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Significato laboratoristico
e clinico dell’FSH
Prima edizione: febbraio 2007
© Copyright 2007 by CLEUP SC
“Coop. Libraria Editrice Università di Padova”
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chi non domanda lo sarà per tutta la vita
(Anonimo)
INDICE
Metodiche per il dosaggio dell’FSH
A.F. RADICIONI ............................................................................................. 7
Significato funzionale dei livelli plasmatici FSH: la molecola ed il recettore
A. LANZONE, F. MINICI, F. ROMANI, R. APA ................................................. 19
Range di normalità dei livelli plasmatici di FSH nell’uomo
C. KRAUSZ, L. PETRONE, A. TERRENI, G. FORTI ............................................ 25
Valore clinico dei livelli plasmatici di FSH nella donna
G.B. LA SALA, A. GALLINELLI ..................................................................... 29
Correlazione tra FSH plasmatico, parametri seminali e funzionalità tubulare
P. TURCHI .................................................................................................... 33
Il dosaggio dell’FSH nella valutazione della riserva ovarica
I. NOCI ........................................................................................................ 41
L’ipogonadismo ipogonadotropo funzionale
C. FORESTA, A. FERLIN, A. LENZI ................................................................ 47
Significato clinico del dosaggio dell’FSH in relazione ai parametri seminali
C. FORESTA, R. SELICE, M. MENEGAZZO, A. BOTTACIN, A. GAROLLA,
M. PLEBANI, A. FERLIN ................................................................................ 55
Razionale per il trattamento dell’infertilità maschile con FSH
A.A. SINISI, D. ESPOSITO, G. BELLASTELLA, L. MAIONE, T. URRARO,
A. BELLASTELLA .......................................................................................... 65
Risultati del trattamento con FSH sui parametri seminali
C. FORESTA, A. GAROLLA, R. SELICE, N. CARETTA, A. FERLIN ..................... 75
Il trattamento dell’infertilità maschile con FSH: risultati del trattamento
sulla fertilità
A. PALMIERI, F. MANGIAPIA, A. MALETTA, G. DE STEFANO, V. MIRONE ........ 91
6
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
La sindrome metabolica e la sindrome dell’ovaio policistico.
I disturbi del ciclo come marker di rischio di diabete di tipo 2
A. LANZONE, D. ROMUALDI, G. CAMPAGNA, A. BOMPIANI, L. RICCIARDI,
F. MACRÌ, M. GUIDO ................................................................................... 95
Nuove prospettive terapeutiche nel trattamento della PCOS
V. DE LEO, M.C. MUSACCHIO, C. LAVOPA, G. MORGANTE, P. PIOMBONI,
C. FACCHINI, F. PETRAGLIA ........................................................................ 103
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
7
Metodiche per il dosaggio dell’FSH
A.F. RADICIONI
Laboratorio di Endocrinologia - Dipartimento di Fisiopatologia Medica - 1a
Facoltà di Medicina e Chirurgia - Università di Roma “La Sapienza”
Verso la metà del secolo scorso è stato messo a punto il primo dosaggio
radioimmunologico (RIA) per la determinazione della concentrazione ormonale.
Questa metodica, introdotta nel 1959 da Yalow e Berson (1) per l’insulina, ha
modificato radicalmente l’approccio diagnostico alla patologia endocrina nel suo
complesso, oltre a dare uno straordinario impulso alla ricerca medica e biologica
nel campo dell’ormonologia. Ulteriori progressi sono stati compiuti sui principi
delle metodiche immunologiche e sulle tecnologie di automazione. Questa
evoluzione ha permesso all’endocrinologo di disporre di risultati sempre più precisi
ed affidabili.
I dosaggi immunologici utilizzano anticorpi con elevata affinità per la
molecola ormonale. Inizialmente, mediante l’immunizzazione di animali (ad es.
topi o conigli) con la molecola ormonale, sono stati prodotti anticorpi derivanti
da più cloni linfocitari (anticorpi policlonali) con affinità diversa; successivamente,
grazie all’introduzione della tecnica di immortalizzazione, tramite fusione di
linfociti murini con cellule di mieloma, sono stati ottenuti anticorpi derivanti da
un singolo clone (anticorpi monoclonali), tutti quindi con caratteristiche identiche.
Recentemente, invece, si è utilizzata la tecnica del DNA ricombinante che prevede
l’inserimento del gene codificante per l’anticorpo specifico per l’ormone in un
plasmide, che viene introdotto in un batterio all’interno del quale si replica. Gli
anticorpi, comunque prodotti, possono essere poi marcati con un tracciante che
permetta di riconoscerli.
La prima metodica radioimmunologica (RIA) messa a punto, è basata su un
dosaggio di tipo competitivo fra un ligando freddo (ormone da dosare) ed un
ligando caldo (ormone radiomarcato a concentrazione nota) che competono per
una quantità limitata di legante (anticorpi poli- o monoclonali anti-ormone).
Maggiore è la quantità di antigene freddo, minore sarà la quantità di antigene
caldo che resta legato all’anticorpo. Una volta avvenuta la reazione e separata
adeguatamente la quota legata da quella libera, è sufficiente valutare allo
scintillatore la quantità di radioattività (cpm) del complesso antigene marcatoanticorpo, o dell’antigene marcato libero, per calcolare, su una curva costruita
con standards a concentrazione nota, la quantità dell’ormone freddo dei campioni.
Il dosaggio immunologico classico si avvale di alcuni elementi essenziali:
– il legante, solitamente un anticorpo, in grado di legarsi in maniera altamente
specifica con il ligando, la sostanza cioè da dosare;
– il tracciante, l’elemento cioè misurabile, in grado di legarsi al legante od al
ligando in maniera stabile;
8
–
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
il sistema di separazione della quota libera da quella legata al legante o al
tracciante.
Modificando le caratteristiche di questi elementi è stato possibile mettere a
punto metodiche diverse.
• La metodica radioimmunometrica (IRMA) nella quale vengono
utilizzati anticorpi marcati (il ligando), mentre il tracciante resta un
isotopo radioattivo.
• Le metodiche immunofluorescenti dove viene utilizzato un sistema
(ad es. ioni di europio) in grado di emettere una fluorescenza misurabile
e correlata alla quantità dell’ormone da dosare.
• Le metodiche in chemiluminescenza nelle quali viene generata dalla
reazione con il tracciante una quantità di luce misurabile in RLU (unità
di luce relativa).
• Le metodiche immunoenzimatiche (EIA, ELISA) dove gli anticorpi
vengono coniugati con un enzima.
Attualmente per il dosaggio dell’FSH si utilizzano le prime tre metodiche,
descritte dettagliatamente qui di seguito:
La metodica IRMA (Immunoradiometric Assay) – Nei dosaggi
immunologici classici (RIA) viene marcato l’antigene, cioè l’ormone, e quindi il
dosaggio si basa sulla competizione tra l’ormone caldo e quello freddo. Più
recentemente, al fine di aumentare la sensibilità e la specificità dei dosaggi
immunologici, è stata messa a punto la tecnica a sandwich che utilizza due
differenti anticorpi monoclonali ognuno dei quali riconosce un diverso epitopo
dell’ormone. Il dosaggio si esegue utilizzando il primo anticorpo adeso ad una
matrice solida di supporto. Dopo la rimozione, mediante lavaggio, delle molecole
non legate al primo anticorpo, il secondo anticorpo, marcato, viene lasciato ad
incubare con il complesso primo anticorpo-ormone. La quantità del secondo
anticorpo che si fissa alla fase solida è proporzionale alla concentrazione
dell’ormone in esame. L’uso dei due anticorpi determina un sensibile aumento
della specificità per la riduzione del legame aspecifico.
La metodica immunofluorimetrica – Questa metodica usualmente utilizza
micropiastre sulle quali viene fissato il primo anticorpo anti-ormone. Si lascia ad
incubare nei pozzetti della micropiastra il siero da valutare, quindi mediante
lavaggio si rimuove tutto il materiale non legato all’anticorpo, infine si utilizza
un secondo anticorpo, coniugato con materiale fluorescente diretto contro un
secondo determinante (sito) antigenico della molecola (2). La fluorescenza
registrata dal sistema risulta proporzionale alla concentrazione dell’ormone da
dosare.
La metodica immunochemiluminescente – Utilizza particelle
paramagnetiche rivestite di una molecola di cattura (anticorpo monoclonale)
specifica per l’analita da misurare. Durante l’incubazione l’ormone presente nel
campione si lega agli anticorpi formando immunocomplessi sulla superficie delle
particelle paramagnetiche. Quindi, un magnete blocca le particelle paramagnetiche
e mediante lavaggio si rimuove il materiale non legato. Il coniugato
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
9
chemiluminescente marcato con acridinio si lega all’immunocomplesso. A questo
punto in presenza di perossido, in soluzione alcalina, l’acridinio si ossida
producendo la reazione chemiluminescente. La concentrazione dell’ormone è
proporzionale alla quantità di luce emessa e misurata dal sistema ottico.
L’efficienza di un dosaggio ormonale viene usualmente valutata considerando
alcuni parametri.
La sensibilità funzionale del dosaggio viene definita come la concentrazione
minima misurabile di ormone considerando un CV (coefficiente di variazione) al
massimo pari al 20% della media di 10 dosaggi successivi.
La sensibilità analitica del dosaggio viene definita come la concentrazione
minima distinguibile dal livello 0 a + 2 DS (deviazione standard).
La precisione di un dosaggio indica la riproducibilità nel riscontro dei valori
di uno stesso campione ripetuto più volte (almeno 10) nello stesso dosaggio
(variazione intra-dosaggio) o in dosaggi diversi (variazione inter-dosaggio). La
precisione si esprime con il coefficiente di variazione (CV) che si calcola:
ES
CV (%) = ————— x 100
M
dove ES = errore standard, M = media.
Attualmente viene determinata secondo il protocollo EP5-T2 del National
Commitee for Clinical Laboratory Standards (NCCLS) (3).
La specificità del dosaggio è subordinata alla capacità dell’anticorpo di legarsi
ad una determinata molecola e non a molecole strutturalmente simili. Questo
elemento è particolarmente importante per il dosaggio degli steroidi a causa delle
scarse differenze della molecola dei diversi ormoni.
L’accuratezza misura la differenza tra la concentrazione della sostanza
rilevata dal dosaggio e quella realmente presente nel campione analizzato. Si può
valutare con la prova di recupero. Tale prova si esegue aggiungendo quantità
crescenti di standard al campione in esame in un range all’interno della curva
standard. I risultati vengono valutati mediante la retta di regressione lineare (y =
a + bx) fra i valori trovati e quelli attesi: il valore di b deve essere vicino ad 1 ed
il coefficiente di regressione (r) deve essere r e•0,98.
L’ormone follicolostimolante (FSH), è un ormone glicoproteico, di 30 kD e
concentrazione in carboidrati pari al 30 %; è idrosolubile e circola libero nel
torrente ematico. Le gonadotropine sono costituite da due subunità, ± e ². La
subunità ±, comune ad FSH, LH, ormone tireotropo (TSH) e gonadotropina
corionica (hCG), contiene due oligosaccaridi di tipo complesso legati ad un atomo
di azoto. La subunità ², al contrario, risulta differente nei diversi ormoni, ne
conferisce la specificità biologica ed immunologica sulla quale si basa il dosaggio
e presenta uno o due oligosaccaridi simili all’interno della molecola.
Nel maschio l’FSH interviene nella spermatogenesi e nelle cellule del Sertoli
induce la produzione di una proteina di legame per gli androgeni (ABP), necessaria
per veicolare il T all’interno della gonade, oltre all’inibina B (InhB).
10
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
CONSENSUS SUL SIGNIFICATO LABORATORISTICO
E CLINICO DEL DOSAGGIO DELL’FSH
Questa riflessione nasce dall’esigenza di dare un significato unitario al
dosaggio dell’FSH, che ancora oggi viene proposto con un range di normalità
molto ampio (<1-14 UI/L) e per poter verificare la possibilità di confrontare i
risultati ottenuti dai pazienti in laboratori diversi almeno sul territorio nazionale.
Lo studio, coordinato dal Prof. Carlo Foresta, è stato condotto per conto
della SIFR (Società Italiana di Fisiopatologia della Riproduzione) in
collaborazione con tutte le società scientifiche che studiano il settore endocrino
riproduttivo. Al Laboratorio di Endocrinologia del Dipartimento di Fisiopatologia
Medica dell’Università “La Sapienza” di Roma è stato assegnato il compito di
preparare e distribuire i campioni sui quali effettuare lo studio e procedere alla
raccolta dei risultati.
Al lavoro hanno partecipato sei tra le maggiori aziende che producono e/o
distribuiscono sistemi per il dosaggio dell’FSH:
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Abbott Diagnostics Division (Chemiluminescenza)
Adaltis Italia S.p.A. (Immunoradiometria)
DiaSorin S.p.A. (Immunoluminescenza)
Medical Systems S.p.A. (Chemiluminescenza)
Perkin Elmer (Fluoroimmunometria)
Roche Diagnostics GmbH (Elettrochemiluminescenza).
Ciascuna azienda ha individuato tra 1 e 4 centri di riferimento, per un totale
di 16 centri, che hanno dato la propria disponibilità a partecipare allo studio. I
centri vengono citati rispettando l’ordine delle metodiche utilizzate e fra parentesi
sono riportati i responsabile dei singoli laboratori.
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Laboratorio di Ormonologia – A.S.O. “Ordine Mauriziano”, Torino (Dott.
M. Migliardi)
Laboratorio di Analisi cliniche – Policlinico Universitario, Udine (Prof. F.
Gonano)
Laboratorio di Endocrinologia – Policlinico “Umberto I” – Università “La
Sapienza”, Roma (Prof. A. Radicioni)
S.C. Medicina Nucleare – Fondazione IRCCS Istituto Nazionale Tumori,
Milano (Dott. E. Seregni)
Laboratorio di Chimica clinica ed Ematologia – Ospedale “San Bortolo”,
Vicenza (Dott. G. Soffiati)
Laboratorio di analisi Chimico cliniche ed Ematologiche – Azienda
Ospedaliera, Verona (Dott. P. Rizzotti)
Centro Malattie endocrine e metaboliche – Ospedale “G. Fornaroli”, Magenta
(Dott. G. Vignati)
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
•
•
•
•
•
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•
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•
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Servizio Analisi Chimico cliniche – Policlinico S. Matteo, Pavia (Prof. R.
Moratti)
Laboratorio analisi – Facoltà di Medicina e Chirurgia – Università “Federico
II”, Napoli (Prof. V. Macchia)
Laboratorio Endocrinologia – Fondazione Ospedale Maggiore I.R.C.C.S.,
Milano (Prof. P. Beck-Peccoz)
Laboratorio di Chimica analitica – OIRM S. Anna, Torino (Dott. F. Altare)
Laboratorio di Radioimmunologia – Azienda Ospedaliera II Università,
Napoli (Prof. M. Cioffi)
Laboratorio di Biochimica – Fondazione I.R.C.C.S. Policlinico Mangiagalli
Regina Elena, Milano (Dott. E. Torresani)
Laboratorio Analisi Chimico cliniche e microbiologiche – Azienda
Ospedaliera San Paolo, Milano (Prof. G. Melzi D’Eril)
Laboratorio Analisi I – Policlinico “Gemelli”, Università Cattolica Sacro
Cuore, Roma (Prof.ssa C. Zuppi)
Servizio di Medicina di Laboratorio Ospedale-Università, Padova (Prof. M.
Plebani).
METODICHE UTILIZZATE PER LA DETERMINAZIONE DELL’FSH
Metodica in chemiluminescenza (ARCHITECT-Abbott Diagnostics Division)
Si basa su un dosaggio in due tempi che utilizza la tecnologia immunologica
chemiluminescente a cattura di microparticelle (CMIA). Nella prima fase vengono
dispensati il campione e le microparticelle paramagnetiche rivestite di anticorpi
anti-² FSH. L’FSH presente nel campione si lega alle microparticelle rivestite di
anticorpi specifici per l’ormone. Dopo il lavaggio, si aggiunge nella seconda fase
il coniugato di anticorpi anti-± FSH marcato con acridinio. Le soluzioni di preattivazione e di attivazione vengono quindi aggiunte alla miscela di reazione,
provocando la reazione chemiluminescente che viene misurata in unità di luce
relativa (RLU). La quantità di FSH presente nel campione risulta direttamente
proporzionale alle RLU misurate dal sistema ottico ARCHITECT i. La sensibilità
analitica del dosaggio è pari a 0,05 UI/L.
Metodica immunoradiometrica (IRMA ) (Adaltis Italia S.p.A.)
La metodica IRMA utilizza due anticorpi monoclonali ad alta affinità. Il
campione da testare, gli standard ed i controlli vengono fatti reagire con una
miscela di anticorpi monoclonali per l’FSH. Un anticorpo monoclonale marcato
con 125I si lega rapidamente in un unico sito della molecola di FSH. Un secondo
anticorpo monoclonale coniugato a fluorescina si lega in un sito discreto della
molecola di FSH formando una struttura a sandwich. Dopo un periodo di
incubazione di 15 minuti a 37° C o di un’ora a temperatura ambiente viene aggiunta
in eccesso l’antifluorescina accoppiata alla fase solida magnetica (MAIA). Questa
si lega rapidamente ed modo specifico al complesso dell’anticorpo monoclonale-
12
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
FSH e viene quindi lasciata sedimentare in un campo magnetico, eliminando la
necessità della centrifugazione. Il lavaggio permette di ridurre i legami non specifici
consentendo una maggiore precisione alle basse concentrazioni. La radioattività
del sandwich è direttamente proporzionale alla quantità di FSH presente nel
campione. La sensibilità analitica del dosaggio risulta pari a 0,25 UI/L.
Metodica in immunoluminescenza (LIAISON-DiaSorin S.p.A.)
Il dosaggio si basa sul principio dei test immunoluminescenti a due siti
(principio del sandwich). Per la sensibilizzazione della fase solida costituita da
particelle magnetiche e per il tracciante vengono utilizzati anticorpi monoclonali.
Dopo la prima incubazione ed il lavaggio conseguente, viene aggiunto al sistema
un secondo anticorpo coniugato con un derivato dell’isoluminolo e diretto verso
un secondo sito antigenico della molecola dell’FSH. I reagenti starter inducono
una reazione di chemiluminescenza, proporzionale alla quantità di coniugato
anticorpo-isoluminolo, che viene misurata mediante un fotomoltiplicatore in unità
relative di luce (RLU). Le RLU risultano direttamente proporzionali alla
concentrazione di FSH presente nel campione. La sensibilità analitica è pari a
0,25 UI/L.
Metodica in chemiluminescenza (IMMULITE 2000-Medical Systems S.p.A.)
È un dosaggio immunometrico in chemiluminescenza in fase solida a
doppio sito (principio del sandwich). Il test utilizza sferette con adesi anticorpi
monoclonali anti-FSH (anticorpi di cattura), ed un secondo anticorpo
monoclonale anti-FSH coniugato con fosfatasi alcalina (anticorpo di
rilevazione). Dopo una fase di incubazione e successivo lavaggio per eliminare
il legame aspecifico, viene dispensato il substrato (adamantil dioxetano fosfato).
La reazione enzima-substrato determina una chemiluminescenza direttamente
proporzionale alla concentrazione del campioni in esame. La sensibilità analitica
è pari a 0,1 UI/L.
Metodica fluoroimmunometrica (AutoDELFIA-PerkinElmer)
Si basa su un dosaggio fluoroimmunometrico su fase solida nel quale
due anticorpi monoclonali sono diretti verso due separati determinanti sulla
molecola di FSH. Gli standard, i controlli ed il campione da valutare vengono
lasciati ad incubare con anticorpi monoclinali, bloccati nei pozzetti di
micropiastre, rivolti verso un sito antigenico specifico della ²-subunità
dell’FSH (prima incubazione). Dopo lavaggio si aggiunge al sistema il secondo
anticorpo, marcato con europio e specifico per la ±–subunità dell’FSH
(seconda incubazione). L’aggiunta di una soluzione di amplificazione permette
di dissociare gli ioni di europio legati agli anticorpi e di formare dei composti
altamente fluorescenti. La fluorescenza misurata risulta direttamente
proporzionale alla concentrazione di FSH del campione. La sensibilità analitica
del metodo è pari a 0,05 UI/L.
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
13
Metodica in elettrochemiluminescenza (ELECSYS-Roche Diagnostics
GmbH)
La metodica si basa su un dosaggio immunologico in elettrochemiluminescenza
(ECLIA). La prima fase prevede una incubazione con il campione, un anticorpo
monoclonale anti-FSH biotinilato ed un secondo anticorpo monoclonale anti-FSH
marcato con un complesso di rutenio. Nella seconda fase, al complesso sandwich
vengono aggiunte microparticelle rivestite di streptavidina: il complesso si lega
alla fase solida mediante l’interazione biotina-streptavidina. La miscela di reazione
viene aspirata nella cella di misura dove le microparticelle vengono attratte
magneticamente alla superficie dell’elettrodo. Successivamente si eliminano le
sostanze non legate impiegando ProCell. Applicando una tensione all’elettrodo, si
induce l’emissione chemiluminescente che viene misurata mediante il
fotomoltiplicatore. Il limite di sensibilità analitica è pari a 0,10 UI/L.
DISEGNO DELLO STUDIO
Sono stati preparati cinque pools di siero a diversa concentrazione di FSH
(ambito compreso tra <1 e >20 UI/L). I sieri sono stati quindi suddivisi in 15
aliquote (1-5 repliche di ciascun pool) e congelati. I campioni sono stati distribuiti
sotto codice ai centri partecipanti. I responsabili dei laboratori sono stati
preventivamente informati che i 15 campioni pervenuti erano rappresentativi di
5 diversi livelli di concentrazione di FSH, ma i campioni uguali, casualmente
generati, non sono stati comunicati. I dosaggi sono stati eseguiti in duplicato.
Nella scheda di raccolta dei risultati sono stati previsti anche l’inserimento
del range di normalità per ogni singolo Centro, la metodica e la sensibilità del
dosaggio. Per completezza è stato richiesto ai partecipanti allo studio di dosare,
nei campioni distribuiti anche LH e T.
In considerazione degli obbiettivi di questo lavoro, i risultati sono stati
analizzati statisticamente criptando sia il Laboratorio che la metodica utilizzata.
La valutazione centralizzata dei risultati ha previsto il calcolo dei seguenti
parametri.
–
–
–
–
Media di consenso e distribuzione.
Medie, DS e CV% per ciascun campione e metodo.
Imprecisione dei metodi.
Classificazione dei risultati (basso, normale, elevato) e consistenza per
ciascun metodo (aberranti).
I risultati ottenuti sono rappresentati nelle tabelle seguenti e suddivisi in
base ai diversi campioni.
Per quanto concerne il campione 1 di bassa concentrazione, la valutazione
complessiva del consenso (media=0,70 UI/L; CV% = 15,00%) indica un discreto
livello di concordanza tra le diverse metodiche ed i diversi laboratori. È comunque
da sottolineare un CV% abbastanza elevato per la metodica C riscontrabile anche
14
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
nei dati parziali dei singoli Centri della stessa metodica. Nella valutazione della
distribuzione sono stati trovati 2/64 valori aberranti a livello di ±2DS. Inoltre,
considerando la classificazione dei dati in base al range adottato dai centri
partecipanti, 8/64 dosaggi, in due diversi laboratori con due diverse metodiche,
sono risultati discordanti ed appartenenti alla categoria dei normali.
Tabella 1. Valori riscontrati nelle 64 determinazioni nel campione 1.
Campione 1
N. Risultati
Media
DS
CV%
Aberranti
Consenso
Metodica A
Metodica B
Metodica C
Metodica D
Metodica E
Metodica F
64
12
16
12
8
12
4
0,7
0,68
0,78
0,65
0,68
0,66
0,83
0,11
0,07
0,05
0,16
0,10
0,04
0,08
15,00%
10,29%
6,32%
24,96%
14,30%
5,46%
10,18%
0
0
0
0
0
0
0
Per quanto concerne il campione 2, che è stato previsto in singola replica
(numero di determinazioni pari a 32) la valutazione complessiva del consenso
(media=2,19 UI/L; CV% = 11,37%) indica un buon livello di concordanza tra le
diverse metodiche ed i diversi laboratori. Nella valutazione della distribuzione
sono stati trovati 2/32 valori aberranti a livello di ±2DS ed 1/32 a livello di ±3DS.
Considerando la classificazione dei dati in base al range adottato dai centri
partecipanti, 4/32 dosaggi, in due diversi laboratori con due diverse metodiche,
sono risultati appartenere alla categoria dei valori bassi (patologici).
Tabella 2. Valori riscontrati nelle 32 determinazioni nel campione 2.
Campione 2
Consenso
Metodica A
Metodica B
Metodica C
Metodica D
Metodica E
Metodica F
N. Risultati
Media
DS
CV%
Aberranti
32
6
8
5
4
6
2
2,19
1,99
2,18
2,31
2,22
2,03
2,57
0,25
0,16
0,06
0,19
0,18
0,05
0,20
11,37%
8,00%
2,67%
8,32%
8,28%
2,51%
7,70%
1
0
0
1
0
0
0
Per quanto concerne il campione 3, che è stato previsto in 5 repliche la
valutazione complessiva del consenso (media=5,49 UI/L; CV% = 10,44%) indica
un buon livello di concordanza tra le diverse metodiche ed i diversi laboratori.
Nella valutazione della distribuzione sono stati trovati 8/160 valori aberranti a
livello di ±2DS. Trattandosi di valori intermedi la totalità delle determinazioni
risulta nel range adottato dai centri partecipanti.
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
15
Tabella 3. Valori riscontrati nelle 160 determinazioni nel campione 3.
Campione 3
Consenso
Metodica A
Metodica B
Metodica C
Metodica D
Metodica E
Metodica F
N. Risultati
Media
DS
CV%
Aberranti
160
30
40
30
20
30
10
5,49
5,03
5,47
5,99
5,96
4,96
6,12
0,57
0,39
0,17
0,51
0,58
0,14
0,43
10,44%
7,83%
3,13%
8,53%
9,80%
2,84%
7,09%
0
0
0
0
0
0
0
Per quanto concerne il campione 4, la valutazione complessiva del consenso
(media=9,20 UI/L; CV% = 10,56%) indica un buon livello di concordanza tra le
diverse metodiche ed i diversi laboratori. Nella valutazione della distribuzione
sono stati trovati 6/128 valori aberranti a livello di ±2DS. Considerando la
classificazione dei dati in base al range adottato dai centri partecipanti, 4/128
dosaggi, in due diversi laboratori con due diverse metodiche, sono risultati
appartenere alla categoria dei valori elevati (patologici).
