UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA

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UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI SIENA
FACOLTÀ DI LETTERE E FILOSOFIA
CORSO DI LAUREA IN SCIENZE DELLA COMUNICAZIONE
IL RUOLO DEI MEDIA NEL GENOCIDIO
RWANDESE
Relatore:
Chiar.mo Prof. MARCELLO FLORES D‟ARCAIS
Tesi di Laurea di:
VINCENZO TORSITANO
Anno Accademico 2010 - 2011
1
Indice
INTRODUZIONE
4
NOZIONE DI GENOCIDIO
7
I. STORIA, ORIGINI E FORMAZIONE IDENTITARIA
9
Politica “di razza” delle amministrazioni coloniali
9
Rivoluzione sociale del ‟59 e Indipendenza
12
Habyarimana al potere nel 1973
15
Accordi di Arusha
18
II. GENOCIDIO E ICTR
Il genocidio, tra disimpegno occidentale e fallimento delle missioni
Peacekeeping ONU
Il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda
Epurazione razziale di Pauline Nyiramasuhuko e primi processi per
Stupro
Tribunale tribale della GAÇAÇA
21
21
25
28
31
III. RUOLO DEI MEDIA NELLA CAMPAGNA GENOCIDARIA
33
Gli inni all‟odio di Radio Télévision Libre des Mille Collines
Timeline della campagna di comunicazione di RTLM
Tecniche comunicative e strategie persuasive
Sostegno e incitamento delle milizie
Ordini di cattura e accuse al contingente belga
33
34
37
43
45
2
Giornale: Kangura
Tecniche comunicative e strategie persuasive
Timeline della campagna di comunicazione di Kangura
Periodici a favore del RPF e altri periodici a vantaggio del
M.R.N.D..
Ordini di cattura e accuse al contingente belga
Processo Media dell‟odio
47
47
49
55
58
59
CONCLUSIONI
66
APPENDICE
68
BIBLIOGRAFIA
73
SITOGRAFIA
75
3
Introduzione
Il XX secolo è stato definito "il secolo dei genocidi" o "il secolo dei totalitarismi"
ed è in genere considerato come un periodo in cui la violenza, lo sterminio di
massa e la guerra raggiungono livelli senza precedenti. Il secolo si apre
all'insegna dell'etnocentrismo nazionalista e ormai tutti, dai nazionalisti ai
socialisti,
pensano
in
termini
di
"nazione",
"etnia"
e
"diritto
di
autodeterminazione" dei popoli. Sin dai primi anni sono aperti fronti e focolai di
guerra in ogni continente, specialmente in Africa; infatti, uno sguardo particolare
è rivolto al grande continente africano, ricco di vegetazione, cultura, animali e
risorse minerarie ma ricco soprattutto di popolazione, la stessa che venne qualche
secolo prima deportata in America nello status di schiavi. L‟interesse cresce con
gli anni e la volontà di conquistare nuove terre conferisce, ai ricchi e lontani Stati
dell‟Europa, il potere di distruggere e conquistare qualsiasi territorio.
Si tratta forse dei cent‟anni più cruenti della storia dell‟uomo: la terra
viene inondata di violenza già nei primi anni con il genocidio armeno e poi, con
la Prima e la Seconda Guerra Mondiale, arrivano stragi, massacri, conquiste e
violenze; il progresso tecnologico avanza e gli stermini corrono di pari passo alle
bramosie di potere dei Capi di Stato e dei rivoluzionari.
« Si ritiene che nel secolo passato siano vissuti sulla terra tra 12 e 15 miliardi di
esseri umani e che i morti per guerra siano stati 100 milioni. È quindi probabile che
nel secolo che ci siamo lasciati alle spalle circa l‟1% di chi è vissuto allora abbia
trovato una morte causata direttamente o indirettamente da avvenimenti bellici »1.
« La storia la scrivono i vincitori ». Questa frase, citata da Göring durante il
processo celebrato contro i crimini nazisti a Norimberga, è emblematica di come
a volte la storiografia moderna tenda a celare e a non approfondire determinate
vicende storiche, rispondendo alle logiche di potere dei gruppi dominanti.
1
Charles S. Maier, storico di Harvard
4
Uno dei capitoli più oscuri della storia dell‟umanità riguarda i fatti
accaduti in Rwanda fra il 1991 e il 1994. Fra gli aspetti più rilevanti su cui è
opportuno far luce, vi è certamente l‟insieme delle dinamiche che favorirono lo
svilupparsi di azioni tanto estreme da essere considerate atti genocidari. Indagare
sulle cause di quegli avvenimenti permette di intendere l‟essenza stessa di ciò
che si verificò nella regione dei Grandi Laghi, e diventa importante soprattutto
perché « quando c'è stato un genocidio ce ne può essere un altro in futuro, in
qualunque momento, in qualunque luogo, se la causa rimane lì, ma non la si
conosce »2.
Del genocidio rwandese si possono descrivere la fenomenologia, le
dinamiche, ricercare analogie e soprattutto differenze ma le ragioni che portarono
ad esso sono oscure ancora oggi, a distanza di oltre quindici anni, e rimane da
capire come sia stato possibile che una stretta cerchia di nazionalisti estremisti
sia riuscita ad organizzarsi in maniera tale da coinvolgere un‟intera comunità in
un disegno talmente folle e vasto da voler completamente cancellare un‟etnia.
Come nel resto del continente africano, anche in Rwanda proliferano
sistemi politici autoritari caratterizzati da una grande propaganda di regime,
fondata su ideologie diverse in base alle zone territoriali e soprattutto in base alle
dominazioni. L‟idea di etnia è stata a lungo divulgata e strumentalizzata dai
colonizzatori, poi esasperata fino al nazional-razzismo del partito unico al potere,
M.R.N.D.. (Mouvement républicain national pour la démocratie et le
développement), facente capo al Presidente Habyarimana, ed infine assimilata in
modo perfetto dalla popolazione grazie ai media del potere. Ed è proprio sui
media, quindi, che conviene concentrare l‟attenzione, esaminando la causa di
tanta influenza che una radio, Radio delle mille colline (RTLM), e un giornale,
Kangura, considerati “di partito”, ebbero sulla popolazione, portando al
massacro più cruento della storia africana e della storia dell‟umanità.
2
Jean Hatzfeld, A colpi di machete, 2004, Milano, Bompiani.
5
Per certi versi le condizioni della guerra e della rivoluzione resero
possibile agli assassini genocidari di conquistare il potere e concretizzare le loro
politiche3; l‟influenza dei media fu tale da spingere amici, parenti e connazionali
ad uccidersi tra loro, spinti da differenze minime, se non insignificanti, prodotte
dal colonialismo, sbandierate e ingigantite da RTLM e Kangura.
Il presente lavoro si pone perciò l‟obiettivo di riportare, in nuce, le
rappresentazioni interne al genocidio, dalla storia precoloniale a quella postcoloniale, le quali fanno chiaramente luce sugli antecedenti del genocidio e,
attraverso lo studio di fonti indirette, quali saggi e ricerche sull‟argomento, ma
soprattutto su fonti dirette, come articoli dell‟epoca, per quanto riguarda
Kangura, e di trascrizioni delle trasmissione radiofoniche mandate in onda in
quegli anni, analizzare il ruolo dei media per la messa in atto del piano
genocidario.
Dopo aver illustrato brevemente la nozione di genocidio, così come
definita nella Convenzione delle Nazioni Unite sottoscritta nel 1948, si
ripercorreranno, dal punto di vista puramente cronologico, le vicende che
caratterizzarono il frangente storico qui preso in esame. Si passerà quindi alla
trattazione del ruolo che i media citati ebbero nella campagna genocidaria
rwandese analizzandone la strategia comunicativa, i metodi persuasivi e le
tecniche di propaganda, al fine di verificare se il genocidio rwandese si sarebbe
potuto realizzare anche senza un simile apporto mediatico.
3
Bruneteau, Bernard. Il secolo dei genocidi, 2005, Bologna - Il Mulino, p. 422
6
Nozione di Genocidio
La parola che riecheggia tra gli Stati civili, in Europa e negli Stati Uniti
d‟America e soprattutto il marchio più temuto è “genocidio”. Il termine, fu
coniato nel 1946 da Raphael Lemkin - giurista polacco di origine ebraica,
studioso ed esperto del genocidio armeno - durante il processo di Norimberga per
racchiudere in una sola parola le barbarie attuate contro gli ebrei nella II guerra
mondiale.
Il 9 dicembre 1948, in seguito al fenomeno dell‟Olocausto, le Nazioni
Unite approvarono la Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del
Crimine di Genocidio. In tale convenzione, il genocidio viene definito crimine
internazionale, che gli stati firmatari « si impegnano a combattere e punire », ed è
inteso come:
« ciascuno degli atti seguenti, commessi con l'intenzione di distruggere, in tutto o in
parte, un gruppo nazionale4, etnico, razziale o religioso in quanto tale:
(a) uccisione di membri del gruppo;
(b) lesioni gravi all'integrità fisica o mentale di membri del gruppo;
(c) il fatto di sottoporre deliberatamente il gruppo a condizioni di vita intese a
provocare la sua distruzione fisica, totale o parziale;
(d) misure miranti a impedire nascite all'interno del gruppo;
(e) trasferimento forzato di fanciulli da un gruppo ad un altro »5.
4
L’URSS fece pressione perché la dicitura “gruppo politico e culturale”, prima presente, fosse cancellata
per paura di essere incriminata per gli atti genocidari perpetrati all’epoca di Stalin.
5
Art 2, Convenzione per la Prevenzione e la Repressione del Delitto di Genocidio. Da notare che la
Convenzione non è stata applicata in Rwanda e i massacri terminarono solo nel luglio del ’94 quando
l’FPR arrivò a Kigali, determinando così la caduta del regime che li aveva discriminati e uccisi. Tutto ciò
avvenne sotto gli occhi dell’Europa e degli Stati Uniti ma nessuno intervenì prima.
7
Negli anni successivi vengono presi sotto esame tutti gli atti di violenza di
massa commessi prima della Grande Guerra così da valutare se fossero o meno
atti genocidari quelli commessi in Anatolia, in Ucraina ed in altri Paesi. Ciò in
base all‟articolo 4 della Convenzione, dove si stabilisce che « le persone che
commettono il genocidio […] saranno punite, sia che rivestano la qualità di
governanti costituzionalmente responsabili o che siano funzionari pubblici o
individui privati », e che dovranno essere considerati personalmente e
singolarmente responsabili del crimine stesso e pertanto sottoposti al giudizio del
tribunale del luogo in cui è avvenuto il fatto oppure di un tribunale internazionale
Mentre molti casi di violenza nei confronti di un determinato gruppo hanno avuto
luogo in diversi momenti della storia, e anche dopo l‟effettiva entrata in vigore
della convenzione, lo sviluppo sia locale sia internazionale del termine si è
concentrato in due distinti periodi storici: il primo è compreso tra il momento
della creazione del termine e il suo accoglimento all‟interno del diritto
internazionale (1944-1948); il secondo comprende invece gli anni in cui,
attraverso la realizzazione di tribunali internazionali per il perseguimento del
crimine di genocidio, il termine cominciò a venir effettivamente usato nella
pratica legale (1991-1998).
Prevenire il genocidio, l‟altro obbligo centrale della convenzione, rimane una
sfida aperta che nazioni e individui continuano a fronteggiare.
Sorge quindi la domanda di quali circostanze, interne o esterne, consentano ad un
- carnefice genocidario - di attuare ciò che è in potenza.
8
I. Storia, origini e formazione identitaria
Politica “di razza” delle amministrazioni coloniali
Tutti i paesi che oggi vengono etichettati come “sud del mondo” sono stati
colonizzati dai paesi europei e dagli Stati Uniti, vittime di quella che Gayatri
Spivak definisce « epistemic violence »6, una violenta rottura operata sulla
propria storia, sui valori, sulla cultura e sulle tradizioni, insomma su quel
complesso sistema che prende parte in modo essenziale alla costruzione di una
propria identità. In questi casi parliamo di un‟identità molto fragile, data la loro
quasi abissale lontananza da quello che può essere definito come un continente
culturalmente avanzato. « Alla base del genocidio in Rwanda c‟è, quindi, un
discorso identitario di tipo essenzialista »7, costruito dall‟epoca coloniale ed
ulteriormente rafforzato dalle dinamiche politiche, economiche e culturali neocoloniali. Ciò che avvenne in Rwanda non fu solo violenza, ma essenzialmente
una manipolazione ideologica dell‟identità e della razza; questo processo durò
tanti anni da essere in grado, come vedremo, di costruire identità etniche così
rigide e, tra loro intolleranti, da “progettare” e concretizzare la quasi-distruzione
di una progenie.
Posto nel cuore dell'Africa equatoriale, fra elevate montagne, il Rwanda
assume caratteri ben precisi sia per la sua particolare geografia, sia per la storia
della sua occupazione umana; detto anche “il Paese delle mille colline”, per le
6
Gayatri Chakravorty Spivak, Critica della ragione postcoloniale, 2004, Roma, Meltemi.
7
Alessandro Corio, Precipitando nel presente, lineamenti di una critica postcoloniale al culturalismo.
Università degli Studi di Padova, a.a. 05/06
9
splendide montagne ricche di vegetazione che rivestono l‟intera superficie,
considerato addirittura il Tibet d‟Africa.
Ciò che colpisce al primo impatto è la tipica struttura pre-coloniale di questa
società, la quale era caratterizzata da una suddivisione in caste.
« Uno dei primi esploratori del territorio fu il medico militare tedesco Richard
Kandt che veniva nominato consigliere del Re (Mwami) dal governatore imperiale
del “Deutsch-Ost-Afrika”, il Conte Gustav Adolph Graf von Goetzen. Secondo
quest‟ultimo, la società rwandese era divisa in tre gruppi: i Tutsi, che erano pastori e
che formavano la classe sociale superiore - 14% circa della popolazione - (da essa
provenivano i leader politici), la maggioranza - 85%circa della popolazione - Hutu,
in gran parte agricoltori e i Twa, una tribù appartenente ai pigmei che formava meno
dell‟un per cento della popolazione ».8
Quest‟armonizzazione sociale è stata paragonata al sistema delle caste in India e,
per quanto riguarda la divisione tra ricchi e servitori, alla società feudale del
Medioevo europeo.
La storia coloniale del Rwanda iniziò con la Conferenza di Berlino, 1986,
dove le potenze coloniali europee si spartirono l‟intero continente africano. Il
Rwanda venne assegnato ai tedeschi, ma la colonia non aveva grande importanza
sia dal punto di vista strategico, sia dal punto di vista economico, al contrario,
invece, di tutti i territori circostanti che offrivano una vasta gamma di possibilità
di commercio. Il disinteresse fu tale che i tedeschi lo abbandonarono e, subito
dopo la prima guerra mondiale, il territorio passò in mano al Belgio.
A causa della quasi inutilità del territorio e principalmente del maggiore
interesse delle potenze coloniali verso paesi più ricchi, l‟assetto sociale dei «
banyarwanda » sopravvisse alla colonizzazione e, proprio grazie al governo
indiretto del Belgio, la struttura venne rafforzata dato che il potere venne affidato
8
Melver Linda, A People betrayed: the role of the West in Rwanda’s Genocide 2009, Londra, Zed Book;
mio il corsivo.
10
ai tutsi, così come nell‟epoca precedente, e tale rimase fino alla metà del XX
secolo. Gli hutu andavano quindi via via maturando un forte odio per la casta dei
Tutsi, considerati superiori a causa della loro “naturale” nobiltà.
« Erano gli anni che vedevano l‟affermazione dell‟“ipotesi camitica”, teoria che
avrebbe fornito un quadro classificatorio generale e al cui interno venne elaborata
l‟idea di una separazione irriducibile fra Hutu e Tutsi.[…]Le politiche indigene
condotte dai colonizzatori belgi con l‟appoggio dei missionari, tra gli anni Venti e
Trenta, cristallizzarono i gruppi hutu e tutsi in “classi sociali/etniche” o “etnie”
istituzionalizzando un sistema di disuguaglianze sul piano socio-culturale.[…]
Attraverso una serie di riforme imposte dai belgi l'istituto della regalità sacra venne
completamente desacralizzato »9.
Nel 1936 il potere coloniale belga introdusse una distinzione pseudoscientifica per la popolazione con attribuzioni fisiognomiche e caratteriali: i tutsi
alti, arroganti; gli hutu più piccoli, laboriosi, di indole pacifica; i twa, molto
bassi. Successivamente venne imposta una carta di identità laddove, alla
valutazione della statura e dei tratti somatici, si sovrapponevano notazioni di
natura sociale, etnica ed economica.
Alla fine degli anni `50, tutta l‟Africa lottava per l‟indipendenza, il Belgio
fu indotto, a causa del suo scarso peso internazionale, a rinunciare al Congo, le
cui ricchezze erano ambite da paesi più potenti, come Usa, Germania e Francia e
che, per mantenere un minimo di controllo nel continente africano, doveva
scegliere tra Rwanda e Burundi. La scelta fu il Rwanda e, mentre le altre colonie
lottavano per l‟emancipazione, l‟amministrazione belga prese atto di ciò che
aveva provocato la divisione operata nel 1936, convincendo gli hutu che il
Rwanda non avrebbe mai potuto ottenere che un‟indipendenza fittizia, dal
momento che la popolazione avrebbe continuato a essere comandata dai tutsi.
