilità Clienti provvede alla r
registrazione della fattura tramite il programma di contabilità. Il sistema
alimenta il singolo conto intestato ad ogni cliente, il partitario, le
competenze IVA. Contestualmente rileva il ricavo di vendita..
Ufficio contabilità
Gestione incassi
Gestione incassi
Momento 1) ricevimento dei documenti comprovanti il pagamento
Momento 2 spedizione dei documenti alla banca per l’incasso
Momento registrazione dell’incasso in contabilità.
A seconda dello strumento di pagamento adottato dal cliente è diverso il
giustificativo che perviene alla contabilità (RIBA, assegni, MAV ecc. Si
utilizzano le reversali di incasso inviato in originale all’ufficio Tesoriera che
gestisce i contatti con la banca per l’incasso. Ottenuta la conferma sulla
validità del pagamento si provvede alla sua contabilizzazione nei conti di
mastro e all’addebito del partitario clienti.
Ufficio contabilità
Gestione
insolvenze e fondo
svalutazione crediti
60
Descrizione
Gestione insolvenze e fondo svalutazione crediti
Periodicamente la contabilità esegue l’analisi dello scadenziario al fine di
individuare crediti scaduti. In tal caso provvede ad attivare i sistemi di
sollecito e dopo opportuna valutazione all’aggiornamento del fondo
svalutazione crediti.
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operazioni. Tra i fattori di rischio inerente specifici che possono influenzare il ciclo delle
vendite si includono:
• fattori relativi al settore industriale di
appartenenza (livello di competitività e/o
tasso di cambiamento tecnologico);
• complessità e livello di contenziosità delle
problematiche connesse al riconoscimento
dei ricavi (lavori su commesse, particolari
condizioni di vendita, patti di vendita con
riservato dominio e via dicendo);
• difficoltà di revisione di talune operazioni e
di determinati saldi di bilancio (difficoltà di
stima della recuperabilità dei valori dei crediti in sofferenza);
• errori individuati in precedenti lavori di
revisione.
L’obbligo di svolgere le procedure di valutazione del rischio inerente è statuito dall’ISA
Italia 315 allo scopo di consentire al revisore
l’ottenimento di una base informativa per
l’identificazione e la valutazione dei rischi di
errori significativi a livello di bilancio e di
asserzioni.
In particolare le procedure di analisi comparativa eseguite come procedure di valutazione
del rischio possono identificare aspetti dell’impresa di cui il revisore non era a conoscenza e
possono assisterlo nella valutazione dei rischi
di errori significativi al fine di fornire una base
per definire e attuare risposte di revisione ai
rischi identificati e valutati.
Le procedure di analisi comparativa eseguite
come procedure di valutazione del rischio possono includere sia informazioni finanziarie,
sia informazioni non finanziarie, per esempio,
la relazione tra le vendite e le superfici degli
spazi di vendita o il volume delle merci vendute, e possono essere utili per identificare
l’esistenza di operazioni o di fatti inusuali e
di importi, indici e andamenti che potrebbero
segnalare aspetti aventi implicazioni sulla revisione. L’individuazione di relazioni inusuali o
inattese può aiutare il revisore nell’identificazione dei rischi di errori significativi, specialmente rischi di errori significativi dovuti a
frodi.
Nell’eseguire procedure di analisi comparativa
come procedure di valutazione del rischio nell’area ricavi, il revisore definisce dei risultati
attesi relativamente a correlazioni plausibili
che ragionevolmente si ritiene debbano sussistere e verifica le relazioni tra grandezze patrimoniali, economiche o finanziarie e
spiegazione degli scostamenti significativi tra
le attese che il revisore si è formato e gli accadimenti effettivi. La Tavola 2 fornisce alcuni
esempi di correlazioni e/o indici che vengono
usati per le verifiche di analisi comparativa
nell’area ricavi.