Tabella 4. Valori riscontrati nelle 128 determinazioni nel campione 4.
Campione 4
Consenso
Metodica A
Metodica B
Metodica C
Metodica D
Metodica E
Metodica F
N. Risultati
Media
DS
CV%
Aberranti
128
24
32
24
16
24
8
9,2
8,24
9,17
10,22
10,1
8,29
10,05
0,97
0,69
0,25
0,70
0,69
0,22
0,54
10,56%
8,32%
2,70%
6,81%
6,79%
2,60%
5,38%
0
0
0
0
0
0
0
Per quanto concerne il campione 5, la valutazione complessiva del consenso
(media=22,06 UI/L; CV% = 10,93%) indica un buon livello di concordanza tra
le diverse metodiche ed i diversi laboratori. Nella valutazione della distribuzione
sono stati trovati 3/96 valori aberranti a livello di ±2DS. Considerando la
classificazione dei dati in base al range adottato dai centri partecipanti, tutte le
determinazioni sono risultate appartenere alla categoria dei valori alti
(patologici).
16
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Tabella 5. Valori riscontrati nelle 96 determinazioni nel campione 5.
Campione 5
Consenso
Metodica A
Metodica B
Metodica C
Metodica D
Metodica E
Metodica F
N. Risultati
Media
DS
CV%
Aberranti
96
18
24
18
12
18
6
22,06
19,34
22,06
23,63
25,57
20,21
24,12
2,41
1,74
0,69
1,44
1,53
0,54
1,56
10,93%
9,00%
3,14%
6,10%
5,98%
2,66%
6,45%
0
0
0
0
0
0
0
Di notevole importanza ci sembra il dato concernente il range di normalità
utilizzato dai diversi Laboratori partecipanti allo studio. Infatti, se consideriamo
la globalità dei Centri, il valore basso risulta variabile tra 0,6 e 3,0 UI/L, mentre
il valore alto tra 9,6 e 14,0 UI/L (Fig. 1). Ancora meno comprensibile appare al
variabilità, ugualmente molto elevata, considerando i Laboratori che utilizzano
la stessa metodica (metodica A, B, C). Minori o assenti differenze sono state
rilevate per le metodiche D ed E. Questa considerazione è ancora più rilevante se
consideriamo che la maggior parte dei valori discordanti sembrano determinati
proprio dal diverso ambito di normalità considerato.
16
A
15
B
C
D
E
F
14
13
12
11
10
9
8
7
6
5
4
3
2
1
0
Lab 3
Lab 7 Lab 16 Lab 5
Lab 8 Lab 10 Lab 12 Lab 2
Lab 6 Lab 15 Lab 4 Lab 11 Lab 1 Lab 13 Lab 14 Lab 9
Figura 1. Ambiti di normalità per ciascun centro di riferimento, raggruppati
tenendo conto delle differenti metodiche utilizzate per il dosaggio dell’FSH.
METODICHE PER IL DOSAGGIO DELL’FSH
17
In conclusione quindi, riteniamo che nel complesso le determinazioni
dell’FSH, ottenute in questo studio, dai Centri partecipanti con le differenti
metodiche, mostrano un buon consenso dei valori, riportando un basso numero
di risultati aberranti: valore atteso per distribuzione normale 99,7%, valore
osservato 99,8% (±3DS). Al contrario ciò che emerge è la necessità di un maggiore
consenso per quanto concerne il range di normalità adottato dai diversi Laboratori.
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RINGRAZIAMENTI
Si ringraziano le Dott.sse E. De Marco ed E. Cama per la partecipazione
all’organizzazione ed alla stesura del lavoro ed alla gestione dei rapporti con i
Centri partecipanti; le Sig.re A. Anzuini e C. Piccheri per i dosaggi di laboratorio
e la preparazione e stoccaggio dei pools ed il dott. C. Galli per il supporto nella
elaborazione statistica dei risultati.
Significato funzionale dei livelli plasmatici FSH:
la molecola ed il recettore
A. LANZONE, F. MINICI, F. ROMANI, R. APA
Cattedra di Fisiopatologia della Riproduzione, Università Cattolica del S. Cuore,
Roma
L’FSH è un ormone glicoproteico prodotto e secreto dall’ipofisi anteriore
che risulta coinvolto in numerose funzioni riproduttive incluso la crescita
follicolare e l’ovulazione. La sua struttura è caratterizzata da un eterodimero,
costituito da una subunità alfa (comune a tutta la famiglia degli ormoni
glicoproteici), legata da legame non covalente ad una subunità beta (ormonespecifica) ed è secreto in forme molecolari multiple che conferiscono all’ormone
differenti attività biologiche (1).
EFFETTI MOLECOLARI IN VITRO E IN VIVO
DEGLI ISO-ORMONI DELL’FSH
Le variazioni che la struttura glicoproteica dell’FSH subisce in conseguenza
di un differenziato processamento post-traslazionale, riguardano per lo più la
componente oligosaccaridica. Il residuo C-terminale della catena oligosaccaridica,
l’acido sialico, è determinante nella clearance metabolica della molecola dell’FSH
e pertanto ne determina la bioattività in vivo (2). Il contenuto in acido sialico
dell’FSH è stato anche correlato con l’attività in vitro dell’ormone, le forme
altamente sialilate, infatti, mostrano una attività biologica in vitro minore rispetto
alle forme a minor contenuto di acido sialico (3). Tale effetto sembrerebbe essere
dovuto ad una minore affinità dell’FSH ad alto contenuto di acido sialico per il
proprio recettore oppure, più nello specifico, ad una differente intrinseca capacità
delle diverse varianti dell’ormone di indurre una particolare conformazione
recettoriale, in grado di interagire in maniera diversa con i vari pathway di
traduzione del segnale intra-cellulare. A prescindere dal differente contenuto in
acido sialico, che rimane tuttavia il principale responsabile dell’eterogeneità
strutturale e funzionale dell’FSH, occorre considerare che il milieu endocrino
influenza sia la sintesi che il rilascio di FSH con differenti pattern di struttura
oligosaccaridica oltre ad andare ad influire anche sulla risposta biologica a livello
di vari targets cellulari (4). Sembrerebbe tuttavia che alcuni peculiari tipi di catene
oligo-saccaridiche dell’FSH presentino una maggiore o minore tendenza a legare
l’acido sialico, riconducendo poi alla più classica delle varianti le eventuali
differenze nella bio-attività della molecola. In questi casi, il contenuto di acido
sialico modula la permanenza in circolo di tali isoforme, contribuendo così
20
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
indirettamente alla bio-attività dell’ormone (5). Fanno parte di queste isoforme,
FSH a catena ologosaccaridica estremamente ramificata che risultano praticamente
assenti in menopausa, mentre costituiscono circa il 50% delle isoforme che si
riscontrano durante la fase follicolare precoce delle donne in età riproduttiva.
Proprio a causa di tale pattern di comparsa, tali isoforme sono ritenute fondamentali
negli stadi precoci dello sviluppo follicolare.
In un lavoro estremamente articolato Barrios-De –Tomasi e coll. hanno isolato
sette isoforme di FSH ottenute tramite focalizzazione cromatografia ad alta
risoluzione degli estratti glicoproteici dell’ipofisi anteriore e ne hanno testato
l’attività biologica in vitro (6). Da tali studi emerge che le glicoforme meno sialilate
inducono in cellule di granulosa di ratto un rilascio maggiore di cAMP, la
produzione estrogenica, l’attività del tPA nonché l’espressione del suo mRNA e
l’espressione dell’mRNA per l’aromatasi P450. Le forme più sialilate invece hanno
una maggiore tendenza a indurre l’espressione della subunità alfa dell’inhibina.
Nello stesso studio si ipotizza che la minor emivita delle isoforme di FSH meno
sialilate sia ben compensata dal fatto che a livello delle cellule target queste
presentino un effetto ugualmente efficace in acuto, in termini ad esempio di
induzione dell’attività e dell’espressione dell’mRNA per tPA. Sembrerebbe infine
che le forme meno acililate siano altrettanto, se non addirittura maggiormente,
efficaci nell’indurre proliferazione delle cellule di granulosa rispetto alla
controparte a maggior emivita. Tale effetto si estrinseca prevalentemente a livello
dei follicoli pre-antrali le cui cellule della granulosa sono più sensibili all’effetto
delle isoforme a breve emivita, indicando che fattori come affinità recettoriale,
capacità di attivare il proprio recettore e di innescare i secondi messaggeri
intracellulari, concorrano nel determinare l’effettiva bioattività delle diverse
isoforme in vivo. Di quanto poco si sappia circa i meccanismi di azione dell’FSH,
e pertanto delle sue isoforme, a livello molecolare è esplicitato più sotto, dove si
parla del recettore per tale glicoproteina. Tuttavia sembrerebbe che le diverse
isoforme, una volta legatesi al recettore, a prescindere da un diverso grado di
affinità con esso possano prediligere l’attivazione della proteina Gi piuttosto che
Gs (inibendo quindi anziché indurre determinati effetti) oppure che possa
innescarsi una sorta di cross-talk tra il loro recettore e altri sistemi recettoriali o
infine che possano attivare pathway di segnale alternativi e/o quantitativamente
differenti (7, 8).
I POLIMORFISMI DEL RECETTORE PER L’FSH: EFFETTI IN VITRO
E IMPLICAZIONI FUNZIONALI SULLA RISPOSTA OVARICA
Recentemente è stato valutato il coinvolgimento del recettore per l’FSH nella
risposta ovarica alla gonadotropina. Si tratta di un recettore trans-membrana
associato ad una proteina G. Presenta pertanto un dominio extracellulare (estremità
N-terminale che lega l’ormone), un dominio intracellulare (estremità C-terminale)
e una regione trans-membrana. Il gene di appartenenza si trova nel braccio corto
SIGNIFICATO FUNZIONALE DEI LIVELLI PLASMATICI FSH
21
del cromosoma 2 ed è costituito da 10 esoni e 9 introni. Il gene per l’FSH va
incontro a diverse varianti di splicing che possono pertanto dare origine a differenti
isoforme, alcune delle quali risulterebbero potenzialmente funzionali (9). È stato
ipotizzato che l’esistenza di queste isoforme possa modulare l’azione dell’FSH
agendo a livello dei processi di traduzione del segnale, interferendo con
l’espressione del recettore stesso e, quando esposte a livello della membrana
cellulare, addirittura competendo con la forma “corretta” del recettore per il legame
con l’ormone. Tuttavia occorre specificare che tali ipotesi sulle implicazioni
funzionali di forme recettoriali derivanti da splicing alternativo non sono ancora
state confermate da studi in vitro (10).
A focalizzare l’attenzione degli studiosi sono state inoltre le mutazioni (anche
solo di singoli nucleotidi) del gene per il recettore per l’FSH, nonché della regione
promoter ad esso associata, dal momento che sono state ipotizzate essere coinvolte
in molte condizioni ginecologiche, come POF, PCO e tumori a cellule della
granulosa (11). In realtà un effettivo legame diretto tra uno specifico polimorfismo
del recettore dell’FSH e condizioni cliniche specifiche sono ancora oggetto di
ricerca, ma a tutt’oggi non abbiamo moltissimi dati a favore di una diretta relazione
causa-effetto. Tra i polimorfismi più studiati dobbiamo citare le mutazioni
puntiformi a livello dell’esone 10. Tale esone codifica per l’estremità C-terminale
della porzione extracellulare e per l’intero dominio trans-membrana. Le due
mutazioni più comuni di questo esone sono situati una in posizione 307 (Ala al
posto di Thr) e una in posizione 680 (Asn al posto di Ser) (12). Questi polimorfismi
a seconda dell’associazione allelica generano tre varianti del recettore per l’FSH:
la variante Asn/Asn, la variante Asn/Ser e Ser/Ser. Almeno tre diversi studi
dimostrano una predominanza della variante Ser/Ser in donne infertili,
riscontrando, in tale popolazione, livelli basali di FSH in fase follicolare
significativamente più elevati, indicando una ridotta riserva ovarica. La presenza
della variante Ser/Ser si correla inoltre con una più alta dose di FSH esogeno da
utilizzare nella stimolazione ovarica per ottenere un adeguata risposta. Tale
riscontro indica che questa variante recettoriale sarebbe meno responsivo all’FSH,
e ciò attribuisce ai livelli aumentati di FSH un significato compensatorio,
necessario per permettere una adeguata crescita follicolare (13). Alla base della
alterata efficacia di questo recettore potrebbe trovarsi non solo una effettiva minor
affinità di legame per l’FSH, ma anche, forse, un diverso pattern di attivazione
intracellulare. In effetti l’esatta dinamica delle interazioni molecolari tra l’FSH e
il suo recettore non sono ancora del tutto chiarite. È ormai appurato che
l’attivazione del recettore ha come principale secondo messaggero l’cAMP,
sebbene possa avvalersi anche dell’attivazione del calcio intracellulare, del
pathway del mitogen-activated protein kinase (MAPK) e dell’inositol-trifosfato,
ma i meccanismi molecolari a valle sono ancora oggetto di studio (14). Fattori di
trascrizione nucleari come per esempio il liver receptor homolog-1 e lo
steroidogenic factor-1 potrebbero essere coinvolti nella produzione FSHdipendente di estrogeni e progesterone nelle cellule della granulosa.
22
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
La distribuzione dei polimorfismi del recettore per l’FSH è stata valutata
anche nella popolazione maschile infertile e di controllo, di cui sono stati presi in
considerazione, come parametri, il volume testicolare, i livelli sierici di FSH, le
concentrazioni di inibina B e di testosterone. Nessuno di questi parametri è risultato
essere influenzato dal pattern di espressione dei differenti polimorfismi del
recettore per l’FSH, indicando che nell’uomo, stando alle conoscenze attuali,
l’espressione di tali recettori polimorfici non presenta alcuna implicazione
funzionale (15). Di fatto al momento ciò che possiamo riscontrare è quantomeno
una peculiare distribuzione allelica di certi polimorfismi, con una specifica variante
allelica più espressa (A-Ala-Ser) e una meno espressa (G-Thr-Ser), in pazienti
con azospermia non-ostruttiva (16).
Le implicazioni cliniche che da tali dati si possono trarre sono estremamente
innovative, in particolare nell’ambito della procreazione medicalmente assistita.
Data la provata correlazione tra la quantità di FSH necessario per ottenere un
adeguata risposta follicolare, si potrebbe ipotizzare di sottoporre a screening le
pazienti da trattare, in maniera tale da prevedere specifici protocolli di stimolazione
(17). In altre parole sarebbe possibile pre-selezionare le pazienti da trattare con
dosi maggiori di FSH, con un metodo che,secondo alcuni autori, risulterebbe più
sensibile rispetto al dosaggio dell’FSH in fase follicolare precoce. Tramite
l’amplificazione in PCR del DNA estratto dai leucociti periferici, risulta infatti
relativamente semplice individuare polimorfismi di singoli nucleotidi e conferisce
al test la caratteristica di screening per quel tipo di popolazione. Strettamente
correlato a quanto detto, infine si può pensare anche alla possibilità di ridurre
l’incidenza e la severità delle sindromi da iperstimolazione ovarica in quelle
pazienti che, invece, risulterebbero negative allo screening (18).
Gli studi e gli approfondimenti che le future ricerche in campo genetico
potranno apportare circa i polimorfismi dell’FSH e del suo recettore potranno
ampliare il già affascinante panorama delle possibili implicazioni cliniche che
questi dati hanno nell’endocrinologia della riproduzione.
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Range di normalità dei livelli plasmatici di FSH
nell’uomo
C. KRAUSZ1, L. PETRONE1, A. TERRENI2, G. FORTI1
Dipartimento di Fisiopatologia Clinica, Unità di Andrologia, Azienda
Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze; 2 Laboratorio Generale D.A.I.
Diagnostica di Laboratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi, Firenze
1
I valori di riferimento degli ormoni sono tradizionalmente definiti sulla base
delle misurazioni ottenute nella popolazione generale sana. Tuttavia, nel caso
degli ormoni riproduttivi, la conoscenza dello stato di fertilità assieme ai parametri
seminali dovrebbe essere un prerequisito fondamentale per la corretta definizione
dei valori normali. Infatti, la fertilità di un soggetto maschio non è sinonimo di
normozoospermia, pertanto neanche il criterio di “fertilità nota” può essere
accettato senza la conoscenza dei parametri seminali. Nonostante questo ovvio
concetto, in letteratura esiste un solo lavoro dove il problema è stato affrontato
con il confronto dei livelli di FSH tra soggetti azoo/oligozoospermici idiopatici e
controlli fertili con concentrazione di spermatozoi superiore a 20 milioni di
spermatozoi/ml (Anderssen et al. 2004). Utilizzando quindi questo criterio, un
valore di FSH entro il range di riferimento dovrebbe dare delle indicazioni di una
normale spermatogenesi e di conseguenza di una normale funzione delle cellule
di Sertoli e delle cellule germinali. Infatti, esiste una correlazione negativa
statisticamente significativa tra FSH e numero di spermatozoi e volume testicolare.
Similarmente, una correlazione significativa positiva tra i valori di Inibina B
(principale ormone regolatore di FSH) e i suddetti parametri seminali/testicolari.
Anderssen et al. (2004) hanno tentato di individuare il miglior valore di cut
off (6,86 IU/L per l’FSH e 119pg/ml per l’Inibina B) per ottenere un’alta specificità
(95%) nel distinguere gli infertili dai fertili normospermici. Ma questi valori
conferiscono una sensibilità relativamente bassa tra il 53% e 57%, rispettivamente
per l’Inibina B e FSH che cosi va ad incidere sui valori predittivi positivi (VPP)
e negativi (VPN). L’efficienza per discriminare tra gli infertili con alterazione
della spermatogenesi e i fertili normospermici è identica per i due ormoni presi
singolarmente. Tuttavia, il calcolo del ratio InibinaB/FSH riesce a migliorare
ulteriormente sia i valori predittivi positivi che negativi, ma continuando a
mantenere dei valori predittivi positivi relativamente bassi (VPP=39%,
VPN=98%).
Nonostante il perfetto disegno dello studio che confronta soggetti con nota
fertilità e normozoospermia versus azoo/oligozoospermici, appare evidente che
una netta separazione tra i soggetti con e senza patologia testicolare sulla base
dei valori di FSH oppure del suo regolatore, Inibina B, non è possibile.
26
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Valori di FSH inferiori al cut off, possono essere associati anche a situazioni
testicolari patologiche come l’oligozoospermia o l’azoospermia sia di forma
ostruttiva che secretoria (Forti e Krausz, 1999). Mentre nell’azoospermia
ostruttiva, il testicolo per definizione è funzionalmente integro, tra le forme
secretorie si tratta perlopiù dei rari casi di azoospermia con normale FSH da
arresto della spermatogenesi. Infatti, un omogeneo arresto a livello spermatocitico
o spermatidico della spermatogenesi nei tubuli seminiferi è tipicamente associata
ad una normale produzione di inibina B e quindi di FSH (Foresta et al. 1995, Von
Eckardstein et al.1999)
L’overlap dei valori di FSH tra soggetti con normale o alterata spermatogenesi
ha portato alla conclusione che un valore di FSH entro i valori di riferimento non
è sufficiente per escludere una condizione patologica testicolare. Inoltre, date le
problematiche legate alla sensibilità di buona parte dei metodi disponibili per la
misurazione di questo ormone, valori normali/bassi potrebbero avere un overlap
con le forme centrali di ipogonadismo.
Pertanto, il significato diagnostico del valore normale del FSH è complesso
e richiede una serie di valutazioni aggiuntive cliniche e seminologiche per la
corretta interpretazione del valore ormonale.
FSH ED INVECCHIAMENTO
A parte il quesito diagnostico clinico sui valori di riferimento del FSH nel
contesto dell’infertilità maschile, è stato valutato il suo ruolo come marcatore del
processo di invecchiamento del epitelio germinale. Secondo lo studio Danese, i
valori di FSH ed Inibina B non variano significativamente tra i soggetti di età
compresa tra 20-45 anni. Dati sui soggetti sopra i 40 anni sono scarsi in letteratura
ed è proprio per questo che è nato lo studio EMAS (European Male Aging Study)
con lo scopo di individuare le modificazioni endocrine correlate con l’età nel
maschio e di capire quanto queste modificazioni (come il calo del testosterone,
per esempio) possano contribuire al decadimento di varie funzioni (cognitive,
fisiche etc…), tipiche dell’invecchiamento.
Lo studio EMAS ed i risultati riguardanti l’FSH
nella popolazione fiorentina
Lo studio EMAS è uno studio multinazionale prospettico longitudinale. La
I fase dello studio si è svolta nel periodo 2003-2005 e attualmente sono in parte
disponibili i risultati della fase trasversale. Nel periodo 2007-2009 si svolgerà la
II fase.
Sono stati arruolati 3369 soggetti maschi di età compresa tra 40-79 anni
reclutati in maniera random da 8 città europee [ Firenze (Italia), Manchester
(Inghilterra), Leuven (Belgio), Malmo (Svezia), Tartu (Estonia), Lodz (Polonia),
Szedged (Ungheria), Santiago de Compostela (Spagna)].
RANGE DI NORMALITÀ DEI LIVELLI PLASMATICI DI FSH NELL’UOMO
27
Ogni centro ha reclutato un numero target di 400 soggetti dalla popolazione
generale attraverso le liste dei medici curanti. A Firenze sono stati arruolati 433
soggetti (età media 60,13±10,9; rispettivamente per decade di età: 40-49 anni
100 soggetti; 50-59 anni 124 soggetti; 60-69 anni 105 soggetti, 70-79 anni 104
soggetti).
Tutti i soggetti si sono sottoposti ad un unico prelievo di sangue venoso
(prima delle 10.00) per il dosaggio dei seguenti ormoni: testosterone, estradiolo,
LH, FSH, SHBG (con metodo elettrochemiluminiscente, Modular E170); DHT
(metodo LISA, Alpha Diagnostic International, USA). Tutti gli ormoni sono stati
dosati in un unico laboratorio (Laboratorio Generale, Azienda OspedalieroUniversitaria Careggi, Firenze, Italia).
Da sottolineare che era stato fatto uno studio preliminare su 25 soggetti ai
quali veniva effettuato un doppio prelievo di sangue venoso a distanza di 30
minuti per i suddetti ormoni (prima delle 10.00); i valori non risultavano essere
statisticamente significativi. Il laboratorio e il metodo di dosaggio utilizzato era
lo stesso.
I dati sono stati espressi come media ± deviazione standard quando distribuiti
normalmente e come mediana [quartili] per i parametri non distribuiti
normalmente. Differenze fra più di due gruppi sono state valutate con il test
ANOVA o Kruskal-Wallis test, quando appropriato. Tutte le analisi statistiche
sono state condotte con SPSS per Windows 12.0.
I livelli di FSH correlavano in maniera statisticamente significativa con l’età
(r= 0.44, p<0001). I livelli di FSH per decade d’età mostravano i seguenti valori:
decade 40-49 FSH 4 [ 2.9- 5.6] mU/L; decade 50-59 anni 5.1 [4.1-8.3] mU/L;
decade 60-69 anni 7.0 [4.8-10.7] mU/L; decade 70-79 anni 8.1 [5.2-15.1] mU/L.
La differenza dei livelli di FSH era statisticamente significativa per tutte le decadi
rispetto alla prima decade (p<0.0001), tra la seconda e terza decade (p< 0.005) e
tra la seconda e quarta decade (p<0.0001); ai limiti della significatività la differenza
tra la terza e quarta decade (p= 0.57).
In conclusione, questo studio ha chiaramente dimostrato che il processo di
invecchiamento nel maschio è associato ad un progressivo incremento dei valori
di FSH, indicando una progressiva disfunzione dell’epitelio germinale. Rimane
da chiarire, se questo fenomeno è secondario al calo del Testosterone (altro ormone
principale della spermatogenesi) oppure se si tratta di una espressione di ridotta
funzionalità (invecchiamento) delle cellule di Sertoli.
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SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
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VALORE CLINICO DEI LIVELLI PLASMATICI DI FSH NELLA DONNA
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Valore clinico dei livelli plasmatici di FSH
nella donna
G.B. LA SALA, A. GALLINELLI
U.O. di Ostetricia e Ginecologia, Arcispedale S. Maria Nuova, Reggio Emilia
Uno dei principali problemi in ambito di fisiopatologia della funzione ovarica
rimane la ricerca di indicatori o markers che possano fornire preventivamente
una indicazione quanto più esauriente possibile sulla funzionalità della gonade
nei normali processi ovulatori e sulla “qualità” dei gameti implicati. In ambito di
procreazione medicalmente assistita (PMA) ciò si traduce nella ricerca di markers
in grado di fornire una indicazione preventiva sulla possibilità di successo
dell’induzione della crescita follicolare multipla (ICFM) e, più oltre, sulla qualità
dei gameti ottenibili e sulla loro potenzialità di fecondazione e di impianto.
Negli ultimi decenni, molteplici fattori sono stati presi in esame come possibili
markers della cosiddetta “riserva ovarica” di una specifica donna, cioè di quanto
le ovaie possano rispondere ad un trattamento con gonadotropine e di quanto ciò
possa influire sul tasso di fertilizzazioni possibili (1, 2).
Due sono le tecniche oggi più comunemente utilizzate a tal fine, cioè per
testare la potenziale responsività dell’ovaio in condizioni fisiologiche o pilotate:
i dosaggi basali di FSH ed E2 e il test al clomifene-citrato (3, 4); sebbene, recenti
meta-analisi in materia, tendano a confermarne l’utilità solo verso specifici target
di popolazione quali le donne iporesponsive su base spontanea o per età
biologicamente avanzata (5).
In ogni caso, anche se concentrazioni seriche basali di FSH e/o di E2 al terzo
giorno del ciclo sono universalmente associate ad una ridotta riserva ovarica e
alla prospettiva di una bassa resa in cicli di PMA, una notevole percentuale di
donne iporesponsive non viene identificata da questi semplici tests, rendendo
cruciale la ricerca di nuovi, più sensibili e specifici markers.
A tal proposito, l’ormone follicolo stimolante (FSH), nelle sue varianti, resta
il fattore più promettente.
L’FSH è un eterodimero composto da due subunità glicosilate: alpha e beta.
L’ormone esiste sotto forma di una popolazione eterogenea di isoforme di peso
molecolare, emivita e carica elettrica variabili. In particolare, l’oligosaccaride
terminale della molecola ha carica negativa e da origine a varie isoforme dissimili
per punti isoelettrici. Le isoforme acidiche sembrano essere caratterizzate da una
ridotta bioattività, come testimoniato dalla minore potenza di stimolazione nel
produrre adenosina ciclica 3’:5’ monofosto e da una emivita più lunga nel circolo
ematico rispetto alle isoforme più basiche (6, 7).