9
Michela Fusaschi, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio ruandese. 2000, Torino: Bollati Boringhieri.
11
Fu allora che presero piede le leggi razziali vere e proprie, si istituì il
numero chiuso nelle scuole, limitato al 9%, la presunta percentuale della
popolazione tutsi rimasta nel paese. Lo stesso accadde nell‟amministrazione
pubblica. I tutsi non avevano più diritto di andare a scuola, di insegnare, di
lavorare. La persecuzione ebbe perciò inizio.
Rivoluzione sociale del ’59 e Indipendenza
Subito dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, la società rwandese così
come la società europea cambiò radicalmente. Il Rwanda divenne protettorato
delle Nazioni Unite e l‟obiettivo principale era quello di avviare le trattative per
l‟indipendenza.
Il Belgio deteneva ancora il potere ma doveva, secondo gli accordi con le
Nazioni Unite, cedere gradualmente le redini alla popolazione locale. Così nel
1952 i governatori belgi organizzarono una grande riforma amministrativa alla
quale seguirono le prime elezioni a livello comunale. L‟introduzione di elezioni
libere ebbe un significato ed una rilevanza psicologico–politica molto
importante, anche se i risultati delle elezioni non cambiarono nulla a livello
politico, si aprirono possibilità alla popolazione di partecipare alla vita politica
non indifferenti, in più, per la prima volta agli hutu fu concesso di accedere al
potere politico.
La chiesa aveva un forte impulso sull‟amministrazione europea, da aiuti e
scolarizza i tutsi, fattore essenziale per l‟accesso alle cariche pubbliche. I
missionari, in questa fase iniziale, fecero di tutto per assecondare i voleri
dell‟amministrazione coloniale e decisero di creare classi diverse per hutu e tutsi.
12
« Ciò nonostante, però, cresce la presenza degli hutu nelle scuole dei missionari,
che diventano il principale veicolo della cristianizzazione ma soprattutto
rappresentano un pericolo per l‟amministrazione coloniale che guarda con
preoccupazione all‟alfabetizzazione della massa dei contadini ».10
L‟élite tutsi si sentiva però minacciata di perdere il predominio politico e
fece pressione agli amministratori belgi affinché ottenessero il prima possibile
l‟indipendenza. In tal modo i Tutsi avrebbero fermato il processo di
democratizzazione per mantenere il loro ruolo dominante. Inaspettatamente
l‟amministrazione coloniale belga fece inversione di rotta dato il loro interesse ad
accelerare la fase di cessione.
« I tutsi vogliono l‟indipendenza quanto prima e tentano di sabotare gli
amministratori belgi. A loro volta, i belgi, si trovano a dover affrontare una
situazione completamente nuova, data la buona collaborazione avuta per anni con i
capi locali ».11
Particolare importanza riveste un documento stilato da un gruppo di
attivisti hutu guidati da Kayibanda nel 1957, che diverrà noto come Manifesto dei
Bahutu (originariamente aveva il titolo francese Note sur l’aspect social du
problème racial indigène au Rwanda); secondo il documento la segregazione
etnica sarebbe fonte di tutti i problemi sociali del Paese. Considerato come il
fondamento politico per la futura Repubblica, verrà anche utilizzato nel 1994 per
legittimare l‟eliminazione dei tutsi. Si trattava di un documento animato da forti
sentimenti razzisti e con questo stesso scritto venne, per la prima volta, utilizzato
dai rwandesi il termine “razza” per classificare hutu e tutsi12.
10
Michela Fusaschi, Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio ruandese, Torino, Bollati Boringhieri, 2000,
p. 117
11
Urundi Paul Harroy: governatore del Rwanda (1º marzo 1955 - 1960) e Presidente generale (1960 - 11
gennaio 1962)
12
Michela Fusaschi, 2000, p. 131
13
I firmatari del manifesto chiedevano più riforme, prima fra tutte quella di
non considerare più i tutsi come una razza superiore a quella hutu. Seguirono
altre richieste come l‟abolizione del lavoro forzato, il riconoscimento della
proprietà privata, la creazione di aziende di credito, la promozione effettiva degli
hutu alle funzioni pubbliche, la creazione di borse di studio e altri provvedimenti.
Quella degli hutu, in questo momento, era una lotta anticolonialista non rivolta
contro i belgi, ma verso i nemici tutsi i quali per troppi anni erano stati
considerati di rango superiore.
Nel 1959 gli hutu iniziarono le prime azioni di violenza con motivazione
“etnica”, cominciarono a bruciare le case e ad ammazzare la gente; uccidevano
non l‟uomo tutsi, ma il tutsi “serpente”, “scarafaggio”, “animale impuro”.
Parlavano di “disinfettare il paese”. La guerra civile divenne quotidiana e le
bande hutu si organizzavano in ronde per saccheggiare dovunque. Il 6 novembre
sia a Ruhengeri che a Gisenyi si scontrarono tutsi e hutu e di conseguenza il
Belgio dichiarò lo stato di guerra. Solo dopo più di tre settimane i governatori e
le forze belga riuscirono a prendere di nuovo il controllo anche se da lì in avanti
si sarebbero schierati a favore degli hutu.
Nel 1961 altri scontri nella regione di Butare causarono circa 150 morti
tutsi e 22 mila rifugiati. Il 25 settembre, sotto gli occhi delle Nazioni Unite, si
tennero le elezioni per una commissione costituente dalle quali gli hutu uscirono
come chiari vincitori.
Il 1° luglio del 1962 venne proclamata la Repubblica del Rwanda e fu
concessa formalmente l‟indipendenza, e Grègoire Kayibanda, proveniente dalla
prefettura Gitarama nel sud del Rwanda, divenne il suo primo presidente. Forte
della schiacciante vittoria il neo presidente affermò: « la democrazia ha
sgominato il feudalesimo »13. Nel frattempo però, la differenza tra hutu del sud e
13
Bruneteau, Bernard. 2005, Il secolo dei genocidi. Bologna - Il Mulino, p. 416. Il termine Democrazia,
in questo caso, è chiaramente riferita alla nuova leadership hutu, mentre si parlava di Feudalesimo
riguardo al governo tutsi.
14
hutu del nord si faceva sentire sempre di più, per questo motivo il governo
Kayibanda non aveva basi solide per guidare a lungo la nazione.
Habyarimana al potere nel 1973
Era il primo giorno di luglio del 1962 e, secondo il governatore belga Harroy, fu
il trionfo di una rivoluzione « assistita ». Le prime incursioni dei rifugiati tutsi
causarono dure rappresaglie sulla popolazione interna dei tutsi, inoltre
nell‟inverno del ‟63 gli esiliati, che nel frattempo si andavano organizzando in
quello che più avanti sarà il FPR (Front patriotique rwandais conosciuti anche
come Khmer noirs)14, scagliarono le prime offensive militari in Burundi.
I massacri, organizzati alla perfezione e condotti alla presenza dello stesso
esercito coloniale belga, provocarono diverse migliaia di morti. L‟attacco ebbe
delle conseguenze durissime: il governo Kayibanda colse l‟occasione per
eliminare sia le frange interne dei tutsi sia la popolazione hutu contraria ad esso.
Con il regime di Kayibanda, l‟appartenenza a un‟etnia diventò un elemento
determinante della vita sociale nonché un fattore decisivo per l‟accesso
all‟impiego, all‟educazione e ai posti amministrativi; ma tale politica non piacque
agli hutu più moderati che iniziarono a cospirare contro il capo della prima
Repubblica.
Nel 1972 il Presidente Kayibanda si trovò ad affrontare una forte crisi. Per
risollevare i propri consensi fece leva su un sentimento che andava sempre più
consolidandosi all‟interno della società, ovvero il “patriottismo” malato che
veniva inculcato a forza di menzogne; perciò decise di scaricare ogni
14
Le prime notizie certe risalgono al ’74, quando viene formata la RANU (Rwandese Refugee Welfare
Foundation); l’FPR si formerà ufficialmente solo nel 1987, ma alcuni testimoni ascoltati dal Tribunale
della Gaҁaҁa affermeranno di conoscerlo già dai primi anni ’60.
15
responsabilità su coloro che chiamava inyenzi: gli “scarafaggi” tutsi. Tra l‟ottobre
1972 ed il febbraio 1973 la repressione divenne asfissiante: si organizzarono
comitati di controllo e gli individui tutsi non poterono più entrare all‟interno dei
vari settori della pubblica amministrazione né della scuola né dell‟università. La
strategia del governo, tuttavia, non ebbe successo; inoltre le differenze tra gli
hutu del sud e quelli del nord si allargarono a dismisura, tanto da favorire, nelle
elezioni che si svolsero nel luglio del 1973, il più alto ufficiale dell‟esercito, vale
a dire il Generale Juvènal Habyarimana, originario del nord del Paese.
La seconda Repubblica nacque quindi con un‟ulteriore ondata di violenze.
Il neo-presidente fece sentire da subito il suo peso e cercò di mostrare un certo
distacco rispetto al regime precedente, facendone imprigionare e lasciandone
morire di fame e di sete tutte le più alte cariche, tra cui lo stesso Kayibanda;
quest‟ultimo, in particolare, era considerato per certi versi moderato e quindi
contrario alla strategia della nuova leadership. Ma la repressione e le
discriminazioni continuarono anche con Habyarimana: infatti, dei settanta politici
facenti parte del parlamento, solo due erano tutsi; tutti i prefetti appartenevano
all‟etnia hutu e nell‟esercito un solo ufficiale era tutsi. Nel „75, il Presidente
introdusse le prime misure restrittive sul piano politico e dichiarò illegali tutte le
fazioni ed i gruppi che non appoggiavano le logiche del suo nuovo partito
unitario
M.R.N.D.
(Mouvement
Rèvolutionnaire
National
pour
le
Dèveloppement), il quale si configurava come un vero e proprio partito
totalitario. L‟apparato organizzativo del Presidente aveva il preciso compito, da
un lato, di controllare ogni singolo abitante delle regioni del Rwanda e, dall‟altro,
di far partecipare tutti gli hutu alla vita politica di controllo.
Nonostante tutto, è da sottolineare che il periodo tra il 1973 al 1980 non
registrò fatti sanguinosi e che, anzi, il Generale riuscì a portare un po‟ di pace e
di stabilità nel paese, anche se le ferite del conflitto erano evidenti. Questo
periodo di tregua scaturì in parte dalla vicinanza di Habyarimana a Monsignor
Vincent Nsengyumava, il quale fu arcivescovo di Kigali dal 1976 al 1994. Egli
16
era non solo un amico del Presidente, ma anche membro del comitato del
M.R.N.D.15. Le condizioni della minoranza tutsi, ad ogni modo, continuarono
sempre ad essere critiche e controverse, soprattutto dal punto di vista politico e
governativo: « non fare politica e sarai lasciato in pace ».16
Il Regime Habyarimana, riuscendo a portare la pace tra hutu e tutsi,
garantì al proprio Paese perfino il sostegno economico della comunità
internazionale e naturalmente tutto ciò consentì la circolazione interna di enormi
somme di denaro. Secondo i dati del World Bank Yearly Development Report,
tra il 1976 e 1990 il Rwanda migliorò di 12 posti nel ranking mondiale. Nel 1991
il 22% del PIL arrivò da sussidi economici (in gran parte provenienti da Francia,
Germania, Belgio, Svizzera, Canada e Stati Uniti)17, aumentò anche la
popolazione tanto che in quegli anni gli abitanti sotto i 20 anni arrivarono a
superare il 57% del totale.
Ma questo periodo era destinato a finire e ciò avvenne alla fine degli anni
Ottanta, quando gli sforzi della popolazione furono vanificati dall‟improvviso
innalzamento del prezzo del caffè; il Presidente, messo ormai alle strette,
continuava la sua politica e, pur accorgendosi che il suo regime era quasi del
tutto demolito, iniziò a piazzare spie ovunque, vietò a chiunque di cambiare casa
senza permesso e senza mezzi termini obbligò chiunque ad iscriversi al suo
partito. A causa della forte flessione economica il Generale dovette cedere alle
pressioni degli Stati creditori che chiedevano un governo pluripartitico; così nel
1990, in seguito ad un incontro fra Habyarimana ed il presidente francese
Mitterrand, si optò per la liberalizzazione politica del Rwanda.
15
Per questo motivo, forse, la Chiesa non si pronunciò più di tanto sul ruolo dei suoi vicari in Rwanda,
anche perché furono tanti i parroci e i vescovi che entrarono a fare parte dei consigli di partito. Linden
parla a proposito di “Chiesa serva” dello stato.
16
Prunier, Gérard. The Rwanda crisis, 1959-1994. New York: Columbia University Press, 1997.
17
Prunier, Gérard. ’97, pp. 88-89
17
Il tracollo dell‟economia portò così alla fine della seconda repubblica;
tutto questo mentre altrove, nel 1989, crollavano il muro di Berlino e il
Comunismo mondiale. Nonostante il disordine e l‟instabilità che si generarono a
livello nazionale ed internazionale, la minoranza tutsi continuava a non trarre
vantaggi dalla situazione generale, tanto che il 1° ottobre 1990 il Fronte
Patriottico Rwandese, guidato dal generale Fred Rwigema, intraprese l‟azione
che successivamente avrebbe portato all‟invasione del Rwanda. Nel frattempo il
giornale estremista Kangura pubblicava « I dieci comandamenti degli hutu ». E
più che mai servivano degli accordi di pace per fermare le violenze.
Accordi di Arusha
Le azioni di guerriglia del RPF furono accompagnate da trasmissioni
propagandistiche dall'Uganda attraverso la stazione radio Radio Muhabura, le
quali accusavano il governo di Kigali di genocidio. Di contro, il 5 ottobre
Habyarimana pronunciò un discorso alla radio nazionale, in cui spiegava che il
nemico aveva attaccato in forze la capitale, avvisava quindi di stare attenti ai
guerriglieri tutsi e decretava lo stato d‟assedio. Tanti furono i tentativi di stabilire
un cessate il fuoco nei mesi successivi; il primo ad avere un risultato almeno
temporaneo fu quello firmato il 13 luglio 1992 ad Arusha, in Tanzania (da non
confondere con gli accordi siglati nel ‟93) e poi ad Addis-Abeba (Etiopia). In
questo periodo iniziarono le trattative per l‟acquisto di armi e, in particolare, partì
dall‟istituto di credito francese Crédit Lyonnais l‟ennesimo contratto, da 6
milioni di dollari, per la fornitura di armi al Rwanda. Tale materiale bellico fu
poi fornito da parte del produttore di armi sudafricano Armscor.
La segnalazione di nuovi massacri di tutsi in alcune zone del paese spinse
il RPF a lanciare un‟offensiva l'8 febbraio 1993. Presa in maniera definitiva
18
Ruhengeri, il RPF si preparò per la seconda volta, dopo un tentativo fallito alcuni
mesi prima, a marciare verso la capitale. Durante la loro avanzata nel paese i
ribelli seminarono il terrore nella popolazione hutu, massacrando e razziando i
civili, e causando oltre 1 milione di profughi.
Nel luglio 1993 riprese l'azione diplomatica cominciata un anno prima ad
Arusha, e alla quale contribuirono attivamente, per la prima volta, Francia e Stati
Uniti. Due importanti incontri avvenuti in Rwanda il 19 e il 25 luglio stabilirono
le basi per una soluzione definitiva del conflitto, che fu firmata il 4 agosto 1993
ancora ad Arusha.
Gli "Accordi di Arusha", tra l'altro, prevedevano:
 Che tutti i Tutsi rifugiati fuori dal Rwanda potessero ritornare in
patria.
 Che
una
maggiore
presenza
dell'RPF
nell'esercito
venisse
formalizzata.
 Che fossero ridotti i poteri del presidente del Rwanda, trasferendone
gran parte al Governo transitorio, un organo che comprendeva molti
rappresentanti dell'RPF.
 Che una delegazione internazionale aiutasse a comandare e vigilare
lo Stato del Rwanda.
La firma definitiva del protocollo da parte del presidente Habyarimana e
dal leader del RPF Alexis Kanyarengwe avvenne il 3 ottobre 1993. Ma la
maggioranza hutu, che vedeva l'azione del RPF non come un tentativo di
ristabilire i diritti dei tutsi nel paese, bensì come un tentativo dei tutsi di tornare
alla loro antica posizione di supremazia, provocò non pochi episodi di
malcontento. Dai comunicati del FPR e dalle trasmissioni di Radio Mille Colline
si aprirono le prime avvisaglie di un‟inaudita violenza, generata anche dal fatto
19
che sia il Fronte Patriottico sia i movimenti Akazu e Hutu Power erano ormai sul
piede di guerra.
Il potere del Generale Dallaire, Comandante della Missione delle Nazioni
Unite per l‟Assistenza al Rwanda (MINUAR), venne progressivamente diminuito
e la sua voce completamente ignorata e anche quando, nel gennaio del ‟94, si
trovò di fronte al traffico illegale d‟armi proveniente dalla Francia, gli venne
ordinato dal Consiglio di Sicurezza di non intervenire.