Tavola 2 - Le correlazioni analizzate nel ciclo ricavi
Correlazioni di tipo economicofinanziario
Correlazioni di tipo operativo
Risultato lordo industriale in percentuale sulle vendite
Valori mensili delle vendite
Perdite su crediti in percentuale sulle vendite lorde
Resi su vendite in percentuale sulle vendite rispetto agli anni
precedenti
Clienti con saldi significativi (sopra un certo valore monetario)
Indice di durata dei crediti verso clienti (calcolato sul valore
finale dei crediti al lordo del fondo svalutazione crediti)
Categorie di scaduto - ageing - in percentuale sul valore dei
crediti
Fondo svalutazione crediti rispetto in percentuale sul valore dei
crediti verso clienti
Numero di clienti
Quantità vendute
Prezzi medi di vendita
Indici di utilizzo della capacità produttiva
Numero di reclami pervenuti
Statistiche di controllo qualità della produzione
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Revisione&controllo
Revisione&Controllo
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Revisione&Controllo
Il rischio di controllo sulle operazioni
di vendita
Revisione&controllo
Per stimare il rischio di controllo è importante, come prima cosa, lo studio dell’ambiente di controllo considerando il modo in
cui i diversi fattori possono influenzare il ciclo
vendite. Il revisore deve comprendere, inoltre,
il modo in cui il management considera i
rischi rilevanti per il ciclo vendite e la loro
significatività, le misure adottate per affrontare la possibilità che essi si verifichino e il
modo in cui esso decide quali azioni intraprendere per inibirne gli effetti negativi.
Ciascuno di questi fattori potrebbe rappresentare un serio rischio per i controlli interni
dell’impresa nell’area ricavi.
Quando si adotta una strategia di affidabilità per il ciclo vendite, il revisore deve
analizzare i controlli esistenti, finalizzati
ad assicurare che gli obiettivi fissati dal
management siano raggiunti. Più specificatamente viene identificato il controllo o i
controlli che assicurano il raggiungimento
degli obiettivi di controllo interno. L’analisi
del ciclo vendite da parte del revisore può
essere documentata utilizzando manuali
delle procedure interne, descrizioni di flussi
e procedure, questionari sui controlli. Per
ciascuna delle più importanti classi di operazioni che afferiscono il ciclo vendite, il
revisore ha bisogno di ottenere le seguenti
informazioni:
• il processo che origina le vendite, gli incassi
e le note di accredito;
• le registrazioni contabili, i documenti a supporto ed i conti implicati nell’elaborazione
delle vendite, degli incassi e dei resi e degli
sconti;
• il flusso di ciascun tipo di operazione, dall’origine al momento dell’inclusione nel
bilancio, comprese le elaborazioni di tipo
informatico;
• il processo utilizzato per la preparazione
delle stime riguardanti alcuni saldi, come
quello del fondo svalutazione crediti.
La revisione in genere sviluppa l’analisi del
ciclo vendite ripercorrendo i tratti significativi
ed i passaggi chiave di ciascun movimento o
transazione che lo caratterizza e raccogliendo
l’evidenza documentale probatoria a supporto.
Ogniqualvolta intervengono cambiamenti
significativi nei flussi o nelle procedure il
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revisore deve predisporre una nuova documentazione del sistema.
Infine il revisore deve necessariamente comprendere i processi di monitoraggio messi in
atto dal cliente sul ciclo vendite ivi incluso la
comprensione del modo in cui lo stesso management valuta la struttura ed il modo in cui i
controlli operano nell’ambito del ciclo vendite.
In una fase successiva, detta di pianificazione e
svolgimento dei test sui controlli, il revisore è
chiamato ad esaminare in modo sistematico il
ciclo vendite per identificare i controlli rilevanti che aiutano a prevenire o a identificare
e correggere gli errori materiali. Dal momento
che su questi controlli viene fatto affidamento
in modo da stabilire un livello basso di rischio
di controllo, il revisore conduce test di controllo per assicurarne l’efficacia, utilizzando
apposite procedure di revisione quali le interviste al management o il c.d. re-performing del
modo in cui il controllo opera. In questa fase il
revisore documenta sia la comprensione che le
modalità di funzionamento dei controlli. Una
volta completati i test di controllo sul ciclo
vendite, il revisore valuta il livello accertato
di rischio di controllo. Se i risultati del test di
controllo supportano il livello previsto di
rischio di controllo, il revisore effettua il livello
pianificato di test di sostanza per i relativi saldi
di bilancio. Se invece il risultato del test di
controllo non supporta tale livello di rischio,
il revisore dovrebbe stimare il rischio di controllo a un livello superiore a quello pianificato.
Dovrà pertanto condurre test di sostanza
aggiuntivi per i saldi relativi al ciclo vendite.
Il revisore dovrebbe sempre documentare sia il
livello di rischio di controllo accertato che le
motivazioni alla base delle sue conclusioni. La
documentazione del livello stimato di rischio
di controllo per il ciclo vendite dovrebbe includere quella del sistema contabile oltre che i
risultati dei test sui controlli e un memorandum indicante le conclusioni complessive
riguardo al suddetto rischio.