La distribuzione delle diverse isoforme dell’FSH in circolo varia sia in
rapporto alla differenti fasi del ciclo mestruale che in rapporto all’età della donna
30
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
e vi sono crescenti evidenze che il pattern di glicosilazione risenta direttamente
del controllo ormonale (8). Questo ha fatto ipotizzare diversi ruoli per le diverse
isoforme possibili o, almeno, che determinate isoforme possano avere più
specifiche funzioni di altre (9).
Concentrazioni plasmatiche relativamente minori di estradiolo sono state ad
esempio associate con più elevati tassi di forme acidiche di FSH durante il ciclo
mestruale, mentre le stesse isoforme acidiche paiono correlate all’ ipoestrogenismo
propria della menopausa (6-9). Dal momento che la crescita dei follicoli antrali
dipende totalmente dall’FSH, è stato ipotizzato che essa possa essere determinata
non solo dal quantitativo complessivo di FSH che agisce ma anche dalla tipologia
dello stesso, ovvero dalle sue isoforme, perlomeno in fase follicolare iniziale. Le
isoforme maggiormente acidiche appaiono infatti maggiormente secrete durante
il reclutamento follicolare mentre quelle più basiche compaiono dopo che il
follicolo dominante è stato selezionato.
Conseguentemente, è stato suggerito che anche la composizione farmacologia
delle differenti preparazioni di FSH in commercio potrebbe a sua volta influenzare
l’ICFM, in dipendenza da variabili concentrazioni di alcune isoforme piuttosto
che di altre in prodotti diversi o, addirittura, in lotti diversi del medesimo prodotto.
Letterie and Coll., hanno di recente proposto uno studio, a tal riguardo,
dosando le concentrazioni delle sole isoforme dell’FSH in terza giornata di un
ciclo mestruale spontaneo (10). Il primo gruppo di donne studiate consisteva in
pazienti iporesponsive già precedentemente sottoposte ad un ciclo FIVET con
trasferimento di 2 o 3 embrioni frammentati a 5-6 blastomeri (embrioni di non
buona qualità), senza acquisizione di gravidanza; il secondo gruppo consisteva
invece di donatrici che avevano procurato 2 embrioni a 8 cellule non frammentati
(embrioni di buna qualità) e 2 blastocisti, con ottenimento di 1 gravidanza clinica.
I gruppi di donne non differivano per altri sostanziali parametri. Le varie isoforme
sono state poi isolate ed identificate tramite cromatografia ad alta pressione e
misurate tramite dosaggi immunoradiometrici. In corso di PMA, il primo gruppo
di donne ha evidenziato concentrazioni di E2 massimali più basse, un minor numero
di ovociti recuperati ed un minor tasso di fecondazioni rispetto al secondo gruppo.
Nel primo gruppo di pazienti le concentrazioni di isoforme dell’FSH francamente
acidiche sono risultate significativamente minori che nel secondo nella fase del
reclutamento follicolare, mentre nessuna significativa differenza è stata evidenziata
per le forme più basiche. Gli Autori ipotizzano che tali diverse proporzioni di
isoforme potrebbero essere presenti ancor prima dell’iniziale aumento delle
concentrazioni seriche di FSH ed E2 e quindi risultare “permanenti” in talune
popolazioni di donne quali quelle con insufficienza ovarica precoce o quelle
fortemente iporesponsive. In altri termini, queste varianti potrebbero in primo
luogo essere di per sé una concausa di tali situazioni parafisiologiche e
rappresentare un valido marker per sondare preliminarmente le possibilità di
successo di cicli di PMA.
Un recente studio Olandese ha però smentito, per ora, quest’ultima ipotesi
(11). Smeenk and Coll. hanno confrontato 2 gruppi di 5 donne ognuno per: numero
VALORE CLINICO DEI LIVELLI PLASMATICI DI FSH NELLA DONNA
31
di follicoli antrali, concentrazioni seriche basali di FSH, ratio di isoforme dell’FSH
e concentrazioni seriche basali di inbina B. Il primo gruppo era rappresentato da
pazienti iporesponsive all’ICFM con solo FSH, il secondo era formato da donne
normoresponsive. Gli Autori hanno rilevato differenze statisticamente significative
solo per quanto riguardava il numero totale dei follicoli antrali ed i livelli di
inibina B a favore delle donne normoresponsive. Questa osservazione non pare
di per sé poter essere conclusiva perché lo studio citato ha visto coinvolte solo 10
pazienti nel complesso, tuttavia, diversi altri studi hanno nel tempo suggerito che
la rilevazione plasmatica delle isoforne dell’FSH sembra dare risultati contrastanti
o non univoci e che i risultati in vitro non confermano i supposti rapporti causaeffetto rilevati in vivo.
A quanto sopra esposto in tema di isoforme dell’FSH, si deve aggiunge un
ulteriore parametro a lungo sottovalutato, ovvero la logica possibilità che, alle
varianti della molecola dell’FSH in quanto tale, si aggiungano varianti del recettore
dell’FSH. Recentemente infatti, una variante polimorfica del recettore dell’FSH
è stata identificata e definita 680S. In questa variante, l’amino acido asparagina
(Asn), è rimpiazzato da una molecola di serina (Ser) in posizione 680 e ciò sembra
correlato con più elevati tassi di FSH serico durante tutta la fase follicolare nonché
con la necessità di una maggior quantità complessiva di FSH per ottenere una
corretta ICFM. Ciononostante, la variante recettoriale 680S, così come altre
varianti del recettore dell’FSH, non sembrano caratterizzate da bioattività
significativamente diverse da quella della molecola tradizionale (12-13) e non
sembrano direttamente implicate nella patogenesi dell’insufficienza ovarica (14).
Un recente studio di De Koning e Coll. ha cercato di confermare o meno se
la variante recettoriale 680S sia più frequentemente presente in donne subfertili
normomestruate con elevati livelli basali di FSH in fase follicolare (FSH > 10
IU/L) rispetto alla popolazione normale. I ricercatori hanno estratto ed analizzando
la sequenza specifica di DNA codificante per la 680S in una coorte di 38 donne
con le caratteristiche sopra descritte in comparazione ad un analogo gruppo con
regolari mestruazioni e normali livelli basali di FSH in fase proliferativi (15).
Tale studio ha evidenziato che il primo gruppo di pazienti analizzati presentava
prevalenza della variante 680S, in uno o in entrambi gli alleli del gene codificante
per il recettore dell’FSH, suggerendo che in queste persone la soglia di sensibilità
alla comune molecola dell’FSH sia meno elevata.
Queste ricerche ci confermano che lo studio dell’FSH ha oggi un interesse
maggiore di quanto mai sia stato in passato e che, forse, le nuove metodiche a
nostra disposizione potranno contribuire a chiarire molti degli aspetti oscuri nella
comprensione della follicologenesi e dell’ovogenesi, permettendoci al contempo
di fare un passo indietro e riconsiderare una fisiopatologia di eventi che da anni
siamo abituati a cercare di governare con la sola forza delle tecnologie
bioingegneristiche.
32
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
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CORRELAZIONE TRA FSH PLASMATICI, PARAMETRI SEMINALI
33
Correlazione tra FSH plasmatici, parametri
seminali e funzionalità tubulare
P. TURCHI
Servizio di Andrologia Azienda USL 4 di Prato, Prato, Italia
INTRODUZIONE
Il ruolo del Follicle Stimulating Hormone (FSH) nella funzione riproduttiva
maschile è ancora oggi un tema dibattuto, in particolare da quando studi effettuati
su topi ipogonadici (1) e su uomini con mutazioni del recettore per l’FSH (2)
hanno dimostrato che questo ormone non è un requisito assoluto per la fertilità
maschile. Questa nozione naturalmente deve essere ben definita, anche alla luce
di studi recenti che dimostrano come l’FSH sia essenziale perché la spermatogenesi
risulti quantitativamente normale. L’FSH regola infatti la funzione della cellula
di Sertoli e, tramite fattori di crescita prodotti da questa cellula, interviene anche
nella regolazione della funzione della cellula di Leydig (3) contribuendo pertanto,
direttamente e indirettamente, alla spermatogenesi. C’è una buona evidenza di
ruoli separati e sinergici per testosterone (T) e FSH per ottenere una spermatogenesi
quantitativamente normale. Se il T è un requisito assoluto, l’FSH ha comunque
un ruolo chiave nella progressione degli spermatogoni da tipo A a tipo B e agisce
sinergicamente con il T nell’ottenere vitalità delle cellule germinali. Il rilascio di
spermatidi allungati dai testicoli (spermiazione) è sotto il controllo sinergico di
FSH/T nel ratto ma anche nella scimmia. Queste osservazioni e le conoscenze
della fisiologia tubulare (4) fanno sì che l’FSH sia spesso utilizzato come terapia
farmacologica per il trattamento delle oligozoospermie, ma i risultati in letteratura
sono contraddittori in termini di miglioramenti seminali e gravidanze. L’utilità
del FSH in questo tipo di terapia rimane pertanto incerta e solo una migliore
comprensione della biologia cellulare sottostante la funzione testicolare e la
individuazione di specifiche oligozoospermie determinate da alterazioni tubulari
FSH-dipendenti sarnno in grado di determinare strategie più efficaci per curare
l’infertilità maschile.
SITI DI AZIONE DEL FSH NEI TESTICOLI
L’azione del FSH si esercita sulle cellule che esprimono il recettore per l‘FSH
(FSH-R). Nei testicoli il legame del FSH è limitato alle cellule di Sertoli (Sc) (5)
e il concetto che queste siano l’unico bersaglio dell’azione del FSH nel maschio
è oggi largamente accettato (6).
34
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
La proliferazione puberale delle Sc è la conseguenza del rialzo non solo del
FSH ma anche del LH, mediata dall’azione paracrina del T secreto dalle cellule
di Leydig durante l’evento puberale. Le Sc sono di importanza centrale nella
funzione spermatogenetica poiché mantengono la citoarchitettura dell’epitelio
germinale, forniscono substrati energetici alle cellule germinali, e rappresentano
l’unica componente cellulare nella barriera ematotesticolare. Le Sc possono
sostenere solo un limitato numero di cellule germinali cosicché il patrimonio in
Sc del testicolo adulto esprime e regola, almeno in parte, la fertilità dato che la
concentrazione spermatozoaria nell’eiaculato è un significativo parametro di
fertilità (7).
RUOLO DEL FSH NELLA SPERMATOGENESI
La spermatogenesi è un processo che comprende tre fasi: a) rinnovo delle
cellule germinali, meccanismo che garantisce la continua disponibilità di un
numero costante di cellule indifferenziate per i successivi steps della
spermatogenesi, b) proliferazione delle cellule germinali, c) spermiogenesi, che
è la parte finale della spermatogenesi e comprende i cambiamenti morfologici
che portano dallo spermatide allo spermatozoo maturo.
Questo processo, che porta dalla cellula progenitrice allo spermatozoo, è
indotto da uno stimolo ormonale che vede implicate diverse sostanze tra loro
interagenti, tra cui certamente l‘FSH, in un complesso meccanismo di regolazione
in parte non ancora chiarito. Possiamo distinguere il ruolo che l‘FSH svolge
nell’induzione, nel mantenimento o nel ripristino della spermatogenesi.
Induzione (inizio) della spermatogenesi
L’inizio della spermatogenesi avviene in epoca puberale e può essere definito
come il processo che conduce allo sviluppo della prima generazione di spermatozoi
testicolari. La spermatogenesi inizia quando la produzione di FSH e LH si eleva,
evento che segna l’inizio della pubertà. Il ruolo di queste due gonadotropine nel
processo spermatogenetico è noto da tempo, tanto che nell’ipogonadismo
ipogonadotropo la terapia farmacologica si basa sulla somministrazione di GnRH,
che agisce stimolando la produzione di LH e FSH, oppure direttamente sulla
somministrazione di hCG (ad azione LH simile) e FSH o hmg (ad azione LH e
FSH simile) (4,8). Il ruolo specifico dei due ormoni nel processo rimane in parte
ancora da chiarire. Studi effettuati su scimmie prepuberi hanno dimostrato come
il trattamento con il solo FSH non sia in grado di iniziare la spermatogenesi (9)
anche se protratto per due anni e anche se in combinazione con testosterone (T)
(10. Il solo T si è dimostrato in grado di indurre una precoce comparsa di
spermatociti primari in 3 mesi e di iniziare la spermatogenesi in 12 mesi in scimmie
prepuberi (11). Anche il trattamento con il solo hCG è in grado di iniziare la
spermatogenesi in uomini con ipogonadismo ipogonadotropo (12). L’FSH
CORRELAZIONE TRA FSH PLASMATICI, PARAMETRI SEMINALI
35
viceversa non sarebbe richiesto per l’inizio della spermatogenesi nei primati, come
dimostrato in uomini con mutazione genica per il recettore del FSH in cui sono
stati descritti spermatozoi nell’eiaculato (2). In realtà, per un inizio efficace della
spermatogenesi, verosimilmente, una interazione tra le due gonadotropine è
indispensabile visto che lo stimolo con il solo FSH o il solo LH di scimmie
prepuberi, non riesce a indurre una spermatogenesi completa oltre lo stadio di
spermatogoni B1 mentre i due ormoni combinati determinano una spermatogenesi
completa di tutte e quattro le generazioni di spermatogoni differenziati (13)
verosimilmente perché l’esposizione cronica del testicolo prepubere al solo T
può dare inizio alla spermatogenesi ma solo il sinergismo tra LH e FSH, determina
una spermatogenesi efficace (11). Probabilmente l’esposizione cronica del testicolo
prepubere al T inizia la spermatogenesi e la stimolazione combinata da parte
delle due gonadotropine minimizza il tempo richiesto per la maturazione delle
Sc. Si ipotizza che l’FSH faciliti la differenziazione LH-dipendente delle Sc
cosicché il tempo richiesto da questo tipo di cellula per acquisire il potenziale per
sostenere la spermatogenesi sarebbe ridotto sotto stimolo combinato. In sintesi
dunque l’evidenza dei dati mostra come l’FSH non sia indispensabile per l’inizio
della spermatogenesi ma la sua presenza sia richiesta perché questa sia efficace.
Mantenimento della spermatogenesi
È il processo che conduce alla produzione di spermatozoi dal testicolo adulto.
Il livello a cui la spermatogenesi è mantenuta non è costante ma è soggetto a
regolazioni fisiologiche. Ad esempio, nell’uomo ci sono fluttuazioni stagionali
con una diminuzione durante i mesi estivi (13). Come per l’induzione della
spermatogenesi, anche per il suo mantenimento l‘FSH agisce in sinergia con l’LH.
Numerosi studi dimostrano come la spermatogenesi sia ridotta ma mantenuta in
soggetti privati di FSH (14).
Ripristino della spermatogenesi
Nell’uomo la spermatogenesi è ripristinata dal FSH ma anche la sola
stimolazione con il LH può svolgere questa funzione. Diversi studi hanno, infatti,
dimostrato come in uomini in cui era stato prodotto un ipogonadotropinismo
mediante un effetto feedback negativo da somministrazione di T esogeno, sia
l’hCG che l’LH erano in grado di ripristinare la spermatogenesi benché la
produzione di spermatozoi rimanesse quantitativamente limitata (15).
Correlazione tra FSH plasmatico e parametri seminali
Una correlazione specifica tra livelli plasmatici di FSH e parametri seminali
è stata riscontrata in diversi studi (16-17) tanto che i livelli di FSH possono essere
considerati markers di spermatogenesi e di funzionalità delle Sc (18-21). Il potere
36
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
predittivo del dosaggio del FSH, se considerato in una popolazione di uomini
fertili e infertili è però basso (22). Una migliore comprensione della relazione tra
ormoni e qualitá seminale richiederá senz’altro ulteriori studi condotti su
popolazioni diverse.
a) regolazione del numero di spermatozoi
Benché la spermatogenesi possa essere mantenuta dal T intratesticolare, in
risposta allo stimolo delle cellule di Leydig da parte dell’LH, è noto come soltanto
la stimolazione combinata di FSH e LH sia in grado di determinare una produzione
di spermatozoi massimale (23). I livelli di FSH correlano negativamente con la
concentrazione spermatozoaria (16) ed è ipotizzato che livelli di FSH superiori a
10 IU/L, se associati a livelli di inibina B inferiori a 80 pg/mL, abbiano un valore
predittivo del 100% nel rilevare concentrazioni spermatozoaria al di sotto di 20
milion /ml (21). Il valore predittivo scende al 80.0% per la sola inibina e al 85.7%
per l‘FSH. Analogamente livelli più alti di inibina B e più bassi di FSH sono
rivelatori di una conta spermatica superiore a 20 million/ml, con buona capacitá
predittiva per gli stessi livelli di cutoff per l’inibina B (sensibilità = 0.42; valore
predittivo positivo = 100%) e per l’FSH (sensibilità = 0.74; valore predittivo
positivo = 96.3%) (17). Analoghi risultati sono stati ottenuti in uno studio
prospettico condotto su uomini fertili in cui una correlazione negativa significativa
era stata riscontrata tra FSH e concentrazione ma anche con la morfologia
spermatica (19).
Se una ridotta disponibilità di FSH porta a una riduzione della spermatogenesi,
aumentate concentrazioni di FSH possono amplificare il processo, come dimostrato
in scimmie normali trattate con dosei sovrafisiologiche di FSH e nel testicolo
controlaterale di uomini sottoposti ad emicastrazione. In queste situazioni
l’incremento della stimolazione con FSH esercita la sua funzione su strutture
testicolari normali. Nei soggetti oligozoospermici trattati con FSH non sempre si
determina però un aumento consistente della concentrazione di spermatozoi (2530). Come evidenziano numerosi lavori sperimentali condotti su primati superiori
e sull’uomo, la produzione di spermatozoi da parte del testicolo è regolata anche
dalla concentrazione di FSH plasmatico ma in condizioni di ridotta funzionalità
tubulare i livelli di questa possono essere insufficienti per determinare una
spermatogenesi massimale. Un’ipotesi alternativa per giustificare la mancata
risposta al trattamento con FSH potrebbe essere la presenza di un danno tubulare
FSH-indipendente.
b) Determinazione della qualità spermatozoaria
L’immunizzazione attiva di scimmie contro l’FSH determina un
peggioramento della motilità spermatozoaria e una diminuzione dell’attività
dell’acrosina con diminuita capacità fecondante (31). Nell’uomo, l’immunoneutralizzazione del FSH circolante è associato con una alterazione della integrità
della cromatina spermatica e una riduzione delle glicoproteine contenute
nell’acrosoma (32). Diversi studi evidenziano come i livelli di FSH correlino
CORRELAZIONE TRA FSH PLASMATICI, PARAMETRI SEMINALI
37
inversamente non solo con la concentrazione spermatica ma anche con la motilità
e con la morfologia (16-20,22). In particolare lo studio di Meeker suggerisce che
l‘FSH possa giocare un ruolo determinante nello sviluppo dello spermatozoo e,
quindi, nella sua morfologia, e un incremento dei valori di FSH e LH, con una
riduzione dell’inibina B, riduca la percentuale di spermatozoi normali..
In letteratura vengono riportati i risultati positivi, in termini di aumento della
concentrazione di spermatozoi con caratteristiche ultrastrutturali normali del
trattamento con FSH di uomini infertili, oligozoospermici e teratozoospermici, e
anche un aumento della capacità di fertilizzare in vitro (26,27,33,34). Manca
però, ad oggi, un modello sperimentale in cui un deficit assoluto e selettivo di
FSH possa essere di definitivo chiarimento del suo ruolo nel determinare la qualità
spermatica e modificazioni di particolari parametri dello spermiogramma, come
la motilità e la morfologia.
REGOLAZIONE DELLA SECREZIONE DI FSH
E RUOLO DELL’INIBINA B
Nell’uomo adulto FSH e LH vengono prodotti dall’ipofisi in seguito al rilascio
pulsatile di GnRH da parte dell’ipotalamo. La pulsatilità è indispensabile per una
regolare produzione gonadotropinica ma mentre la secrezione del LH è sensibile
alla frequenza e all’ampiezza delle pulse di GnRH, che in condizioni fisiologiche
sono determinate da un’azione di feedback negativo da parte del T testicolare, la
secrezione di FSH sembra esserne relativamente insensibile (35). D’altra parte
un effetto di feed-back negativo testicolare diretto sulla secrezione di FSH è
evidente, come dimostrato dalla risposta del FSH all’orchiectomia bilaterale in
un paradigma sperimentale conosciuto come blocco ipofisiotropico (36). In questo
modello l’orchiectomia determina una ipersecrezione di FSH selettiva e massiva
che non è prevenuta da un corretto ripristino di livelli di T né da una
immunoneutralizzazione contro l’estradiolo (E2) circolante in un modello di
blocco ipofisiotropico con testicolo intatto (37). Per questo motivo era stato
ipotizzato che il fattore testicolare inibitorio specifico per l‘FSH, detto inibina,
fosse non steroideo. Studi successivi hanno poi portato alla identificazione
dell’inibina B come sostanza specifica ad azione inibente la produzione di FSH e
del testicolo come sua sede di produzione (38). La secrezione del FSH nell’uomo
adulto è dunque regolata dall’azione di feedback negativo dell’inibina testicolare
e la possibilità di dosare l’inibina circolante, acquisizione relativamente recente,
può costituire un elemento ulteriore di comprensione del complesso meccanismo
di regolazione dell’attivitá tubulare. La presenza di questo circuito di feedback
FSH-inibina B nella regolazione della spermatogenesi è stata dimostrata nella
scimmia adulta, nella quale la rimozione di un testicolo determina un deficit di
inibina B rapido e permanente seguito da un incremento anch’esso stabile di
secrezione di FSH mentre le variazioni di LH e T sono modeste. L’ipersecrezione
38
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
di FSH è seguita da un’ipertrofia, vicariante, del testicolo superstite la cui
spermatogenesi è stimolata massimamente dall’incremento del FSH (39).
La stessa cosa accade nell’uomo come dimostra il fatto che un trattamento
cronico con FSH di un uomo con infertilità idiopatica determina un aumento di
volume del testicolo ma non sempre modifica i livelli di inibina B (40). Comunque
il rilascio di FSH è sensibile anche alla inibizione da parte del T. Infatti, livelli
sovrafisiologici di testosterone, ma anche di estradiolo, indotto da
somministrazione esogena, sopprime la secrezione di FSH in uomini sani, per
un’azione sia a livello ipofisario che ipotalamico. Il contributo di questi steroidi
nel sistema di feedback che regola la secrezione di FSH sembra però essere meno
importante rispetto a quello dell’inibina B.
CONCLUSIONI
FSH e T agiscono separatamente ma sinergicamente nel sostenere i vari stadi
della spermatogenesi, dalla divisione degli spermatogoni fino al rilascio dello
spermatozoo. L’azione del FSH può essere vista come un’amplificazione di un
livello basale di spermatogenesi indotta dal T intratesticolare. Una produzione
massimale di spermatozoi si ottiene solo con uno stimolo combinato di FSH e
LH (e quindi di T) che esercitano sinergicamente una azione sulla prima
generazione di spermatogoni differenziati per amplificare la popolazione di questo
tipo di cellule, che risulta così aumentato di numero e anche di qualità.
La comprensione dei meccanismi basilari di questi eventi ormone-dipendenti
potrà aiutarci a comprendere i meccanismi con cui si determina una infertilità
idiopatica. Tuttavia una migliore comprensione della fisiopatologia della
spermatogenesi fornirà preziosi spunti nel campo dell’infertilità da fallimento
della proliferazione delle stem cell o della maturazione delle cellule germinali e
faciliterà l’interpretazione delle correlazioni genitipo/fenotipo nell’infertilità
maschile e permetterà, infine, la definizione di nuove categorie diagnostiche e,
forse, di nuovi trattamenti.
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FSH E RISERVA OVARICA
41
Il dosaggio dell’FSH nella valutazione della riserva
ovarica
I. NOCI
Centro di Fisiopatologia della Riproduzione Umana, Università di Firenze
È ben noto come l’ovaio manifesti una lenta ma progressiva riduzione
numerica del proprio patrimonio follicolare, fino al suo esaurimento che coincide
con la menopausa della donna (1). Ma il trend di riduzione può variare da una
donna ad un’altra, secondo un comportamento ben rappresentato da una curva di
Gauss, per cui a parità di età della donna possiamo trovare tra l’ovaio di una
paziente e l’ovaio di un’altra differenze anche sostanziali nella quantità di follicoli
primordiali residui, che rappresentano la cosidetta riserva ovarica.
Il concetto di riserva ovarica è pertanto un concetto di quantità di patrimonio
follicolare residuo, e non di qualità ovocitaria che dipende invece direttamente
dall’età anagrafica della donna (2). Una errata sovrapposizione di questi due
differenti concetti, in realtà, si trova abbastanza spesso in una certa parte della
letteratura, anche recentissima, ed è il motivo per cui si continuano a pubblicare
lavori in cui quasi ci si meraviglia dei buoni risultati in termini di gravidanza
ottenibili da programmi FIVET quando la popolazione è costituita da donne
giovani ma con ridotta riserva ovarica (3, 4).
Così come la abbiamo delineata, la riserva ovarica ha poco a che vedere con
la fertilità naturale della donna (che è, al contrario, età-dipendente) (5) ma ha
molto più a che vedere con la quantità di risposta che noi possiamo ottenere da un
ovaio stimolandolo con anti-estrogeni o/e gonadotropine; per cui la valutazione
della riserva ovarica della donna deve essere proposta solo ad una coppia infertile
in cui gli accertamenti diagnostici abbiano evidenziato la necessità di indurre una
ovulazione multipla alla donna. Riserva ovarica, quindi, come strumento utile
per il clinico per il counselling (ad esempio, consigliare o no ad una coppia un
ciclo FIVET, integrando i due parametri età anagrafica / riserva ovarica e da ciò
estrapolando una più ‘personalizzata’ ipotesi prognostica in termini di ‘bambino
in braccio’) ed eventualmente per la impostazione di un programma terapeutico
(di fronte ad una paziente con bassa riserva ovarica, è indicata una dose iniziale
di gonadotropine più elevata di quanto suggerito dalla sola età).
E veniamo al punto debole del sistema, e cioè alla identificazione di un test
diagnostico specifico, accurato e sensibile per la determinazione della riserva
ovarica della paziente che abbiamo davanti in quel momento.