L‟occidente restò immobile a guardare e se pure gli Stati Uniti avessero
avuto una minima intenzione di intervenire, a far cambiare idea agli americani fu
la vicenda del 3 e 4 ottobre, quando diciannove soldati statunitensi furono uccisi
in Somalia nel corso della battaglia di Mogadiscio. L‟America rimase a tal punto
sconvolta di fronte alle immagini che arrivavano dal corno d‟africa che si preferì
non agire, anzi di non accettare che ciò che stava accadendo in Rwanda non era
un vero e proprio genocidio, ed anche l‟Onu in questa fase non accennò a voler
occuparsi attivamente delle vicende rwandesi.
20
II. Genocidio e ICTR
Alla fine, noi ricorderemo
non le parole dei nostri nemici,
ma il silenzio dei nostri amici.
Martin Luther King, Jr.
Il genocidio, tra disimpegno occidentale e fallimento delle
missioni Peacekeeping ONU
La situazione precipitò quando Melchior Ndadaye, presidente hutu del vicino
Burundi, venne ucciso il 21 ottobre del 1993. Per gli hutu questo fatto
rappresentò un‟occasione formidabile per favorire e fomentare l‟isteria, ormai
dilagante, contro i tutsi. L‟indomani Kigali venne invasa dalle truppe dell‟RPF e
la reazione da parte degli hutu fu di chiedere l‟interruzione degli accordi di
Arusha. Mentre Kagame, comandante supremo del RPF, e tutte le milizie tutsi
furono accusate dell‟assassinio di Ndadaye, nello stesso momento Akazu e Pawa
elaborarono un piano di “autodifesa” civile, in virtù del quale distribuirono armi
ai civili e iniziarono con il loro addestramento.
All‟inizio del ‟94 gli accordi di pace vennero fermati; con molta fatica,
venne formato un governo di transizione, ma la fazione del presidente
Habyarimana, l‟Hutu Power, rifiutò di riconoscere un governo allargato al FPR.
Altri fondamentali avvenimenti ebbero luogo nello stesso mese: a Kigali la
MINUAR intercettò un aereo cargo, partito da Châteroux (Francia)18, carico di
18
Secondo Prunier Gerard Habyarimana aiutò la Francia in affari illegali, perciò Mitterand appoggerà il
suo regime.
21
munizioni destinate alle F.A.R. (Forze Armate Rwandesi), controllate dal
Presidente Habyarimana; RTLM iniziò, senza mezzi termini, ad inneggiare
all‟odio; fonti segrete del Generale Dallaire lanciarono l‟allarme circa l‟avvio
imminente di un genocidio e, come se non bastasse, venne assassinato il leader
del PSD (Partito Social Democratico) Félicien Gatabatzi19.
La situazione divenne incontrollabile e fu allora che il ministro degli esteri
belga Willy Claes, nel corso di una visita ufficiale in Rwanda, chiese a BoutrosGhali, segretario generale delle Nazioni Unite, di ampliare la Missione
MINUAR, invitandolo a procedere il prima possibile: « Se la situazione dovesse
effettivamente degenerare[…]sarebbe inaccettabile, per l‟opinione pubblica, che i
caschi blu possano diventare testimoni passivi di un genocidio »20.
La MINUAR, nel novembre del 1993, contava 2548 uomini, anche se ne
sarebbero serviti più di 8000 ma il mandato21 era molto restrittivo, dal momento
che l‟utilizzo delle armi era consentito solo per autodifesa, anche se « la
MINUAR prenderà ogni azione per impedire ogni crimine contro l‟umanità »22.
Il 29 marzo la riunione tenutasi a Kigali presidiata dal Colonnello
Bagosora, capo di stato maggiore delle F.A.R., alla quale parteciparono anche il
presidente Habyarimana e la moglie, preparò e organizzò, sotto la responsabilità
dell‟esercito, l‟eliminazione degli infiltrati e degli oppositori. Lo stesso Bagosora
dichiarò, qualche giorno dopo l‟incontro, che gli accordi di Arusha non offrivano
alcuna garanzia e accenno alla possibilità di sterminare i tutsi.
La sera del 6 aprile 1994 in Rwanda giunse la notizia dell‟abbattimento
dell‟aereo presidenziale su cui viaggiavano Habyarimana e il nuovo presidente
del Burundi Cyprien. La notizia colpì la popolazione e le milizie hutu accusarono
19
Il capro espiatorio era sempre il FPR ma fu il Pawa a commettere l’omicidio, perché Gatabatzi svelava
il doppio gioco di Habyarimana.
20
Des Forges Alison, 1999, Aucun tèmoin ne doit survive. Le genocide au Rwanda, Karthala. Parigi p. 192
21
Resolution 872 (1993): http://www.un.org/en/peacekeeping/missions/past/unamir
22
Des Forges, 1999, p. 160
22
il FPR dell‟accaduto, ma stavolta i principali sospettati erano proprio gli
estremisti hutu e tutti coloro i quali credevano che il presidente rwandese fosse
sul punto di attuare gli accordi di pace. Persino sulla moglie Agathe vennero
avanzate accuse, apparve strana la decisione di ritornare in Rwanda in
automobile dal Burundi quando invece seguiva in aereo il marito in ogni
incontro.
I massacri iniziarono la notte stessa, la notizia dell‟attentato non era
ancora stata data nemmeno in radio e già le prime barricate venivano alzate in
strada a Kigali. Lo sterminio fu totale, furono presi di mira sia i tutsi sia gli hutu
democratici e a pagare le conseguenze furono anche molti soldati del contingente
ONU. La popolazione civile trovò rifugio in alcuni campi ONU, ma la parte più
rilevante della MINUAR restò in disparte, mentre si consumava la carneficina.
Fu imposto a queste forze di non intervenire, in quanto ciò avrebbe compromesso
il loro mandato di “monitoraggio”. Intanto il FPR ingaggiò vari scontri a fuoco
con la Guardia Presidenziale a Kigali e RTLM divulgò la notizia che il FPR e i
caschi blu belga fossero i responsabili della morte del presidente Habyarimana.
Significativa, a questo punto, la telefonata di un funzionario Usa al
generale Dallaire, questo stralcio rappresenta l‟intero atteggiamento dell‟ONU
ma soprattutto quello degli Stati Uniti che non interverranno né con le Nazioni
Unite né da soli: « […] Generale, il mio governo sta prendendo seriamente in
considerazione l‟opportunità di intervenire in Rwanda a difesa dei civili », spiegò
il funzionario USA « […] secondo un nostro sondaggio – spiegò l‟uomo a
Dallaire – il cittadino medio degli Stati Uniti considera la morte di un nostro
soldato un fatto di gravità equivalente alla morte di 85.000 rwandesi »23.
Nonostante tutto Bill Clinton scrisse, pochi anni dopo, queste parole: «Let
us challenge ourselves to build a world in which no branch of humanity ...is
23
Scaglione, D. Istruzioni per un genocidio: Rwanda: cronache di un massacro evitabile, 2010, Roma.
P.142
23
again threatened with destruction...to strengthen our ability to prevent, and, if
necessary, to stop genocide »24.
In 100 giorni morirono circa 800 mila persone, pari al 10% della
popolazione. Venne stroncata la vita delle persone, ma anche la futura classe
dirigente dell‟intero paese, in quanto nel giro di poche ore, dopo l‟assassinio di
Habyarimana, furono uccisi tutti i candidati politici che avrebbero potuto essere
posti alla guida di un governo provvisorio. « Nonostante i metodi agricoli,
l'indice di produttività del genocidio in Rwanda ha superato quello industriale dei
nazisti. È durato solo di meno »25.
Il genocidio non fu una guerra tribale caotica e non controllabile come
veniva definito al tempo dai media internazionali, ma venne caratterizzata da un
grande ordine e da una perfetta organizzazione: « From what he told me, they
were capable of killing about 1,000 Tutsi every twenty minutes, so this was an
extensive organization, and that was our undoing (Colonel Luc Marchal:
Comandante del settore di Kigali per la MINUAR) ».26
RTLM rendeva pubblico quotidianamente quali persone dovevano essere
uccise e dove questi abitavano, e i borgomastri (sindaci) che non si attennero agli
ordini furono eliminati. Radio delle mille colline era diventata perciò uno
strumento per dirigere l'omicidio di massa. Le squadre di morte furono
appoggiate da numerosi volontari che, in compenso, ricevevano aiuti economici
(cibo e birra). Quello del Rwanda fu il genocidio più organizzato della storia, ma
potremmo definirlo anche come il “genocidio dei poveri” in quanto, a causa
dell‟indisponibilità economica del Paese, non furono usate armi da fuoco, bensì
armi bianche importate dall‟estero o fabbricate direttamente in loco, in
24
Text of Clinton's Rwandan Address, 25 marzo 1998, estratto dal sito internet del network statunitense
CBS, disponibile all’indirizzo web http://www.cbsnews.com/stories/1998/03/25/world/main5798.shtml
25
Cartosio Manuela. La fatica ordinaria del genocidio. Il Manifesto 28/09/04 intervista a Jean Hatzfeld.
26
Video "Chronicle of a Genocide Foretold," scritto e diretto da Dani•Lacourse e Yvan Patry
24
particolare le mazze chiodate prodotte in Cina e l‟ormai tristemente famoso
machete. Si stima che l‟unica fabbrica rwandese capace di fabbricare questo
strumento arrivò a vendere nel solo febbraio del 1994 il quantitativo venduto
nell‟anno precedente27.
Alla luce di questo fatto appare paradossale che la stampa internazionale,
un po‟ per evitare di allarmare l‟opinione pubblica, un po‟ per non ammettere i
fatti che stavano accadendo, userà l‟immagine del machete come simbolo di un
massacro tribale, frutto solo di odi atavici, che non poteva essere né evitato né
tantomeno fermato.
« Il mito delle tre “razze” divenuto, poi, ideologia di stato ebbe per effetto
l‟occultamento delle vere dimensioni dei conflitti di potere, e soprattutto delle vere
ragioni che lo scatenarono, le quali si preparavano già nel periodo coloniale »28.
Il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda
Varie Organizzazioni non governative in Rwanda avevano documentato una
storia di abusi dei diritti umani che indicavano chiaramente la propensione alla
violenza, se non al genocidio. Queste violazioni occorsero dopo l'indipendenza.
Il carattere sporadico dei massacri perpetrati, apparentemente in risposta
agli attacchi RPF, a danno della popolazione tutsi (compresi il massacro del
popolo tutsi-babogwe in gennaio e febbraio 1991, i massacri di tutsi nella zona di
Kibuye nell'agosto del 1992 e le stragi di Bugesera nel marzo 1992); la firma di
ripetuti accordi di “cessate il fuoco” fra le parti; le continue interferenze
27
Des Forges, 1999
28
Fusaschi, Michela. Hutu-Tutsi. Alle radici del genocidio ruandese. Torino: Bollati Boringhieri, 2000
p.121; mio il corsivo.
25
internazionali da parte di Francia e Stati Uniti; tutti questi elementi resero molto
difficile l‟applicazione della Convenzione di New York del 1948.
Le violazioni dei diritti umani in Rwanda sono state monitorate
ampiamente dalle organizzazioni internazionali fin dall'inizio del conflitto nel
1990. Questi documenti hanno notevolmente aiutato le loro controparti
internazionali nelle indagini e li hanno portati a scoprire numerose violazioni dei
diritti umani. Gérard Prunier afferma che queste organizzazioni erano forti « and
well organized [...] and their militants were taking personal risks in gathering
what were soon to become very precise and damning reports on the situation in
the country ».29
Non era, tuttavia, sempre facile da capire chi avesse commesso le
uccisioni, se le F.A.R., il RPF, l'Interahamwe (quest‟ultime erano le milizie più
temute dell‟ex partito M.R.N.D.. poiché ricevettero un vero e proprio
addestramento militare30), le bande locali o anche singoli individui.
Era necessaria un'analisi precisa degli omicidi, atta a rivelare modelli e
nessi causali. La forza Onu non ha compiuto questo tipo di analisi, né la sede
delle Nazioni Unite. La maggior parte delle nostre informazioni sulle violazioni
dei diritti, sia allora come oggi, viene da organizzazioni per la tutela dei diritti
umani e dagli atti delle testimonianze dell‟ICTR e della Gaҁaҁa.
Nei casi del Rwanda e dell‟ex-Jugoslavia, si è costituita una corte penale
internazionale ad hoc. Almeno in questo, le iniziative della comunità
internazionale si sono rivelate decisive: sono riuscite a non lasciare soli i
sopravvissuti, tenendoli aggrappati all‟idea che un ordine morale e sociale, dopo
la catastrofe, poteva esser ricostruito. Il Tribunale Penale Internazionale per il
Rwanda (ICTR dall'inglese International Criminal Tribunal for Rwanda) venne
29
Prunier, G. 1997, Rwandan Crisis, p. 131.
30
Des Forges, 1999, p. 71.
26
creato l'8 novembre 1994 con una risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle
Nazioni Unite. Obiettivo precipuo di questo Tribunale, e proposito delle misure
da esso adottate, è stato quello di contribuire al processo di riconciliazione
nazionale in Rwanda e di mantenere la pace all‟interno del suo territorio; il suo
compito da allora è stato quindi giudicare i responsabili del genocidio rwandese e
di altre gravi forme di violazioni dei diritti umani, commessi sul territorio
rwandese o da cittadini rwandesi negli stati confinanti, dal 1 gennaio al 31
dicembre 1994.
Il Tribunale, che ha sede nella città di Arusha (in Tanzania), è composto
da "quattro camere": tre di primo grado e una per l'appello.
I giudici provenivano, e provengono tuttora, da varie nazioni, in
rappresentanza dei 5 continenti; Presidente del tribunale era il norvegese Erik
Møse mentre non ne ha mai fatto parte alcun giudice rwandese.
L'accusa è divisa in due sezioni: la "Sezione Investigativa", che ha
raccolto prove e testimonianze in collaborazione con le associazioni presenti sul
territorio, e la "Sezione Prosecutoria", che ha condotto l'accusa nel processo.
Il Tribunale Penale Internazionale per il Rwanda (ICTR) (il cui primo
processo si è tenuto nel gennaio 1997) ha una giurisdizione:
 ratione materiae: genocidio, crimini contro l‟umanità, violazione
dell‟articolo 3 della Convenzione di Ginevra.
 ratione temporis: crimini commessi tra l‟1 gennaio e il 31 dicembre 1994.
 ratione personae et ratione loci: crimini commessi da Rwandesi in
Rwanda e in territorio degli stati vicini, ma anche di non-Rwandesi per
crimini commessi in Rwanda.31
31
http://www.unictr.org/AboutICTR/Generalinformation/tabid/101/Default.aspx
Tribunale internazionale per il Rwanda.
-
Sito
ufficiale
27
Il mandato del Tribunale è stato prorogato dal Consiglio di Sicurezza fino
al dicembre 2012. L‟ICTR ha emesso diverse sentenze storiche, tra cui il primo
caso di condanna di un Capo di Governo per il crimine di genocidio.
Il principale imputato fu, infatti, Jean Kambanda, Direttore dell'Unione
delle Banche Popolari del Rwanda, vicepresidente del Movimento Democratico
Repubblicano e primo ministro ad interim dal 9 aprile 1994, tre giorni dopo
l‟incidente aereo del presidente Habyarimana. Egli venne accusato di genocidio,
partecipazione morale alla programmazione del genocidio, incitamento diretto e
pubblico a commettere il genocidio, complicità nel genocidio e crimini contro
l‟umanità, assassinio e sterminio; attualmente sta scontando la sua condanna
all‟ergastolo in Mali.
Il processo è stato il primo esempio in cui una persona accusata per il
crimine di genocidio abbia ammesso la propria colpevolezza di fronte ad un
tribunale penale internazionale.
Epurazione razziale di Pauline Nyiramasuhuko e primi processi
per stupro
« Sono stata stuprata anche più di dieci volte in un giorno […] vanno nei villaggi
e rapiscono tutte le donne a partire dai 13 anni, e poi le portano nel proprio covo
[…] siamo state costrette a guardare mentre uccidevano quelle che pesavano
meno di 50 chili […] ho visto queste donne agonizzare e non potevo fare nulla
per loro. Una cosa orribile ». È la drammatica testimonianza di una delle vittime,
Theresita.
Di testimonianze, simili a questa, ne esistono purtroppo tante. La
violazione delle donne fa dello stupro la più grande arma di terrore soprattutto
nell‟ambito di un genocidio, se si considera la violenza carnale come strumento
di epurazione razziale in quanto, partendo proprio dal sangue, testimonia in toto
le nefandezze di un genocidio.
28
Si calcola che nel corso del genocidio rwandese siano state violentate tra
le 250.000 e le 500.000 donne, non solo come tradizionale “bottino di guerra” e
come forma di umiliazione del nemico32, ma come vero a proprio strumento di
sterminio; uno sterminio che avrebbe prodotto effetti sia nell‟immediato, sia a
posteriori, tramite la diffusione di terribili malattie, prima fra tutte l‟HIV.
Il ruolo delle donne nel genocidio rwandese fu cruciale; dopo la moglie
del presidente Habyarimana, Agathe33, un‟altra donna, Pauline Nyiramasuhuko,
fu nominata Ministro della Famiglia e per le Pari Opportunità, ma non verrà mai
ricordata per le sue iniziative sociali.