I test di sostanza sulle operazioni
I test di sostanza a cui maggiormente ricorrono i revisori per monitorare l’area dei
ricavi sono:
1) verifica di cut off o competenza. Il test di cut
off sulle vendite permette di verificare che tutti i
ricavi in bilancio siano correttamente iscritti in
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base alla loro competenza economica. Tale test
consente di verificare che:
• le vendite effettuate prima della data di
chiusura di bilancio, e le correlate attività
(crediti verso clienti), siano incluse nel
bilancio;
• le vendite effettuate dopo la data di chiusura
del bilancio e le correlate attività (crediti
verso clienti), non siano incluse nel
bilancio.
In relazione al grado di rischio e alla tipologia
di attività del cliente, la prima fase del test di cut
off consiste nel definire il periodo di tempo da
esaminare per verificare la competenza delle
vendite. Questo intervallo va definito in sede di
pianificazione del lavoro, sia in relazione alla
tipologia di business del cliente (ad esempio se
effettua prevalentemente spedizioni via nave,
ossia con tempi di consegna molto dilatati), sia
ad indicatori di tipo qualitativo (ad esempio
clausole contrattuali).
Una volta definito l’ambito entro cui effettuare
il test, si procede a richiedere alla società i
documenti preliminari necessari per l’analisi,
effettuando le selezioni utilizzando un idoneo
criterio di campionamento. Infine, si dovranno
analizzare alcuni dati relativi all’esercizio successivo che potrebbero avere impatto sul bilancio che si sta revisionando (note di credito
e resi).
2) Verifica delle fatture di vendita. Il revisore
deve ottenere il raccoglitore delle fatture
emesse, selezionare un certo numero di fatture
(evidenziare la base di selezione, in modo che la
verifica sia ripetibile e ripercorribile) e verificare gli importi più rilevanti e inusuali, concordando gli importi con i documenti di
spedizione o l’evidenza dei servizi resi.
3) Verifica dei resi. Dalla statistica mensile sui
resi su vendite, il revisore deve accertarsi, in
relazione alla conoscenza del business della
società, se vi siano andamenti anomali durante
l’anno.
In caso di trend lineari o che comunque non
presentino elementi di variabilità particolarmente elevati, la società dovrebbe riconoscere
mediante apposito fondo rischi, l’importo da
iscriversi in bilancio come resi su vendite che si
attende di ricevere nel periodo successivo, relativamente alle vendite dell’esercizio.
La selezione delle ultime 5 fatture emesse
nell’esercizio di riferimento e delle prime 5
emesse nell’esercizio successivo, non è l’unica
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tipologia di selezione che si può effettuare;
infatti, questa modalità di selezione potrebbe
condurre a conclusioni non “completamente”
soddisfacenti. Se ad esempio, le ultime 5 fatture di vendita/acquisto dell’esercizio chiuso o
le prime del nuovo esercizio, fossero relative a
fatturazioni non significative per “importo” o
per “natura”, le conclusioni seppur positive
(ricavi e costi correttamente contabilizzati nell’esercizio di riferimento) non darebbero il confort atteso con una diversa tipologia di
selezione. Al fine di rendere il test più efficace,
si potrebbe, per esempio, selezionare dal raccoglitore delle fatture, secondo altri criteri:
a) fatture di importo superiore a ...;
b) fatture relative a vendite/acquisti relativi
a ....;
c) estensione della verifica su un arco temporale più ampio.
4) Verifica dell’esistenza di accordi con i clienti
per la concessione di premi e sconti. Attraverso
tale controllo il revisore deve, tramite discussione con il management o con i responsabili
del marketing, appurare l’esistenza di accordi
(contrattuali o verbali) con i clienti dell’azienda revisionata per concedere loro premi,
bonus, note credito, in base al raggiungimento
di identificati quantitativi di fatturato, o in
base ad altri indicatori. Nel caso di accordi di
tale tipo, sarà necessario verificare l’adeguatezza degli accantonamenti per premi da
emettere, avendo riguardo al principio di
competenza.
5) Verifica dei contratti significativi.
Attraverso l’esame dei contratti più significativi e ricorrenti, attraverso l’esame della
contabilità generale nonché attraverso discussione con gli appropriati responsabili, il revisore deve evidenziare significativi contratti che
comportano impegni futuri certi per l’azienda
quali vincoli per garanzie, sconti o premi
quantità, impegni di vendita a prezzi inferiori
a quelli di mercato (oppure contratti che
espongano la società a significative passività
in caso di inadempienza ecc.).