Diciamo subito che un tale tipo di test attualmente non esiste; semplicemente
perché – allo stato attuale delle conoscenze – dovrebbe consistere in una cosa che
non è possibile attuare: il prelievo delle ovaie della donna, il loro ‘passaggio’ al
patologo, che ci dovrebbe ‘contare’ i follicoli primordiali presenti nella corticale
42
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
di quelle due ovaie. Qualcuno ha proposto in passato una biopsia ovarica, ma
forse ignorando che la distribuzione dei primordiali nell’ovaio può variare, da
zona a zona, di oltre due fattori di grandezza, come hanno pubblicato Schmidt et
al (6). Questi ricercatori danesi, infatti, hanno eseguito uno studio anatomoistologico su tre intere ovaie asportate chirurgicamente, e hanno riportato che la
concentrazione di primordiali per mm3 di corteccia ovarica variava in un caso da
0.007 a 140, in un altro da 1.8 a 166 e nel terzo da 0.04 a 4.48.
E qui ci areneremmo, senza poter procedere di un passo, se non ci venisse
in aiuto al riguardo un postulato dovuto a un grande ricercatore della Medicina
della Riproduzione, Alain Gougeon. Gougeon, dopo tutti gli studi istologici e
funzionali compiuti in tanti anni sulla follicologenesi, sostiene che la quantità
di follicoli antrali selezionabili è correlata al pool di riserva dei follicoli
primordiali (7).
Eccoci allora a cercare marcatori dei follicoli antrali selezionabili, come
(indiretti) marcatori della riserva ovarica.
Il primo di questi, storicamente parlando, è rappresentato dalla misurazione
dell’ FSH in fase follicolare precoce del ciclo. Questo test è stato proposto dalla
scuola di Norfolk nel 1989, quando Scott et al pubblicarono uno studio
retrospettivo (oggi ben conosciamo il valore relativo che diamo a questo tipo di
studi), basato sull’intera casistica FIVET del loro gruppo, formata da 758 casi
(8). Il messaggio per i clinici fu chiaro e forte: più alto era il valore basale di FSH
della paziente , minore era la probabilità per lei di una gravidanza, e maggiore
invece quella di un aborto spontaneo. Questo si accompagnava ad una riduzione
del numero dei follicoli, degli ovociti prelevati e degli embrioni trasferiti, e perciò
apparentemente ad una problematica quantitativa di risposta ovarica; nonostante
che (oggi diremmo: a causa del fatto che) la dose di gonadotropine somministrate
fosse sovrapponibile ed omogenea. 758 casi complessivi non erano pochi, Norfolk
era allora Norfolk, e il mondo è andato dietro a questa idea, l’idea dell’FSH
‘day3’. Il razionale del valore clinico dell’FSH ‘day3’ è probabilmente il seguente:
più antrali selezionabili ci sono, più intenso è il segnale di tipo inibitorio
sull’ipofisi, per cui FSH alto = pochi antrali.
In quasi vent’anni , dell’FSH ‘day3’ si è detto di tutto, e il contrario di tutto.
Se facciamo una medline impostando come titolo di ricerca in Pub-Med ‘FSH
and ovarian reserve’ troviamo 213 pubblicazioni, al 16 gennaio 2007.
Ma seguendo fino in fondo l’ idea che l’FSH ‘day3’ sia un marcatore della
quantità di antrali selezionabili presenti in quel momento nell’ovaio della paziente,
si arriva ad una conclusione clinica di questo tipo: poiché in un determinato
momento, che corrisponde all’inizio del ciclo ovarico, possiamo trovare in mesi
diversi, diverse quantità di follicoli antrali selezionabili, allora, di fronte a una
paziente con FSH oscillante attorno a livelli medio-alti, potremmo andare a
‘cercare’ il mese ‘più adatto’ per stimolare la paziente, misurando ogni mese l’FSH
‘day3’. Il mese con FSH più basso, dovrebbe essere il mese con più antrali
selezionabili e quindi con maggiori probabilità di successo clinico in PMA. Tanti
di noi lo hanno fatto, o hanno pensato che sarebbe stata una buona idea farlo, fino
FSH E RISERVA OVARICA
43
a che, implacabile, è venuto lo studio prospettico di Abdalla e Thum (9) che ha
mostrato la infondatezza di questa procedura.
Ma perché?; evidentemente perché la valutazione ormonale, via FSH ‘day3’,
degli antrali selezionabili presenti in quel momento non correla in modo così
importante con il vero pool di primordiali. E quanto ‘vale clinicamente’, oggi, la
misurazione dell’FSH ‘day3’? A questo scopo ci viene in aiuto una recente metaanalisi pubblicata da Bancsi (10): l’FSH ‘day3’ non fornisce nessuna indicazione
sulla fertilità naturale della donna (lo sapevamo), ha un moderato potere predittivo
per la possibilità che si abbia una scarsa risposta ovarica alla stimolazione in un
ciclo IVF, e ha un basso potere predittivo per gravidanza si/gravidanza no in un
ciclo IVF.
Questa e successive pubblicazioni hanno confermato i seguenti concetti:
1. L’FSH ‘day3’, pur essendo semplice da eseguire, non è utile per segnalare
una riduzione della riserva ovarica se non ad alti livelli (>15 UI/L) e
possibilmente in associazione ad altri parametri di valutazione della riserva,
quali e soprattutto la conta dei follicoli antrali;
2. L’FSH ‘day3’ non è assolutamente predittivo della possibilità che si ottenga
una gravidanza in un programma di PMA, così che non deve servire per
escludere dal programma stesso delle pazienti, e soprattutto se giovani e
dotate di ritmo mestruale regolare;
3. L’FSH ‘day3’ ha una spiccata variabilità da un ciclo ad un altro, nella singola
donna; ed esiste una discreta variabilità inter-laboratorio, dovuta in parte ai
molteplici e differenti tipi di kit utilizzati dai vari laboratori.
Messa così la questione, cominciando a mancarci le certezze, cominciamo a
cercare altri parametri di definizione della riserva ovarica. Ma, certamente, non
possiamo non ricordare che l’FSH è prodotto dall’ipofisi in differenti isoforme
(11, 12), e che, forse alcune di esse potrebbero meglio marcare la riserva ovarica.
Di isoforme di FSH, e di polimorfismo del recettore per l’FSH è stato estesamente
parlato in altri capitoli di questa stessa Sessione, e non ne faremo pertanto accenno
qui. Indubbiamente, la identificazione delle isoforme di FSH che con più
penetranza ‘marcano funzionalmente’ il pool di follicoli antrali selezionabili, e la
messa in atto di metodiche specifiche di dosaggio di queste, potrebbe aprire nuovi,
insperati scenari; così come la identificazione di quei genotipi recettoriali FSH
che sono più sensibili allo stimolo FSH (13, 14).
Ma anche le ‘alternative’ all’FSH ‘day3’ hanno un destino abbastanza simile
a quello toccato in sorte all’ FSH ‘day3’, se, in un dibattito recentissimo su Human
Reproduction (15), si è sentito la necessità di dire, finalmente con forza, che fino
a che le informazioni di base e cliniche non siano più convincenti, sarebbe forse
più opportuno non misurarla più, questa riserva ovarica. Concetto provocatorio,
ma certamente non lontanissimo dal vero.
Venendo comunque alle ‘alternative’ all’FSH ‘day3’, il ruolo più convincente
spetta alla misurazione del follicoli antrali (antral follicle count, AFC) (16, 17).
Anche qui il back-ground è lo stesso, e cioè andare a quantizzare gli antrali
44
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
selezionabili presenti in fase follicolare precoce, questa volta andando proprio ad
evidenziarli mediante la ecografia transvaginale.
La determinazione dell’AFC ha certamente un ruolo clinico forte oggi, nella
Medicina della Riproduzione; ma anche questa, alla luce di quanto detto finora, è
in attesa di verifiche e di confronti.
Indubbiamente, la meta-analisi di Hendricks (18) ci dice che l’AFC ha un
potere predittivo per ‘poor response’ in un ciclo IVF superiore a quello dell’ FSH
‘day3’; ma ci dice anche che né l’una né l’altra determinazione dicono alcunchè
in quella, unica cosa che interessa sia a noi che alla coppia e cioè la gravidanza,
il ‘bambino in braccio’.
L’ormone anti-mulleriano (MIS). Certo, sulla carta il migliore, in quanto
espresso dai follicoli in crescita, da primario a pre-antrale (19): ma, anche in
questo caso, siamo a basarci sulla già ricordata asserzione di Gougeon che la
quantità di follicoli antrali selezionabili è correlata al pool di riserva dei follicoli
primordiali (7). Cosa che, molto probabilmente, non è del tutto vera. Sicuramente,
la misurazione del MIS è più agevole di altre, perché ad esempio può essere fatta
indipendentemente dalla fase del ciclo (20); ma non tutti i laboratori hanno ancora
in uso il dosaggio di questo ‘nuovo’ ormone. E comunque, i lavori clinicoprospettici pubblicati fino ad oggi ci dicono, tutti e in modo univoco, che la AFC
è più predittiva della quantità di risposta ovarica alla stimolazione di quanto non
lo sia una misurazione del MIS (21, 22).
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L’ipogonadismo ipogonadotropo funzionale
C. FORESTA1, A. FERLIN1, A. LENZI2
Cattedra di Patologia Clinica, Centro di Crioconservazione dei Gameti Maschili,
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università
di Padova; 2 Cattedra di Endocrinologia, Dipartimento di Fisiopatologia Medica,
Università di Roma “La Sapienza” - Roma
1
INTRODUZIONE
Nell’uomo entrambe le gonadotropine FSH e LH sono necessarie per dare
inizio e mantenere una spermatogenesi quantitativamente e qualitativamente
normale, anche se diversi aspetti non sono ancora stati chiariti, soprattutto per
quanto riguarda il ruolo relativo delle due gonadotropine e del testosterone
intratesticolare. I modelli animali in vivo suggeriscono che l’FSH sia
maggiormente richiesto per le prime fasi della spermatogenesi (maturazione
spermatogoniale, fasi meiotiche spermatocitarie) mentre l’LH e/o il testosterone
intratesticolare sembrerebbero influenzare soprattutto le fasi della successiva
spermiogenesi (Foresta et al., 1998; Matthiesson et al., 2006). Questi dati derivano
principalmente da studi su animali modificati geneticamente knockout per il gene
dell’FSH, dell’LH o dei loro recettori, o per il gene del recettore degli androgeni.
Studi su uomini con diverse forme di ipogonadismo ipogonadotropo o uomini
sottoposti a trattamenti ormonali a scopo contraccettivo o rari casi di soggetti con
mutazioni inattivanti dei geni per la subunità dell’LH o dell’FSH o dei loro recettori
hanno poi confermato questi dati. Da questi studi emerge un ruolo fondamentale
per la spermatogenesi svolto da entrambe le gonadotropine, con l’FSH che sembra
possedere un’importanza maggiore nell’uomo rispetto ai modelli murini. In questo
ambito bisogna sempre tenere in considerazione che alterazioni dell’asse
ipotalamo-ipofisi-testicoli si possono tradurre in segni e sintomi diversi a seconda
del grado di compromissione delle due funzioni fondamentali del testicolo, la
produzione di testosterone e la spermatogenesi. Per esempio, è comune pratica
clinica osservare come le forme conclamate di ipogonadismo primario si
manifestino con oligo-azoospermia e riduzione dei livelli circolanti di testosterone,
ma è possibile ipotizzare che le forme più lievi si manifestino solo con una
alterazione della spermatogenesi.
Un deficit di gonadotropine è un classico segno di ipogonadismo
ipogonadotropo (HH). L’HH congenito è una patologia ben codificata e la
caratterizzazione del fenotipo, della trasmissione genetica e delle basi molecolari
è ben definita. I pazienti affetti da HH, sia maschi che femmine, presentano bassi
livelli, o apparentemente normali livelli, di gonadotropine sia di base che dopo
stimolo con GnRH, basse concentrazioni plasmatiche di ormoni gonadici e
48
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
mancata comparsa della pubertà. Le cause dell’HH congenito sono spesso di
origine organica o genetica e coinvolgono diverse patologie ipotalamiche e
ipofisarie, isolate o associate a sindromi complesse. Spesso tuttavia non sono
identificabili cause note e si parla quindi di HH idiopatico (IHH). La prevalenza
dell’IHH nella popolazione generale è molto bassa e si ritiene che 1 maschio su
10.000 e una femmina su 50.000 possano sviluppare questa patologia. Un HH
può avere anche un esordio in età adulta ed in questi casi è ancora più spesso di
origine idiopatica, essendo le cause organiche più rare. L’IHH ad insorgenza in
età adulta si presenta con un diverso quadro fenotipico rappresentato da infertilità,
disfunzione erettile e/o calo della libido, ma con normale sviluppo puberale. In
questi casi il grado di oligozoospermia, di riduzione delle concentrazioni
plasmatiche di testosterone, inibina B, LH e FSH è variabile, anche se le
gonadotropine non hanno generalmente concentrazioni così basse come nell’HH
congenito. L’HH rappresenta un’entità clinica ben codificata sia dal punto di
visto diagnostico che terapeutico.
Esiste infine un’ampia popolazione di soggetti infertili che presenta livelli
plasmatici di ormoni gonadici e gonadotropine nella norma, pur in presenza di un
chiaro danno tubulare. Da un punto di vista concettuale queste situazioni cliniche
possono essere determinate da una ridotta influenza delle gonadotropine,
soprattutto dell’FSH, per una parziale riduzione della produzione di questo ormone
o per una ridotta attività funzionale dell’ormone o del suo recettore. In altri termini,
esiste la possibilità di una nuova entità clinica: l’ipogonadismo ipogonadotropo
funzionale, che apre nuove prospettive diagnostiche e terapeutiche del maschio
infertile.
Ipoteticamente le situazioni che possono alterare la secrezione delle
gonadotropine in modo da determinare un insufficiente stimolo della
spermatogenesi possono essere individuate nelle seguenti categorie:
1. Produzione di FSH deficitaria ma ancora nel range di normalità per
alterazioni funzionali ipotalamica-ipofisarie
2. Alterazioni genetiche del gene per la subunità beta dell’FSH
3. Produzione di isoforme di FSH a diversa attività
4. Polimorfismi del gene per il recettore dell’FSH
CORRELAZIONE FRA DOSAGGIO ORMONALE E GAMETOGENESI
L’esigenza di inquadrare questa nuova situazione clinica di
oligozoospermia associata ad ipogonadismo ipogonadotropo funzionale è
giustificata da corrispondenti quadri clinici ben codificati nelle donne. Infatti,
un’alterazione ipotalamico-ipofisaria di secrezione di gonadotropine è ritenuta
momento patogenetico della cosiddetta amenorrea ipotalamica, caratterizzata
da bassi o normali livelli di estrogeni con basse o normali concentrazioni di
gonadotropine. L’amenorrea ipotalamica è responsabile di circa il 30% dei
L’IPOGONADISMO IPOGONADOTROPO FUNZIONALE
49
casi di amenorrea in età riproduttiva e si associa spesso a situazioni che
provocano una disregolazione ipotalamico-ipofisaria, quali stress o perdite
di peso. Tuttavia molto spesso non sono evidenti chiare cause alla base delle
alterazioni funzionali di pulsatilità del GnRH e secrezione di gonadotropine
tipiche dell’amenorrea ipotalamica. Nell’uomo d’altra parte una situazione
clinica controparte dell’amenorrea ipotalamica, caratterizzata da normali o
lievemente ridotti livelli di testosterone con gonadotropine normali o solo
lievemente ridotte, non è invece ben codificata.
In questi casi il quadro ormonale dovrebbe essere caratterizzato da normali
livelli di gonadotropine, in particolare dell’FSH, con ormoni gonadici
(testosterone e inibina B) nella norma o ai limiti inferiori della norma. Dal
punto di vista seminale è presente oligozoospermia di diversi gradi e il volume
testicolare è generalmente ai limiti inferiori della norma o ipotrofico. Di regola
non sono identificabili chiare cause alla base di questa situazione. È l’equivalente
maschile dell’amenorrea ipotalamica idiopatica. Un recente studio danese
(Andersson et al., 2004) su un’ampia popolazione di soggetti fertili e infertili
idiopatici evidenzia che i livelli di FSH sono significativamente più elevati
negli infertili (mediana 3.05 IU/L vs 7.98 IU/L, P<0.001). Tuttavia, solo il 50.5%
dei soggetti infertili ha livelli di FSH superiori al 97.5 percentile dei soggetti
fertili e solo il 48.1% ha livelli di inibina B inferiori al 2.5 percentile dei soggetti
infertili. Pertanto emerge chiaramente che né i livelli di FSH né quelli di inibina
B siano discriminanti e predittivi di danno tubulare. Emerge altresì che i livelli
di riferimento considerati normali devono essere aggiustati. A tal fine gli Autori
hanno calcolato i livelli di cut-off di FSH che meglio discriminano i soggetti
fertili dagli infertili. Prendendo arbitrariamente un valore che dava il 95% di
specificità (rischio del 5% di avere un risultato falsamente positivo), il cut-off
per l’FSH è risultato 6.86 IU/L. Con tale valore però la sensibilità (probabilità
di avere risultati falsamente negativi) risulta del 57%. Un’analisi più attenta
dei dati dimostra come, nei soggetti infertili idiopatici, a normali livelli di FSH
si possano associare normali o bassi livelli di inibina B e come, d’altra parte, ad
elevati livelli di FSH si possano associare anche normali livelli di inibina B.
Pertanto, sebbene sia chiaro che i livelli di inibina B e FSH correlino con la
concentrazione spermatica, nessuno dei due, sopratutto l’inibina B, può essere
attualmente considerato marcatore sensibile e specifico di alterazione tubulare.
Questi parametri ovviamente vanno inseriti in una valutazione clinica globale
del soggetto infertile. Dal punto di vista del trattamento però il riscontro di
normali livelli di FSH in soggetti con oligozoospermia idiopatica può suggerire
un possibile approccio terapeutico con gonadotropine o FSH. Perciò una
migliore definizione diagnostica e prognostica di questo ampio gruppo di
soggetti infertili si rende necessaria e questo non può prescindere da una
definizione eziopatogenetica che attualmente sfugge.
50
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
ALTERAZIONI GENETICHE DEL GENE PER LA SUBUNITÀ
BETA DELL’FSH
Sono note diverse mutazioni che alterano le funzioni delle gonadotropine
e dei loro recettori e sono altresì stati prodotti diversi tipi di modelli animali
geneticamente modificati per le subunità beta delle gonadotropine e dei loro
recettori (review in Huhtaniemi, 2006). Questi studi hanno chiarito molti
aspetti circa il ruolo delle gonadotropine nello sviluppo sessuale e nella
spermatogenesi, ma anche evidenziato importanti differenze tra le specie. Per
quanto riguarda l’ipogonadismo ipogonadotropo funzionale dell’uomo le
mutazioni di interesse riguardano quelle inattivanti del gene della subunità
beta dell’FSH. Queste mutazioni sono tuttavia molto rare e fino ad ora sono
stati descritti in letteratura solamente tre uomini (Lindstedt et al., 1998; Phillip
et al., 1998; Layman et al, 2002). Due di loro presentano normale sviluppo
puberale (che è maggiormente sotto l’influenza degli aumentati livelli di
testosterone sotto lo stimolo dell’LH), mentre in tutti i casi è presente
azoospermia, in contrasto a quanto atteso sulla base del fenotipo dei cinque
soggetti con mutazioni inattivanti del gene per il recettore dell’FSH descritti
in letteratura, che presentano diversi gradi di oligozoospermia. In caso di
mutazioni inattivanti dell’FSHbeta i livelli plasmatici di FSH sono bassi,
mentre quelli di LH e testosterone sono nella norma.
PRODUZIONE DI ISOFORME DI FSH A DIVERSA ATTIVITÀ
L’FSH viene secreto in diverse forme molecolari la cui eterogeneità risiede
in differenze di composizione di carboidrati e oligosaccaridi. Le isoforme di
FSH possono essere distinte a seconda del loro punto isoelettrico e pH. L’acido
sialico terminale della catena di carboidrati determina la clearance metabolica
della molecola dell’FSH e pertanto la sua attività in vivo. Le molecole altamente
glicosilate con acido sialico sono metabolizzate più lentamente ma hanno meno
affinità per il recettore. In vitro è stato riportato che i follicoli rispondono meno,
in termini di velocità di crescita e produzione di estradiolo, alle forme di FSH
con più acido sialico (Ulloa-Aguirre et al., 2003). A parte questa diversa
glicosilazione, l’attività dell’FSH dipende anche dalla struttura interna della
catena dei carboidrati. Le diverse isoforme di FSH variano in condizioni
fisiologiche. Il contenuto di acido sialico sembra regolato dal GnRH e dagli
estrogeni. Infatti studi in vivo hanno dimostrato che il GnRH induce il rilascio
di isoforme di FSH con meno acido sialico e FSH meno glicosilato è prodotto
durante la fase peri-ovulatoria o durante terapia estrogenica sostitutiva in donne
in menopausa. Allo stesso modo, il milieu ormonale regola la struttura interna
della catena dei carboidrati, che, per esempio, è diversa nelle donne in menopausa
rispetto a quelle in fase follicolare. Un recente studio ha inoltre dimostrato
come l’assenza di ovulazione che si osserva nelle donne durante l’allattamento
L’IPOGONADISMO IPOGONADOTROPO FUNZIONALE
51
nonostante normali livelli di gonadotropine circolanti si associa alla produzione
di isoforme di FSH meno attive (più glicosilate e con catena di carboidrati
meno complessa) (Velasquez et al., 2006). Un altro studio ha evidenziato che
donne poor responders alla stimolazione ovarica durante IVF hanno una
concentrazione e distribuzione delle isoforme di FSH diverse rispetto alle donne
che rispondono adeguatamente. Pertanto, le eterogeneità delle isoforme di FSH
circolante potrebbe anche giustificare alcune forme di ipogonadismo
ipogonadotropo funzionale nell’uomo.
POLIMORFISMI DEL GENE PER IL RECETTORE DELL’FSH
L’interazione tra l’FSH ed il suo recettore (FSHR) è essenziale per una
corretta spermatogenesi. Mentre le mutazioni inattivanti del gene FSHR sono
rare e si associano ad elevati livelli circolanti di FSH, recentemente sono stati
riscontrati polimorfismi a singolo nucleotide (SNPs) che si associano a
concentrazioni normali di FSH. Questi polimorfismi causano diversi aplotipi
di FSHR, che sembrano modulare la risposta all’FSH. In particolare, nell’esone
10 sono stati trovati due SNPs in corrispondenza delle posizioni aminoacidiche
307 e 680 della proteina matura. Nella popolazione caucasica questi due
polimorfismi causano due importanti quanto comuni varianti alleliche: Thr307 –
Asn680 e Ala 307 – Ser680. Il polimorfismo del gene FSHR in posizione 680
influenza i livelli sierici di FSH nelle donne e la sensibilità dell’FSHR per l’FSH
in vivo. Infatti, è stato osservato che la sensibilità all’FSH durante il ciclo
mestruale e la variabile durata del ciclo dipendono dall’aplotipo del gene FSHR.
Inoltre, è stata osservata una diversa necessità di FSH nelle donne durante
l’iperstimolazione ovarica controllata durante fecondazione in vitro (Gromoll
et al., 2005). Un altro SNP è localizzato nel promotore del gene FSHR, in
posizione –29 (causa il cambio di una base G>A), ma il suo ruolo, da solo
oppure in combinazione con gli SNPs dell’esone 10, non è ben definito. Negli
uomini non è ancora ben chiaro il ruolo degli SNPs di FSHR. In particolare,
uno studio preliminare (Simoni et al., 1999) non ha evidenziato differenze nella
distribuzione dei polimorfismi di FSHR tra soggetti normali e soggetti infertili,
mentre uno studio più recente (Ahda et al., 2005) ha riscontrato una diversa
frequenza allelica tra soggetti azoospermici e soggetti normozoospermici.
Tuttavia, un nostro recente studio (Pengo et al., 2006) non ha mostrato differenze
nella distribuzione genotipica e aplotipica nei soggetti con diversi quadri di
oligozoospermia e rispetti ai soggetti fertili e normozoospermici. Questi dati
devono quindi essere ancora chiariti meglio, anche se è probabile che gli aplotipi
di FSHR rappresentino uno dei polimorfismi genici che, da solo o più
probabilmente in combinazione con altri geni, potrebbe essere coinvolto nella
spermatogenesi e nella patogenesi di un’ipogonadismo normogonadotropo.
52
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
CONCLUSIONI
L’ipogonadismo ipogonadotropo funzionale potrebbe rappresentare una
nuova entità clinica non ancora ben definita a verosimile patogenesi multifattoriale.
Da un punto di vista clinico dovrebbe essere caratterizzata da infertilità con
oligozoospermia e livelli di gonadotropine, testosterone e inibina B normali o ai
limiti inferiori della norma. Sono necessari studi sperimentali per documentare le
ipotesi patogenetiche che sono state proposte che, se confermate, aprirebbero
nuove possibilità diagnostiche e terapeutiche per il soggetto infertile.
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L’IPOGONADISMO IPOGONADOTROPO FUNZIONALE
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Significato clinico del dosaggio dell’FSH
in relazione ai parametri seminali
C. FORESTA1, R. SELICE1, M. MENEGAZZO1, A. BOTTACIN1,
A. GAROLLA1, M. PLEBANI2, A. FERLIN1
Cattedra di Patologia Clinica, Centro di Crioconservazione dei Gameti Maschili,
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università
di Padova; 2 Cattedra di Biochimica Clinica, Servizio di Medicina di Laboratorio,
Università di Padova
1
INTRODUZIONE
L’FSH è un ormone fondamentale per iniziare e mantenere una
spermatogenesi quantitativamente e qualitativamente normale. I livelli plasmatici
di FSH vengono considerati markers di spermatogenesi e di funzionalità delle
cellule del Sertoli (1-4) ed una correlazione tra livelli plasmatici di FSH e parametri
seminali è stata riscontrata in diversi studi (5, 6). Tuttavia il potere predittivo del
dosaggio dell’FSH non è adeguato. Per esempio, uno studio su 349 uomini danesi
infertili ha evidenziato una correlazione negativa con la concentrazione spermatica,
ma il valore predittivo di identificare una concentrazione spermatica <20 milioni/
ml nei soggetti con FSH >10 IU/L è 85.7% (5). Analogamente uno studio belga
su 47 soggetti infertili (6) ha evidenziato una sensibilità del 74% per valori di
FSH >10 IU/L (capacità di identificare soggetti con concentrazione spermatica
<20 milioni/ml). In uno studio americano su 145 soggetti fertili sono stati raggiunti
risultati simili (il 77% dei soggetti oligozoospermici presentava valori di FSH
>10 IU/L) (2). Un altro recente studio, utilizzando sempre un valore di 10 UI/L di
FSH come cut-off, ha mostrato valori di sensibilità ancora inferiori (55%)
nell’identificare i soggetti con concentrazione spermatica <20 milioni/ml (7).