La ministra hutu organizzò una serie di squadre di criminali,
tossicodipendenti, stupratori e soprattutto malati di AIDS, mandandoli a stuprare
e uccidere le donne tutsi34. Così come avvenne pochi anni dopo in Bosnia e in
Algeria, dove i regimi favorivano e ordinavano gli stupri, anche in Rwanda, la
gravidanza forzata era funzionale alla “pulizia etnica”; inoltre, sulle donne in
gravidanza furono effettuate violenze supplementari, quasi a marcare la loro
responsabilità di generatrici della stirpe considerata nemica35 - una sorta di
frontiera tra misoginia e razzismo. Non solo, ma gli stupri di massa erano
accompagnati anche da mutilazioni genitali, femminili e maschili, per assicurarsi
di eliminare l‟etnia in toto.
Le proporzioni di questa malefica campagna furono immani: si calcola che
oggi più dei due terzi delle vittime siano sieropositive. Oltre all‟enorme numero
delle donne stuprate si aggiunge una questione ancor più deplorevole: la nascita
di più di 10.000 bambini generati dalle violenze.
Tutte queste vicende sono state recentemente portate alla ribalta da Peter
Landesman, giornalista del New York Times, il quale ha compiuto un reportage
sul Rwanda intervistando molte persone testimoni di atrocità inaudite. Rose, in
particolare, racconta di essere stata stuprata dal figlio di Pauline, Shalom, il quale
ripeteva di aver il consenso di sua madre per stuprare donne tutsi.
« Che le guerre siano accompagnate dallo stupro non è certo una novità nella
storia umana, però scoprire che la violenza sessuale è stata usata in modo
32
Di Palma Sara Valentina. Lo stupro come arma contro le donne: l’ex Jugoslavia, il Rwanda e l’area dei
Grandi Laghi africani, in Marcello Flores (a cura di), Stupri di guerra. Milano: Franco Angeli, 2010, p.220
33
Agathe Habyarimana costituì il partito estremista Hutu dell’Akazu “piccola casa”.
34
Di Palma S. V., 2010, p. 221
35
Y. Mukagasana, La morte non mi ha voluta, 1995, p. 65
29
sistematico in una guerra dei nostri giorni ad opera di una donna, mette la nostra
società veramente a disagio »36.
Pauline Nyiramasuhuko fu processata dal Tribunale dell‟ONU con undici capi
d'accusa, diventando la prima donna ad essere imputata di stupro come crimine
contro l'umanità. Non ha mai dato cenni di pentimento né di rimorso per ciò che
fece37 ed oggi passa la sua vita regolarmente nella cella del carcere di Arusha, in
Tanzania. Anche suo figlio Arsene Shalom Ntahobali, all‟epoca studente, è stato
riconosciuto colpevole e condannato all‟ergastolo, mentre altri 4 funzionari a
processo hanno avuto pene variabili dai 25 anni all‟ergastolo.38
Un altro imputato “eccellente” è Jean-Paul Akayeshu, allora sindaco della
città rwandese di Taba, condannato all'ergastolo per il massacro di 2000 tutsi
rifugiati nel suo municipio, per lo stupro collettivo delle donne tutsi e per la
partecipazione diretta a diversi omicidi; attualmente sta scontando la sua
condanna in Mali. Il processo riguardante l‟ex sindaco è forse il più importante,
essendo stato il primo in cui un tribunale sia stato chiamato a interpretare la
definizione di genocidio così come definita nella Convenzione per la
Prevenzione e la Repressione del Crimine di Genocidio (1948).
La sentenza “Akayeshu” affermava anche che lo stupro e l‟aggressione
sessuale costituiscono atti di genocidio nella misura in cui siano commessi con
l‟intento di sterminare, in modo totale o parziale, un determinato gruppo di
persone. Essa ha rivelato che, nel caso del Rwanda, l‟aggressione sessuale
costituiva una parte integrante della strategia di annientamento del gruppo etnico
dei tutsi e che lo stupro era sistematico e perpetrato solo sulle donne di etnia
tutsi, manifestando quella specifica intenzionalità richiesta da tali azioni per poter
essere considerate reato di genocidio. Insieme a quelli che saranno i processi per
la ex-Jugoslavia, la sentenza e tutto l‟iter giuridico decretarono un cambiamento
nell‟approccio alla violenza sessuale all‟interno della legislazione internazionale,
facendo in modo che andasse a costituire, di per sé, un crimine contro l‟umanità.
36
Federico Bastiani, giornalista freelance su Pauline Nyiramasuhuko:La donna dal triste primato,
articolo, pubblicato il 27.02.03 su www.women.it.
37
Pauline Nyiramasuhuko:La donna dal triste primato, articolo di F. Bastiani pubblicato il 27.02.03 su
www.women.it
38
Edizione de La stampa, sezione estera del 24/06/2011. La notizia risale, infatti, a poco tempo fa.
30
Si legge infatti negli atti del suo processo: « Sexual violence was a step in
the process of destruction of the Tutsi ethnic group – destruction of the spirit, of
the will to live, and of life itself ».39
Durante l‟ICTR lo stupro venne ufficialmente criminalizzato con due
disposizioni, la prima collegata al concetto di crimini contro l‟umanità, la
seconda riferita invece ai crimini di guerra. Esso diventava un atto di genocidio
perché, di fatto, si considerava tale tutto ciò che era volto a causare gravi lesioni
mentali o fisiche ai membri di un gruppo specifico: le donne tutsi venivano
appunto violentate esattamente a causa della loro identità etnica.
Tribunale tribale della GAÇAÇA
Pian piano il governo rwandese decise di svuotare le prigioni che, ormai sull‟orlo
del tracollo e in condizioni insostenibili, contavano 120 mila persone accusate di
genocidio: ci sarebbe voluto più di un secolo per giudicarli tutti. Per affrontare la
questione delle migliaia di accusati ancora in attesa di essere giudicati da parte
del sistema nazionale, e per riportare giustizia e riconciliazione nella società, il
governo del Rwanda ripristinò il sistema giudiziario tradizionale chiamato
“Gaҁaҁa”40, divenuto pienamente operativo nel 2005.
Nel corso degli anni, questi tribunali hanno consentito di far uscire dal
carcere la maggior parte delle oltre centomila persone che erano ancora detenute
dopo quasi dieci anni dal genocidio. Quattro anni dopo l‟introduzione della
Gaҁaҁa, tuttavia, le carceri rwandesi detenevano ancora oltre 62.000 persone,
creando un sovraffollamento spaventoso. Spesso i prigionieri che confessavano
facevano ritorno a casa senza ulteriori pene (come documentato in diverse
testimonianze, ciò poteva far sì che assassini e vittime si trovassero sulla stessa
39
The Prosecutor v. Akayesu, Case No. ICTR-96-4-T, Judgement, 2 September 1998, para. 732
40
Letteralmente: tribunale sui “prati” dove tradizionalmente tutti gli abitanti dei villaggi si riunivano per
risolvere le controversie.
31
strada) oppure venivano condannati allo svolgimento di attività coattive.
Generalmente nelle assemblee Gaҁaҁa i sopravvissuti raccontano di essere a
conoscenza delle violenze sessuali avvenute, ma le vittime prendono raramente la
parola. Dal canto loro, i detenuti confessano di aver fatto parte di gruppi di
Interahamwe che compivano gli stupri, pur negando la loro partecipazione
attiva.41
I processi “sul prato” avvenivano in presenza di buona parte della
popolazione del villaggio, la quale fungeva da organo giudicante, e in luoghi
aperti così che chiunque potesse assistere alle udienze.
La Gaҁaҁa non costituisce un sistema giudiziario equo né conforme agli
standard internazionali; il primo Pubblico Ministero presso l‟ICTR, Richard
Goldstone, ha comunque affermato che nel caso del genocidio in Rwanda, dove
il numero dei responsabili equivaleva a quello delle vittime, il sistema Gaҁaҁa ha
svolto un compito utile. Inoltre, i processi Gaҁaҁa hanno contribuito a
promuovere la riconciliazione, dando modo alle vittime di apprendere la verità
sulla morte dei loro familiari e ai responsabili di confessare i propri crimini,
mostrare pentimento e chiedere perdono di fronte alle loro stesse comunità.
La giustizia si è sviluppata, quindi, lungo due filoni indipendenti: quello
nazionale, concretizzatosi attraverso i tribunali Gaҁaҁa, e quello del tribunale
internazionale di Arusha, dove sono finiti sotto processo una decina di ministri
del governo estremista, a partire dal capo Kambanda, oltre a sindaci, giornalisti,
imprenditori, speaker, religiosi, esponenti del clan Akazu. Ad Arusha è stato
giudicato anche l'uomo più potente fra i responsabili del genocidio, il colonnello
Bagosora, il quale fieramente affermava: « I‟m planning for apocalipse », egli fu
l‟esecutore materiale della volontà di sterminio della frangia estrema. Nessun
altro tribunale internazionale ha mai raggiunto risultati tanto eclatanti.
41
Francesca Polidori in Rwanda: etnografie del post genocidio di Michela Fusaschi, 2006, p. 168
32
III. Ruolo dei
Genocidaria
Media
nella
Campagna
Gli inni all’odio di Radio Télévision Libre des Mille Collines
Passiamo ora all‟argomento che costituisce lo specifico oggetto di studio del
presente lavoro, vale a dire il ruolo che i media locali hanno avuto nella
campagna genocidaria e nell‟acquisizione del consenso da parte di quasi la
totalità della popolazione rwandese.
Ogniqualvolta accadono eventi così terribili, come massacri, genocidi e
guerre, ciò a cui si fa riferimento per chiarire tali avvenimenti è rappresentato
dall‟ideologia che c‟è dietro e soprattutto dalla volontà degli individui che li
hanno attuati. Per spiegare tutta la violenza del XX secolo, partendo dal
genocidio armeno e arrivando a quello perpetrato dai nazisti a danno degli ebrei,
ci si basa, quindi, sulla connotazione politica ed ideologica degli avvenimenti.
Certo è che questa esercita senza ombra di dubbio un‟influenza enorme sul
complesso processo di formazione di determinati atti di violenza; ed è forse la
ragione intrinseca dell‟ideologia stessa che permette il far sì che tali
comportamenti, sia che si tratti di genocidio sia che si tratti di altre forme di
crudeltà, si concretizzino rendendo, così, effettivo ciò che all‟inizio era solo in
potenza.
Anche tutto quello che avvenne in Rwanda nel 1994 è il risultato di una
campagna ideologica, ben costruita e portata alle estreme conseguenze
utilizzando i poteri dei mezzi di comunicazione. Ne abbiamo avuto già qualche
esempio negli anni Quaranta, quando il regime hitleriano usò i media ed
33
essenzialmente la radio per propagandare e attuare la volontà del III Reich. In
Rwanda, pur essendo un paese molto arretrato e lontano dalla tecnologia
occidentale, il medium venne strumentalizzato per acuire un senso di disprezzo
nato con la colonizzazione tedesca ed esploso con quella belga. Usare la radio
per arrivare a tutta la popolazione al fine di rinsaldare l‟identità politica: tale
strategia era funzionale all‟aumento del consenso e dell‟autorità degli estremisti
hutu. « Fu proprio l‟identità politica costruita in un lungo processo storico […] a
rappresentare il contesto per la decisione politica di un élite che cerca nel
genocidio la consacrazione permanente del potere »42 .
Timeline della campagna di comunicazione di RTLM
Nel 1990 la stazione radiofonica nazionale, Radio Rwanda, sotto l‟influenza del
partito maggioritario, iniziò ad emettere trasmissioni inneggianti all‟odio contro i
tutsi. In questo importante momento il ruolo dei media cominciò a delinearsi e a
diventare cruciale nella radicalizzazione delle masse. Il primo speaker a dar vita
alla persecuzione mediatica fu Ferdinand Nahimana, professore di storia e
direttore dell‟ufficio d‟informazione statale Rwandese, il quale già dagli anni
Settanta aveva iniziato la sua personale lotta con i tutsi. Egli, in un comunicato
durato poco meno d‟un quarto d‟ora, trasmise una dichiarazione nella quale
venivano fatti i nomi di presunti collaboratori del Fronte Patriottico di Paul
Kagame43 che dovevano essere uccisi; la trasmissione diede poi inizio ai terribili
massacri di Bugesera nel ‟92. Pochi anni dopo Ferdinand Nahimana, alcolista e
drogato, Joseph Serugendo (ex tecnico radiofonico e militante dell‟Interahamwe)
e Felicién Kabuga, con l‟aiuto dei membri dell‟Akazu, fondarono la stazione
radio RTLM, la ormai tristemente famosa Radio Télévison Libre des Milles
42
Marcello Flores, Tutta la violenza di un secolo, Feltrinelli 2005, p.39
43
Paul Kagame condusse sin dai primi anni della sua creazione il FPR, ne era il capo di stato maggiore e
nel 1994 quando lo stesso Fronte liberò Kigali egli divenne il presidente del Rwanda.
34
Collines. Il continente africano non disponeva di tecnologie all‟avanguardia, ma
grazie alle amicizie europee di Serugendo le componenti dell‟apparato tecnico
arrivarono dalla Germania.
La stazione trasmise per la prima volta, col nome di RTLM, dopo l‟estate
del ‟93: « L'unico rimedio è lo sterminio totale, ucciderli tutti, cancellarli
totalmente »44, mentre Kangura, il giornale estremista, aveva iniziato la propria
campagna già tre anni prima. La realizzazione della radio, organizzata già in una
riunione di partito del ‟91, arrivò subito dopo i primi accordi di Arusha, con i
quali il M.R.N.D.. aveva perso il controllo45 di Radio Rwanda. Nonostante gli
accordi, tuttavia, M.R.N.D.. e C.D.R. limitarono la possibilità di fare propaganda
per tutti gli altri partiti politici.
I due moderatori più famosi della radio dell‟odio erano Georges Ruggiu46
e Valèrie Bemeriki. Dal luglio del ‟93 Hassan Ngeze annunciava che la voce del
popolo di maggioranza, ovverosia la voce degli hutu, era nata e che sarebbe stata
trasmessa quindi da Kangura e dalla Radio delle Mille Colline. Simon Bikindi, il
cantautore rwandese conosciuto in tutto il centro-Africa iniziava a scrivere
canzoni contro i tutsi e furono questi stessi brani ad accompagnare le uccisioni.
Bisogna ricordare che RTLM nacque, sì, per inneggiare all‟odio razziale,
ma in primis gli estremisti di Power-Powa volevano soprattutto contrastare
Radio Muhabura, che dall‟Uganda trasmetteva per il FPR e rassicurava il popolo
di Kagame. Vale la pena sottolineare, però, che la Radio tutsi non aveva mai
inneggiato all‟odio anti-hutu47.
44
Questa era la filosofia di RTLM e di tutti gli estremisti hutu.
45
L’M.N.R.D perse il controllo dell’emittente solo sulla carta dato che gli accordi non vennero mai
rispettati
46
Italo belga senza alcuna esperienza in ambito giornalistico; unico non ruandese ed essere stato
imputato di fronte all’ICTR.
47
Chrétien, ’98 p. 44
35
La nascita della Radio delle Mille Colline avvenne come radio “libera”,
ma in realtà così poi non fu, dato che tutto il regime si scomodava per la sua
messa in onda e il clan Akazu ne deteneva il totale controllo. Radio Rwanda
arrivò a cederle le sue frequenze, precisamente la 106 e la 94 ‒ da qui nacque lo
slogan, poi ripetuto fino alla noia, « 106 di simpatia »48; il fatto che la radio
nazionale avesse ceduto alcune frequenze voleva dire che RTLM sarebbe arrivata
in ogni angolo del Paese e anche nel vicino Burundi. Qualche tempo dopo,
inoltre, grazie all‟aiuto del ricco Felicién Kabuga, il quale era industriale e
consulente finanziario di Habyarimana49, la Radio riuscirà a trasmettere persino
dai ripetitori del monte Muhe, i quali appartenevano anch‟essi a Radio Rwanda.
Il regime cospirava contro i tutsi e nel frattempo favoriva sfacciatamente
la Radio dell‟odio. Vennero decise le fasce orarie in cui trasmettere e, per non
entrare in concorrenza con la Radio nazionale, inizialmente RTLM mandava in
onda i propri programmi nei buchi, ma nel giro di pochi mesi la piccola radio
iniziò a trasmettere e a concorrere con la radio sorella. Nell‟elenco degli azionisti
erano presenti i nomi più noti della scena rwandese e persino il cantante, Simon
Bikindi, nel suo piccolo partecipava alle sovvenzioni. Dopo un po‟ iniziarono a
distinguersi le figure all‟interno dell‟organico della Radio: Jean Baptiste
Bamwanga, il quale prima di passare a RTLM, nel 1992 aveva emanato il
proclama che ordinava, da Radio Rwanda, lo sterminio di Bugesera e nel 1994
sarebbe diventato ancora più famoso con gli ordini di cattura e l‟incitamento al
genocidio; Jean Bosco Barayagwiza, fondatore del C.D.R.; Noel Hitimana,
licenziato dall‟emittente nazionale divenne un famoso giornalista di RTLM.