6) Individuazione di operazioni non registrate.
Sulla base delle rilevazioni contabili dell’esercizio successivo, dell’esame dei libri legali e
della discussione con i responsabili della
società, il revisore deve identificare:
• cessioni di crediti (pro-soluto) nell’esercizio
successivo a quello oggetto di esame che
evidenzino un valore di realizzo inferiore
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Revisione&controllo
Revisione&Controllo
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Revisione&Controllo
al valore netto iscritto in bilancio (evidenziando separatamente le operazioni con
entità correlate);
• acquisto di crediti da entità correlate;
• costituzione di crediti in garanzia o costituzione di altri vincoli successivamente alla
chiusura dell’esercizio oggetto di esame
(evidenziando separatamente le operazioni
con entità correlate);
• riacquisto di crediti precedentemente
ceduti (evidenziando separatamente le operazioni con entità correlate).
Revisione&controllo
Obiettivi di revisione: esempio
del piano di revisione sull’area
crediti e ricavi
Nel determinare il piano di revisione sull’area
vendite e cliente il revisore deve assicurarsi
che tutti gli obiettivi di revisione ed
asserzioni che fanno riferimento all’area vendite siano stati completamente soddisfatti
dalle sue verifiche. In particolare per il
ciclo dei crediti commerciali e delle vendite
essere soddisfatti circa l’obiettivo di esistenza
significa che il revisore si accerti che le
attività e le vendite si riferiscono a transazioni effettivamente avvenute ed esistenti e
che i ricavi commerciali rappresentano l’ammontare derivante dalla vendita di beni e
prestazioni di servizi. Per quanto riguarda
invece l’obiettivo di manifestazione, diritti e
obblighi, il revisore deve accertarsi che le
attività iscritte in bilancio rappresentino un
effettivo diritto maturato alla data di chiusura del bilancio e che i ricavi rappresentino
vendite realmente avvenute (al netto delle
eventuali note di credito da emettere).
Soddisfare l’obiettivo di completezza, significa in pratica verificare che tutte le
Tavola 3 - Obiettivo di revisione area vendite
ESISTENZA
Vendite
effettivament
e avvenute
COMPLETEZZA
Tutti i ricavi delle
vendite e delle
prestazioni siano
stati catturati e
identificati
dal
sistema
informativo
MANIFESTA-ZIONE
I ricavi di vendita o di
prestazioni sono stati
effettivamente
realizzati in base a
contratti
Ricavi
di
beni
derivanti da
beni
consegnati
Tutti
i
premi
maturati dai clienti
sono
stati
identificati
Prestazioni
effettivament
e rese
Tutti i credi sorti
sono identificati
Tutte le operazioni
che generano ricavo
riflettono
le
operazioni
originariamente
poste in atto
I crediti si riferiscono
ad
operazioni
effettivamente
avvenute
Crediti sorti
in virtù di
transazioni
effettivament
e avvenute
Tutti gli incassi
sono
stati
identificati
ed
associati
al
credito originario
VALUTAZIONE
I ricavi sono
esposti con le
regole
di
valutazione
proprie
del
framework
contabile
adottato
dall’azienda
I crediti sono
esposti al valore
netto di realizzo
(principi OIC) o
ad
amortized
cost (IFRS)
Si
è
tenuto
conto
delle
perdite su crediti
e del grado di
recuperabilità
degli stessi
Sono
stati
effettuati
appositi
stanziamenti per
obbligazioni
dell’azienda
(premi concessi
a clienti, reclami
e contestazioni
ecc.)
PRESENTAZIONE
L’esposizione
a
bilancio delle voci
Ricavi
Altri ricavi
Crediti commerciali
Altri crediti
Riflette i principi
contabili
di
riferimento
COMPETENZA
I beni in viaggio sono
stati
contabilizzati
considerando
le
condizioni
contrattuali/giuridiche
in merito al momento
della maturazione del
ricavo di vendita
I ricavi di prestazioni
sono rilevati in base
alla percentuale del
servizio reso
Le note di credito a
clienti sono stanziate
entro la chiusura
dell’esercizio
Tutte le note di
credito sono state
I beni in viaggio
sono identificati
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Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Revisione&Controllo
transazioni e gli eventi accaduti nel ciclo dei
ricavi e delle vendite durante l’esercizio siano
stati identificati e accuratamente registrati e
riflettano gli eventi economici avvenuti.