Questi studi però sono limitati soprattutto dalla scelta del gruppo di controllo.
Infatti, il gruppo di controllo per i valori di riferimento degli ormoni riproduttivi
può essere teoricamente scelto tra una popolazione di soggetti fertili e/o una
popolazione di soggetti normozoospermici. È ben noto che la fertilità non è
sinonimo di normozoospermia, essendoci soggetti normozoospermici infertili e
soggetti fertili pur in presenza di alterazioni seminali. È altrettanto ovvio che
un’alterazione seminale, pur in presenza di un normale stato di fertilità, può
rappresentare una patologia testicolare o delle vie riproduttive. Pertanto, i valori
di riferimento per gli ormoni riproduttivi possono anche essere determinati su
popolazioni di soggetti normozoospermici e azoo-oligozoospermici a fertilità
ignota, se lo scopo è quello di identificare i range di normalità della “funzione
testicolare”. Il confronto invece di una popolazione fertile con una popolazione
infertile senza conoscenza della produzione spermatica darà informazioni sui livelli
56
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
di normalità solo per il parametro “fertilità”, ma questo, in analogia con quanto
avviene per la definizione dei livelli di riferimento di tutti gli ormoni, non è
concettualmente corretto. Al contrario, il confronto di una popolazione sana di
soggetti fertili e normozoospermici rispetto ad una popolazione di soggetti infertili
azoo-oligozoospermici darà informazioni sui livelli di normalità per i parametri
“fertilità” e “patologia del sistema riproduttivo”.
È stata pubblicato solamente uno studio dove il problema è stato affrontato
confrontando livelli di FSH dei soggetti azoo-oligozoospermici idiopatici con
controlli fertili con concentrazione di spermatozoi > 20 milioni /mL o controlli
sani della popolazione generale a concentrazione seminale e fertilità ignota (8).
In questo studio i livelli di FSH sono risultati significativamente più elevati negli
infertili (mediana 7.98 IU/L) rispetto ai soggetti fertili (mediana 3.05 IU/L) e ai
soggetti della popolazione generale (mediana 3.64 UI/L). Tuttavia, solo il 50.5%
dei soggetti infertili ha livelli di FSH superiori al 97.5 percentile dei soggetti
fertili. Pertanto, emerge chiaramente come i livelli di FSH non siano discriminanti
e predittivi di danno tubulare. Emerge altresì che i livelli di riferimento considerati
normali devono essere aggiustati. A tal fine gli Autori hanno calcolato i livelli di
cut-off di FSH che meglio discriminano i soggetti fertili dagli infertili. Prendendo
arbitrariamente un valore che dava il 95% di specificità per i soggetti fertili (rischio
del 5% di avere un risultato falsamente positivo), il cut-off per l’FSH è risultato
6.86 IU/L. Con tale valore però la sensibilità (probabilità di diagnosticare
correttamente come infertili i soggetti con FSH >6.86 UI/L) risulta del 57%.
Un’analisi più attenta dei dati dimostra come, nei soggetti infertili idiopatici, a
normali livelli di FSH si possano associare normali o bassi livelli di inibina B e
come, d’altra parte, ad elevati livelli di FSH si possano associare anche normali
livelli di inibina B. Pertanto, sebbene sia chiaro che i livelli di inibina B e FSH
correlino con la concentrazione spermatica, nessuno dei due, sopratutto l’inibina
B, può essere attualmente considerato marcatore sensibile e specifico di alterazione
tubulare. Questi parametri ovviamente vanno inseriti in una valutazione clinica
globale del soggetto infertile. Dal punto di vista del trattamento però il riscontro
di normali livelli di FSH in soggetti con oligozoospermia idiopatica può suggerire
un possibile approccio terapeutico con gonadotropine o FSH.
Da questi studi risulta evidente che un valore di FSH entro i valori di
riferimento non è sufficiente per escludere una patologia testicolare e che valori
di riferimento ben codificati non sono ancora ben definiti. Inoltre, date le
problematiche legate alla sensibilità di alcuni dei metodi disponibili per la
misurazione di questo ormone, valori normali/bassi potrebbero avere una
sovrapposizione con le forme centrali di ipogonadismo. Infatti il cut-off inferiore
di FSH in grado di discriminare i soggetti normali dai soggetti con ipogonadismo
ipogonadotropo non è ben stabilito. Una migliore definizione di precisi livelli di
cut-off, sia verso l’alto che il basso, è perciò necessaria e auspicabile su diverse
popolazioni.
SIGNIFICATO CLINICO DEL DOSAGGIO DELL’FSH
57
MATERIALI E METODI
Soggetti
Abbiamo valutato 379 consecutivi soggetti con azoospermia non ostruttiva
e oligozoospermia (concentrazione spermatica <20 milioni/mL) che si sono
presentati al nostro centro negli ultimi 3 anni. L’unico criterio di esclusione era
rappresentato dalla azoospermia ostruttiva, valutata mediante citologia testicolare
per agoaspirazione. I soggetti inclusi sono stati valutati con almeno due esami
standard del liquido seminale secondo i criteri WHO (9) condotti a tre mesi di
distanza. Come popolazione di controllo abbiamo considerato 271 soggetti
volontari tra i donatori di sangue del centro trasfusionale che presentavano una
concentrazione di spermatozoi >20 milioni/mL. L’analisi è stata quindi eseguita
su un totale di 650 soggetti il cui stato di fertilità non era noto. In base alle
caratteristiche seminali sono state individuate le seguenti categorie: 1. soggetti di
controlli con concentrazione spermatica >20 milioni/mL (n: 271); 2. soggetti con
concentrazione spermatica >5<20 milioni/mL (oligozoospermia moderata, n: 96);
3. soggetti con concentrazione spermatica >1<5 milioni/mL (oligozoospermia
grave, n: 99); 4. soggetti con concentrazione spermatica <1 milioni/mL
(criptozoospermia, n: 59); 5. soggetti con azoospermia non ostruttiva (n: 125).
L’età media dei soggetti con azoo-oligozoospermia era 30.5+4.3, quella dei
controlli 30.7+5.1.
Dosaggio dell’FSH
In tutti i soggetti è stata misurata la concentrazione plasmatica di FSH
mediante un prelievo eseguito tra le 8 e le 10 ed utilizzando una metodica
elettrochemoilluminiscente (Elecsys FSH immunoassay, Roche Diagnostics,
Mannheim, Germany) il cui range di normalità è riportato 1-14 UI/L. Il coefficiente
di variazione interassay è < 6% e quello intra-assay è < 3%. Il limite di rilevamento
è 0.2U/L.
Analisi statistica
I livelli di FSH nei diversi gruppi di soggetti sono riportati come media+DS
della media. Il test t-di Student per dati non appaiati è stato utilizzato per verificare
le differenze nei livelli di FSH tra i gruppi. La correlazione tra i livelli di FSH e
concentrazione spermatica è stata effettuata mediante il coefficiente di correlazione
di Spearman. L’analisi receiving operating characteristic (ROC) è stata eseguita
per valutare la sensibilità e specificità dei valori di FSH nel discriminare i soggetti
azoo-oligozoospermici dai soggetti normozoospermici. La sensibilità è definita
come la percentuale di soggetti azoo-oligozoospermici con valori di FSH superiori
al valore di cut-off, mentre la specificità è definita come la percentuale di soggetti
normozoospermici con valori di FSH inferiori al valore di cut-off. Sono stati
58
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
infine calcolati il valore predittivo positivo (percentuale di uomini in una
popolazione con FSH superiore al cut-off che viene correttamente diagnosticato
come azoo-oligozoospermico) ed il valore predittivo negativo (percentuale di
uomini in una popolazione con FSH inferiore al cut-off che viene correttamente
diagnosticato come normozoospermico), che sono in funzione della prevalenza
delle alterazioni seminali nella popolazione. A questo scopo i valori predittivi
sono stati calcolati per prevalenze di 0.05, 0.1 e 0.5.
RISULTATI E DISCUSSIONE
La concentrazione spermatica ed i livelli di FSH nei 650 soggetti analizzati
correlano in modo inverso in modo significativo (Figura 1, P<0.001).
80
y= -0.07x + 11.41
70
R= -0.35 (95% CI: -0.29-0.42); p<0.001
60
FSH (UI/L)
50
40
30
20
10
0
0
50
100
150
200
250
300
350
Spermatozoi (mil/mL)
Figura 1. Correlazione tra concentrazione di FSH plasmatico e concentrazione
di spermatozoi nei 650 soggetti studiati.
I livelli plasmatici di FSH riscontrati nei diversi gruppi di soggetti sono
riportati in tabella 1. I soggetti con concentrazione spermatica >20 milioni/mL
hanno valori di FSH di 4.0+2.0 UI/L, con un range 0.5-14.0 UI/L. I livelli
plasmatici di FSH nei soggetti con azoo-oligozoospermia sono significativamente
più elevati (12.9+11.4 UI/L, P<0.0001). Tutte le categorie di soggetti con azoooligozoospermia hanno livelli plasmatici di FSH significativamente più elevati
SIGNIFICATO CLINICO DEL DOSAGGIO DELL’FSH
59
rispetto al gruppo di controllo normozoospermico (P<0.0001). Le concentrazioni
di FSH nelle diverse categorie di soggetti oligozoospermici sono
significativamente diverse tra di loro. Si nota tuttavia come i range di FSH siano
altamente sovrapponibili tra le diverse categorie di soggetti con azoooligozoospermia e rispetto ai soggetti normozoospermici, così come evidente
anche dalla figura 2.
Tabella 1. Risultati dell’analisi di 271 soggetti normozoospermici della
popolazione generale e 379 soggetti con diversi gradi di alterazione seminale.
Categoria
>20 mil/mL
>5<20 mil/mL
>1<5 mil/mL
<1 mil/mL
Azoo non ostruttivi
Tot. azoo-oligo
n
271
96
99
59
125
379
Concentrazione
spermatozoi (mil/mL)
73.8+52.1
9.5+4.1
2.8+1.2
0.4+0.2
0
3.4+4.5
FSH (UI/L)
*
4.0+2.0
6.6+3.9#
7.7+5.1§
13.5+9.6^
21.8+13.7°
12.9+11.4
FSH Range (UI/L)
0.5-14.0
0.7-17.1
0.9-26.8
1.3-50.0
4.9-71.0
0.7-71.0
*
P<0.0001 vs tutte le categorie di azoo-oligozoospermici
P<0.05 vs infertili >1<5 mil/mL e P<0.0001 vs le altre categorie di azoo-oligozoospermici
P<0.05 vs infertili >5<20 mil/mL e P<0.0001 vs le altre categorie di azoo-oligozoospermici
^
P<0.0001 vs tutte le categorie di azoo-oligozoospermici
°
P<0.0001 vs tutte le categorie di azoo-oligozoospermici
#
§
Il valori mediano di FSH nei soggetti normozoospermici è 3.6 UI/L, il 5
percentile è 1.5 e il 95 percentile 7.7 (Figura 2). Solo lo 0.7% dei soggetti
normozoospermici ha livelli di FSH <1.0 UI/L. Solo lo 0.5% dei soggetti azoooligozoospermici ha valori di FSH <1.0 UI/L, e solo il 2.1% ha livelli di FSH
<1.5 UI/L. In particolare solo 1 soggetto con criptozoospermia e nessuno dei
soggetti con azoospermia non ostruttiva ha FSH <1.5 UI/L e solo 7/195 (3.6%)
soggetti con concentrazione spermatica 1-20 milioni/mL ha FSH <1.5UI/L. Il
59.2% dei soggetti azoo-oligozoospermici ha valori di FSH oltre il 95 percentile
dei soggetti normozoospermici. Ciò significa che il 40.8% dei soggetti azoooligozoospermici ha valori di FSH compresi nel 5-95 percentile dei soggetti
normozoospermici. Il 91% dei soggetti con azoospermia non ostruttiva, il 70%
dei soggetti con concentrazione spermatica >5<20 milioni/mL, il 43% dei soggetti
con concentrazione spermatica >1<5 milioni/mL e il 30% dei soggetti con
concentrazione spermatica <1 milioni/mL ha livelli di FSH >95 percentile dei
soggetti normali (7.7 UI/L).
60
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
50
FSH (UI/L)
40
30
20
10
0
a
>20
mil/mL
(n:271)
b
>5<20
mil/mL
(n:96)
c
>1<5
mil/mL
(n:99)
d
<1
mil/mL
(n:59)
e
Azoo
(n:125)
Figura 2. Concentrazioni di FSH plasmatico nei 271 soggetti normozoospermici
della popolazione generale e 379 soggetti con diversi gradi di alterazione seminale.
Il grafico rappresenta la mediana e il 5-95 percentile.
L’efficacia della misurazione delle concentrazioni di FSH nel discriminare
tra soggetti normozoospermici e azoo-oligozoospermici è stata valutata mediante
analisi della curva ROC nei soggetti normozoospermici, che valuta la percentuale
di veri positivi e falsi positivi (Figura 3).
100
Sensibilità
80
60
40
20
0
0
Figura 3. Curva ROC.
20
40
60
100-Specificità
80
100
SIGNIFICATO CLINICO DEL DOSAGGIO DELL’FSH
61
L’area sotto la curva (AUC) ROC è una misura dell’efficienza di un marcatore
di classificare correttamente i campioni del gruppo dei soggetti azoooligozoospermici e normozoospermici: più alta è l’area, migliore è l’efficienza.
In questo caso l’AUC è 0.83, che significa che l’FSH è un discreto marcatore.
L’analisi ROC aiuta anche a definire i livelli di cut-off, che spesso sono un
compromesso tra alta sensibilità e alta specificità. L’analisi dei soggetti
normozoospermici ha permesso di identificare un valore di FSH di 7.6 UI/L come
quel valore che corrisponde ad una specificità del 95%. Ciò significa che il 95%
dei soggetti normozoospermici ha valori di FSH <7.6 UI/L e viene correttamente
classificato come normozoospermico, mentre il 5% dei soggetti normozoospermici
ha valori di FSH >7.6 UI/L e viene quindi erroneamente classificato come azoooligozoospermico (falsi positivi) (tabella 2). A questo livello di cut-off corrisponde
una sensibilità del 60%: ciò significa che il 60% dei soggetti azoo-oligozoospermici
ha livelli di FSH >7.6 UI/L e viene correttamente classificato nel gruppo dei
soggetti azoo-oligozoospermici, mentre il 40% ha valori di FSH <7.6 UI/L e
viene erroneamente classificato come normozoospermico (falsi negativi). I
corrispondenti valori di sensibilità per le diverse categorie di soggetti con azoooligozoospermia sono presentati in tabella 2. Da questa analisi si nota come la
sensibilità sia molto diversa nei diversi gruppi, essendo ottima (91%) nei soggetti
con azoospermia non ostruttiva, buona (68%) nei soggetti con criptozoospermia,
ma solo discreta nei soggetti con oligozoospermia grave o moderata (44% e 29%
rispettivamente).
Tabella 2. Sensibilità dell’FSH corrispondente ad una specificità del 95%.
>20 mil/mL
>5<20 mil/mL
>1<5 mil/mL
<1 mil/mL
Azoo non ostruttivi
Tot. azoo-oligo
FSH <7.6 UI/L
95% (specificità)
71% (falsi negativi)
56% (falsi negativi)
32% (falsi negativi)
8% (falsi negativi)
40% (falsi negativi)
FSH >7.6 UI/L
5% (falsi positivi)
29% (sensibilità)
44% (sensibilità)
68% (sensibilità)
91% (sensibilità)
60% (sensibilità)
Al cut-off di FSH di 7.6 UI/L corrisponde un valore predittivo positivo
(percentuale di uomini in una popolazione con FSH >7.6 UI/L che viene
correttamente diagnosticato come azoo-oligozoospermico) ed un valore predittivo
negativo (percentuale di uomini in una popolazione con FSH <7.6 UI/L che viene
correttamente diagnosticato come normozoospermico), che sono in funzione della
prevalenza delle alterazioni seminali nella popolazione. La tabella 3 mostra il
valore predittivo positivo e negativo calcolato per prevalenze di 0.05, 0.1 e 0.5.
Come si può notare il valore predittivo negativo è maggiore di quello positivo, a
conferma che un valore normale di FSH (<7.6 UI/L) indica con buona probabilità
una situazione di normozoospermia, mentre un valore patologico di FSH (>7.6
UI/L) non discrimina in modo adeguato tra la normozoospermia e la azoooligozoospermia.
62
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Tabella 3. Valore predittivo positivo e negativo di concentrazioni di FSH oltre il
cut-off di 7.6 UI/L come marker di azoo-oligozoospermia a seconda della
prevalenza delle alterazioni seminali in diverse popolazioni.
FSH >7.6 UI/L
Valore predittivo positivo (%)
Prev. 0.05
Prev. 0.1
Prev. 0.5
38.0
56.4
92.1
Valore predittivo negativo (%)
Prev. 0.05 Prev. 0.1
Prev. 0.5
97.8
95.5
70.4
Da questi dati emergono diverse considerazioni tecniche e cliniche. I risultati
ottenuti dal nostro studio sono molto simili in termini di sensibilità, specificità e
valori predittivi al lavoro di Andersson et al. (8) eseguito su soggetti fertili e
infertili idiopatici. Nel nostro caso, valutando la concentrazione spermatica come
variabile abbiamo ottenuto un valore di cut-off di FSH di 7.6 UI/L, nel lavoro
delle Andersson tale cut-off è 6.86 UI/L. Questa differenza può essere dovuta a
due fattori principali: la diversa metodica utilizzata (elettrochemoilluminescenza
nel nostro studio, immunofluorimetrico nello studio di Andersson) o i diversi
gruppi di soggetti in esame (infertili idiopatici azoo-oligozoospermici vs fertili
normozoospermici nello studio di Andersson, normozoospermici a fertilità ignota
vs azoo-oligozoospermici a fertilità ignota nel nostro studio). La problematica
delle diverse tecniche di dosaggio dell’FSH è un argomento estremamente
importante che non è stato ancora chiarito completamente. È auspicabile comunque
che i diversi laboratori utilizzino tecniche similari e con medesima sensibilità.
Ciò soprattutto in relazione alla definizione dei cut-off di normalità. Sia il 6.86
UI/L della Andersson che il 7.6 UI/L del nostro studio sono proprio nella fascia
di valori in cui i diversi sistemi di dosaggio riscontrano i maggiori problemi e in
cui i dati sono più variabili a seconda della metodica utilizzata. È comunque
evidente che i range di normalità attualmente riportati dai vari laboratori devono
essere riconsiderati. Dai nostri dati e con questa metodica di dosaggio un range
1.5-7.6 UI/L potrebbe essere adeguato. Il cut-off di 7.6 UI/L permette di identificare
molto bene i soggetti normozoospermici e quelli con criptozoospermia o
azoospermia non ostruttiva, mentre ha una sensibilità mediocre nell’identificare
i soggetti con una oligozoospermia moderata. È da notare comunque che in ogni
caso è migliore il valore predittivo negativo rispetto a quello positivo, cioè un
valore normale di FSH (<7.6 UI/L) ha una buona capacità di identificare un
soggetto come normozoospermico. Viceversa, il riscontro di valori elevati di FSH
(>7.6 UI/L) ha una capacità di identificare un soggetto come azoooligozoospermico del 60%. Ulteriori studi sono necessari per chiarire la patogenesi
dell’infertilità o delle alterazioni seminali nei casi con FSH normale/basso,
condizione che può essere definita come ipogonadismo ipogonadotropo
funzionale, che si può associare a valori di inibina bassi o normali, come dimostrato
dallo studio della Andersson (8).
SIGNIFICATO CLINICO DEL DOSAGGIO DELL’FSH
63
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Razionale per il trattamento dell’infertilità
maschile con FSH
A.A. SINISI, D. ESPOSITO, G. BELLASTELLA, L. MAIONE, T. URRARO,
A. BELLASTELLA
Cattedra di Endocrinologia, Dipartimento Medico Chirurgico di Internistica
Clinica e Sperimentale “F. Magrassi-A. Lanzara”, Seconda Università di Napoli
La conoscenza del disordine responsabile della condizione di infertilità e la
disponibilità di strumenti terapeutici adeguati rappresentano le premesse
indispensabili per un corretto e razionale trattamento dell’infertilità’ maschile. In
un 25% dei casi vi è alla base dell’infertilità un’alterazione suscettibile di una
correzione medica o chirurgica. In questo gruppo rientrano i disordini endocrini
ed in particolare i difetti della secrezione di gonadotropine, la cui prevalenza
oscilla tra lo 0.6% e l’8.9% tra le cause di infertilità (1, 2). Il deficit della
stimolazione gonadotropinica del testicolo è responsabile dell’assenza di
spermatogenesi in questo tipo di pazienti, nei quali la somministrazione di preparati
ad azione LH- e FSH-simile può avviare la maturazione tubulare e portare a
comparsa di spermatozoi nell’eiaculato. L’uso delle gonadotropine pertanto ha
un razionale nella terapia sostitutiva dell’ipogonadismo ipogonadotropo, ma ha
trovato e trova applicazioni anche in alcune forme di infertilità maschile
normogonadotropa. L’importanza dell’azione gonadotropinica sulla
spermatogenesi è nota da tempo, ma sono ancora discussi i meccanismi di azione
ed il ruolo relativo delle due gonadotropine nell’avvio della spermatogenesi,
l’importanza dell’FSH nel mantenimento o nel ripristino della spermatogenesi o
nella regolazione del numero e della capacità fecondante degli spermatozoi (3).
Una loro più approfondita conoscenza può offrire nuove possibilità di utilizzo
dell’FSH per il trattamento dell’infertilità’ maschile.
RUOLO DELL’FSH NELLA REGOLAZIONE
DELLA SPERMATOGENESI
FSH e funzione tubulare
La spermatogenesi è un processo che si avvia in coincidenza della pubertà,
che è caratterizzata dall’incremento della secrezione di gonadotropine e del
testosterone (T) e, sul piano clinico, dalla crescita del volume testicolare, dallo
sviluppo dei genitali e dei caratteri sessuali verso stadi maturativi tipici dell’adulto.
I cambiamenti puberali delle secrezioni dell’asse ipotalamo-ipofisi-testicolo sono
fondamentali nell’avviare la spermatogenesi, ma sono ancora discussi il relativo
ruolo delle due gonadotropine e del T (3). Vi sono una serie di problemi che
66
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
rendono difficoltoso lo studio di questi effetti come ad esempio l’impossibilità di
avere modelli attendibili in cui siano separate le azioni del T da quelle dell’FSH,
il diverso ruolo che questi ormoni hanno nelle specie utilizzate (ratto, primati,
uomo), i differenti metodi di valutazione della spermatogenesi e della capacità
fecondante. Questi limiti vanno tenuti presenti, quando si discute degli aspetti
tuttora controversi sul ruolo dell’FSH sulla spermatogenesi ed in particolare sulla
possibile estensione dell’uso dell’FSH nel trattamento dell’infertilità maschile
da oligozoospermia idiopatica.
L’attività del testicolo è regolata delle due gonadotropine, LH e FSH, secrete
dall’ipofisi sotto il controllo dell’LHRH, ormone rilasciato in maniera pulsatile
dall’ipotalamo. Sono oggi ben definiti i meccanismi che regolano la
differenziazione delle cellule gonadotrope e la sintesi delle gonadotropine. Le
mutazioni di geni che regolano la migrazione dei neuroni ipotalamici LHRH
produttori, che codificano per il recettore dell’LHRH o per le subunità betaspecifiche delle gonadotropine sono responsabili di compromissione dello
sviluppo e della funzionalità testicolare (4). Nel tubulo seminifero il processo di
gametogenesi parte dalla moltiplicazione e differenziazione delle cellule goniali,
si amplifica attraverso la divisione mitotica e meiotica degli spermatociti e procede
attraverso la differenziazione in spermatidi fino alla liberazione di spermatozoi
nel lume tubulare (spermiogenesi). Nei primati e nell’uomo A gli spermatogoni
di tipo A chiaro (Ap) rappresentano la popolazione staminale che si divide
rinnovando la propria riserva testicolare e si differenzia in goni B, che a loro
volta possono andare incontro al processo differenziativo in spermatociti. Nel
ratto ogni sezione tubulare mostra un singolo ordinato arrangiamento delle cellule
tubulari associate in stadi ben definiti, mentre nell’uomo le associazioni tra cellule
tubulari in sviluppo si distribuiscono lungo il tubulo in maniera elicoidale e ,quindi,
in una sezione trasversa si trovano cellule di differenti stadi, fino a sei per sezione.
Tale particolarità morfo-funzionale rende ragione della difficoltà di correlare gli
aspetti quantitativi e molecolari della spermatogenesi con gli effetti delle
gonadotropine nell’uomo rispetto ai roditori. La maturazione delle cellule
germinali avviene nel tubulo seminifero in presenza di FSH e di un alto livello
intratesticolare di T, prodotto dalle cellule di Leydig sotto l’effetto dell’LH (5, 6).
L’azione del T si esercita tramite il suo specifico recettore, (AR) sulle cellule
somatiche testicolari ed in particolare le cellule di Sertoli e le cellule peritubulari.
L’FSH agisce attraverso recettori di membrana accoppiati alle G-protein, espressi
sulle cellule di Sertoli. La cellula di Sertoli pertanto svolge un ruolo chiave quale
bersaglio dell’azione ormonale e si interpone tra ambiente tubulare e barriera
ematotesticolare. Infatti il numero di queste cellule insieme a quello dei goni
staminali Ap presenti alla pubertà nel tubulo sembra critico per la capacità
spermatogenetica del testicolo. Le due gonadotropine stimolano la moltiplicazione
delle cellule di Sertoli alla pubertà, ma possono avere anche un effetto sullo
sviluppo della popolazione di goni Ap (5, 6). Nei ratti e nelle scimmie rese
ipogonadiche con immunizzazione anti-FSH o con antagonisti del GnRH il numero
degli spermatogoni B è ridotto a meno del 10% rispetto ai controlli; negli uomini
RAZIONALE PER IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE
67
sottoposti a trattamento contraccettivo con testosterone enantato si osserva una
riduzione dei goni della stessa entità (5-8). L’azione delle due gonadotropine
sembra condizionare la maturazione ed il patrimonio testicolare di cellule di Sertoli
e di cellule germinali staminali, ma rimane controverso se l’FSH non sia del tutto
indispensabile per l’avvio della spermatogenesi nell’uomo.