Il maggio del ‟94 divenne il mese più cruento della storia: i cadaveri delle
vittime arrivavano ai laghi trasportati dalla corrente dei fiumi, l‟aria risultava
irrespirabile e le falde acquifere erano ormai infette a causa delle salme in
48
Sembra una presa in giro invece ogni trasmissione, ogni singola parola era funzionale all’intento finale.
49
Melver, Linda. A people betrayed: the role of the West in Rwanda’s genocide. London : Zed books,
2009, p. 71
36
decomposizione. Eppure il regime estremista continuava ostinatamente a
considerarsi vittima dai microfoni dell‟emittente e sembrava che tutta la
comunità, sebbene responsabile delle violenze, fosse in realtà tranquilla per
quello che faceva. Tutto ciò sarebbe incomprensibile senza l‟azione di una
propaganda strutturata e potente, ora volta non più solo a stigmatizzare i tutsi, ma
anche a legittimarne lo sterminio. La potenza della comunicazione fu tale da
indurre quasi inconsapevolmente la popolazione a macchiarsi di un crimine così
orrendo quale è il genocidio. Vennero sfruttate tutte le debolezze del popolo
hutu, la debolezza che sta in un continente come l‟Africa è la mancanza di
cultura, l‟emittente fece leva su quest‟aspetto e da qui « l‟ignoranza genera paura
e la paura genera odio »50.
Il 14 maggio Ananie Nkurunziza, giornalista agguerrita di RTLM, fece
uso dell‟emittente per giustificare i massacri commessi dai simpatizzanti della
sua stessa radio in nome di una guerra partigiana; nello stesso momento, però,
addossò al FPR la responsabilità del massacro di Kibungo. Conscio del potere
affabulatore e coercitivo di RTLM, il FPR iniziò allora a bombardare l‟emittente
e i danni furono tali che si decise di fondere la Radio di regime con quella
nazionale ed entrambe continuarono la propaganda anti-tutsi. Gli appelli si fecero
via via più crudi e diretti; l‟invito che veniva lanciato era a riempire le fosse
comuni ancora mezze vuote e persino di non risparmiare le donne né tantomeno i
bambini, i quali rappresentavano la futura progenie nemica.
Tecniche comunicative e strategie persuasive
Il progetto di eliminazione totale dell‟etnia tutsi da parte della maggioranza hutu
trapelava già dai discorsi pronunciati in precedenza dai leader di partito
attraverso i media. « Basterebbe leggere alcuni dei periodici rwandesi pubblicati
50
Graziella Priulla, Raccontar guai, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2006. p. 16
37
dopo il 1990, o ascoltare la programmazione trasmessa da RTLM dopo l‟estate
del ‟93 per assistere alla cronaca di un genocidio annunciato »51.
I rwandesi si accorsero fin dall‟inizio che non era una semplice radio a
trasmettere, bensì un mezzo di comunicazione che da subito fu caratterizzato da
un taglio politico filo-hutu. Non si sentivano più le trasmissioni divertenti di
Radio Rwanda; il vento di modernità che la radio nazionale aveva cercato di
portare nel Paese negli ultimi anni andava via via dissolvendosi lasciando spazio
a comunicati politici dal sentore razzista e liberticida. RTLM, che arrivava in
ogni angolo del piccolo Paese, diventò ben presto la fonte primaria per diffondere
l‟odio razziale contro i tutsi, man mano che la strategia degli estremisti hutu
iniziava a prendere piede e gettava l‟intera popolazione in un alone di insicurezza
più che tangibile.
Basata su un campione di trasmissioni registrate, singoli giornalisti,
animati dal sentimento razzista, crearono una programmazione della stazione tale
da contenere la maggior parte delle dichiarazioni incendiarie spesso seguita da
interviste di personalità di spicco della stazione stessa o da funzionari
governativi. Le notizie prendevano meno del 2 % del tempo di trasmissione,
mentre le istruzioni e direttive emanate dalla stazione meno del 3 %. Tre
quarti del tempo era usato per fare dichiarazioni incendiarie le quali venivano
mandate in onda quando non c'erano più ospiti in studio. Il broadcast introdusse
anche il concetto della partecipazione degli ascoltatori che potevano telefonare
alla radio per esprimere le loro idee, salutare amici e parenti, dedicare delle
canzoni. La partecipazione degli ascoltatori fu elevata e quindi determinante. Il
target principale della RTLM erano i giovani, i dissoccupati e i criminali comuni,
che ben presto si trasformarono in accaniti fans; conquistare il cuore dei giovani
era vitale alla politica del regime dato che componevano la maggioranza delle
milizie genocidarie.
51
Jean-Pierre Chrétien, Rwanda: propaganda di un genocidio in I media dell’odio, reporters sans
frontieres, EGA’98 p. 24
38
La forza comunicativa dell‟emittente stava nel linguaggio strutturato ad
hoc contro la popolazione nemica, i termini codificati racchiudevano in sé tutto il
sentimento d‟odio che il regime voleva trasmettere per creare consenso:
inkotanyi per il FPR, inyenzi, scarafaggi, per tutti i civili tutsi, assimilati sempre
più spesso agli animali: « gli inkotanyi cominciano ad abbaiare »52, e ibytso, cioè
complici, riferito a tutti gli oppositori hutu, tutsi e persino ai belga della
MINUAR; ogni comunicazione conteneva almeno uno dei termini sopra elencati.
L'analisi del contenuto ha rivelato che ogni volta che la RPF avesse fatto
progressi, il tenore delle trasmissioni sarebbe cambiato, diventando più estremo e
più sfacciatamente ostile. Il livello di contenuti infiammatori iniziò a salire nel
mese di gennaio 1994 ed è aumentò costantemente fino a marzo. Con l'assassinio
di aprile il presidente Habyarimana, il livello raggiunse nuove vette e continuò a
crescere costantemente fino a giugno quando divenne evidente che la RPF stava
vincendo la guerra, ciononostante la radio incitava al massacro.
Un altro importante mezzo di propaganda furono le manifestazioni
pubbliche, gli incontri, organizzati dall‟Akazu e dalla Reseau Zero o meglio
Network Zero, che venivano pubblicizzati dalla radio, nei quali le esortazioni
alla violenza e alla partecipazione della maggioranza hutu non mancavano. La
Reseau Zero era un‟associazione massonica segreta che voleva bloccare la
democratizzazione ed accorpava tutti gli organi più estremisti, dal F.A.R. al
C.D.R.. A quanto pare, il termine “zero” voleva indicare il numero dei tutsi che
sarebbero dovuti sopravvivere dopo la loro azione. Lo stesso Reytjens,
professore di Diritto e Politica africana, conferma l‟esistenza di queste vere e
proprie squadre di morte. L‟associazione riteneva che « la democratizzazione
rappresenta una minaccia mortale »53.
52
RTLM broadcast, comunicazione del giugno ’94 di Ananie Nkurunziza.
53
Reyntjens Filip, Evolution politique au Rwanda, ’95 p. 270
39
Ciò che fomentava l‟odio erano i discorsi, ben studiati, psicologicamente
attraenti e velenosi dei membri del Network Zero, immediatamente precedenti a
numerosi massacri di civili tutsi. Nel novembre del „92, il leader del M.R.N.D..,
Leon Mugesera, esortò brutalmente la folla a prendere le armi contro i loro vicini
tutsi nella piazza di Gisenyi:
« Cosa aspettiamo a liberarci di queste famiglie? […] l‟errore fatale nel ‟59 è
stato di lasciarli uscire […] dobbiamo agire, bisogna liquidarli tutti »54.
Il discorso fu poi trasmesso per radio e qualche giorno dopo, l‟allora
ministro della giustizia, emanò un ordine di cattura nei confronti di Musegera, il
quale, tuttavia, sfuggì misteriosamente all‟arresto. Ma le avvisaglie non partirono
col discorso del vice presidente del MRDN; infatti già nel settembre del ‟92, la
radio trasmetteva ripetutamente il memorandum del nemico del Paese, un vero e
proprio elenco delle caratteristiche da prendere in considerazione per identificare
il nemico tutsi.
Se si analizzano a fondo gli avvenimenti accaduti sembra, anzi è certo, che
la missiva inviata dall‟ex direttore dell‟ONIFOR al presidente Habyarimana,
nell‟agosto del ‟92, con la quale avvertiva la presidenza e gli organi competenti
della formazione di una società segreta, appunto la Reseau zero, non venne presa
minimamente in considerazione. La stessa fu motivo di scherno da parte degli
estremisti.
Le parole che sancirono l‟inizio del genocidio e che nessuno inizialmente
comprese fino in fondo, furono quelle che il 7 aprile 1994, vale a dire il giorno
dopo l‟attentato ad Habyarimana, Jean Kambanda, Primo Ministro del governo
provvisorio, pronunciò dopo aver radunato una folla hutu:
« Il nemico usa la sua pistola, è necessario rispondere al fuoco, andate dietro la
linea del fronte, trovate i loro complici. Sparare per uccidere! Ognuno deve avere la
sua pistola, non abbiate paura di usarla ».
54
Citato in Prunier, ’09 p. 209
40
Quello che poi sarà definito come genocidio iniziò nell‟aurora del 7 aprile;
i massacri seguirono una doppia logica, da una parte politica e dall‟altra razzista.
Ci troviamo al cospetto di una propaganda pensata e progettata nel
dettaglio e non di fronte ad una strategia dettata dal “semplice odio”. Siamo
davanti a un breviario dell‟odio distillato con cura da professionisti del mezzo
audiovisivo:55
Il est 16 h 22 à Kigali, dans le blindé de la RTLM.
Sono le 16.22 a kigali, nel bunker della RTLM
Avis à tous les “cafards” qui nous écoutent.
Avviso a tutti gli “scarafaggi” in ascolto.
Le Rwanda appartient à ceux qui le défendent vraiment.
Il Rwanda appartiene a coloro che lo difendono veramente.
Et vous, les “cafards”, vous n‟ètes pas des Rwandais.
E voi “scarafaggi”, voi non siete Rwandesi.
Tous se sont maintenant levés pour combattre ces “cafards”:
Tutti ora si sono sollevati per combattere questi “scarafaggi”:
Nos militaires, la jeunesse, les vieux et meme le femmes.
i nostri militari, I giovani, i vecchi e persino le donne.
Les “cafards” n‟auront pas d‟issue.
Gli “scarafaggi” non avranno scampo.
Notre chance, c‟est que les Tutsi ne sont pas nombreux.
La nostra fortuna, è che i Tutsi non sono numerosi.
On les évaluait à 10% de la population. Ils ne sont plus que 8%.
Avevamo stimato che fossero il 10% della popolazione. ora sono solo l’8%.
Poi partiva il coro apparentemente gioviale dello speaker:
Réjouissons-nous, mes amis, les “cafards” ont été exterminés.
Rallegriamoci amici miei, “scarafaggi” sono stati sterminati.
55
Chrétien, ’98 p. 27
41
Réjouissons-nous, mes amis, Dieu n‟est jamais injuste.
Rallegriamoci amici miei, Dio non è mai ingiusto.
E si proseguiva con la legittimazione e la giustificazione degli stermini:
Si nous exterminons les “cafards” définitivement,
Se noi sterminiamo definitivamente “gli scarafaggi”,
personne au monde ne viendra nous juger.
Nessuno al mondo ci verrà a giudicare. 56
L‟atmosfera che gli incitatori-speaker di RTLM riuscivano a creare era
tetra. Tutte le comunicazioni avevano il chiaro intento di favorire una guerra
civile totale. Il broadcaster dava voce solo alla frangia più estrema del Pawa e
sempre più la radio « assunse il compito dell‟appello al popolo »57 per compiere
le violenze. I giornalisti, che prima lavoravano a Radio Rwanda, diventarono
anch‟essi militanti e ciò permise la massiccia partecipazione del popolo di
Kambanda alle svariate mobilitazioni popolari proposte dalla Radio, dai cui
microfoni ci si congratulava con gli hutu vicini al regime, si promettevano armi e
viveri e si ordinava a tutti i contadini di avere una zappa e soprattutto un fucile.58
Nel mese di giugno i due giornalisti, V. Bemeriki e G. Gahigi, i quali
trasmettevano ormai da un furgone dotato di parabola per la trasmissione mobile,
iniziarono a condannare ogni forma di negoziazione59 con “gli scarafaggi” tutsi e,
cogliendo l‟occasione, li coprirono ancora una volta di minacce, insulti e
menzogne, arrivando ad accusarli poi anche di corruzione e di crimini contro lo
Stato.
56
RTLM broadcast, trasmissione di domenica 19 giugno 1994, reperito in “Arte” canale francese.
57
Chrétien, ’98 p. 27
58
RTLM broadcast, comunicazione del 13 maggio, citato in Chrétien, ’98
59
Non tutta la popolazione hutu era favorevole allo sterminio dei tutsi ma veniva ordinato loro di farlo,
pena la sevizia e lo stesso assassinio. Verso gli ultimi giorni, quando i morti sfioravano gli 800mila, molti
hutu si rifiutarono di compiere le violenze e pagarono con la morte e il carcere. Per i più moderati
uccidere voleva dire sopravvivere.
42
A differenza dei supporti di stampa, la radio fu da subito, se pur due anni
dopo Kangura, presente e attiva. Il potere della voce umana, ascoltata dalla
Camera, quando i nastri di trasmissione erano mandati in onda sia in francese che
in Kinyarwanda, raggiunse il 29% della popolazione che possedeva un
apparecchio e aggiunse una dimensione al di là della qualità dell‟intrattenimento
e del linguaggio per il messaggio trasmesso.
Ma ciò che provocava la nevrosi della frangia estrema era l‟ossessione
dell‟« infiltrazione »60 del tutsi nella società:
« i tutsi non vogliono sentir parlare di etnie […] questo discorso per loro è
61
perdente […] si ostinano dunque a dire che il problema non esiste per infiltrarsi » .
Attraverso un gioco di ripetizione, di bugie e false rappresentazioni della
realtà e della paura, i media furono usati come mezzo per costruire costrutti
morali e culturali che alla fine diventarono caratteristiche permanenti nella
popolazione. Il carattere ridondante delle comunicazioni e delle dichiarazioni
incendiarie contribuirono in modo significativo ad alimentare un clima
di intolleranza
e
trasformò,
inconsapevolmente,
il
popolo
in agenti
della distruzione della società rwandese.
Sostegno e incitamento delle milizie
Nulla fu lasciato al caso; persino l‟umore dei miliziani stava a cuore
dell‟entourage del regime e di RTLM, tanto che Kantano Habimana, lo speaker
più ascoltato e famoso di allora, prometteva decorazioni per le azioni di guerra e
consigliava ai più giovani di usare la canapa indiana così da farli rallegrare:
60
M. Fusaschi, 2000
61
RTLM broadcast, comunicazione del 14 giugno di G. Gahigi, citato in Chrétien, ’98 p. 47
43
« Fumate pure questa piccola cosetta e all‟altro riservate una sorte terribile, che i
fornitori vi approvvigionino in grande quantità, perché siate più accaniti nel
combattere per il nostro caro paese »62.
Lo stesso Kantano, a genocidio iniziato, quando Kigali stava per essere presa,
non nascondeva la sua gioia davanti agli stermini compiuti, anzi l‟esultazione per
il successo della pulizia etnica era tale da essere ironica e soprattutto vendicativa.
Aprendo la trasmissione intonando l‟ormai triste canto degli anni Settanta, il 2
luglio affermò:
« Gli inyenzi-inkotanyi volevano fermare ogni forma di vita nel paese […]
questa gente - come ha detto il mio amico Gahigi - sono dell‟Anticristo, sono gente
molto malvagia. Non so come ma Dio ci aiuterà a sterminarli tutti. Ma continuiamo
a sterminarli perché i nostri bambini non sentano più parlare di inkotanyi […] Sono
stati massacrati. Venite a cantare: “Venite cari amici, congratulazioni! Gli inkotanyi
sono stati sterminati […] Dio è giusto »63.
A sterminio iniziato, le denunce da parte del governo di transizione contro
la radio-trasmittente e contro le sue trasmissioni furono innumerevoli. Il ministro
dell‟Informazione Faustin Rucogoza, moderato, si appellò più volte ai
responsabili della stazione radiofonica per fermare i programmi che diffondevano
l‟odio razziale. Ma nessuno rispose mai alle sue accuse, anche in considerazione
del fatto che la stazione radio aveva dei patroni potenti (uno degli azionisti
maggiori era il Presidente Habyarimana stesso, altri azionisti erano Thèoneste
Bagosora e, come già detto, persino il cantante rwandese più famoso, Simon
Bikindi, diede il suo appoggio).
62
RTLM broadcast, comunicazione del 28 maggio K. Habimana, citato in Chrétien, ’98
63
RTLM broadcast, 2 Luglio 1994, citato in: Chrétien, ’98 p. 53
44
Ordini di cattura e accuse al contingente belga
Durante il genocidio, RTLM diventò lo strumento di comunicazione più
importante in mano agli assassini; i suoi moderatori, informati direttamente
dall‟Interahamwe, emettevano le liste delle persone che dovevano essere
perseguitate e uccise. La radio accusava addirittura il contingente belga di aver
ucciso il Presidente; l‟isteria di giustificare il regime era ormai incontrollabile:
« Questi banditi belgi hanno commesso molte atrocità e meritano una punizione.