Pertanto significa ad esempio essere soddisfatti che tutti i crediti sorti e tutte le vendite
effettuate sono stati correttamente registrati.
Questo implica che il revisore si accerti che
tutte le merci e i prodotti che sono usciti dai
magazzini siano stati successivamente fatturati al cliente e costituiscano i ricavi di
vendite dell’esercizio, oppure siano rilevati
come merci in deposito o in visione presso
terzi o per lavorazioni. Lo stesso principio
vale per le prestazioni rese: il revisore si
accerta che tutte le prestazioni erogate nell’esercizio siano state individuate, identificate
e ne è stato valutato lo stato avanzamento
della prestazione.
Una delle asserzioni attinenti la presentazione
e l’informativa è l’obiettivo di accertamento
della corretta esposizione in bilancio. Le
Area di bilancio
Ricavi delle vendite e delle
prestazioni
Altri ricavi e proventi
31.12.X1
31/12/X0 Variaz.
Variaz. %
Lead Schedule
rimando alla scheda
riassuntiva
rimando alla scheda
riassuntiva
Rischio di errori significativi
• Rilevazione dei ricavi (rischio significativo))
Alto
• Rischio intrinseco (Inherent risk) - Alto/Medio/Basso
Medio
• Rischio di controllo (Control risk) - Alto/Medio/Basso
Basso
Transazioni (Tr) or Saldi (B) Tr Tr Tr B/Tr
B
B
B
Asserzioni C A CO E D&O
V/A
Evidenza dei controlli
• Comprensione e valutazione dei controlli relativi al
ciclo attivo
• Verifica degli automatismi di sistema nella
x
registrazione dei ricavi
• Verifica controlli chiave sotto-processo anagrafica
x x
x
clienti
• Verifica controlli chiave sotto-processo fatturazione x x
x
attiva
Verifiche di analisi comparative sostanziali
• Substantive Analytical review sui ricavi
x x
x
Verifiche di revisione
• Test di dettaglio sul cut off delle vendite L
x
x
x
• Analisi transazioni significative generanti ricavi
x x
x
• Analisi di un campione di contratti di vendita ritenuti x x
x
significativi e verifica della corretta contabilizzazione
• Ottenimento e analisi di dettaglio delle transazioni
x
con PC.
• Analisi delle riconciliazioni intercompany
x x
x
• Verifiche fatture ed ordini di conto economico su
eventuali conti di ricavo inusuali
Presentazione del bilancio e nota integrativa
• Verifica corretta informativa delle note illustrative e
relazione sulla gestione del bilancio ;
Revisione&controllo
Tavola - 4 Esempio di piano di revisione sull’area crediti e ricavi
Tr
CL
x
x
x
x
x
x
x
C
A V
x
O
R&O
CL
x
U
C = completezza
A = accuratezza
CO= competenza o cut off
E= esistenza
D/O= diritti ed obblighi
V/A= valutazione ed accuratezza
CL= classificazione
Bilancio e reddito d’impresa n. 8-9/2016
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Revisione&Controllo
Revisione&controllo
verifiche devono dimostrare che i conti di
contabilità siano correttamente classificati in
bilancio e che la nota integrativa contenga tutte
le informazioni e i dati sono correttamente
imputati nelle voci di bilancio. Qualora i principi contabili adottati in un esercizio siano
diversi rispetto a quelli dell’esercizio precedente, il revisore deve verificare i motivi del
cambiamento e assicurarsi che sia correttamente riflesso in bilancio l’effetto di tale cambiamento sul patrimonio netto e sul risultato
dell’esercizio.
La Tavola 3 fornisce un esempio sinottico del
modo con cui vengono di solito soddisfatti gli
obiettivi di revisione nell’area vendite e crediti.
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Infine la scelta delle verifiche effettuate sui
saldi di ricavi e crediti commerciali e quelle
effettuate sul flusso procedurale dipende
dal livello di rischio definito in sede di
pianificazione.
La documentazione del piano di revisione
serve anche a dare evidenza dell’adeguata pianificazione e dello svolgimento delle procedure
di revisione che possono essere riviste prima
dello svolgimento delle procedure di revisione
conseguenti.
La Tavola 4 riporta un esempio di carta di
lavoro della pianificazione dell’area crediti per
un cliente in cui il rischio intrinseco e il rischio
di controllo in questa area è medio/basso.
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