Avvio e mantenimento della spermatogenesi, regolazione
del numero di spermatozoi
Una serie di evidenze cliniche nell’ipogonadismo suggeriscono che l’FSH è
necessario insieme al T per avviare la spermatogenesi, anche se in assenza
dell’FSH vi può essere un’attività spermatogenetica minimale (9, 10). Il T da
solo può attivare la maturazione spermatica: nella scimmia macaco giovane la
somministrazione di T per tre mesi stimola la comparsa di spermatociti primari,
negli stessi primati in età prepubere il T somministrato per 12 mesi può portare a
comparsa di spermatogenesi (11, 12). La somministrazione di solo hCG/LH agli
ipogonadici prepuberi determina un incremento dei livelli plasmatici ed
intratesticolari del T e porta in casi sporadici alla comparsa di spermatozoi maturi
nell’eiaculato (3). Lo stesso si riscontra nei soggetti con mutazione attivante
dell’LH-recettore (13). La somministrazione di solo FSH aumenta il diametro
del tubulo ed il numero delle cellule del Sertoli, ma non porta ad un incremento
dei livelli plasmatici (ed intratesticolari di T) né alla progressione della
spermatogenesi. Nei soggetti con ipogonadismo acquisito in età adulta, la
spermatogenesi si interrompe per il venire meno della stimolazione
gonadotropinica, può essere ripristinata dalla somministrazione di solo hCG, ma
è necessario aggiungere la gonadotropina FSH per ottenere una conta spermatica
normale nell’eiaculato. Nell’ipogonadismo ipogonadotropo ad insorgenza
prepuberale la produzione spermatica, una volta che sia stata avviata dalla cosomministrazione di LH e FSH, può essere mantenuta seppure a livelli ridotti dal
trattamento continuo con solo hCG, mentre non è mantenuta dal solo FSH. Infine,
l’evidenza nei soggetti con alterazione dei geni che codificano per il recettore
dell’FSH di una produzione variabile di spermatozoi, ma mai dell’azoospermia,
è a favore dell’ipotesi che FSH svolga un ruolo nel mantenere livelli
quantitativamente normali dell’attività spermatogenetica ma non sia indispensabile
per la maturazione basale delle cellule germinali nell’uomo (14). In contraddizione
nei soggetti con mutazione del gene che codifica per la subunità beta dell’FSH si
ha azoospermia (15). Questa apparente paradosso può essere spiegato dal fatto
che il deficit recettoriale possa essere incompleto o che l’assenza totale dell’FSH,
come si ha nella mutazione della subunità beta, comprometta lo sviluppo del
testicolo ed in particolare la moltiplicazione e la maturazione delle cellule del
Sertoli e delle cellule germinali staminali in una fase critica dello sviluppo (6).
L’FSH ha un ruolo nella maturazione meiotica e postmeiotica delle cellule
germinali. La maturazione da spermatocita a spermatide e spermatozoo è regolato
dai livelli circolanti di FSH e questi a loro volta sono correlati alla concentrazione
68
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
di spermatozoi e di inibina B (16). Il numero delle cellule postmeiotiche è
controllato inoltre dalla morte spontanea o apoptosi. Sia l’FSH che gli steroidi
sessuali (T, estrogeni) hanno un ruolo protettivo sull’ apoptosi spontanea delle
cellule germinali nel ratto e nel testicolo umano in vitro, ma tale fenomeno non
sembra avere un ruolo importante nel controllo della spermatogenesi almeno nei
primati (5, 17). Infatti, studi stereologici nell’uomo e nelle scimmie hanno
dimostrato che l’ablazione dello stimolo gonadotropo non compromette la
progressione degli spermatociti attraverso la meiosi e la differenziazione in
spermatidi (5). L’abolizione delle gonadotropine non sembra associata nell’uomo
(e nelle scimmie) ad una riduzione del numero di spermatidi rotondi alle cellule
del Sertoli con aumento della loro esfoliazione nel lume tubulare. Infatti negli
uomini resi ipogonadotropi non vi è un aumento di spermatidi rotondi
nell’eiaculato (17). Uno stadio che appare fortemente compromesso
dall’interruzione dello stimolo gonadotropo è la spermiazione o rilascio di
spermatidi maturi nel lume tubulare (5, 8, 16). Negli uomini sottoposti a regimi
contraccettivi con androgeni e nei primati resi ipogonadici si ha una forte
discrepanza tra spermatidi tubulari, trattenuti nelle cellule del Sertoli, e conta
spermatica. La correlazione inversa suggerisce che il processo di spermiazione è
molto compromesso e gli spermatidi maturi non rilasciati nel tubulo sono fagocitati
dalle cellule del Sertoli. Pertanto la soppressione della spermiazione insieme al
blocco della maturazione dei goni sono i principali stadi della spermatogenesi
compromessi dalla mancanza dello stimolo gonadotropo, che portano alla
azoospermia.
Nel loro complesso i dati sperimentali nei primati e nel modello ipogonadico
umano indicano che l’FSH può non essere richiesto per l’avvio ed il mantenimento
della spermatogenesi, ma la cooperazione delle due gonadotropine è indispensabile
perché il processo sia portato a livelli massimali. L’FSH amplifica lo stimolo del
T intratesticolare sulla attività tubulare condizionando quantitativamente la
spermatogenesi ed, in definitiva, il numero degli spermatozoi nell’eiaculato.
FSH e qualità degli spermatozoi
La capacità fecondante degli spermatozoi è condizionata non solo dal numero
ma anche da alcuni aspetti funzionali come la motilità, la morfologia e
l’ultrastruttura, la composizione dell’acrosoma e l’attività acrosinica, la
condensazione della cromatina, la ploidia. L’importanza di queste caratteristiche
funzionali è sottolineata dal fatto che il successo della fertilizzazione non è
correlato agli aspetti quantitativi della spermatogenesi. Gli effetti dell’FSH sulle
funzioni degli spermatozoi sono stati scarsamente indagati, ma vi sono alcuni
dati interessanti. È ben noto che gli ipogonadici trattati con gonadotropine riescono
a fecondare anche con basse concentrazioni di spermatozoi, tanto che la minima
concentrazione spermatica correlata ad una buona capacità fertilizzante in questi
soggetti viene stabilita in 1.5 mil/mL (18). Questo suggerisce che le gonadotropine
esogene, e l’FSH in particolare, potrebbero condizionare alcuni aspetti funzionali
RAZIONALE PER IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE
69
che rendono particolarmente efficaci in senso fertilizzante questi gameti.
L’abolizione dello stimolo con FSH mediante immunizzazione attiva di scimmie
ed uomini è associata con dei cambiamenti dell’integrità della cromatina
spermatica e della composizione glicoproteica dell’acrosoma (19). Nelle scimmie
è stato documentato un deficit dell’acrosina che potrebbe spiegare la riduzione
delle gravidanze in questi primati, dato che l’acrosina è importante nel processo
di penetrazione degli spermatozoi nell’oocita (20). Altri dati significativi per un
effetto dell’FSH sulla qualità spermatica derivano dagli studi che riportano
modifiche ultrastutturali e della condensazione della cromatina negli spermatozoi
di soggetti oligospermici candidati alla fertilizzazione assistita e trattati con FSH,
che potrebbero essere in relazione con un aumento del potere fertilizzante in
vitro (21-24).
FSH ED INFERTILITÀ MASCHILE
Terapia dell’ipogonadismo ipogonadotropo
Nell’ipogonadismo secondario è possibile indurre la spermatogenesi con la
somministrazione di gonadotropine esogene o attivando quelle endogene con la
somministrazione di Gn-RH pulsatile (25, 26). L’LH viene somministrato come
gonadotropina corionica umana (hCG) di origine estrattiva, altamente purificata,
l’FSH come preparati derivati dalle urine menopausali (hMG), preparati altamente
purificati (FSH-HP) e preparati ottenuti con la tecnologia del DNA ricombinante
(FSHr) . Una buona risposta con solo hCG si ha nelle forme parziali, nella sindrome
dell’eunuco fertile, nell’ipogonadismo ipogonadotropo ad insorgenza in età adulta
o in ipogonadismo secondari ad insorgenza prepuberale precedentemente trattati
con gonadotropine (17, 27). Se non compaiono spermatozoi nel liquido seminale
o se la conta spermatica non aumenta va aggiunto l’FSH. La somministrazione
dell’rFSH, alfa e beta-follitropina, pur in casistiche molto limitate, è risultata
efficace (28-32). L’FSHr presenta una serie di vantaggi come, una minore
variabilità inter-batch, che ne assicura la costanza e ripetibilità degli effetti,
l’assenza di proteine e contaminanti estranei, nonché di agenti potenzialmente
infettivi (33, 34).
La dose di FSH è in genere 75-150 UI per due o tre volte la settimana. Bisogna
tenere presente che difficilmente si ottiene una conta spermatica normale negli
ipogonadismi ipogonadotropi, soprattutto se ad insorgenza prepuberale, ma la
maggior parte di questi soggetti molto spesso è fertile, pur in presenza di una bassa
conta spermatica (2-10 milioni). La risposta non è influenzata da precedenti
trattamenti con androgeni, né dall’età d’insorgenza dell’ipogonadismo (9, 17). La
presenza di criptorchidismo può influire sui risultati, sia in termini di tempo per
ottenere la fertilità sia in termini di entità della risposta spermatogenetica (17).
70
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
FSH nella nell’infertilità maschile idiopatica
Poiché l’FSH ha un ruolo chiave nella spermatogenesi ci si è sforzati di
cercare eventuali alterazioni della funzione di questo ormone nei soggetti con
infertilità idiopatica, che copre circa il 30% dei casi di infertilità maschile osservati
in centri specialistici della riproduzione (1, 2). Tale condizione si associa di solito
ad oligozoospermia, ad alterazioni della motilità e della morfologia degli
spermatozoi. Una serie di studi ha preso in esame la bioattività delle molecole di
FSH secrete negli infertili o potenziali mutazioni del suo recettore senza trovare
anomalie sia nell’uno che nell’altro settore (rev. in 35). Salvo le segnalazioni
rimaste tuttora limitate di casi da parte del gruppo finlandese, non sono state
descritte alterazioni dei geni che codificano per il recettore dell’FSH o la beta
subunità (14, 17, 36). Sono stati trovati dei polimorfismi del gene del recettore
dell’FSH, ma gli studi funzionali ed epidemiologici non hanno assegnato a tali
cambiamenti un significato fisiopatologico (35, 36).
L’efficacia delle gonadotropine nell’induzione della spermatogenesi e nel
raggiungimento di gravidanze in soggetti maschi con ipogonadismo
ipogonadotropo ha giustificato l’utilizzo delle gonadotropine e dell’FSH nel
tentativo empirico di migliorare la spermatogenesi anche in soggetti
normogonadotropi con alterazioni della fertilità su base idiopatica. Una serie di
studi non controllati su casistiche di pazienti trattati con FSH hanno segnalato un
miglioramento significativo della quota di fertilizzazione e di gravidanze e dei
parametri spermatici convenzionali (38, 39). Sebbene una vecchia meta analisi di
trials controllati ha mostrato una odds ratio di 1.45 (95% CI 0.78-2.70), indicativa
di assenza di effetti benefici significativi (40), una serie di studi in cui è stato
utilizzato FSHr hanno dimostrato un miglioramento della conta spermatica , della
morfologia e della pregnancy rate sia spontanea che in corso di PMA (21-24, 4143). Una nuova metanalisi che ha valutato studi controllati ha portato alla
conclusione che le gonadotropine in paragone al placebo mostrano una
significativa più elevata pregnancy rate (44). Le azioni benefiche dell’FSH sebbene
non dimostrate in maniera convincente devono comunque essere prese in
considerazione. Effetti come modifiche del volume testicolare e della
condensazione del DNA spermatico, indice dell’effetto dell’FSH sulla
spermatogenesi e sulla maturazione spermatica, costituiscono un valido motivo
per ulteriori studi sulla potenziale applicazione di questa gonadotropina
nell’infertilità maschile soprattutto in soggetti candidati alla PMA.
RAZIONALE PER IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE
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Risultati del trattamento con FSH sui parametri
seminali
C. FORESTA, A. GAROLLA, R. SELICE, N. CARETTA, A. FERLIN
Cattedra di Patologia Clinica, Centro di Crioconservazione dei Gameti Maschili,
Dipartimento di Istologia, Microbiologia e Biotecnologie Mediche, Università
di Padova
INTRODUZIONE
FSH e LH svolgono nel maschio una azione sinergica per lo sviluppo e il
mantenimento di una adeguata funzione testicolare (1, 2). In particolare è noto
che l’FSH in epoca fetale e neonatale attiva la proliferazione delle cellule del
Sertoli, successivamente nella fase puberale influenza l’attività mitotica degli
spermatogoni e favorisce il differenziamento cellulare attraverso i processi
meiotici, fino allo stadio di spermatici rotondi (3). Tuttavia anche alla luce di
queste conoscenze, la fisiologica regolazione della spermatogenesi rimane ancor
oggi un meccanismo non completamente chiarito (4). Infatti, mentre l’azione
dell’FSH sul tessuto ovarico è stata ampiamente accettata dall’altro è ancora molto
dibattuto il suo ruolo nell’induzione, nella regolazione e nel mantenimento dei
processi spermatogenetici (4, 5). E’ noto che il trattamento con gonadotropine
risulta molto efficace nell’induzione della spermatogenesi in soggetti affetti da
ipogonadismo ipogonadotropo (6-10), portando spesso al ripristino di una normale
spermatogenesi. Il successo ottenuto dal trattamento con FSH in questi soggetti
ha spinto ad utilizzare la stessa terapia anche nel trattamento di soggetti infertili
affetti da oligozoospermia, nel tentativo di stimolare la spermatogenesi e quindi
di ottenere un incremento quantitativo degli spermatozoi. In letteratura vi sono
tuttavia evidenze molto contrastanti. Infatti, nonostante molti autori abbiano negato
l’efficacia della terapia con FSH sui parametri seminali (11-15), altri studi hanno
dimostrato che il trattamento è in grado di aumentare la concentrazione spermatica,
la popolazione spermatogoniale e la percentuale di gravidanze in soggetti
oligozoospermici con normali livelli di gonadotropine (12, 16-20). Inoltre,
all’analisi con il microscopio elettronico è stato riportato un miglioramento delle
caratteristiche ultrastrutturali della testa e dell’acrosoma degli spermatozoi dopo
terapia con FSH (16). Allo stesso modo, il trattamento si è rivelato efficace nel
ridurre i fenomeni apoptotici negli spermatozoi, migliorando gli aspetti qualitativi
a carico dell’assonema, della cromatina e dell’acrosoma (21). Tali risultati
potrebbero giustificare l’aumentato tasso di fecondazione ovocitaria e l’aumento
della percentuale di gravidanze, anche in assenza di miglioramento dei classici
parametri seminali, riscontrate nelle coppie sottoposte a trattamenti di procreazione
medicalmente assistita, nelle quali il partner era stato sottoposto a terapia con
76
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
FSH (11,12,22). Tuttavia, anche riguardo questi aspetti alcuni autori non hanno
riportato differenze significative in termini di pregnancy rate tra soggetti trattati
con FSH, soggetti trattati con placebo e soggetti non trattati (13, 15). Su questi
ultimi lavori si era basata la Cochrane Review del 2000 sul trattamento
dell’infertilità maschile con FSH, che concludeva sostenendo l’inefficacia di questa
terapia sia in termini di miglioramento dei parametri seminali che in termini di
percentuale di gravidanze.
Le differenze che emergono analizzando i dati in letteratura possono essere
in parte giustificate da vari fattori come ad esempio i criteri adottati nella selezione
dei pazienti, l’interpretazione dei parametri seminali, la posologia e la durata del
trattamento. Un’altra considerazione importante merita l’eziopatogenesi del danno
testicolare responsabile della ridotta concentrazione di spermatozoi nell’eiaculato.
Infatti, numerose possono essere le condizioni patologiche responsabili della
oligozoospermia come varicocele, criptorchidismo, orchiti, traumi testicolari,
cause genetiche e idiopatiche. Inoltre, la ridotta produzione spermatica può essere
legata a differenti alterazioni testicolari quali la ipospermatogenesi e gli arresti
maturativi a livello spermatogoniale, spermatocitico o spermatidico (23-25).
L’oligozoospermia rappresenta quindi la manifestazione clinica comune di
alterazioni testicolari diverse, tuttavia il criterio più frequentemente utilizzato
per la selezione dei pazienti da trattare con FSH è rappresentato solo dalla normalità
dei livelli basali di gonadotropine mentre l’efficacia del trattamento viene valutata
esclusivamente analizzando la variazione delle concentrazioni spermatiche o in
termini di pregnancy rate.
NOSTRE ESPERIENZE NELL’UTILIZZO DELL’FSH
NELL’INFERTILITÀ MASCHILE
Abbiamo realizzato numerosi studi allo scopo di verificare l’efficacia del
trattamento con FSH in soggetti oligozoospermici caratterizzati da alterazioni
tubulari ben definite. Inoltre, abbiamo cercato di individuare parametri clinici in
grado di discriminare i soggetti potenzialmente responsivi al trattamento con FSH
e abbiamo utilizzato vari criteri oltre alla modificazione dei parametri seminali,
per valutare l’efficacia della terapia. A questo scopo, abbiamo introdotto lo studio
della funzione tubulare eseguito mediante agoaspirazione e citologia testicolare
(23-25), per la conoscenza della peculiare alterazione responsabile della ridotta
produzione spermatica. Nel primo lavoro (26) abbiamo valutato l’efficacia del
trattamento con FSH altamente purificato (75 UI, i.m. a dì alterni per 3 mesi) in
60 pazienti oligozoospermici (con normali livelli di FSH) rispetto a 30 soggetti
oligozoospermici e normogonadotropi trattati con placebo. L’analisi seminale
eseguita alla fine del trattamento (Fig. 1) ha permesso di distinguere un sottogruppo
di soggetti che avevano almeno un raddoppio della concentrazione di spermatozoi
(responders), solo tra i pazienti trattati con FSH (20 su 60).
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
77
Figura. 1. Concentrazione spermatica (mil/mL) osservata prima (barre chiare) e
dopo (barre scure) trattamento con FSH nei 60 pazienti classificati come non
responders (n = 40) e responders (n = 20). *P<0.05 vs pre-trattamento.
La citologia testicolare eseguita prima del trattamento con FSH, nei soggetti
non responders mostrava un quadro di ipospermatogenesi associato a turbe
maturative a livello spermatidico (Tab. 1). Al contrario nei responders era presente
un quadro di ipospermatogenesi con normale linea maturativa. L’analisi citologica
ripetuta dopo il trattamento con FSH, evidenziava in tutti i soggetti un incremento
del numero di spermatogoni, spermatociti e spermatidi, tuttavia solo nei responders
vi era una attivazione del processo spermiogenetico con conseguente incremento
sia degli spermatozoi intratesticolari che della concentrazione spermatica.
Tabella 1. Risultati della citologia testicolare ottenuta nei 60 soggetti (responders
e non responders) prima e dopo trattamento con FSH. *P<0.01, P<0.05 e P<0.001
vs pre-trattamento.
78
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
I risultati di questo primo studio ci hanno portato concludere che la scelta
del trattamento con FSH non dovrebbe mai prescindere dalla conoscenza della
specifica alterazione tubulare che ha indotto la oligozoospermia. In particolare,
nei soggetti affetti da oligozoospermia idiopatica con normali livelli di
gonadotropine, la terapia con FSH altamente purificato è in grado di stimolare la
funzione tubulare portando in tutti i pazienti un incremento della popolazione di
spermatogoni. Tuttavia, solamente nei casi in cui l’oligozoospermia è riconducibile
ad una ipospermatogenesi senza alterazioni maturative della linea germinale, vi è
un contemporaneo aumento significativo della concentrazione di spermatozoi
eiaculati. Invece, in presenza di una ipospermatogenesi con disturbi della
differenziazione spermatidica, si verifica un incremento della percentuale di
spermatociti e spermatidi, amplificando così ulteriormente le difficoltà maturative
a carico delle fasi finali della spermatogenesi, senza portare ad un incremento
significativo delle concentrazioni spermatiche.
Nello studio successivo (27), abbiamo valutato l’effetto della terapia con
FSH altamente purificato in soggetti oligozoospermici affetti da gradi più severi
di testicolopatia, nei quali la patogenesi del danno testicolare, valutato mediante
citologia testicolare, era riconducibile a cause di infertilità ben definite. In questo
studio, la risposta testicolare al trattamento ormonale è stata valutata in base alle
variazioni nella concentrazione di spermatozoi eiaculati e alle modificazioni dei
livelli di inibina B, un noto marker della funzione tubulare. Inoltre utilizzando gli
stessi criteri, abbiamo verificato se il trattamento con FSH a dosi maggiori fosse
in grado di determinare risultati diversi. A questo scopo una popolazione di 135
soggetti oligozoospermici con ipospermatogenesi associata o meno a difetti
maturativi, è stata suddivisa in 3 gruppi sulla base dei livelli di FSH e inibina B
basali (gruppo A con normali livelli di entrambi gli ormoni; gruppo B con elevati
livelli di FSH e normali livelli di inibina B; gruppo C con elevati livelli di FSH e
livelli di inibina B patologici (Tab. 2).
Tabella 2. Soggetti oligozoospermici suddivisi in base alle concentrazioni di FSH
e inibina B. *P<0.01 vs gruppo A.
Dei 135 pazienti oligozoospermici, 78 sono stati trattati con FSH alla dose
di 75 UI a giorni alterni mentre gli altri 57 soggetti hanno ricevuto una dose di 75
UI tutti i giorni, per tre mesi. Alla fine del trattamento, solo nei soggetti del gruppo
A e tra questi solo in quelli con ipospermatogenesi e assenza di turbe maturative,
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
79
era presente un significativo incremento della concentrazione di spermatozoi
eiaculati. In questi soggetti, non si osservava alcuna differenza in termini di
concentrazione spermatica tra i due diversi protocolli terapeutici (Fig. 2).
FSH 75 UI a dì alterni
(n = 47)
Moderata
Ipospermatogenesi
+
Parziale arresto
spermatidico
Concentrazione
spermatica
(mil/ml)
FSH 75 UI tutti i giorni
(n = 30)
Moderata
Ipospermatogenesi
Basale
FSH
Figura 2. Effetti del trattamento a basse e alte dosi di FSH sulle concentrazioni
spermatiche nei pazienti oligozoospermici del gruppo A. *P<0.01 vs basale.
Nei restanti pazienti del gruppo A con ipospermatogenesi associata a turbe
maturative, e in tutti i soggetti dei gruppi B e C non si è verificato alcun incremento
significativo delle concentrazioni spermatiche. Quindi ancora una volta, la
conoscenza dello stato dell’epitelio seminifero sembra rappresentare l’unica
condizione in grado di predire il potenziale successo della terapia con FSH. Inoltre,
gli elevati livelli basali di FSH indipendentemente dalle concentrazioni di inibina
B, sembrano essere un fattore predittivo negativo per l’efficacia del trattamento.
Conferme a questi risultati provengono da un ulteriore studio (28), nel quale
abbiamo verificato l’efficacia del trattamento con FSH ricombinante (r-hFSH),
in un gruppo ben selezionato di 45 soggetti con caratteristiche tubulari,
seminologiche e ormonali compatibili con quelle dei soggetti responsivi al
trattamento con FSH altamente purificato. Abbiamo trattato con r-hFSH 30 pazienti
oligozoospermici, con ipospermatogenesi non associata a turbe maturative e
normali livelli di FSH. La metà dei pazienti ha ricevuto una dose di r-hFSH pari
a 50 UI mentre gli altri 15 soggetti sono stati trattati con una dose di 100 UI,
entrambi i gruppi a dì alterni per un periodo di 3 mesi. Inoltre, un gruppo di
controllo costituito da 15 pazienti con le stesse caratteristiche cliniche non ha
ricevuto alcun trattamento ed è stato seguito per lo stesso periodo di 3 mesi dal
punto di vista delle caratteristiche seminali. Alla dose di 50 UI, il trattamento
con FSH ricombinante ha indotto un incremento significativo delle concentrazioni
spermatiche solo in 2 su 15 pazienti trattati. Risultati analoghi sono stati ottenuti
nei 15 pazienti considerati come gruppo di controllo. Al contrario tra i soggetti
80
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
trattati con 100 UI, 11 su 15 hanno mostrato almeno un raddoppio delle
concentrazioni spermatiche rispetto ai valori basali (Tab. 3).
Tabella 3. Parametri seminali valutati prima e dopo trattamento con rh-FSH a
differenti dosi. aP<0.05 vs pre-trattamento; bP<0.01 vs controlli.
Inoltre, nei pazienti trattati con 100 UI la citologia testicolare eseguita dopo
terapia, evidenziava un incremento significativo del numero di spermatogoni e
spermatociti primari (Fig. 3). Tale incremento si accompagnava ad una
diminuzione del l’indice Sertoliano (rapporto tra cellule della spermatogenesi e
cellule del Sertoli), a testimonianza di un aumento dell’attività spermatogenetica
intratesticolare.
Figura 3. Quadri citologici testicolari. (A) Ipospermatogenesi come riscontrato
prima del trattamento; il numero di cellule germinali è ridotto rispetto alle numero
di cellule del Sertoli. (B) Dopo trattamento con r-hFSH è possibile riscontrare
nello stesso soggetto un incremento nella popolazione di spermatogoni e
spermatociti. Spg = spermatogoni; Spc = spermatociti; Spt = spermatidi; SC =
cellule del Sertoli (colorazione con May Grünwald Giemsa, X 1,250 ingrandimenti.
I risultati di questo studio dimostrano che il trattamento con r-hFSH alle
dosi di 100 UI a giorni alterni per tre mesi, come precedentemente dimostrato
con l’utilizzo dell’FSH altamente purificato, è i grado di incrementare la
popolazione spermatogoniale e la produzione spermatica in pazienti affetti da
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
81
oligozoospermia idiopatica, con normali livelli plasmatici di FSH e inibina B e
citologia testicolare caratterizzata da ipospermatogenesi senza alterazioni
maturative.
Per valutare l’efficacia del trattamento con FSH in termini dei pregnancy
rate nei pazienti da noi studiati, abbiamo seguito un gruppo di soggetti trattati
con FSH ricombinante per un periodo di sei mesi dopo la sospensione della terapia.
In questo studio (29) abbiamo valutato 112 pazienti oligozoospermici randomizzati
in due gruppi: uno composto da 62 soggetti trattati con 100 UI di r-hFSH a giorni
alterni per tre mesi e uno composto da 50 soggetti non trattati e seguiti come
gruppo di controllo (Fig. 4). Tra i pazienti trattati vi erano soggetti che avevano
risposto alla terapia farmacologica con almeno un raddoppio della concentrazione
spermatica (responders, n = 30) e soggetti che non avevano ottenuto un
miglioramento significativo dei parametri seminali (non-responders, n = 32).
