La memoria e la quantità della vita - Atlante digitale del `900 letterario

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Atlante digitale del '900 letterario
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La memoria e la quantità della vita
Nell’opera di Vincenzo Cardarelli l’infanzia a
Tarquinia è evocata più che narrata: «Ne ho
una memoria poetica, non romanzesca»,
dichiara.
Il ricordo assurge dunque a mito: Re
Tarquinio, la figura paterna, Villa Tarantola si
colorano, nel gesto letterario, di tinte epiche,
fiabesche, leggendarie. La penna disinvolta,
ironica e ponderata dell’Autore sembra
inscrivere Memorie dell’Infanzia e Favole
della Genesi in un medesimo progetto:
instaurare un dialogo intimo con le proprie
origini di individuo, di creatura e, per quanto
riguarda i frequenti richiami all’Etruria,
trasversali nella sua prosa, di maremmano.
Tuttavia la trasfigurazione mitica apre una
frattura tra ricordo e realtà e visitare Corneto
Tarquinia diventa per Cardarelli un momento
tragico. A testimoniarlo è il componimento
Ritorno al mio paese che contrappone il
ricordo «fermo, incantato» alla realtà
mutevole ed estranea: la nostalgia del luogo
trapassa in nostalgia di un tempo perduto,
una sorta di saudade. Cardarelli non
riconosce più il paese e il paese non
riconosce più Cardarelli.
Pertanto la sua condizione è quasi quella di
un apolide, condannato ad essere forestiero
ovunque e non appartenere ad alcun luogo:
è la segreta ferita che confessa in Passaggio
Notturno e che lo obbliga ad una vita
nomade, sradicata. Mentre Leopardi si sente
imprigionato a Recanati, Cardarelli si sente
esiliato da Tarquinia. Due dinamiche
diametralmente opposte che però generano
una simile inquietudine, a tratti insofferente.
Eppure la loro poesia è un continuo tornare
a quei ricordi, «ombre del nostro breve
corpo, /strascichi di morte / che lasciamo
vivendo». Infatti Leopardi se da una parte
afferma che il passato è doloroso proprio in
quanto «passato, finito», dall’altra annota nel
giorno 25 Ottobre 1821 che «ci è piacevole
nella vita anche la ricordanza dolorosa». Il
ricordo per definizione implica un riaffermarsi
del cuore, che è per Leopardi forse il fulcro
dell’intero agire poetico. In questa postura
coraggiosa, tanto attaccata alla vita da
amarne anche il tragico, Cardarelli vede il
genio di Leopardi, e commenta: «Dolore,
sofferenza sono per Leopardi sinonimi di
vita» e «Per comprendere Leopardi bisogna
coglierlo a questi punti estremi, dove morde
la realtà alla radice». Una poesia autentica,
vera, che parli la vita deve partire da
«strettissime
contingenze»,
non
può
prescindere dal vissuto del poeta: per
Cardarelli «pensare e dire e fare poesia si
può solo di ciò che si sente e si è
pienamente». Così la sua poesia agisce come
un prisma che rifrae la vita in linee di forza,
secondo un commento dell’amico Emilio
Cecchi, membro de La Ronda.
Il critico Giuseppe Raimondi scrive: «in
Cardarelli ogni contatto, ogni urto con la
realtà provoca uno scatto spirituale di natura,
di portata poetica». Questo urto, motore del
poetare cardarelliano, può essere ritrovato
nella concezione del tempo di Henri Bergson,
che bene si adatta al ruolo della memoria in
Cardarelli e Leopardi.
Secondo Bergson, nel tempo vissuto
dall’individuo gli istanti non si susseguono
uno dopo l’altro come le perle di una collana
bensì si sovrappongono e si stratificano, di
modo tale che ogni istante presente
contenga tutti quelli passati e vice versa. Tra
la percezione, ovvero lo strato più
superficiale di questa sorta di gomitolo, e il
ricordo, più interno, c’è interazione costante:
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«le cose non stanno che a ricordare»,
sentenzia analogamente un verso di Spiragli.
Se ogni esperienza riattiva il passato e il
passato è il punto di partenza di ogni
esperienza, allora è necessario che l’individuo
scenda negli abissi della memoria per
conoscersi e conoscere il mondo, per vivere
pienamente il presente. In Tempi Immacolati
Cardarelli scrive: «Il tempo è dietro di noi /
ma come fondo che non appare» e poi «tutte
le cose / hanno un passato e un
presentimento: / anche il mio male d’ora».
Tarquinia e gli anni dell’infanzia sono questo
fondo che non appare, assenza sempre
presente, fondamenta sotterranee della vita
cosmopolita, burrascosa e precaria di
Cardarelli.
Negli stessi anni in cui l’avanguardia rifiuta
qualsiasi riflessione sul passato e guarda
ostinatamente al futuro, ovvero ciò che
ancora non c’è, il nulla, Vincenzo Cardarelli
riscopre la memoria come custode del
presente, della pienezza, della vita. Le vite di
Leopardi e Cardarelli tracciano una parabola
profondamente affine. Entrambi nati in
epoche tutte rivolte al progresso vollero
ricordare al mondo che ciò che cerca l’anima
non è la qualità della vita ma la sua quantità,
come svela il Dialogo di un Fisico e di un
Metafisico. La loro poesia mostra che la vita,
anche quando dolorosa, è tanto abbondante
da essere infinita anche in luoghi
infinitamente piccoli, tanto forte da risuonare
persino negli spazi inconsistenti e flebili del
ricordo. Come scrive Cardarelli in Visita a
Recanati, per vedere dove ha spaziato
un’anima immensa quale quella di Leopardi
«non occorre uscire da una casa patrizia
dell’Ottocento».
CONTRIBUTO
Maria Zanella, V B (L.C. Virgilio, Roma)
Con questo saggio Maria Zanella si è aggiudicata
il I premio della II ed. del Certamen Cardarelliano
(Tarquinia, 16 aprile 2016)
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