Noi rwandesi non potremo mai dimenticare che questi banditi hanno ucciso il
presidente da noi tutti amato. I belgi dalla pelle rossa si sono comportati come
bestie. Dovrebbero pagare per i loro atti »64.
Le forze di pace monitorarono alcune di queste trasmissioni radiofoniche,
ma fu difficile prenderle sul serio e considerarle autorevoli e credibili, perché
erano così estreme da sembrare folli.65 Il generale Romèo Dallaire, comandante
dei caschi blu della MINUAR, all‟inizio del genocidio chiese parecchie volte alla
sede centrale di New York l‟autorizzazione per distruggere i trasmettitori della
stazione radio o per lo meno di fermarle in virtù del Patto Internazionale relativo
ai diritti politici e civili66. Le Nazioni Unite a loro volta, inviarono la richiesta
agli Stati Uniti i quali, però, a causa dei costi troppo elevati per il volo dell‟aereo
militare (stimato in 8.500 dollari l‟ora) e con la scusante di non volere violare la
sovranità nazionale del Rwanda, non appoggiarono la richiesta di distruzione. Il
Pentagono non volle investire i fondi necessari all‟eliminazione dei trasmettitori
nonostante ogni giorno fossero uccisi tra gli 8.000 e i 10.000 rwandesi.67
64
RTLM broadcast, 26 Maggio 1994. Ananie Nkurunziza
65
Report del Segretario generale sulla situazione in Rwanda, S/1994/640, 31 Maggio 1994 (para. 11) p.
292.
66
Si tratta del Patto adottato dall’Assemblea generale delle ONU nella sua risoluzione 2200 del 16 dic
1966 ed entrato in vigore nel ’76. Il Patto fu firmato e ratificato da Burundi, Jugoslavia e Rwanda.
67
Dallaire Romèo, Shake hands with the devil, The failure of humanity in Rwanda, Carroll & Graf
Publishers, New York, 2003, p. 375
45
Il genocidio del machete in Rwanda, solo all‟apparenza primitivo […] è
insieme forma di un‟organizzazione sociale di una tecnologia che fonde
tradizione – il machete – e innovazione – la Radio Télévision Libre des Milles
Collines […].68 Si tratta di una radio moderna, che ricerca una comunicazione
interattiva toccando tutte le passioni che possono rafforzare i semplici slogan. Il
tono beffardo dissimula appena, anzi tradisce, la virulenza trattenuta dagli
ascoltatori militanti. Tribuna e eco di un genocidio seguito in diretta.69
L‟esistenza di determinati avvenimenti così tragici rende ulteriormente
improrogabile una riflessione su come si possano fermare determinati
atteggiamenti o, nei casi analoghi al Rwanda, come si possa intervenire su
aziende mediali e, soprattutto sulle emittenti radiofoniche70, che concorrono a
creare ideologie o episodi tendenti allo sterminio o all‟odio. Chi può dire ora, a
più di quindici anni dai fatti rwandesi, se i massacri perpetrati in quella regione
avrebbero avuto la stessa consistenza e ampiezza nel caso in cui fossero stati
denunciati dalla comunità internazionale e quindi fermati.
La parola “genocidio” è evitata tanto dai Paesi che lo commettono, quanto
dalla comunità internazionale, che preferisce soprassedere per evitare di
intervenire. Gli Stati Uniti furono tra i maggiori Paesi a non voler ammettere ciò
che stava succedendo; in una conferenza stampa del 28 aprile una portavoce del
Dipartimento di stato Christine Shelley, va ben oltre il ridicolo71, Shelley:
“We have every reason to believe that act of genocide have occurred”,
il reporter Elsner chiese allora:
68
Marcello Flores, 2005 p. 57
69
Chrétien, ’98 p. 30
70
La radio è, per definizione, più immediata di qualunque altro medium, il giornale, specialmente in
Paesi arretrati quali in Rwanda, è destinato ad individui colti e scolarizzati e questa peculiarità
appartiene più che altro ai ceti altolocati.
71
Daniele Scaglione, 2010 p.136
46
“How many “act of genocide” does it take to make genocide?”,
la Sig.ra Shelley alle strette rispose:
“ That’s just not a question that I’m in position to answer”.72
Giornale: Kangura
La trattazione si rivolge ora verso il secondo mezzo di propaganda che influenzò
i massacri del 1994, cioè il giornale noto come Kangura. Il titolo, che si può
tradurre dal Kinyarwanda con « Sveglialo », era riferito all‟orgoglio hutu, il
quale doveva essere, per l‟appunto, svegliato così da agire in modo deciso e
violento nello scacciare il nemico tutsi. Verranno riportati stralci di articoli della
rivista stessa, che è possibile pubblicare senza alcuna concessione dato che tutti i
fondatori e gli scrittori della redazione, essendo stati accusati di genocidio,
attualmente stanno scontando la loro pena all‟ergastolo e, di conseguenza, i diritti
di copyright cessano di esistere.
Tecniche comunicative e strategie persuasive
Il giornale nacque qualche anno prima di RTLM, nel 1990, la sua propaganda fu
spietata e colpì nel segno; anche se non del tutto, l‟odio degli hutu contro i tutsi
partì proprio dalle parole e dalle vignette riportate negli articoli di questo
giornale, rozzo nella manifattura e nell‟impaginazione, ma alquanto raffinato
nelle tecniche di comunicazione. Kangura era redatto in kinyarwanda e in
francese e, nonostante solo il 30% della popolazione rwandese sapesse leggere, il
giornale riuscì a raggiungere tutta la popolazione, sia perché veniva declamato in
72
News service della Casa Bianca, 10 giugno 1994, l’intervista è citata da A Problem from Hell di
Samantha Power.
47
piazza sia perché vignette denigratorie contro tutsi e oppositori politici erano
facilmente interpretabili; le illustrazioni, infatti, erano fatte in modo da essere
comprensibili per chiunque, lo stile usato era ironico e satirico ma nascondeva un
terribile piano di violenza. La strategia comunicativa fu determinante, se si
considera che in un paese come il Rwanda, dove la maggior parte della
popolazione non sapeva leggere né scrivere, era impensabile che la carta
stampata avesse recitato un ruolo da protagonista nella persuasione alla violenza.
L‟uso delle vignette e dei cartoon sopperì, quindi, alla mancanza di cultura e di
istruzione della popolazione rwandese.
Uno dei primi articoli apparsi sulla “rivista indipendente” riportava,
anziché fatti di cronaca, la storia del Rwanda e della sua popolazione riletta
secondo l‟ottica degli estremisti:
« nella storia del Rwanda i primi arrivati furono i Batwa (Pigmoidi) che si
consacrarono alla caccia e alla raccolta; in seguito sono arrivati i Bahutu(Bantu) che
hanno abbattuto la foresta per coltivare e che hanno stabilito un'organizzazione
sociale; infine sono venuti i Batutsi (Nilotici, Etiopi) che si sono dedicati
all'allevamento. Perché si vuole cambiare la nostra storia? Chi ha il diritto di
cambiare la storia del paese? »73.
Il riferimento agli hutu come coloro che disboscano la foresta ci fornisce
la rappresentazione di un popolo che ha segnato in maniera simbolica ma
decisiva la civilizzazione di un luogo in cui prima non si poteva vivere. L‟uomo
hutu viene rappresentato come portatore di civiltà e di impegno per costruire una
nazione. Quando invece ci si riferisce ai tutsi, se ne parla come di un popolo
arrivato a posteriori, che dipenderebbe, quindi, per natura storica dagli hutu; da
una rappresentazione così estrema deriva, così, che il tutsi non ha poteri né
tantomeno può cambiare le sorti della nazione. L‟elemento possessivo è
importante per spiegare il sentimento di patriottismo che sarà usato, dal potere
73
Passo tratto dal periodico estremista Kangura, del novembre 1990. Citato in Michela Fusaschi, 2000,
48
hutu e da tutti i media, per avvalorare le azioni contro la minoranza batutsi. Già
dai primi articoli il giornale tracciava le sue linee guida, la filosofia predominante
era l‟odio, l‟obiettivo era la distruzione totale.
L‟influenza di Kangura fu tale da creare un vero e proprio vocabolario del
genocidio. Erano presenti parole come kurimbura e gutsemba (al massacro!),
gutsembatsemba (lo sterminio), Kumara (per mangiare), gutikiza e gusakumba
(da pulire), kumarira kw'icumu (a lancia), gutema (per tagliare), altri legati al
“lavoro” il quale era inteso dalla rivista come il modo e l‟approccio rivolto al
genocidio stesso; i rwandesi erano per lo più contadini quindi la parola lavoro in
qualche modo legittimava e dava un senso a ciò che stavano facendo. Furono
introdotti termini come gukora (al lavoro!) che ormai era più uno slogan, ripreso
persino da RTLM, ibikorwa (il lavoro), ancora ibikoresho (il lavoro), abakozi (i
lavoratori) coloro che servivano il Paese, umuganda (lavoro comunale) la quale
sanciva l‟utilità delle uccisioni; e parole per le pattuglie notturne, i Rondo, e la
guerra popolare, intambara e y'abaturage.
La strategia comunicativa della rivista, fatta di mezze verità, bugie e
minacce, accrebbe il suo potere e la sua influenza tanto da creare una nuova e
orrenda tendenza: fecero di tutto per considerare il massacro come dovere
patriottico e lavoro. Nel 1994, i media usarono un linguaggio e degli strumenti
con i quali convincere la popolazione a intraprendere azioni la cui violenza
sarebbe servita come forma di “autodifesa”.
Timeline della campagna di comunicazione di Kangura
La rivista Kangura uscì per la prima volta a Kigali all‟inizio del 1990, in
sostituzione di un vecchio giornale attivo dall‟88, Kanguka, su idea di Madame
Agathe Kanzinga, che può essere definita come la Lady Macbeth del Rwanda, e
dell‟Akazu. Essa, in breve tempo, divenne lo strumento propagandistico più
49
efficace a disposizione degli estremisti, i quali potevano servirsi anche di altri
organi come l‟Umrava Magazine, l‟Echo des milles collines e Kamarampaka.
Durante l‟intero periodo della sua pubblicazione il giornale ha sempre
rivangato la sua utilità sociale e di come esso fosse fonte di aggregazione e di
riconciliazione; quasi in ogni articolo, infatti, erano presenti parole del genere:
« Da quel momento, la verità predicata dal Kangura ha svolto un ruolo notevole
nella riconciliazione di hutu e il ritorno di coloro che erano stati tratti in
inganno. Oggi, fratelli hutu da parti diverse si incontrano, discutere e condividere un
drink »74.
Inoltre, quasi come a voler giustificare e avvalorare il proprio compito
all‟interno della società, ripeteva più volte che:
« Kangura ha risparmiato gli sforzi e ha detto tutto: La storia ci ricompenserà
[…] abbiamo dimostrato coraggio e il tempo ci ricompenserà »75.
Kangura era sempre egregiamente informato ed in poco tempo divenne
uno strumento informativo molto credibile. La sua forza stava nel fatto che i
giornalisti, poiché in molti casi militavano nei partiti già da lungo tempo e,
quindi, erano continuamente aggiornati su tutto ciò che avveniva nel paese,
riversavano nelle pagine del giornale tutta l‟ideologia dei partiti. Il C.D.R. e il
M.R.N.D.., inoltre, finanziavano tutta la redazione e questa assicurava la
completa aderenza della linea editoriale a quella che era la loro filosofia politica.
Potremmo paragonare l‟azione del giornale con il ruolo giocato in
Germania dal movimento nazista attraverso il giornale Volkiscer Beobachter
che, già dal marzo 1920, richiedeva una « soluzione finale ».76
74
Kangura No. 54, gennaio 1994 scritto da Hassan Ngeze
75
ibidem
76
Chrétien, ’98 p. 50
50
Gli articoli di Kangura rimbalzavano di regione in regione e, persino
durante i raduni dell‟Interahamwe, il tema centrale e la fonte di spunto per ogni
manifestazione erano sempre forniti dalle notizie riportate sulla rivista; Kangura
sapeva, quindi, chi doveva essere incarcerato o ucciso, chi perseguitato o
corrotto. L‟editore e fondatore della rivista era Hassan Ngeze77, il quale iniziò a
scrivere subito dopo essere stato rilasciato dalla Corte di Sicurezza dello Stato,
venne arrestato con l‟accusa di prendere i tutsi come capro espiatorio
dell‟ingiustizia sociale, ma fu scarcerato qualche mese dopo. Egli, con i suoi
articoli, era capace di mobilitare le masse contro i tutsi e soprattutto contro i
fratelli hutu moderati facendo leva sul sentimento nazionalista insito nei Bahutu
più estremisti.
Da notare che l‟argomento principale del giornalismo rwandese e della
rivista era rappresentato non tanto dalla politica (sebbene, come già detto, i
finanziatori fossero d'accordo con M.R.N.D. e C.D.R. e godessero perfino del
supporto del presidente Juvénal Habyarimana, nel loro obiettivo di attaccare o
ridicolizzare i partiti di opposizione come il PL - Partito liberale - e P.S.D. Partito Social Democratico -), quanto dalla propaganda etnica, se si considera che
Kangura, così come RTLM, ha sempre insistito nel costruire un contesto
razziale, che raffigurasse l'RPF e il gruppo etnico tutsi come un unico
inscindibile insieme di uomini vili e traditori. Politicizzare la storia del Rwanda
per renderla funzionale alla propria agenda, fatta di istigazioni alla violenza e di
irritanti tensioni etniche in un paese già instabile, voleva dire cominciare una
sorta di conto alla rovescia in vista di una deflagrazione che avrà nel ‟94 il suo
picco maggiore.
Ritornando a Ngeze, la sua pubblicazione più famosa fu l‟"Appello alla
coscienza hutu", meglio conosciuto con il titolo del suo pezzo principale, « I
dieci comandamenti hutu ». Esso, pubblicato nel dicembre 1990, accusava i tutsi
77
Dichiarato colpevole e condannato all’ergastolo per sobillazione al genocidio dalla Corte di Giustizia
dell’ICTR nel dicembre 2003.
51
di essere violenti e di utilizzare due armi particolari contro gli hutu: il denaro e le
donne.
Il contenuto dei comandamenti riportava quanto segue:
« Ogni muhutu deve sapere che la donna tutsi ovunque sia, lavora al soldo della
propria etnia. Di conseguenza compie tradimento il muhutu che sposa, fa sua
concubina, segretaria o sua protetta una donna tutsi […] chi entra in società per affari
con un batutsi, chi investe il proprio denaro o il denaro dello Stato in un‟impresa
batutsi […]. Cessino i bahutu di avere pietà dei batutsi. […] I bahutu all‟interno del
paese e all‟estero devono cercare costantemente amici e alleati per la causa hutu, a
cominciare dai loro fratelli bantu. Devono costantemente contrastare la propaganda
tutsi. I bahutu devono essere fermi e vigili contro il nemico comune tutsi. […]
L‟ideologia hutu deve essere insegnata a tutti i mahutu e a tutti i livelli »78.
Gli hutu erano riusciti negli anni a creare e a legittimare un noi-hutu, che
essi definivano nei termini di popolazione-nazione rwandese e che diveniva
sempre più evidente. Era il gennaio del ‟92 e Hassan Ngeze veniva raffigurato
come il cristo degli hutu perseguitato dal FPR, che in una didascalia79 arrivava a
dire: « Fate quel che volete. Uccidetemi […] quando il popolo maggioritario lo
verrà a sapere, il Rwanda sarà ridotto in cenere »80.
Nello stesso mese venne riportato un articolo sconvolgente: fu pubblicato,
infatti, un progetto di colonizzazione che, a detta dell‟autore, era stato scoperto
nel Kivu il 6 agosto ‟62, il quale denotava la volontà dei tutsi di impadronirsi di
tutta l‟Africa centrale con l‟aiuto dei tutsi del Burundi e del presidente Museveni;
il ricorso alle fandonie era spesso usato, il motivo che spinse il direttore di
Kangura a pubblicare l‟articolo era la volontà di rivangare stereotipi sociali
premonarchici, una sorta di « protocollo dei savi di Sion » attribuito ai tutsi.81
78
Citato in Jean-Pierre Chrétien, Rwanda: propaganda di un genocidio in I media dell’odio, reporters
sans frontieres, EGA’98, p. 49.
79
Vedi Figura A in appendice.
80
Chrétien, ’98 p. 41
81
Chrétien, ’98 p. 48
52
Nel ‟92 Ngeze continuava ad inneggiare al potere degli hutu sul Rwanda,
ma questa volta si rivolge agli « Hutu di tutto il mondo »82:
« Riscoprite la vostra etnia, perché sono i tutsi ad insegnarvi a misconoscerla.
[…] Sappiate che una minoranza superba e sanguinaria si aggira tra di voi per
indebolirvi, dividervi, dominarvi e massacrarvi ».