Nell’arco dei tre mesi dalla sospensione della terapia, tra i soggetti trattati abbiamo
registrato 5 gravidanze spontanee (16.7%), mentre tra i soggetti degli altri due
gruppi abbiamo osservato rispettivamente una gravidanza nei non-responders
(3.1%) e due nei non-trattati (4.0%).
82
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
PAZIENTI STUDIATI
(112)
Gruppo trattato (62)
(r-hFSH100 UI
a giorni alterni)
Periodo di
Trattamento
3 mesi
Responders
(30)
Gruppo di controllo (50)
(nessun trattamento)
Non-responders
(32)
Periodo di
Follow-up
3 mesi
Gravidanze
spontanee
Non
Gravidanze
(25)
Non
Gravidanze
(31)
Periodo del
Trattamento
IVF
3 mesi
P.R.C
Non
Gravidanze
(48)
Gravidanze dopo
fecondazione
assistita
36.7% (11/30)
21.9% (7/23)
24.0% (12/50)
Figura 4. Descrizione e risultati dello studio: periodo di osservazione dopo
trattamento (6 mesi), nei soggetti tattati (responders e non-responders) e nei
soggetti di controllo. P.R.C.: pregnancy rate cumulativa; n.s.: non realizzabile.
Nel gruppo dei soggetti responders, 15 pazienti hanno potuto intraprendere
un programma di inseminazione intra-uterina che ha permesso di ottenere 3
gravidanze (20%) mentre gli altri 10 si sono sottoposti a un programma di
fecondazione in vitro (FIVET) che ha portato a 3 gravidanze (30%). Nei soggetti
degli altri due gruppi, in nessun caso è stato possibile procedere con cicli di
inseminazione intra-uterina a causa dell’alterazione dei parametri seminali.
Pertanto, tutti i pazienti sono stati inviati a cicli di fecondazione assistita (FIVET/
ICSI) che hanno prodotto sei gravidanze nel gruppo dei soggetti non-responders
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
83
(6/31, 19.3%) e 10 nel gruppo dei soggetti non trattati (10/48, 20,8%). A sei mesi
dalla sospensione del rattamento, i risultati in termini di pregnancy rate cumulativa
erano: 36.7% nei soggetti responders, 21.9% nei non responders e 24.0% nei non
trattati. Oltre alla più alta percentuale di gravidanze ottenute nei soggetti responsivi
al trattamento con FSH, la terapia induceva anche un miglioramento dei parametri
seminali. Inoltre, tale miglioramento permetteva agli stessi pazienti di accedere a
tecniche di fecondazione assistita meno invasive, passando da tecniche FIVET
ad inseminazione intra-uterina, o sfruttando la naturale capacità dello spermatozoo
di fecondare mediante l’utilizzo della FIVET invece dalla ICSI.
Inoltre, da questi risultati emerge ancora una volta come la terapia con FSH
sia in grado di aumentare la produzione di spermatozoi nei pazienti
oligozoospermici con normali livelli plasmatici di FSH e alterazioni testicolari
caratterizzate da riduzione della popolazione di cellule germinali non associata a
anomalie maturative, indipendentemente dalla causa che ha indotto il danno
tubulare.
Anche sull’analisi di questi studi, si basano le conclusioni dell’ultima
Cochrane Review del 2006 sull’utilizzo delle gonadotropine nel trattamento
dell’infertilità maschile (30). Da questa metanalisi emerge chiaramente che nei
soggetti affetti da ipofertilità durante i tre mesi successivi al trattamento con FSH,
vi è un significativo incremento della percentuale di gravidanze rispetto ai soggetti
di controllo (FIG. 5).
Figura 5. Cochrane Review (2006), sul trattamento dell’ipo- fertilità maschile
con gonadotropine.
84
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Negli ultimi anni è stato dimostrato che nelle donne alcuni polimorfismi del
gene recettore per l’FSH (FSHR) sono in grado di influenzare i livelli circolanti
di FSH e la sensibilità dello stesso recettore all’ormone (31-33). Al contrario, il
significato di questi polimorfismi nell’uomo è ancora poco chiaro (34-36). A
questo scopo abbiamo realizzato un nuovo studio (37), per valutare il ruolo di tre
polimorfismi del gene FSHR nell’infertilità maschile. Si tratta dei due polimorfismi
presenti nell’esone 10 al codone 307, con può portare una Treonina (T) o una
Alanina (A) e al codone 680 che porta una Asparagina (N) o una Serina (S) la cui
combinazione determina i seguenti genotipi: TN/TN, TN/AS e AS/AS. Inoltre un
terzo polimorfismo è presente nella regione del promotore in posizione -29 che
può presentare una A o una G. Sono stati studiati 150 maschi rappresentativi della
popolazione generale, 107 soggetti con provata fertilità, 92 soggetti
normozoospermici di controllo e 215 pazienti infertili classificati sulla base delle
alterazioni seminali (38 affetti da azoospermia, 53 con oligozoospermia severa,
48 con oligozoospermia moderata e 76 con oligozoospermia lieve). Inoltre, nei
pazienti infertili e nei soggetti normozoospermici di controllo sono stati misurati
i livelli di gonadotropine. L’analisi dei polimorfismi dell’FSHR nell’esone 10 da
solo ed in combinazione con quelli alla posizione -29, ci ha permesso di escludere
la presenza di differenze significative sia nella distribuzione dei genotipi (Tab. 4)
che nella frequenza di varianti alleliche tra le varie categorie di soggetti (Tab. 5).
Anche le concentrazioni plasmatiche di FSH e gli altri parametri andrologici non
mostravano differenze significative tra i soggetti con differenti genotipi all’interno
di ciascun.
Tabella 4. Le combinazioni alleliche (genotipo) del gene FSHR e la distribuzione
dei genotipi non mostrano differenze significative nei diversi gruppi di soggetti.
Groups
Genotype [% (n)]
GTN/GTN
ATN/ATN
GAS/GAS
AAS/AAS
ATN/GTN
GTN/GAS
GTN/AAS or ATN/GAS
AAS/GAS
ATN/AAS
General population (n = 152)
14.5 (22)
3.9 (6)
17.1 (26)
0.0 (0)
12.5 (19)
27.6 (42)
11.2 (17)
8.6 (13)
4.6 (7)
Proven fathers (n = 107)
17.7 (19)
5.6 (6)
15.0 (16)
0.0 (0)
11.2 (12)
26.2 (28)
12. (13)
8.4 (9)
3.7 (4)
Normozoosp. (n = 92)
17.4 (16)
2.2 (2)
10.9 (10)
0.0 (0)
13.0 (12)
26.1 (24)
17.4 (16)
10.9 (10)
2.2 (2)
Azoosp. (n = 38)
26.3 (10)
0.0 (0)
13.2 (5)
0.0 (0)
10.5 (4)
31.6 (12)
10.5 (4)
7.9 (3)
0.0 (0)
Severe oligozoosp. (n = 53)
17.0 (9)
3.8 (2)
5.7 (3)
1.9 (1)
15.1 (8)
34.0 (18)
13.2 (7)
9.4 (5)
0.0 (0)
Moderate oligozoosp (n = 48)
18.8 (9)
6.2 (3)
12.5 (6)
0.0 (0)
12.5 (6)
20.3 (10)
20.8 (10)
6.2 (3)
2.1 (1)
Slight oligozoosp. (n = 76)
15.8 (12)
5.3 (4)
11.8 (9)
0.0 (0)
10.5 (8)
30.3 (23)
7.9 (6)
11.4 (9)
6.6 (5)
18.6 (40)
4.2 (9)
10.7 (23)
0.5 (1)
12.1 (26)
29.3 (63)
12.6 (27)
9.3 (20)
2.8 (6)
Tot. infertiles (n = 215)
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
85
Tabella 5. Le frequenze alleliche (aplotipi) osservate nei diversi gruppi di soggetti
non mostrano differenze significative.
Groups
Haplotype [% (n)]
ATN
AAS
GTN
GAS
Undecided
General population (n = 304)
12.5 (38)
6.6 (20)
34.5 (105)
35.2 (107)
11.2 (34)
Proven fathers (n = 214)
13.1 (28)
6.1 (13)
36.4 (78)
32.2 (69)
12.1 (26)
Normozoosp. (n = 184)
9.8 (18)
6.5 (12)
37.0 (68)
29.3 (54)
17.4 (32)
Azoosp. (n = 76)
5.3 (4)
3.9 (3)
47.4 (36)
32.9 (25)
10.5 (8)
Severe oligozoosp. (n = 106)
11.3 (12)
6.6 (7)
41.5 (44)
27.4 (29)
13.2 (14)
Moderate oligozoosp (n = 96)
13.5 (13)
4.2 (4)
35.4 (34)
26.0 (25)
20.8 (20)
Slight oligozoosp. (n = 152)
13.8 (21)
9.2 (14)
36.2 (55)
32.9 (50)
7.9 (12)
11.6 (50)
5.8 (25)
40.2 (173)
29.3 (126)
13.0 (56)
Total infertiles (n = 430)
Tabella 6. I livelli plasmatici di FSH (media + DS) all’interno dei diversi genotipi
non mostrano differenze significative tra i gruppi di soggetti.
Groups
FSH (IU/L)
GTN/GTN
ATN/ATN
GAS/GAS
AAS/AAS
ATN/GTN
GTN/GAS
GTN/AAS or ATN/GAS
AAS/GAS
ATN/AAS
total
Normozoosp. (n = 92)
3.4 ± 1.8
2.7 ± 0.1
3.3 ± 1.2
-
3.9 ± 4.5
3.5 ± 2.4
3.8 ± 3.8
3.6 ± 2.1
2,9 ± 0,6
3,5 ± 2,7
Azoosp. (n = 38)
13.8 ± 5.0
-
15.4 ± 4.1
-
14.5 ± 9.4
20.2 ± 7.7
15.1 ± 8.3
23.5 ± 7.6
-
17,0 ± 7,2
Severe oligosp. (n = 53)
9.4 ± 6.1
18.5 ± 5.6
16.1 ± 17.6
6.3
10.5 ± 7.0
13.4 ± 7.9
16.0 ± 18.8
15.4 ± 8.6
-
13,0 ± 10,0
Moderate oligosp. (n = 48)
7.4 ± 2.7
6.6 ± 1.0
5.6 ± 1.9
-
5.8 ± 3.3
6.1 ± 4.6
8.4 ± 1.9
5.9 ± 2.2
5,4
6,7 ± 3,0
Slight oligosp. (n = 76)
4.9 ± 2.8
4.8 ± 3.4
5.2 ± 2.6
-
4.5 ± 2.8
4.3 ± 2.0
5.7 ± 2.6
6.6 ± 3.1
4,9 ± 1,4
5,0 ± 2,5
8.7 ± 5.3
8.5 ± 6.4
8.9 ± 7.7
6.3
8.2 ± 6.5
10.3 ± 8.4
10.8 ± 10.5
11.2 ± 8.3
5,0 ± 1,3
9,5 ± 7,7
Total infertiles(n = 215)
Sembra pertanto che nella nostra popolazione i diversi genotipi dell’FSHR
non influenzino i livelli di ormone sia nei soggetti normali che nei pazienti infertili
e non si associano ai diversi gradi di alterazione della spermatogenesi.
In ultima analisi abbiamo valuto verificare se i diversi polimorfismi del gene
recettore dell’FSH fossero in grado di modificare la risposta individuale al
trattamento con FSH. In questo studio abbiamo valutato 100 soggetti
oligozoospermici (concentrazione di spermatozoi < 10 mil/ml), con normali livelli
di FSH (< 8 U/L) e normali concentrazioni di inibina B (> 100 ng/L). In tutti i
soggetti è stato realizzato lo studio di 2 polimorfismi del gene FSHR (codone
307 e 680 nell’esone 10) e i loro parametri clinici sono riportati in tabella 7.
86
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Tabella 7. Parametri clinici nei 100 pazienti studiati.
Sperm.
Mil./ml
Total sperm
count
FSH
(U/L)
LH
(U/L)
Test.
(nmol/L)
Inhibin B
(ng/L)
All Pt.ts
n. 100
6,5±5.0
20.7±25.4
5.2±3.3
4.3±2.0
18.3±5.1
179,3±38,4
AS/AS
n. 38
6.4±5.7
20.0±24.4
7,5±3.7
5.2±3.0
20.0±5.8
157,4±31,7
TN/TN
n. 36
8.3±4,9
26.4±29.3
6.1±1.7
3.6±1.1
18.6±5.3
198±44,1
TN/AS
n. 26
4.2±4.2
13.7±24.6
5.5±3.3
4.1 ± 1.4
15.8±3.4
197±21,2
I pazienti sono stati trattati con r-hFSH, 100 UI a giorni alterni per tre mesi
e tutti i soggetto sono stati valutati ogni mese mediante esame del liquido seminale
e dosaggio ormonale. I livelli di inibina B misurati prima, durante e alla fine del
trattamento (Fig. 6) non mostravano variazioni significative rispetto ai valori basali
sia considerando tutti i pazienti assieme sia dividendoli in base ai diversi genotipi
e aplotipi.
350
300
250
200
15 0
10 0
50
0
B a s a le
3 mesi
Figura 6. Livelli di Inibina B in tutti i soggetti assieme e divisi in base ai differenti
genotipi. Tutti i dati: P>0.05; TN/TN: P > 0.05; AS/AS: P > 0.05; TN/AS: P > 0.05.
Anche le concentrazioni spermatiche valutate prima, durante e alla fine del
trattamento non hanno evidenziato variazioni significative rispetto ai valori basali
sia considerando tutti i pazienti assieme sia dividendoli in base ai diversi genotipi.
Tuttavia, isolando i soggetti che presentano l’aplotipo Ser680 e possibile mettere in
evidenza un incremento significativo delle concentrazioni spermatiche (Fig. 7).
RISULTATI DEL TRATTAMENTO CON FSH SUI PARAMETRI SEMINALI
87
25
Sperm (mil/mL)
20
15
10
5
0
Basale
3 mesi
Figura 7. Concentrazioni spermatiche riscontrate nei pazienti con aplotipo Ser
680, prima e dopo trattamento con r-hFSH. P=0.02.
Al contrario, considerando come responders al trattamento solo i soggetti
che presentavano almeno un raddoppio delle concentrazioni spermatiche, l’analisi
dei diversi genotipi non evidenziava alcuna differenza significativa. Pertanto, ad
oggi il ruolo dei polimorfismi del gene FSHR sembra ancora lontano dall’essere
del tutto chiarito, tuttavia in futuro l’analisi di questo gene potrebbe costituire un
valido approccio farmacogenetico per il trattamento dell’infertilità maschile.
In conclusione dalla nostra esperienza sul trattamento dell’infertilità maschile
con FSH emergono le seguenti considerazioni:
– La scelta del trattamento con FSH non dovrebbe mai prescindere dalla
conoscenza della specifica alterazione tubulare che ha indotto la
oligozoospermia. In particolare, la terapia con FSH è in grado di stimolare
la funzione tubulare portando in tutti i pazienti un incremento della
popolazione di spermatogoni. Tuttavia, solamente nei casi in cui
l’oligozoospermia è riconducibile ad una ipospermatogenesi senza alterazioni
maturative della linea germinale, vi è un contemporaneo aumento
significativo della concentrazione di spermatozoi eiaculati.
– Elevati livelli basali di FSH indipendentemente dalle concentrazioni di inibina
B, sembrano essere un fattore predittivo negativo per l’efficacia del
trattamento con FSH.
– Anche l’FSH ricombinante (r-hFSH), come precedentemente dimostrato con
l’utilizzo dell’FSH altamente purificato, è i grado di incrementare la
popolazione spermatogoniale e la produzione spermatica in pazienti in
pazienti selezionati. La terapia con l’utilizzo di questa molecola si è dimostrata
efficace in termini di miglioramento dei parametri seminali e incremento
della pregnancy rate, alla dose di 100 UI, a giorni alterni per tre mesi.
88
–
–
–
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Il trattamento con FSH si associa ad una più alta percentuale di gravidanze
nei soggetti responsivi alla terapia. Questo dato è stato confermato dall’ultima
Cochrane Review sull’utilizzo delle gonadotropine nel trattamento
dell’infertilità maschile. Inoltre, il miglioramento dei parametri seminali
permette agli stessi pazienti di accedere a tecniche di fecondazione assistita
meno invasive di quelle attuabili prima del trattamento.
I polimorfismi del gene recettore dell’FSH sembrano non essere associati ai
diversi gradi di infertilità maschile e non sembrano essere correlati ai livelli
di FSH circolante nell’uomo.
Ad oggi, il ruolo dei polimorfismi del gene FSHR nella risposta al trattamento
con FSH sembra ancora lontano dall’essere del tutto chiarito, ma forse un
ruolo importante potrebbe essere rappresentato dal tipo di danno tubulare.
Tuttavia, in futuro l’analisi di questo gene potrebbe costituire un valido
approccio farmacogenetico per il trattamento dell’infertilità maschile.
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90
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IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE CON FSH
91
Il trattamento dell’infertilità maschile con FSH:
risultati del trattamento sulla fertilità
A. PALMIERI, F. MANGIAPIA, A. MALETTA, G. DE STEFANO,
V. MIRONE
Clinica Urologica, Università Federico II, Napoli
INTRODUZIONE
Nel 20% delle coppie che cercano di avere un figlio si manifestano difficoltà
nell’ottenere la gravidanza per vie naturali. Nel 30% dei casi la causa dell’infertilità
può essere addebitata al maschio e nel 20% alla combinazione di fattori che
diminuiscono la fertilità in entrambi i membri della coppia.
Nel 39% dei casi si tratta di infertilità idiopatica (OAT, oligo-astenoteratospermia), venendo a mancare fattori eziologici specifici e in assenza di
alterazioni dei livelli ormonali. Viene stimato quindi, che il fattore maschile sia
coinvolto nel 50% delle infertilità di coppia (1).
L’FSH NEL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE
Gli ormoni che stimolano la spermatogenesi sono stati i naturali candidati
ad essere inseriti in protocolli di studio per la terapia dell’infertilità maschile, ma
né il GnRH né l’hCG hanno dato risultati positivi nei primi studi in maschi non
ipogonadici (2, 3). La possibilità di trattare l’infertilità maschile tramite le varie
forme disponibili di FSH è uno dei più interessanti terreni di ricerca nel campo
dei disordini della fertilità del maschio.
Fin dalle prime evidenze che dimostravano come la terapia con FSH fosse
in grado di aumentare il volume testicolare, migliorare i parametri seminali e
restituire la capacità riproduttiva in maschi ipogonadici (4, 5) i ricercatori si sono
interessati alle possibilità di utilizzare l’FSH al di là della semplice terapia
sostitutiva ormonale.
Molteplici studi hanno messo in evidenza come la terapia con FSH
(ricombinante o purificato) nel maschio con infertilità idiopatica possa migliorare
i parametri seminali (6, 7). Tesarik et al. (8) hanno messo in risalto come
l’incubazione di colture cellulari con FSH e testosterone fosse in grado di stimolare
in vitro la maturazione delle cellule germinali da biopsie testicolari. Zarrilli et al.
(9) hanno dimostrato, in uno studio che reclutava 183 pazienti trattati
chirurgicamente per varicocele, come la terapia con FSH alla dose di 75 UI a
giorni alterni fosse capace di migliorare i parametri seminali (conta degli
92
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
spermatozoi, motilità e capacità di penetrare il muco cervicale al CMPT)
soprattutto nel gruppo di pazienti con oligozoospermia di grado maggiore.
In particolare Foresta et al. (10) hanno evidenziato come un dosaggio di
FSH di 100 UI a giorni alterni per tre mesi fosse capace di migliorare la qualità
del seme nel 73% dei maschi con asteno- oligo-teratospermia idiopatica con
concentrazione normale di FSH trattati, portando all’aumento del numero degli
spermatozoi con effetti più modesti su motilità e alterazioni strutturali.
TRATTAMENTO CON FSH: RISULTATI SULLA FERTILITÀ
Ci si può chiedere se questi risultati si riflettano sulla fertilità della coppia.
La risposta a tale quesito si avvantaggia poco della attuale Letteratura a causa,
forse, della difficoltà nell’organizzare, nell’epoca della PMA, uno studio che valuti
i tassi di gravidanza non assistita in coppie infertili. Un tentativo di mettere un
punto fermo nel panorama degli studi che riguardano la fecondazione naturale in
maschi infertili in terapia con FSH è stato effettuato dalla metanalisi della Cochrane
Collaboration nel 2006 (11).
La metanalisi ha riguardato gli RCT correttamente eseguiti che indicassero
il pregnancy rate nelle coppie esaminate. Quattro studi hanno rispettato i parametri
di inclusione e l’analisi ha evidenziato come la terapia con FSH purificato o
ricombinante alla dose di 100/150 UI fosse in grado di aumentare in maniera
statisticamente significativa sia il tasso di gravidanza (13.4% vs 4.4%) che quello
di gravidanza spontanea (9.3% vs 1.7%) nei pazienti trattati. Viceversa l’aumento
di fertilità non raggiungeva la significatività statistica nel caso dei tassi di
gravidanza ottenuta con tecniche artificiali (33% vs 20%). Gli stessi Autori però,
ammettono come una metanalisi di meno di 300 pazienti non può soddisfare tutti
i requisiti di obiettività necessari per dare una risposta chiara nel campo della
fertilità maschile.
PROSPETTIVE
Il miglioramento delle chances procreative grazie alla terapia con
gonadotropine è una importante possibilità che ha aperto nuove strade nel
trattamento dell’infertilità maschile.
L’attuale disponibilità del FSH ricombinante fornisce una terapia accessibile
e standardizzata ovunque ve ne sia bisogno. Tentativi di migliorare le caratteristiche
del farmaco (12) tramite la somministrazione di una molecola che presenta
un’emivita doppia rispetto all’r-FSH (CTP-FSH) grazie all’aggiunta del
frammento C-terminale dell’HCG, potranno consentire un più agevole profilo di
somministrazione migliorando la compliance del paziente.
Le evidenze sperimentali hanno dimostrato l’efficacia della somministrazione
di gonadotropine nell’infertilità maschile idiopatica e da ipogonadismo soprattutto
nel miglioramento dei parametri seminali.
IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE CON FSH
93
Saranno altresì necessari studi randomizzati con un largo numero di
partecipanti per poter definitivamente valutare l’impatto della somministrazione
di FSH sulla fertilità effettiva del maschio ipo-infertile.
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La sindrome metabolica e la sindrome dell’ovaio
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A. LANZONE, D. ROMUALDI, G. CAMPAGNA, A. BOMPIANI,
L. RICCIARDI, F. MACRÌ, M. GUIDO
La sindrome dell’ovaio policistico è il più comune disordine endocrinoriproduttivo nella popolazione femminile in età fertile, interessando il 5-10% a
seconda delle casistiche. Le donne affette dalla PCOS possono presentare un
ampio spettro di manifestazioni cliniche e biochimiche: alterazioni della secrezione
delle gonadotropine, iperandrogenismo, anovulatorietà, obesità ed squilibri
metabolici che si possono combinare in maniera multiforme. L’eterogeneità
dell’espressione fenotipica della sindrome si rispecchia non solo nella variabilità
dei quadri clinici da paziente a paziente, ma anche nei cambiamenti cui spesso
vanno incontro i segni e i sintomi nell’arco della vita.
In conseguenza di tali caratteristiche cliniche e della mancanza di un accordo
in letteratura sui meccanismi fisiopatologici di base, esiste una variabilità nella
definizione dei criteri diagnostici e classificativi della sindrome. Una recente
Consensus Conference internazionale (Rotterdam ESHRE/ASRM-Sponsored
PCOS Consensus Workshop Group, 2004) ha individuato nell’anovularietà
cronica, nella morfologia ovarica e nello stato di iperandrogenismo le
caratteristiche cliniche essenziali della PCOS: sulla base di questi criteri, la
diagnosi di PCOS viene formulata in presenza di almeno due dei suddetti
parametri.
Molteplici studi condotti negli ultimi anni hanno rafforzato il concetto che le
pazienti PCOS mostrino importanti alterazioni metaboliche come obesità, insulinoresistenza, iperinsuliemia, dislipidemia e disfunzioni endoteliali in senso
protrombotico. Queste caratteristiche definiscono la cosiddetta sindrome
metabolica, la quale, potrebbe determinare importanti alterazioni sullo stato di
salute a lungo termine nelle donne con PCOS, comportando la precoce insorgenza
di diabete mellito (fino al 10% di queste pazienti), ipertensione e malattie
cardiovascolari (Legro et al, 1999; Pierpoint et al, 1998).
La prevalenza complessiva, riportata in letteratura, di obesità nelle donne con
PCOS risulta variabile tra il 30% ed il 60%, ben al di sopra rispetto a quella
riscontrata nella popolazione generale (Dunaif et al, 1987). Tuttavia, mentre appare
consolidato il fatto che le donne obese con PCOS manifestino quadri di
insulinoresistenza più frequentemente rispetto a donne normo-ovulatorie e di
pari peso, i dati della letteratura non sono concordi per quanto concerne le pazienti
normopeso. Alcuni studi sugli effetti del calo ponderale, hanno indicato tramite
l’utilizzo del clamp euglicemico iperinsulinemico, come l’insulinoresistenza non
96
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
sarebbe una caratteristica intrinseca della PCOS, ma potrebbe essere una
condizione secondariamente determinata dalla spiccata predisposizione di queste
pazienti ad accumulare grasso corporeo a livello tronco-addominale (Holte et al,
1995; Huber-Buchholz et al, 1999). Sulla base di tali considerazioni si potrebbe
in parte spiegare il perché donne normopeso con PCOS, ma con un preferenziale
accumulo di grasso tronco-addominale rispetto ai controlli, possano presentare
vari gradi di insulinoresistenza (Taponen et al, 2004). Quel che appare chiaro è
che esiste una forte correlazione statistica tra l’insulino-resistenza e gli indici di
distribuzione centrale del grasso corporeo. Èpossibile ipotizzare una condizione
di causa-effetto correlata sottesa a questa evidenza statistica. Il grasso troncoaddominale è in grado di liberare grandi quantità di acidi grassi liberi circolanti
(FFA), i quali vengono direttamente rilasciati nel circolo portale. Questo tipo di
tessuto adiposo è, infatti, facilmente e rapidamente mobilizzabile, essendo
particolarmente sensibile all’azione delle catecolamine. L’incremento dei livelli
sierici di FFA potrebbe interferire con il metabolismo glicidico probabilmente
tramite due differenti meccanismi (Kovacs et al, 2005):
1) La down regulation dei meccanismi pre e/o post-recettoriali
(insulinoresistenza) dell’utilizzo di glucosio da parte dei tessuti periferici, in
particolare il tessuto muscolare (che rappresenta l’80% del target dell’azione
ipoglicemizzante dell’insulina)
2) L’azione sinergica degli FFA e degli androgeni (resistenza epatica
all’insulina) potrebbe inibire la clearance epatica dell’insulina, con conseguente
aumento dell’output epatico di glucosio durante il digiuno.