Poco
prima
della
nascita
del
partito
estremista
C.D.R.,
che
successivamente avrebbe finanziato massicciamente la redazione, il giornale
Kangura ne elogiò subito le qualità e soprattutto la necessità di una tale
formazione, coniandone un nuovo titolo, dato che ancora non era stato
ufficializzato:
« La redazione di Kangura fa pubblicità per il PDR (partito democratico per la
rivoluzione). Dopo aver osservato che la popolazione maggioritaria ha bisogno di un
suo partito che la conduceva verso la vera democrazia e che crei uno spazio perché
si esprimano coloro che non sanno dove farlo, noi chiediamo ai rwandesi di tutte le
religioni di aderire al PDR. Il partito segue le idee del dottor G. Kaybanda, per
difendere gli interessi del popolo maggioritario e le idee di Habyarimana. […] Così
tutti avranno uno spazio per parlare e per non continuare a morire lentamente »83.
Nello stesso periodo le associazioni per i diritti umani e la stampa di
opposizione denunciarono il coinvolgimento di Ngeze e Nahimana al massacro
di Bugesera.
Kangura prendeva di mira sia giornalisti democratici sia politici moderati;
le vignette su di loro non si risparmiavano nelle pagine della rivista, che già dal
‟91 iniziò a bersagliare l‟ex prima ministra Agathe Uwilingiyimana, la quale
verrà raffigurata nuda, e Faustin Twagiramungu, suo successore, anch‟esso nudo
nel numero di luglio84. I commenti erano molto eloquenti: « Vi maledico, voi
82
Chrétien, ’98 p. 49
83
Chrétien, ’98 p. 40
84
Vedi Figura C in appendice.
53
malfattori che volete tradire il Rwanda ». Uwilingiyimana, odiata per aver messo
fine al sistema delle quote della gente del nord nei concorsi pubblici per entrare
nella scuola secondaria, venne uccisa il 7 aprile del ‟94 all‟indomani
dell‟attentato ad Habyarimana. I segnali di una imminente catastrofe erano ormai
vicini.
Nel 1993 Kangura pubblicò un‟immagine denigratoria del presidente della
prima repubblica Kayibanda, il quale era raffigurato vicino a una falce enorme
che simboleggiava la naturale vocazione dell‟enorme potere degli hutu. Negli
ultimi periodi infatti le vignette erano sempre più agguerrite e prendevano di
mira sia uomini al potere sia politici deceduti anni prima. Il presidente Kayibanda
venne considerato per certi versi moderato, ma ne venivano sempre sottolineate
le sue ardenti bramosie di potere. Nello stesso anno il conflitto razziale fra hutu e
tutsi, secondo Kangura, sarebbe stato inevitabile e doveva avere assoluta priorità.
La storia del Rwanda veniva letta proprio come una continua lotta tra hutu e tutsi,
e in ciò possiamo trovare dei parallelismi con l‟ideologia e la visione della storia
dei nazionalsocialisti.
Kangura smise di stampare sul territorio rwandese due mesi prima che
iniziasse la fase finale del genocidio. Nell‟ultimo articolo85, risalente alla seconda
metà di febbraio, si annunciava che il RPF fosse pronto a scatenare disordini
nella capitale attraverso le bande armate e gli hutu contrari al regime, quindi
bisognava iniziare a sterminarli subito senza pietà. Il paradosso stava nel fatto
che i disordini vennero scatenati dalla frangia opposta, il C.D.R., il quale stava
iniziando ad isolare e ghettizzare Kigali. Uno degli ultimi articoli riprende un po‟
quel filone profetico del giornale; apparve strano che nel luglio del 1993
Kangura86 avvertiva la popolazione che un soldato avrebbe ucciso il presidente
Habyarimana. Nel numero 55 del giornale avvertiva, invece, di un‟imminente
guerra il mese dopo e screditava ancora una volta l‟RPF:
85
Vedi Figura B in appendice.
86
Vedi Figura C in appendice.
54
« chi sarà risparmiato dalla guerra di marzo? […] Se mai il FPR vincesse, a chi
si rimetterà il popolo maggioritario? […] Tutti i bahutu del Rwanda, che siano i
partiti cui appartengono, devono smetterla di giocare col fuoco e guardare oltre il
loro naso! Essere numerosi non è sufficiente. Devono unirsi per contrastare i
progetti dei loro nemici ».
Il giornale iniziò già dal mese di gennaio 1994 a preannunciare lo scenario
finale: dissimulando a malapena l‟ipotesi e la volontà di un piano finale che
portasse allo sterminio tutsi, senza mezzi termini esso avvertiva:
« quello che non abbiamo ancora detto agli inyenzi e che se alzeranno ancora la
testa non sarà più necessario battersi col nemico rimasto nella macchia.
Cominceremo a fare un repulisti del nemico interno a partire da quelli che stanno
nell‟edificio del CDN (il contingente del FPR a Kigali). […] Se per sbaglio
riprendessero la guerra, non resterebbe più in Rwanda un solo icyitso »87.
Resta ancora da capire se i massacri erano già stati programmati tempo
prima e se tutta la macchina genocidaria aveva già in mente una soluzione finale;
sta di fatto che il giornale estremista annunciava già molti mesi prima ciò che
sarebbe accaduto a distanza di pochi mesi.
Periodici a favore del RPF e altri periodici a vantaggio del M.R.N.D..
La propaganda estremista di Kangura venne diffusa in Burundi dove si
distribuiM.R.N.D.va una copia internazionale della versione rwandese. La scelta
di diffondere nello Stato vicino le copie del giornale estremista era atta a
spaventare i tutsi lì rifugiati e gli stessi sostenitori del Fronte Patriottico
Rwandese, il quale si organizzava e aveva il suo quartier generale proprio in
Burundi e in Uganda. Inoltre molti dei comunicati diramati dagli organi ufficiali,
87
As a Result of Their Politics of Lies, the Inkotanyi Regret Having Started the War in: Kangura, No. 54,
gennaio 1994 – www.rwandafile.com -
55
come ad esempio quello del partito M.R.N.D. del presidente Habyarimana,
riprendevano i discorsi di Kangura e li pubblicavano a loro volta.
Ma Kangura era solo il più importante dei periodici pubblicati in quegli
anni nel piccolo stato africano; tra il ‟91 e il ‟93 ne possiamo infatti contare otto,
più o meno regolari nelle pubblicazioni:
 Umurwanashyaka, « il militante » quindicinale del M.R.N.D.., nel cui
comitato troviamo G. Gahigi e come caporedattore Kantano Habimana. Il
giornale cessò di esistere nel ‟93 con la fondazione di Radio mille colline.
 Interahamwe, « i combattenti solidali » che prendevano il nome dalla
gioventù del M.N.R.D.. Diretto da Tatien Hahozayezu e da Valérie
Bemeriki, viene fondato nel 1991.
 Intera, « Avanti », di proprietà di Ananie Nkurunziza, che aveva stretti
legami con il fratello del presidente, perciò godeva di ampie libertà. Il
giornale collaborava con RTLM e la stessa Nkurunziza diffondeva
comunicati dai microfoni del bunker dell‟emittente.
 Impanda, « Eco della mille colline », fondato nel 1991 e vicino alla
frangia più estremista hutu.
 Medaille Nyiramacibiri, quindicinale fondato nel ‟92 dalla corte
presidenziale. Esso era il periodico più seguito dopo Kangura e rimase
alla storia per la sua politica violenta anti-tutsi.
 Karampaka, « l‟ultima parola » anti monarchico, che prese infatti il nome
dal referendum del ‟61 che sancì la fine della monarchia.
 Power-Pawa, « potere hutu », organo di propaganda del medesimo
movimento, il cui fondatore fu Epa Habimana.
 Umuruwa, « Onestà » fondato nel maggio del ‟91 e diretto da J. Afrika.
Quasi tutti questi periodici seguivano la linea di Kangura, ma non tutti
uscivano regolarmente; si trattava perlopiù di piccoli periodici in altrettante
piccole regioni, che possono essere visti come i “tentacoli” dello stesso Kangura.
56
D‟altra parte i partiti scelsero il quindicinale di Ngeze come organo istituzionale,
quindi tutte le sovvenzioni erano destinate a quest‟ultimo.
Conviene però concentrare l‟attenzione anche sulle testate giornalistiche
pro-RPF. Esse non furono molte e non vennero distribuite in tutto il Rwanda per
via del controllo totale che l‟Hutu Power ebbe dal 1992 al luglio 1994, ma
cercarono di essere la voce intestina e segreta di tutti i tutsi perseguitati negli
Stati vicini. Tra i più importanti ci furono: Buracyeye, Kanyarwanda, Kiberinka,
Le Flambeau e Le Tribun du Peuple; tutti i loro fondatori e editori erano tutsi e
membri del RPF. Questi giornali denunciarono il regime del M.R.N.D.. e le sue
violazioni dei diritti umani, accusarono il presidente Habyarimana e tutta la
frangia estremista hutu di non volere assolutamente la pace e chiesero
incessantemente ai Paesi europei e agli Stati Uniti aiuti per fermare il massacro88.
Anche le redazioni di questi giornali scelsero di usare le stesse tecniche di
Kangura raffigurando perciò M.R.N.D. C.D.R. in vignette satiriche che ne
denotavano l‟illiceità e l‟aggressività e che, raffigurandoli come scimmie, ne
volevano sottolineare la completa ignoranza. In questo modo, essi volevano
quindi rappresentare le ragioni del conflitto dettate solo dalla stupidità dell‟uomo.
I giornali tutsi pubblicarono interviste ai leader RPF e ne annunciavano le
conquiste ma « non pubblicarono mai storie riguardo gli assassinii, ne riguardo le
distruzioni e non usarono in nessun momento espressioni d‟odio verso la
maggioranza hutu »89, così come non fece mai neppure Radio Muhabura.
Negli anni dal ‟91 al ‟94 le implicazioni tra carta stampata, radio e
televisione estremista si fecero sempre più concrete e di conseguenza l‟intreccio90
tra questi media si faceva sempre più intricato e funzionale alla lotta contro la
stampa e le emittenti del RPF.
88
Le interrogazioni al Dipartimento di Stato U.S.A furono numerose, la moglie dell’allora Presidente Bill
Clinton, Hilary, insieme a Samantha Power condussero indagini sul ruolo della stampa in Rwanda e
cercarono con esse di stimolare l’opinione pubblica statunitense, ma il popolo americano era ancora
sconvolto per le immagini dei loro soldati a Mogadiscio. Decisero quindi di non intervenire.
89
The media and the Rwanda genocide, Allan Thompson, London: Pluto Press, 2007 p. 76
90
Vedi Figura D in appendice.
57
Vediamo chiaramente come RTLM entri nelle logiche dei giornali, dal
momento che molti giornalisti passarono dallo scrivere al parlare: Gaspard
Gahigi, ad esempio, passò dal giornale Umurwanashyaka a RTLM e così fece
anche Ananie Nkurunziza, che proveniva invece da Intera. L‟intreccio era
talmente forte che lo stesso Kangura, nel marzo del ‟94, lanciò un sondaggio
sulla popolarità dei giornalisti RTLM, chiedendo loro un giudizio scritto.91
Ordini di cattura e accuse al contingente belga
Kangura, così come RTLM, bersagliava sì i tutsi e gli oppositori politici hutu;
poche settimane dopo l‟attentato ad Habyarimana Kangura pubblicò, su ordine
delle milizie, gli ordini di cattura per tutsi ma soprattutto per tutti gli hutu che
avessero nascosto i tutsi o proteggessero i nemici del regime. Le liste erano
pubblicate riportando il nome, il cognome e l‟indirizzo dell‟indiziato, cosicché
davvero tutta la popolazione avesse partecipato alla cattura e all‟assassinio dei
dissidenti e di coloro i quali non erano ancora stati trovati dai “combattenti
solidali” ovvero le milizie Interahamwe. Ai “combattenti” civili fu concessa ogni
libertà d‟azione, lo stesso colonnello Bagosora incitava il “popolo maggioritario”
ad attuare l‟epurazione etnica.
Ma rivolgeva atti di accusa precisi persino contro il mandato delle nazioni
unite; esso spiegava, inoltre, che se le truppe UN morivano era solo per colpa
degli accordi di Arusha. Il contingente venne accusato di favorire l‟RPF92 e tutti i
tutsi, sono molte infatti i cartoon che ritraggono il contingente vicino al generale
Kagame. Lo stesso generale Dallaire, su cui non mancavano le vignette, veniva
definito assuefatto dell‟affetto delle donne tutsi, le femme fatales93 descritte nei
comandamenti hutu. Il giornale chiedeva quindi il rimpatrio delle truppe ormai
inutili e nuovi fondi per creare il governo hutu:
91
Chrétien, ’98 p. 43.
92
Vedi Figura E in appendice.
93
Vedi Figura F in appendice.
58
« A parte il fatto che i soldati delle Nazioni Unite saranno uccisi a causa delle
difficoltà derivanti dai mal concepiti accordi di Arusha, quest'anno è un male per le
truppe delle Nazioni Unite di stanza in Rwanda. Sembra che dai fondi stanziati per i
loro mantenimento ci si aspetta che rimangano in Rwanda per altri due anni
[…]Queste sono le previsioni di Kangura su ciò che accadrà: il rimpatrio delle
truppe
delle
Nazioni
Unite,
perché
sono
inutili
in
Rwanda;
lo
stanziamento di ulteriori fondi per creare il governo; riduzione del periodo
transitorio per le elezioni »94.
I massacri presi in esame non possono essere banalizzati ed etichettati
come etnici, sminuendone in tal modo l‟entità e rischiando, così, di non
comprendere a fondo ciò che rappresentò davvero quel periodo di violenze. Il
genocidio rwandese non è stato studiato dettagliatamente dal punto di vista
mediatico, altri furono gli aspetti su cui maggiormente gli studiosi si
concentrarono; eppure esso fu l‟unico ad avere come energia generatrice d‟odio
una radio ed un giornale, che insieme formavano un apparato mediatico
organizzato alla perfezione. L‟analisi dei media dell‟odio serve ad approfondire
la conoscenza di quelle che furono le ragioni principali che portarono alla quasi
totale complicità, da parte della popolazione, nel programma di epurazione etnica
messo a punto dal regime estremista hutu.
La questione che colpisce è come questi media siano stati così
minuziosamente organizzati e come, rispondendo alle logiche di regime, siano
riusciti a creare un linguaggio funzionale a fomentare l‟odio etnico. L‟uso di
caricature e vignette, unito ad articoli dal lessico mirato, ebbe un‟ampia eco tra la
popolazione e fecero di Kangura il palcoscenico di un estremismo deciso a
cancellare un intero popolo. Lo stesso intreccio di Kangura e RTLM era atto a
soddisfare il bisogno di comunicazione di un così atroce delitto, e a creare il
duplice linguaggio che condurrà alla catastrofe del luglio 1994.
94
Where Will Another United Nations Contingent Come From After the One Deployed Now Goes Home
Empty-Handed? In: Kangura, No. 56, Febbraio 1994 – www.rwandafile.com -
59
Processo Media dell’odio
I mezzi di comunicazione di massa sono stati fra gli strumenti più importanti per
la crescita del consenso e hanno alacremente contribuito alla propagazione del
conflitto militare in tutto il Paese, provocando numerose violazioni dei diritti
umani e partecipando, perciò, attivamente al genocidio perpetrato dagli hutu a
danno dei tutsi. Anche il processo dell‟ICTR conferma l‟importanza strategica e
ideologica dei media nei massacri; esso, infatti, da una parte ribadisce il potere
dei mezzi di comunicazione e dall‟altra attribuisce loro responsabilità molto
gravi non meno determinanti delle responsabilità degli stessi assassini.
L‟esistenza e l‟attività di media dell‟odio solleva la questione se si debba
tollerare la loro azione in nome della libertà di stampa e di opinione o se si
debba, invece, disporre la chiusura di determinate testate giornalistiche o
emittenti radiofoniche e imporre loro il silenzio. « Come decidere quando
un‟opinione non è più tale, bensì copre l‟istigazione alla violenza e la
manipolazione dei fatti? Quando la menzogna giornalistica diventa martellante
propaganda, diretta al lavaggio del cervello di massa? »95
Per capire quali sono i limiti del giornalismo, e quindi regolare sia la
fruizione che la divulgazione, l‟Assemblea generale delle Nazioni Unite adottò
una Convenzione contro le discriminazioni razziali nel 1969 e, qualche anno più
tardi, nel „76, un Patto sui diritti civili e politici. La Convenzione e il Patto
dell‟ONU vennero usate anni dopo nel processo che sancì l‟illegalità dei media
rwandesi, ma non furono praticamente prese in considerazione nel momento in
cui il fenomeno avveniva. Né si fece riferimento ad esse nel periodo precedente,
per evitare che le parole e i discorsi dei gruppi estremisti comparissero sui
giornali e in radio fomentando, così, l‟odio contro i tutsi e allargando ancor di più
95
Alberto Papuzzi, Professione giornalista. Le tecniche, i media, le regole, Donzelli, 2010, p. 10
60
il distacco ideologico tra le due etnie tale da inabissare il parapetto delle
differenze creatosi già cinquanta anni prima.
« Senza armi da fuoco, machete o altri oggetti, voi avete provocato la
morte di migliaia di civili innocenti »96. Furono queste le parole con cui il giudice
Navanathem Pilay (oggi presidente del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni
Unite) introdusse la sentenza del cosiddetto Media Trial, il processo che iniziò il
20 ottobre 2000 e si concluse il 3 dicembre 2003. Con esso, per la prima volta un
Tribunale Internazionale riconobbe in sede giuridica le responsabilità oggettive
dei media nel veicolare e strumentalizzare idee estremiste ed equiparò, per
l‟entità delle condanne comminate, le responsabilità degli imputati a quelle degli
organizzatori materiali del genocidio. Le registrazioni di RTLM sparirono nel
nulla, privando la giustizia rwandese e a quella internazionale di importantissime
prove per incriminare i colpevoli. Solo alcuni frammenti sono in mano della
Corte Internazionale dei Crimini in Rwanda.