Tuttavia, a dispetto di tali evidenze, è stato dimostrato che la terapia con farmaci
antilipolitici, e la successiva diminuzione delle concentrazioni circolanti di FFA,
non è in grado di arrecare un significativo miglioramento del metabolismo glicoinsulinemico delle pazienti affette da PCOS (Ciampelli et al 2001; Ciampelli et al
2002).
Il risultato netto dell’insulinoresistenza nella PCOS consiste in uno stato di
iperinsulinemia cronica compensatoria. Tale condizione, oltre a rappresentare un
fattore di rischio per le conseguenze a lungo termine che dalla sindrome possono
derivare, sembra giocare un ruolo di primo piano nella complessa eziopatogenesi
della PCOS, andando a slatentizzare o ad aggravare i disordini riproduttivi di
queste donne.
L’anovulatorietà cronica, tipica della sindrome, si manifesta clinicamente con
problemi di sterilità (che colpisce approssimativamente il 40% delle donne con
PCOS) (Franks et al. 1995), e con alterazioni del ritmo mestruale, prevalentemente
rappresentate da oligomenorrea e amenorrea, anche se è stata spesso descritta
un’alternanza di tali condizioni, nonché il riscontro di polimenorrea. Inoltre, una
volta ottenuta la gravidanza, le donne con PCOS sono più esposte al rischio di
poliabortività (Homburg et al. 2003).
Il sottostante milieu steroideo è caratterizzato da concentrazioni tonicamente
elevate di estrogeni e da un deficit della produzione di progesterone.
LA SINDROME METABOLICA E LA SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO
97
Le concentrazioni seriche di estradiolo (sia totale che libero) si trovano entro
il normale range della fase follicolare precoce e medio-follicolare del ciclo
(Shermann et al. 1979), ma il pattern della secrezione differisce da quello del
normale ciclo mestruale perché manca il picco preovulatorio o medioluteale.
Tale assetto ormonale, se da un lato risulta conseguenza dell’anovulazione
cronica, al contempo ne rappresenta anche un’importante concausa, andando ad
interferire con i meccanismi di feed-back dell’asse ipotalamo-ipofisi-ovaio.
L’azione dell’estradiolo sull’asse ipotalamo-ipofisi e sull’endometrio non è
bilanciata, a causa della mancanza della secrezione ciclica di progesterone (Yen,
1980; Franks 1989). Gli effetti di iperestrogenismo relativo sull’endometrio
includono episodi di menometrorragie più o meno importanti ed aumentato rischio,
a lungo termine, di carcinoma endometriale, su cui non c’è ancora univoco
consenso (Polson et al. 1987). In tale contesto, la presenza di alterazioni
metaboliche, e segnatamente di obesità, è in grado di amplificare questi effetti, a
causa della quota di estrone proveniente dalla conversione extraghiandolare degli
androgeni da parte del tessuto adiposo.(Polson et al. 1988; Hague et al.1987).
L’alterata secrezione delle gonadotropine si esprime in elevati livelli di LH a
fronte di livelli di FSH inferiori del 30% e in un rapporto LH/FSH superiore a 2
in circa il 50% delle donne con PCOS. Da un punto di vista fisiopatologico gli
elevati livelli di LH sono espressione di un aumento della frequenza e
dell’ampiezza dei pulse di tale ormone. Diversi studi hanno inoltre evidenziato
come nelle PCOS esista un’influenza negativa dell’obesità sui livelli di LH, poiché
soggetti con BMI elevato dimostrano una diminuzione dei pulse spontanei o in
risposta al test di stimolo con GnRH senza modifiche significative della frequenza
(Ciampelli et al.1999). Elevati livelli di insulina concorrono ad alterare la pulsatilità
della secrezione di LH a livello centrale dove sono presenti recettori per l’insulina
(Hunger et al. 1991).
La presenza di insulino-resistenza ed iperinsulinemia si associa a gradi più
severi di anovulazione. Ciò è in accordo con l’evidenza che le pazienti con PCOS
in cui siano presenti alterazioni metaboliche mostrano modificazioni del pattern
mestruale con una frequenza e una severità maggiore rispetto alle pazienti con
PCOS normoinsulinemiche (Robinson et al.1993).
D’altra parte, nelle pazienti sterili che vengono sottoposte a trattamenti di
induzione dell’ovulazione, l’iperinsulinemia si associa ad un aumentato tasso di
resistenza al clomifene, a maggiori quantità di gonadotropine esogene necessarie
ad ottenere l’ovulazione e ad un aumentato rischio di sindrome da iperstimolazione
ovarica (Nestler et al,1998).
Tali evidenze suggeriscono che una riduzione della concentrazione
dell’insulina possa essere di grande importanza nel management della paziente
affetta da PCOS. Questo assunto è valido anche nelle donne PCOS che non cercano
gravidanze a breve termine, ma che lamentano la presenza di manifestazioni
cliniche di iperandrogenismo.
Le cellule della teca follicolare delle donne con PCOS sono in grado di produrre
una maggior quantità di androgeni rispetto alle cellule tecali di ovaie normali
98
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
(Gilling et al, 1994), a parità di stimolo gonadotropo. È quindi probabile che, sia
essa una caratteristica geneticamente ereditata o un’alterazione acquisita, gli enzimi
chiave della sintesi androgenica ovarica e surrenalica siano iperresponsivi allo
stimolo gonadotropo. Su questa base, comune a tutte le pazienti con PCOS, si
sovrappone, in una percentuale significativa di queste, un eccesso di insulina
circolante.
Diversi studi hanno evidenziato una correlazione tra iperinsulinemia e
iperandrogenismo in pazienti affette da PCOS (Rajkhowa et al, 1994; Livingstone
et al, 2002). Tuttavia, non vi è unanime accordo sulla tipologia di relazione causale
esistente tra queste due alterazioni. Da un lato, è stato dimostrato che la
somministrazione di alte quote di androgeni esogeni possono favorire l’instaurarsi
di una condizione di insulino-resistenza (Polderman et al, 1994); da ciò è derivata
l’ipotesi che un eccesso anche di androgeni endogeni potesse esercitare un effetto
negativo sulla sensibilità all’insulina nelle pazienti PCOS: in effetti è stato riportato
che il trattamento con l’antiandrogeno spironolattone è in grado di diminuire i
livelli di androgeni ed al contempo di migliorare l’insulino-resistenza (Buffington
et al, 1994). Tuttavia, per quanto non possa essere esclusa l’esistenza di un circolo
vizioso in cui iperinsulinemia e iperandrogenismo si alimentino vicendevolmente,
la maggior parte delle evidenze in letteratura tende a conferire maggior credito al
ruolo patogenetico dell’insulina nell’iperproduzione androgenica tipica della
PCOS.
È infatti dimostrato che l’inibizione anche totale dell’attività ovarica (quale
quella ottenibile con l’uso di analoghi del GnRH), con conseguente abbattimento
degli androgeni, non migliora il livello di sensibilità all’insulina di queste pazienti
(Guido et al, 1998).
Al contrario, esistono numerose evidenze a favore di un effetto peggiorativo
dell’insulina endogena sullo stato di iperandrogenismo. A livello ovarico l’insulina
avrebbe la capacità di esercitare, insieme all’IGF-1, un ruolo permissivo
sull’azione dell’LH stimolando le funzioni steroidee delle cellule della granulosa
e della teca. È stato suggerito che questi effetti fisiologici dell’insulina sull’ovaio
sarebbero amplificati nelle donne con PCOS, persino in presenza di concentrazioni
fisiologiche di insulina circolante (Baillargeon e Nestler, 2006).
A livello periferico, la quota di testosterone libero e quindi biodisponibile, è
regolata in gran misura dall’SHBG la cui sintesi è diminuita nella PCOS per
l’azione combinata di alte concentrazioni di insulina ed androgeni. Inoltre, il
testosterone viene attivato perifericamente tramite la sua conversione a
diidrotestosterone (DHT) ad opera della 5-α-reduttasi, enzima particolarmente
attivo a livello del follicolo pilifero, la cui espressione è aumentata appunto
dall’iperinsulinemia (Tsilchorozidou et al, 2003).
Le irregolarità del ciclo, essendo strettamente connesse alla gravità dei disturbi
metabolici, possono pertanto rappresentare dei marker di rischio precoci per lo
sviluppo di diabete di tipo 2.
Diversi studi hanno investigato il maggior rischio di sviluppo prematuro di
diabete mellito in donne con PCOS.
LA SINDROME METABOLICA E LA SINDROME DELL’OVAIO POLICISTICO
99
Secondo uno studio retrospettivo svedese il rischio relativo di diabete mellito
di tipo 2 nella PCOS è sette volte più alto rispetto alla popolazione di controllo
(Holte et al 1995.) Le alterazioni del metabolismo glucidico sono fortemente
legate al problema dell’obesità, presente nel 50-60% delle pazienti PCOS.
In uno studio italiano su 110 pazienti PCOS l’incidenza di alterazioni della
tolleranza glucidica è risultata del 15,5% nelle pazienti obese insulinoresistenti
(Ciampelli et al. 1999).
Tali percentuali sono più basse rispetto ad alcuni studi americani che riportano
un’incidenza del 31-35% di ridotta tolleranza glucidica e 7-10% di diabete nella
popolazione PCOS. Ciò risulta probabilmente dovuto alla maggiore
compromissione dello status metabolico di tali pazienti rispetto alla popolazione
italiana, suggerendo che fattori indipendenti dalla condizione di PCOS, ad esempio
fattori ambientali o abitudini alimentari, possano svolgere un ruolo importante.
Sebbene originariamente sia stato segnalato che solo donne PCOS obese
mostravano intolleranza glucidica, attualmente è stato messo in evidenza che
questa condizione patologica può manifestarsi anche in donne PCOS non obese
(Legro et al.1999).
Uno studio effettuato su 33 pazienti PCOS confrontato con 132 pazienti di
controllo ha dimostrato una maggiore prevalenza nella diagnosi di diabete nelle
pazienti con PCOS. (Dahlgreen et al. 1992).
Ehrmann ha valutato le alterazioni del metabolismo glucidico in un gruppo di
122 donne con PCOS, riscontrando alterazioni di significato patologico in ben il
45% delle pazienti, che si esprimeva in un 35% con IGT e 10% di diabete di tipo
2 (Ehrmann et al.1999).
Di contro, la prevalenza di PCOS sembra più alta in donne con diabete di tipo
1 rispetto alla popolazione generale. (Escobar-Morreale et al., 2000).
Da un punto di vista fisiopatologico sembra intuitivo che sia l’obesità che la
PCOS aumentino il rischio di diabete. È presumibile, inoltre, che i suddetti fattori
abbiano un effetto additivo. Non è chiaro tuttavia se le donne con PCOS e diabete
abbiano un rischio di morte per accidenti cardiovascolari maggiore rispetto alle
donne diabetiche non PCOS.
In conclusione la PCOS è frequentemente associata ad obesità di tipo centrale
nonché ad un ampio spettro di alterazioni del metabolismo glucidico che spaziano
da minimi fenomeni di intolleranza glucidica a quadri iperglicemici conclamati.
È chiaramente dimostrato come il controllo della glicemia riduca le complicanze
vascolari dei pazienti diabetici (UK prospective diabetes study. 1998a ). Tuttavia,
gli studi finora condotti presentano il bias di non essere stati condotti su una
popolazione omogenea di pazienti PCOS, per le quali il suddetto quesito deve
ancora trovare una risposta certa.
100
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
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1
La Sindrome dell’Ovaio Micropolicistico (PCOS) è una complessa
patologia endocrina che colpisce il 5-10% delle donne in età fertile (1). Si
manifesta clinicamente con oligo/amenorrea, cicli anovulatori, irsutismo, acne,
ovaie micropolicistiche e, in una significativa percentuale di casi, insulinoresistenza (2).
Numerosi studi condotti su famiglie di donne con PCOS indicano che nella
sua patogenesi sono coinvolti fattori genetici. Tali fattori contribuirebbero a
determinare le alterazioni endocrine e metaboliche che caratterizzano questa
sindrome. Per tali motivi la PCOS viene propriamente definita una patologia
multifattoriale, determinata dall’associazione di molteplici fattori: genetici,
endocrini e ambientali (3).
Evidenze sempre più numerose, inoltre, segnalano che la PCOS si presenta
come una patologia che “coinvolge tutta la vita” della donna, che inizia nella vita
intrauterina in soggetti geneticamente predisposti, si manifesta clinicamente al
momento della pubertà, perdura nell’età fertile, ed espone, soprattutto dopo la
menopausa, ad un rischio più elevato di sviluppare patologie cardiovascolari,
ipertensione, diabete e altre complicanze metaboliche (4-6). Inoltre, durante l’età
fertile può determinare infertilità anovulatoria oppure una maggiore incidenza di
complicanze gestazionali quali aborti spontanei, diabete gestazionale e
preeclampsia (1).
Per tali motivi risulta evidente che la diagnosi precoce di tale sindrome è
fondamentale, in quanto permette di poter effettuare i trattamenti e i controlli più
idonei riducendo così il rischio di sviluppare tutte le complicanze ad essa correlate.
La patogenesi della PCOS è il risultato di alterazioni a carico di più sistemi
come quello endocrino e metabolico.
Il profilo endocrino delle donne con PCOS è caratterizzato da alti livelli di
androgeni di origine ovarica e surrenalica, alterato rapporto LH/FSH, ridotti livelli
di SHBG e nel 30% delle donne anche moderata iperprolattinemia.
È un dato ormai consolidato che l’insulino-resitenza, presente soprattutto nelle
donne obese o in soprappeso, ma spesso anche in quelle magre con PCOS, sembra
rappresentare la “chiave” di questa complessa patologia (4). L’insulino-resistenza
è definita come una condizione patologica in cui una cellula, un tessuto o un
104
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
organismo hanno bisogno di una quantità di insulina superiore alla norma per
ottenere una risposta pressochè normale. Essa determina una maggiore secrezione
di insulina da parte delle cellule β pancreatiche e una iperinsulinemia
compensatoria, mentre i livelli di glucosio restano normali. Quando la risposta
delle cellule pancreatiche si riduce, si svilupperà un’intolleranza al glucosio o il
diabete di tipo II (4).
I meccanismi attraverso cui si realizza l’insulino-resistenza consistono in un
difetto del legame dell’insulina al suo recettore oppure in alterazioni della
trasmissione del segnale (4). Le ovaie di questi soggetti, tuttavia, conservano una
risposta pressochè normale all’insulina. Una spiegazione parziale di questo
fenomeno potrebbe essere fornita dall’azione dell’insulina sull’ovaio attraverso
il recettore per l’IGF-1, al quale si lega quando raggiunge concentrazioni elevate
come succede nell’iperinsulinemia compensatoria. Inoltre, l’azione dell’insulina
a livello ovarico utilizza come mediatore del segnale il sistema
dell’inositologlicano, che è diverso dal sistema attivato negli altri tessuti della
fosforilazione del recettore a livello della tirosina e che mantiene la sua funzione
a livello ovarico anche nei soggetti insulino-resistenti (7).
L’iperinsulinemia, a sua volta, stimola direttamente la steroidogenesi ovarica
agendo sulle cellule della teca e su quelle della granulosa, stimola la proliferazione
delle cellule della teca, aumenta la secrezione di androgeni mediata dall’LH,
aumenta l’espressione del citocromo P450, dei recettori dell’LH e dell’IGF-I (89). Poiché gli enzimi coinvolti nella steroidogenesi ovarica sono simili a quelli
surrenalici, numerosi studi hanno dimostrato che l’insulina agisce direttamente
anche stimolando la steroidogenesi surrenalica (10-12).
Studi in vitro hanno inoltre dimostrato che l’insulina presenta recettori anche
a livello ipotalamico e ipofisario, attraverso i quali stimola il rilascio di FSH e
LH in condizioni basali ed in seguito a stimolo con GnRH (13). L’insulina influenza
infine l’iperandrogenemia anche inibendo a livello epatico la sintesi di SHBG
(14) e di IGFBP-1, che lega l’IGF-1 (8).
Il primo e più efficace trattamento della PCOS è una modificazione dello stile
di vita. La perdita del peso corporeo riduce significativamente tutte le
manifestazioni cliniche della PCOS: ripristina l’ovulazione e aumenta la
percentuale delle gravidanze, riduce i livelli di insulina e degli androgeni (15).
Per quanto riguarda il trattamento delle manifestazioni cliniche
dell’iperandrogenismo, uno dei farmaci più utilizzati nella PCOS è la flutamide,
un antiandrogeno che agisce bloccando i recettori degli androgeni (16). Questo
farmaco riduce significativamente l’iperandrogenemia e l’irsutismo, mentre ha
effetti sui cicli mestruali e sull’ovulazione (17). Non è ancora chiaro se questo
trattamento eserciti degli effetti positivi anche sull’insulino-resistenza.
La somministrazione di contraccettivi nelle donne con PCOS si è rivelata
utile in quanto riduce l’entità dell’acne e dell’irsutismo, regolarizza i cicli mestruali
e migliora la densità ossea (18). Tuttavia possono esercitare una serie di effetti
metabolici negativi: aumentano i livelli di trigliceridi e colesterolo totale,
peggiorano l’insulino-resistenza, determinano aumento di peso (19). Questi effetti
NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE NEL TRATTAMENTO DELLA PCOS
105
possono essere più o meno marcati a seconda del tipo di contraccettivo ormonale
utilizzato.
Negli ultimi anni, tuttavia, i farmaci più utilizzati con successo nella PCOS
sono gli insulino-sensibilizzanti (4), che si sono dimostrati efficaci sia quando
somministrati da soli che in associazione con altri farmaci, non solo sull’insulinoresistenza e sulla riduzione di peso, ma anche sulle irregolarità mestruali, sui
cicli anovulatori, sui segni dell’iperandrogenismo e sulle complicanze gestazionali
(8,10,11). Tra questi è risultata particolarmente efficace la metformina, farmaco
molto utilizzato nei pazienti con diabete di tipo II. Nel 30% delle pazienti determina
effetti collaterali come disconfort addominale, caratterizzato da nausea, vomito e
inappetenza (8).
Una significativa riduzione dei livelli circolanti di androgeni è stata osservata
dopo trattamento a breve termine con metformina. Tuttavia, nonostante la
riduzione nei livelli circolanti di androgeni, il trattamento a breve termine con
metformina sembra avere un effetto minimo sulle manifestazioni cutanee
dell’iperandrogenemia nelle pazienti con PCOS. Gli effetti clinici della metformina
sui sintomi dell’iperandrogenismo risultano evidenti dopo almeno 12 mesi di
trattamento. Un recente studio condotto su giovani adolescenti affette da PCOS
ed iperandrogenismo ha dimostrato un’efficacia del solo trattamento con
metformina sull’indice Ferriman-Gallwey dopo 6 mesi, con significativo
miglioramento dell’irsutismo in queste ragazze (20).
Per questi motivi negli ultimi anni è stata proposta da diversi autori
l’associazione di antiandrogeni e insulinosensibilizzanti nel trattamento di questa
sindrome. Recentemente Pasquali et al (21) hanno condotto recentemente uno
studio randomizzato, controllato verso placebo, con lo scopo di valutare gli effetti
a lungo termine del trattamento con metformina e flutamide, somministrati in
monoterapia o in associazione, entrambi dopo un mese di dieta ipocalorica in 40
donne obese con PCOS. L’aggiunta della flutamide alla dieta riduce
significativamente la percentuale di grasso viscerale, gli androgeni, il colesterolo
LDL e l’irsutismo. L’associazione dei due farmaci (flutamide + metformina) rivela
un effetto addizionale nel ridurre le concentrazioni di testosterone e
nell’incrementare i livelli di colesterolo HDL e SHBG. Quando questa associazione
farmacologica viene protratta per 12 mesi (22) determina anche una significativa
riduzione dell’insulino-resistenza.
Dati ancora più recenti indicano che questa associazione si è rilevata efficace
anche nelle adolescenti normopeso con PCOS (23). La somministrazione di basse
dosi di metformina (850 mg/die) e flutamide (62 mg/die) nelle adolescenti
normopeso con PCOS si è rilevata di gran lunga più efficace dei contraccettivi
orali nel ridurre le alterazioni endocrine e metaboliche della PCOS; gli stessi
risultati si sono ottenuti somministrando questi due farmaci in associazione con
una pillola contraccettiva (EE + drospirenone) nelle giovani donne normopeso
con PCOS rispetto alla somministrazione del solo contraccettivo (23).
:Molti studi hanno dimostrato,inoltre, un significativo miglioramento della
frequenza dei cicli mestruali (25-96%) in seguito a trattamento con metformina
106
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
(4). In alcuni studi, questo effetto sembra essere indipendente dai livelli circolanti
di androgeni, dalla perdita di peso, e si verifica durante un trattamento prolungato
con la metformina (24-25).
Gli effetti benefici della metformina sui fattori di rischio cardiovascolare e sulla
sensibilità insulinica hanno portato numerosi autori a proporre l’associazione
metformina + CO nelle donne con PCOS. È stato osservato che l’associazione
metformina + CO rispetto all’utilizzo dei soli CO nelle donne con PCOS determina
una riduzione significativa dei livelli di androgeni, senza modificare il BMI, rapporto
vita/fianchi e il rapporto glicemia/insulina (26). Dati più recenti hanno confermato
questi risultati ribadendo che la somministrazione di metformina + CO, rispetto
alla somministrazione di soli CO, determina una marcata riduzione dei livelli di
androgeni, senza determinare peggioramenti dell’insulino-resistenza (27).
Quando somministrata da sola, o insieme ad altri agenti che inducono
l’ovulazione, la metformina può giocare un ruolo importante nella infertilità
anovulatoria associata con la PCOS.
Un’incidenza di gravidanza del 39% è stata riportata quando è usata come
unica terapia (28), mentre la gravidanza si verifica nell’89% dei casi quando è
somministrata in associazione con clomifene citrato nelle donne obese con PCOS
clomifene resistenti (6).
Nei casi in cui non c’è risposta al trattamento con clomifene e metformina
oppure è necessario ricorrere a FIVET/ICSI, si impone l’impiego terapeutico
dell’FSH esogeno. I protocolli terapeutici più noti sono lo step-up e lo step-down.
Il protocollo step-up prevede la somministrazione di FSH a dosi crescenti. Questo
protocollo comporta lo sviluppo contemporaneo di più follicoli ed anche un
rilevante rischio di provocare una sindrome da iperstimolazione ovarica (OHSS).
Il protocollo step-down è stato elaborato con lo scopo di “mimare” l’andamento
dell’FSH endogeno nella fase follicolare. Si inizia somministrando alte dosi di
FSH che vengono poi dimezzate durante il reclutamento ed accrescimento dei
follicoli ovarici. Rispetto allo step-up, lo step-down garantisce l’impiego di minori
quantità di FSH, una minore durata del trattamento, ed una più bassa incidenza di
OHSS.
Recentemente è stato dimostrato che il rischio di sviluppare OHSS in seguito
a terapia con FSH esogeno aumenta con l’aumentare dell’insulino-resistenza.
Sulla base di questa osservazione la terapia combinata metformina-FSH sembra
essere associata ad una risposta dell’ovaio più fisiologica con un minor
reclutamento follicolare ed una più bassa incidenza di OHSS (29). Inoltre,
l’impiego combinato FSH-metformina è correlato ad una migliore qualità degli
ovociti e degli embrioni nelle donne che si sottopongono a FIVET (30) (Fig.1).
NUOVE PROSPETTIVE TERAPEUTICHE NEL TRATTAMENTO DELLA PCOS
107
PAZIENTE OBESA
PERDITA DI PESO
EFFICACE
NON EFFICACE
(O NON ESEGUITA)
PAZIENTE MAGRA
(SE INSULINO-RESISTENTE)
METFORMINA
EFFICACE
NON EFFICACE
CLOMIFENE
(O CLOMIFENE + METFORMINA)
EFFICACE
NON EFFICACE
FSH + metformina
Figura 1. Algoritmo terapeutico nell’induzione dell’ovulazione nella PCOS.
Come già accennato in precedenza, le donne con PCOS sono affette da un’alta
percentuale di aborti spontanei. È stato dimostrato che la somministrazione di
metformina prima del concepimento e nel primo trimestre di gravidanza è associata
ad un’incidenza di aborti dell’8,8% (rispetto al 41,9% dei controlli) (31). L’effetto
positivo della riduzione dell’insulino-resistenza sull’abortività nella PCOS sembra
essere il risultato non solo della riduzione dell’LH e degli androgeni ma anche di
una migliore funzione endometriale. I livelli di glicodelina (proteina prodotta
dall’endometrio e ritenuta marker attendibile della funzione endometriale)
aumentano dopo terapia con metformina. Sembra, inoltre, verificarsi, in seguito
a terapia con insulino-sensibilizzanti, una riduzione delle resistenze delle arterie
spirali. Queste modificazioni possono quindi favorire l’impianto dell’embrione
ed il mantenimento della gravidanza. È stato osservato, inoltre, che la
somministrazione di metformina durante la gravidanza è associata ad una riduzione
di circa 10 volte del rischio di sviluppare diabete gestazionale (32).
108
SIGNIFICATO LABORATORISTICO E CLINICO DELL’FSH
Infine, ricordiamo che tra i farmaci insulinosensibilizzanti si sono rivelati
efficaci sulle manifestazioni cliniche della PCOS anche il gruppo dei
tiazolidinedioni. Alcuni farmaci di questo gruppo, come il rosiglitazone e il
pioglitazone, migliorano significativamente la sensibilità insulinica, riducono gli
androgeni e regolarizzano i cicli mestruali (33). In particolare, confrontandoli
con la metformina, sembrano essere meno efficaci sul ripristino dell-’ovulazione
e sul controllo del peso corporeo, ma risultano ugualmente efficaci sulle altre
manifestazioni cliniche della sindrome (34). Inoltre, rispetto alla metformina,
determinano meno effetti collaterali e hanno una compliance migliore, in quanto
la loro somministrazione è giornaliera, a differenza della metformina che deve
essere somministrata due o addirittura tre volte al giorno (34).
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IL TRATTAMENTO DELL’INFERTILITÀ MASCHILE CON FSH
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Stampato nel mese di febbraio 2007
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