Quattro erano gli imputati principali del processo: Hassan Ngeze, direttore
e redattore del giornale Kangura; Ferdinand Nahimana, co-fondatore e speaker
della Radio Télévision Libre des Mille Collines; Jean-Bosco Barayagwiza,
leader della Coalition pour la Défense de la République (C.D.R.); Simon Bikindi,
cantautore rwandese e speaker di RTLM, il quale scrisse numerose canzoni
contro i tutsi. Le canzoni scritte da Bikindi vennero considerate nel processo
come componente essenziale del piano del genocidio. Il processo a carico di
George Ruggiu, l‟italo belga animatore di RTLM, è stato invece separato da
quello principale, egli fece sparire tutte le registrazioni RTLM.
Il 19 giugno 2003 Ngeze, Nahimana, Barayagwiza e Bikindi sono stati
riconosciuti colpevoli di incitamento all‟odio razziale e al genocidio;
inizialmente sono stati condannati tutti all‟ergastolo, ma negli anni successivi le
loro pene hanno visto tutte una riduzione. Ruggiu è stato condannato nel luglio
96
Citato in Fonju Ndemesah, Fausta. La radio e il machete. IL ruolo dei media nel genocidio del Rwanda,
Infinito Edizioni, Roma, 2009
61
2000 a 12 anni di reclusione (con vive contestazioni in Rwanda) grazie alle
informazioni su RTLM e il suo staff, salvo poi essere rilasciato anticipatamente,
due anni e dieci mesi prima, dalle autorità italiane nel 2008; l‟odierno governo di
Kagame sostiene ancora che l‟Italia sia colpevole di un complotto con il governo
belga per liberare il prima possibile l‟unico bianco macchiatosi di genocidio in
Rwanda. La Corte Suprema del Canada, poi, nel giugno 2005 ha stabilito che il
rifugiato politico Léon Mugesera, giornalista di Kangura e animatore di RTLM,
dovesse essere estradato in Rwanda per essere processato, essendo ritenuto
colpevole di aver incitato all'odio razziale e al genocidio.
Kabuga, creatore e primo finanziatore di “Radio delle mille colline”,
nonché consulente finanziario dello stesso Habyarimana, invece, non è stato mai
trovato. Dopo oltre quindici anni, egli risulta ancora latitante, sulla sua testa
pende una taglia di 5 milioni di dollari ed è considerato da “Forbes” e
dall‟Interpol uno dei dieci ricercati più pericolosi nel mondo. Tuttora si pensa sia
in Kenya.
Il cosiddetto processo ai “media dell‟odio” può essere considerato il primo
caso, dai tempi di Norimberga97, in cui un « discorso dell‟odio » viene perseguito
in un contesto di giustizia internazionale. È un dato di fatto che questo tipo di
discorso e di propaganda, portato avanti dai media del Paese, contribuì
significativamente a rendere possibile un contesto genocidario: « the power of
the media to create and destroy fundamental human values comes with great
responsibility. Those who control such media are accountable for its
consequences »98. Tre furono i capi d‟imputazione per Nahimana, Barayaqwiza e
Ngeze: genocidio, incitamento al genocidio e crimini contro l‟umanità.
97
A Norimberga venne processato, con lo stesso capo d’imputazione, Julius Streicher, editore del
settimanale violentemente antisemita Der Stürmer e considerato quindi uno dei principali istigatori
all’odio razziale verso il popolo ebraico.
98
The Prosecutor v. Ferdinand Nahimana, Jean-Bosco Barayagwiza and Hassan Ngeze, Case No. ICTR-9952-T, Judgment, 3 December 2003, para. 945
62
Ngeze venne giudicato anche in relazione alla pubblicazione della rivista
Kangura, da lui fondata, gestita ed edita, tra il 1990 e il 1995, prima in Rwanda e
poi in Kenya. Sulle pagine di questa rivista, fortissima era la campagna contro le
donne tutsi, continuamente ritratte come femmes fatales e considerate « i
seducenti agenti » del nemico. « I dieci comandamenti degli hutu », pubblicati
sulla rivista nel dicembre del 1990, mettevano in guardia gli uomini hutu dai
pericoli di queste donne e accusavano di tradimento chiunque avesse osato
sposarne una. La continua persecuzione mediatica e i continui insulti non
facevano che creare negli hutu un sentimento di odio fortissimo, e le vignette,
che lo stesso Ngeze commentava e pubblicava, furono forse il mezzo più
spicciolo per confondere la popolazione e veicolare le idee di sterminio proprie
del regime.
La Corte d‟Appello decise comunque infine di assolvere Ngeze
dall‟accusa di genocidio in relazione al suo ruolo all‟interno della rivista: pur
concordando sul fatto che Kangura contribuì allo sterminio accrescendo il clima
di violenza e odio, infatti, non ritenne che all‟attività della rivista fosse
imputabile l‟accusa di aver provocato o quanto meno di aver contributo in modo
sostanziale al genocidio, mancando delle prove concrete che dimostrassero in
modo inequivocabile la colpa della rivista stessa. Questo fatto provocò non poche
polemiche, dal momento che appare palese la responsabilità di tutta la redazione
se si considerano gli articoli e il lessico accuratamente studiato.
Il ruolo dei media nel 1994 fu essenziale: fu lo stesso Nahimana, in
un‟intervista alla radio del 25 aprile 1994, quindi al culmine del genocidio, a
sottolineare come la guerra dei media, dei giornali e delle radio possa essere
considerata il completamento insostituibile dei proiettili. Nel pronunciare la
sentenza contro di lui, il giudice Pillay non ebbe dubbi: « You were fully aware
63
of the power of words, and you use the radio – the medium of communication
with the widest public reach – to disseminate hatred and violence »99.
Le diverse Corti rimasero concordi su alcuni aspetti riguardanti l‟accusa di
crimini contro l‟umanità, ma giudicarono inutile decidere se il semplice «
discorso dell‟odio », che comunque in sé non incitava alla violenza, fosse da
ritenersi di una gravità equivalente a quella degli altri crimini contro l‟umanità.
La Corte d‟Appello ritenne che fosse l‟effetto cumulativo di tutti gli atti
sottostanti alla persecuzione a dover raggiungere un livello di gravità pari a
quello per gli altri crimini contro l‟umanità. Ovviamente, così agendo, non si
voleva in nessun modo togliere importanza a questo contesto di espressioni
d‟odio, che anzi in questo caso venivano accompagnate da una massiccia
campagna di persecuzione caratterizzata dalla violenza e dalla distruzione delle
proprietà. Diventa importante a questo punto capire la differenza che intercorre
tra « espressioni d‟odio » e incitamento al genocidio. La Corte d‟Appello stabilì
che il secondo deve essere caratterizzato da qualcosa di più che un vago o
indiretto suggerimento a compiere questo crimine; quest‟ultimo può essere
preceduto o accompagnato da « espressioni d‟odio », ma solo l‟incitamento
pubblico e diretto poteva ricadere sotto la giurisdizione del Tribunale.
A seconda dei Paesi che si prendono in considerazione si hanno
legislazioni diverse, che di volta in volta privilegiano l‟uno o l‟altro di questi due
elementi. Un gruppo, che potremmo identificare con quei Paesi che seguono un
tipo di dottrina analoga a quella degli Stati Uniti, assegna la priorità alla libertà
d‟espressione, anche quando quest‟ultima rischia di essere intrisa d‟odio. A
fronte di un‟interpretazione così estensiva del principio di libertà, troviamo quei
Paesi, come il Canada o gran parte degli Stati europei, che attribuiscono una
maggior importanza alla protezione della dignità e dell‟uguaglianza di tutti
coloro che possono essere attaccati da eventuali espressioni d‟odio. La legge
99
The Prosecutor v. Ferdinand Nahimana, Jean-Bosco Barayagwiza and Hassan Ngeze, Case No. ICTR-9952-T, Summary, 3 December 2003, para. V.
64
internazionale preferisce questo secondo approccio e tale orientamento giuridico
è ben deducibile dall‟analisi dell‟intera attività dell‟ICTR.
Il teatro dei media, insomma, di fronte alla tragedia e alla sua
progettazione, ha giocato un ruolo di incitamento, ha usato tutte le proprie doti
per arrivare all‟obiettivo, ha dettato ordini e deciso i contenuti da condividere, i
termini da usare e le definizioni da dare. Il ruolo dei media è stato quello di
costruire la memoria collettiva rendendola funzionale allo sterminio, fornendo le
chiavi di lettura per interpretare un conflitto progettato per un solo scopo, che
non garantiva sicurezza né libertà. RTLM accresceva solo le differenze e
l‟isterismo, fomentando dubbi e dissenso, sfruttando quel discorso di odio sociale
avviato già anni prima; Kangura accresceva l‟aggressività dell‟estremismo hutu e
conseguenzialmente, forse in maniera quasi inconsapevole, anche quello della
fazione contraria. La radio, in primis, e Kangura, in secundis, aumentarono il
senso di paura, il senso di pericolo e il senso di urgenza dando luogo alla
necessità di un'azione degli ascoltatori. Gli elementi che notevolmente
amplificarono l'impatto delle trasmissioni RTLM e gli articoli di Kangura furono
aumentati dal disprezzo viscerale che usciva delle frequenze, segnalato
inconfutabilmente dalle risate e dai ghigni cattivi degli speaker e dalle parole che
trapelavano dalle parole di Ngeze.100
100
The prosecutor v. Ferdinand Nahimana, Jean-Bosco Barayagwiza, Hassan Ngeze
case no. ictr-99–52-t - 3 December 2003 - Erik Møse
65
Conclusioni
“Conflitto intertribale”, “Consueta guerra interetnica”, “Tribù nutrite da un
antico odio”: queste le parole usate dalla stampa internazionale nel 1994 per
descrivere il genocidio che stava avvenendo. Gli inviati sul luogo avrebbero
dovuto compiere, però, un passo in più, inserendo gli avvenimenti in un contesto
che, silentemente, era ormai noto a politici e a capi di governo che avrebbero
potuto intervenire. Oggi sappiamo che fu ben altro a scatenare quegli eventi,
nessuno mai accennò al ruolo dei paesi coloniali nella costruzione delle loro
identità, così come nessuno mai accennò all‟influenza Ugandese e Congolese e
all‟influenza determinante dei media dell‟odio usati dalla frangia estrema.
La stampa internazionale avrebbe dovuto informare l‟opinione pubblica su
ciò che davvero stava accadendo nel centro-Africa; CNN e CBS, così come le
televisioni italiane ed europee, parlavano dei fatti rwandesi descrivendoli come
scontri tribali, lontani quindi dalla società civile. In questo modo i governi non si
adoperarono né per fermare i massacri né tantomeno per porre fine alle
trasmissioni di RTLM e alle pubblicazioni di Kangura. Infatti, se l‟organo
teorico di diffusione delle idee dei genocidari fu la rivista Kangura, la fonte
principale della propaganda di massa nei confronti della popolazione fu Radio
Mille Collines, presto detta “Radio Machete”. Entrambi i media per anni
caricarono d‟odio il popolo hutu, arrivando negli ultimi mesi a inneggiare al
genocidio vero e proprio; eppure la campagna mediatica rwandese non venne
fermata poiché si preferì un‟interpretazione eccessivamente estensiva della
libertà d‟espressione, senza tener conto dei limiti etici da questa contemplati.
Persino durante i processi dell‟ICTR venne invocata, dagli avvocati degli
animatori di RTLM e dai giornalisti di Kangura, la libertà di pensiero e
d‟espressione come arma di difesa.
66
Seppure traumatizzata dalla violenza delle immagini nel 1994, la
popolazione del mondo intero si adagiò sui più comuni stereotipi che non furono
solo semplicistici ma addirittura erronei e molto pericolosi. Vani, se pur esigui,
furono i tentativi delle associazioni dei diritti umani per riportare le coscienze di
tutti alla realtà dei fatti; il discorso mediatico internazionale intorno al Rwanda
presentò gli eventi come un mero conflitto tribale, violenze fomentate dall‟odio
atavico che univano quei popoli rafforzando la rappresentazione, ben nota, di
continente selvaggio e disgraziato.
Dall‟analisi della struttura mediatica e dalla sua precisa organizzazione nel
tessuto sociale rwandese, si evince che tutto fu ideato in funzione di una
propaganda atta a coinvolgere un‟intera popolazione nel compiere azioni definite
poi genocidarie. Sia RTLM sia Kangura utilizzarono un preciso apparato
comunicativo complesso ed articolato funzionale alla diffusione delle idee del
partito al potere. Nulla era lasciato al caso, ogni trasmissione radiofonica ed ogni
articolo di giornale era costruito in modo tale da colpire la minoranza tutsi e di
conseguenza accrescere il sentimento d‟odio del popolo “maggioritario”.
RTLM, ad esempio, adottò il ruolo di emittente vicina al popolo, la radio
libera popolare, la quale avvertiva tutti gli hutu di ogni pericolo e diffidava di
chiunque fosse stato contrario al regime. Kangura invece era il giornale per la
popolazione edotta, ma non rinunciava all‟uso della satira per divulgare, anche
fra le classi meno istruite, le idee politiche del governo e per accrescere il clima
di terrore, già presente, contro gli oppositori.
Assodato che quella tra tutsi e hutu non era una reale differenza etnica,
l‟intreccio simbiotico dei due media analizzati, il lessico usato e la ridondanza
degli ordini furono la causa di un genocidio di portata devastante; è incredibile
constatare che una ristretta cerchia di comunicatori, in un Paese così arretrato,
riuscì ad utilizzare tecniche persuasive tanto innovative da colpire nel profondo
la coscienza di un intero popolo e renderlo colpevole di un così efferato delitto.
67
Appendice
Figura A: Copertina di Kangura n. 54, gennaio 1994
R.P.F. Soldato, a sinistra: « Stiamo per ucciderti, qualunque cosa accada. Non sei il primo e non
sarai l'ultimo. Chi ti ha detto di combatterci facendo voi di te stesso il portavoce degli hutu? ».
Soldato, medio (con gli occhiali): « Perché continui a mettere i gruppi etnici gli uni contro gli
altri? Ripeti che tu e il C.D.R. siete vigili. Stiamo per ucciderti, qualunque cosa accada. Chiama
Ikinani per venire in tuo soccorso. Ci occuperemo di quelli che si presentano come estremisti
hutu ».
Ngeze (seduto, al centro): « Fate quel che volete. Uccidetemi ma quando il popolo
maggioritario lo verrà a sapere, il Rwanda sarà ridotto in cenere ».
68
Figura B: Copertina di Kangura n. 57, febbraio 1994
In seguito ai disordini all‟interno della capitale Kigali viene dato l‟ordine di attaccare lo
“scarafaggio” tutsi. Nella vignetta della prima pagina è presente l‟ennesima rappresentazione
dei tutsi come “topi” o “scarafaggi”, e gli hutu devono colpirli a morte con le mazze chiodate
fatte importare apposta.
69
Figura C: Copertina di Kangura n. 46, luglio 1993
- La profezia è riportata, nel riquadro di destra, nell‟immagine della bara con la fotografia di
Habyarimana.
- Nel riquadro di sinistra vengono rappresentati nudi l‟ex prima ministra Agathe
Uwilingiyimana e Faustin Twagiramungu, suo successore.
70
Figura D: Vignetta riportata all‟interno di Kangura n.46, luglio 1993
La vignetta rappresenta l‟intreccio tra RTLM e Kangura. Sono seduti l‟uno vicino all‟altro,
infatti, giornalisti del periodico estremista e gli speaker più famosi dell‟epoca.
Figura E: Vignetta riportata all‟interno di Kangura n. 55, gennaio 1994
Soldato belga della MINUAR: « Sei hutu o tutsi? »
Paul Kagame (dal RPF): « Questa è un hutu ».
Il "popolo maggioranza”: « Noi siamo rwandesi! »
Il contingente belga veniva anche in questo modo schernito, proprio perché aveva al suo
comando il generale tutsi Paul Kagame.
71
Figura F: Vignetta riportata all‟interno di Kangura n. 56, febbraio 1994
« Il generale Dallaire e gli uomini del suo esercito sono caduti nella trappola delle femmes
fatales tutsi ».
Le figure A, B, C e D riportate in questa appendice sono tratte dal sito internet:
http://www.rwandafile.com/
mentre le figure E ed F sono prese dal sito internet:
http://www.genocidearchiverwanda.org.rw/
72
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- Rwandafile - primary source from the Rwandan Genocide,
http://www.rwandafile.com/
- Sito della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Siena,
http://www.lett.unisi.it/
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http://www.lib.unb.ca/
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http://www.unictr.org/
- Sito ufficiale dell’Organizzazione per la Ricerca e lo Sviluppo Internazionale,
http://web.idrc.ca/fr/ev/
- Sito ufficiale della Fondazione “Hotel Rwanda”,
http://hrrfoundation.org/
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